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1
30
EDITORIALE
Questo numero si apre con un omaggio a Emmanuel
Levinas a un anno dalla sua scomparsa. Numerosi
convegni e pubblicazioni a lui dedicati nel corso del
1996 hanno riportato in piena luce il senso profondo
dell’eredità di pensiero che ci proviene dalla sua opera
e, fortemente connessa ad essa, dalla sua vicenda biografica nel suo intreccio con la tradizione ebraica.
“Primato dell’etica” è il monito e insieme il programma di pensiero a cui Levinas dedica tutto il suo sforzo
intellettuale e tutta la sua passione morale e civile.
Uno sforzo e una passione che si concentrano e si
distendono teoreticamente nel definire un ambito di
riflessione e lavoro filosofico, che pur non lasciandosi costringere nei limiti della pura teoresi si pone
come critica dell’ontologia, ricerca di un rinnovato
senso dell’essere, della sua giustificazione oltre la
sua garanzia, e in questo trae origine e alimento
insostituibile dal costante riferimento alla memoria
storica, dalla volontà ostinata di non dimenticare che
«il disumano non cessa di ritornare».
Raccogliendo questo spunto, lo stesso che ha diretto
il lavoro di raccolta dei materiali qui presentati,
proponiamo di seguito un brano significativo, tratto
da uno scritto di Levinas, “Étique comme philosophie
première” (1982; trad. it. di F. Ciaramelli, Etica
come filosofia prima, in Etica come filosofia prima,
Guerini e Associati, Milano 1989, p. 58 sg.)
può pure confessarsi io detestabile. L’io è la crisi stessa
dell’essere dell’essente nell’umano. Crisi dell’essere,
non perché il senso di questo verbo debba ancora venir
compreso nel suo segreto semantico e faccia appello
all’ontologia, ma poiché proprio io già mi chiedo se il
mio essere è giustificato, se il Da del mio Dasein non è
già l’usurpazione del posto di qualcun altro. Domanda
che non aspetta una risposta teorica, domanda che non è
una richiesta d’informazioni. Domanda che fa appello
alla responsabilità, la quale non è un ripiego pratico che
dovrebbe addolcire lo scacco del sapere incapace di
eguagliare l’essere. Responsabilità che non è l’essere
sprovvisti del sapere della comprensione e della presa
(prise), ma l’eccellenza della prossimità etica nella sua
socialità, nel suo amore senza concupiscenza. L’umano
è il ritorno all’interiorità della coscienza non-intenzionale, alla «cattiva coscienza», alla sua possibilità di temere
l’ingiustizia più della morte, di preferire l’ingiustizia
subita all’ingiustizia commessa e ciò che giustifica l’essere a ciò che lo garantisce.
Essere o non essere - è proprio questo il problema? È
questa la prima e l’ultima questione? L’essere umano
consiste davvero nello sforzarsi d’essere e la comprensione del senso dell’essere - la semantica del verbo essere
- è davvero la prima filosofia che s’impone a una coscienza, la quale sarebbe fin dall’inizio sapere e rappresentazione, e manterrebbe la propria baldanza nell’essereper-la-morte, si affermerebbe come lucidità di un pensiero che pensa sino alla fine, sino alla morte e persino nella
sua finitudine - già o ancora buona e sana coscienza che
non s’interroga sul suo diritto d’essere - sarebbe o angosciata o eroica nella precarietà della sua finitudine? Forse
che, invece, la prima questione non è sollevata dalla
cattiva coscienza? La cattiva coscienza - instabilità diversa da quella con cui mi minacciano la mia morte e la
mia sofferenza - pone la questione del mio diritto all’essere che è già la mia responsabilità per la morte di altri,
interrompendo la spontaneità, senza circospezione, della
mia ingenua perseveranza. Il diritto all’essere e la legittimità di tale diritto non si riferiscono in fin dei conti
all’astrattezza delle regole universali della Legge, ma in
ultima analisi, alla stregua di questa stessa legge e della
giustizia, al per l’altro della mia non-indifferenza alla
morte alla quale-oltre la mia fine - s’espone nella sua
stessa dirittura il volto altrui. Che mi guardi (regarde) o
meno, esso mi riguarda (regarde). Questione in cui
l’essere e la vita si destano all’umano. Questione del
senso dell’essere - non l’ontologia della comprensione di
questo verbo straordinario, ma l’etica della sua giustizia.
Questione per eccellenza o la questione della filosofia.
Non già: perché l’essere anziché nulla, ma in che modo
l’essere si giustifica.
L’umano dietro la perseveranza nell’essere! Così, dietro
l’affermazione dell’essere che analiticamente, o animalmente, persiste nel suo essere e in cui il vigore ideale
dell’identità che s’identifica e s’afferma e si consolida
nella vita degl’individui umani e nella loro lotta vitale cosciente o inconscia o razionale - per l’esistenza, dietro
tutto ciò la meraviglia dell’io rivendicato dal volto del
prossimo - o la meraviglia dell’io che si sbarazza di sé e
teme per l’altro - funge quasi da sospensione - da epoché
- dell’eterno e irreversibile ritorno a sé dell’identico e
dell’intangibilità del suo privilegio logico e ontologico.
Sospensione della sua priorità ideale, negatrice di ogni
alterità mediante l’assassinio o mediante il pensiero che
incorpora a sé e totalizza. Sospensione della guerra e
della politica che si spacciano per relazione del Medesimo all’Altro. Nella deposizione da parte dell’io della
sua sovranità di io, nella sua modalità di io detestabile,
significa l’etica e forse anche la spiritualità stessa
dell’anima, ma certamente la questione del senso
dell’essere, cioè il suo appello alla giustificazione. L’etica - come filosofia prima - significa attraverso l’ambiguità dell’identico che si dice io all’apice della sua
identità incondizionata e anche logicamente indiscernibile, autonomia superiore a qualunque criterio; ma che
proprio ora, all’apice della sua incondizionata identità,
2
SOMMARIO
5
PROFILO
47 Il caso Lyssenko
5
Attualità di Levinas
47 Filosofia araba
50 Attraverso l’opera di Wittgenstein
17 SCHEDA
51 L’unità del pensiero di Schleiermacher
17 Hegel e Dilthey a Bochum
52 NOTIZIARIO
21 AUTORI E IDEE
21 Ricoeur: etica del Sé e dell’Altro
55 CONVEGNI E SEMINARI
22 Su Hannah Arendt
55 Sulla condizione contemporanea
23 Riflessioni filosofiche in onore di Pala
56 La conoscenza delle religioni
23 Le origini della teologia dialettica di Barth
56 L’argomento del sogno negli scettici
24 Possibilità della metafisica
56 Etica e ambiente
25 Logica, estetica, antropologia filosofica
57 Hegel e l’estetica
26 Saggi di filosofia morale
57 Pensare Dio tra teologia e filosofia
27 Dialogo sulla morale tra Oriente e Occidente
58 Fenomenologia della vita
28 Filosofia e scrittura: le pratiche e i saperi
59 Etica e medicina
29 Rappresentanza, giustizia, potere
59 La “storia nascosta”: tra mito e realtà
30 La questione dell’essere in Heidegger
61 ‘Verità e metodo 2’
62 Cristianesimo e redenzione
31 TENDENZE E DIBATTITI
63 Dio nella teologia del Novecento
31 Identità della filosofia tedesca
63 Storia filosofica del razzismo
31 Attualità di Croce
64 Sull’intelletto
32 Storia e attualità della medicina
65 Il pensiero politico nel Seicento
34 Filosofia della liberazione
66 Memoria, oblio, perdono
35 Riflessioni sulla modernità
68 Dai presocratici a Platone
35 Controversie sulla ragione
69 La scuola hegeliana
36 Wittgenstein in Francia
69 Sulla questione del metodo
37 Materia signata e materia segnica
70 CALENDARIO
39 PROSPETTIVE DI RICERCA
39 Kierkegaard negli Stati Uniti
74 DIDATTICA
40 Alle origini del pensiero di Herder
75 Dizionario di filosofia
40 Passato e futuro della psicoanalisi
76 STUDIO
41 Elogio della filosofia francese
76 Leggere la “Critica della ragion pura”
41 Nuove edizioni di Josef König
76 La linguistica del Novecento
42 Etica e tradizione ebraica in Spinoza
77 Differenti significati del positivismo
42 Sulla pittura e lo spettacolo
43 L’opera filosofica di Alan Donagan
78 RASSEGNA DELLE RIVISTE
44 Ontologia, etica e politica in Jankélévitch
45 Il pensiero nomade di Deleuze
85 NOVITÀ IN LIBRERIA
46 Benjamin da giovane
3
PROFILO
Emmanuel Levinas
4
PROFILO
Organizzata dal
Centro Studi filosofico-religiosi
“Luigi Pareyson”, il 10 giugno 1996 si è tenuta a Torino una
giornata di studi
dedicataa“L’ereditàdiEmmanuel
Levinas”, ad un
anno dalla scomparsa del filosofo, avvenuta il
25 dicembre 1995. Il convegno ha avuto il
merito di cogliere, riconoscere e arricchire
le verità della filosofia levinasiana, sollecitandole, animandole e aprendole al nuovo,
attraverso corrispondenze ed echi che hanno portato in primo piano un orizzonte
ancora coinvolto nella crisi della metafisica. Se, in questo orizzonte, la filosofia di
Emmanuel Levinas ha saputo testimoniare la possibilità di attribuire ancora un carattere di assolutezza all’etica, il convegno torinese ha inteso sviluppare questa possibilità nelle
sue svariate valenze.
Nel suo intervento Fabio Ciaramelli ha “misurato” la relazione etica sulla radicale temporalità dell’essere. In Levinas
il tempo trova il suo senso non
in un nostalgico movimento a
ritroso verso un’eternità immobile di un passato ormai dimenticato, ma nel dispiegarsi stesso
della vita, di una vita protesa al
cambiamento e alla novità. In
questo tempo, che identifica e
caratterizza la concretezza della situazione umana, si manifesta e si attua la relazione del
soggetto con l’altro. In questo
tempo, che muove l’esistenza
attraverso l’attesa e il desiderio, l’alterità dell’altro, il suo
apparire e il desiderio di coglierla confermano la direzione, nonché
il carattere (irrecuperabile) del tempo e
dell’esistenza medesimi.
Ma chi è l’altro? A questa domanda ha
risposto Pier Aldo Rovatti, sottolineando
come la dimensione fenomenologica del
pensiero di Levinas comprenda, fors’anche esiga, un momento pratico, che identifica la prospettiva etica levinasiana: nell’incontro con l’altro occorre abbandonare
il chiuso meccanismo identificatorio, trattenendo gli affanni (e la violenza) di una
assimilazione senza, per altro, soddisfazione. La scoperta dell’altro, non traducibile
né consumabile in un atto del conoscere, ha
osservato Rovatti, richiede una grande fatica etica, poiché esige la sospensione di sé
a vantaggio dell’alterità: nella relazione
col volto altrui si realizza un legame che
custodisce l’assolutezza di coloro che si
incontrano. Pertanto, se la necessità di porre e di garantire una relazione che non
comporti il sacrificio dei termini definisce
Attualità
di Levinas:
i convegni
di Torino, Parigi,
Genova
la “separazione etica”, sarà ancora la necessità di mantenere la separazione nel
legame a esprimere la modalità autentica di
ogni relazione. Su questa tematica è intervenuto anche Adriano Fabris con alcune
annotazioni sul linguaggio come luogo in
cui il legame e la totalità creati dalla parola,
lontani dal dettare una supremazia, non
annullano il senso profondo delle differenze. Della presenza di questo senso di
separatezza nel pensiero di Levinas Fabris ha dato ulteriore testimonianza, soffermandosi sulla vicenda ebraica: qui,
come in ogni altra comune esperienza
etica, si racchiude la sfida di un messaggio, come quello levinasiano, che vuol
valere universalmente, senza dissolvere
le specificità e le particolarità.
Richiamando l’interesse sulla significazione della trascendenza, Ferdinando Marcolungo si è soffermato sulla possibilità,
Attualità
di
Levinas
intervengono
Fabio Ciaramelli,
Adriano Fabris,
Giovanni Ferretti,
Sergio Moravia,
Bruno Moroncini
a cura di Riccardo Ruschi
implicita nell’etica Levinasiana, di poter in
qualche modo individuare il prodursi e il
darsi della trascendenza. Questa mediazione fenomenologica compiuta dall’etica intende mostrare come la trascendenza sia
fonte di intelligibilità e non porsi come
l’atto di un soggetto che risponde ad un
dover essere. L’etica infatti, ha spiegato
Silvano Petrosino nel suo intervento, non
riguarda il dover essere ma l’essere; un
essere che, per riconoscersi libero e per
liberare l’etica stessa da ogni mistificante
forma di ipostatizzazione, deve testimoniare della sua unicità, cosicché, la precarietà assoluta dei suoi atti e la sua meravigliosa eccedenza, espressione della soggettività in quanto unicità, divengono l’orizzonte dell’accadere etico. L’uomo, al contempo solo e con l’altro, è chiamato a
cercare un senso e un contenuto al proprio
vivere e agire; qui si rivela l’essenza destinale dell’uomo in quanto soggetto singolo
e insieme soggetto che vive con gli altri.
5
Questa storia giustificatoria, che Sergio
Moravia ha sciolto nel suo intervento dalle
maglie levinasiane, è la stessa che Levinas
intende attribuire all’essere; l’essere infatti
non si propone in un’evidenza che non
soffre e che non sente, ma come realtà
spirituale che sente il bisogno di impegnarsi in un compito. L’uomo dunque, così
come l’essere, si realizza in maniera etica
poiché, sentendo propria la vocazione a
interrogarsi e a mettersi alla prova, cerca di
giustificarsi.
Quella di Levinas è dunque una filosofia
che recupera tutta la ricchezza della vita,
fondando l’etica sull’alterità dell’altro, del
singolo altro. È infatti il volto dell’altro a
interpellare il soggetto, a farlo sentire fin
dall’inizio responsabile, cioè scelto dal
bene, prima che abbia la possibilità di sceglierlo. Per il primato dell’etica, ogni singolo soggetto si trova già nella condizione
di avvertire la responsabilità per
l’altro. Non bisogna però interpretare tale richiesta di responsabilità con l’imperativo di una
mentalità sacrificale. La scelta
sarà libera: impossibile imporre l’altro, il bene o la trascendenza. In questo, ha sottolineato Giovanni Ferretti,
l’opera di Levinas vuole essere un invito, accogliendo e
traducendo quella verità soltanto accennata. La risalita
verso l’orizzonte etico è infatti difficile e rischiosa, poiché l’orizzonte etico e le sue
verità si offrono unicamente
come traccia ed enigma, mai
come fenomeno o come principio. S.N.
Il 7 e l’8 dicembre 1996, presso
l’Università di Parigi I “La Sorbonne”, il Collège International
de Philosophie di Parigi, in collaborazione con Danielle CohenLevinas, ha promosso due giornate di studio
sul tema: “Emmanuel Levinas: Visage et
Sinaï” (Emmanuel Levinas: volto e Sinaï). Il
convegno ha voluto essere un omaggio all’opera di Emmanuel Levinas, ponendo al
centro del dibattito il tema della responsabilità e dell’etica come filosofia prima.
A partire da opere come Totalità e infinito
(1961) e Altrimenti che essere o al di là
dell’essenza (1974), l’etica levinasiana pone
come concetto decisivo l’Altro, iscritto sul
“volto” dell’altro come luogo di “insonnia”, come esperienza concreta che destina
e ossessiona, che elimina le razionalità e le
certezze classiche e mantiene viva un’inquietudine fondamentale. L’etica, che fonda “l’umanesimo dell’altro uomo” come
alternativa alla metafisica, si ricollega
in Levinas alla “escatologia profetica
della Bibbia” e costituisce la posta di
una doppia e simultanea fedeltà ai Greci
e agli Ebrei. Se Levinas, infatti, respinge
l’etichetta di “pensatore ebreo” o di “pen-
PROFILO
satore” religioso, lo studio del Talmud
ha avuto sicuramente un ruolo in questo
suo spostamento del discorso filosofico
verso un’alterità assoluta, con il prevalere dell’etica sull’ontologia.
Aprendo la serie degli interventi, Jacques
Derrida, che in questi ultimi due anni sta
sviluppando una riflessione sui concetti di
ospitalità/ostilità proprio in riferimento alla
filosofia levinasiana, ha delineato la concezione etico-politica di Levinas in alcune
lezioni talmudiche (Nouvelles lectures talmudiques, Ed. de Minuit, Parigi 1996),
parlando di Sinaï come metonimia dell’ospitalità, come luogo offerto al popolo
eletto per essere accolto e per accogliere i
Comandamenti e il patto con Dio. Sinaï
anche, però, come frontiera tra la guerra e
la pace, tra Israele e le altre nazioni; come
luogo di fraternità, umanità e ospitalità
offerto allo straniero, che appare come il
“terzo”, l’“illeità” che si inserisce nel patto
privilegiato tra il popolo d’Israele e Dio, ed
esige dal primo la responsabilità per sé
come altro, ponendo la questione della giustizia. Il popolo eletto «non abita a casa
sua», ma è ospitato e per questo deve ospitare, essendo a sua volta ospite. Come
trascendenza e “volto” che viene accolto
da Israele e accoglie nella Terra promessa e nella Torah, Dio è il punto di partenza di una “pace eterna”, originaria, che si
rivela come promessa equivoca, “minacciata e minacciante”, che contiene in
sé la guerra come determinazione negativa immanente, come traccia testimoniale della sua originarietà.
In Levinas, dunque, ha sottolineato Derrida, il punto di partenza è la pace, è l’accoglimento del “volto” e della Legge, dello
straniero e dell’alterità, è ospitalità dell’Altro come fondamento dell’etica: una “pace
senza processo”, in cui l’immanenza della
negatività della guerra costituisce la “traccia” della promessa messianico-escatologica che dice che «lo stato di pace deve
essere istituito». Per Levinas, ha fatto notare Derrida, il sionismo ha il compito di
istituire lo Stato di David in quanto stato di
pace, perseguendo un principio che è al di
là di un pensiero puramente politico (inadeguato) e che “inventa la politica” partendo dall’etica e dalla Legge. Lo Stato d’Israele deve “vigilare”, nella promessa minacciata e minacciante della pace; deve essere
fautore di un diritto cosmopolitico e proteggere la Torah, che esige quella “Gerusalemme terrestre” che è il luogo immanente
della pace promessa e compiuta, di un’umanità della Torah, figura (secondo Derrida)
femminile di ospitalità e dimora, in cui ci
può essere una giustizia integrale.
In Politique après!, ha proseguito Derrida,
Levinas pone la situazione reale dello Stato
d’Israele in una visione della storia escatologica, fatta di interruzioni, in cui lo Stato
deve avere un ruolo di responsabilità assoluta ed essere dunque “ostaggio/ospite” di
colui che deve accogliere e ospitare (per es.
il popolo palestinese). La città messianica
dove ci sarà la pace, ha ribadito Derrida,
non è al di là della politica, ma entra nella
politica come elemento trascendente che
apre lo spazio politico stesso. Tra i due
ordini c’è uno iatus, una discontinuità, un
salto messianico a partire dal quale soltanto
può essere assunta una responsabilità per il
“terzo”. La pace supera il concetto del
puramente politico: occorre allora inventare un nuovo concetto, in cui si rappresenti
la capacità di accoglimento e la responsabilità assoluta; occorre cioè reinscrivere nello Stato ciò che è proprio dello Stato messianico. Nel Sinaï, secondo Levinas, è incorporato un messianesimo strutturale, e
nella rivelazione del Sinaï si significa il
“volto” come inquietante “interruzione”
messianica e non inizio, che appare senza
apparire e dà la Legge e il Comandamento
di non uccidere, da cui ha origine la pace.
Intervenendo su Dire et dédire (Dire e
disdire), Paul Ricoeur ha posto il problema del rapporto tra un “Detto”, proprio
dell’ontologia e dell’essere, e un “Dire”,
proprio dell’etica della responsabilità, come
interiorità e attività dei sensi, come sostituzione e relazione linguistica nella responsabilità per l’altro, da cui può derivare un
“Detto altrimenti”, che si riferisce ad un
“altrimenti che essere”.
La linguistica dell’ontologia, fondata sulla
semantica dell’enunciato e sulla pragmatica dell’enunciazione, ha portato, secondo
Ricoeur, ad una nominalizzazione di tutte
le forme del linguaggio e ad una “riduzione
all’identico”, che ha prodotto una predominanza dell’identità sulla differenza. Levinas cerca invece un’unità correlativa tra
Dire e Detto, per poter arrivare ad un “Detto altrimenti” dell’etica. Nella fase preoriginaria, l’Arché del Dire è qualcosa di
diacronico, è un’“alterità” che si perde nell’identità della predicazione (nel Detto)
come sincronizzazione “cattiva”, ma può
essere recuperata nella memoria, nella storia, nel racconto quali operazioni che sincronizzano questa diacronia attraverso “il
presente della presenza” che è prossimità
dell’Altro. Il pre-originario e pre-memorabile è diacronia refrattaria a ogni sincronizzazione, è tempo come dissociazione; ma è
insieme «tempo sincronizzabile della memoria e della storia», «memoria del rappresentabile» (la presenza di Autrui), e può
darsi in una sorta di contemporaneità in cui
c’è un recupero della “differenza” nella
prossimità. Secondo Ricoeur, in Levinas vi
è un passaggio dalla nominalizzazione del
Dire all’attività del Detto, una riduzione
del Detto al Dire che serve per l’interruzione, in cui si ha sostituzione (nella responsabilità per il prossimo) e ritorno del mondo
nel Dire, che in quanto “Dire altrimenti” è
“significazione del Detto”.
Nel “volto” come individuo, nell’individuo che si dice, ha rilevato Ricoeur, si pone
per Levinas il problema del rapporto tra la
soggettività e la trascendenza: il Dire della
soggettività, nella proposizione indirizzata
al prossimo come terzo che pone la que6
stione della giustizia, è un “Dire senza
Detto”, una demitizzazione del Detto in cui
non si riconosce l’essere, ma la presenza
del prossimo. Il Dire della responsabilità
che reclama giustizia diventa la “significazione del Detto”; l’entrata del “terzo” che
pone la questione della giustizia porta alla
separazione tra ideologia e verità e al Detto
come “Detto altrimenti”. Si produce così
una sincronizzazione altra rispetto alla sincronizzazione della predicazione ordinaria, punto di partenza per il discorso sul
prossimo e la prossimità, in cui ha luogo la
sostituzione e l’iperbole della “passività”
nei confronti d’Autrui.
Con una relazione dal titolo: “Quand le dire
revient de l’exil” (Quando il Dire ritorna
dall’esilio), in cui è emersa l’affinità tra la
struttura della lingua ebraica e il pensiero di
Levinas, Silvana Rabinovich ha affrontato il tema del Dire come linguaggio dell’etica di una soggettività in esilio, separata, per cui «il Dire si deve disdire». Il Dire
è linguaggio senza nome né proposizione,
interiorità diacronica, successione indefinita del presente, non indifferenza ad Altri
suscettibile di significazione, in cui la prossimità al “volto” istituisce il rapporto tra il
Dire e il Detto. L’esilio come Golà si rivolge all’esterno, da cui viene la Rivelazione
come appello a partire dall’esteriorità e
dall’esilio (Galuth) d’Autrui; e proprio in
questo incontro l’esilio della Golà - indicato nella Cabbala dalla lettera alef, che significa l’infinito, ciò che non può essere
detto e si rivela nella prossimità del Dire viene trasformato dall’infinito (l’alef) che
ha in sé in Redenzione.
Intervenendo su “Ce qui est du monde
futur” (Ciò che è proprio del mondo futuro), Pierre Bourez ha posto la questione
del rapporto in Levinas tra l’etica come
responsabilità e la redenzione messianica.
Il Messia, portatore dell’era della giustizia
in cui «i saggi potranno dedicarsi allo studio della Torah», arriverà quando lo si
aiuterà a venire (con l’impegno etico e il
ritorno a Dio); la sua venuta, che è imprevedibile (è irruzione), non eliminerà il “povero” e l’ingiustizia sociale, per cui si continuerà a porre il problema della responsabilità per l’altro uomo. Nel corso di una
storia messianica che ha visto Auschwitz e
l’annientamento del popolo d’Israele, bisogna, secondo Levinas, reinterrogare
«l’impotenza di Dio»; e di fronte ad un Dio
“fragile, impedito”, “addolorato e in esilio”, alla sua “contrazione” nella Creazione, bisogna opporre la questione della responsabilità radicale dell’uomo all’interno
di un impegno reciproco tra l’uomo e Dio.
Proprio in questo impegno, ha osservato
Bourez, si istituisce per Levinas un equilibrio tra Legge e Redenzione.
Nella sua relazione dal titolo: “Levinas,
Heidegger et la politique” Levinas, Heidegger e la politica), Giorgio Agamben ha
parlato di un’assunzione, nel Levinas che
si confronta con Heidegger in De l’evasion
(1935), dell’essere dell’uomo come pura
PROFILO
vita biologica (vita nuda), come eredità
biologica, il cui compito storico consisterebbe nell’aprire uno spazio politico in cui
la politica sia esposizione della consapevolezza dell’assenza di un ergon dell’uomo.
Invece Stéphàne Mosés, intervenendo con
la relazione “Au delà de la guerre: Rosenzweig e Levinas” (Al di là della guerra:
Rosenzweig e Levinas), vede in entrambi questi autori una meditazione sulla
guerra e una conseguente critica della
nozione di totalità, che nel primo porta
ad una dissidenza del Me rispetto a ogni
struttura di totalità (Stato, società, collettività), mentre nel secondo conduce
ad un ripensamento approfondito dell’idea di totalità e all’uscita da essa nella
nozione di rivelazione dell’esteriorità
del volto d’Autrui come traccia che appartiene al dominio dell’infinito. T.T.
Con il titolo significativo “Per un’etica
della memoria”, il 12 gennaio 1997, nella
sede di Palazzo Ducale, il Comune di Genova, in collaborazione con il centro culturale “Primo Levi”, l’Università di Roma
“La Sapienza” e l’Università di Genova, ha
dedicato a Emmanuel Levinas una giornata
di studi, presieduta da Flavio Baroncelli.
«Memoria, nel caso di Levinas» - ha commentato Paolo Vinci, introducendo i lavori
- «non significa tanto conservare il passato,
quanto rompere la definitività di ciò che è
avvenuto». Se la Bibbia, Puskin e Tolstoi
rappresentano le letture cardine, gli studi
condotti nelle Università di Strasburgo e di
Friburgo nel biennio 1928-29 e l’analisi
della fenomenologia di Husserl, ha precisato Vinci, costituiscono le esperienze di
partenza. Dal 1957 in poi, le letture talmudiche segnano invece un percorso, in cui
l’intera storia della filosofia viene riletta
attraverso l’ebraismo.
Ponendo l’accento sul tema dell’Alterità,
sul nodo dell’autrui e sul carattere dirompente dell’incontro con l’altro uomo, Vinci
ha rilevato come secondo Levinas l’aggiramento dell’Alterità sia compito abituale
dell’uomo adulto, impegnato nella costruzione autoconservativa della propria identità. In questo orizzonte, l’Altro cessa di
essere tale e viene sempre sottoposto ad un
rigido processo di identificazione. Nella
topografia dell’identità, simile per Levinas
al “sistema di cicatrici” di cui parla Adorno, risulta prioritario il ruolo del linguaggio, che consente il passaggio dall’immediatezza alla mediazione e nel dizionario
dei nomi permette la neutralizzazione del
soggetto e il controllo dell’Altro. Tuttavia,
ha dimostrato Vinci, per Levinas il linguaggio può riscattarsi nella dimensione
della responsabilità, secondo la specifica
accezione in cui il dire o la carezza (linguaggio della prossimità) vengono prima
del detto. Nel saggio dedicato a Paul Celan,
in Nomi propri (1975), Levinas paragona
la poesia ad una stretta di mano e, precedentemente, in Totalità e Infinito. Saggio
sull’esteriorità (1971), mostra come, nella
traccia della carezza, il soggetto che va
verso l’altro uomo si ricongiunga con se
stesso, affrancandosi dal peso dell’identità. Nel verso e nella carezza, il massimo di
vicinanza all’Altro, si delinea anche il massimo di trascendenza e di distanza, oltre la
logica dell’identificazione.
Proprio su “Etica come filosofia prima: la
sfida di Levinas alla tradizione filosofica”
si è sviluppato l’intervento di Francesco
Paolo Ciglia, che ha tuttavia ricordato come
l’esordio del pensiero di Levinas negli anni
Trenta non abbia preso le mosse dall’etica.
A partire da En découvrant l’existence avec
Husserl et Heidegger (Scoprendo l’esistenza con Husserl e Heidegger, 1949) sino
a Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, si sviluppa un percorso dal senso al nonsenso, dalla quiete rassicurante dell’ontologia all’inquietudine di una dimensione
preteoretica, colta nella tonalità del disumano e dell’orrore. Per Levinas, ha osservato Ciglia, il progetto da compiere è uscire
dall’Essere e andare oltre i confini della
soggettività, paradossalmente filtrata attraverso una serie di figure traumatiche,
anti-etiche per eccellenza, come l’Alterità
senza volto della Morte, l’Eros o l’impossibilità di fusione tra soggetti e il dissidio
della paternità. Dopo aver sferzato il solipsismo nei suoi tratti costituitivi, ciò che per
Levinas resta da realizzare è la costruzione
di una nuova etica, in cui la disuguaglianza
tra persone conduca alla responsabilità verso chi si trova in condizioni di indigenza o
di disparità.
La relazione di Benedetto Carucci sul
tema: “Le radici ebraiche dell’alterità” ha
messo in evidenza come il tentativo di
conciliare l’ebraismo, presunta religione
dell’unità, con il pensiero dell’Alterità di
Levinas rappresenti una falsa questione. Se
infatti si rilegge con attenzione tutta la
tradizione della cultura ebraica, non si può
non rilevare la costante presenza di relazioni duali, in cui i termini risultano irriducibili a ogni tentata sintesi o mediazione.
Dalle letture talmudiche di Levinas, appare
chiaro come la dimensione della scissione
e dell’alterità sia presente pure nella struttura fisica del tribunale ebraico, in cui un
giudice deve essere posto sempre di fronte
ad un altro giudice, nell’esercizio costante
dello sguardo. Nella mistica ebraica, il
mondo è “altro” rispetto a Dio, che si ritrae
per consentire l’esistenza dell’universo. Tra
uomo e Dio non c’è mai inglobamento o
sovrapposizione, ma costante risulta la tensione di uno spazio vuoto tra i due termini,
come Levinas tematizza in Totalità e Infinito. In questo contesto, la massima punizione per il soggetto consiste nell’essere
riassunto e ridotto a Dio. A confermare la
presenza della dualità, ha proseguito Carucci, la continua successione di discussioni nel Talmud è scandita dall’impossibilità
della mediazione. Sulla medesima lunghezza d’onda, Levinas riformula la tradizione
rabbinica, proponendo una dialettica nonhegeliana, in cui vive il contrasto tra due
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punti di vista, al di fuori di ogni fusione.
Sui nessi tra la tradizione ebraica e il pensiero di Levinas è intervenuto Franco Camera con la relazione “L’interpretazione
infinita: Levinas lettore del Talmud”, che
ha posto in primo piano il progetto levinasiano di tradurre il particolarismo ebraico
nel linguaggio universale di una filosofia
che si serve di concetti. Considerando il
Talmud come la fonte di cui tutte le filosofie si nutrono, Levinas risale dalle questioni rituali alla domanda filosofica fondamentale sul significato ultimo dell’uomo
nel mondo. In Quatres lectures talmudiques (Quattro letture talmudiche, 1968) e
in Du sacré au saint. Cinques nouvelles
lectures talmudiques (Dal sacro al santo.
