Da Londra 1851 a Milano 2015 Industria cultura ambiente nella storia delle expo internazionali Agnese Visconti Diciamo, in via preliminare, che le expo sono nella storia una novità che ha inizio nel 1851 e che continua ancor oggi. Le expo infatti si distinguono dalle fiere che si svolgevano fin dai tempi dei romani e che erano perlopiù fenomeni locali. E si distinguono anche dalle manifestazioni con carattere cosmopolita che iniziarono a svolgersi nel Settecento e che avevano lo scopo di mostrare, di far conoscere. Mentre le expo ebbero fin da subito lo scopo di far progredire: inizialmente si trattò dell’idea di far progredire l’industria e le manifatture (Londra, 1851), e in seguito dell’idea di far progredire anche altre questioni: il lavoro, il benessere, la cultura, fino ai grandi tempi ambientali che caratterizzano varie expo a partire dagli anni Settanta del Novecento (Spokane, 1974; Okinawa, 1975; Lisbona, 1998), tra cui le ultime (Hannover, 2000; Aichi, 2005; Shangai, 2010). Possiamo dire pertanto che esse non furono solo vetrine del progresso, ma luoghi dove venivano mostrati e affrontati, e da un certo punto in poi dibattuti temi importanti che in parte rispecchiavano il mondo in cui si svolgevano, in parte lo anticipavano, in parte si trovavano invece a non comprenderlo. Un esempio di temi non industriali che conquistarono la ribalta fin da subito furono il tema del lavoro e della salute (Parigi, 1867); poi il tema del centenario della Dichiarazione di indipendenza americana (Philadelphia, 1876) quindi fu la volta della costruzione del Canale di Panama e della ricostruzione di San Francisco dopo il terremoto del 1906 (San Francisco 1915). E molto presto, già a Vienna nel 1873, vennero inclusi i divertimenti e in seguito oggetti non industriali. Ancora possiamo dire, scorrendo la lista delle expo, che inizialmente si trattò di un fatto europeo, poi nel secolo scorso, molte sono le expo negli Stati Uniti, e infine dopo la Seconda Guerra Mondiale il ventaglio si allarga all’Oriente. Aggiungo che vi furono alcune costanti: i ritardi, il problema dell’ordine pubblico, la paura di sommosse e di disordini; gli incendi (Chicago, 1893; Milano, 1906; Bruxelles, 1910) soprattutto per quanto riguarda la costruzione delle strutture temporanee. Riguardo a queste ultime va tenuto presente che esse iniziarono a comparire già nel Medioevo, e in forma più puntuale dal Barocco fino ai nostri giorni. L’effimero è riscontrabile nei carri allegorici carnevaleschi, nelle celebrazioni delle feste, nei matrimoni reali, nei funerali dei papi. È un elemento comunicativo efficace e persuasivo. Realizzazioni effimere si accompagnano al potere: archi, passaggi, drappi, panneggi, ecc. Effimero, data la brevità della durata, implica spesso l’uso di materiali riciclabili, di strutture smontabili, e perciò di grande libertà espressiva. Anche la Tour Eiffel (Parigi, 1889) era nata per essere effimera e poi rimasta ed è diventata l’emblema di Parigi; effimero il padiglione della Germania di Ludwig Mies van der Rohe, tra i maestri del Movimento Moderno, per l’Expo di Barcellona del 1929: fu demolito, ma lasciò un tale segno nella memoria da diventare leggendario ed essere ricostruito nel 1986 da un gruppo di architetti spagnoli. In altri casi all’effimero si sostituì un’architettura stabile: così fu per esempio a Genova, 1992 dive la soluzione di Renzo Piano che prevedeva un nuovo assetto della città è rimasta fino ad oggi. 1 Passiamo ora a illustrare alcune delle principali expo e a mostrarne le caratteristiche, cercando di collegarle sia tra loro sia con il contesto storico all’interno del quale si svolsero. Vediamo la prima, quella di Londra, 1851 Perché e per iniziativa di chi? Fu il governo, e più in particolare il principe consorte Alberto che nel 1849, nel suo ruolo di presidente della Royal Society of Arts, aveva deciso di promuovere l’organizzazione di una grande esposizione che avrebbe, queste le sue parole, “compreso il mondo intero”. Il sito sarebbe stato il prato di Hyde Park in Kensington Street. Le difficoltà iniziarono subito: fu indetto un concorso, nessun progetto fu giudicato adatto, tanto che l’idea del principe Alberto di attirare a Londra tutte le ricchezze e le industrie del mondo, e soprattutto mostrare la ricchezza e la grandezza delle industrie britanniche sembrava fallire. La soluzione venne dal progetto di un giardiniere: John Paxton, noto per aver fatto fiorire nel giardino del duca del Devonshire la Victoria regia, la più grande ninfea conosciuta. Egli progettò molto rapidamente un edificio provvisorio come sede dell’esposizione, il Crystal Palace che riprendeva la forma di una grande serra. Grazie al lavoro di duemila operai in otto mesi fu montato un edificio di tre livelli: l’intelaiatura era in ferro, la copertura in vetro. Era l’emblema della vittoria del