Da Londra 1851 a Milano 2015 Industria cultura ambiente nella

Da Londra 1851 a Milano 2015
Industria cultura ambiente nella storia delle expo internazionali
Agnese Visconti
Diciamo, in via preliminare, che le expo sono nella storia una novità che ha inizio nel
1851 e che continua ancor oggi. Le expo infatti si distinguono dalle fiere che si
svolgevano fin dai tempi dei romani e che erano perlopiù fenomeni locali. E si
distinguono anche dalle manifestazioni con carattere cosmopolita che iniziarono a
svolgersi nel Settecento e che avevano lo scopo di mostrare, di far conoscere. Mentre le
expo ebbero fin da subito lo scopo di far progredire: inizialmente si trattò dell’idea di far
progredire l’industria e le manifatture (Londra, 1851), e in seguito dell’idea di far
progredire anche altre questioni: il lavoro, il benessere, la cultura, fino ai grandi tempi
ambientali che caratterizzano varie expo a partire dagli anni Settanta del Novecento
(Spokane, 1974; Okinawa, 1975; Lisbona, 1998), tra cui le ultime (Hannover, 2000; Aichi,
2005; Shangai, 2010). Possiamo dire pertanto che esse non furono solo vetrine del
progresso, ma luoghi dove venivano mostrati e affrontati, e da un certo punto in poi
dibattuti temi importanti che in parte rispecchiavano il mondo in cui si svolgevano, in
parte lo anticipavano, in parte si trovavano invece a non comprenderlo. Un esempio di
temi non industriali che conquistarono la ribalta fin da subito furono il tema del lavoro e
della salute (Parigi, 1867); poi il tema del centenario della Dichiarazione di indipendenza
americana (Philadelphia, 1876) quindi fu la volta della costruzione del Canale di Panama
e della ricostruzione di San Francisco dopo il terremoto del 1906 (San Francisco 1915).
E molto presto, già a Vienna nel 1873, vennero inclusi i divertimenti e in seguito oggetti
non industriali.
Ancora possiamo dire, scorrendo la lista delle expo, che inizialmente si trattò di un fatto
europeo, poi nel secolo scorso, molte sono le expo negli Stati Uniti, e infine dopo la
Seconda Guerra Mondiale il ventaglio si allarga all’Oriente.
Aggiungo che vi furono alcune costanti: i ritardi, il problema dell’ordine pubblico, la
paura di sommosse e di disordini; gli incendi (Chicago, 1893; Milano, 1906; Bruxelles,
1910) soprattutto per quanto riguarda la costruzione delle strutture temporanee.
Riguardo a queste ultime va tenuto presente che esse iniziarono a comparire già nel
Medioevo, e in forma più puntuale dal Barocco fino ai nostri giorni. L’effimero è
riscontrabile nei carri allegorici carnevaleschi, nelle celebrazioni delle feste, nei
matrimoni reali, nei funerali dei papi. È un elemento comunicativo efficace e persuasivo.
Realizzazioni effimere si accompagnano al potere: archi, passaggi, drappi, panneggi, ecc.
Effimero, data la brevità della durata, implica spesso l’uso di materiali riciclabili, di
strutture smontabili, e perciò di grande libertà espressiva. Anche la Tour Eiffel (Parigi,
1889) era nata per essere effimera e poi rimasta ed è diventata l’emblema di Parigi;
effimero il padiglione della Germania di Ludwig Mies van der Rohe, tra i maestri del
Movimento Moderno, per l’Expo di Barcellona del 1929: fu demolito, ma lasciò un tale
segno nella memoria da diventare leggendario ed essere ricostruito nel 1986 da un
gruppo di architetti spagnoli. In altri casi all’effimero si sostituì un’architettura stabile:
così fu per esempio a Genova, 1992 dive la soluzione di Renzo Piano che prevedeva un
nuovo assetto della città è rimasta fino ad oggi.
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Passiamo ora a illustrare alcune delle principali expo e a mostrarne le caratteristiche,
cercando di collegarle sia tra loro sia con il contesto storico all’interno del quale si
svolsero.
Vediamo la prima, quella di Londra, 1851 Perché e per iniziativa di chi? Fu il governo, e
più in particolare il principe consorte Alberto che nel 1849, nel suo ruolo di presidente
della Royal Society of Arts, aveva deciso di promuovere l’organizzazione di una grande
esposizione che avrebbe, queste le sue parole, “compreso il mondo intero”. Il sito
sarebbe stato il prato di Hyde Park in Kensington Street. Le difficoltà iniziarono subito:
fu indetto un concorso, nessun progetto fu giudicato adatto, tanto che l’idea del principe
Alberto di attirare a Londra tutte le ricchezze e le industrie del mondo, e soprattutto
mostrare la ricchezza e la grandezza delle industrie britanniche sembrava fallire. La
soluzione venne dal progetto di un giardiniere: John Paxton, noto per aver fatto fiorire
nel giardino del duca del Devonshire la Victoria regia, la più grande ninfea conosciuta.