Cinque nuove letture talmudiche, 1977),
sviluppando un terzo livello di interpretazione della Bibbia, che segue l’esegesi
Michna e l’interpretazione rabbinica, Levinas sostiene che se il testo talmudico è un
continuo combattimento intellettuale in cui
i soggetti sono ascoltati non per quello che
dicono ma per quello che fanno, anche
l’interpretazione del testo deve possedere i
caratteri di libertà, invenzione e audacia,
evitando le decodificazioni univoche e collocandosi in quel processo di traduzione
infinita che indica la trasmissione della
parola di Dio. In quest’ottica, il Talmud
diviene una sorta di Lebenswelt (mondo
della vita), universo di natura pre-filosofica, gamma di materiali dell’esperienza, su
cui si innesta la riflessione rigorosa.
A questa serie di relazioni hanno fatto
seguito alcune proposte interpretative sul
tema: “Filosofia della Morte come Filosofia della Vita”. Partendo da un’ampia ricognizione delle lezioni tenute da Levinas
alla Sorbona negli anni 1975-76, Raffaella
Di Castro ha dimostrato come per Levinas
la morte superi la logica binaria e consenta
una realizzazione del principio del terzo
escluso, in un processo in cui la vita continua nella morte e la morte è presente nella
vita. Di fronte a uomini ridotti a maschere
mortuarie e somiglianti ad animali impagliati, compito dell’etica come filosofia
prima è conservare alla morte il suo mistero, la sua energia dirompente, contro ogni
schema di assimilazione e di neutralizzazione del dolore.
“Pensare la morte a partire dal tempo: Levinas e Heidegger” è stato il percorso proposto da Paolo Vinci. Dal Fedone di Platone, prima grande trattazione del tema della
morte, al pensiero contemporaneo la filosofia, secondo Levinas, ha tentato di esorcizzare l’angoscia di fronte al non-senso
della morte con uno “stoicismo sublimante”. Procedendo oltre questa prospettiva,
Levinas intende superare anche quella dimensione che per Heidegger caratterizza
l’Essere-per-la morte di ogni soggetto. Non
dalla propria morte occorre partire, ma
dalla morte d’Altri, che ci lascia senza
risposta e che ci pone di fronte ad una nonesperienza più profonda di qualsiasi esperire, comunicandoci il linguaggio della re-
PROFILO
sponsabilità. L’unicità e l’insostituibilità to fin dagli anni Sessanta, Emmanuel Le- cui egli intendeva mostrare l’infondatezza
dell’Essere-per-la morte heideggeriano rap- vinas affida dunque la propria ultima ri- - l’impossibilità di essere prima - e la
presentano, secondo Levinas, una cattiva flessione. Già altre volte, parallelamente sterilità - l’incapacità di generare l’etica,
unicità, meccanismo che isola, tentando di alla pubblicazioni di opere maggiori, Levi- ovvero l’autentica relazione con l’Altro nel
esercitare «un potere su ciò che toglie ogni nas aveva dato forma scritta (Quatres lec- rispetto del suo mistero e della sua distanpotere». La morte di Altri, ha osservato Vinci, tures talmudiques, 1968; Du Sacré au sa- za. Di fatto, la riflessione di Levinas è
sollecitando la nostra responsabilità, sostituisce int, 1977; L’au-delà du verset, 1982; À venuta snodandosi attraverso una doppia
all’etica dello scambio biunivoco, che si fonda l’heure des nations, 1988) alle periodiche origine: la razionalità occidentale, la filosul dialogo, sul riconoscimento e sull’amore, la conferenze tenute presso il Collegio degli sofia, da una parte, e, dall’altra, la saggezza
visione della non-reciprocità, in cui l’Altro è intellettuali ebrei di Francia, di cui certa- ebraica, che nel Talmud, testo profetico per
“un fuori” e la tonalità dell’angoscia, ultimo mente era stato uno degli animatori più eccellenza, trova l’inesauribile materia di
conatus essendi, si tramuta nell’accettazione di vivaci. Alla necessità, particolarmente av- una perenne messa in discussione dell’egochi non può più parlare con noi. Criticando la vertita, di ricostruire, dopo la tragedia della logia in nome del carattere creaturale delconcezione del continuum temporale di Hei- Shoà, uno spirito e una cultura ebraiche, di l’umano. Proprio questo incontro tra Gredegger, Levinas propone la diacrocia e Gerusalemme, tra razionia, la discontinuità di una relazionalità occidentale e religiosità,
ne con ciò che “non è ancora”, in un
Levinas ha voluto mettere in
esplicito richiamo alle posizioni di
scena in queste sue ultime lettuErnst Bloch.
re talmudiche.
Dopo la relazione del rabbino
In esse viene innanzitutto posta
Amos Luzzatto, “La morte nella questione del rapporto tra
la tradizione ebraica”, il convegiudizio divino e giudizio umagno si è concluso con una tavola
no o, in altri termini, tra trarotonda su “Etica e responsabiliscendenza e immanenza. Qui,
tà nella società contemporanea”.
l’immanenza - l’ottimismo delAntonio Balletto, Flavio Baronla ragione, cifra della filosofia
celli, Franco Becchino e Giusepoccidentale ma anche del senso
pe Momigliano, oltre ad Adriacomune - viene radicalmente
no Sansa (sindaco di Genova),
ridimensionata dall’Etica, che
hanno discusso sulla distinzione
non è una regione dell’ontolotra etica laica ed etica dell’obbegia, ma il disinteresse di sé che
dienza. Dopo secoli di contrapnasce solo dal traumatismo del
posizioni, nell’epoca del postrapporto con l’Altro; d’altra
moderno, l’etica laica corre il
parte, l’alterità della trascenrischio di convertirsi in una sorta
denza non è intesa nel senso di
di etica della sottomissione, trauna divinità soprannaturale e
ducendo il principio di responsaonnipotente, ma come profetibilità nella voce rassicurante delle
smo (altrove tradotto con creanorme. Per questo, occorre rituralità), voce che richiama alla
partire da Levinas, che ha semresponsabilità assoluta verso
pre combattuto qualsiasi morale
l’Altro. Nel profetismo si racdell’obbedienza in favore di una
colgono i due termini del rappor“responsabilità terribile”, in cui
to - extra razionale ed extra filol’impegno del singolo per altri fa
sofico - con la trascendenza: l’alpaura e promette poche sodditerità dell’altro uomo - lo “strasfazioni. Contro le morali utilitaniero”, a cui devo tutto - e la
ristiche e i sistemi di negoziaziotradizione straniera del Talmud.
ne dell’agire (da Habermas a
Nell’incontro tra Grecia e GeRawls), il pensiero di Levinas
rusalemme, tuttavia, emerge
lancia una provocazione alla soanche la questione della dimencietà contemporanea: riproblesione del politico, spesso oscumatizzare l’etica, evitando di
rata nelle opere maggiori dalMarc Chagall, I cancelli del cimitero (part.,1917)
estinguere il conflitto e la soffel’accento sull’asimmetria della
renza. G.A.
relazione con l’Altro. Il riequiriannodare il filo di una tradizione straziata librio dell’asimmetria nel rapporto sociale
dall’olocausto, Levinas univa infatti la con- è affidato da Levinas al commento del
Pubblicate poco vinzione che, in particolare dopo il trauma dialogo, narrato nel Talmud, tra AlessanAttualità
dopo la morte, di Auschwitz, la tragedia del popolo ebrai- dro il Macedone, allievo di Aristotele e
di Levinas:
una serie di tre co dovesse assurgere a metafora dell’intera personificazione dello Stato, e i savi ebrei:
le pubblicazioni
un testo in cui riappare nella sua radicalità
Nouvelles lectu- condizione umana.
res talmudiques Nonostante il carattere in qualche modo l’argomentazione levinasiana contro la ti(Nuove letture esoterico di questi testi, che ne ha per un rannia di ogni dimensione sincronica - lo
talmudiche, Ed. certo tempo limitato la diffusione, proprio stato, la storia come potere anonimo, - e in
de Minuit, Parigi dal rapporto costante, anche se discreto e favore della democrazia come il minore dei
1996) raccolgo- improntato al massimo pudore, con la tra- mali a fronte dell’an-archia - assenza di
no scritti risalen- dizione ebraica, Levinas trae continua ispi- principio e di fondamento di un soggetto
ti, il primo, al razione, facendone la fonte e, diremmo, il che è sempre in ritardo su se stesso, perché
1974, gli altri due alla fine degli anni Ottanta. punto di vista a partire dal quale mettere fondato dal rapporto con l’Altro - di cui la
Al commentario al testo talmudico, genere alle strette quella razionalità, dominante legge ebraica è portatrice. È forse la radicadi scrittura tra l’orale e lo scritto, collauda- del mondo e del pensiero occidentale, di lità di un’obbligazione che genera solo
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PROFILO
un’obbligazione ulteriore, fino all’accettazione “inconfessabile” della morte per l’Altro; del rifiuto dello Stato in nome dell’unica autorità non revocabile, la Torah, che
conduce Levinas in queste “letture” a riflettere sulla discrezione, cui rivendica un
ruolo fondamentale nel delicato sviluppo
del pensiero, sensibile a ogni divulgazione
e volgarizzazione. K.B.
Con uno studio dal titolo: La filosofia di
Levinas. Alterità e trascendenza (Rosenberg & Sellier, Torino 1996), Giovanni
Ferretti ripercorre le opere principali di
Levinas, individuando il nucleo centrale
della sua filosofia nel duplice obiettivo di
difendere l’alterità dell’Altro e di recuperare il significato autentico della trascendenza dopo la crisi della metafisica “ontoteologica”. La proposta teorica di Levinas
di una fondazione non più ontologica ma
etica della metafisica rappresenta in tal
senso una terza via rispetto all’alternativa
tra la riabilitazione della concezione tradizionale della metafisica e la difesa della
concezione immanentistica, che ha raggiunto il suo apice nella teoria di Hegel.
La filosofia di Levinas, osserva Ferretti,
viene formandosi attraverso il confronto
con filosofi come Husserl e Heidegger. Pur
riconoscendo a Heidegger il merito di aver
affermato la priorità dell’«intenzionalità
ontologica della vita affettiva ed effettiva»
rispetto al primato dell’«intenzionalità del
pensiero teoretico» di Husserl, secondo
Levinas l’ontologia heideggeriana resta
tuttavia ancorata ad una visione totalizzante e onnicomprensiva dell’essere. Al termine “totalità” Levinas contrappone quello di
“infinito”, che implica la rottura della dimensione totalizzante attraverso l’irruzione nell’uomo della relazione etica con l’Altro. L’altro si presenta come “volto” che
emerge nella sua esteriorità assoluta, staccandosi dallo «sfondo anonimo dell’essere», per richiamare la responsabilità morale umana. Nell’ambito della concezione
etica levinasiana il concetto di trascendenza, rileva Ferretti, assume un significato
diverso da quello tradizionale, in quanto
viene situato oltre l’essere. Il volto dell’altro rappresenta infatti una traccia dell’infinito, in quanto indica una dimensione enigmatica che non può essere concettualizzata
secondo i parametri tradizionali ontologici.
Un ulteriore approfondimento di queste
tematiche è offerto dallo studio di Ferdinando Luigi Marcolungo, Etica e metafisica in Emmanuel Levinas (Istituto di propaganda libraria, Milano 1995), che mostra
come l’importanza della filosofia di Levinas sia dovuta alla riformulazione della
concezione della soggettività in rapporto
sia al pensiero moderno sia all’esistenzialismo contemporaneo. Per Levinas, infatti,
il soggetto non deve essere identificato
con la pura conoscenza, in quanto si
radica in quella sfera originaria dell’esperienza che può essere denominata “interiorità incarnata”. In questo, osserva
Marcolungo, l’intento principale di Levinas è quello di opporsi alla totalità
hegeliana, che assimila gli individui nell’impersonale e nel neutro, favorendo la
violenza e la guerra. Nella fenomenologia di Hegel predomina infatti «l’identità dell’identico e del non identico», mentre, secondo Levinas, l’alterità può essere rispettata solo nella negazione della
sintesi concettuale. M.Mi.
Ne Il testimone del circolo. Note sulla
filosofia di Levinas (Franco Angeli, Milano 1996) Carmelino Meazza mette ulteriormente in evidenza la critica radicale di
Levinas a quella tradizione di pensiero
occidentale che riduce l’esperienza a sapere teoretico e ad ansia metodologica, come
elementi fondamentali su cui si fonda la
“finzione del circolo” propria delle filosofie della totalità. Hegel e Heidegger, secondo Levinas, portano alle estreme conseguenze la possibilità di rendere plausibile questa finzione, riconducendo il rapporto soggetto-oggetto e tempo-essere ad una
modalità dell’essere; qui la riflessione sul
metodo deve ridursi a metodologia per
permettere il trapasso della soggettività
verso il movimento di assorbimento dell’essere. Il metodo deve così diventare spazio della manifestazione dell’essere.
Le filosofie del circolo, osserva Meazza,
sopravvivono per Levinas solo se perdono
il senso autentico della domanda su “che
cos’è l’essere” e sul ruolo di chi la formula.
Da Rosenzweig Levinas eredita il sospetto
che qui si trovi la chiave di volta delle
filosofie del circolo: «movimento interno
che offre la matrice alla parusia dell’Assoluto». Sia in Hegel, sia in Heidegger, la
rappresentazione del niente riesce a velare
il problema di chi sia colui davanti al quale
questa recita debba rappresentarsi. Le filosofie del circolo fanno del soggetto della
domanda un capitolo del movimento dell’essere aprendo a due sole alternative: il
blocco della teoria o l’ermeneutica.
In Sartre, fa notare Meazza, Levinas trova
un alleato nella misura in cui anche questi
si pone il problema di individuare un momento dell’essere che si sottragga al movimento dell’essere stesso; un fra-tempo che
si collochi al di là dell’essere contro le
dialettiche di essere e nulla. Tuttavia, Levinas contesta la libertà radicale di Sartre,
dove il niente diventa la matrice della temporalità e così la finzione dialettica si ristabilisce nel tempo. Occorre invece tenere
uniti nello stesso movimento l’evento, e la
durata di questo evento, con il fatto di una
separazione che viene a garantire l’evento
dell’essere. Esiste una “misura” che deve
imporsi sul tempo secondo una verticalità
estranea alla dialettica del tempo stesso e
che non appartiene neppure al soggetto. Il
corpo, secondo Levinas, è l’evento concreto della relazione tra Io e Sé; la corporeità
è in un punto che anticipa l’apertura dell’intenzionalità e non è quindi riducibile a
quest’ultima o al sapere.
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Di fronte al problema di “chi guarda” nel
circolo dell’essere e di cui è necessario
indurre la provenienza dall’al di là dell’essere, la singolarità cui giunge Levinas, osserva Meazza, è libera, perché separata in
modo radicale dall’essere e dalla storia.
L’“altrimenti che essere” levinasiano è possibile, tuttavia, solo tramite un metodo entro cui possa accadere, un metodo che, a
differenza di quello dialettico, non cancelli
le ombre che il soggetto genera, bensì le
renda queste ancora più evidenti. In questa
prospettiva Levinas affronta lo studio del
rapporto diacronico che si viene a delineare
tra Dire e Detto, nell’analisi dell’imminenza dell’Altro e della figura del Testimone.
Una ricostruzione genealogica delle tappe
fondamentali del pensiero di Levinas, attraverso un confronto fra le opere giovanili
e quelle della maturità, è quella offerta da
John Llewelyn nel volume Emmanuel Levinas. The Genealogy of Ethics (Emmanuel Levinas. La genealogia dell’etica,
Routledge, Londra-New York 1995). Il
termine “genealogia” è usato qui in varie
accezioni: in una prima richiama la definizione stessa data da Levinas alla sua ricerca; in una seconda fa riferimento a quello
che può essere definito l’ordine logico dei
periodi di sviluppo del pensiero di Levinas;
in una terza ricostruisce l’ordine in cui il
Levinas sviluppa storicamente, da un’opera all’altra, la propria concezione filosofica; infine, in una quarta, mette in evidenza
il modo in cui la filosofia levinasiana si
rapporta alla tradizione del pensiero filosofico, con particolare riferimento alla genealogia della morale di Nietzsche.
La ricerca di Llewelyn si divide in tre parti.
Nella prima s’indaga la questione della scarsezza o dell’eccesso di fondamento dell’ontologia in rapporto alla sua possibilità di
porsi come proto-etica, un’etica nell’accezione levinasiana. A questa situazione
Llewelyn risponde proponendo di affrontare
la questione attraverso una lettura cronologica dei primi scritti a partire da De l’évasion
del 1935. Qui vengono indagati i temi della
claustrofobia ontologica, della realizzazione
ontica, dell’annuncio del tempo e dell’Altro.
La seconda parte dello studio di Llewelyn si
sofferma soprattutto su Totalité et infini (Totalità e infinito) del 1961, attraverso un’analisi del senso del “faccia a faccia”, della
molteplicità dell’alterità e della generazione. La terza parte analizza Autrement qu’etre
ou au-delà de l’essence (Altrimenti che essere o al di là dell’essenza) del 1974, con
particolare attenzione per il rapporto fra libertà, eguaglianza e fraternità, per l’ateologia e l’ontologia e per l’agorafobia etica.
Dal punto di vista di un approfondimento
critico dei motivi fondamentali del pensiero
di Levinas può valere la raccolta dal titolo:
Ethics as First Philosophy (Etica come filosofia prima, Routledge, New York-Londra
1995), curata da Adriaan Peperzak, che raccoglie gli atti di un convegno sullo stesso
tema, tenutosi alla Loyola University di
Chicago nel maggio 1993.
PROFILO
Come sottolinea Adrian T. Peperzak nell’Introduzione al volume, Levinas ha più
volte sostenuto di non aver mai scritto un’etica: nella definizione di “etica come filosofia
prima” la parola “etica” mira a qualcosa di
più originario e radicale; indica un punto in
cui la distinzione e l’opposizione fra elemento etico e teoretico non possono essere né
valide, né possibili. Se l’“etica” è la considerazione meditata (o teoria) dell’etico, mentre
la “filosofia prima” è la più originaria e
radicale dimensione della teoria, allora etica
e filosofia prima coincidono. Di questa concezione l’opera di Levinas, osserva Peperzak, costituisce la testimonianza più evidente. Il “faccia a faccia” rivela il mio “essere per
l’Altro” e l’inesaustibile responsabilità contenuta in questa struttura; l’“essere per” non
è semplicemente un principio etico, ma il
luogo di nascita, “pre-originario” o “an-archico”, di tutte le relazioni teoretiche. Per
quanto il nucleo della filosofia di Levinas
possa essere accostato da differenti prospettive, vi è alla fine una convergenza nella
relazione fra l’Altro e l’io.
I saggi raccolti in questo volume sono suddivisi in sei sezioni: 1) descrizioni, 2) etica
come filosofia prima, 3) psichismo, 4) arte,
5) religione, 6) Levinas e Benjamin. Nella
prima sezione, Catherine Chalier analizza
il rapporto fra filosofia ed ebraismo, con
particolare riferimento all’idea di responsabilità e libertà, mentre Robert Gibbs mette
in evidenza come il valutare la dimensione
ebraica nell’etica di Levinas richieda una
“sequenza ritmica” di innalzamento e vicinanza. Charles E. Scott affronta la problematica del retroterra religioso, vista da un’ottica post-moderna di un filosofo non ebreo.
Nella seconda sezione, Bernard Waldenfels e Hugh Miller aprono un dialogo sul
concetto di responsabilità a partire da una
prospettiva fenomenologica, in cui l’interpretazione levinasiana dell’etica stravolge la
tradizione consolidata. Patricia H. Werhane analizza criticamente il discorso sull’etica a partire da un punto di vista analitico in
cui l’asserto centrale è l’individuazione di
una prospettiva normativa priva di costrizioni metaetiche. Elisabeth Weber concentra
l’attenzione sulla nozione di persecuzione,
mentre, sullo stesso tema, Robert Bernasconi analizza il paradosso della struttura
della responsabilità nei confronti del proprio
persecutore, sottolineando come Levinas
abbia sviluppato una filosofia che sorge dall’esperienza non-filosofica dell’essere perseguitati. Un’analisi del linguaggio viene
delineata da Fabio Ciaramelli, che sottolinea come Levinas eviti i termini “origine” e
“originario” e utilizzi invece “pre-originario” o “an-archico” per indicare l’a-priori
che precede la libertà e l’ontologia. Paul
Davies indaga il linguaggio etico levinasiano in un confronto con Blanchot e Derrida.
Nella terza sezione, Andrew Tallon analiz-
L’opera di Emmanuel Levinas
ha attraversato il secolo e la sua
crisi cercando incessantemente
di ricondurre il rigore del discorso filosofico alla concretezza delle situazioni umane che nella loro
descrivibilità fenomenologica
di
costituiscono la trama temporale
Fabio Ciaramelli
dell’intelligibile. Muovendo da
questa fondamentale e ricorrente
esigenza di individuare un contenuto che resista alla
forma e che la preceda, si può scorgere nel desiderio
dell’altro la mediazione originaria del tempo come filo
conduttore del pensare levinasiano.
L’ordine proprio del tempo implica infatti l’impossibilità
d’un afferramento istantaneo dell’altro, e la necessità di
accedervi concretamente solo attraverso la tensione ineliminabile del desiderio. In effetti, è bensì vero che l’intimità immediata del “faccia a faccia” - la relazione etica
da me all’altro - costituisce per Levinas la sorgente
originaria del senso, che egli nomina addirittura “preoriginaria” nella misura in cui essa precede l’ordine
ontologico dell’origine articolantesi nel presente della
coscienza. Tuttavia, l’anteriorità o la priorità di questa
immediatezza immemorabile dell’etica - il paradosso
quasi insostenibile d’un immediato al passato (Blanchot)
- è sempre già turbata e quindi interrotta dall’“ingresso
del terzo” - altro dall’altro - “nell’intimità del faccia a
faccia”: ingresso “permanente”, che costituisce «l’origine stessa dell’apparire, cioè l’origine stessa dell’origine»
(Altrimenti che essere, p. 200). Il che inevitabilmente
za il pensiero di Levinas da un punto di vista
psicologico, soffermandosi sulla fenomenologia dell’affettività, mentre William J. Richardson delinea, da un punto di vista psicoanalitico, un confronto fra la teoria del conscio e del pre-conscio in Levinas e quella
dell’inconscio di Lacan. La quarta sezione
si compone di un unico saggio, quello di
Edith Wyschogrod, sul rapporto etica
ed estetica.
Nella quinta sezione, Merold Westphal
analizza, attraverso un confronto con
Kierkegaard, il concetto di sospensione
teleologica dell’elemento religioso. Da
un punto di vista metodologico, Theo de
Boer indaga la relazione della filosofia
con la teologia e l’ontologia. Il saggio di
Jill Robbins riaffronta il tema della responsabilità, soffermandosi sul problema della “traccia”, mentre Adriaan T.
Peperzak e David Tracy dialogano sul
significato di “trascendenza”. A partire
da Nietzsche e Rosenzweig e dal tema
della “morte di Dio”, John Llewelyn
analizza ciò che Levinas individua col
termine “Dio”, mentre Hent de Vries
delinea una gamma di posizioni, a partire dai termini “adieu”, “à dieu” e “aDieu”, che pongono Levinas fra Kierkegaard e Derrida. La sesta sezione, infine,
contiene il saggio di Rebecca Comay su
alcune affinità fra le teorie di Levinas e
quelle di Benjamin. M.B.
attenua l’originaria immediatezza del faccia a faccia, la
quale in tal modo si rivela strutturalmente contaminata
dalla mediazione inevitabile della pluralità umana. Per
accedere all’altro in quanto origine ultima o prima del
senso, il pensiero di Levinas è allora costretto a porre
come originario il ricorso alla dimensione simbolica,
nella quale la relazione etica immediata del faccia a
faccia s’attenua e il volto dell’altro inevitabilmente rimanda la complessità del sociale.
Fin dall’inizio l’origine si complica, e l’ingresso permanente del “terzo” ne scompone l’intimità e l’istantaneità:
Levinas vi riconosce la «nascita latente» (ibidem, p. 196)
dell’ordine sempre «indiretto e tortuoso», cioè «simbolico» (ibidem, p. 77), del sapere.
L’accesso all’origine non può aver luogo in maniera
immediata e diretta, ossia intuitiva, poiché la mediazione, l’intreccio e la complicazione dell’origine sono originari. Lo stesso rapporto etico da me all’altro non si dà in
originale - non trascende la mediazione del tempo - dal
momento che la sua paradossale immediatezza ha sempre
già scavalcato i confini del presente. La temporalità del
tempo è senza cominciamento in un presente puro. L’originario non è mai immediato.
Allora, se è vero che il dire originario o pre-originario è
per Levinas l’immediatezza immemorabile del faccia a
faccia, è altrettanto vero che il suo significato etico
preliminare non si manifesta e non può manifestarsi in un
linguaggio pre-originario, ma sempre e comunque in un
dire correlativo del detto, benché incapace di ridurvisi.
Questa «peripezia mediatrice» del dire (ibidem, p. 9)
attesta la sua temporalità, ed è motivata precisamente
Il desiderio
dell’altro
10
PROFILO
dalla non-coincidenza di immediato e originario, dal
sottrarsi dell’immediato alla manifestazione e dall’impossibilità di concepire il senso della manifestazione
come ritorno nostalgico all’immediatezza.
Tale impossibilità deriva dalla struttura concreta del
tempo, dalla positività del suo inesorabile trascorrere, dal
sovrappiù di senso della sua trascendenza che non costituisce in alcun modo una degradazione di una presunta
immediatezza originaria.
È perciò nell’«avvenimento straordinario e quotidiano»
(ibidem, p. 14) del dire irriducibile al detto ma inevitabilmente connesso alla mediazione del detto che si intravede ciò che Levinas chiama la “deformalizzazione” della
nozione del tempo. Nella sua concretezza fenomenologica, il tempo - come si legge all’inizio delle conferenze
pubblicate nel 1948 con il titolo Il tempo e l’altro - «non
è il fatto di un soggetto isolato e solo, ma è la relazione del
soggetto con altri» (p. 8).
Risulta qui decisiva l’irriducibilità della relazione temporale con l’altro all’ordine ontologico della conoscenza
che aspira essenzialmente all’unità di pensiero ed essere.
La modalità della relazione temporale all’altro non è la
nostalgia dell’unità - la nostalgia dell’immobile di cui il
tempo sarebbe solo la messa in movimento derivata e
privativa - ma il “desiderio”. Un desiderio che però non
persegua l’abolizione della propria tensione grazie al
raggiungimento di ciò che potrebbe soddisfarlo o colmarlo, che non aspiri cioè alla presunta immediatezza dell’unità originaria che precederebbe il tempo, poiché
l’ideale di un essere pienamente compiuto, l’ideale dell’eternità - eterno presente, immobilità dell’Uno - non
può fungere da «paradigma ontologico per una vita, per
un divenire capaci di rinnovamento, di Desiderio, di
società» (Totalità e infinito, p. 223). La trascendenza è il
movimento stesso di questa vita nella sua concretezza, la
sua inevitabile e originaria “ricorrenza” temporale, movimento che perciò non imita un’eternità immobile che la
precederebbe, nel qual caso il movimento della trascendenza sarebbe solo un movimento “presunto”, e si risolverebbe in un ritorno a sé «a partire da un esilio immaginario» (ibidem, p. 284). Il carattere non-nostalgico del
desiderio - che «non aspira al ritorno, perché è il desiderio
di un paese nel quale non siamo mai nati» (ibidem, p. 32)
-, «presuppone un’esistenza autoctona e non un esilio»
ibidem, p. 61). Nel desiderio dell’altro, che è «la nostra
stessa socialità [...] l’Io si dirige verso Altri in modo da
compromettere la sovrana identificazione dell’Io con se
stesso, di cui il bisogno è soltanto la nostalgia» (La
traccia dell’altro, p. 33). Questo movimento, irriducibile
al conoscere, è la trascendenza stessa dell’etica.
La temporalità del desiderio non è quindi privazione,
degradazione o perdita d’una unità originaria, che
perciò stesso sarebbe fuori del tempo, e nel suo presente che non passa ne costituirebbe l’origine intemporale. Levinas rifiuta dunque l’astrazione d’un inizio
puro del tempo nella semplicità puntuale di un istante
non più scomponibile, che, al tempo stesso originario
e immediato, si situerebbe fuori del tempo, costituendone il limite intemporale.
È dunque la differenza fra l’immediato e l’originario che deformalizza la nozione del tempo, il quale,
prima di essere forma di ogni esperienza, è la
concretezza del nostro esistere, la nostra separazione dalla totalità, l’insorgenza della ipseità. In
questa concretezza si attuano e si manifestano la
relazione e il movimento necessari all’evento stesso dell’essere, al suo dispiegarsi.
In tal modo, la radicale temporalità del soggettivo si
ripercuote sull’essere in generale, e costituisce una
vera e propria inversione dell’ordine logico dell’essere che sempre già presuppone un ordine cronologico a
esso irriducibile. Di conseguenza, la necessità di risalire incessantemente a questo ordine cronologico, cioè
la necessità di effettuare sempre di nuovo la riduzione
fenomenologica dell’ingenuità iniziale (Altrimenti che
essere, p. 26), attesta il carattere insuperabile e irrecuperabile del tempo. Non si esce dall’orizzonte del
tempo. Ecco perché la rivendicazione dell’etica come
filosofia prima è avanzata da Levinas come “passaggio” alla dimensione etica, cioè come movimento
filosofico che non comincia dall’etica ma che trova in
essa la propria meta e il proprio esito. L’anteriorità
dell’etica, il suo primato, è attinto a posteriori, a cose
fatte, après coup. Ma ciò non vuol dire che lo stabilirsi
del primato dell’etica si configuri come un ritorno
all’originario, alle sue presunte immediatezza e coincidenza con sé, il che significherebbe pensare ancora
una volta il tempo come privazione e degradazione
dell’unità, e il movimento della filosofia come nostalgia, mal del ritorno, Heimweh. «Anteriore posteriormente» (Totalità e infinito, p. 173), l’etica si radica
nella separazione o nella ricorrenza dell’ipseità: vi si
radica come desiderio di ciò da cui l’essere separato
non proviene ma verso cui si dirige. L’imprevedibile
novità - la trascendenza - che caratterizza la tensione
del desiderio eccede ogni evidenza immediata non in
virtù di un limite dell’intuizione umana, ma a causa
del sovrappiù della socialità.
L’immediatezza ultima o prima del faccia a faccia, la
cui “intimità” Levinas non smette di rivendicare, considerandola il presupposto necessario della sua interruzione o limitazione provocata dall’ingresso permanente del terzo, a ben vedere non è poi attingibile
immediatamente, ma solo attraverso un lungo itinerario di ricerca che incessantemente sottrae l’alterità del
volto dell’altro al suo darsi immediato nella “forma”
che tuttavia lo manifesta, per cogliere nel faccia a
faccia la parola del volto. Il volto parla: ciò che
disturba l’ordine logico della totalità, ciò che nella sua
immediatezza interrompe l’origine ontologica, per il
fatto stesso di parlare è sempre già interno all’ordine
originario della mediazione. L’immediatezza della
relazione etica rivendicata da Levinas non è accessibile immediatamente, non si lascia intuire, non si dà in
originale, ma è già impigliata nel reticolo originario di
un ordine simbolico. Il che, a ben vedere, lungi dall’indebolire la centralità del desiderio dell’altro, la
conferma e l’esalta, poiché in fin dei conti l’inassumibile originarietà dell’altro è accessibile solo grazie al
movimento senza ritorno di un desiderio irriducibile
alla nostalgia, in cui si attesta l’esplosione originaria
dell’immediato.