ferro, ossia dell’industria e però nello stesso tempo la forma della serra ricordava quanto ancora la produzione manifatturiera fosse strettamente legata alla natura. Il Crystal Palace che ospitò la prima expo universale tenutasi a Londra nel 1851 Il palazzo fu smontato alla fine dell’expo e rimontato a Sydenham Hill, appena a sud est di Londra, come spazio permanente per mostre e manifestazioni. Nel 1936 fu distrutto da un incendio. All’esposizione si potevano ammirare per la prima volta da vicino, fino a toccarli e a comprendere com’erano fatti gli oggetti esposti. Ma ad attirare l’attenzione furono soprattutto i padiglioni esotici: quelli legati agli esploratori e alle colonie (mondi 2 immaginati per i visitatori europei dell’expo, di cui per la prima volta si aveva una visione, ancorché piuttosto approssimativa). E naturalmente il ristorante, chiamato Gastronomic Symposium of all Nations, dove si potevano gustare cibi provenienti da tutti i paesi del mondo: un’altra novità per i visitatori europei. Il successo fu enorme, tanto che con il denaro ricavato dai biglietti di ingresso fu costruito il Museo di Storia Naturale di Londra e acquistato il terreno per la costruzione del V&A Museum. Diversa l’esposizione di Parigi che si tenne nel Palazzo ovale di vetro e ferro (il vetro era con le manifatture di S. Gobain la vera gloria francese) del Champ de Mars, edificio preesistente dove si tenevano esposizioni a livello minore e manifestazioni speciali. A fianco dello scopo industriale, vi era quello di decretare il trionfo di Napoleone III. E inoltre il tema della pace e dell’armonia universale per il genere umano. I più eminenti scrittori francesi: da Victor Hugo che scrisse l’introduzione alla Guida e pronunciò la seguente frase: “Abbasso la guerra, viva la concordia e l’unità”, a Dumas figlio, a Hyppolite Taine, a Ernest Renan, e a Saint-Beuve, tutti contribuirono con le loro penne a inneggiare alla gloria di Francia. Dell’Italia piace ricordare il contributo dato da Francesco Hayez, che in questa occasione espose una copia del suo Bacio. Intorno al palazzo era stato allestito un parco per i divertimenti illuminato fino a mezzanotte, i concerti, un pallone che permetteva di vedere l’expo dall’alto e naturalmente ristoranti internazionali di ogni genere. Parigi era prospera, l’imperatore vittorioso. Ma le nubi si addensavano su questa expo trionfale che non seppe né Francesco Hayez, Il bacio, 1867, olio su tela rispecchiare né prevedere i tempi: erano in arrivo la guerra prussiana, l’esilio di Napoleone III, i massacri della Comune. C’era stato l’attentato allo zar Alessandro II proprio durante la preparazione dell’expo e l’uccisione di Massimiliano del Messico che decretava la fine delle colonie francesi. I visitatori furono circa 15 milioni L’expo ebbe un successo pari a quello di Londra. Napoleone III si dimostrò interessato al bene del suo popolo con due padiglioni sulle condizioni di igiene e di benessere, presentando anche un progetto di abitazioni operaie. A riguardo si ricordi che la monarchia di Napoleone era nata dalla rivoluzione del 1848, 3 tinta di forti motivi sociali. Il benessere e l’evoluzione culturale e morale dei lavoratori fu un elemento dominante dell’Expo di Parigi: nello stand del Champ de Mars era presente una macchina che iniettava aria fredda in modo che il carbone non emettesse fumo bruciando: una tecnica di cui si è tornati a parlare negli ultimi anni, ricordo da parte dell’ENI che aveva annunciato una tecnica di raffreddamento ad acqua, ma che, a quanto mi risulta, non è stata applicata. Dal punto di vista produttivo, l’altro elemento che regnò incontrastato fu il vetro, come si è visto la vera gloria delle manifatture francesi. Numerose furono le serre che,con le loro piante esotiche alimentari e non, segnano l’epopea della concentrazione in Europa delle ricchezze della natura di tutto il globo, iniziata dopo la scoperta dell’America. I trasferimenti delle piante portarono da allora alla formazione di nuovi schemi di alimentazione e di disegno del paesaggio: si pensi alla patata, al cacao, al caffè, alla coltura del riso e del mais nella pianura padana. Sull’altro fronte, a contraddire il progetto di armonia e di pace universale, troneggiavano i cannoni di Krupp trasportati a Parigi dalla Prussia con grandi difficoltà per il loro peso: un monito alla guerra franco-prussiana del 1870. L’expo successiva si tenne nel 1873 a Vienna con il titolo di Weltausstellung (esposizione mondiale) ed ebbe luogo al Prater in un edificio appositamente costruito, la Rotunde, L’expo fu inaugurata con un inno di Haydn alla presenza di Francesco Giuseppe con lo scopo di festeggiare il suo venticinquesimo anniversario di regno e anche con quello di ridare splendore alla appassita immagine dell’Impero austro-ungarico. A tale duplice scopo si affiancò il tema