Egli progettò molto rapidamente un edificio provvisorio come sede dell’esposizione, il
Crystal Palace che riprendeva la forma di una grande serra. Grazie al lavoro di duemila
operai in otto mesi fu montato un edificio di tre livelli: l’intelaiatura era in ferro, la
copertura in vetro. Era l’emblema della vittoria del ferro, ossia dell’industria e però nello
stesso tempo la forma della serra ricordava quanto ancora la produzione manifatturiera
fosse strettamente legata alla natura.
Il Crystal Palace che ospitò la prima expo universale tenutasi a Londra nel 1851
Il palazzo fu smontato alla fine dell’expo e rimontato a Sydenham Hill, appena a sud est
di Londra, come spazio permanente per mostre e manifestazioni. Nel 1936 fu distrutto
da un incendio.
All’esposizione si potevano ammirare per la prima volta da vicino, fino a toccarli e a
comprendere com’erano fatti gli oggetti esposti. Ma ad attirare l’attenzione furono
soprattutto i padiglioni esotici: quelli legati agli esploratori e alle colonie (mondi
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immaginati per i visitatori europei dell’expo, di cui per la prima volta si aveva una visione,
ancorché piuttosto approssimativa). E naturalmente il ristorante, chiamato Gastronomic
Symposium of all Nations, dove si potevano gustare cibi provenienti da tutti i paesi del
mondo: un’altra novità per i visitatori europei. Il successo fu enorme, tanto che con il
denaro ricavato dai biglietti di ingresso fu costruito il Museo di Storia Naturale di Londra
e acquistato il terreno per la costruzione del V&A Museum.
Diversa l’esposizione di Parigi che si tenne nel Palazzo ovale di vetro e ferro (il vetro era
con le manifatture di S. Gobain la vera gloria francese) del Champ de Mars, edificio
preesistente dove si tenevano esposizioni a livello minore e manifestazioni speciali. A
fianco dello scopo industriale, vi era quello di decretare il trionfo di Napoleone III. E
inoltre il tema della pace e
dell’armonia universale per il
genere umano. I più eminenti
scrittori francesi: da Victor Hugo
che scrisse l’introduzione alla
Guida e pronunciò la seguente
frase: “Abbasso la guerra, viva la
concordia e l’unità”, a Dumas
figlio, a Hyppolite Taine, a Ernest
Renan, e a Saint-Beuve, tutti
contribuirono con le loro penne a
inneggiare alla gloria di Francia.
Dell’Italia piace ricordare il
contributo dato da Francesco Hayez,
che in questa occasione espose una
copia del suo Bacio.
Intorno al palazzo era stato
allestito un parco per i
divertimenti illuminato fino a
mezzanotte, i concerti, un pallone
che permetteva di vedere l’expo
dall’alto e naturalmente ristoranti
internazionali di ogni genere.
Parigi era prospera, l’imperatore
vittorioso. Ma le nubi si
addensavano su questa expo
trionfale che non seppe né
Francesco Hayez, Il bacio, 1867, olio su tela
rispecchiare né prevedere i tempi:
erano in arrivo la guerra prussiana,
l’esilio di Napoleone III, i massacri della Comune. C’era stato l’attentato allo zar
Alessandro II proprio durante la preparazione dell’expo e l’uccisione di Massimiliano del
Messico che decretava la fine delle colonie francesi.
I visitatori furono circa 15 milioni L’expo ebbe un successo pari a quello di Londra.
Napoleone III si dimostrò interessato al bene del suo popolo con due padiglioni sulle
condizioni di igiene e di benessere, presentando anche un progetto di abitazioni operaie.
A riguardo si ricordi che la monarchia di Napoleone era nata dalla rivoluzione del 1848,
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tinta di forti motivi sociali. Il benessere e l’evoluzione culturale e morale dei lavoratori fu
un elemento dominante dell’Expo di Parigi: nello stand del Champ de Mars era presente
una macchina che iniettava aria fredda in modo che il carbone non emettesse fumo
bruciando: una tecnica di cui si è tornati a parlare negli ultimi anni, ricordo da parte
dell’ENI che aveva annunciato una tecnica di raffreddamento ad acqua, ma che, a quanto
mi risulta, non è stata applicata.
Dal punto di vista produttivo, l’altro elemento che regnò incontrastato fu il vetro, come
si è visto la vera gloria delle manifatture francesi. Numerose furono le serre che,con le
loro piante esotiche alimentari e non, segnano l’epopea della concentrazione in Europa
delle ricchezze della natura di tutto il globo, iniziata dopo la scoperta dell’America. I
trasferimenti delle piante portarono da allora alla formazione di nuovi schemi di
alimentazione e di disegno del paesaggio: si pensi alla patata, al cacao, al caffè, alla coltura
del riso e del mais nella pianura padana.
Sull’altro fronte, a contraddire il progetto di armonia e di pace universale, troneggiavano
i cannoni di Krupp trasportati a Parigi dalla Prussia con grandi difficoltà per il loro peso:
un monito alla guerra franco-prussiana del 1870.