11
PROFILO
Qualche spunto di riflessione sul- sente” in Totalità e infinito, se lo è fino in fondo, e cosa
l’eredità di Emmanuel Levinas, significa, propriamente, una tale presenza.
soprattutto per quanto riguarda la Abbiamo già menzionato lo scritto Fra due mondi come uno
fase del suo pensiero che culmina dei luoghi del confronto esplicito di Levinas con Rosenin Totalità e infinito. Saggio sul- zweig. A esso va aggiunto, accanto alle molte citazioni
l’esteriorità (1961, trad. it. Milano presenti in varie opere levinasiane, il saggio intitolato Franz
1980), può venire da una breve Rosenzweig: un pensiero ebraico moderno (tratto anch’esdi
analisi del suo rapporto con la filo- so da una conferenza, tenuta nel 1964 e pubblicata poi su
Adriano Fabris
sofia di Rosenzweig. Ciò riesce rivista nel 1965 e infine nel volume del 1987 Fuori dal
utile, soprattutto, se vogliamo sta- Soggetto, trad. it. Genova 1992). Fra questi due testi (elabobilire il “luogo”, per dir così, in cui propriamente si colloca rati uno per il trentennale, l’altro per i trentacinque anni dalla
la proposta di Levinas all’interno della tradizione ebraica morte di Rosenzweig, avvenuta il 10 dicembre 1929), molte
del Novecento. Infatti, fra le
sono le analogie, simile è la
molte domande che possono
struttura, uguali, addirittura,
sorgere davanti alla complesrisultano numerosi passi. Il
sa opera levinasiana, anzinucleo filosofico della Steltutto una richiede di essere
la è identificato, in Franz
nuovamente sollevata: qual
Rosenzweig: un pensiero
è lo specifico modello di
ebraico moderno, nell’afferebraismo a cui Levinas promarsi di un «legame fra
priamente si riallaccia? O, in
l’istante vivente della vita
altre parole: qual è l’immaumana e un’Eternità vivengine del pensiero ebraico che
te», nell’imporsi cioè della
egli viene a proporre? Ten«dimensione della religione»
tiamo di rispondere a queste
di contro ad una concezione
domande seguendo, appunfilosofica (come ad esempio
to, il filo conduttore rosenquella hegeliana) in cui l’uozweighiano.
mo risulta «imprigionato nel
Sono numerosi, com’è noto,
suo sistema, destinato alla
i luoghi in cui Levinas si
supremazia della totalità e
confronta con Rosenzweig.
dello Stato» (p. 57). Di conIl più famoso di essi è la
seguenza, l’«attualità» di Rodichiarazione del debito fisenzweig, ovvero il contrilosofico contratto da Levibuto che egli fornisce alnas nei confronti della Stella
l’ebraismo contemporaneo,
della redenzione (trad. it.
è riconosciuta nella capaciCasale Monferrato 1985) che
tà, incarnata dal popolo
compare nella Prefazione di
ebreo, di «esistere a parte,
Totalità e infinito («L’opposeparatamente, nella storia
sizione all’idea di totalità che
politica del mondo; di giudici ha colpito nello Stern der
care questa storia, cioè di
Erlösung di Franz Rosenrestar liberi nei confronti
zweig, troppo spesso presendegli eventi, qualunque sia
te in questo libro per poter
la logica interna che li colleessere citato», p. 26). Rosenga»: la pretesa, in altre paroEmmanuel Levinas
zweig, tuttavia, è subito afle, «di essere un popolo eterfiancato, nell’elenco dei
no» (Fra due mondi, p. 116).
riconoscimenti che si trova in questo testo, per un La separatezza, intesa come rottura della totalità e come
verso (esplicitamente), dallo Husserl maestro di feno- irriducibilità dell’individuo all’opera (sua propria o della
menologia e, per altro verso (nell’implicito), dallo storia del mondo), è dunque il carattere più proprio delHeidegger maestro di concretezza. Non paia, d’al- l’ebraismo. Quel tratto essenziale, che già era stato segnalatronde, troppo singolare questo accostamento di Ro- to dal giovane Hegel, viene giocato, sulla scia di Rosensenzweig alla fenomenologia. Esso è già attuato nel testo zweig, proprio contro Hegel. Ma separatezza, si badi bene,
di una conferenza del 1959, poi pubblicata nel 1963 con il non vuole affatto dire qui presa di congedo da qualsiasi
titolo «Fra due mondi» (La via di Franz Rosenzweig) (trad. forma di universalità, bensì, piuttosto, attingimento (da far
it. parziale in Difficile libertà, Brescia 1986; cfr. p. 100: valere anche su di un piano più prettamente politico) di una
l’analisi rosenzweighiana della rivelazione, viene qui detto, diversa forma di universalità, della quale Rosenzweig, nel
«è del tutto simile alle analisi fenomenologiche»). Ciò che Novecento, si fa portavoce: l’«universalità dell’elezione, di
rimane semmai da verificare, e non da accogliere un particolarismo che esiste a beneficio di tutti» (Franz
acriticamente solo perché lo dice Levinas, è se Rosenzweig: un pensiero ebraico moderno, p. 63). È dundavvero Rosenzweig risulta (addirittura) “troppo pre- que questo il senso etico della separatezza che si ritrova in
Separazione
e linguaggio.
Tra Levinas
e Rosenzweig
12
PROFILO
Totalità e infinito, questa è l’idea di separazione che in
quest’opera viene sviluppata ad un livello più propriamente
filosofico.
Consideriamo brevemente, di Totalità e infinito, proprio la
parte B che, nella Sezione prima, è dedicata al tema “separazione e discorso”. Ritornano qui, implicitamente, molti
degli spunti che erano emersi dalla lettura di Rosenzweig.
La separazione «indica la possibilità per un “ente” di
installarsi e di avere un suo destino proprio, cioè di nascere
e di morire senza che il posto di questa nascita e di questa
morte nel tempo della storia universale ne contabilizzi la
realtà» (pp. 53-54). Essa si realizza - allo stesso modo che
in Rosenzweig il sé si definiva nella sua chiusura meta-etica
- secondo la modalità dello psichismo, che nel prosieguo
dell’opera verrà precisato come «sensibilità, elemento del
godimento, egoismo». E tuttavia, proprio nello sviluppo che
subito viene dato, in Totalità e infinito, alla tematica della
separazione (nonché a quella, a essa inevitabilmente collegata, della relazione) iniziano a emergere sia interessanti
analogie che sostanziali differenze, non solo rispetto all’impostazione rosenzweighiana, ma anche nei confronti
delle posizioni assunte in proposito da altri pensatori ebrei
del Novecento.
Il punto decisivo del contendere diviene, qui, la questione
del linguaggio. Nel linguaggio, infatti, si realizza un movimento che permette di collegare quegli elementi che, nonostante il loro legame, rimangono reciprocamente separati.
Come Levinas dice, il linguaggio attua una relazione «in cui
i termini [della relazione] si “assolvono” dalla relazione rimangono assoluti nella relazione». Giacché, «senza questa assoluzione, la distanza assoluta della metafisica sarebbe
illusoria» (p. 62). E d’altronde, a ben vedere, l’idea di un
linguaggio in cui il rapporto “si fa” pur mantenendo la
separazione è ciò che accomuna tutti i diversi sforzi della
riflessione ebraica del Novecento. La necessità di garantire
una relazione, senza che essa comporti il sacrificio dei
termini fra loro connessi; la necessità di farlo ripensando
radicalmente, sulla base di una rinnovata considerazione
della parola biblica, la nozione di linguaggio, è un compito
che vediamo assunto sia da Cohen che da Buber, sia da
Rosenzweig che dal giovane Benjamin. Nessuna delle
soluzioni proposte da questi pensatori, tuttavia, è accolta, in
effetti, da Levinas. La via che egli percorre, cioè, pur
realizzando anch’essa una possibilità autentica dell’ebraismo, risulta decisamente diversa da quella degli altri pensatori ebrei che lo hanno preceduto.
Ciò che è in gioco, nella prospettiva aperta da Totalità e
infinito, non è più soltanto il problematico nesso di separazione e linguaggio, il fatto cioè che, nel discorso, si mantenga una separazione pur nel legame che la parola instaura.
Ciò che è in gioco, più propriamente, è il senso stesso di
questa separazione, la sua propria “modalità”. L’attuarsi,
nel linguaggio, di un rapporto di separazione non si dà
all’interno del linguaggio, non è “intralinguistico”, non si
pone in una dimensione “orizzontale” (dimensione che
richiede sempre, cioè, un orizzonte, un contesto che la
ricomprenda); essa si esplicita, piuttosto, “attraverso il
linguaggio al di là del linguaggio”, in una dimensione
“verticale” che mette in questione le parole stesse che la
dicono, che «disfa» (la formulazione è appunto levinasiana)
le forme stesse in cui si offre nel suo farsi.
Così, anzitutto in Totalità e infinito, si realizza l’incrocio
dell’orizzontalità della parola parlata, che bisogna pur sempre attraversare, con la verticalità cui ci rinvia la provenienza stessa di questa parola, in quanto parola mai completamente mia, mai dominata e dominabile, ma sempre originata in altro, in un’alterità che s’impone nell’espressività del
suo volto. La riflessione sul linguaggio delinea dunque un
nuovo senso di separazione, tradito dalle categorie usate da
Cohen e da Buber, non pienamente colto neppure da Rosenzweig: la separazione di colui che si rivela insieme e prima
del suo rivelarsi in parole, e che tuttavia possiede una sua
espressività - la separazione “etica”. Questo è il punto (la
distinzione fra una separazione che si attua “nel” linguaggio e
una separazione che “attraversa” il linguaggio, mettendone in
luce un altro senso) in cui, a ben vedere, si compie anche
(tenendo conto delle dovute differenze d’impostazione) il «contatto nel cuore di un chiasmo» fra Levinas e Derrida.
Il tema della trascendenza è certamente il nucleo centrale della Trascendenza
filosofia di Levinas. Come egli ed enigma
stesso scrive all’inizio di Altrimenti che essere, i molteplici
concetti che ha elaborato come
alterità, volto, infinito, temporalità, linguaggio, soggettività, di
prossimità, passività, sostituzio- Giovanni Ferretti
ne, ossessione ecc. sono funzionali al tentativo di riuscire a «dire la trascendenza», sia pure
«in un Dire affannoso che trattiene il proprio respiro [...]
“dice” prima di riposarsi sul proprio tema» (Altrimenti che
essere, p. 19).
Non si tratta ovviamente più della vecchia trascendenza
“metafisica”, dichiarata morta da Nietzsche o “superata” da
Heidegger, ma neppure di quella nuova forma di trascendenza teologica che cerca di farsi valere nelle pieghe della
“differenza ontologica” predicata da quest’ultimo; quasi
che Dio potesse nuovamente pensarsi e dirsi una volta che
la verità dell’essere sia stata fatta emergere dall’oblio in cui
è caduta con il pensiero occidentale. Per Levinas, infatti, la
trascendenza autentica si può dire solo se si riesce ad andare
“al di là” dell’intero piano dell’essere, nel campo inesplorato ed enigmatico dell’“altrimenti che essere”. Ove - è
importante notarlo - l’essere dell’ontologia occidentale che
Levinas intende trascendere è l’essere che coincide con ciò
che si manifesta, dato che gli sarebbe essenziale il venire alla
luce, il presentarsi ad una coscienza. Donde la dichiarazione
programmatica che apre significativamente l’opera sopra
citata: «Intendere un Dio non contaminato dall’essere è una
possibilità umana non meno importante e non meno precaria di quella di trarre l’essere dall’oblio in cui sarebbe caduto
nella metafisica e nell’ontoteologia» (ibidem, p. 2).
Due sono le vie, tra loro strettamente connesse, lungo le
quali Levinas cerca di andare “al di là dell’essere” per
aprire in qualche modo il campo alla trascendenza teologica: la via dell’alterità altrui e la via della soggettività
responsabile. La prima è esplorata soprattutto in Totalità
e infinito; la seconda soprattutto in Altrimenti che essere.
Ciò che le accomuna è il fatto che sia l’alterità altrui sia
la soggettività responsabile non si dicono in termini
13
PROFILO
ontologici, di manifestazione o com-prensione, bensì in
termini di relazione etica. “Altri” è trascendente ogni
nostra presa concettuale, fino al punto di fare esplodere lo
stesso orizzonte trascendentale della coscienza, perché
come “volto” nudo e indigente ci interpella instaurando
una relazione etica che non ha nulla a che fare con la comprensione o il dominio. Da parte sua, il soggetto responsabile è tale solo in quanto è caratterizzato dal “disinteresse”; un termine che Levinas scrive con stacchi, “disinteresse”, per sottolineare che l’uomo disinteressato si
svincola dall’ambito della logica del conatus essendi
propria degli esseri.
La “signoria” della trascendenza di Altri e la “gloriosa” testimonianza del soggetto responsabile disinteressato costituiscono per Levinas il «luogo o non
luogo» ultra-ontologico in cui «Dio può venire all’idea»; ma ciò può avvenire solo e sempre nel modo
dell’ “enigma”. Una figura, questa, che domina tutto
il discorso di Levinas sulla trascendenza, a partire dal
celebre saggio Enigma e fenomeno del 1965. La trascendenza divina non può infatti darsi in alcun modo
come fenomeno, cioè come presenza disvelata e tematizzata; essa ci “visita” bensì nell’elevatezza della
trascendenza altrui o nel Dire-dedizione del soggetto
responsabile, ma ce ne si può avvedere solo quando è
già irrecuperabilmente passata, come ciò che ha scompigliato tutto l’ordine dei fenomeni d’essere ma senza
lasciare di sé se non la “traccia” di tracce cancellate
per sempre. L’enigma è quindi un «modo di manifestarsi
senza manifestarsi», per semplice accenno; ciò che ci
visita in tal modo può essere riconosciuto solo «se si
vuole», liberamente; infatti non si impone come presenza
disvelata, bensì come «mantenendo l’incognito».
Nell’enigma, osserva Levinas, il “senso esorbitante” si
eclissa nella sua stessa apparizione, perde ogni luce, dato
che ciò che ne resta nel fenomeno lo smentisce, lo
confuta, in qualche modo lo “perseguita”. Per questo,
rifacendosi a Kierkegaard, egli dirà che la verità della
trascendenza non può che essere perseguitata. «Il Dio di
Kierkegaard che si rivela solo per essere perseguitato e
misconosciuto, che si rivela solo nella misura in cui è
inseguito [...] diventa il luogo stesso della verità. [...]
“Verità perseguitata” non è soltanto “consolazione religiosa”, ma il disegno originario della trascendenza».
ne diversa sia del verbo che dell’intera frase: un’interpretazione di tipo etico. Che cosa vuol dire, nel linguaggio
ordinario, “giustificarsi”? Vuol dire cercare le ragioni/
valori che legittimano l’adozione di una certa condotta o di
certe credenze. Da questo punto di vista, in Levinas la
giustificazione potrebbe riguardare i princìpi che permettono di cogliere e accertare l’essere nella sua verità.
Però, attenzione. Non va trascurato il fatto che nella proposizione in questione Levinas si interroga non sul modo in cui
l’uomo giustifica il darsi e la verità dell’essere, bensì sul
modo in cui l’essere stesso si giustifica. L’orizzonte è
dunque “ontologico”. Purtuttavia quel verbo mi pare aprire
anche ad un orizzonte, appunto, “etico”. È come se dall’essere, benché accostato con la consapevolezza della sua
radicale aseità, ci si aspettasse non una pura auto-notifica del
suo darsi, ma un manifestarsi secondo una prospettiva
veritativa e giustificativa: dunque, in più sensi, etica.
Sotto questo profilo, il suggerimento levinasiano pare il
seguente. L’essere non è una res che si proponga in una sorta
di impassibile e autosufficiente evidenza. È, invece, un
principio che deve “avverarsi” attraverso un certo impegno,
attraverso certe modalità. L’(auto)giustificazione dell’essere, pertanto, si presenta nella forma dell’“evento”, e più
precisamente dell’evento “etico” - se è vero che l’eticità
allude ad un essere/agire che si realizza in rapporto ad un
adempimento secondo giustizia.
Vorrei ora fare un passo innanzi, non tanto a proposito del
pensiero di Levinas quanto a partire da esso. Vorrei proporre
di cogliere nel principio della “giustificazione” dell’essere
la metafora della giustificazione di un altro soggetto. La mia
tesi è che, pur riferendosi all’essere, la frase levinasiana ci aiuta
a pensare allo stesso soggetto umano. Anche l’uomo - soprattutto l’uomo - è quell’ente che “cerca di giustificarsi”.
Non ho, finora, mai trovato una definizione dell’uomo più
intensa di questa. Essa mi pare più vera perfino di quella
evocata dall’imperitura domanda di Amleto. In effetti l’uomo non è chiamato - o non primariamente, non esclusivamente - a scegliere tra l’essere e il non-essere, una scelta che
rischia di passare sopra la testa dei soggetti esistenti (la cui
vita deve cimentarsi con altri interrogativi, forse meno
estremi/fascinosi, ma certo più legati all’aspra realtà intramondana, fatta spesso di vicende particolari/concrete irriducibili sia all’essere che al non-essere). L’uomo è chiamato, invece, a ricercare delle “ragioni” - naturalmente in
un’accezione molto peculiare del termine - del proprio
operari determinato e “locale”. È chiamato, per l’appunto,
a “giustificarsi”, cioè a trovare princìpi che diano una forma
e un contenuto lato sensu morale al suo essere-nel-mondo
e al suo con-essere con gli altri.
Sia ben chiaro: “cercare di giustificarsi” non è sinonimo di
“cercare la giustificazione” - tanto meno di “portare la
giustificazione”. In effetti, queste due ultime espressioni
rinviano ad un orizzonte criteriologico e assiologico “già
dato”: “cercare (o portare) la giustificazione” vuol dire
cercare una “corrispondenza” tra il nostro agire e tavole di
valori “già scritti”, e quindi solo “da ritrovare”. Invece il
perseguimento del “giustificarsi” (dove già la sostituzione
di questo verbo al sostantivo “giustificazione” esprime
l’impegno di un “agire” aperto e dall’esito non garantito)
implica la ricerca di una giustezza etica non nota a priori
entro la complessità - unlawful e amorale - della vita.
C’è una frase di Etica come filosofia prima che mi ha sempre, a ogni
(ri)lettura, particolarmente colpito: «Non già perché l’essere anziché il nulla, ma in che modo l’essere si giustifica». Come tutte le tesi
cruciali, anche quella qui indicata
di
sollecita a riflessioni aperte, libere
Sergio Moravia
dall’oggettiva “lettera” del testo.
A me interessa in primo luogo quel
“si giustifica”. Si tratta di un’espressione che, per molti, ha
essenzialmente una valenza fondazionale-cognitiva: un po’
come se, nella frase levinasiana, il filosofo si chiedesse a
quali condizioni l’essere si dà, o si dà da pensare.
Io credo però che si possa proporre anche un’interpretazioIl principio
giustificazione
14
PROFILO
Implica, insomma, il navigare a vista di un navigante che
vuole ovviamente arrivare al porto, ma senza conoscere con
precisione l’ubicazione del porto medesimo.
Il principio del giustificarsi si riferisce, in conclusione, ad un
tipo d’uomo da un lato privo di tutori celesti, dall’altro
abitato dall’ineludibile vocazione a interrogarsi, a processarsi, a mettersi in discussione e alla prova. Come la volontà
di sapere, anche la volontà di giustificarsi è propria di quel
soggetto che, nello stesso tempo, si avverte altro e diverso
rispetto alla realtà che sta attraversando ma che, ciò
nonostante, intende dare “un senso” al proprio viaggio e,
forse, trovare anche un senso “di” tale viaggio.
scopre incatenato alla propria determinatezza empirica.
L’indiscernibilità fra il soggetto e il suo essere mondano fa
in modo che il limite sia incontrato dall’uomo al suo stesso
interno o che il soggetto sia limite a se stesso. Ciò comporta,
secondo Levinas, una nuova posizione filosofica: se la
filosofia tradizionale dell’Occidente, pur restando legata ad
una prospettiva ontologica, cioè al principio dell’identità
dell’essere, riconosceva tuttavia la differenza fra il soggetto
e il mondo, fra la libertà umana e la brutale opacità dell’ente,
la nuova filosofia dovrà caratterizzarsi per la cancellazione
di quella differenza e per aver posto il limite all’interno del
soggetto. Esiste questa filosofia del nostro tempo, è già stata
pensata? Un anno prima, nel
1934, Levinas aveva pubbliLevinas
cato un breve testo dal titolo
e la filosofia
inquietante: Quelques rédell’hitlerismo
flexions sur la philosophie
de l’hitlerisme (Qualche riflessione sulla filosofia dell’hitlerismo, pubblicato su
di
«Esprit» e riedito in «Les
Bruno Moroncini
Cahiers de l’Herne», Parigi
1991, pp. 154-160). L’attacco ha del folgorante: la filoUno dei meriti più grandi di
sofia dell’hitlerismo, vi si
Emmanuel Levinas consiste
afferma, è una filosofia prinell’averci offerto, già a parmaria, riguarda i fondamentire dalla metà degli anni
ti. Nessun dubbio che gli
Trenta, la chiave concettuaenunciati del nazionalsociale per comprendere l’epoca
lismo siano miserabili e che
in cui siamo e circoscrivere
esso non sia nulla di più che
il male di cui soffre il nostro
il risveglio di sentimenti elesecolo. È intorno al concetto
mentari. Ma il punto è che
di limite e al suo spostamenproprio i sentimenti elemento che si gioca fra il ’34 e il
tari nascondono una filoso’36 la riflessione levinasiafia, cioè l’attitudine di un’anina. Nella filosofia tradizioma di fronte al mondo e al
nale, scrive Levinas nel sagproprio destino. È in questo
gio sull’“evasione” (De
senso, dunque, che l’hitleril’évasion, 1935; trad. it. Delsmo è una filosofia e mette in
l’evasione, Reggio Emilia
questione i princìpi stessi
1984), ciò che per il soggetto
della civiltà.
rappresentava il limite della
sua comprensione e del suo
La civiltà europea, scrive
agire era costituito dal monLevinas anticipando i temi
do o dal non io: il conflitto si
dello scritto sull’“evasioReparti militari a un discorso del Führer
dava sempre fra l’uomo e
ne”, si è basata fino a ora
l’essere, mai fra l’uomo e se
sullo spirito della libertà:
stesso. Anche nella lotta più cruenta, l’uomo non perdeva la l’uomo era ritenuto capace di rinnovarsi eternamente.
propria autosufficienza, non vedeva messo a rischio l’ideale Da questo punto di vista ciò che caratterizza la civiltà
dell’identità di sé con sé.
europea, secondo Levinas, è l’assenza di storia: il
In cosa consiste il cambiamento in atto nel nostro secolo? tempo porta infatti con sé l’irreparabile, pone l’uomo
Nel fatto, risponde Levinas, che il limite non affetta più il di fronte al fatto compiuto, di fronte allo strapotere di
soggetto dall’esterno, ma s’insedia nel cuore stesso del suo un passato immodificabile. È evidente, dal punto di
essere. A essere preso nell’ingranaggio incomprensibile vista di Levinas, che quanto più si resta legati ad una
dell’ordine universale, a essere afferrato dalla mobilitazio- prospettiva ontologica, tanto più il contrasto tragico
ne totale non è più l’individuo che non è ancora padrone di fra la libertà e il tempo si accentua. Di conseguenza,
se stesso e che, quindi, lotta contro il mondo per raggiungere secondo Levinas, contro l’ontologismo greco, il giuo ripristinare l’autosufficienza, bensì proprio la persona già daismo apporta un messaggio di libertà assoluta: per il
libera e autonoma. Essa si vede consegnata irrimediabil- giudaismo la scelta già compiuta non può mai trasformente alla propria esistenza temporale, al proprio essere qui marsi in un destino: l’uomo conserva sempre una
e ora. Il soggetto non è più libero di fronte al mondo, ma si possibilità di rimetterla in questione.
15
PROFILO
Il liberalismo moderno attenua solamente l’aspetto drammatico ed eroico di questa concezione della libertà, ma ne
conserva il nucleo sotto la forma della libertà sovrana della
ragione. Lo strappo con la civiltà europea si ha soltanto
quando la determinazione storico-concreta nella quale l’uomo si trova a essere cessa di venire concepita come meramente contingente e costituisce il fondo stesso del suo
essere; quando, in altri termini, l’essenza dell’uomo non
consiste più nella libertà, ma nel suo essere corporeo. Per la
nuova filosofia il corpo non è più un accidente che ci pone
in rapporto con il mondo implacabile della materia, ma ciò
che aderisce, fino all’indiscernibilità, al soggetto. Questa
aderenza vale ormai per se stessa. Il biologico, quindi, con
tutto quel che comporta di fatalità, non è più solo uno dei
possibili oggetti della vita spirituale, ma il suo stesso
cuore. D’ora in poi essere uomini non consisterà più nel
librarsi al di sopra del mondo delle contingenze, bensì
nel prendere coscienza di questo incatenamento originario e ineluttabile al corpo, nell’assumere e nell’accettare
questo incatenamento. Questa è la filosofia del nostro
tempo: la riduzione della vita spirituale alla vita tout
court, alla nuda vita naturale.
La nota aggiunta da Levinas nel ’91 per la ristampa del suo
scritto svela però l’arcano dell’attribuzione di una portata
filosofica al nazismo: la vera filosofia dell’hitlerismo è, in
realtà, l’ontologismo heideggeriano nella misura in cui la
nozione centrale che lo caratterizza è quella dell’essere per
il quale nel suo essere ne va del suo stesso essere o, come
traduce Levinas, dell’«étre soucieux d’étre», cioè dell’essere che ha cura dell’essere, che ha dell’essere nient’altro che
i suoi modi d’essere. Come ha notato Giorgio Agamben, che
di recente ha posto l’attenzione sullo scritto levinasiano del
’34 (Homo sacer, Torino 1995, pp. 167-170), nella categoria della fatticità o della vita fattizia, elaborata da Heidegger
già negli anni Venti, si affermava l’indiscernibilità fra la vita
e le sue situazioni effettive, fra l’essere e i suoi modi
d’essere, consumandosi in tal modo le distinzioni dell’antropologia tradizionale: spirito e corpo, io e mondo, ragione
e animalità. La fatticità non è un nuovo nome per la
contingenza secondo cui qualcosa può essere in un modo o
in un altro, ma indica il carattere deietto dell’uomo: il suo
aver da essere il modo d’essere che gli è toccato d’essere. La
deiezione comporta, quindi, l’assunzione decisa del modo
d’essere o della situazione effettiva in cui l’uomo si trova, la
trasformazione, in altri termini, di ciò che è destino, dote e
fatalità, in compito.
Non è questa la sede per discutere la responsabilità effettiva
di Heidegger nei confronti del nazismo o la corrispondenza
fra il suo pensiero e la filosofia dell’hitlerismo. Quel che
vorremmo suggerire, rendendo in tal modo giustizia a
Levinas, è che, nonostante la sconfitta storica, la filosofia
dell’hitlerismo, individuata dal filosofo francese nell’atto
della sua stessa nascita, è ancora la filosofia del nostro
tempo. Sotto le mentite spoglie di un umanesimo democratico che afferma il diritto illimitato dell’uomo a “preoccuparsi” della propria felicità, cioè del suo modo d’essere
mondano e temporale, la filosofia hitleriana continua a
vincere la guerra con la civiltà europea. Vince spostando
ulteriormente il limite: se il corpo, il biologico in quanto tale,
era il limite cui era rimessa irrimediabilmente la libertà
umana, ora è in nome di un’idea stravolta della libertà che
ci si impegna a sfondare i limiti corporei (cfr. G. Frasca, La
scimmia di Dio, Genova 1996). La manipolazione genetica
in tutte le sue forme tende a cancella re i limiti biologici del
corpo - nascita, morte, dolore e godimento - in vista della sua
immortalità e impassibilità. Ma è proprio questa libertà
assoluta di infrangere i limiti biologici, di andare oltre il
corpo naturale e verso il corpo cibernetico e mediale,
che, ben al di là del nazismo storico, consegna definitivamente l’uomo al proprio corpo e che conferma che il
fondamento della nostra epoca poggia ancora sulla filosofia dell’hitlerismo.
Nota biografica e bibliografia italiana delle opere in volume
Emmanuel Levinas (Kaunas 1906 - Parigi
1995), dopo essere stato al centro della prima
diffusione della fenomenologia husserliana e
dell’ontologia heideggeriana nella Francia
degli anni Trenta, nell’immediato dopoguerra s’è imposto come autore di un’opera filosofica originale che, animata da un costante e
decisivo riferimento alla tradizione ebraica,
si propone di ritrovare nell’etica il senso
ultimo dell’intelligibilità filosofica.
Se negli scritti dell’immediato dopoguerra,
dedicati alla critica dell’anonimato dell’essere in generale che ingloba e minaccia gli
esistenti (Dall’esistenza all’esistente del 1947
e Il tempo e l’altro del 1948), il primato
filosofico dell’etica è ancora implicito, è con
la pubblicazione di Totalità e infinito. Saggio
sull’esteriorità nel 1961 che esso diventa il
centro della proposta filosofica di Levinas.
Attraverso il rapporto etico con l’altro uomo,
manifestantesi nel suo volto, il sapere filosofico si apre all’unica esteriorità irriducibile
all’interiorità dell’io. L’etica è l’unica possibile affermazione della trascendenza.
Ma come dire questa trascendenza dell’Altro
che la filosofia ha inevitabilmente tendenza a
imprigionare nell’immanenza dell’essere? A
questo problema è dedicato il secondo opus
magnum di Levinas, Altrimenti che essere o al di
là dell’essenza (1974), in cui il linguaggio adeguato alla trascendenza si rivela del tutto irriducibile al linguaggio ontologico proprio della
tradizione filosofica, e non a caso trova un’insostituibile fonte di ispirazione nel linguaggio etico-religioso. In questo senso gli scritti “confessionali” di Levinas, attento studioso del
Talmud e attivo protagonista della ricostruzione dell’ebraismo dopo lo sterminio (cfr.
soprattutto Difficile libertà del 1963, nonché
negli anni successivi i diversi volumi di letture talmudiche), hanno anch’essi una decisiva
portata filosofica.
Dopo Altrimenti che essere - opera che ha
consacrato la notorietà di Levinas e l’importanza del suo pensiero - Levinas ha pubblicato numerose raccolte di saggi filosofici, tra
cui va almeno segnalato Di Dio che viene
all’idea del 1982, che fornisce non poche
integrazioni alle due opere maggiori.
La traccia dell’altro. Scorciatoie, Pironti,
Napoli 1979.
Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca
Book, Milano 1980.
16
Quattro letture talmudiche, Il Melangolo, Genova 1982.
Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca
Book, Milano 1983.
Nomi propri, Marietti, Casale Monferrato 1984.
Etica e infinito. Dialoghi con Philippe Nemo,
Città Nuova, Roma 1984.
Umanesimo dell’altro uomo, Il Melangolo,
Genova 1985.
Di Dio che viene all’idea, Jaca Book,
Milano 1986.
Dall’esistenza all’esistente, Marietti, Casale
Monferrato 1986.
L’aldilà del versetto. Letture e discorsi talmudici, Guida, Napoli 1986.
Difficile libertà. Scritti sul giudaismo, La
scuola, Brescia 1986.
Dal sacro al santo. Cinque nuove letture
talmudiche, Città Nuova, Roma 1986.
Il tempio e l’altro, Il Melangolo, Genova
1987.
Etica come filosofia prima (in collab. con A.
Peperzak), Guerini e Associati, Milano 1989.
Trascendenza e intelligibilità, Marietti, Genova 1990.
Fuori dal soggetto, Marietti, Genova 1992.
Su Blanchot, Palomar, Bari 1994.