dell’idealismo nel progresso dell’educazione, del gusto e della qualità della vita. Furono presenti e destarono stupore India e Giappone, più ancora della Gran Bretagna e della Francia, quest’ultima appena uscita dalla guerra contro la Prussia e che quindi si presentò all’appuntamento in tono minore. Scopo del Giappone era osservare e copiare. L’Italia fu presente soprattutto con opere d’arte. L’expo ebbe un buon successo: i visitatori furono più di 7 milioni anche se l’ingresso e i ristoranti erano carissimi. La città non si era preparata a sufficienza. Gli alberghi erano pochi rispetto alla richiesta, ma per fortuna i commercianti di Ulm che dalla Baviera scendevano a Vienna lungo il Danubio e che, per la loro permanenza nella capitale austriaca, soggiornavano in case galleggianti, riuscirono in occasione dell’expo a costruire rapidamente un grande numero di tali case. Esse si rivelarono convenienti dal punto di vista economico e vicine alla Rotunde. Tra i divertimenti vi era un orchestra di Strauss che ininterrottamente intratteneva con musica, operette, walzer. E intorno alla Rotunde un grande parco divertimenti per quando i visitatori erano stanchi: giostre, caroselli, altalene. La Rotunde andò distrutta da un incendio. La Germania ripresentò i cannoni di Krupp, che questa volta non si limitavano a una minaccia, ma che si erano dimostrati arma reale e letale. L’Italia fu presente con il grande plastico della Galleria Vittorio Emanuele II, la più imponente del mondo, capace di far sfigurare i celebri passages parigini. Sembrava che ormai il ferro avesse sostituito in tutto il legno. In parte era così, soprattutto nei paesi che come Gran Bretagna, Francia e Germania erano ricchi di miniere di carbone. Ma non era così per altri: si pensi all’Italia, che, nonostante il plastico della Galleria Vittorio Emanuele II, stentava ad avviare la propria industrializzazione per l’alto costo del 4 combustibile che veniva importato via mare dalla Gran Bretagna, sbarcato a Genova e caricato sulla linea ferroviaria Genova-Milano. La legna era ancora utilizzata (con tutti i danni legati al diboscamento) e anche l’acqua che muoveva i mulini, consentendo la possibilità di alcune manifatture. Veniamo ora all’Expo di Philadelphia che si tenne nel 1876. Mi pare importante accennare a questa esposizione, la prima che non si svolse in Europa, perché aveva per tema il Centenario dell’indipendenza americana. Dunque, non un tema di progresso. Si svolse al Fairmount Park, ancora oggi il cuore del sistema dei parchi municipali di Philadelphia. È il più grande parco cittadino del mondo. Il parco, di proprietà privata, era stato dichiarato pubblico nel 1855 e negli anni successivi fu ingrandito incorporando altre tenute. L’architetto tedesco Hermann Schwarzmann ne fece un luogo meraviglioso. I lavori tardarono a finire e nelle ultime settimane gli operai lavorarono giorno e notte sotto la pioggia. Ma alla fine il risultato fu splendido. Il giardino era pieno di piante esotiche. Un grande richiamo alla natura. È l’epoca in cui gli scritti di Henry David Thoreau, di George Perkins Marsh e di Ralph Waldo Emerson cominciavano a penetrare nella cultura americana. Il meraviglioso parco di Fairmount e la successiva attenzione e cura al suo incremento e abbellimento sono un esempio dell’atteggiamento di un largo settore dell’opinione pubblica americana verso la natura. Un altro centenario fu festeggiato a Parigi nel 1889, quello della Presa della Bastiglia, e, nella tradizione delle expo, anche questa non era pronta per il giorno dell’inaugurazione. La Tour Eiffel, costruita per l’Expo di Parigi, 1889 Qui, a differenza che a Philadelphia, non trionfò la natura, ma la costruzione. In primo luogo la Tour Eiffel, eretta dall’ingegnere Alexandre-Gustave Eiffel specialista in strutture metalliche, per essere smontata, ma che ebbe un tale successo, che non solo rimase, ma divenne da allora l’emblema di Parigi. Di grande rilievo, ma non ancora trionfale, fu la presentazione della prima automobile a 5 benzina: una Benz costruita dall’ingegnere tedesco Carl Friedrich Benz. L’invenzione era rivoluzionaria: alla macchina a vapore si sostituiva il motore a scoppio, e cioè al carbone si sostituiva il petrolio, trovato in Texas trent’anni prima. Una nuova fonte energetica destinata a ridisegnare la vita dell’umanità intera. La Benz, a ben pensarci, rappresentava il nuovo, il petrolio, il futuro. La Tour Eiffel il carbone e il ferro: un presente destinato a passare il testimone. La Tour Eiffel ebbe successo. La Benz non ancora. E però era destinata ad averlo, e molto maggiore. Altra grande novità fu la presentazione dell’elettricità in tutti i suoi usi, da industriale a domestico: fili, telefoni, telegrafi, macchine che si illuminano, bottoni che schiacciati muovono macchine e congegni. Edison stesso si presentò con un suo