L’expo successiva si tenne nel 1873 a Vienna con il titolo di Weltausstellung (esposizione
mondiale) ed ebbe luogo al Prater in un edificio appositamente costruito, la Rotunde,
L’expo fu inaugurata con un inno di Haydn alla presenza di Francesco Giuseppe con lo
scopo di festeggiare il suo venticinquesimo anniversario di regno e anche con quello di
ridare splendore alla appassita immagine dell’Impero austro-ungarico. A tale duplice
scopo si affiancò il tema dell’idealismo nel progresso dell’educazione, del gusto e della
qualità della vita. Furono presenti e destarono stupore India e Giappone, più ancora della
Gran Bretagna e della Francia, quest’ultima appena uscita dalla guerra contro la Prussia e
che quindi si presentò all’appuntamento in tono minore. Scopo del Giappone era
osservare e copiare. L’Italia fu presente soprattutto con opere d’arte.
L’expo ebbe un buon successo: i visitatori furono più di 7 milioni anche se l’ingresso e i
ristoranti erano carissimi.
La città non si era preparata a sufficienza. Gli alberghi erano pochi rispetto alla richiesta,
ma per fortuna i commercianti di Ulm che dalla Baviera scendevano a Vienna lungo il
Danubio e che, per la loro permanenza nella capitale austriaca, soggiornavano in case
galleggianti, riuscirono in occasione dell’expo a costruire rapidamente un grande numero
di tali case. Esse si rivelarono convenienti dal punto di vista economico e vicine alla
Rotunde.
Tra i divertimenti vi era un orchestra di Strauss che ininterrottamente intratteneva con
musica, operette, walzer. E intorno alla Rotunde un grande parco divertimenti per
quando i visitatori erano stanchi: giostre, caroselli, altalene. La Rotunde andò distrutta da
un incendio.
La Germania ripresentò i cannoni di Krupp, che questa volta non si limitavano a una
minaccia, ma che si erano dimostrati arma reale e letale.
L’Italia fu presente con il grande plastico della Galleria Vittorio Emanuele II, la più
imponente del mondo, capace di far sfigurare i celebri passages parigini. Sembrava che
ormai il ferro avesse sostituito in tutto il legno. In parte era così, soprattutto nei paesi che
come Gran Bretagna, Francia e Germania erano ricchi di miniere di carbone. Ma non era
così per altri: si pensi all’Italia, che, nonostante il plastico della Galleria Vittorio
Emanuele II, stentava ad avviare la propria industrializzazione per l’alto costo del
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combustibile che veniva importato via mare dalla Gran Bretagna, sbarcato a Genova e
caricato sulla linea ferroviaria Genova-Milano. La legna era ancora utilizzata (con tutti i
danni legati al diboscamento) e anche l’acqua che muoveva i mulini, consentendo la
possibilità di alcune manifatture.
Veniamo ora all’Expo di Philadelphia che si tenne nel 1876. Mi pare importante
accennare a questa esposizione, la
prima che non si svolse in Europa,
perché aveva per tema il Centenario
dell’indipendenza americana. Dunque,
non un tema di progresso. Si svolse al
Fairmount Park, ancora oggi il cuore
del sistema dei parchi municipali di
Philadelphia. È il più grande parco
cittadino del mondo. Il parco, di
proprietà privata, era stato dichiarato
pubblico nel 1855 e negli anni
successivi fu ingrandito incorporando
altre tenute. L’architetto tedesco
Hermann Schwarzmann ne fece un
luogo meraviglioso. I lavori tardarono
a finire e nelle ultime settimane gli
operai lavorarono giorno e notte
sotto la pioggia. Ma alla fine il
risultato fu splendido. Il giardino era
pieno di piante esotiche. Un grande
richiamo alla natura. È l’epoca in cui
gli scritti di Henry David Thoreau, di
George Perkins Marsh e di Ralph
Waldo Emerson cominciavano a
penetrare nella cultura americana. Il
meraviglioso parco di Fairmount e la
successiva attenzione e cura al suo
incremento e abbellimento sono un
esempio dell’atteggiamento di un
largo settore dell’opinione pubblica
americana verso la natura.
Un altro centenario fu festeggiato a
Parigi nel 1889, quello della Presa
della Bastiglia, e, nella tradizione delle expo, anche questa non era pronta per il giorno
dell’inaugurazione.
La Tour Eiffel, costruita per l’Expo di Parigi, 1889
Qui, a differenza che a Philadelphia,
non trionfò la natura, ma la
costruzione. In primo luogo la Tour Eiffel, eretta dall’ingegnere Alexandre-Gustave
Eiffel specialista in strutture metalliche, per essere smontata, ma che ebbe un tale
successo, che non solo rimase, ma divenne da allora l’emblema di Parigi.
Di grande rilievo, ma non ancora trionfale, fu la presentazione della prima automobile a
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benzina: una Benz costruita dall’ingegnere tedesco Carl Friedrich Benz. L’invenzione era
rivoluzionaria: alla macchina a vapore si sostituiva il motore a scoppio, e cioè al carbone
si sostituiva il petrolio, trovato in Texas trent’anni prima. Una nuova fonte energetica
destinata a ridisegnare la vita dell’umanità intera. La Benz, a ben pensarci,
rappresentava il nuovo, il petrolio, il futuro. La Tour Eiffel il carbone e il ferro: un
presente destinato a passare il testimone.