SCHEDA
Lo Hegel-Archiv dell’Universi- opere di Hegel persegue uno scopo coscientemente modesto,
tà di Bochum, fondato nel 1958 e cioè depurato da ogni “ideologia” estranea all’edizione. Seconaggregato dal 1968 all’Istituto di do il modello voluto da Dilthey per l’edizione delle opere di
Filosofia dell’Università di Bo- Kant, la nuova edizione si basa non su un qualsivoglia principio
chum, è il luogo dove viene ela- sistematico ma su un principio rigorosamente storico-evolutivo:
borata la nuova edizione comple- le opere (testi a stampa e manoscritti) non vengono ordinate in
ta, storico-critica, delle opere di sezioni ma cronologicamente, sulla base di un’interpretazione
di
Hegel, curata in collaborazione storico-evolutiva (sostenuta da metodi di statistica delle sillabe)
Christoph Jamme
con la Deutsche Forschungsge- della filosofia hegeliana. In base a ciò si delineano di nuovo
meinschaft su commissione del- grandi gruppi “oggettivi” (“Scritti critici del periodo jenese”
l’Accademia delle scienze del Nord-Reno - Westfalia (Düssel- ecc.). Anche questa edizione viene dunque costruita in base a
dorf). La cura di questa edizione nel suo complesso è seguita da un’unità di lavoro filologico e filosofico, tuttavia non si tratta più
una Commissione-Hegel, appartenente in precedenza alla Deu- di sostenere con il lavoro editoriale una determinata “immagitsche Forschungsgemeinschaft e attualmente all’Accademia ne” della filosofia hegeliana affermandola anche politicamente;
renano-westfalica. I curatori dei singoli volumi sono di regola i così - diversamente da quanto avviene ad esempio nell’edizione
collaboratori scientifici che lavorano all’edizione, sotto la dire- di Stoccarda delle opere di Hölderlin - anche le note rinunciano
zione di Otto Pöggeler, presso lo Hegel-Archiv (attualmente: consapevolmente a ogni tipo di aiuto interpretativo e si limitano
Friedrich Hogemann, Wolfgang Bonsiepen, Hans-Christian a indicare citazioni e letteratura citata, così come le introduzioni
Lucas, Helmut Schneider,
dei curatori hanno come ogChristoph Jamme, e inoltre il
getto solo la descrizione del
I luoghi della filosofia
dr. Köhler e il dr. Gawoll).
manoscritto e la storia dell’origine del testo. Questo princiLa nuova edizione delle opere
pio rigorosamente storicodi Hegel, si è delineata anzitutevolutivo si è finora afferto in base alle carenze delle
mato anzitutto per quanto
edizioni precedenti, in particoriguarda il periodo jenese,
lare alle insufficienze deldove - prendendo le mosse
l’“Edizione dell’associazione
da una nuova cronologia - si
degli amici”, che venne allesono resi possibili prospettistita dagli allievi di Hegel subive del tutto nuove sullo svito dopo la morte del maestro, e
luppo del sistema di Hegel.
che condizionò la ricezione di
Hegel fino al XX secolo. QueDei 22 volumi della I sezione
sta edizione venne approntata
(“Opere”) ne sono finora uscinella più grande fretta, sfrutti 12; da ultimo sono apparsi
tando abilmente il grande intenel 1990il vol.1 (FrüheSchrifresse per Hegel. Di ciò risentiten Teil I, a cura di Friedhelm
rono non solo i singoli testi, ma
Nicolin e Gisela Schüler), il
anche la concezione complesvol. 3 (Frühe Exzerpte, a cura
siva. Poiché l’attività di insedi F. Nicolin e G. Schüler), il
gnamento di Hegel a Berlino
vol. 15 (Schriften und Entwüra cura di Massimo Mezzanzanica
divenne decisiva per la storia
fe I, a cura di Friedrich Hogedegli effetti della sua filosofia, l’edizione dei corsi corrisponden- mann e Christoph Jamme) e il vol. 18 (Vorlesungsmanuskripte
ti costituì fin dall’inizio il centro dichiarato dell’edizione dell’as- II, a cura di Walter Jaeschke). Tra breve dovrebbe uscire il vol.
sociazione degli amici. L’edizione presentava queste lezioni in 5 (Schriften und Entwürfe 1799-1808, a cura di Manfred
una singolare compiutezza: non ne venne solo levigato lo stile Baum e Kurt Rainer Meist), mentre è iniziata la preparazioma si compilarono fonti prime, tarde, autobiografiche e di altro ne del vol. 14 (Grundlinien der Philosophie des Rechts, a
tipo, senza dare informazioni particolari circa la provenienza dei cura di Elisabeth Weisser-Lohmann) e del vol. 22 (a cura di
materiali e la loro preparazione. L’opera hegeliana che, diversa- Hans-Christian Lucas e Wolfgang Bonsiepen).
mente da quella, poniamo, di Kant non aveva avuto in prima Separatamente dalla I sezione delle “opere” verrà elaborato
linea una ricezione attraverso gli scritti pubblicati ma anzitutto l’insieme delle “Lezioni”. È qui che l’eredità dell’Edizione
attraverso le lezioni, doveva essere canonizzata; doveva appa- dell’associazione degli amici si fa sentire in modo più pesante.
rire più sistematica di quanto non fosse riuscita allo stesso Hegel. Attualmente si sta ancora cercando un criterio di base per il
Gli interventi redazionali e stilistici degli amici nella configu- metodo più appropriato dell’edizione delle trascrizioni delle
razione del testo delle opere a stampa di Hegel sono nume- lezioni berlinesi di Hegel; è tuttavia certo che la compilazione e
rosissimi e sono stati spesso criticati, e così pure il loro la redazione filosofico-politica degli amici non può essere
principio della compilazione nelle lezioni e la scelta, rigida ripetuta. Se a essa vada sostituita una pubblicazione puramente
nel suo insieme, dei testi. Gli allievi rendevano omaggio alla seriale di tutti i manoscritti che sono stati conservati o se sia più
finzione di lezioni che avevano una configurazione defini- vantaggiosa l’integrazione - suggerita da molte ragioni - di
tiva, che però in Hegel non c’era.
molteplici trascrizioni dei corsi di un annata in “testi d’annata”
Facendo tesoro dell’esperienza dell’Edizione dell’associazione o la sintesi di diverse annate in una connessione progressiva
degli amici, la nuova edizione completa storico-critica delle (come nel caso dell’edizione dell’associazione degli amici, solo
Lo Hegel Archiv
Hegel e Dilthey
a Bochum
17
SCHEDA
con una più forte considerazione del principio della differenziazione storico-evolutiva): questo è un problema che non è stato
ancora discusso in tutti i suoi dettagli. Con una serie di edizioni
preliminari di trascrizioni scelte (apparsa presso l’editore Felix
Meiner, Hamburg, a partire dal 1983) vengono attualmente
elaborati modelli di procedimenti adeguati per l’edizione delle
trascrizioni dei corsi all’interno delle Gesammelte Werke. (Una
prima visione d’insieme di tutto il materiale conservato relativamene ai corsi hegeliani si trova in «Hegel-Studien», 26, 1991).
Accanto all’edizione delle opere hegeliane, la loro interpretazione costituisce il secondo punto fondamentale del lavoro dell’Hegel-Archiv. Una serie di convegni ha cercato di elaborare le sue
condizioni interne ed esterne per i diversi campi del filosofare
hegeliano. Una documentazione di questo lavoro si trova nei
volumi collettanei: Homburg von der Höhe in der deutschen
Geistesgeschichte, Frankfurt aber ist der Nabel dieser Erde,
Mainz - Centralort des Reiches, O Fürstin der Heimat! Glückliches Stutgard (Klett-Cotta, Stoccarda 1981). E anche nelle
opere: Hegels Rechtsphilosophie im Zusammenhang der europäischen Verfassungsgeschichte (a cura di Hans-Christian
Lucas e Otto Pöggeler, Frommann-Holzboog, Stoccarda 1986)
e Logik und Geschichte in Hegels System (a cura di HansChristian Lucas e Guy Planty-Bonjour, Frommann-Holzboog,
Stoccarda 1989). E inoltre nei volumi Kunsterfahrung und
Kulturpolitik im Berlin Hegels e Welt und Wirkung von Hegels
Ästhetik, entrambi curati da Annemarie Gethmann-Siefert e
Otto Pöggeler (Bonn, Bouvier, 1983/1986). Allo studio del
giovane Hegel sono dedicati i volumi Mythologie der Vernunft
e Weg zum System, entrambi a cura di Ch. Jamme e Helmut
Schneider (Suhrkamp, Francoforte s/M. 1984-1990). All’interno della serie «Hegel-Studien Beihefte» sono apparsi da ultimo
gli studi di Martin Bondeli (Hegel in Bern) e di Changyang Fan
(Hegels Antigone Deutung). Va inoltre menzionato lo Jahrbuch
für Hegelforschung, a cura di Helmuth Schneider.
luoghi sparsi, tra cui alcune riviste di difficile reperibilità e i
resoconti delle sedute dell’Accademia delle scienze di Berlino.
Heidegger ha ricordato come, per poter studiare i saggi sistematici di Dilthey, che non erano altrimenti accessibili, egli tornasse
a casa carico dei pesanti volumi dell’Accademia. Inoltre, una
gran parte dell’opera diltheyana non era ancora stata pubblicata e giaceva nei grandi armadi pieni di manoscritti dell’abitazione berlinese del filosofo.
Un compito importante degli allievi che gli erano più vicini
(G. Misch, B. Groethuysen, H. Nohl, P. Ritter) doveva
dunque consistere nel rendere accessibile nella sua connessione quest’opera scientifica ampiamente dispersa, tanto
significativa quanto stratificata. Il primo volume dell’edizione, fondata con questo scopo, progettata dapprima in otto
e poi in dodici volumi, delle sue Gesammelte Schriften,
apparve già nel 1914. Lo scoppio della prima guerra mondiale interruppe i lavori dell’edizione, che proseguì solo
all’inizio degli anni Venti. Questa edizione in dodici volumi
si concluse alla metà degli anni Trenta; il volume X,
contenente il testo dei corsi di etica, venne pubblicato, come
previsto originariamente, solo nel 1958, a cura di H. Nohl.
Se fino a quel momento ci si era preoccupati anzitutto di
presentare in forma conchiusa i testi e i libri essenziali già
pubblicati - con l’eccezione della biografia di Schleiermacher e
della raccolta Das Erlebnis und die Dichtung - a partire dal
volume VII si fece ricorso in misura crescente al lascito inedito
dell’ultimo Dilthey e lo si rese parzialmente noto. Sotto questo
profilo l’edizione non voleva essere un’edizione completa
storico-critica, ma si caratterizzava piuttosto come un’“edizione-officina” (K. Gründer), cioè un’edizione con cui gli
allievi tentavano di condurre l’opera del maestro ad una
conclusione che era rimasta preclusa all’autore.
All’edizione in dodici volumi seguì, come singola iniziativa
editoriale, la nuova edizione del Leben Schleiermachers, comprendente un tentativo di ricostruzione del proseguimento
dell’opera in base agli ampi materiali presenti nel lascito, a cura
di M. Redecker (1966-1970), prima che per iniziativa di K.
Gründer diventasse possibile proseguire il progetto delle
Gesammelte Schriften, con l’obiettivo primario di un’utilizzazione dell’intero lascito manoscritto al fine di poter
ricostruire in modo il più possibile affidabile le intenzioni
filosofico-scientifiche di Dilthey.
U. Herrmann raccolse anzitutto in tre volumi gli articoli sparsi,
redatti da Dilthey nel corso della sua attività di pubblicista.
Mentre qui, sotto il titolo Zur Geistesgeschichte des 19. Jahrhunderts venivano raggruppati in tre volumi (usciti rispettivamente
nel 1970, nel 1972 e nel 1974) testi già editi, e cioè schizzi
biografici, corrispondenze letterarie, brevi saggi e recensioni,
talora anonimi o firmati con pseudonimi, pubblicati da Dilthey
in giornali e riviste tra il 1858 e il 1908, nei volumi XVIII, XIX
e XXvenivano dati alle stampe quasi esclusivamente testi inediti
(soprattutto dal primo e medio periodo della sua attività), che
portavano ad una revisione non inessenziale dell’immagine che
sino ad allora si aveva di Dilthey. Con i volumi XVIII e XIX
veniva intrapresa una ricostruzione genetico-sistematica
della Einleitung in die Geisteswissenschaften, nella quale il
volume XVIII (Die Wissenschaften vom Menschen, der
Gesellschaft und der Geschichte, 1977), curato da H. Johach e F. Rodi, raccoglieva i lavori preliminari per la Einleitung. Questo volume presentava soprattutto testi di carattere
gnoseologico e psicologico, legati al cosiddetto “trattato del
Quando Wilhelm Dilthey moriva, il
primo ottobre 1911, a causa di un’infezione contratta durante una vacanza presso lo Haus Salegg a Seis am
Schlern, nel Sud-Tirolo, era senza
dubbio annoverato tra i più stimati e
influenti filosofi delle università tedi
desche. Il suo nome era però poco
Hans Ulrich Lessing
familiare ad un pubblico di più ampie
dimensioni, a cui egli era noto tutt’al
più per la sua celebre raccolta di saggi letterari Das Erlebnis und
die Dichtung (Esperienza vissuta e poesia, 1906), sulla quale si
sarebbero formate intere generazioni di germanisti. Nel mondo
scientifico il nome di Dilthey era legato soprattutto a opere come
il Leben Schleiermachers (Vita di Schleiermacher, 1870), la
grande biografia, che avrebbe fatto epoca, del più importante fra
i teologi protestanti moderni, la Einleitung in die Geisteswissenschaften (Introduzione alle scienze dello spirito, 1883), la
Jugendgeschichte Hegels (Storia della gioventù diHegel, 1905),
il saggio Der Aufbau der geschichtlichen Welt in den Geisteswissenschaften (La costruzione del mondo storico nelle scienze dello spirito, 1910), e inoltre ad un gran numero di importanti
studi e saggi di filologia, psicologia, pedagogia, poetologia,
storia della letteratura e della cultura, pubblicati in gran parte in
La DiltheyForschungsstelle
18
SCHEDA
1875”, Über das Studium der Geschichte der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und dem Staat (Sullo
studio della storia delle scienze dell’uomo, della società e
dello Stato), e inoltre una prima, ampia elaborazione della
psicologia descrittiva (ca. 1880). Il volume XIX (Grundlegung der Wissenschaften vom Menschen, der Gesellschaft und
der Geschichte, 1982), curato ancora da H. Johach e F. Rodi,
intraprese il tentativo di una ricostruzione della parte sistematica
del secondo volume della Einleitung in die Geisteswissenschaften sulla base dei molteplici materiali che erano stati conservati.
Il volume XX (Logik und System der philosophischen Wissenschaften), infine, curato da H.-U. Lessing e F. Rodi, offriva una
scelta rappresentativa della trascrizione delle lezioni diltheyane
di argomento sistematico, tra l’altro di quelle sulla logica e sul
sistema delle scienze filosofiche, sulla logica e la teoria della
conoscenza e sul sistema della filosofia, e completa così da
questo punto di vista la ricostruzione del contenuto sistematico del secondo volume della Einleitung.
Mentre il lavoro che dall’inizio degli anni Settanta si concretizzò
nel proseguimento delle Gesammelte Schriften ebbe un carattere per così dire obbligatoriamente “secondario”, il filosofo di
Bochum Frithjof Rodi - curatore dell’edizione, insieme a K.
Gründer, a partire dal volume XVIII - riuscì, in condizioni di
grande difficoltà e con un grande impegno personale, a dare
all’edizione delle opere di Dilthey un quadro istituzionale che
rendeva possibile una programmazione a più lunga scadenza.
Così, dal 1983 - l’anno in cui, con una serie di congressi
scientifici, venne ricordato il centocinquantesimo anniversario
della nascita di Dilthey - il lavoro all’edizione delle Gesammelte
Schriften veniva sostenuto da una Dilthey-Forschungsstelle
annessa all’Istituto di Filosofia dell’Università di Bochum.
Questo centro di ricerca è sostenuto finanziariamente dal 1985
come progetto di lunga durata dalla comunità tedesca della
ricerca scientifica. Il compito essenziale di questo piccolo
gruppo (sotto la direzione di Rodi lavorano al momento all’edizione tre collaboratori scientifici) è naturalmente, accanto all’ulteriore utilizzazione del lascito di Dilthey, soprattutto il proseguimento dell’edizione delle opere di Dilthey.
Per le «Gesammelte Schriften» è prevista un’edizione in circa
trenta volumi. I volumi XXI e XXII (Psychologie als Erfahrungswissenschaft, a cura di G. van Kerckhoven e H.-U. Lessing)
comprenderanno i testi dei corsi e i manoscritti di Dilthey sulla
psicologia. Il volume XXIII (a cura di G. Gebhardt e H.-U.
Lessing) conterrà il corso di Dilthey sulla storia della filosofia e
l’ultima redazione del suo Grundriss der allgemeinen Geschichte der Philosophie. Gli studi diltheyani sulla storia della
letteratura e sulla poesia verranno presentati, con il titolo Dichter
als Seher der Menschheit e Das Erlebnis und die Dichtung nei
volumi XXIV e XXV (a cura di G. Malsch). Il volume XXVI
(a cura di G. Kühne-Bertram e F. Rodi) è stato concepito come
integrazione al volume VII (Der Aufbau der geschichtlichen
Welt in den Geisteswissenschaften) e dovrà contenere, sotto il
titolo Späte Fragmente zur erkenntnistheoretischen Logik und
Lebensphilosophie, tutti i relativi manoscritti di carattere sistematico redatti da Dilthey a partire dalla metà degli anni novanta.
La conclusione dell’edizione sarà infine costituita dalla pubblicazione, in tre o quattro volumi, della corrispondenza diltheyana, a cura di K. Chr. Köhnke e H.-U. Lessing. È programmata
un’integrazione dell’edizione delle lettere con una serie di
“documenti sull’attività universitaria e accademica di Dilthey”, e con una relazione conclusiva, che conterrà anche un
indice completo dei materiali che fanno parte del lascito.
Per il mese di dicembre 1996 è annunciata la pubblicazione del
volume XXI, recante le Vorlesungen zur Psychologie und
Anthropologie (ca. 1875-1894) e contenente una documentazione ampia, ma il meno ridondante possibile, dell’attività
didattica di Dilthey a Breslavia e a Berlino, sulla base di tutte le
trascrizioni che si sono conservate dei suoi corsi sulla psicologia
e sull’antropologia nel periodo 1875-1894. Il volume successivo (Manuskripte zur Genese der deskriptiven Psychologie, ca.
1880-1896) tenterà, sulla base dei numerosi manoscritti di
ricerca, una ricostruzione genetico-sistematica della psicologia
diltheyana dai tardi anni settanta fino all’interruzione provvisoria, nel 1896, delle sue indagini di psicologia.
Accanto al lavoro ai singoli volumi dell’edizione, la DiltheyForschungsstelle collabora a diverse edizioni straniere dell’opera di Dilthey. Così F. Rodi cura, con R. Makkreel, la traduzione
americana (Selected Works), programmata in sei volumi, di cui
ne sono usciti finora due. Stretti contatti esistono con gli studiosi
che lavorano alla traduzione francese, diretta da S. Mesure e H.
Wismann, di cui sono finora stati pubblicati tre volumi, e con i
traduttori che progettano l’edizione russa. Vi sono inoltre stretti
collegamenti con traduttori e studiosi di Dilthey italiani e
giapponesi. In questo senso la Dilthey-Forschungsstelle di
Bochum è diventata un punto di passaggio di studiosi di Dilthey
tedeschi e stranieri. Qui sono a disposizione degli studiosi, tra
l’altro, fotocopie o prime trascrizioni di ampie parti non
ancora pubblicate del lascito e una raccolta della corrispondenza finora acquisita (circa duemila lettere).
Strettamente legato alla Dilthey-Forschungsstelle è il DiltheyJahrbuch für Philosophie und Geschichte der Geisteswissenschaften, curato da F. Rodi, di cui dal 1983 sono usciti nove
volumi. Esso non è solo una piattaforma della ricerca internazionale su Dilthey, ma anche uno spazio di discussione e documentazione su tutti gli aspetti che riguardano la teoria e la storia delle
scienze dello spirito. Accanto a contributi agli studi diltheyani,
alla pubblicazione e all’anticipazione di testi inediti e ad una
bibliografia continuamente aggiornata della letteratura secondaria su Dilthey, nello Jahrbuch si trovano studi dedicati alle più
diverse questioni filosofiche e storiche relative ad una teoria
delle scienze dello spirito, e in particolare studi e documentazioni sul complesso ambito delle relazioni tra la filosofia della vita
della scuola diltheyana di Göttingen e la fenomenologia. Gli
ultimi volumi avevano come centro tematico “Hans Lipps”
(vol. 6, 1989), “Josef König e Helmuth Plessner” (vol. 7, 199091), “Hans-Georg Gadamer” (vol. 8, 1992-93) e “La psicologia
di Dilthey” (vol. 9, 1994-95). Nella parte dello Jahrbuch relativa
alla documentazione sono state pubblicate in prima edizione, o
ripubblicate dopo il loro esaurimento, opere (e lettere) di
importanti autori, quali H. Lipps, M. Heidegger, J. König, H.
Plessner, H.-G. Gadamer, J. Ortega y Gasset e J. Ritter. L’ultimo
volume pubblicato (10, 1996) tratta attraverso saggi e
documentazioni il tema “Dilthey e Kant”.
Accanto a ulteriori ricerche storico-sistematiche sull’opera di
Dilthey l’interesse degli studiosi raccolti nella Dilthey-Forschungsstelle è recentemente rivolto in particolare all’indagine
della scuola di Dilthey (Misch, Nohl, Bollnow) e ai suoi rapporti
con la fenomenologia in senso ampio. I punti nodali del lavoro
sono tra l’altro costituiti dalle impostazioni di una logica ermeneutica in H. Lipps e in G. Misch, dalla filosofia di O.F. Bollnow,
dalla filosofia dei sensi di H. Plessner, da Heidegger e dall’ermeneutica filosofica di Gadamer.
19
AUTORI E IDEE
Réne Magritte, La reproduction interdite, (1937 part.)
20
AUTORI E IDEE
AUTORI E IDEE
Ricoeur: etica del Sé
e dell’Altro
Ne
LA CRITIQUE ET LA CONVICTION. ENTRE-
TIEN AVEC FRANÇOIS AZOUVI ET MARC DE
(La critica e la convinzione.
Intervista con François Azouvi e Marc
de Launay, Calmann-Lévy, Parigi 1995)
Paul Ricoeur accetta di svelare se stesso in un libro-intervista, il cui merito è
quello di ricostruirne il percorso intellettuale attraverso le opere, mostrando il filosofo impegnato ora su tematiche note, come l’insegnamento o la
politica, ora su tematiche decisamente nuove, come l’estetica o la memoria
collettiva. Sulla tematica del sé e dell’altro, di cui Ricoeur ci offre un’interpretazione fondamentale, interviene
Françoise Mies con uno studio dal titolo: DE L’AUTRE . ESSAI DE TYPOLOGIE (Sull’Altro. Saggio di tipologia, Presses
Universitaires de Namur, Namur 1995),
in cui il tema dell’alterità viene ripreso, a partire dagli insegnamenti di Ricoeur e, in particolare, di Levinas, con
l’intento di mettere in relazione la prospettiva puramente filosofica con quella teologica.
LAUNAY
Liberamente e con audacia, ne La critique et la conviction Paul Ricoeur parla
della sua infanzia, della sua gioventù,
austera e dominata dai libri; ricorda la
perdita dei suoi cari, in particolare il
suicidio del figlio Olivier: un dolore,
ripensato, accettato e combattuto, che
impregnerà tutte le sue riflessioni sul
male e sull’etica. Ma la vita di Ricoeur è
anche l’incontro con grandi personaggi
della filosofia, primo fra tutti Gabriel
Marcel, che lo influenzerà soprattutto
per la sua preoccupazione di un pensiero
vivente, a cui si aggiungeranno, tra i
colleghi e amici, Merleau-Ponty, Eliade, Gadamer.
Tra le varie esperienze di insegnamento, a Strasburgo, alla Sorbona, e a
Nanterre, quella di Chicago è per Ricoeur l’occasione per alcune riflessioni sul ruolo dell’insegnamento e sulla
sua pratica, ma anche sul pluriculturalismo, sulla political correctness e
l’importanza della vita associativa,
nella quale egli vede un modo interessante di sfuggire tanto allo Stato-nazione quanto al provincialismo.
In questa serie di colloqui Ricoeur coglie
anche l’occasione per chiarire la sua posizione nei confronti di Lacan e il rapporto
tra fenomenologia e psicoanalisi, rivolgendosi in particolare allo strutturalismo (da
cui la pubblicazione de La metafora viva)
pur restando ostile a ogni filosofia strutturalista (da qui il dibattito con Lévi-Strauss)
per via della limitata considerazione attribuita alla storia. Così, alla questione del
lettore Ricoeur dedica i tre volumi di Tempo e racconto. Questo modo di procedere,
d’altronde, è tipico in filosofia: «si può dire
che il tema del nuovo libro è decentrato
rispetto al precedente, ma con delle riprese
di soggetti già incontrati, già sfiorati o
anticipati attraverso soggetti precedenti.
Ciò che era stato un frammento diviene il
nuovo quadro, la totalità». È poi la volta di
Sé come un altro, che riprende il problema
dell’identità narrativa ponendo la questione dell’identità personale: chi parla, chi
agisce, chi racconta ecc. Da questo percorso di pensiero restano ancora in sospeso il
tema della memoria, in quanto coesione
della vita al di qua della coscienza, e quello
della memoria collettiva, che rappresenta
l’interesse attuale di Ricoeur.
Per quanto riguarda l’ambito della politica
Ricoeur considera il momento attuale intimamente contrassegnato da un’ambivalenza tra razionalità e violenza. In quest’ottica, la democrazia deve innanzitutto essere
pensata in rottura con l’autoritarismo, nella
ricerca di una fondazione non divina o
trascendente; poi esclusivamente in opposizione con il totalitarismo. In Devoir de
mémoire, devoir de justice (Dovere di memoria, dovere di giustizia) Ricoeur affronta il tema del diritto. Esso non si riduce né
alla morale, poiché implica una regola esteriore, né alla politica, poiché impone la
questione della legittimità che fonda la
questione del potere più di quanto non vi ci
si riduca. Per Ricoeur, il diritto è innanzitutto il diritto penale, che da una parte mette
fine al ciclo infernale della vendetta e che,
dall’altra, attraverso il processo, permette
una messa a distanza dell’aggressore dalla
vittima. Il secondo livello del giuridico,
molto più ampio, è quello del diritto civile,
21
irriducibile al primo. Qui Ricoeur introduce l’importante nozione di promessa, che
mette in gioco parola e atto. Vi è infine un
terzo livello, comprendente i primi due,
che consiste nella giustizia distributiva.
In ambito religioso Ricoeur è attualmente
impegnato, parallelamente alla sua opera
filosofica, in un lavoro di lettura e di meditazione dei testi biblici. Egli ha però sempre voluto distinguere i due approcci: «l’attitudine critica resterà nel momento filosofico, poiché il momento religioso non è in
quanto tale un momento critico; esso è un
momento di adesione ad una parola che si
crede venire da più lontano o da più in alto
di me». Essere religioso, osserva Ricoeur,
è scegliere di accettare una donazione anteriore a sé. D’altro lato, è necessaria una
ripresa, è necessario l’intermediario e la
distanza della scrittura, che è la testimonianza della pluralità di senso. Queste riflessioni sul dono di sé hanno una profonda
eco etica: se, come filosofo riflessivo, Ricoeur insiste sull’ipseità, come pensatore religioso è sensibile anche al distaccamento da sé. Da qui il tema della compassione, della sollecitudine, della pietà; ma anche i temi del rispetto e della
complementarità nel riconoscimento
dell’altro, in particolare fra giudaismo e
cristianesimo, e all’interno stesso delle
differenti confessioni cristiane.
Per quanto riguarda infine la problematica
artistica, assente nelle sue opere, Ricoeur
considera l’arte una rappresentazione mimetica. Soprattutto la musica, tra le arti,
permette di andare più lontano nella rappresentazione, creando in noi sentimenti
senza nome, assolutamente unici, formando un mood ogni volta proprio. Tutta la
creazione artistica, per Ricoeur, si costituisce proprio in questa singolarità di esperienza. Ritorna di nuovo qui la dimensione etica:
qualunque azione buona, qualunque attitudine coraggiosa o compassionevole, fatta
perché era ciò che bisognava fare in quella
situazione particolare, possiede una dimensione estetica. S.D. (trad. it. di M.C.)
Partendo da un brevissimo excursus sulla
fortuna del concetto di “altro” nella storia
della filosofia, di cui l’interpretazione di
Ricoeur rappresenta uno degli esiti recenti
più significativi, nel suo studio, De l’Autre,
AUTORI E IDEE
Françoise Mies introduce il temine allotité per indicare l’alterità che prende forma
per differenza o per contrapposizione dallo
sfondo, distinguendo due ordini di allotité:
quello cognitivo o speculativo e quello
della relazione duale e dialogica, i quali, a
loro volta, permettono di distinguere tra
individuo (l’alter ego, comparabile ad altri
individui) e ipseità (soggettività, volto, distanza assoluta). Differentemente dall’atteggiamento speculativo, nel rapporto personale o etico, osserva Mies, l’altro mi
chiama, mi provoca, mi elegge e io non ho
più il tempo per prenderne le distanze, per
valutare il grado di somiglianza, per vedere
in che misura i nostri diritti e i nostri doveri
reciproci si equivalgono, in che misura il
suo appello è falso o sincero. In questo tipo
di rapporto il tempo della coscienza e della
riflessione vengono aboliti.
Le caratteristiche dell’alterità che si evidenziano nel rapporto duale sono fondamentalmente la trascendenza, la resistenza, l’appello. Malgrado la sua presenza,
l’altro non è mai “evidente”. Realtà sfuggente, presenza che si assenta, la trascendenza dell’altro si manifesta innanzitutto
come esteriorità fisica; in secondo luogo
come esteriorità rispetto alla coscienza:
l’altro non riesce mai a essere avvolto totalmente dallo sguardo intenzionale. Infine,
l’altro è trascendente anche rispetto al
mondo e all’esperienza: l’altro non viene
sperimentato, così come si possono sperimentare le cose; viene conosciuto.
Se in Levinas la soggettività si costituisce come “rapporto senza rapporto”,
“attraverso l’altro e per l’altro”, Mies
propone di rileggere questa formula non
solo nella direzione della responsabilità,
ma anche dell’amore, in cui, secondo
Mies, avviene l’atto di elezione e, di
conseguenza, il passaggio dall’individualità all’ipseità. L’apertura sull’amore porta Mies a considerare quel rapporto con un’alterità del tutto particolare
che è la donna. La sua mistificazione e
quella del “Femminile”, l’esaltazione
della sua allotité esprimono non solo
l’omaggio ad un mistero, ma anche, sostiene Mies, il timore per il diverso, per
ciò che può apparire una minaccia. Parlando di Femminile, Levinas preferiva
parlare di Dimora - luogo di accoglienza
e dolcezza - piuttosto che di Volto. Secondo Mies, invece, è proprio nel rapporto duale con l’uomo e in particolare
nella relazione erotica che si instaura un
preciso momento etico, in cui «affetto e
parola sono sollecitati entrambi».
Nella seconda parte del suo studio Mies
prende in esame le cosiddette “alterità analoghe”, vale a dire l’alterità non più considerata come Altri (Autrui), ma come cosa,
natura, male, morte ecc. Il primo tipo di
“alterità analoga” che si offre alla riflessione è quella di Dio, l’unica che abbia ancora
le caratteristiche del soggetto. Per gli altri
tipi di alterità Mies preferisce usare il termine di hétérité, come nel caso di se stessi,
delle cose, della natura e del male. Del male
vengono dapprima sommariamente ricordati alcuni tentativi speculativi fatti dalla
filosofia per rendere ragione di questa realtà. Il male, sottolinea Mies, è innanzitutto
un evento, un qualcosa che non era previsto
e come tale presenta il carattere dell’“esteriorità”. In secondo luogo non lo si può
interamente debellare; quindi fa “resistenza”. Infine il male mi caratterizza, mi individua. L’hétérité del male è anche dell’altro che soffre; e io vengo toccato da questo
altro che soffre, sono “chiamato” a rispondere. M.C.
Su Hannah Arendt
In occasione del ventennale dalla morte di Hannah Arendt, sono stati pubblicati diversi studi sul suo pensiero,
tra cui la monografia HANNAH ARENDT
(Feltrinelli, Milano 1995), di Laura Boella, che analizza l’opera filosofica in
rapporto alla produzione politica e all’impegno attivo della pensatrice, e lo
studio di Ferruccio Focher, LA CONSAPEVOLEZZA DEI PRINCIPII (Franco Angeli, Milano 1995), che individua nel pensiero
di Arendt il recupero del modello politico dell’età classica.
Al di là di possibili eredità heideggeriane e
di echi metafisici o misticheggianti, Laura
Boella individua nel pensiero di Hannah
Arendt un preciso invito alla responsabilità dell’azione che ha luogo nello spazio
pubblico. In questo senso gli scritti di Arendt
rappresenterebbero il recupero della politica nella sua accezione originaria come azione comune degli uomini nello spazio intersoggettivo.