padiglione che fu molto apprezzato dal pubblico. E arriviamo finalmente all’Italia: a Milano nel 1906. L’expo fu organizzata per festeggiare il traforo del Sempione, alla presenza di Vittorio Emanuele e della regina Elena. Il traforo del Sempione significava commercio, ferrovia, apertura all’Europa. Emblema dell’expo fu la locandina con Ermete e l’Industria che escono dal traforo rivolti verso il futuro. Si era in piena Belle Epoque e il mondo guardava con fiducia al nuovo secolo. Caratteristica di Milano fu l’effimero. Tutti i padiglioni furono allestiti per non durare oltre il tempo dell’expo, tranne l’Acquario costruito su progetto dell’architetto Sebastiano Locati e situato accanto all’Arena, di cui riproduce l’architettura ellittica. Era allora il padiglione dedicato alla piscicoltura. Oggi è uno dei più significativi edifici liberty di Milano che con i suoi fregi e maioliche racconta all’esterno il suo contenuto. L’acquario è stato di recente completamente restaurato nell’assetto dell’edificio e delle vasche. L’expo fu sistemata in due luoghi Ermete e l’industria che escono dal traforo del Sempione e guardano al futuro, di Leopoldo Metlicovitz distinti: il primo fu il Parco situato tra il Castello e l’Arena, il secondo la Piazza d’Armi: un treno elettrico, che 6 fu smantellato anch’esso alla fine dell’expo, li collegava. Fu una mostra ferroviaria importantissima. Anche qui -come a Parigi, 1889, ma in modo più visibile- furono presenti le automobili di varie case costruttrici, tra cui la Daimler Benz, con i loro primi modelli. Dietro al petrolio e al motore a scoppio avanzava anche l’elettricità, la fonte energetica che aveva consentito e stava consentendo, con le dighe che si venivano realizzando in Valtellina e nel Bergamasco, il processo di industrializzazione della Lombardia E il trenino che univa il Parco alla Piazza d’Armi ne era l’emblema. I motorini elettrici che muovevano tutto attrassero molti visitatori. Ma il maggior successo lo ebbero gli allestimenti della Galleria del Sempione che esibivano le varie fasi della costruzione in maniera chiara e comprensibile. Di grande rilievo inoltre il padiglione dell’industria serica, importantissima per l’economia lombarda: tutto il processo manifatturiero della seta diventò spettacolo con la ricostruzione di una filanda e l’esposizione di una grande varietà di tessuti. Ma non solo: prevalsero le arti grafiche, le industrie della carta, della ceramica e del vetro. Il padiglione di Architettura e quello dell’Arte decorativa italiana andarono in fiamme durante l’expo. Nell’incendio svaniva la testimonianza di un artigianato antico: pizzi, ricami, abiti, arredi. Sui giornali vennero pubblicate le immagini del disastro e sei giorni dopo gli operai erano già al lavoro per riallestire il padiglione che in breve fu riaperto, mentre arrivavano dalle case produttrici e da soggetti privati nuovi ricami, arredi e abiti. Dall’Europa torniamo negli Stati Uniti: a San Francisco che celebrò nel 1915 l’apertura del Canale di Panama e la ricostruzione della città dopo il terremoto del 1906. Vediamo prima il Canale di Panama che costituisce un interessante esempio di attenta pratica igienica: nel corso della costruzione di esso, il medico dell’esercito William Crawford Gorgas riuscì a prevenire la diffusione della malaria, intervenendo sulle acque stagnanti, affumicando le abitazioni e rendendo obbligatorio l’uso delle zanzariere. Il medico dell’esercito statunitense William Crawford Gorgas che riuscì a debellare la malaria durante la costruzione del Canale di Panama, celebrata dall’Expo di San Francisco, 1915 7 Il suo sistema fu controverso e costoso, ma, una volta messo in atto, portò a un rapido abbassamento, e infine ad un totale annullamento del rischio di contrarre la malattia per le migliaia di operai, ingegneri, tecnici che lavorarono alla costruzione del canale. Quanto al terremoto di San Francisco esso aveva colpito la città nel 1906 causando la morte di tremila persone e gravissimi danni alla città, danni da imputare agli incendi provocati dal terremoto più che non al terremoto stesso. La maggior attrazione, oltre ai congressi ormai divenuti abituali, ai ristoranti e all’illuminazione, fu il modello funzionante del Canale di Panama. Oggi sono in corso lavori di ampliamento del canale per consentire il passaggio di navi di maggior tonnellaggio e più numerose. Inoltre si discute di un grande progetto sino-nicaraguense che prevede l’escavazione di un canale lungo il confine sud del Nicaragua. Tornando all’expo, essa mostrò l’importanza ormai assunta dalla California e dal West americano lungo tutta la costa pacifica. Intanto il numero di paesi che aspiravano ad essere sede di un’expo aumentava, al punto che si rese necessario fondare un ente che esaminasse e valutasse le richieste. Così venne creato il Bureau International