La Tour Eiffel ebbe successo. La Benz non ancora.
E però era destinata ad averlo, e molto maggiore.
Altra grande novità fu la presentazione dell’elettricità in tutti i suoi usi, da industriale a
domestico: fili, telefoni, telegrafi, macchine che si illuminano, bottoni che schiacciati
muovono macchine e congegni. Edison stesso si presentò con un suo padiglione che fu
molto apprezzato dal pubblico.
E arriviamo finalmente all’Italia: a Milano nel 1906. L’expo fu organizzata per festeggiare
il traforo del Sempione, alla presenza
di Vittorio Emanuele e della regina
Elena. Il traforo del Sempione
significava commercio, ferrovia,
apertura all’Europa. Emblema
dell’expo fu la locandina con Ermete e
l’Industria che escono dal traforo
rivolti verso il futuro. Si era in piena
Belle Epoque e il mondo guardava
con fiducia al nuovo secolo.
Caratteristica di Milano fu l’effimero.
Tutti i padiglioni furono allestiti per
non durare oltre il tempo dell’expo,
tranne l’Acquario costruito su
progetto dell’architetto Sebastiano
Locati e situato accanto all’Arena, di
cui riproduce l’architettura ellittica.
Era allora il padiglione dedicato alla
piscicoltura. Oggi è uno dei più
significativi edifici liberty di Milano
che con i suoi fregi e maioliche
racconta all’esterno il suo contenuto.
L’acquario è stato di recente
completamente restaurato nell’assetto
dell’edificio e delle vasche.
L’expo fu sistemata in due luoghi
Ermete e l’industria che escono dal
traforo del Sempione e guardano al
futuro, di Leopoldo Metlicovitz
distinti: il primo fu il Parco situato tra
il Castello e l’Arena, il secondo la
Piazza d’Armi: un treno elettrico, che
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fu smantellato anch’esso alla fine dell’expo, li collegava. Fu una mostra ferroviaria
importantissima. Anche qui -come a Parigi, 1889, ma in modo più visibile- furono
presenti le automobili di varie case costruttrici, tra cui la Daimler Benz, con i loro primi
modelli. Dietro al petrolio e al motore a scoppio avanzava anche l’elettricità, la fonte
energetica che aveva consentito e stava consentendo, con le dighe che si venivano
realizzando in Valtellina e nel Bergamasco, il processo di industrializzazione della
Lombardia E il trenino che univa il Parco alla Piazza d’Armi ne era l’emblema.
I motorini elettrici che muovevano tutto attrassero molti visitatori. Ma il maggior
successo lo ebbero gli allestimenti della Galleria del Sempione che esibivano le varie fasi
della costruzione in maniera chiara e comprensibile.
Di grande rilievo inoltre il padiglione dell’industria serica, importantissima per
l’economia lombarda: tutto il processo manifatturiero della seta diventò spettacolo con la
ricostruzione di una filanda e l’esposizione di una grande varietà di tessuti. Ma non solo:
prevalsero le arti grafiche, le industrie della carta, della ceramica e del vetro.
Il padiglione di Architettura e quello dell’Arte decorativa italiana andarono in fiamme
durante l’expo. Nell’incendio svaniva la testimonianza di un artigianato antico: pizzi,
ricami, abiti, arredi. Sui giornali vennero pubblicate le immagini del disastro e sei giorni
dopo gli operai erano già al lavoro per riallestire il padiglione che in breve fu riaperto,
mentre arrivavano dalle case produttrici e da soggetti privati nuovi ricami, arredi e abiti.
Dall’Europa torniamo negli Stati Uniti: a San Francisco che celebrò nel 1915 l’apertura
del Canale di Panama e la ricostruzione della città dopo il terremoto del 1906. Vediamo
prima il Canale di Panama che costituisce un interessante esempio di attenta pratica
igienica: nel corso della costruzione di esso, il medico dell’esercito William Crawford
Gorgas riuscì a prevenire la diffusione della malaria, intervenendo sulle acque stagnanti,
affumicando le abitazioni e rendendo obbligatorio l’uso delle zanzariere.
Il medico dell’esercito statunitense William Crawford Gorgas che riuscì a
debellare la malaria durante la costruzione del Canale di Panama, celebrata
dall’Expo di San Francisco, 1915
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Il suo sistema fu controverso e costoso, ma, una volta messo in atto, portò a un rapido
abbassamento, e infine ad un totale annullamento del rischio di contrarre la malattia per
le migliaia di operai, ingegneri, tecnici che lavorarono alla costruzione del canale. Quanto
al terremoto di San Francisco esso aveva colpito la città nel 1906 causando la morte di
tremila persone e gravissimi danni alla città, danni da imputare agli incendi provocati dal
terremoto più che non al terremoto stesso.
La maggior attrazione, oltre ai congressi ormai divenuti abituali, ai ristoranti e
all’illuminazione, fu il modello funzionante del Canale di Panama. Oggi sono in corso
lavori di ampliamento del canale per consentire il passaggio di navi di maggior
tonnellaggio e più numerose. Inoltre si discute di un grande progetto sino-nicaraguense
che prevede l’escavazione di un canale lungo il confine sud del Nicaragua.