L’attenzione alla politica, osserva Boella,
permette ad Arendt di comprendere che
l’individuo riesce a realizzare la propria
progettualità istintiva ed emotiva solo nello spazio solipsistico, mentre non è in
grado di agire politicamente e nell’ambito
delle relazioni pubbliche. Il pensiero filosofico arendtiano fa tutt’uno con lo spazio
dell’iniziativa pratica e nella parabola
kafkiana, fa notare Boella, Arendt individua l’importanza dell’azione concreta dell’individuo costretto a contrastare il passato e il futuro. Il presente è lo spazio pubblico, il momento dell’azione e dell’iniziativa che apre l’individuo alla pluralità
politica e pubblica; in tal senso l’esempio di Achille, più volte riportato da
Arendt, indica non tanto l’ergersi dell’eroe greco sulla massa, quanto l’apertura dello spazio attivo dell’individuo
all’interno della polis. Anche nello studio su Eichmann e sulla “banalità del
male”, Arendt sembra indicare come le
azioni degli individui risalgano spesso a
luoghi comuni, a frasi semplici e ad
azioni scontate che, in ogni caso, costituiscono lo spazio pubblico: solo in que22
sto modo il pensiero diventa attivo e
perde quella parvenza di contemplazione distaccata che caratterizza la maggior
parte delle filosofie.
Lo studio di Ferruccio Focher individua specificatamente nel pensiero di
Hannah Arendt una ripresa del classicismo politico; in tal senso la filosofia
arendtiana rappresenterebbe una ripresa
dei valori e dei principi della polis greca,
ripensata in un’accezione pubblica moderna aperta ad un pensiero liberale. Fanno da
sfondo a questa concezione, nota Focher,
pensatori come Winkelmann, Goethe e
Nietzsche, che vedono nella Grecia antica
l’ideale di civiltà e vita pubblica, e i modelli
latini di Cicerone e Lucano, ancora alla
ricerca di una politica “pensata”.
La ripresa arendtiana della polis, osserva Focher, consiste, da un lato, nel recupero della distinzione tra pubblico e privato e, dall’altro, nell’esalazione della
phronesis aristotelica, ricostituitasi nel
giudizio riflettente kantiano. Per quanto
riguarda la distinzione tra pubblico e
privato, Arendt, sottolineando la necessità dell’homo faber, che è in grado di
trasformare in azione il proprio pensiero, indica nell’homo politicus il modello
di azione pubblica. Questi, infatti, agisce nello spazio pubblico in cui si effettua l’azione libera, che si distingue dall’azione necessaria in quanto rivolta alla
sopravvivenza tipica dello spazio privato. La confusione tra i due piani, sottolinea Focher, è ciò che per Arendt produce
il concetto generico di “sociale”, la cui
distorsione ha portato ai sistemi massificati e al totalitarismo.
Ma la polis greca è anche caratterizzata
dalla prudenza o saggezza aristotelica
che, al di là della sapienza intellettualistica degli universali, consiste nel sapersi comportare con gli altri nei singoli
episodi e nel particolare. In questo modo
la phronesis aristotelica assume l’aspetto più moderno nel concetto di gusto
descritto da Kant, che individua nel senso comune e nel giudizio riflettente la
capacità di relazionarsi e accordarsi con
gli altri nello spazio pubblico e nell’azione politica. In tal senso il modello proposto da Arendt non risale, secondo Focher, ad alcun paradigma politico in senso stretto. Ostile ai sistemi massificati
come il nazismo e il marxismo, Arendt
sembra accostarsi piuttosto ad una sorta
di liberalismo critico in cui l’azione dell’individuo viene esaltata nel suo totale
spazio d’azione. Per questo, riferendosi
anche a Socrate e alla ricerca individuale
e interiore, Arendt pone la possibilità di
una dialettica tra la libertà dell’individuo, principio e origine della propria
analisi speculativa, e lo spazio pubblico
in cui l’agire intersoggettivo costituisce
il punto di riferimento politico. A.S.
AUTORI E IDEE
Riflessioni filosofiche
in onore di Pala
Con il titolo: FILOSOFIA, SCIENZA, STORIA
(Franco Angeli, Milano 1995) sono stati raccolti, a cura di Antonio Cadeddu,
scritti di vari autori, in omaggio ad
Alberto Pala nel suo settantesimo compleanno, che ripercorrendo elementi
della sua attività filosofica, incentrata
principalmente su autori come Cartesio, Locke, Newton, Galilei, Marx,
Gramsci e Dewey, hanno affrontato
argomenti che vanno dalla questione
gnoseologica al significato della prova a priori, dall’esame delle questioni
etiche all’analisi delle teorie linguistiche e alla considerazione di tematiche
relative alla scienza.
Nel suo scritto, Oltre ‘la strategia del ragno’, Silvano Tagliabue, seguendo le analisi di Pala, mostra come, per Cartesio, la
filosofia costruisca “duplicati immaginari”
del mondo reale che si configurano come
rappresentazioni della realtà in modo molto simile alle favole. Nella prospettiva cartesiana, dunque, la rappresentazione ricopre un ruolo fondamentale, che può essere
collegato a quello che Dennet ha definito il
“teatro cartesiano”, che si basa sull’idea
che nel cervello si trovi un luogo centrale,
dove avviene l’esperienza cosciente. Maria Teresa Marcialis propone, invece, nel
suo saggio Dio e i talleri. Considerazioni in
margine alla prova a priori di Cartesio,
una lettura della prova a priori di Cartesio,
in base alla quale essa scaturirebbe dall’evidenza con cui nell’idea di Dio si palesa
la stessa esistenza divina. Pertanto, ciò che
dimostra l’esistenza divina non è l’inferenza logica, né il passaggio arbitrario dall’ambito delle idee a quello reale, ma «la
certezza connessa alla chiarezza e alla distinzione della conoscenza». Paradossalmente, l’esistenza divina può essere afferrata in tal senso solo attraverso l’intuizione
e dimostrata solo avvalendosi del procedimento analogico. La filosofia cartesiana
ritorna anche nello scritto di Elisabetta
Gola, Le metafore e il problema mentecorpo. Cartesianesimo ed anticartesianesimo nelle scienze cognitive e contemporanee, in cui viene messo in luce come le
concezioni cognitivistiche, considerando
il funzionamento mentale strettamente interdipendente con quello dell’organismo,
abbandonino la teoria fondata sulla separazione tra mente e corpo. In tale prospettiva
viene salvato sia il materialismo, collegato
con le proprietà biologiche e non con quelle
matematiche, sia il mentalismo, in armonia
con il funzionalismo e con la filosofia cartesiana.
Nel suo saggio Newtonianesimo e scienze
della mente. George Boole e le leggi del
pensiero Gian Piero Storari mette in evidenza come la teoria di Boole determini
una modificazione dei parametri epistemologici in relazione all’esame dei fenomeni
mentali. Il fatto che Boole abbia predisposto un “linguaggio formale” consente, infatti, di stabilire chiaramente le relazioni
tra i fenomeni mentali, senza dover ricorrere alla conoscenza della loro essenza. Secondo Storari, Boole rivela di aver compreso in modo profondo come la matematica,
considerata come «metodo generale di analisi dei fenomeni naturali», abbia operato
all’interno della metodologia newtoniana.
Nell’ambito delle riflessioni sulla scienza
si colloca anche lo scritto di Giancarlo
Nonnoi, Galilei e Pascal, idee ed esperienze, in cui viene dimostrato come l’aspetto
fondamentale della teoria di Galileo sia
costituito dallo «spostamento dell’orientamento esplicativo dal piano dei principi a
quello delle forze», consentendo l’abbandono dell’antico principio privativo. Come
appunto mostra Michele Camerota nel
suo scritto Virtù calamitica: analogia magnetica e ruolo dell’aria nella teoria galileiana degli ‘argineti’ (1612), Galileo elaborò la teoria dell’analogia magnetica per
cercare di spiegare i motivi del galleggiamento di falde di materia più pesante dell’acqua.
Tra gli interventi di carattere scientifico
può essere annoverato anche quello di
Antonio Cadeddu, Scienza e filosofia in
Francia in seguito alla diffusione della
teoria darwiniana (1851-70), che mette in
risalto come l’introduzione in Francia della
teoria di Darwin abbia determinato un
acceso dibattito, soprattutto da parte dei
sostenitori della metafisica spiritualistica.
Conseguenza rilevante della diffusione del
darwinismo in Francia è anche il legame
che venne stabilendosi tra il perfezionamento della specie in rapporto alle condizioni ambientali e la tematica specificamente filosofica del progresso.
Con uno scritto dal titolo: Note sulla epistolica ‘De historia etymologica. Dissertatio’ di G.W. Leibniz (1712?), Stefano Gensini sottolinea come in quest’opera si possa
prendere in esame la riflessione di Leibniz
sull’origine del linguaggio. La concezione
linguistica leibniziana si oppone alle teorie
linguistiche che pretendono di ricondurre
le diverse lingue ad un fondamento unitario, rappresentato da una lingua perfetta,
sia essa quella ebraica o quella greca. Per
Leibniz, le lingue hanno un’origine “imitativo-analogica” poiché i primi uomini emisero dei suoni onomatopeici per reagire
agli stimoli di una natura estranea. Ne risulta così un’interpretazione storicistica del
problema della formazione della lingua, di
cui Leibniz individua il precursore in Platone. Alberto Granese mostra, invece, nel
suo scritto Paul Valéry e la filosofia (la
filosofia del linguaggio di Paul Valéry),
come sia possibile ritrovare in Paul Valéry
una filosofia del linguaggio che tende a
ricondurre i problemi filosofici ad “abusi
linguistici”. Nella prospettiva di Valéry si
giunge alla conclusione paradossale che «il
dire poetico altamente formalizzato e astraente quasi compiaciuto della sua impene23
trabile essenzialità e delle sue virtù non
comunicative porta nelle vicinanze del reale più di quanto non faccia la filosofia».
Tra gli scritti dedicati a questioni etiche,
quello di Paola Dessì, L’incubo dell’automa, mostra come la questione del rapporto
tra determinismo e libertà abbia arrovellato
le riflessioni filosofiche senza ottenere risultati definitivi e risolutivi, mentre quello
di Pietro Melis, Morale e diritto, mette in
evidenza come nell’ambito delle riflessioni etiche il problema principale non sia
tanto quello di dimostrare se tra convenzione o natura sia più veritiera l’una o l’altra
interpretazione, ma di valutare le conseguenze che derivererebbero dalla negazione dei diritti naturali. Se a livello scientifico il convenzionalismo si rivela più credibile, osserva Melis, a livello morale appare
meno convincente nelle sue conseguenze
in quanto dovrebbe accettare come fatto
naturale «che la natura distrugga se stessa». Enrico Rambaldi, invece, nel suo saggio Invidia e uguaglianza in Marx e Rawls,
fa notare che se Marx si dedica di più all’analisi degli aspetti storici delle passioni e
quindi dell’invidia, l’indagine di Rawls è
basata sulla considerazione razionale a priori della natura umana, prestandosi maggiormente a deviazioni utopistiche. M.Mi.
Le origini della teologia
dialettica di Barth
Con KARL BARTH’S CRITICALLY REALISTIC DIALECTICAL THEOLOGY . ITS GENESIS AND DEVELOPMENT 1909-1936 (La teologia dialettica critico-realistica di Karl Barth.
Genesi e sviluppo 1909-1936, Oxford
University Press, Oxford 1995) Bruce
L. McCormack si propone di analizzare
le origini del pensiero di Karl Barth,
concentrando la sua attenzione sulla
seconda edizione del Commento alla
“Lettera ai Romani” di Paolo, nella
quale Barth sostiene con grande energia la tesi dell’assoluta alterità di Dio e
del suo regno rispetto all’uomo e al
mondo empirico. Secondo McCormack, questa tesi fu suggerita a Barth
dalla contemplazione della miseria e
dell’ingiustizia sociale presenti nella
Svizzera del primo dopoguerra.
La filosofia di Karl Barth è generalmente
collegata a quella rinascita kierkegaardiana
che ebbe luogo negli anni immediatamente
successivi al primo conflitto mondiale. L’affermazione dell’assoluta alterità di Dio e del
suo mondo rispetto all’umanità e al mondo
empirico e la tesi dell’impossibilità per l’uomo di comprendere Dio sono infatti facilmente rintracciabili anche in Kierkegaard.
Ciò che però caratterizza Barth è la capacità di rendere particolarmente visibile il
legame tra teologia e vita quotidiana.
Con l’intento di risalire alle origini della
AUTORI E IDEE
teologia dialettica di Barth, l’analisi di
McCormack si concentra sulla prima fase
dell’attività del filosofo, cioè il periodo che
va dal 1909 al 1936, e in particolare sulla
seconda edizione del Commento alla Lettera ai Romani di Paolo di Tarso. Nel clima
teologico-ermeneutico di Marburgo, che
vedeva l’affermarsi dell’epistemologia neokantiana di Hermann Cohen, Barth sceglie di dedicarsi alla denuncia della miseria
e dell’ingiustizia sociale del tempo; la dottrina dell’assoluta alterità di Dio, osserva
McCormack, deriva proprio dalla constatazione di quella miseria, che fa del mondo
della storia solo un mondo di apparenza.
Questa completa dicotomia tra il mondo
empirico e la sua fonte divina spinge poi
Barth a sostenere l’impossibilità di una via
epistemologica che ci porti dall’uomo a
Dio. Solo Dio può permetterci questo incontro; esso avviene infatti solo nella persona di Gesù, strumento scelto da Dio per
rivelarsi all’uomo.
Escatologia come processo è la definizione
con cui McCormack cerca di chiarire il
postulato di Barth della presenza di Dio
nella Rivelazione, nel nostro sforzarci verso un’umanità radicalmente nuova, dove
non ci sia più ingiustizia, come una realtà
“nella” storia e non “della” storia. Questa
esigenza di evidenziare l’assoluta alterità
di Dio, sottolinea McCormack, si esprime
nel fatto che per Barth Dio è eterno, non
infinito, in quanto l’infinito rimanda sempre al finito; per la stessa ragione Egli non
è Causa, ma Origine. L’Essere di Dio sta al
di là della linea della morte, che separa
l’universo della temporalità, dell’umanità
dall’eterno. Questa completa separazione,
questa distanza è all’origine dell’inintuibilità di Dio. L’uomo non può comprendere
o rappresentare Dio; l’unico modo in cui è
possibile avvicinarsi a Lui è la Rivelazione, che dipende dall’iniziativa divina e si
serve di Gesù come strumento. Al di là di
questo l’uomo non può andare, poiché un
Dio comprensibile sarebbe un “non-Dio”,
il dio di questo mondo. La rivelazione di
Dio dev’essere indiretta, velata.
In nessuna delle opere posteriori la meditazione di Barth raggiunge, secondo McCormack, la forza, l’immediatezza che
contraddistinguono la seconda versione
del Commento a Paolo. Nel decennio
successivo alla sua composizione, Barth
si interroga sulla vera natura della teologia, arrivando alla celebre affermazione: «Come teologi dovremmo parlare di
Dio. Tuttavia noi siamo umani e, come
tali, non possiamo parlare di Dio. Dovremmo riconoscere sia il nostro dovere
che la nostra impotenza e con questo
riconoscimento dare a Dio la gloria».
McCormack chiude la sua analisi con
la considerazione dei primi lavori preparatori alla stesura della Dogmatica,
da cui trae la difficile domanda: cosa
significa essere moderni nell’ambito
della teologia? A.R .
Possibilità della metafisica
Una proposta di rifondazione della
metafisica è quella contenuta ne IL
PUNTO DI PARTENZA DELLA METAFISICA
(Vita e Pensiero, Milano 1995), in cui
Joseph Maréchal si propone di superare i limiti formali della filosofia
critica kantiana attraverso una rivisitazione dell’epistemologia tomista, che riconosce un elemento oggettivo alla base della conoscenza,
senza tuttavia incorrere in una qualche forma di ontologismo. Un’ulteriore ipotesi di ripensamento della
metafisica è quella che ci proviene
dal volume a cura di Battista Mondin, ERMENEUTICA E METAFISICA. POSSIBILITÀ DI UN DIALOGO (Città Nuova, Roma
1996) in cui vari autori analizzano il
legame tra metafisica ed ermeneutica considerando quest’ultima come
il completamento necessario della
stessa metafisica.
Nel suo studio Joseph Maréchal si propone di individuare gli elementi comuni
tra la filosofia scolastica tradizionale e
la filosofia critica di ispirazione kantiana con lo scopo di fondare una nuova
metafisica. Kant, osserva Maréchal,
dopo aver rivalutato l’intelletto contro
gli empiristi, difendendolo dalle critiche
degli ontologisti, non seppe scorgere «la
continuità profonda dell’intelligenza
concettuale con la ragione trascendente,
speculativa e pratica», approdando di
conseguenza ad una forma di agnosticismo, dovuta ad una visione troppo formale e statica della conoscenza, priva di
una finalità dinamica. In questa prospettiva, Fichte, attribuendo all’a priori un
significato non solamente formale, ma
anche dinamico, introdusse un elemento
necessario per correggere il trascendentalismo statico, pur rimanendo legato
agli schemi del razionalismo.
Secondo Maréchal, è invece possibile
rivalutare le componenti innovative dell’idealismo trascendentale, instaurando
un’epistemologia che, se, da un lato,
rivela le pretese illusorie della ragione,
dall’altro afferma la superiorità di quest’ultima sull’ “intelletto astrattivo”. A
questa esigenza può rispondere in modo
adeguato l’aristotelismo tomista, conformandosi alle componenti critiche della
filosofia moderna. Infatti, fa notare Maréchal, in ogni conoscenza oggettiva è
implicita una “posizione d’essere”, che
Kant non ha compreso, sostenendo che
tutti i concetti umani, in quanto schemi
trascendentali della materia, sono caratterizzati da un elemento fenomenico e
relativo. Se l’oggetto diretto della conoscenza dell’uomo è fenomenico in relazione all’attività rappresentativa, è tuttavia “noumenico” in relazione al suo
significato oggettivo. In questo modo il
kantismo viene liberato dal suo agnosti24
cismo, senza tuttavia ricadere in una
qualche forma di ontologismo. In tal
senso, Kant non avrebbe demolito ogni
tipo di metafisica, ma avrebbe solamente mostrato l’inconsistenza di ogni dogmatismo metafisico. Rispetto a quella
kantiana, aggiunge Maréchal, l’epistemologia tomista rivela la sua validità
nell’eliminare ogni separazione tra vita
e coscienza, tra attività e speculazione;
separazione che è alla radice di molti
problemi dell’epistemologia moderna.
Alla questione metafisica, e in particolare al rapporto tra metafisica ed ermeneutica, sono dedicati i contributi di vari
autori presenti in Ermeneutica e metafisica. Possibilità di un dialogo. Scopo
generale dei vari interventi, come indica
Aniceto Molinaro nel suo scritto, Metafisica ed ermeneutica in dialogo, è mostrare come l’ermeneutica non debba
essere considerata contrapposta alla
metafisica, ma ne costituisca il necessario complemento. Anche Gaspare Mura,
nel suo intervento su Ermeneutica, verità, metafisica, mette in rilievo come sia
necessario evitare di opporre la metafisica all’ermeneutica, sottolineando l’inadeguatezza di un’ermeneutica filosofica
che non sappia fornire una base di verità
alla stessa interpretazione.
Nel suo contributo, Ermeneutica e metafisica in Aristotele, Enrico Berti mette
in evidenza come nello scritto Perì Ermeneios di Aristotele si possa rintracciare un vero e proprio trattato di ermeneutica, laddove vengono enucleate le
condizioni che rendono possibile l’interpretabilità del discorso composto da
nome e verbo. Questa ermeneutica diventa metafisica classica nella misura in
cui l’unico vero discorso è quello che
esprime la realtà dell’essere. D’altra parte, come rileva Luigi Alici nel suo scritto Ermeneutica e metafisica in S. Agostino, è Agostino che consente di attuare
un collegamento tra ermeneutica e metafisica, riconoscendo «una realtà ordinata in senso onto-assiologico e dotata di
un proprio statuto intenzionale». In Agostino, la componente ermeneutica è basata su una concezione semiologica che
considera il segno linguistico come signum datum e, quindi, come un fattore di
legame tra la cosa e la voluntas significandi. Per questo, sottolinea Alici, l’agostinismo può raccogliere la “sfida” ermeneutica contemporanea, mettendo in
rilievo il senso del mistero e del limite
dell’uomo nelle sue componenti religiose e metafisiche.
Nel suo intervento, L’ermeneutica filosofica e teologica di San Tommaso, Battista Mondin mette in rilievo come il
legame tra metafisica ed ermeneutica in
Tommaso si basi sul rapporto stretto tra
linguaggio, pensiero e realtà: «Il linguaggio significa immediatamente il
pensiero e questo significa immediatamente la realtà». Per Schleiermacher,
AUTORI E IDEE
come sottolinea invece Roberto Osculati nel suo scritto Ermeneutica, filosofia, teologia in Schleiermacher, l’ermeneutica è «critica e autocritica» che si
pone come obiettivo la libertà, la storicità e la socialità. Kierkegaard, d’altra
parte, come mostra Mariano Fazio intervenendo su Kierkegaard: un’ermeneutica possibile, presenta un’ermeneutica basata sulla categoria del singolo
che si propone di delineare il modo migliore per divenire cristiani. Per Giorgio
Penzo, che interviene con lo scritto Il
superuomo come maschera del divino:
secondo l’ermeneutica di F. Nietzsche,
l’attività filosofica di Nietzsche, come
quella di Kierkegaard, è di tipo teologico, dove, però, la fede in Dio si basa
sulla demolizione di ogni fondamento,
dal momento che l’unico fondamento
possibile è il nulla. Per Vittorio Possenti, a cui si deve il saggio Ermeneutica,
metafisica e nichilismo in Heidegger,
l’opera di Heidegger rappresenta una
«confessione di problematicismo ontologico intrinseco». Un’ontologia di natura ermeneutica che conferisca un ruolo
primario all’analitica dell’essere deve
necessariamente accantonare il problema fondamentale della conoscenza reale
dell’essere. M.Mi.
Logica, estetica,
antropologia filosofica
Anche in Italia si è di recente sviluppato un interesse per l’opera di autori come Georg Misch, Hans Lipps e
Helmuth Plessner, accomunati, nella differenza delle rispettive posizioni, dal riferimento al pensiero di
Dilthey. Questo interesse risulta ora
documentato dagli studi di Giovanni Matteucci, IMMAGINI DELLA VITA. LOGICA ED ESTETICA A PARTIRE DA DILTHEY
(Clueb, Bologna 1995), e di Salvatore Giammusso, POTERE E COMPRENDE RE . LA QUESTIONE DELL ’ ESPERIENZA STORICA E L ’ OPERA DI HELMUTH PLESSNER (Guerini e Associati, Milano 1995).
Il pensiero di autori come Georg Misch,
Hans Lipps e Helmuth Plessner continua a suscitare l’interesse degli studiosi
tedeschi. Nel corso di questi ultimi anni
vi è stata, da una parte, un’intensa attività di ricerca filologica, che ha condotto
alla pubblicazione dei corsi di logica di
Misch, del Carteggio Plessner-König e
di alcuni scritti inediti di König; dall’altra questi autori, a partire dagli Studi
sull’ermeneutica di O. F. Bollnow, sono
stati e sono tuttora oggetto di saggi e di
studi storico-critici, tra i quali ricordiamo qui almeno quelli raccolti da Frithjof Rodi in ‘Conoscenza del conosciuto’. Sull’ermeneutica del XIX e XX
secolo (Franco Angeli, Milano 1996).
Di un crescente interesse anche in Italia
per questi autori testimonia lo studio di
Giovanni Matteucci, che non si prefigge di offrire «una ricostruzione storica o
una riabilitazione anacronistica del pensiero ispirato a Dilthey», ma intende
«trovare un accesso a temi e questioni
particolari, mettendo a frutto le indicazioni offerte da tale pensiero». Partendo
dalla concezione diltheyana, che intende la finitezza umana non alla stregua di
un dato naturale, ma come condizione
storica, Matteucci indica nella “poieticità”, nel fatto che ogni atto umano «rimanda sempre a qualcosa di ulteriore»,
la peculiarità dell’essere umano. Mettendo in primo piano il tema delle “immagini della vita”, Matteucci intende
caratterizzare in primo luogo l’anti-intellettualismo di Dilthey, per il quale il
pensiero, derivando dallo “sfondo” della vita, non può pretendere di trasformare la vita in un contenuto obiettivo. Da
qui l’esigenza di sostituire il concetto
con l’immagine e di ridefinire in questo
modo i rapporti «tra sensibilità e intellettualità, ossia tra aisthesis e kategorein». In questa prospettiva, Matteucci
giunge da una parte a discutere criticamente gli esiti della dottrina kantiana
dello schematismo trascendentale e di
quella del giudizio riflettente, dall’altra
individua un legame tra la dottrina del
significato, sviluppata da Dilthey e da
Misch, e il problema di un superamento
delle astrattezze della concezione kantiana della ragione alla luce della diltheyana “critica della ragione storica”.
Nei tre capitoli che compongono la prima parte del suo studio, Matteucci analizza gli scritti di Dilthey utilizzando
come filo conduttore la dottrina del significato: centrali sono qui i temi del
rapporto tra estetica e logica e tra estetica e poetica, la dottrina diltheyana delle
categorie della vita e il concetto mischiano del “determinato-indeterminato” come categoria specifica di una logica “ermeneutica”. La seconda parte considera alcune prospettive che si aprono a
partire da quella che Matteucci definisce
la “riflessione logico-estetica” di Dilthey. Il quarto capitolo (“Logica ermeneutica e significatività”), in particolare, mette in luce diversi aspetti dell’“esteticità” del fenomeno logico; qui
svolge un ruolo portante l’analisi della
concezione di una “logica ermeneutica”
sviluppata da Misch e da Hans Lipps nel
corso degli anni Venti. In modo complementare, il quinto capitolo (“La ‘comprensione’ tra ermeneutica e critica”)
considera il problema della “strutturazione logica del momento estetico dell’esperienza”. Un tema importante di
quest’ultimo capitolo è la delineazione
dei motivi di contrasto tra la concezione
del comprendere che ha la propria origine in Hans-Georg Gadamer e una con25
cezione del comprendere mutuata dalla
prospettiva diltheyana, mischiana e lippsiana di una riflessione sulla vita.
A queste analisi fa riscontro lo studio
di Salvatore Giammusso, che prende
le mosse dalla domanda sul rapporto
dell’essere umano con il mondo storico. Nel tentativo di sottrarla ai rischi
del relativismo e dello scientismo,
questa domanda diventa quella relativa alla possibilità di una riflessione
filosofica sulla storia nell’età del “disincanto”. Il problema è qui quello di
determinare i concetti di “storicità” e
di “comprendere” in modo da tener
fermo l’“illuminismo storicistico”, ma
trovando al tempo stesso delle possibilità alternative allo scientismo e al
relativismo. Nello studio di Giammusso diventa pertanto centrale il problema della “significatività”, in particolare quello «di riscoprire una significatività non teleologica dell’esperienza della storia».
La parte principale di questo studio
offre un’interpretazione dell’antropologia filosofica di Plessner nel tentativo di mettere in luce i motivi di interesse filosofico dell’opera plessneriana in rapporto ai problemi del moderno e dell’esperienza storica. In tal senso appaiono rilevanti il tentativo plessneriano di sviluppare una ricerca antropologico-filosofica nella direzione
di un superamento dei limiti del pensiero kantiano; il problema di fondare
la scienza dell’uomo alla luce delle
indicazioni della fenomenologia e di
una filosofia della natura; la ripresa di
motivi della Lebensphilosophie di Dilthey filtrata attraverso l’interpretazione di Misch; l’influsso della “logica di
Gottinga” di Misch, Lipps e König.
Plessner appare così a Giammusso
come “un geniale outsider”, nella cui
opera si riflettono problemi e strumenti analitici dello storicismo, della
fenomenologia, dell’ermeneutica, della Lebensphilosophie, della sociologia della conoscenza e del marxismo
inteso in senso non dogmatico.
Giammusso sviluppa l’analisi dell’opera plessneriana in base ai tre problemi fondamentali del “moderno”,
della “storicità”, del “comprendere”.
Il primo capitolo (“Il senso del moderno”) considera soprattutto gli scritti
che precedono l’opera Die Stufen des
Organischen und der Mensch (I livelli
del mondo organico e l’essere umano,
1928), ma offre già una interpretazione d’insieme dell’opera plessneriana,
mettendone in luce l’impianto storicistico di fondo. In Plessner, osserva
Giammusso, coscienza storica e obiettività scientifica non si escludono, ma
si implicano reciprocamente all’interno di una considerazione filosofica
della modernità che cerca «strumenti
per correggere alcuni aspetti patologi-
AUTORI E IDEE
Saggi di filosofia morale
In una nuova raccolta di scritti, MAKING
SENSE OF HUMANITY AND OTHER PHILOSOPHICAL PAPERS (Capire l’umanità e altri scritti filosofici, Cambridge University Press,
Cambridge 1995), Bernard Williams approfondisce alcuni temi classici della
sua riflessione morale: dall’analisi del
conflitto alla critica dei sistemi morali
moderni, basati su impianti riduzionistici e tendenti alla pretesa di fornire
verità ultime di tipo quasi teologico. La
filosofia di Williams è oggetto d’analisi
di un volume collettaneo, curato da
J.E.J. Altham e Ross Harrison, WORLD,
MIND AND ETHICS. ESSAYS ON THE ETHICAL
PHILOSOPHY OF BERNARD WILLIAMS (Mondo,
mente ed etica. Saggi sulla filosofia
morale di Bernard Williams, Cambridge University Press, Cambridge 1995),
contenente anche un importante saggio di replica dello stesso Williams alle
obiezioni avanzategli. A queste tematiche fa riscontro uno studio di Charles
Taylor, PHILOSOPHICAL ARGUMENTS (Argomenti filosofici, Harvard University
Press, Harvard 1995), in cui la dimensione morale e sociale s’intreccia con una
critica dell’epistemologia.
Bambino eritreo
ci generati dagli stessi processi di modernizzazione». Nel secondo capitolo
(“La comprensione del potere”) viene
in primo piano l’analisi della teoria
plessneriana della storicità, da Die
Grenzen der Gemeinschaft (I confini
della comunità, 1924) fino a Macht
und menschliche Natur (Potere e natura umana, 1931), da cui emerge l’importanza della corporeità nella concezione plessneriana della vita storica,
unitamente al legame tra concetto di
storicità ed esperienza concreta dell’estraneità. Nel terzo capitolo (“Il
potere del comprendere”) viene considerata la teoria ermeneutica di Plessner, tanto sotto il profilo antropologico, con riferimento a Die Einheit
der Sinne (L’unità dei sensi, 1923) e a
Die Deutung des mimischen Ausdrucks
(L’interpretazione dell’espressione
mimica, 1925), quanto sotto quello
storico. Estendendo l’àmbito del comprendere dalla comprensione dei testi
e delle espressioni linguistiche all’intera sfera del comportamento umano e
della corporeità, Plessner propone un
paradigma del comprendere che, secondo Giammusso, si propone «come
anello di raccordo tra approccio ermeneutico e fenomenologico».
Alla questione di come sia possibile
«trasformare il concetto di antropologia e porlo in relazione a quello di una
filosofia della storia come teoria dell’esperienza storica in senso pratico»
è dedicato il quarto e ultimo capitolo
(“Il potere del comprendere e la comprensione del potere: la questione di
un’ermeneutica pratica”), che, intende delineare la concezione di una filosofia della storia come “ermeneutica
pratica”, cioè come «fenomenologia
dell’esperienza storica in senso pratico». M.M.
26
Con Making Sense of Humanity abbiamo a
disposizione un’altra raccolta di saggi di
Bernard Williams, dopo quelli già apparsi
nel 1985 e nel 1993, in cui emergono in
modo evidente la sua critica del pensiero
morale moderno e la sua concezione della
natura e delle possibilità di una vita etica.