des Expositions, organizzazione intergovernativa istituita tramite la Convenzione concernente le esposizioni internazionali conchiusa a Parigi nel 1928. La prima expo che seguì fu quella di Parigi, 1931, nota come l’expo delle colonie. La Prima Guerra Mondiale aveva cambiato la carta geografica del mondo, in particolare dell’Africa. Quella che era stata l’Africa tedesca era stata spartita tra Regno Unito e Francia. La Francia aveva ricevuto il mandato sul Togo e sul Camerun; il Regno Unito sulla Namibia. Francia e Regno Unito si spartirono anche i domini turchi. L’Italia aveva la Tripolitania, la Cirenaica, Rodi e il Dodecaneso. Al Regno Unito erano andate la Palestina e l’Iraq; alla Francia la Siria e il Libano e il mandato sul Regno del Marocco. Gli inglesi non parteciparono, pertanto l’expo fu mutilato del grande affresco dell’impero britannico. Gli inglesi temevano che la manifestazione potesse trasformarsi in terreno di coltura per i germi anticolonialisti, così si limitarono ad allestire un padiglione di informazioni. Le altre potenze coloniali parteciparono tutte. Ma nessuna con un impegno forte come l’Italia. Al centro del grande padiglione costruito dall’architetto Armando Brasini era stata posta la Venere acefala rinvenuta nel 1913 a Cirene, oggi tornata in Libia. Altre sculture classiche scandivano il perimetro della sala. ll denominatore comune di tutti gli allestimenti si basava su due punti: che cosa il paese colonizzatore aveva fatto per promuovere lo sviluppo culturale ed economico delle colonie e quali erano le ricchezze che aveva ricavato dalle colonie stesse: in altri termini, il fardello dell’uomo bianco e il portafogli. La proporzione fra i due elementi variava da paese a paese. Ogni colonia aveva il suo spazio e i visitatori compivano il giro del mondo dai mari del Sud ai Caraibi, dall’Africa, al Madagascar, al Tonchino. Suggestiva la ricostruzione dell’Angkor Wat, simbolo della Cambogia, a testimonianza del rilievo della penisola indocinese nel sistema coloniale francese. E a ricordare il ruolo delle missioni nel programma di civilizzazione del colonialismo furono costruite due chiese una protestante e una cattolica. Anche qui, come a Milano per l’acquario, un edificio fu costruito per durare: il Palais de la Porte Dorée che avrebbe poi ospitato il Museo delle arti dell’Africa e dell’Oceania per diventare infine l’attuale Cité nationale della storia dell’immigrazione, situato a est di Parigi e aperto al pubblico nel 2007. 8 La sinistra attaccò l’expo su “L’Humanité” con una dura requisitoria sui suoi significati, invitando a non visitarlo e a visitare invece la contro-esposizione organizzata in una sede del sindacato. Con la crisi mondiale del 1929 iniziarono gli anni bui della Grande Depressione, tanto che, per infondere allegria e speranza nel futuro, gli Stati Uniti decisero di organizzare l’expo di Chicago del 1933. Il giorno dell’inaugurazione il presidente Franklin Delano Roosvelt non era presente e il suo discorso fu letto. La crisi lo aveva costretto nel suo ufficio, sempre al lavoro con la speranza che la depressione potesse venir superata grazie al progresso della scienza. Le difficoltà indotte dalla crisi sconsigliarono a molti governi di affrontare il costo finanziario di partecipare all’expo. Non fu così per l’Italia che decise di impegnare il meglio delle sue forze per mostrare che gli italiani erano non solo artisti, ma anche scienziati. L’aviazione fu il fulcro della fiera: in cielo si svolsero competizioni ed esibizioni aree di ogni tipo. Molto ammirati le evoluzioni dell’aereonautica italiana di Italo Balbo A monito di un futuro tutt’altro che allegro stavano però le svastiche del dirigibile tedesco Zeppelin e l’assenza dell’Unione sovietica. Le minacce che si avvicinavano per il mondo furono ancora più tangibili all’expo di Parigi del 1937. Questa esposizione fu infatti l’ultimo atto del rituale della pace e del progresso prima del disastro. Si credeva ancora nella pace, nel progresso e nella cooperazione universale, e però nello stesso tempo si risentiva dei tempi ansiosi degli anni Trenta. Il tema fu Expo internationale des arts et techniques dans la vie moderne, ma in realtà il motto era: lotta alla disoccupazione. Molte cose erano cambiate riguardo all’industria: nessuno mostrava più i processi di produzione, ma tutto veniva tenuto segreto. La scienza e la tecnica avevano definitivamente cessato di essere valori assoluti e venivano guardati per la loro utilità sociale. I padiglioni dominanti furono quelli della Germania e dell’Unione Sovietica che si fronteggiavano l’un l’altro. In una posizione infelice si trovava invece il piccolo padiglione repubblicano spagnolo. Quando l’expo era stata decisa la Spagna era ancora una repubblica, mentre poco prima dell’apertura dell’expo Guernìca aveva ricevuto le bombe tedesche e italiane. Il