Tornando all’expo, essa mostrò l’importanza ormai assunta dalla California e dal West
americano lungo tutta la costa pacifica.
Intanto il numero di paesi che aspiravano ad essere sede di un’expo aumentava, al punto
che si rese necessario fondare un ente che esaminasse e valutasse le richieste. Così venne
creato il Bureau International des Expositions, organizzazione intergovernativa istituita
tramite la Convenzione concernente le esposizioni internazionali conchiusa a Parigi nel
1928.
La prima expo che seguì fu quella di Parigi, 1931, nota come l’expo delle colonie. La
Prima Guerra Mondiale aveva cambiato la carta geografica del mondo, in particolare
dell’Africa. Quella che era stata l’Africa tedesca era stata spartita tra Regno Unito e
Francia. La Francia aveva ricevuto il mandato sul Togo e sul Camerun; il Regno Unito
sulla Namibia. Francia e Regno Unito si spartirono anche i domini turchi. L’Italia aveva la
Tripolitania, la Cirenaica, Rodi e il Dodecaneso. Al Regno Unito erano andate la
Palestina e l’Iraq; alla Francia la Siria e il Libano e il mandato sul Regno del Marocco. Gli
inglesi non parteciparono, pertanto l’expo fu mutilato del grande affresco dell’impero
britannico. Gli inglesi temevano che la manifestazione potesse trasformarsi in terreno di
coltura per i germi anticolonialisti, così si limitarono ad allestire un padiglione di
informazioni. Le altre potenze coloniali parteciparono tutte. Ma nessuna con un
impegno forte come l’Italia. Al centro del grande padiglione costruito dall’architetto
Armando Brasini era stata posta la Venere acefala rinvenuta nel 1913 a Cirene, oggi
tornata in Libia. Altre sculture classiche scandivano il perimetro della sala.
ll denominatore comune di tutti gli allestimenti si basava su due punti: che cosa il paese
colonizzatore aveva fatto per promuovere lo sviluppo culturale ed economico delle
colonie e quali erano le ricchezze che aveva ricavato dalle colonie stesse: in altri termini, il
fardello dell’uomo bianco e il portafogli. La proporzione fra i due elementi variava da
paese a paese.
Ogni colonia aveva il suo spazio e i visitatori compivano il giro del mondo dai mari del
Sud ai Caraibi, dall’Africa, al Madagascar, al Tonchino. Suggestiva la ricostruzione
dell’Angkor Wat, simbolo della Cambogia, a testimonianza del rilievo della penisola
indocinese nel sistema coloniale francese. E a ricordare il ruolo delle missioni nel
programma di civilizzazione del colonialismo furono costruite due chiese una protestante
e una cattolica. Anche qui, come a Milano per l’acquario, un edificio fu costruito per
durare: il Palais de la Porte Dorée che avrebbe poi ospitato il Museo delle arti dell’Africa
e dell’Oceania per diventare infine l’attuale Cité nationale della storia dell’immigrazione,
situato a est di Parigi e aperto al pubblico nel 2007.
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La sinistra attaccò l’expo su “L’Humanité” con una dura requisitoria sui suoi significati,
invitando a non visitarlo e a visitare invece la contro-esposizione organizzata in una sede
del sindacato.
Con la crisi mondiale del 1929 iniziarono gli anni bui della Grande Depressione, tanto
che, per infondere allegria e speranza nel futuro, gli Stati Uniti decisero di organizzare
l’expo di Chicago del 1933.
Il giorno dell’inaugurazione il presidente Franklin Delano Roosvelt non era presente e il
suo discorso fu letto. La crisi lo aveva costretto nel suo ufficio, sempre al lavoro con la
speranza che la depressione potesse venir superata grazie al progresso della scienza. Le
difficoltà indotte dalla crisi sconsigliarono a molti governi di affrontare il costo
finanziario di partecipare all’expo. Non fu così per l’Italia che decise di impegnare il
meglio delle sue forze per mostrare che gli italiani erano non solo artisti, ma anche
scienziati.
L’aviazione fu il fulcro della fiera: in cielo si svolsero competizioni ed esibizioni aree di
ogni tipo. Molto ammirati le evoluzioni dell’aereonautica italiana di Italo Balbo
A monito di un futuro tutt’altro che allegro stavano però le svastiche del dirigibile
tedesco Zeppelin e l’assenza dell’Unione sovietica.
Le minacce che si avvicinavano per il mondo furono ancora più tangibili all’expo di Parigi
del 1937. Questa esposizione fu infatti l’ultimo atto del rituale della pace e del progresso
prima del disastro. Si credeva ancora nella pace, nel progresso e nella cooperazione
universale, e però nello stesso tempo si risentiva dei tempi ansiosi degli anni Trenta. Il
tema fu Expo internationale des arts et techniques dans la vie moderne, ma in realtà il
motto era: lotta alla disoccupazione. Molte cose erano cambiate riguardo all’industria:
nessuno mostrava più i processi di produzione, ma tutto veniva tenuto segreto. La
scienza e la tecnica avevano definitivamente cessato di essere valori assoluti e venivano
guardati per la loro utilità sociale.