Anche in questi saggi Williams ribadisce
come la filosofia morale debba rispettare la
complessità dei fenomeni etici, così come
questi vengono effettivamente esperiti. La
moralità rappresenta un problema non solo
dal punto di vista dei contenuti, ma anche da
quello della sua esistenza come dimensione
di ragione pratica o di valutazione sociale. In
quest’ottica, un’analisi del conflitto morale
richiede, secondo Williams, l’uso di una
concezione psicologica realistica delle motivazioni umane; inoltre, una filosofia morale
efficace deve essere in grado di render conto
non solo dell’elemento psicologico, ma anche di tutti i campi del sapere, in particolare
della storia, da cui si può trarre un contributo
alla comprensione dell’essere umano.
Una delle principali obiezioni di Williams ai
sistemi morali è che questi si basano su
impianti riduzionistici, che li portano ad
analizzare concetti ad un livello troppo astratto e generico (“il bene”, “il giusto”, “il dovere”), imponendo così una struttura ipersemplificata al pensiero etico che annulla la
complessità dei concetti inerenti all’ambito
dell’etica. Inoltre, i giudizi derivanti da un
sistema morale non rientrano nel campo
delle verità obiettive, in quanto la loro applicazione pratica è comunque determinata dalla
realtà in cui vengono applicati. In definitiva,
i sistemi morali si basano, secondo Williams, su una radicale distinzione fra morale
AUTORI E IDEE
e non morale priva di fondamento: non ci
sono verità etiche definitive; considerare i
nostri valori come verità ultime è non solo
una forma di superstizione, ma un elemento
di debolezza.
Questi fondamentali elementi della teoria di
Williams sono al centro dei nove saggi presenti nel volume collettaneo World, Mind
and Ethics, dove l’obiezione più forte rivolta
a Williams è, in alcuni casi, quella di aver
delineato una critica puramente negativa
nell’interpretare la richiesta filosofica di una
teoria morale sistematica come pretesa moralistica e oppressiva. A questa obiezione
Williams replica, nel volume in questione,
sostenendo che la distruzione filosofica delle teorie morali non deve necessariamente
portare come conseguenza ad una distruzione di parte della nostra consapevolezza morale. Inoltre, osserva Williams, l’uso di concetti morali avviene non in base alla conoscenza della loro assoluta desiderabilità, ma
deriva dalla nostra abitudine e confidenza
con essi, laddove i sistemi morali pretendono di dare qualcosa di più, fornendo il conforto di una verità ultima.
In Philosophical Arguments Charles Taylor
riprende temi di filosofia morale e di critica
comunitaria del liberalismo a partire dalla
critica del progetto epistemologico, originatosi con Cartesio e sviluppatosi fino alla fine
del nostro secolo secondo due principali
varianti, il razionalismo e l’empirismo, la cui
pretesa è stata quella di fondare la conoscenza nell’esperienza del soggetto individuale.
La proposta di Taylor si pone invece più
vicino alle posizioni di Heidegger, Merleau-Ponty e Wittgenstein, per i quali la
conoscenza è il possesso di un soggetto
incarnato che interagisce con altri soggetti.
Per evitare tuttavia di cadere nel convenzionalismo, o in tesi vicine al soggettivismo di
Foucault, Derrida o di altri esponenti del
postmodernismo, Taylor sostiene che sebbene alcuni schemi concettuali ci forniscano
una maggiore comprensione della realtà, ciò
non avviene in un’ottica pragmatica, in quanto la loro riuscita cambia da una comunità
all’altra.
In Taylor la critica epistemologica è correlata al discorso filosofico morale e a quello
politico. Egli individua infatti uno stretto
legame fra il progetto epistemologico sopra
criticato e una visione atomistica della società, in cui individui scissi costituiscono ciascuno una fonte separata di conoscenza e di
valori. Questa società è permeata da una
visione naturalistica dell’etica in cui scompaiono quelli che Taylor definisce i “principi
forti”, per lasciare spazio ai desideri e alle
volontà atomistiche che di fatto si palesano
nella realtà sociale. Dal punto di vista politico,
questa situazione conduce ad una forma di
liberalismo che Taylor definisce “procedurale”, in cui le società liberali non sono altro che
arene in cui i privati individui sono liberi di
perseguire i propri obiettivi rapportandosi gli
uni con gli altri solamente tramite strutture
legali e forme elitarie di politica in cui i cittadini
comuni non hanno voce in capitolo. M.B.
Dialogo sulla morale
tra Oriente e Occidente
Nella morale occidentale il rapporto
tra il sentimento e la ragione appare
problematico. Sentimenti ed emozioni, scatenate dalla presenza dell’altro
o da una minaccia che ne investe l’esistenza, sono spesso la vera causa che
spinge l’essere umano all’azione. Se
questo legame immediato che ci unisce agli altri appare difficilmente giustificabile a partire dalle categorie classiche del pensiero occidentale, una
possibile alternativa ci viene dalla proposta di François Jullien in FONDER LA
MORALE. DIALOGUE DE MENCIUS AVEC UN
PHILOSOPHE DES LUMIÈRES (Fondare la
morale. Dialogo di Mencius con un
filosofo dei lumi, Grasset, Parigi 1996).
Si deve al filosofo cinese Mencius, allievo di
Confucio, l’aver sviluppato una precisa me-
ditazione sul tema del “fare qualcosa”, all’interno della quale l’enigma di un sentimento come la pietà scompare. Qui l’individuo non viene infatti concepito come un
qualcosa di chiuso e irrelato, ma come parte
di un’interazione e di un processo: l’impulso
alla pietà nasce dalla comune partecipazione
degli uomini alla vita che, minacciata nell’altro, reagisce in me.
Per Mencius, osserva François Jullien, la
pietà è un punto di partenza, il germe di una
possibile virtù umana che si tratta di coltivare ed estendere alla totalità delle azioni. In
questo senso, pur essendo una manifestazione irriflessa, può porsi come fondamento
della morale. Tuttavia, sarebbe errato interpretare questa prospettiva sullo sfondo della
concezione occidentale di una volontà individuale libera, che impone alle cose le decisioni della coscienza; la filosofia cinese ignora
infatti ogni opposizione tra mondo e coscienza, tra desiderio e azione. Ma anche
senza le nozioni di libertà e di coscienza
Ritratto di Confucio, 1734
27
AUTORI E IDEE
autonoma, fa notare Jullien, è possibile fondare la morale nella misura in cui la tensione
etica dell’uomo non sia in alcun modo separata dal corso del mondo e dal suo andamento. Il mondo vegetale può essere assunto
come modello del rapporto tra il soggetto e la
sua umanità: si tratta di assecondare lo sviluppo naturale attraverso poche azioni, fatte
al momento giusto.
Jullien sceglie la forma del dialogo per mettere a confronto due differenti tradizioni
culturali; la comparazione, il dialogo a distanza tra affermazioni giustapposte, sono
qui intesi come mezzo per fondare un sapere
e fecondare il pensiero a partire dalle differenze. La filosofia occidentale contemporanea, sulla scia delle riflessioni dei “maestri
del sospetto”, Freud, Nietzsche e Marx, sembra avere completamente rinunciato alla ricerca dei fondamenti della morale: se Marx
ha denunciato «il carattere al contempo occulto e servile della morale, sempre nelle
mani della classe dirigente e utile soltanto
[...] a consolidare l’ordine costituito», Freud
vede nella morale solo «il risultato della
costituzione del Super-Io», che in se stesso
non è altro che «l’introiezione, durante la
nostra infanzia, dell’immagine idealizzata
dei nostri genitori o dei loro sostituti». Per
rimettere in gioco la questione occorre, secondo Jullien, risalire alle origini della sua
formulazione moderna, ovvero a quel secolo
dei Lumi in cui la morale si è affrancata dalla
religione e anche dalla trascendenza che
caratterizzava l’impostazione della filosofia
occidentale pre-cristiana.
Per Rousseau la morale si fonda sul sentimento umano della pietà; per Kant essa
riposa su basi universali, mentre per Schopenhauer la morale è un mistero della natura umana. Tutte queste impostazioni, fa notare Jullien, si sono rivelate insufficienti, in
quanto la pietà fa appello ad una concezione
antropologica della morale, esponendosi così
alla diversità delle culture. Solo Kant ha
cercato di definire più rigorosamente l’esigenza morale, nel suo carattere di puro a
priori. In Mencius, Jullien trova ora colui che
più esplicitamente formula ciò che i “filosofi
dei Lumi”, Kant per primo, avevano abbozzato. Mencius fonda la virtù morale su una
reazione di insopportabilità; così, pur concordando con i moralisti occidentali sul principio di una esigenza morale, supera le loro
aporie, in quanto fonda la morale su una
pratica e una spontaneità (e non su una
trascendenza o un’antropologia). La coscienza non parla ma si manifesta direttamente in
noi, come una reazione spontanea. Essere soggetti a questa spontaneità, che ci fa
correre in soccorso di un altro essere
umano in pericolo, significa rispondere
alla nostra unica preoccupazione, che
deve essere quella di vivere nel modo
più completo possibile. L’insegnamento
di Mencius, in grado di rimettere in moto
la questione morale, è dunque quello di
riconoscere nella morale una condotta la
cui costrizione non si prova se non nell’immanenza della vera vita. D.F.
Filosofia e scrittura:
le pratiche e i saperi
Gli esiti della recente riflessione di
Carlo Sini sono compendiati nella sua
ultima opera: GLI ABITI, LE PRATICHE, I
SAPERI (Jaca Book, Milano 1996), che
tematizza l’esperienza veritativa mettendone in luce il legame essenziale
che essa intrattiene con la questione
della scrittura. Anticipando elementi
di quella che sarebbe stata la sua attuale ricerca, Sini, insieme a Fulvio
Papi e Maurizio Ferraris, era in precedenza intervenuto in occasione di una
presentazione della sua precedente
opera, FILOSOFIA E SCRITTURA (Laterza,
Roma-Bari 1994), alla Casa della Cultura di Milano (15 febbraio 1995).
Nella sua ultima opera, Gli abiti, le pratiche, i saperi, Carlo Sini decostruisce
l’esperienza filosofica, mettendone a
fuoco il carattere di pratica e il legame
con la questione della scrittura. Ogni
verità, sostiene Sini, è relativa alla sua
pratica; in questo consiste la verità della
filosofia. In particolare, la nozione
“scientifica” di verità è quella pertinente
alla scrittura alfabetica, che opera una
decontestualizzazione obiettivante del
discorso, in seguito alla quale si produce
il “disincantamento del mondo”. Quel
mondo che, come Sini ha mostrato, è il
frutto del gesto istitutivo del grafema
vocalico. La voce si caratterizza infatti,
dal punto di vista fenomenologico, per il
suo carattere autografico: in quanto origine e oggetto del gesto, la voce pone
due poli correlativi, il sé corporeo e il
mondo, che non hanno un luogo se non
in questo gesto.
Su questo medesimo terreno si radica la
questione dell’intersoggettività; essa rappresenta un fenomeno originario, non un
problema da risolversi presupponendo
l’esistenza preliminare di un soggetto,
che dovrebbe porsi in rapporto enigmatico con gli enti difformi da esso. La
scrittura alfabetica dissimula il legame
del parlante con il mondo: essa dà luogo
alla concezione relativa all’esistenza di
un sapere oggettivo, e universalmente
valido, nonché alla prospettiva in cui la
scrittura medesima appare come uno strumento, un veicolo neutro di concetti indipendenti da essa.
Parlando di un precedente studio di Sini,
Filosofia e scrittura (Roma-Bari 1994,
«Informazione filosofica» nn. 17-18),
Fulvio Papi vi individuava due temi
decisivi: il primo è quello della “genealogia della metafisica”; il secondo quello della ricostruzione della filosofia, attuata a partire dalla sua impossibilità
attuale di ripresentarsi nei termini di
pratica storica e scientifica. Nell’indagine genealogica di Sini, il punto decisivo,
osservava Papi, è rappresentato dal momento del passaggio da una cultura orale
28
ad una scritta. Qui appare la relazione
che intercorre tra la pratica di scrittura e
la costituzione della “scienza filosofica”
e che consiste nell’istituzione del lettore
universale, l’osservatore pan-oramico
che getta il suo sguardo sul “mondo di
cose”, che solo in quel momento si costituiscono come tali. La filosofia di Platone, a dispetto della sua polemica contro
la scrittura, costituisce il primo effetto di
questa pratica, che finisce per occultarla, lasciando in evidenza il soggetto.
Avvicinando la posizione di Sini a quella di Derrida, Papi rilevava la consustanzialità, in Sini, della prospettiva oggettivante propria allo sguardo scientifico e
allo sguardo storico: la stessa costruzione del passato, come alienazione dell’oggetto della memoria, rappresenta un
“mettere a distanza” obiettivante, che
istituisce questo stesso oggetto. Questa,
secondo Papi, è la fine della filosofia
come fine della metafisica, fine di un
passato oggettivo rispetto al quale il soggetto è “soggetto a”, costruito dalle pratiche. Per Sini, osservava Papi, “stare
nella filosofia” rappresenta “l’esperienza etica della verità”, ovvero il collocarsi nell’apertura dell’evento. Tuttavia, si
verifica qui una contrapposizione eccessiva, per Papi, tra la prospettiva metafisica e quella definita dal “saper abitare
l’evento”, mentre sarebbe preferibile
insistere sull’aspetto di evoluzione delle
pratiche discorsive, e sulla contingenza
delle medesime. Secondo Papi, esiste
una scrittura che devasta il carattere
metafisico a essa proprio; quest’ultimo è
soltanto una delle sue possibilità, iscritta nell’effetto di idealizzazione che comporta una temporalizzazione del discorso. La carne del vivente, per Papi, pur
nella prigionia della scrittura, tende ad
un sapere di sé che è inobiettivabile, non
tematizzabile nell’astratto, nell’idealizzazione. Il soggetto permane nella prigionia del linguaggio perché non può
non esistere; con ciò, esso esiste nella
contingenza.
Individuando, in Filosofia e scrittura, una
contrapposizione tra filosofia e cultura,
Maurizio Ferraris rintracciava nella concezione di Sini alcuni aspetti problematici.
Per il fatto che la contrapposizione tra
filosofia e cultura risulta del tutto intrinseca alla filosofia stessa, Ferraris giungeva a
respingere la tesi secondo la quale l’ermeneutica incarnerebbe una forma di filosofia
che abdica alla propria specificità nei confronti della cultura, della storia, della scienza e della tecnica. D’accordo con Sini si
dichiarava invece Ferraris in merito al rifiuto della banalizzazione della “svolta linguistica”, cioè della tematizzazione dell’importanza del linguaggio banalizzante.
Il “pensiero dell’essere” è, per Ferraris,
un’impostazione derivativa; originaria,
ovvero trascendentale, è invece la questione della differenza tra essere ed ente. In
quanto problema inerente la pensabilità di
AUTORI E IDEE
ogni ente, tale questione rinvia a quel raddoppiamento del trascendentale che fa sì
che ogni evento empirico diventi istanza
trascendentale, condizione della possibilità di qualcosa. Da questo punto di vista,
osservava Ferraris, l’attacco alla metafisica appare poco giustificato, in quanto essa
ha come suo tratto caratteristico l’accentuazione del carattere trascendentale dell’empirico, che rende difficile individuare
un confine tra filosofia e scienza. In definitiva, la concezione di Sini si presenta, per
Ferraris, come una sorta di “fenomenologia dello spirito” nel suo procedere dall’oralità all’idealità della scrittura alfabetica, vista come l’origine del pensare
concettuale.
Rispondendo alle obiezioni di Papi e Ferraris, Sini si dichiarava d’accordo in merito
ad una denuncia della finitudine del sapere
filosofico, condotta all’interno del discorso filosofico. Giunto alla percezione del
proprio limite, in quanto compreso all’interno di una pratica, il sapere filosofico
dovrebbe far emergere dalla proprie molteplici modalità la concreta situazione del
vivente. Da questo punto di vista, osservava Sini, se è pur vero che l’esito metafisico
non è l’unico possibile della scrittura alfabetica, occorre tuttavia rilevare come esso
ne abbia invaso, in virtù dell’universale
pervasività della dimensione mediatica, la
totalità degli ambiti di espressione. Il fallout della quaestio metaphysica riguarda
infatti tanto la scrittura filosofica quanto
quelle scientifica, politica, letteraria. In
tale prospettiva, sollevare l’istanza della
“concreta situazione del vivente” rischia
di configurarsi, secondo Sini, come una
mera dichiarazione di intenti. Centrale è
invece la questione del cosiddetto “paradosso delle pratiche”, a partire dal quale
è possibile rilevare il “fine etico” presente in Filosofia e scrittura.
Nel panorama della riflessione filosofica sulla modernità, faceva notare Sini, il
paradigma della reduplicazione tra il livello empirico e quello trascendentale si
presenta, per il soggetto della pratica
filosofica, come inevitabile: è infatti la
pratica filosofica che istituisce la reduplicazione, ma che, nel contempo, ce la
rende visibile. Rispetto a tale riconoscimento, occorre tuttavia ammettere la
necessità della “scelta etica”; occorre
cioè ammettere la necessità, da parte di
un soggetto, di passare dall’essere “soggetto alle” pratiche a essere “soggetto
di” queste pratiche. Questo secondo soggetto, tuttavia, non si dà; non esistono
infatti, sottolineava Sini, due determinazioni di soggetto, bensì soltanto una,
quella che rimanda a un’istanza che,
nell’esser soggetta alle pratiche, ne frequenta l’orlo (cioè: il “proprio” orlo) in
una sorta di rimbalzo.
A Ferraris, e con lui a Derrida, Sini
contesta in particolare che si possa parlare di scrittura e di voce come di istanze
singolari, luoghi originari; esse sono,
invece, prodotti della scrittura alfabetica. La questione se nasca prima la razionalità greca, da cui, in un secondo tempo, sorge la scrittura alfabetica, o non
piuttosto il contrario, appare già pregiudicata, secondo Sini, dalla prospettiva
della scrittura alfabetica: la razionalità
greca è il prodotto di determinate pratiche di scrittura, e non scorgere questo
fatto, come accade in Derrida, è la condizione che definisce il luogo della metafisica. F.C.
Rappresentanza, giustizia,
potere
Il problema della rappresentanza, quello della fondazione del giudizio politico
e quello del bene e del male in relazione
allo statuto fondamentale dell’agire
politico sono rispettivamente al centro
di tre studi: RAPPRESENTANZA POLITICA E
RAPPRESENTANZA DEGLI INTERESSI (Franco
Angeli, Milano 1996), di Antonino Scalone; GIUSTIZIA POLITICA. FONDAMENTI DI UNA
FILOSOFIA CRITICA DEL DIRITTO E DELLO STATO
(il Mulino, Bologna 1995), di Otfried
Höffe; LA CITTÀ ORIGINARIA. DIALETTICA DELLA
RAGIONE POLITICA (Morcelliana, Brescia
1995), di Attilio Franchi. A questo gruppo di testi si possono accostare, anche
se in posizione eccentrica, la riflessione
offerta da James Hillman in FORME DEL
POTERE (Garzanti, Milano 1996), una fenomenologia del potere nella società
contemporanea, e lo studio di Matthias
Bohlender, DIE RHETORIK DES POLITISCHEN.
ZUR KRITIK DER POLITISCHEN THEORIE (La retorica del Politico. Per la critica della teoria politica, Akademie Verlag, Berlin,
1995), che si sofferma sui rapporti tra
retorica e politica.
Il punto nodale dello studio di Antonino
Scalone, come indica Giuseppe Duso
nella “Prefazione” al volume, si raccoglie sostanzialmente nella domanda: se
caratteristica peculiare della rappresentanza moderna è quella di fondare l’unità del popolo, altrimenti non rinvenibile,
come è possibile che questa si adegui poi
alle configurazioni pluralistiche, verso
cui viene spinta dalle trasformazioni
politiche del nostro tempo? Passando
attraverso le teorie di autori quali Rudolf
Smend, Hermann Heller, Max Weber,
Carl Schmitt, Gerhardt Leibholz, Otto
Kirchheimer e Hans Kelsen, e scendendo poi maggiormente nel merito del problema della rappresentanza degli interessi in autori quali Werner Weber, Theodor Eschenburg ed Ernst Fraenkel, Scalone individua in Joseph K. Kaiser una
tappa decisiva per risolvere all’interno
della sfera della cittadinanza politica la
questione delle “organizzazioni degli interessi”. Pur nell’incomponibilità di fon29
do di questa questione con il quadro
fondativo classico che sta ancora alla
base della moderna organizzazione dello Stato e che lascia insoddisfatta la
necessità di richiamarsi a un’istanza superiore rispetto alle parti, la questione,
come mostra Scalone, investe indubbiamente lo statuto dell’odierno ordinamento politico. In questa prospettiva, l’esperienza di Weimar continua a rappresentare un momento paradigmatico per la
riflessione costituzionalistica non solo
tedesca, ma anche italiana.
Problemi di fondazione della teoria politica
stanno anche al centro dello studio di Otfried Höffe (la cui edizione originale risale
al 1987), secondo il quale il problema squisitamente filosofico di una legittimazione in
termini di giustizia della problematica dello
Stato non può essere affatto liquidata: «Contro la scienza giuridica positiva» - egli afferma - «occorre fondare la prospettiva morale
e quindi, con l’aiuto di questa, assegnare dei
limiti ai rapporti giuridici e politici; contro
l’anarchismo, invece, occorre fondare e legittimare tali rapporti». Se è vero, sottolinea
Höffe, che il progetto politico moderno nasce dalla crisi e dallo sgretolamento delle
credenze, per così dire, “fondamentalistiche” su cui si reggeva l’ordinamento politico
tradizionale, bisogna allora contestare l’assunto secondo cui «la conquista politica della democrazia liberale consiste nell’“indifferenza riguardo alle questioni ultime”» e quindi
nell’accantonamento del riferimento alle visioni del mondo, per situarsi nell’ambito più
limitato, ma più sicuro, delle “questioni penultime”. In realtà, precisa Höffe, anche la
democrazia vive di un accordo circa le cose
ultime, altrimenti non sarebbe in grado di
postulare i principi basilari del suo ordinamento. Discriminante è invece la separazione delle sfere, per cui ciò che vale per l’individuo come “questione ultima” non può
valere come tale anche per lo Stato. Per
giustificare la legittimità e la pertinenza della
riflessione filosofica sui fondamenti del diritto e dello Stato, Höffe si ricollega alla
grande tradizione della “filosofia pratica”,
riproposta nella sua accezione più genuinamente aristotelica.
Che il problema della fondazione dell’ordine politico, raccolto nella metafora della “città”, abbia a che fare costitutivamente con un’interrogazione di tipo
etico è ciò che viene ribadito a più riprese nel saggio di Attilio Franchi. La
ragione politica, sostiene Franchi, non
può prescindere dall’affrontare la questione del male, in rapporto alla quale
deve dar atto della sua reale capacità di
fondazione. L’aver accantonato la questione del male ha portato la ragione
politica alla pretesa di affidare allo sviluppo materiale la soluzione di problemi
che invece sono connessi alla stessa condizione esistenziale umana, ovvero alla
sua natura essenzialmente morale. Il problema, precisa Franchi, è di dare la “giusta collocazione” ai valori espressi dal
AUTORI E IDEE
dinamismo della società industriale, senza pretendere che essi vadano a esaurire
quella problematica morale, fondata sulla “radicalità” del male, per la quale non
possono mostrare pertinenza. Da qui
l’esigenza, per Franchi, di ricomporre il
rapporto che lega i diversi aspetti della
ragione politica, quello etico-morale,
quello economico, quello più strettamente politico, quello speculativo e, in quanto si dà una tensione verso la felicità o la
beatitudine, quello religioso.
Sui problemi dell’etica pubblica interviene
James Hillman, secondo il quale per parlare del potere non ci si può limitare strettamente all’ambito politico, senza far riferimento alla sfera dell’economia, in cui
costantemente vengono esperiti rapporti di
gerarchizzazione, di dominio e di subordinazione. In tal senso lo studio di Hillman
intende proporre una fenomenologia della
forme di potere quali vengono praticate
nell’ambito dell’agire in vista del successo
economico, ovvero mostrare su quali idee
si fonda la pratica del potere. I valori che
configurano l’esercizio moderno del potere, osserva Hillman, fanno riferimento innanzitutto alle concezioni del darwinismo
sociale e hanno come motivi fondanti l’idea
di “crescita” e di “efficienza”, che tuttavia
subiscono una progressiva erosione per via
dell’indifferenza costitutiva che caratterizza queste idee riguardo ai problemi di natura morale.
Tra quelli che Hillman definisce stili del
potere rientrano il controllo, il prestigio,
l’esibizionismo, la leadership, l’autorità, il carisma, la persuasione, la tirannia
e così via. L’intento di Hillman è allora
di delineare un potere compatibile con le
esigenze di realizzabilità umana universale, non sottoposto al dominio dell’Altro. In questa prospettiva, amore e potere
possono non essere in opposizione.
Sul rapporto tra retorica e politica interviene Matthias Bohlender con Die Rhetorik
des Politischen. Il libro è diviso in quattro
capitoli. Nel primo l’autore espone il concetto di retorica e il modo in cui esso risulta
rielaborato secondo diverse teorie linguistiche; nel secondo traccia un modello del
rapporto tra retorica e teoria politica quale
può essere ricavato dall’opera di Hobbes;
nel terzo mette a confronto la diversa lettura che Carl Schmitt e Leo Strauss hanno
dato del Leviatano; e nell’ultimo ritorna
alla trattazione sistematica, con una proposta di lettura della teoria politica in quanto
prassi sociale di discorso.
A parte i due capitoli centrali, che vogliono essere esempi (non meramente
occasionali) dell’importanza che ha la
retorica all’interno di una determinata
teoria politica, l’interesse principale di
questo studio sta indubbiamente nel suo
sforzo concettuale di offrirci le basi per una
lettura delle teorizzazioni politiche dal punto
di vista delle strategie linguistiche e discorsive che esse mettono in campo per costituirsi e per affermarsi. G.B.
La questione dell’essere
in Heidegger
In SERVIRE L’ESSERE CON HEIDEGGER (Morcelliana, Brescia 1995) Umberto Regina individua nell’essere la questione
centrale che contraddistingue la filosofica di Heidegger, sottolineando
come essa abbia assunto significati
diversi nelle varie opere del filosofo.
Particolare attenzione alla concezione
religiosa di tipo “manifestativo” che
emerge nell’opera heideggeriana è dedicata da Pietro De Vitiis nel suo studio dal titolo: IL PROBLEMA RELIGIOSO IN
HEIDEGGER (Bulzoni Editore, Roma 1995).
Secondo Umberto Regina, in Heidegger
l’analisi della questione dell’essere subisce una progressiva modificazione. Inizialmente viene stabilito un legame stretto tra
la comprensione e l’essere, in quanto «la
comprensione è strutturalmente comprensione d’essere». La scelta, qui, non è tra il
comprendere e il non comprendere l’essere, ma tra un «comprendere che si apre alla
problematicità e quindi all’eccedenza e al
futuro e un comprendere che è solo di
insistente chiusura». Successivamente, fa
notare Regina, l’accento si sposta dal senso
dell’essere alla “verità dell’essere”, dove
la verità non implica l’esistenza di un valore prestabilito, ma è in quanto diviene. Il
suo divenire non è, tuttavia, determinato
dal fatto che i suoi contenuti si modificano,
ma dal fatto che l’eccedenza propria dell’essere può essere raggiunta solamente in
un «percorso che sia al tempo stesso di
problematizzazione e di trasfigurazione dell’ente». La verità, in Heidegger, è il luogo
in cui si determina l’incontro tra «il servizio ontologico cui l’uomo è chiamato e il
transitare di Dio». Si tratta, in effetti, sottolinea Regina, di una concezione “operativa” della verità, in base alla quale non
solamente l’uomo, ma anche Dio viene
chiamato ad agire per la verità.
La successiva concezione di Heidegger
dell’essere, osserva Regina, si basa su una
diversa definizione dell’essere, secondo la
quale l’essere, coincidendo con il punto di
vista proprio del filosofare, è «lo stesso
incondizionato lasciar essere l’oggetto nel
suo come» e presuppone che esista un ente,
cioè l’uomo, in grado di affermare il “come
di ogni altro ente”. Ma la vera svolta innovatrice viene compiuta da Heidegger con la
pubblicazione dei Beiträge, in cui diviene
centrale la storia dell’essere, che non viene
più considerata come quel territorio neutrale della comprensione dell’essere, ma
come l’ambito in cui l’uomo è chiamato a
schierarsi per la verità, cioè a «divenire
autenticamente se stesso in quanto custode
e guardiano della verità». Così, se in Essere
e tempo si poteva intravedere un’antropologia filosofica, in quanto l’analitica esistenziale si limitava a indagare lo spazio
aperto dalla progettualità umana, nella fase
successiva la storia dell’essere «impegna
30
l’essere a essere all’altezza di un progetto»,
costringendolo a comprendersi a partire da
un “altro inizio”. In tale prospettiva l’uomo
comprende che il suo essere non è una
componente acquisita con il solo fatto di
esserci, ma un “compito”, quello di servire
la verità, entrando così a far parte della
storia che è nello stesso tempo sua e dell’essere.
Anche il legame tra l’essere e il linguaggio si rivela differente nelle diverse fasi
teoriche attraversate da Heidegger. Mentre in Essere e tempo il linguaggio si
fonda sul discorso, nei Beiträge viene
considerato come risposta originata da
un’eccedenza che si rivolge all’uomo
per recidere il suo legame con il “prospettivismo rinunciatario”.
Delineare la concezione religiosa di Heidegger è, invece, lo scopo che si prefigge Pietro De Vitiis, mostrando come il
problema del divino venga affrontato da
Heidegger in opposizione alla prospettiva dell’“onto-teologia” che, riducendo
l’essere all’ente, identifica Dio con l’essere. Ontologia e teologia, per Heidegger, si confermano e si rafforzano a vicenda, generando l’onto-teologia, il cui
vertice è rappresentato dalla teoria hegeliana dello Spirito assoluto.
Come rileva De Vitiis, la visione religiosa
heideggeriana, in modo simile a quella di
Schelling, può essere definita “manifestativa”, in quanto afferma il primato dell’esperienza di ciò che si manifesta rispetto
all’elaborazione concettuale; in tal senso la
visione religiosa può essere accostata alla
poesia, specialmente a quella di Hölderlin,
il cui linguaggio è dotato di una potenza
evocativa in grado di generare “nuove visioni”. Tuttavia non può essere risolta nella
poesia, poiché l’apice viene raggiunto nel
silenzio: il linguaggio religioso non è «dire
qualcosa su qualcosa», ma «preghiera, invocazione e rendimento di lode».
Per Heidegger, osserva De Vitiis, l’interiorità deve aprirsi al mistero dell’essere, che
è inaccessibile in quanto si nasconde. Il
“nascondimento” dell’essere non va inteso
come pura negatività, ma come sintomo
dell’inafferrabilità del divino. Infatti,
l’“ultimo Dio” heideggeriano appare nello
spazio abissale che si spalanca nell’essere,
mostrando il limite del pensiero concettuale volto alla definizione oggettiva degli enti
e basato sulla relazione soggetto- oggetto.
Heidegger attribuisce all’essere la finitudine per non ricadere nell’infinità dell’assoluto idealistico che rimane bloccato nella
sua “circolarità”, rischiando di essere una
“totalità omniabbracciante”. L’“ultimo
Dio” di Heidegger è, quindi, un Dio del
futuro, un Dio escatologico e, come rileva
De Vitiis, sembra che rimandi all’essere
solo nell’ambito della possibilità. M.Mi.
TENDENZE E DIBATTITI
TENDENZE E DIBATTITI
Identità della filosofia tedesca
Dopo il 1945, molti filosofi attivi nella
Repubblica Federale Tedesca si sono
impegnati nella discussione dell’identità della propria disciplina, occupandosi
in particolare del problema se la filosofia sia una “scienza” e che “status”
abbia il suo sapere rispetto a quello
delle scienze “positive”. Un’utile ricostruzione di questo dibattito è quella
offerta da Martina Plümacher nel suo
studio, IDENTITÄT IN KRISEN. SELBSTVERSTÄNDIGUNGEN UND SELBSTVERSTÄNDNISSE DER
PHILOSOPHIE IN DER BUNDESREPUBLIK DEUTSCHLAND NACH 1945 (Identità in crisi. Au-
toinformazioni e autocomprensioni
della filosofia nella Repubblica federale
tedesca dopo il 1945, Francoforte s/M.