padiglione era opera dell’architetto Josep Luis Sert, rifugiatosi a Parigi per sfuggire alla guerra civile, e ospitava il dipinto Guernica di Picasso, eseguito appena dopo i bombardamenti. Guernica, che Picasso non volle andasse in Spagna prima della fine della dittatura di Franco, fu ospitato al Moma di New York dove rimase fino alla morte di Franco (1975). Oggi è esposto al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid. L’Italia fu presente con l’illustrazione delle realizzazioni fasciste: Sabaudia, l’Agro Pontino, lo sbarramento del Tirso in Sardegna, il processo di elettrificazione. Alla città rimase il nuovo palazzo di Chaillot di fronte alla Tour Eiffel, che ospita oggi il Musée de l’homme, il Musée de la Marine e la Cité de l’Architecture et du Patrimoine. Torniamo ora in Italia, a Roma, per l’expo che,prevista per il 1941 e rimandata al 1942, non ebbe luogo. Nel 1935 la delegazione italiana presso il Bureau International des Expositions aveva chiesto di poter organizzare un’expo a Roma nel 1941. Il progetto recitava: “Il sito sarà di insuperabile valore scenografico e pratico. Ogni nazione potrà costruire i suoi palazzi e i suoi padiglioni in modo tale da permettere ai visitatori un viaggio istruttivo intorno alla 9 terra”. L’idea era di fare una esposizione fuori della città, su un terreno da recuperare, tra Roma e il mare, il polo dell’espansione a sud ovest della città. Si voleva il primato della vastità e un’esposizione non effimera, bensì duratura. Questo progetto di esposizione durevole verrà ripreso dopo la Seconda guerra mondiale: in particolare nelle esposizioni di Genova, 1992; Lisbona, 1998; Shangai, 2005, che saranno occasioni di grandi interventi urbanistici. Ottenuta l’autorizzazione, Mussolini si incontrò con gli architetti Marcello Piacentini, Adalberto Libera, Ettore Rossi e Luigi Vietti per affidare loro la realizzazione del progetto. I lavori procedettero a ritmo sostenuto, ma non sufficiente, tanto che l’expo venne spostata al 1942, e infine sospesa per la guerra. L’area interessata prese il nome di EUR e agli edifici costruiti se ne aggiunsero altri dopo la guerra. Attualmente è zona residenziale e sede di uffici pubblici e privati, tra cui il Ministero della Salute, quello delle Comunicazioni, quello dell’Ambiente, la Confindustria, la sede centrale dell’Eni e quella delle Poste Italiane. L’EUR oggi. Situazione incerta, al pari di quella dell’Expo di Roma, sembrò avere l’Expo di Bruxelles che avrebbe dovuto tenersi nel 1955, ma che fu spostata al 1958 a causa della Guerra di Corea e della prima fase della Guerra fredda. Tema dominante dell’expo fu l’energia atomica, l’energia che, utilizzata contro il Giappone in guerra, avrebbe dovuto diventare energia di pace. Era un’illusione che durò qualche decennio (atom for peace, atomo per la produzione, per uso economico, produttivo), illusione che portò alla costruzione di centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, inizialmente e soprattutto negli Stati Uniti, in Unione Sovietica, nel Regno Unito e in Francia. Una forma energetica molto discussa fin L’Atomium, simbolo dell’Expo di Bruxelles, 1958 dall’inizio e ancor più oggi, 10 dopo i gravi incidenti di Cernòbyl del 1986 nel nord dell’attuale Ucraina (allora Unione Sovietica) e di Fukushima del 2011. Una forma energetica di cui si dichiarava l’uso pacifico, mentre la guerra fredda, che non era certo finita, alimentava gli arsenali nucleari bellici. Si fece di tutto per separare l’idea dell’atomo di guerra da quella dell’atomo di pace. Germania, Giappone e Italia furono ammessi all’expo con piccoli padiglioni, ben lontani dalla grandezza hitleriana e mussoliniana di quelli di Parigi. Vale la pena ora di soffermarsi su un’expo, apparentemente secondaria, ma di grande interesse: quella di Spokane, 1974. Fu la prima che abbia avuto per tema l’ambiente. Era uscito due anni prima il Rapporto dell’MIT per il Club di Roma, I limiti dello sviluppo, che prevedeva un declino per l’umanità entro cento anni nel caso in cui non fossero stati ridimensionati tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento e delle risorse. E nello stesso 1972 le Nazioni Unite avevano decretato il 5 giugno giornata mondiale dell’ambiente. Si tenga presente che la decisione della cittadina di Spokane di tenere l’expo era stata presa prima dell’uscita del volume dell’MIT e che fu il comune di Spokane, nel corso della dei lavori preparatori per l’expo, a sospingere le Nazioni Unite a decretare il 5 giugno giorno dell’ambiente. L’Expo di Spokane dunque si pose all’avanguardia per quanto concerne le questioni ambientali. Aggiungo ancora che lo studio del Club Emblema del Club di Roma che di Roma è stato aggiornato nel 2004 da commissionò al MIT il rapporto sui Donella e Denis Meadows che ne hanno limiti dello sviluppo, pubblicato nel 1972 