I padiglioni dominanti furono quelli della Germania e dell’Unione Sovietica che si
fronteggiavano l’un l’altro. In una posizione infelice si trovava invece il piccolo padiglione
repubblicano spagnolo. Quando l’expo era stata decisa la Spagna era ancora una
repubblica, mentre poco prima dell’apertura dell’expo Guernìca aveva ricevuto le bombe
tedesche e italiane. Il padiglione era opera dell’architetto Josep Luis Sert, rifugiatosi a
Parigi per sfuggire alla guerra civile, e ospitava il dipinto Guernica di Picasso, eseguito
appena dopo i bombardamenti. Guernica, che Picasso non volle andasse in Spagna prima
della fine della dittatura di Franco, fu ospitato al Moma di New York dove rimase fino
alla morte di Franco (1975). Oggi è esposto al Museo Nacional Centro de Arte Reina
Sofia di Madrid.
L’Italia fu presente con l’illustrazione delle realizzazioni fasciste: Sabaudia, l’Agro
Pontino, lo sbarramento del Tirso in Sardegna, il processo di elettrificazione.
Alla città rimase il nuovo palazzo di Chaillot di fronte alla Tour Eiffel, che ospita oggi il
Musée de l’homme, il Musée de la Marine e la Cité de l’Architecture et du Patrimoine.
Torniamo ora in Italia, a Roma, per l’expo che,prevista per il 1941 e rimandata al 1942,
non ebbe luogo.
Nel 1935 la delegazione italiana presso il Bureau International des Expositions aveva
chiesto di poter organizzare un’expo a Roma nel 1941. Il progetto recitava: “Il sito sarà di
insuperabile valore scenografico e pratico. Ogni nazione potrà costruire i suoi palazzi e i
suoi padiglioni in modo tale da permettere ai visitatori un viaggio istruttivo intorno alla
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terra”. L’idea era di fare una esposizione fuori della città, su un terreno da recuperare, tra
Roma e il mare, il polo dell’espansione a sud ovest della città. Si voleva il primato della
vastità e un’esposizione non effimera, bensì duratura. Questo progetto di esposizione
durevole verrà ripreso dopo la Seconda guerra mondiale: in particolare nelle esposizioni
di Genova, 1992; Lisbona, 1998; Shangai, 2005, che saranno occasioni di grandi
interventi urbanistici.
Ottenuta l’autorizzazione, Mussolini si incontrò con gli architetti Marcello Piacentini,
Adalberto Libera, Ettore Rossi e Luigi Vietti per affidare loro la realizzazione del
progetto.
I lavori procedettero a ritmo sostenuto, ma non sufficiente, tanto che l’expo venne
spostata al 1942, e infine sospesa per la guerra. L’area interessata prese il nome di EUR e
agli edifici costruiti se ne aggiunsero altri dopo la guerra. Attualmente è zona residenziale
e sede di uffici pubblici e privati, tra cui il Ministero della Salute, quello delle
Comunicazioni, quello dell’Ambiente, la Confindustria, la sede centrale dell’Eni e quella
delle Poste Italiane.
L’EUR oggi.
Situazione incerta, al pari
di quella dell’Expo di
Roma, sembrò avere
l’Expo di Bruxelles che
avrebbe dovuto tenersi nel
1955, ma che fu spostata al
1958 a causa della Guerra
di Corea e della prima fase
della Guerra fredda. Tema
dominante dell’expo fu
l’energia atomica, l’energia
che, utilizzata contro il
Giappone in guerra,
avrebbe dovuto diventare
energia di pace. Era
un’illusione che durò
qualche decennio (atom
for peace, atomo per la
produzione, per uso
economico, produttivo),
illusione che portò alla
costruzione di centrali
nucleari per la produzione
di energia elettrica,
inizialmente e soprattutto
negli Stati Uniti, in Unione
Sovietica, nel Regno Unito
e in Francia. Una forma
energetica molto discussa fin
L’Atomium, simbolo dell’Expo di Bruxelles, 1958
dall’inizio e ancor più oggi,
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dopo i gravi incidenti di Cernòbyl del 1986 nel nord dell’attuale Ucraina (allora Unione
Sovietica) e di Fukushima del 2011. Una forma energetica di cui si dichiarava l’uso
pacifico, mentre la guerra fredda, che non era certo finita, alimentava gli arsenali nucleari
bellici. Si fece di tutto per separare l’idea dell’atomo di guerra da quella dell’atomo di pace.
Germania, Giappone e Italia furono ammessi all’expo con piccoli padiglioni, ben lontani
dalla grandezza hitleriana e mussoliniana di quelli di Parigi.
Vale la pena ora di soffermarsi su un’expo, apparentemente secondaria, ma di grande
interesse: quella di Spokane, 1974.
Fu la prima che abbia avuto per tema l’ambiente. Era uscito due anni prima il Rapporto
dell’MIT per il Club di Roma, I limiti dello sviluppo, che prevedeva un declino per l’umanità
entro cento anni nel caso in cui non fossero stati ridimensionati tasso di crescita della
popolazione, dell’industrializzazione,
dell’inquinamento e delle risorse.