- Berlin - Bern - New York - Parigi Vienna 1995).
Per rispondere alla questione dell’identità
scientifica della filosofia Martina Plümacher ha dovuto ripercorrere nel suo studio il
confronto, da una parte, con l’eredità delle
tradizioni filosofiche provenienti dall’età
dell’idealismo e, dall’altra, con le rinnovate
esigenze di politica culturale ed educativa,
come pure con la prosecuzione delle discussioni di carattere epistemologico. Ma anche
il confronto con le grandi metafisiche del
Novecento, con la fenomenologia di Husserl
e con il sovvertimento dell’ontologia tradizionale operato da Heidegger è stato decisivo per chiarire i presupposti da cui sono
mossi quanti si sono occupati di “filosofia
speculativa” nella seconda metà del secolo.
Plümacher insiste sulla necessità di problematizzare l’autocomprensione che i filosofi
della Repubblica Federale hanno avuto della
propria professione nel confronto con gli
stimoli e le risultanze delle scienze particolari nei decenni compresi tra il 1945 e la fine
degli anni Settanta. I documenti presi in
considerazione a questo proposito comprendono la serie dei “Deutsche Kongresse für
Philosophie” e altri dibattiti svoltisi tra filosofi tedeschi dal 1946 alla metà degli anni
Settanta. Se negli anni Cinquanta i filosofi si
considerano i tutori dell’“ordine dell’essere”, negli anni Sessanta devono reagire alla
radicale messa in questione della capacità
attribuita alla filosofia di porre capo ad una
sintesi delle scienze particolari (Positivismusstreit). Questo tipo di dibattiti trova il suo
apice negli anni Settanta, quando viene in
larga parte misconosciuto il contributo della
filosofia alla costituzione dell’empiricità delle
singole scienze, in quanto loro modalità di
accesso alla realtà, e quando le politiche di
sviluppo della ricerca dei governi dei Länder
tedeschi - competenti per le università tendono a investire sempre meno fondi nello
sviluppo dei dipartimenti filosofici - non da
ultimo trovando motivazioni nel fatto che la
filosofia sembra essere esclusa dagli sviluppi delle scienze “positive”. Un risveglio di
fronte a questa “discussione in stato di crisi”
è venuto da quella che Christian Friedrich
Gethmann ha sagacemente definito la consapevolezza che i filosofi hanno di essere
l’«istituzionalizzazione della critica alle istituzioni». R.P.
Attualità di Croce
Dell’eco di risonanza che sta caratterizzando in questi anni la filosofia di Benedetto Croce sono testimonianza diversi
saggi che intendono commentare e ripensare lo storicismo e la filosofia crociana in genere. Il volume dal titolo: PER
CROCE (Edizioni Scientifiche Italiane,
Napoli 1995), a cura di Raffaele Bruno,
raccoglie diversi saggi di commento
dell’estetica, dell’etica e della concezione della storia in Croce. Di Janos Kelemen è lo studio critico IDEALISMO E STORICISMO NELL’OPERA DI BENEDETTO CROCE (trad.
it. dell’autore, Rubbettino, Messina
1995), che presenta il pensiero del filosofo anche alla luce di riferimenti biografici. Da questo punto di vista, un’importante integrazione della biografia
crociana è offerta dagli SCRITTI FILOSOFICI
E CARTEGGIO CON BENEDETTO CROCE (a cura
di F. Platania, Bibliopolis Napoli 1996)
di Antonio Cristaldi.
Il problema dello storicismo e della temporalità ha da sempre caratterizzato gli studi
critici su Croce. Con il titolo: Per Croce
vengono raccolti saggi che vanno dall’analisi estetica a quella etico-politica, passando
31
sempre e comunque dalla tematica storicistica. L’elemento storico pervade infatti i vari
saggi: l’unità di pensiero e azione si manifesta nell’identità tra particolare e universale
che si realizza appieno nella storia. Il fatto
individuale, come l’evento storico, acquista
valore e identità solo all’interno dello sviluppo dello spirito che è storicismo assoluto.
L’elemento che maggiormente caratterizza l’analisi estetica è l’accento posto sul
carattere intuitivo dell’arte. L’unificazione
di bello, estetico e artistico caratterizza
l’arte di quell’elemento indicibile e ineffabile che la separa nettamente dall’ambito
discorsivo; per Croce, infatti, l’arte è tale
solo se posta al di là del pensiero logico e
razionale, dominio della filosofia. Così facendo, però, restano esclusi dal dominio
dell’arte quei caratteri, come il comico e il
tragico, che non essendo intuitivi, sfuggono alla sua forma. In altre parole, se il
merito di Croce consiste nell’aver unificato estetico e artistico, il limite sta nell’aver escluso l’elemento razionale e
quindi dicibile dal patrimonio artistico
che, in questo modo, perde uno dei suoi
caratteri fondamentali.
L’etica crociana viene affrontata nei saggi
del volume dal punto di vista della politica e
della libertà: se la politica si sgancia dalla
dimensione morale, come aveva capito già
Marx, e come invece avrebbe contestato
Gentile, suo dominio resta solo quello dell’utile economico, che si caratterizza di una
netta amoralità. Altro punto nodale di Croce
è il suo liberalismo che in questo volume è
descritto in termini filosofici più che politici.
In altre parole, se Croce ha saputo teorizzare
filosoficamente la libertà dell’individuo contro i sistemi totalitari, lo stesso non è accaduto dal punto di vista politico, dove un’interpretazione sommaria dello stato e del governo non ha posto le basi per una vera e propria
teoria liberale.
Lo storicismo caratterizza lo studio di Janos
Kelemen, studioso ungherese che intende
riproporre l’attualità di Croce all’interno delle
scienze umane. Dopo alcuni cenni biografici, viene delineato il rapporto di Croce con la
cultura italiana del tempo e il suo interessamento per Labriola. Inizialmente, infatti,
Croce, contrario alla filosofia della storia e
all’hegelismo in genere, s’interessa al materialismo storico ricco di concretezza e di
TENDENZE E DIBATTITI
attenzione agli eventi. Il rifiuto dello storicismo, però, conduce Croce, successivamente, a separarsi dal marxismo che pure
lo aveva ispirato. Kelemen riporta Croce
all’hegelismo attraverso la ripresa di Kant
e di Vico che diventano il punto di riferimento della filosofia crociana. Se, infatti,
Kant è determinante per la teorizzazione
dei giudizi sintetici a priori che si manifestano nella storia dove il generale si manifesta nel particolare, Vico è fondamentale
nella concezione ciclica e fattuale della
storia che sarà ripresa e sostenuta nella
filosofia dello spirito.
Il carteggio tra Croce e un giovane studioso
siciliano, Antonio Cristaldi, discepolo del
filosofo, è principalmente caratterizzato dalla vicenda esistenziale del giovane allievo
che, colpito giovanissimo da nevrosi depressiva, si suicida all’età di ventiquattro anni,
lasciando profondamente addolorato il maestro. Il volume, dopo un’introduzione di
Francesco Platania sulla storia di Cristaldi
e sul rapporto con Croce, riporta due saggi
del giovane in cui compaiono le sue considerazioni sulla Filosofia dello Spirito e la corrispondenza tra i due. Dalle lettere emerge,
da una parte, la profonda considerazione di
Cristaldi per la categoria della morale che
doveva, a parer suo, fungere da elemento
unificatore delle altre e, dall’altra, la convinzione di Croce di tenere ben distinte le categorie dello Spirito, del quale la morale era
solamente una della quattro. A.S.
Storia e attualità
della medicina
Che cosa intendiamo per “medicina”
e qual è stata la sua storia? Come si
può considerare l’intreccio tra anima e
corpo dal punto di vista medico? Come
si è sviluppata fino a oggi la ricerca
sulla salute perfetta? Questi alcuni
degli interrogativi ai quali cercano di
dare risposta cinque nuove pubblicazioni sull’argomento: una raccolta di
saggi, a cura di Mirko D. Grmek, dal
titolo: STORIA DEL PENSIERO MEDICO OCCIDENTALE. 1. ANTICHITÀ E MEDIOEVO (trad.
it. di M. Astrologo, C. Basso, M. Mantegazza, C. Milanesi, A.M. Senatore,
Laterza, Roma-Bari 1995); uno studio
di François Chast, HISTOIRE CONTEMPORAINE DES MEDICAMENTS (Storia contemporanea dei farmaci, Ed. La Découverte, Parigi 1995); una traduzione dal
greco di tre brevi trattati di Galeno,
presentati da Jean Starobinskj, L’AME
ET SES PASSIONS (L’anima e le sue passioni, Les Belles Lettres, Parigi 1995); e
due saggi sull’attualità medica, UN MEDECIN DANS SON TEMPS (Un medico nel
suo tempo, Seuil, Parigi 1995), di Norbert Bensaid, e LA SANTÉ PARFAITE (La
salute perfetta, Seuil, Parigi 1995), di
Lucien Sfez.
La Storia del pensiero medico in occidente prende in esame il periodo che va
dall’antichità al medioevo, tentando di
«raccogliere nelle sue grandi linee il
percorso intero del pensiero medico occidentale e mostrarne la complessità e le
relazioni strette con la realtà biologica e
sociale delle popolazioni umane». Come
sottolinea Mirko D. Grmek, curatore
dell’opera, l’intento è quello di proporre
un quadro della figura del medico e del
suo rapporto con l’ambiente. Il suo lavoro segue un paradigma generale attraverso le varie epoche, quello cioè di
misurare le proprie pratiche e la propria
ricerca in funzione di quei fenomeni fino
a quel momento non ancora spiegati, o
lasciati al caso o alla Provvidenza, cercando di organizzare attorno a sé il sensibile nella maniera più coerente e pratica possibile, in vista della soluzione della malattia. Risulta così che il discorso
medico si è venuto costruendo a partire
dalla concezione che nelle varie epoche
si è avuto della malattia. Tra i contributi
raccolti nel volume figurano un saggio
di Mario Vegetti, Erasistrato ed Erofilo; uno di Gotthard Strohmaier sulla
trasmissione degli scritti medici dal
mondo bizantino al medioevo; uno di
Jean-Noel Biraben sulle Malattie in
Europa.
Che la medicina abbia a che fare con un
oggetto assai complesso, il funzionamento dell’organismo umano come intreccio di elementi tra loro diversi, l’anima e il corpo, questo era già evidente a
Galeno. Nei suoi soli tre scritti di argomento medico - recuperati dall’imponente filosofia morale distribuita in venti libri, di cui disponiamo oggi in un’utile edizione in lingua francese, L’âme et
ses passions -, abbiamo la proposta di
una “fisica delle passioni”, ancora dipendente dalla chimica degli umori corporali. Galeno è convinto di poter ammaestrare le passioni a partire dal corpo,
inaugurando una scienza che si occupa
dell’anima dell’uomo. Nella Prefazione
a questi scritti, Jean Starobinskj avverte che «Galeno si mantiene sempre all’interno del suo mestiere di medico: si
tratta per lui della vita terrestre e della
vita che conducono gli esseri umani nella società umana», ricordando che la vita
eterna non fa parte dell’orizzonte precristiano di Galeno. Ne risulta una visione assolutamente moderna della scienza
medica che si occupa della dimensione
sociale della malattia, proponendo una
propria etica che ripensa i legami tra il
corpo e la psiche e tra il medico e il
paziente.
Nella Histoire contemporaine des medicaments François Chast mostra invece
come l’odierna farmacologia «sia nata
dalle idee della Rivoluzione, dall’avanzamento delle scienze e dall’industrializzazione dell’economia», sostituendo
con un approccio scientifico la tradizio32
nale cultura delle piante mediche. Forte
dei progressi della chimica del XIX secolo, osserva Chast, il farmaco ha cercato di limitare le pratiche irrazionali fino
a quel momento utilizzate in medicina.
All’incrocio tra l’uomo, le potenze divine e il prete-medico si pone il rimedio
farmacologico: nucleo di ogni storia dei
farmaci è dunque lo sguardo dell’uomo
sulla propria umanità e la propria posizione all’interno del cosmo.
Per quanto riguarda l’attualità del dibattito sulla medicina, di Norbert Bensaid,
medico molto noto in Francia, scomparso nel 1994, sono stati pubblicati, a cura
di Nadine Fresco e con la prefazione di
Jean Daniel, gli articoli più significativi
della sua attività di medico-pubblicista,
da cui risulta un’immagine di medicofilosofo attento a non perdere di vista il
malato dietro la malattia e a non ridurre
il discorso medico a mero biologismo. In
prospettiva futura si pone invece lo studio di Lucien Sfez, La santé parfaite,
un’indagine attenta e dissacrante dell’ultima utopia scientifica rimasta, la
“perfetta salute”, un’utopia che riguarda
il corpo in tutte le sue accezioni possibili: il corpo dell’individuo, del pianeta,
della società. Nel campo della salute
dell’uomo Sfez analizza in particolare il
progetto Genoma, facendo notare come,
«per la prima volta nella storia dei tempi, una creatura vivente comprenda la
sua origine e possa intraprendere a disegnare il suo futuro». Tuttavia, aggiunge
Sfez, dietro la ricerca della perfezione
dell’uomo biologico si nasconde una
nuova forma di eugenetica, che tende a
cancellare le determinazioni culturali e
sociali dell’uomo.
Nel caso della salute del pianeta Sfez fa
invece riferimento alla realizzazione dell’esperimento di Biosfera II nel deserto
dell’Arizona: un sistema chiuso dove
sono ricostituiti i principali ambienti del
pianeta e dove otto volontari hanno vissuto isolati dall’esterno, producendo essi
stessi le loro risorse. Sebbene i risultati
siano stati contestati, resta tuttavia l’idea
di una vita planetaria organizzata su base
bio-macchinale, nell’intento di raggiungere «la migliore tecnologia per il vivente». Da ultimo Sfez prende in esame la
“vita artificiale” degli esseri virtuali, il
grande sogno dell’uomo di creare altri
esseri di una catena evolutiva superiore.
Alla base vi è l’idea di un’identità umana fondata sulla tecnoscienza, in una
possibile fusione di reale e virtuale: un
secondo Paradiso, abitato da un Adamo
II, dalla salute perfetta. G.Di L.
TENDENZE E DIBATTITI
Henry Gervex, Il dottor Péan che opera all’ospedale Saint Louis (1885 circa, part.)
33
TENDENZE E DIBATTITI
Filosofia della liberazione
Alla filosofia della liberazione e in particolare al pensiero di Enrique Dussel,
del quale ricordiamo FILOSOFIA DA LIBERTAÇÂO. CRITICA E IDEOLOGIA DA EXCLUSÂO
(Filosofia della liberazione. Critica e
ideologia degli esclusi, Paulus, Sâo
Paulo 1995), è dedicato il volume: ÉTICA
E A FILOSOFIA DA LIBERTAÇÂO (Etica e filosofia della liberazione, a cura di A.
Lampe, Vozes, Petropolis 1995), pubblicato in occasione del 60˚ anniversario della nascita del filosofo argentino
e del 20˚ anniversario della fondazione, da lui voluta, della Commissâo de
Estudos de História da Igreja na América Latina.
Il volume Ética e a filosofia da libertaçâo
è uno strumento prezioso per lo studioso
del pensiero di Enrique Dussel, perché contiene un’appendice di 60 pagine con la
bibliografia di Dussel fino al 1994, che
permette di dare uno sguardo all’ampia
produzione del filosofo argentino, riguardante la storia della Chiesa latino-americana, la storia latino-americana, la filosofia e
l’etica. Inoltre una dettagliata biografia di
Dussel ricostruisce la sua vicenda esistenziale dalla nascita in un piccolo villaggio
della Pampa argentina alla laurea a Mendoza, agli studi europei (Madrid, Parigi, Magonza), al periodo di residenza in Israele, al
ritorno in Argentina, all’attentato peronista
alla sua vita, fino all’esilio messicano, unitamente al suo sviluppo intellettuale che va
dagli studi di filosofia alla storia della Chiesa
latino-americana, alla teologia della liberazione, alla fondazione della filosofia della
liberazione, dalla lettura di Levinas agli
studi sul pensiero economico di Marx, fino
all’incontro polemico con l’etica della comunicazione di Apel, con Ricoeur, con
Rorty, con Taylor. In particolare nei confronti di Ricoeur, con il quale l’unico incontro è avvenuto proprio in Italia, a Napoli, nel 1991, Dussel riconosce un debito di
formazione intellettuale, avendo egli frequentato le lezioni del filosofo francese nei
primi anni Sessanta ed essendo stato Ricoeur uno dei primi interlocutori occidentali
della filosofia della liberazione.
In tutti i suoi saggi Dussel definisce una
concezione “altra” della filosofia, a partire
cioè dalla realtà latino-americana, che è la
realtà dell’oppresso, dello sfruttato, dell’escluso, ma anche la realtà dell’indio, del
negro, del mulatto, del meticcio, cioè delle
vittime della civilizzazione europea. Possiamo sintetizzare tutte queste categorie in
una sola e più comprensiva categoria: l’Altro. L’Altro, però, non inteso soltanto in
chiave teoretica e concettuale, come l’esteriorità di Levinas, bensì in un contesto
storico, sociale, politico ed economico, qual
è l’America Latina di quest’ultimo quarto
di secolo; un continente che ha visto distruggere nel passato la propria identità
culturale originaria con l’apertura dei rap-
porti con l’Europa, che vede oggi negare la
propria identità culturale per via del perdurare di un rapporto sproporzionato con il
Primo Mondo occidentale e che, tuttavia, si
può considerare come un “Altro Occidente”, dal momento che la sua alterità ha
comunque radici nel continente europeo.
Il fine della filosofia della liberazione non
si limita affatto alla realtà latino-americana
o ad una critica della filosofia europea;
anzi, pur partendo da una determinata realtà sociale, essa si pone come scopo il superamento di ogni forma di sfruttamento e di
esclusione mediante l’estensione della categoria dell’Altro a ogni situazione di oppressione e di annichilimento. A questo
scopo la critica all’etica della comunicazione di Apel viene condotta da Dussel a
partire da situazioni esistenziali concrete,
contrapponendo alla comunità ideale di
comunicazione la comunità reale di comunicazione. In fondo Dussel critica proprio
la pretesa di Apel di fondare un’etica universalistica.
La contrapposizione tra comunità ideale di
comunicazione e comunità reale di comunicazione muove dal problema della materialità dei bisogni umani. In Apel, Ricoeur,
Rorty y la filosofia de la liberación con
respuestas de K.O. Apel y P. Ricoeur (Apel,
Ricoeur, Rorty e la filosofia della liberazione, con una risposta di K.O. Apel, Guadalajara 1993) Dussel antepone alla questione teoretica e politica della comunità
reale di comunicazione di Apel quella concreta ed economica della corporalità: «Se
la filosofia della liberazione parte dalla
realtà della miseria, della povertà, dello
sfruttamento, della relazione persona-persona (pratica), si istituzionalizza e si riproduce storicamente sempre “a priori” a partire da una struttura economica... La “vita”
umana, la sua corporalità, non è soltanto la
condizione di possibilità, bensì l’essere stesso e l’esistenza umana in quanto tale». Le
forme istituzionalizzate, di cui parla Dussel, sono le forme del dominio e dell’oppressione, le quali soltanto formalmente
sono simili a quelle democratiche, perché
in realtà il loro contenuto politico è totalmente divergente da un ordinamento effettivamente democratico.
Con uno scritto dal titolo: A Ética do discurso em face do desafio da Filosofia da
libertaçâo latino-americana (in Etica do
discurso e filosofia da libertaçâo. Modelos
complementares, a cura di A. Sidekum,
Editora Unisinos, Sâo Leopoldo 1994; trad.
it. di M. Brumm e M. Schirone, L’etica del
discorso di fronte alla sfida della filosofia
latinoamericana della liberazione, in «Segni e comprensione», n. 23, settembredicembre 1994), Apel risponde a queste
obiezioni con una presa di coscienza: «La
posizione degli oppressi è sempre la posizione dell’umanità eticamente normativa»;
oppure con una generica, superficiale e
stizzosa accusa politica: «Nonostante l’evidente originalità, essa è subordinata alla
sua faziosità etica nella misura in cui l’ela34
borazione teorica e pratica mette in rilievo
il rischio del dogmatismo e così anche della
possibile perversione nella direzione di un
terrorismo che raggiunge in forma più sensibile gli stessi poveri»; o ancora: «L’unica
pratica di liberazione che avrebbe senso
potrebbe consistere solamente nella guerra, nella guerra civile mondiale. Dussel
afferma questo in un passo importante, ma
lo nega in altri, a favore di possibili riforme
e anche di un possibile ricorso all’etica del
discorso da parte dell’etica della liberazione che dovrà accompagnare direttamente
la pratica di liberazione come sua coscientizaçâo (costante processo di presa di coscienza) nel senso di Paulo Freire».
Di altro tenore è la posizione di Ricoeur:
«Se la critica dell’oppressione economica
e sociale non passa attraverso la critica
della dominazione politica e se si pretende
di giungere alla liberazione economica attraverso qualsiasi cammino politico, ci si
condanna ad una terribile vendetta della
storia» (Filosofia e liberazione, trad. it. di
F. Schipa, in «Segni e comprensione», n.
15, gennaio-aprile 1992). Ricoeur, dunque, riconosce la necessità di un primato
della critica e della liberazione politiche
rispetto alla denuncia e al superamento
dell’oppressione economica. Ed è proprio
questo il punto che Dussel riprende da
Ricoeur e dalla tradizione antica: la politica
come filosofia prima. È indiscutibile, infatti, il carattere politico della filosofia della
liberazione, che appunto per questo suo
carattere essenzialmente politico è in fondo una filosofia pratica, nel senso che Dussel dà al termine prassi, cioè rapporto uomouomo. Misconoscere questo aspetto della
filosofia della liberazione rappresenta una
vera e propria mistificazione concettuale.
In Apel, Ricoeur, Rorty y la filosofia de la
liberación, Dussel contrappone a Ricoeur
un modello di critica della dominazione
imprevisto dall’ermeneutica ricoeuriana:
«L’opposizione tra i “due mondi”: la prevalenza dell’uno sull’altro, la distruzione
del mondo amerindiano a causa della conquista in nome del cristianesimo... metterà
in crisi il modello ricoeuriano, adatto all’ermeneutica di “una cultura”, ma non per
il confronto “asimmetrico” tra varie culture (una dominante e l’altra dominata)». La
categoria della dominazione e dell’oppressione, dunque, permette a Dussel di
superare una certa chiusura dell’ermeneutica di Ricoeur. All’obiezione di Ricoeur circa la necessità di una liberazione politica Dussel risponde con lo studio
delle opere economiche di Marx, che
spinge Dussel a cercare una sintesi tra
gli aspetti teologici della sua filosofia e
quelli più legati alla sfera dei rapporti
materiale degli uomini. Così il suo linguaggio si è fatto più incisivo, il suo pensiero
più pratico; e in questi ultimi anni, per la
sempre più forte assunzione della politica al
centro del suo discorso, la redazione di un’etica della liberazione diviene per Dussel un
compito ancora più urgente. A.I.
TENDENZE E DIBATTITI
Riflessioni sulla modernità
Ne L’ENIGMA DELL’ESISTENZA. SOGGETTO,
MORALE, PASSIONI NELL’ETÀ DEL DISINCANTO
(Feltrinelli, Milano 1996) Sergio Moravia propone un’analisi della modernità che ad una visione restrittiva del
reale contrappone una concezione linguistico-ermeneutica, fondata su un
modello pluralistico della realtà che
non rifugge dalla sua enigmaticità e
dalla sua complessità. L’affermazione
dell’esistenza del divenire, su cui si
fonda la filosofia dell’occidente, è invece considerata da Emanuele Severino, nel suo studio TAUTOTÈS (Adelphi,
Milano 1995), conseguenza del tentativo fallito di concepire l’identità dell’essere senza coglierne l’eternità. A
queste prospettive di riflessione sulla
modernità si affianca, in una nuova
riedizione, il saggio di Salvatore Natoli, SOGGETTO E FONDAMENTO. IL SAPERE DELL’ORIGINE E LA SCIENTIFICITÀ DELLA FILOSOFIA
(Bruno Mondadori, Milano 1996), che
dedica un’attenzione particolare allo
sviluppo della concezione del soggetto in Aristotele e Cartesio.
Ne L’enigma dell’esistenza Sergio Moravia si propone di demolire l’orientamento di ricerca epistemologico basato
su una concezione oggettivistica e realistica della scienza e sull’affermazione di
«un unico modello di scientificità», che
considera l’uomo più “agito” che “agente”, in quanto determinato da strutture
date in eterno. Di contro, Moravia delinea un’immagine dell’uomo alla luce di
una teoria della comunicazione caratterizzata dal fatto che il soggetto non si
rapporta ad un senso già prestabilito, ma
costruisce il senso in base alle sue esigenze concrete e ai suoi progetti.
Nella modernità, osserva Moravia,
sono prevalsi il modello “materialistico-biologistico”, che rapporta l’essenza umana alla corporeità materiale, e
quello “psicologistico”, che invece riconduce tutta la realtà umana alla dimensione mentale. In opposizione a
questi modelli Moravia intende valorizzare la prospettiva “linguistico-ermeneutica”, in base alla quale l’uomo
viene definito come un “essere valutante”, dominato da una “vocazione
interrogante-ricercante”. Da questo
punto di vista, Nietzsche e Heidegger, accusando tutto il sistema dei
valori della civiltà occidentale, hanno
assunto, secondo Moravia, una posizione troppo negativa, mentre è necessario mantenere la memoria del passato, difendere la «tensione verso il futuro», sostenere la «cura dell’orizzonte terrestre» e concepire il senso del
limite e della finitudine dell’uomo. In
tale prospettiva, bisogna abbandonare
l’immagine dell’uomo come “identità
singola” per affermare un’immagine
pluralistica dell’uomo, dove l’alterità
rappresenta una componente necessaria ed essenziale dell’essere umano,
rendendolo cosciente della propria
costitutiva finitudine.
Il pensiero della complessità, che si è sviluppato nella filosofia contemporanea a
partire dagli anni Settanta, si presenta, secondo Moravia, come un “pensiero costruttivo” in grado di valutare alcune coppie di termini non in modo antagonistico,
ma in modo complementare. L’atteggiamento “critico-negativo” nei confronti dell’ambiguità è frutto di una prospettiva riconducibile al principio per cui la realtà è
costituita da «elementi determinati e classificati in modo univoco» e corrisponde
all’idea che l’uomo coincida con un “essere luminoso” capace di dissolvere le ombre. Per Moravia, invece, l’esistenza umana non può essere compresa dalla ragione e
dal logos, essendo “imprevedibile” e “non
categorizzabile”.
Nell’affermare la realtà del divenire, la
filosofia dell’Occidente, osserva Emanuele Severino, cade in contraddizioni
insuperabili, rivelandosi un «tentativo
fallito di pensare l’identità dell’essente». Ritenendo che l’essente, attraverso
il divenire, divenga altro da sé, il pensiero occidentale è costretto ad affermare
per assurdo l’“identità dei diversi”. Isolando, infatti, il soggetto dal predicato e
da ogni altro soggetto è necessario affermare il divenire come unica modalità
con la quale il soggetto possa di nuovo
entrare in relazione col predicato. Affermando invece il nesso necessario tra gli
essenti, viene esclusa, per Severino, ogni
possibilità che un essente abbia bisogno
del divenire. In questa prospettiva il divenire non è il divenire altro, ma «il
comparire e lo scomparire dell’eterno».
In Soggetto e fondamento Salvatore Natoli esamina la nozione di soggetto, considerando in particolar modo le teorie di
Aristotele e di Cartesio. Nella filosofia
aristotelica sono compresenti, secondo
Natoli, due componenti relative alla dimensione del soggetto; una connessa alla
sostanza, che riguarda il sostrato, e l’altra legata al divenire e alla dissoluzione
della sostanza. Così in Aristotele la centralità del soggetto si afferma contemporaneamente al suo decentramento.
Come aveva già rilevato Heidegger,
Natoli attribuisce la differenza tra antico e moderno al fatto che il pensiero
moderno è basato sul concetto di “garanzia”. Infatti, nella filosofia di Cartesio, il soggetto viene identificato
con un unico “luogo garantito” in quanto «assolutamente autogarantentesi».
Tuttavia, Cartesio non solo non aderisce totalmente alla modernità, ma addirittura esaspera la prospettiva aristotelica, affermando il primato della
sostanza pensante. Infatti, per Cartesio, il pensiero costituisce il fondamento della verità.
35
Se quindi, osserva Natoli, la tradizione
aristotelica e postaristotelica ha considerato il soggetto come una “sostanza
individuale”, la filosofia cartesiana, facendo coincidere “fondamento” ed “egoità”, trasforma il soggetto in soggettività.
In tal senso, per quanto riguarda la tematica della soggettività, la filosofia moderna compie nel suo complesso un’indagine sulla “rappresentazione” e sui
“modi della rappresentazione”. M.Mi.
Controversie sulla ragione
Alcune recenti pubblicazioni richiamano sulla scena del dibattito attuale in
Francia le numerose controversie e
polemiche di cui l’Illuminismo fu la
causa e al tempo stesso il principale
destinatario. Si tratta della raccolta di
saggi dal titolo: AUFKLÄRUNG: LES LUMIÈRES ALLEMANDES (Afklärung: i Lumi
tedeschi, Garnier-Flammarion, Parigi
1995), curata da Gérard Raulet, che
presenta il quadro delle maggiori dispute dell’Illuminismo, a cui si affiancano una miscellanea di articoli curata
da Philippe Beck e da Denis Thouard,
POPULARITÉ DE LA PHILOSOPHIE (Popolarità
della filosofia, ENS Editions, Fontenay-aux-Roses 1995), e un volume di
documenti sulla questione del panteismo, a cura di Pierre-Henri Tavoillot,
LE CRÉPUSCULE DES LUMIÈRES . LES DOCUMENTS DE LA QUERELLE DU PANTHÉISME 17801789 (Cerf, Parigi 1996).
La raccolta Aufklärung: les Lumières
allemandes presenta una rassegna dei
grandi temi di dibattito dell’Illuminismo tedesco, quali il passaggio dal “razionalismo” alla “critica della ragione”,
la questione: “Che cos’è l’Illuminismo?”,
l’eredità di Leibniz e di Wolff, la “filosofia popolare”; varie considerazioni sul
fenomeno della tolleranza religiosa, del
panteismo, della Schwärmerei (esaltazione) romantica, della massoneria; analisi della dimensione storica e politica
che caratterizza il conflitto fra lo storicismo nascente e il diritto naturale, la
questione del dispotismo “illuminato” o
l’interpretazione della Rivoluzione francese, l’idealismo pedagogico o utopista.
Popularité de la philosophie raccoglie
invece una serie di contributi critici sulla
“filosofia dei Lumi” e si concentra sul
“sogno” di una comunicazione universale, di un sapere largamente condivisibile; in altri termini, di una “filosofia
popolare”. La diversificazione delle
esperienze, dei viaggi e degli scambi, il
progresso dell’empirismo, il gusto delle
esperienze, il nuovo ruolo, tra le facoltà,
attribuito alla sensibilità rendono obsoleta la ricerca di un modello universale,
perfetto, astratto, di una lingua per sa-
TENDENZE E DIBATTITI
pienti. A questo prop osito, l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert, sottolinea Véronique Le Ru nel suo contributo al volume, si dimostra una messa in
opera della parola d’ordine diderotiana:
«Bisogna sbrigarsi a rendere popolare la
filosofia!». Sull’esigenza di “popolarità” della filosofia, ribadita dallo stesso
Hume, si sofferma anche il contributo di
Michel Malherbe, mentre sulla necessità di scrivere di filosofia in lingua
volgare, sull’esempio tedesco di Georg
Friedrich Meier, che “popolarizza” il
“padre” dell’estetica A.G. Baumgarten, interviene Dominique Bourel.