confermato le previsioni, mettendo inparticolare risalto il degrado ambientale e la finitezza delle risorse. L’expo si tenne sulle rive del fiume Spokane che era stato disinquinato allo scopo. Nel corso dei numerosi congressi sull’ambiente che ebbero luogo fu messa per la prima volta in discussione la concezione, fino ad allora predominante, che bigger is better. I temi ambientali furono ripresi all’Expo di Okinawa (1975) che fu organizzata per la difesa del mare e della fauna marina e nello stesso tempo per ricordare la riconsegna dell’isola di Okinawa al Giappone da parte degli americani (1972), restituzione che avrebbe dovuto placare l’inimicizia tra i due paesi, inimicizia che invece durò ancora a lungo (vediamo così come le questioni legate alla Seconda guerra mondiale continuavano ad agitare il mondo, e come intanto si affacciassero, e non certo timidamente, quelle dell’ambiente e della finitezza delle risorse). Come si può immaginare i padiglioni dell’expo furono un susseguirsi di fauna marina, navi, barche, scienza e tecnologia. Il successo maggiore lo ebbe Aquapolis, la futura città sul mare, la più grande struttura galleggiante del mondo. 11 Aquapolis, la città sul mare, costruita per l’Expo di Okinawa, 1975 I numerosi congressi, ormai diventati un’abitudine delle expo, sottolinearono la necessità di una politica equilibrata per la conservazione dell’Oceano. È rimasto un museo oceanico che mostra la vita degli abitanti delle isole del Pacifico, mentre la città galleggiante rimase aperta fino al 1993 e poi venduta a una azienda di rottamazione. I temi dell’ambiente non furono invece i principali a Genova, 1992 sebbene ormai fossero questione largamente dibattuta in tutto il mondo: si pensi al Rapporto Brundtland (dal nome della signora norvegese Gro Brundtland presidente della Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo). Il rapporto, pubblicato nel 1987, è noto anche con il titolo Our common future e in esso venne per la prima volta formulato il concetto di sviluppo sostenibile, ossia un concetto relativo non solo all’ambiente ma anche, meglio soprattutto ai rapporti tra uomini e ambienti. Il concetto di sviluppo sostenibile mette in luce un significativo principio etico: la responsabilità delle generazioni di oggi nei confronti di quelle future, toccando quindi almeno due aspetti dell’ecosostenibilità: il mantenimento delle risorse e l’equilibrio ambientale. E ancora ricordo che il 1992 fu l’anno del Summit di Rio de Janeiro, la prima Conferenza mondiale dei capi di stato sull’ambiente. Rio siglò un accordo sul cambiamento climatico che portò, a sua volta, alla stesura del Protocollo di Kyoto, sottoscritto nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005: Tra i paesi non aderenti figurano gli Stati Uniti, mentre Cina e India hanno ratificato il Protocollo ma non sono tenute a diminuire le emissioni di CO2. Genova fu soprattutto la 12 celebrazione del cinquecentenario della scoperta dell’America, anche se portava un messaggio ambientale: proteggere le acque del mondo. Tutti i paesi esposero imbarcazioni o modelli di imbarcazioni, antiche carte nautiche, sottomarini. L’expo si svolse al Porto antico e permise la ristrutturazione della zona e della parte retrostante, su progetto dell’architetto genovese Renzo Piano. Le due principali attrazioni furono l’acquario e il grande bigo (bigo è il nome della gru utilizzata per il carico e lo scarico delle merci nel porto di Genova), inteso con una duplice funzione: da un lato di immagine e dall’altro strutturale (sostiene il tendone della piazza delle feste situata nelle vicinanze). Il recupero dell’area è poi continuato negli anni seguenti e nel porto si è aggiunta la cosiddetta Biosfera, una struttura a forma sferica situata accanto all’acquario contenente un ecosistema tropicale. Dopo i primi esperimenti fallimentari, oggi è funzionante. Un’altra expo in occasione del cinquecentenario della scoperta dell’America si tenne a Siviglia. Alle questioni ambientali tornò a rivolgersi l’Expo di Lisbona, 1998 che toccò, al pari di quello di Genova, 1992, anche la risistemazione di parte della città e la costruzione di molte infrastrutture. Il sito fu scelto nella zona orientale di Lisbona. Rappresentò un passaggio dall’uso del territorio a scopo industriale a quello residenziale e ricreativo. La concezione di effimero che, come abbiamo visto, aveva dominato a lungo nelle expo precedenti venne qui sostituita da quella della stabilità. Il tema ufficiale era: un patrimonio per il futuro, con lo scopo di celebrare gli oceani nel mondo, e però anche il ruolo storico del Portogallo nell’età delle scoperte e l’arrivo in India di Vasco da Gama. Molte delle infrastrutture costruite per l’expo sono state riconvertite. L’area utilizzata ha assunto il nome di Parco delle Nazioni, all’interno del quale è stato costruito un