E nello stesso 1972 le Nazioni Unite
avevano decretato il 5 giugno giornata
mondiale dell’ambiente. Si tenga
presente che la decisione della cittadina
di Spokane di tenere l’expo era stata
presa prima dell’uscita del volume
dell’MIT e che fu il comune di Spokane,
nel corso della dei lavori preparatori per
l’expo, a sospingere le Nazioni Unite a
decretare il 5 giugno giorno
dell’ambiente. L’Expo di Spokane
dunque si pose all’avanguardia per
quanto concerne le questioni ambientali.
Aggiungo ancora che lo studio del Club
Emblema del Club di Roma che
di Roma è stato aggiornato nel 2004 da
commissionò al MIT il rapporto sui Donella e Denis Meadows che ne hanno
limiti dello sviluppo, pubblicato nel 1972 confermato le previsioni, mettendo
inparticolare risalto il degrado
ambientale e la finitezza delle risorse.
L’expo si tenne sulle rive del fiume Spokane che era stato disinquinato allo scopo. Nel
corso dei numerosi congressi sull’ambiente che ebbero luogo fu messa per la prima volta
in discussione la concezione, fino ad allora predominante, che bigger is better.
I temi ambientali furono ripresi all’Expo di Okinawa (1975) che fu organizzata per la
difesa del mare e della fauna marina e nello stesso tempo per ricordare la riconsegna
dell’isola di Okinawa al Giappone da parte degli americani (1972), restituzione che
avrebbe dovuto placare l’inimicizia tra i due paesi, inimicizia che invece durò ancora a
lungo (vediamo così come le questioni legate alla Seconda guerra mondiale continuavano
ad agitare il mondo, e come intanto si affacciassero, e non certo timidamente, quelle
dell’ambiente e della finitezza delle risorse). Come si può immaginare i padiglioni
dell’expo furono un susseguirsi di fauna marina, navi, barche, scienza e tecnologia. Il
successo maggiore lo ebbe Aquapolis, la futura città sul mare, la più grande struttura
galleggiante del mondo.
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Aquapolis, la città sul mare, costruita per l’Expo di Okinawa, 1975
I numerosi congressi, ormai diventati un’abitudine delle expo, sottolinearono la necessità
di una politica equilibrata per la conservazione dell’Oceano. È rimasto un museo
oceanico che mostra la vita degli abitanti delle isole del Pacifico, mentre la città
galleggiante rimase aperta fino al 1993 e poi venduta a una azienda di rottamazione.
I temi dell’ambiente non furono invece i principali a Genova, 1992 sebbene ormai
fossero questione largamente dibattuta in tutto il mondo: si pensi al Rapporto Brundtland
(dal nome della signora norvegese Gro Brundtland presidente della Commissione
Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo). Il rapporto, pubblicato nel 1987, è noto anche
con il titolo Our common future e in esso venne per la prima volta formulato il concetto di
sviluppo sostenibile, ossia un concetto relativo non solo all’ambiente ma anche, meglio
soprattutto ai rapporti tra uomini e ambienti. Il concetto di sviluppo sostenibile mette in
luce un significativo principio etico: la responsabilità delle generazioni di oggi nei
confronti di quelle future, toccando quindi almeno due aspetti dell’ecosostenibilità: il
mantenimento delle risorse e l’equilibrio ambientale. E ancora ricordo che il 1992 fu
l’anno del Summit di Rio de Janeiro, la prima Conferenza mondiale dei capi di stato
sull’ambiente. Rio siglò un accordo sul cambiamento climatico che portò, a sua volta, alla
stesura del Protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005: Tra i
paesi non aderenti figurano gli Stati Uniti, mentre Cina e India hanno ratificato il
Protocollo ma non sono tenute a diminuire le emissioni di CO2. Genova fu soprattutto la
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celebrazione del cinquecentenario della scoperta dell’America, anche se portava un
messaggio ambientale: proteggere le acque del mondo. Tutti i paesi esposero
imbarcazioni o modelli di imbarcazioni, antiche carte nautiche, sottomarini. L’expo si
svolse al Porto antico e permise la ristrutturazione della zona e della parte retrostante, su
progetto dell’architetto genovese Renzo Piano. Le due principali
attrazioni furono l’acquario e il grande bigo (bigo è il nome della gru utilizzata per il
carico e lo scarico delle merci nel porto di Genova), inteso con una duplice funzione: da
un lato di immagine e dall’altro strutturale (sostiene il tendone della piazza delle feste
situata nelle vicinanze). Il recupero dell’area è poi continuato negli anni seguenti e nel
porto si è aggiunta la cosiddetta Biosfera, una struttura a forma sferica situata accanto
all’acquario contenente un ecosistema tropicale. Dopo i primi esperimenti fallimentari,
oggi è funzionante.
Un’altra expo in occasione del cinquecentenario della scoperta dell’America si tenne a
Siviglia.