parco fieristico internazionale. Rimasto è l’Oceanario formato da 5 ambienti marini (i 5 oceani), così come la Torre di Vasco da Gama e infine un complesso di reti di trasporto. Queste strutture hanno modificato la città dotandola di un profilo più internazionale e avvicinandola al mercato globale, rispecchiando così un nuovo aspetto del mondo moderno: quello della globalizzazione. Seguì l’Expo di Hannover, 2000 dove venne proposto più di un tema. L’expo fu organizzato per festeggiare la riunificazione della Germania e il nuovo millennio con temi comuni a tutto il pianeta: genere umano, natura, tecnologia, un nuovo mondo che sorge. La cornice fu l’Agenda 21 di Rio che, ricordo, costituisce ancora oggi la base per quello sviluppo sostenibile a cui si è accennato sopra, da attuarsi nel corso XXI secolo, appunto. Furono inviatati tutti i paesi e furono stanziati finanziamenti cospicui perché tutti potessero partecipare. I padiglioni, in carta, cartone e legno, erano interamente ecosostenibili, ma il numero dei visitatori fu molto inferiore al previsto. Si presume che il motivo vada ricercato nel fatto che Hannover non fosse una città attraente, che i temi 13 proposti fissero troppo complessi e inoltre che non fosse stato svolto un lavoro sufficientemente accurato di comunicazione e di pubblicità. Molto maggior successo ebbe l’Expo di Aichi, 2005: si aspettavano 15 milioni di visitatori, ne vennero 22 milioni, tra i quali moltissimi giapponesi. Il tema scelto era formulato in modo più semplice di quello di Hannover: “la saggezza della natura”. Fu un’expo verde, all’insegna del ridurre, riusare, riciclare. Le attività organizzate furono tutte ambientali e globali e diedero la conferma definitiva dell’importanza del Giappone in Oriente. Questo da un lato: dall’altro si facevano notare per la loro mole i due padiglioni del gruppo Toyota e del gas che si ponevano in contraddizione con il tema verde proposto. Restiamo in Oriente con l’Expo di Shangai, 2010. Si tratta dell’expo che precede quello che si terrà a Milano nel 2015. Anche a Shangai, come ad Aichi, il tema venne formulato in modo semplice: better city better life, ovvero migliorare la qualità della vita in ambito urbano. L’intento era di discutere del problema della pianificazione urbana e dello sviluppo sostenibile nelle nuove aree cittadine, nonché quello del come effettuare le riqualificazioni nel tessuto urbano esistente. La tematica partiva dal presupposto che dal secolo scorso ad oggi la popolazione che vive nelle città è aumentata dal 5% a più del 50%. Alcuni padiglioni particolarmente attraenti furono quello degli Emirati arabi, le cui forme curvilinee riprendevano le dune del deserto; quello del Regno Unito fatto di migliaia di fili acrilici trasparenti che di giorno incanalavano la luce verso l’interno, e di notte verso l’esterno; e quello italiano costruito in cemento trasparente. Sottolineo ancora la linearità e la semplicità del tema di Shangai al fine di mettere in evidenza la duplicità e la complessità di quello di Expo 2015 Milano: nutrire il pianetaenergia per la vita. Esso si propone di includere tutto ciò che riguarda l’alimentazione e l’energia, dal problema della mancanza di cibo per alcune zone del mondo, a quello dello sfruttamento delle risorse naturali e dell’inquinamento dei suoli e dell’acqua, a quello dell’educazione alimentare, fino alle tematiche legate agli ogm, alla finitezza delle risorse fossili, ai rischi del nucleare, alla ricerca nel settore delle energie rinnovabili. Forse troppo? Vedremo. 14 Il logo di Expo Milano, 2015sullo sfondo del Duomo 15 Bibliografia Aimone Linda e Olmo Carlo, Le esposizioni universali. 1851-1900 il progresso in scena, Torino, Allemandi, [1990] Allwood John, The Great Exhibitions, London, Studio Vista, 1977 Bureau International des Expositions (BIE) Dall’Osso Riccardo, Expo da Londra 1851 a Shangai 2015, Milano, La Rovere, 2008 Expo x Expo Comunicare la modernità Le Esposizioni Universali 1851-2010 Findling John (ed.), Historical Dictionary of World’s Fairs and Expositions, N.Y., Greenwood Press, 1990 Fusina Sandro, Expo: le esposizioni universali da Londra 1851 a Roma 1942, Milano, Il Foglio, 2011 Luckhurst Kenneth William, The Story of Exhibitions, N.Y., Studio Publications, 1951 Massidda Luca, Atlante delle grandi esposizioni universali: storia e geografia del medium espositivo, Milano, FrancoAngeli, 2011 May Trevor, Great Exhibitions, Oxford, Shire, 2010 www.expo2015.org/it/cos-e/lastoria/il-bie-e-le-esposizioni-universali www.expo.rai.it/storia-expo www.musee-orsay.fr/en/.../universal-exhibitions.ht www.uzexpocentre.uz/index.php?...3 Fonti delle figure Figure 1, 2, 3, 4, 5, , 6, 8: en.wikipedia.org (Commons) Figure 7, 9: it.wikipedia.org (Commons) Grafica, impaginazione e ricerca iconografica a cura di Vincenza Petrilli (Archivio di Stato di Milano) 16