Alle questioni ambientali tornò a rivolgersi l’Expo di Lisbona, 1998 che toccò, al pari di
quello di Genova, 1992, anche la risistemazione di parte della città e la costruzione di
molte infrastrutture. Il sito fu scelto nella zona orientale di Lisbona. Rappresentò un
passaggio dall’uso del territorio a scopo industriale a quello residenziale e ricreativo. La
concezione di effimero che, come abbiamo visto, aveva dominato a lungo nelle expo
precedenti venne qui sostituita da quella della stabilità. Il tema ufficiale era: un patrimonio
per il futuro, con lo scopo di celebrare gli oceani nel mondo, e però anche il ruolo storico
del Portogallo nell’età delle scoperte e l’arrivo in India di Vasco da Gama. Molte delle
infrastrutture costruite per l’expo sono state riconvertite. L’area utilizzata ha assunto il
nome di Parco delle Nazioni, all’interno del quale è stato costruito un parco fieristico
internazionale. Rimasto è l’Oceanario formato da 5 ambienti marini (i 5 oceani), così
come la Torre di Vasco da Gama e infine un complesso di reti di trasporto.
Queste strutture hanno modificato la città dotandola di un profilo più internazionale e
avvicinandola al mercato globale, rispecchiando così un nuovo aspetto del mondo
moderno: quello della globalizzazione.
Seguì l’Expo di Hannover, 2000 dove venne proposto più di un tema. L’expo fu
organizzato per festeggiare la riunificazione della Germania e il nuovo millennio con temi
comuni a tutto il pianeta: genere umano, natura, tecnologia, un nuovo mondo che sorge.
La cornice fu l’Agenda 21 di Rio che, ricordo, costituisce ancora oggi la base per quello
sviluppo sostenibile a cui si è accennato sopra, da attuarsi nel corso XXI secolo, appunto.
Furono inviatati tutti i paesi e furono stanziati finanziamenti cospicui perché tutti
potessero partecipare. I padiglioni, in carta, cartone e legno, erano interamente
ecosostenibili, ma il numero dei visitatori fu molto inferiore al previsto. Si presume che il
motivo vada ricercato nel fatto che Hannover non fosse una città attraente, che i temi
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proposti fissero troppo complessi e inoltre che non fosse stato svolto un lavoro
sufficientemente accurato di comunicazione e di pubblicità.
Molto maggior successo ebbe l’Expo di Aichi, 2005: si aspettavano 15 milioni di visitatori,
ne vennero 22 milioni, tra i quali moltissimi giapponesi. Il tema scelto era formulato in
modo più semplice di quello di Hannover: “la saggezza della natura”. Fu un’expo verde,
all’insegna del ridurre, riusare, riciclare. Le attività organizzate furono tutte ambientali e
globali e diedero la conferma definitiva dell’importanza del Giappone in Oriente. Questo
da un lato: dall’altro si facevano notare per la loro mole i due padiglioni del gruppo
Toyota e del gas che si ponevano in contraddizione con il tema verde proposto.
Restiamo in Oriente con l’Expo di Shangai, 2010. Si tratta dell’expo che precede quello
che si terrà a Milano nel 2015. Anche a Shangai, come ad Aichi, il tema venne formulato
in modo semplice: better city better life, ovvero migliorare la qualità della vita in ambito
urbano. L’intento era di discutere del problema della pianificazione urbana e dello
sviluppo sostenibile nelle nuove aree cittadine, nonché quello del come effettuare le
riqualificazioni nel tessuto urbano esistente. La tematica partiva dal presupposto che dal
secolo scorso ad oggi la popolazione che vive nelle città è aumentata dal 5% a più del
50%. Alcuni padiglioni particolarmente attraenti furono quello degli Emirati arabi, le cui
forme curvilinee riprendevano le dune del deserto; quello del Regno Unito fatto di
migliaia di fili acrilici trasparenti che di giorno incanalavano la luce verso l’interno, e di
notte verso l’esterno; e quello italiano costruito in cemento trasparente.
Sottolineo ancora la linearità e la semplicità del tema di Shangai al fine di mettere in
evidenza la duplicità e la complessità di quello di Expo 2015 Milano: nutrire il pianetaenergia per la vita.
Esso si propone di includere tutto ciò che riguarda l’alimentazione e l’energia, dal
problema della mancanza di cibo per alcune zone del mondo, a quello dello sfruttamento
delle risorse naturali e dell’inquinamento dei suoli e dell’acqua, a quello dell’educazione
alimentare, fino alle tematiche legate agli ogm, alla finitezza delle risorse fossili, ai rischi
del nucleare, alla ricerca nel settore delle energie rinnovabili. Forse troppo? Vedremo.
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Il logo di Expo Milano, 2015sullo sfondo del Duomo
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Bibliografia
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Allemandi, [1990]
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Expo x Expo Comunicare la modernità Le Esposizioni Universali 1851-2010
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Luckhurst Kenneth William, The Story of Exhibitions, N.Y., Studio Publications, 1951
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Fonti delle figure
Figure 1, 2, 3, 4, 5, , 6, 8: en.wikipedia.org (Commons) Figure 7, 9: it.wikipedia.org
(Commons)
Grafica, impaginazione e ricerca iconografica a cura di Vincenza Petrilli (Archivio di Stato di Milano)
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