L’interesse di Philippe Hamou si concentra invece su Francesco Algarotti, berlinese d’adozione, che con una
scrittura in bilico tra “filosofia mondana” e “volgarizzazione scientifica”
intendeva spiegare Newton alle “dame”.
Ma l’imperativo di una popolarizzazione della filosofia è in primo luogo
un fatto etico, come sottolinea nel suo
intervento Michèle Crampe-Casnabet, che richiama la coscienza morale
dell’uguale dignità dell’uomo in Rousseau e Kant. A questo proposito, JeanMarc Moullie e Michèle Cohen-Halimi fanno notare nel loro intervento
come l’imperativo di popolarizzare la
filosofia, lanciato da Diderot nel suo
S u ll’in terp re ta zio n e d ella na tu ra
(1754), sia introdotto in Germania da
Ernesti, teologo e professore di retorica a Leipzig, il cui programma di una
“urbanità filosofica” diviene militantismo della popolarizzazione con Garve,
rappresentante compiuto della Popolarphilosophie tedesca, come fa notare Denis Thouard.
Più enigmatica, per via del suo orientamento estetico, appare l’attività di popolarizzazione di Karl Philip Moritz, come
risulta, secondo quanto ci dice Philippe
Beck, dal dibattito sul Saggio sul gusto
di Marcus Herz, che richiama Salomon
Maimon. Il “buon senso”, già presente
nella filosofia di Descartes, diviene un
altro dei temi maggiori della filosofia
popolare; in Francia, con Filosofia del
buon senso (1737) di Boyer d’Argens,
come ricorda Guillaume Pigeard, e in
Germania con Mendelssohn, come rileva nel suo contributo Pierre-Henri Tavoillot, che cerca nel “buon senso” una
soluzione alle aporie della ragione, rese
più drammatiche dalla querelle sul panteismo. Di fatto, però, l’idealismo tedesco non riuscì a “farsi comprendere” da
tutti, malgrado i tentativi di Fichte, richiamati da Jean-Christophe Merle e
da Angeline Danaux in due differenti
contributi. La fine della popolarizzazione della filosofia, precisa Pierre Caussat, è segnata dal passaggio dal concetto
di populus, compreso come pubblico, a
quello di Volk, quale si presenta già in
Herder.
Il sogno di una ragione armoniosa e
riconciliatrice fu seriamente messo in
discussione in Germania, tra il 1785 e il
1789, dalla querelle sul panteismo, scatenata dall’interpretazione di Spinoza da
parte di Jacobi. L’esistenza di un sistema razionale apparentemente auto-sufficiente e indipendente dall’idea di Dio,
identificato con la natura, costituiva un
motivo d’inquietudine per l’Illuminismo,
che nel suo sforzo di rendere compatibili
ragione e fede veniva accusato da Jacobi di condurre inevitabilmente all’“ateismo” sistematico di Spinoza.
Con il titolo: Le crépuscule des Lumières
vengono raccolti i documenti che caratterizzarono questa querelle, tra cui scritti di Weizenmann, lettere di Kant, scritti
poco noti di Lessing, oltre a pagine di
Jacobi, Herder e Mendelssohn. Un lungo
e approfondito saggio introduttivo e un
ricco apparato di note accompagnano
questi documenti.
Disdegnando la facoltà della ragione,
Jacobi proponeva di operare un “salto
mortale”, indicando il sentimento religioso come il solo capace di offrire
la rivelazione immediata della realtà.
Con questo Jacobi suscitava in Kant
la brillante domanda: “Che cosa significa orientarsi nel pensiero?”, in cui
Jacobi veniva sconfessato senza per
questo dar adito al dogmatismo di Mendelssohn. Tuttavia, l’utilizzazione polemica che nella sua domanda Kant
faceva di Spinoza inaugurò in Germania un’importante Spinoza-Renaissance, come risulta in particolare dal dialogo di Herder Dio (1787). La querelle continuò per decenni, coinvolgendo
Schelling, Hegel e Schlegel e contribuendo allo scacco del progetto illuministico, almeno nella sua formulazione dogmatica. Le critiche di Jacobi
a Kant nutrirono le concezioni di Fichte, Schelling, Hegel. F.M.Z.
Wittgenstein in Francia
A lungo tenuto ai margini del dibattito filosofico francese, Wittgenstein torna oggi al centro dell’attenzione svincolandosi dall’ipoteca che lo aveva voluto per decenni affiliato alla filosofia analitica e perciò estraneo alla tradizione francese. Tra le varie iniziative
editoriali si segnala il volume di
Jean-Pierre Cometti, PHILOSOPHER
AVEC WITTGENSTEIN (Filosofare con
Wittgenstein, Puf, Parigi 1996), che
ha il merito di fare chiarezza all’interno delle genealogie wittgensteiniane e insieme di porre l’accento,
in modo articolato, sul legame tra
sfera concettuale e sfera etica che
percorre tutta la riflessione del filosofo austriaco.
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In Francia il ritardo della ricezione di
Wittgenstein è stato causato soprattutto
alla diffidenza a lungo invalsa verso ogni
corrente analitica, a cui il filosofo austriaco era stato iscritto d’ufficio. Di
recente, invece, una certa tendenza internazionalistica del dibattito interno
francese, grazie anche all’opera di Jacques Bouveresse, riporta Wittgenstein
in primo piano e con un’ottica a tutto
campo che non guarda solo agli apporti
sul piano logico ed epistemologico, ma
al senso stesso del suo fare filosofia. In
questa direzione si pongono le attese
traduzioni del Quaderno blu e del Quaderno marrone (Le Cahier bleu e Le
Cahier brun, Gallimard, Parigi 1996) di
Wittgenstein, come pure quelle di due
importanti, benché datati, saggi critici,
entrambi dedicati al secondo Wittgenstein e al problema della verità e della
conoscenza: Les voix de la raison. Wittgenstein, le scepticisme, la moralité et la
tragédie (Le voci della ragione. Wittgenstein, lo scetticismo, la moralità e la
tragedia, trad. fr. di S. Laugier, Seuil,
Parigi 1996), di Stanley Cavell, e Règles et langage privé. Introduction au
paradoxe de Wittgenstein (Regole e linguaggio privato. Introduzione al paradosso di Wittgenstein, trad. fr. di T.
Marchaisse, Seuil, Parigi 1996; trad. it.
Torino 1986), di Saul A. Kripke.
In questa situazione, lo studio di JeanPierre Cometti, Philosopher avec Wittgenstein, anch’esso dedicato al secondo Wittgenstein, più che addentrarsi nel testo wittgensteiniano se ne
fa in qualche modo il difensore, mettendolo in rapporto con i tentativi di
appropriazione che ne sono stati fatti
sia sul versante più propriamente analitico o pragmatistico, sia su quello
ermeneutico: lo scopo dichiarato è
mettere in risalto, in chiara controtendenza rispetto alle filosofie contemporanee à la page, l’originalità e la
coerenza di un “filosofo” che ha sempre saputo spiazzare il lettore per la
sua estraneità a ogni gergo o tecnicismo filosofico e talora alla filosofia
stessa. Nel vuoto di dibattito che Cometti denuncia dopo la fine dei “grandi racconti” della filosofia moderna,
la concezione terapeutica della filosofia avanzata da Wittgenstein s’impone
come un percorso che coerentemente
prevede la propria autodissoluzione,
una volta che gli inganni prodotti dal
girare a vuoto del linguaggio siano
stati chiarificati.
In altri termini, precisa Cometti, la filosofia si configura per Wittgenstein come
un paziente esercizio di descrizione degli usi linguistici, che non mira a costituirsi in teoria, ma a chiarificare i problemi
filosofici mostrandone la contingenza e
la loro precisa provenienza dai nostri usi
linguistici. Come notava N. Malcom,
osserva Cometti, non esiste un’essenza
TENDENZE E DIBATTITI
dei problemi, un senso dissimulato, una
verità nascosta che la filosofia abbia il
compito di svelare. Anzi la filosofia, in
quanto a propria volta gioco di linguaggio, è caratterizzata dalla stessa contingenza di ogni altro gioco linguistico e,
come ciascuno di essi, affonda in una
ben determinata forma di vita, dando
espressione, nei suoi crampi mentali, ad
un disagio che appartiene alla sfera della
vita comune, della società. È per questo
che essa deve privilegiare il linguaggio
ordinario come terreno di analisi; ma è
per lo stesso motivo che non può pretendere, descrivendo gli usi linguistici che
sono alla base dei falsi problemi filosofici, di agire sulle forme di vita che sono
a essi legate. L’unico privilegio di cui si
possa vantare il filosofo è forse quello di
aver raggiunto un modo di vedere che gli
permette di dissipare le nostre confusioni grammaticali, non certo il potere di
intervenire alla radice dei problemi stessi, «come se bastasse cambiare opinione
per trasformare il mondo».
Tuttavia, sottolinea Cometti, non si deve
rinvenire qui la cifra di una concezione
minimalista e in ultima analisi pessimista della filosofia di Wittgenstein, ma la
sua dimensione più personale e sofferta.
«Il lavoro filosofico è [...] prima di tutto
un lavoro su di sé. Significa lavorare ad
una propria idea. Al proprio modo di
vedere le cose. (E a ciò che da esse ci si
aspetta)». In osservazioni come questa
si cela, secondo Cometti, la chiave dell’attenzione/tensione ai problemi di etica che percorre tutta la seconda fase del
pensiero di Wittgenstein e che gli consente di sfuggire all’alternativa obbligata della filosofia come azione su di sé
(secondo una linea che va da Socrate a
Nietzsche) e come azione sul mondo
(magari anche solo a livello di interpretazione, come Heidegger). Il lavoro su di
sé è infatti concepibile per Wittgenstein
solo come lavoro sul linguaggio, bene
comune per definizione: è questo particolare rapporto tra linguaggio e vita quotidiana che fonda il legame tra problemi
concettuali e questioni etiche. Il senso
del lavoro filosofico non è certo consentirci di discutere con qualche verosimiglianza di questioni astruse, ma permetterci di pensare “in modo realmente onesto” sulla nostra vita e su quella altrui. Il
ruolo terapeutico della filosofia è dunque il frutto di uno sforzo di miglioramento di sé che non rimane meramente
solipsistico, ma, attraverso il legame tra
linguaggio e forme di vita, è già “sociale”. K.B.
Materia signata
e materia segnica
Fra le tendenze più recenti della filosofia italiana del linguaggio spiccano propensioni per una semiotica materialistica, che riprenda in considerazione
la materialità del segno nella sua irriducibile alterità rispetto ai processi di
significazione. In questa direzione si
collocano due recenti studi: MATERIA
SIGNATA. SULLE TRACCE DI HJELMSLEV, HUMBOLDY E ROSSI-LANDI (Levante Editori,
Bari 1996), di Cosimo Caputo, e MATERIA SEGNICA E INTERPRETAZIONE. FIGURE E
PROSPETTIVE (Edizioni Milella, Lecce
1995), di Susan Petrilli. Il primo ruota
intorno al concetto di “materia signata” di Louis Hjelmslev; il secondo valorizza gli studi semiotici di Victoria Lady
Welby.
Nell’ampia diffusione attuale delle ricerche di filosofia del linguaggio acquista
spazio una tendenza che, prese le distanze
dalla linguistica strutturale e dalla propensione formale della filosofia analitica, richiama gli aspetti etici ed esistenziali della
significazione, ancorandola ad una dimensione umana e materiale. Filosofi e linguisti come Charles S. Peirce, Charles Morris,
Louis Hjelmslev, Michail M. Bachtin e
Ferruccio Rossi-Landi sono riconosciuti
promotori di una linea paradigmatica alternativa a quella formalista e strutturale.
Nel suo studio, Cosimo Caputo propone
una filosofia del linguaggio che propende
verso una concezione fenomenologica, esistenziale ed etica della comunicazione segnica, tentando di dare consistenza ad una
linea paradigmatica della filosofia del linguaggio che trova in Hjelmslev il suo centro di forza e che si protende all’indietro
verso Wilhelm von Humboldt e in avanti
verso Rossi-Landi. A Hjelmslev Caputo ha
dedicato in precedenza Il segno di Giano.
Studi su Louis Hjelmslev (Milano 1986) e
Su Hjelmslev. La nuvola di Amleto: segno,
senso e filosofia del linguaggio (Napoli,
1993); in quest’ultimo studio prevale l’attenzione a rintracciare intorno al concetto
di “materia” un asse culturale che consente
alla filosofia del linguaggio di proporsi
come luogo di incontro della ricerca conoscitiva ed etica.
Nel concetto hjelmsleviano di “materia”
Caputo riconosce il presupposto della sua
concezione della linguistica come formazione di senso e di un allontanamento da
una linguistica strutturale e formale. La
materia del linguaggio si presenta come
una “classe di variabili” che, nella sua
alterità, eccede rispetto a ogni determinazione ontologica o logica. Riprendendo
una classificazione della storia della linguistica proposta da Raffaele Simone, secondo la quale ad un paradigma dell’arbitrarietà (esplicitato pienamente da Ferdinand de Saussure e dalla linguistica strutturale) si contrappone un paradigma della
37
sostanza, che valorizza la sostanza fonica e
il processo umano di significazione, Caputo osserva che Hjelmslev procede dal paradigma dell’arbitrarietà al paradigma della
sostanza, che mostra connessioni con il
concetto di “sottinteso” di Bachtin, con la
“forma di vita” di Ludwig Wittgenstein,
con l’“oggetto” di Peirce.
In Humboldt, fa notare Caputo, la dialettica materia-forma rinvia a un’attività spontanea del linguaggio, osservato nella sua
natura spirituale e creativa e nella sua dinamica storica. L’energeia, in una incessante
dialettica con gli erga, mette in rapporto
l’azione del soggetto spirituale con i limiti
oggettivi del materiale linguistico. In Rossi-Landi la filosofia del linguaggio assume
una torsione sociale ed economica, dove
determinante è il concetto di lavoro, che
permette di intendere le lingue come prodotti (erga) rispetto ad un linguaggio che
lavora in termini materialistici e storici
(energeia). Nella sua attenzione alle pratiche linguistiche del parlare comune, RossiLandi modula la “materia signata” alla luce
di una semiosi, vista come incessante “collaborazione”, nella quale la dinamica di
trasformazione/produzione spezza ogni
identità chiusa e risolve il linguaggio nell’accadere del mondo.
Con toni diversi e una maggiore attenzione
al versante letterario, ma all’interno dello
stesso orizzonte filosofico, si muove Susan Petrilli, con un volume in cui sono
rielaborati saggi, relazioni e introduzioni
prodotti fra il 1988 e il 1995. Studiosa di
Charles Morris e Rossi-Landi (dei quali ha
curato l’epistolario in lingua inglese), Petrilli fa ruotare il paradigma semiotico della
sostanza segnica attorno all’opera di Victoria Lady Welby, studiosa di filosofia del
linguaggio, ma anche di questioni eticosociali e pedagogiche, contemporanea di
Peirce, alla quale Petrilli ha già dedicato
Significs, semiotica e significazione (Bari
1988) e Su Victoria Lady Welby. Tra significs e filosofia del linguaggio (di prossima
pubblicazione per la ESI, Napoli).
Intorno alla teoria del significato segnico
elaborata da Lady Welby, Petrilli costruisce raccordi e confronti che motivano l’interazione stretta tra materia segnica e interpretazione. In questa prospettiva vengono
esaminate numerose proposte novecentesche di “semiotica dell’interpretazione” che,
diversamente dalla linguistica strutturale
di origine saussuriana, segnalano la specificità dell’interazione comunicativa umana: la dialogicità polisemica individuata da
Bachtin, la “semiosi illimitata” di Peirce,
l’analisi pragmatica del rapporto tra segni,
valori e comportamenti, sviluppata da
Charles Morris e poi, con un più accentuato spessore materialistico, da RossiLandi e da Ponzio, che interagiscono con
la semiotica di Welby in un reticolo in cui
non mancano anche puntuali annotazioni
sulla semiosi della traduzione, sui “segni
del silenzio” e sul senso della scrittura
poetica in Robert Graves. G.P.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Sören Kierkegaard
38
PROSPETTIVE DI RICERCA
PROSPETTIVE DI RICERCA
Kierkegaard negli Stati Uniti
L’opera di Kierkegaard è attualmente
al centro dell’attenzione degli studiosi
statunitensi. In SELVES IN DISCORD AND
RESOLVE: KIERKEGAARD’S MORAL -RELIGIOUS
PSYCHOLOGY FROM ‘EITHER /OR ’ TO ‘SICKNESS UNTO DEATH ’ (Mettersi in discussione e trovare una soluzione. La psicologia morale-religiosa di Kierkegaard da ‘Aut-Aut’ alla ‘Malattia mortale’, Routledge, Londra 1996) Edward
Mooney sottolinea come nei ritratti
poetico-letterari presenti nelle opere
di Kierkegaard s’intreccino riflessioni
dialettico-filosofiche, che aprono ad
una sorta di psicologia morale-religiosa calata in un “contesto comunicativo”. Lo studio di Sylvia Walsh, LIVING
POETICALLY : KIERKEGAARD’S EXISTENTIAL AESTHETICS (Vivere poeticamente: l’estetica esistenziale di Kierkegaard, Penn.
State Press, Pennsylvania 1995), considera invece l’elemento poetico in
Kierkegaard non come un qualcosa di
contrapposto alle altre dimensioni, ma
come una componente che deve essere rapportata all’interpretazione etico-religiosa indicata da Kierkegaard.
Secondo Edward Mooney la peculiarità
dell’opera di Kierkegaard risiede nel
suo porsi al bivio tra un’analisi razionale
e una composizione lirica, senza giungere però a un’astratta teoria dell’io e neppure ad una teoria dei principi morali o
delle virtù pubbliche. Muovendo dal rapporto tra filosofia e poesia, Mooney
mostra come Kierkegaard assimili l’eredità kantiana di una immaginazione che
unisce la libertà della ragione alla creatività poetica, combinando la critica scettica col “linguaggio poetico del cuore” e
anticipando in questo Nietzsche e Heidegger. Il cammino da Kant a Kierkegaard, attraverso Nietzsche e Heidegger,
identifica una tradizione di pensiero in cui
i confini tra l’ambito poetico, filosofico,
letterario e ideologico diventano problematici, pur non cadendo in forme di irrazionalismo. Nell’opera di Kierkegaard, sottolinea Mooney, agisce una ragione non
teoretica e non strumentale, impegnata
in un giudizio comparativo volto a dare
intelligibilità alla crescita, al cambiamento, alla transizione e alla conversione morale.
In Aut-Aut, fa notare Mooney, la sfera estetica viene ricomposta da Kierkegaard in termini religioso-morali attraverso l’analisi di
temi quali l’amore, la creatività, il rispetto.
Nella Postilla conclusiva non scientifica
(1846) l’idea di ripetizione e di ripresa è
messa in opposizione a quella platonica di
reminiscenza; ne La ripresa (1843) questo
concetto viene opposto invece a quello hegeliano di mediazione. L’immediatezza iniziale dell’arte è per Kierkegaard parallela alla
seconda immediatezza dell’esperienza religiosa, sebbene la sfera religiosa e quella
estetica non debbano essere fuse insieme, in
quanto entrambe sono forme dell’immediatezza, non sono cioè mediate da un giudizio
riflessivo o discorsivo. Con una formula che
ricorda il movimento dell’esperienza di Hegel, Kierkegaard sottolinea come la ripresa
non annulli, né cancelli, la percezione iniziale ma, al contrario di Hegel, l’approfondimento del significato avviene in virtù di
qualcosa che trascende il primo momento.
In Timore e tremore, osserva Mooney, la
“sospensione teleologica dell’etica”, è quella di una visione del conflitto morale basata
su una deliberazione semi-legale in favore di
un più ampio e più profondo modello di
transizione. In tale prospettiva, Timore e
tremore apre la discussione sulla questione
dello statuto dell’etica e sul problema se il
comando divino possa sospenderla. La Postilla conclusiva non scientifica permette
invece a Mooney di delineare una serie di
temi inerenti la soggettività, come il tema
della nascita e della morte, del significato
della vita, della responsabilità, sviluppando un confronto con l’opera di Thomas
Nagel, che ha affrontato un tema parallelo
a quello della Postilla conclusiva: come
reintegrare la verità della soggettività senza eliminare i diritti dell’oggettività.
Con l’intento di rivalutare l’importanza
dell’elemento poetico in Kierkegaard, Sylvia Walsh individua nell’opera kierkegaardiana una concezione etico-religiosa della
poesia, in cui la dimensione etica, estetica
e religiosa della vita umana sono considerate come integrate l’una con l’altra, in
opposizione all’interpretazione tradizionale
che vede nello stadio estetico il gradino più
39
basso dei livelli della vita rispetto a quello
etico e religioso.
Walsh individua nel pensiero di Kierkegaard una prima fase, che si sviluppa, a
partire dal 1844, da Aut-Aut fino alle Briciole di filosofia e Il concetto dell’angoscia, in cui Kierkegaard parla del “vivere
poetico” in relazione al romanticismo tedesco. A differenza di altri pensatori, come ad
esempio Nietzsche, la dimensione estetica
dell’esistenza non è posta da Kierkegaard
in relazione alla “creazione” dell’io, in
accordo con una natura prestabilita, ma è
basata sullo “sviluppo”. Questa dimensione è possibile solamente per l’individuo
religioso, che possiede un’infinità interiore
in virtù della sua relazione con l’eterno
come possibilità. Questa interiorità deve
far sì che una trasformazione e uno sviluppo della nostra attualità possano compiersi
all’interno di un orientamento religioso.
Nella seconda fase (1845-1848), in cui
Walsh prende come riferimento gli Stadi
sul cammino della vita e la Postilla conclusiva non scientifica, le obiezioni di Kierkegaard alla poesia diventano prevalenti, pur
nel riconoscimento di un importante ruolo
esistenziale dell’elemento poetico. Qui
Kierkegaard distingue tra autori “veri” e
“falsi”: i primi hanno una “visione della
vita” globale, attraverso la quale vedono se
stessi e il mondo; i secondi dirigono semplicemente se stessi attraverso una serie di
problemi, che non hanno veramente analizzato, per giungere ad una conclusione. Nella
fase finale (1849-1852), che viene messa in
relazione con opere specificatamente religiose, quali La malattia mortale ed Esercizio del cristianesimo, Kierkegaard, secondo Walsh, vede se stesso come un “poeta
della religione cristiana” e considera i suoi
ultimi scritti religiosi come una sorta di
composizione poetica, senza tuttavia dimenticare mai l’importanza primaria della
realizzazione esistenziale.
Da ultimo Walsh propone un confronto con
le prospettive del “pensiero della differenza” del femminismo francese postmoderno
con l’obiettivo di chiedersi, attraverso Kierkegaard, se la differenza di genere possa
mai fornire un adeguato senso di autoidentità, esortandoci a cogliere non le differenze, ma piuttosto gli elementi comuni
della nostra umanità. M.B.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Alle origini
del pensiero di Herder
Il pensiero di Herder è oggetto d’analisi nello studio di Ralph Häfner,
JOHANN GOTTFRIED HERDERS KULTURENTSTEHUNGSLEHRE. METHODE SEINES GESCHICHTSDENKENS (La teoria della nascita
della cultura in Johann Gottfried
Herder. Il metodo del suo pensiero
storico, Felix Meiner, Amburgo
1995), in cui ci viene proposta un’immagine innovativa del filosofo tedesco, che insiste sul suo rapporto di
continuità con la tradizione.
Comunemente conosciuto come ispiratore dello Sturm und Drang, Herder appare nella storia del pensiero come personaggio di rottura rispetto alla tradizione, se non addirittura come il fautore di
un “riorientamento” delle forme della
riflessione. Tale immagine viene smentita dalla ricerca di Ralph Häfner, che
risalendo alle fonti e al metodo del pensiero storico elaborato da Herder tra il
1762 e il 1780 ne evidenzia la dipendenza da nuclei problematici tradizionali,
da lui stesso semplicemente ripresi,
modernizzati e riformulati.
Documento chiave dello studio di Häfner è
costituito dal catalogo dei testi contenuti
nella biblioteca privata di Herder, realizzato in occasione del trasferimento a Weimar
il 21 giugno 1776. I riferimenti bibliografici contenuti nel catalogo permettono infatti
un’analisi critica degli scritti postumi di
Herder, in gran parte ancora inediti, che
modificano l’interpretazione tradizionale
del filosofo come «pensatore autoctono e
originale», «precursore dei romantici, dello storicismo e dell’evoluzionismo». Di
fatto, riconducendone il pensiero all’antropologia, allo studio delle manifestazioni
dell’animo umano, Häfner mostra come la
concezione di Herder appaia ancora profondamente legata alla tradizione europea,
in una sorta di «modernizzazione di antiche
forme di pensiero».
Mostrando una notevole sensibilità per
il rilievo critico del dettaglio, Häfner
riconduce i contenuti degli scritti postumi di Herder a varie fonti rinascimentali
e precartesiane, nonché agli scritti del
mistico francese Pierre Poiret e al sensualismo francese, tra le cui produzioni
spicca il saggio Phisique de la beauté
(Fisica della bellezza, 1748) di Morelly,
particolarmente determinante per la definizione del pensiero estetico di Herder. Non manca naturalmente nelle considerazioni di Häfner l’influsso di Kant,
di cui Herder frequentò le lezioni universitarie a Königsberg, scrupolosamente
documentato in appendice al suo studio
dalla pubblicazione di un manoscritto
giovanile inedito di Herder, che risente
con evidenza dell’influsso del criticismo. L’interesse storico di Herder sembra invece essersi maturato, secondo
Häfner, in seguito al rapporto con lo
storico Johann Christoph Gatterer, suo
collega a Göttingen.
Nonostante la quantità dei dati raccolti,
la ricerca di Häfner trascura tuttavia alcune fonti di importanza capitale per la
comprensione del pensiero storico di
Herder, come i diari dei viaggiatori del
XVII e XVIII secolo o gli scritti degli
illuministi scozzesi, privilegiando le fonti antiche e mancando il riferimento ai
testi centrali della produzione herderiana (Saggio sull’origine del linguaggio,
Il diario del mio viaggio nel 1769, Il più
antico documento del genere umano).
Herder non si è limitato a modernizzare
unità problematiche tradizionali, come
vuole Häfner, ma ha operato una vera e
propria rivoluzione al duplice livello
della lingua e del repertorio formale della filosofia. La tecnica di traduzione di
Herder è un importante elemento indicativo del suo rapporto con le fonti. Con la
traduzione e la fusione della filosofia scolastica, del sensualismo francese e dell’empirismo inglese in un tedesco nuovo,
attento alla creatività linguistica di Klopstock, Lessing e del giovane Goethe, Herder perviene alla definizione della lingua
adeguata per la rappresentazione della storia dell’animo umano. L.R.
Passato e futuro
della psicoanalisi
In uno studio dal titolo: DER ZUKUNFT
DER PSYCHOANALYSE (Il futuro della psicoanalisi, Suhrkamp, Francoforte s/
M. 1995), l’analista e medico friburghese Johannes Cremerius s’interroga sulla scottante questione dello
statuto scientifico della psicoanalisi. Che la discussione e il confronto
critico fra i sostenitori della psicoanalisi non sia un fatto recente, ma
anzi rappresenti uno dei motivi conduttori della sua storia centenaria è
testimoniato da un volume, a cura
di Ludger M. Hermanns, dal titolo
significativo: SPALTUNGEN IN DER GE SCHICHTE DER PSYCHOANALYSE (Scissioni nella storia della psicoanalisi,
Diskord, Tubinga 1995).
Nel suo studio, Johannes Cremerius si
domanda se attualmente la psicoanalisi
sia in grado di offrire un contributo significativo allo sviluppo culturale odierno e all’approfondimento della nostra
comprensione del mondo, o se invece,
anche in seguito ai rivolgimenti critici e
allo sforzo di autoriflessione degli ultimi decenni, si debba concludere che essa
ha ormai esaurito il suo compito. Inoltre,
continua Cremerius, si tratta di stabilire
se nell’evoluzione della disciplina prevarrà l’aspetto medico-scientifico, op40
pure la dimensione filosofica e storicospirituale. Per parte sua Cremerius si
augura che la psicoanalisi stabilisca un
legame sempre più stretto con le altre
scienze umane e cerca quindi di fornire,
anche attraverso un confronto con la sua
storia, delle indicazioni utili per un’ulteriore crescita in tale direzione.
In particolare, la psicoanalisi, secondo
Cremerius, dovrebbe diventare una
“scienza normale”; essa dovrebbe cioè
collegarsi all’istituzione universitaria, al
fine di rendere più pragmatico e razionale anche l’esercizio della professione.
Soltanto la cooperazione con altri campi
del sapere e della prassi può rendere
infatti più concrete e circostanziate le
aspettative, altrimenti astratte, riposte
nella psicoanalisi, quale contributo allo
sviluppo culturale e sociale dell’uomo.
Bersaglio polemico di Cremerius è l’idea,
sostenuta soprattutto in Francia, di una
psicoanalisi come scienza istituzionalmente autonoma, senza legami con la
burocrazia o l’ideologia scientifica dominante.
Spaltungen in der Geschichte der
Psychoanalyse raccoglie gli atti di un
congresso che si è tenuto a Berlino nell’estate del 1994 e presenta una visione
d’insieme delle numerose scissioni e
spaccature che hanno costellato il percorso della psicoanalisi sin dagli esordi.
Viene così rievocato il drammatico rapporto tra Freud e il suo allievo prediletto,
Carl Gustav Jung, che porterà quest’ultimo alla fondazione della psicologia del
profondo, prima alternativa alla psicoanalisi freudiana. In altri interventi viene
invece riproposta la polemica tra Freud e
Ferenczi, tra Anna Freud e Melanie
Klein, per giungere infine ad un esame
delle differenze che caratterizzano attualmente le scuole psicoanalitiche in
Germania, Austria, Francia, Stati Uniti e
Sud America.
Interessante è notare, dagli interventi
presenti nel volume, come negli studiosi
di fama internazionale che hanno partecipato al congresso sia prevalsa la tendenza a conferire al dibattito e alla polemica una connotazione più positiva che
negativa. Non solo nell’ambito della
psicoanalisi, ma anche nella mitologia e
nella storia delle religioni spesso si giunge a spaccature, per impedire, o almeno
attenuare, la portata di ulteriori, macroscopiche scissioni che in certi casi possono condurre alla decadenza o alla distruzione di una forma culturale. Allo
stesso modo, le discussioni critiche che
hanno animato la storia della psicoanalisi hanno spesso costituito delle occasioni di crescita, di autochiarificazione e di
arricchimento. A.M.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Elogio della filosofia francese
Lo studio di Michel Serres
ELOGE DE LA
(Elogio
della filosofia in lingua francese, Fayard, Parigi 1995) viene a coronare il
suo impegno decennale di ideatore della
collana «Corpus des oeuvres de philosophie en langue française» (Corpus
delle opere di filosofia in lingua francese), iniziata nel 1984 e di cui è stato
pubblicato proprio ora il centesimo
volume, DE L’UNIVERSALITÉ EUROPÉENNE DE
LA LANGUE FRANÇAISE (Dell’universalità
europea della lingua francese, Fayard,
Parigi 1995), che riunisce i testi redatti
in occasione di un concorso indetto
dall’Accademia reale di Berlino nel 1784.
PHILOSOPHIE EN LANGUE FRANÇAISE
Il «Corpus des oeuvres de philosophie en
langue française», attualmente diretto da
Christiane Frémont, ha come obiettivo la
pubblicazione di testi specificamente filosofici, mai più riediti dopo la loro prima apparizione, ma che si rivelano interessanti perché «preparano il nostro tempo, lo spiegano
e ne annunciano gli esiti». Alla collana si
affianca la rivista «Corpus», che contribuisce a illustrarne e sostenerne le scelte. Tra
non molto, con il sostegno del Ministero
della Ricerca, tutte le opere sinora pubblicate
saranno disponibili anche su CD-ROM.
Si tratta di un’operazione volta a riscoprire
e rivalutare la specificità della tradizione
filosofica francofona contro la fascinazione subita dagli intellettuali d’oltralpe per
gli esiti speculativi tedeschi e anglosassoni. Le stesse peculiarità stilistiche e argomentative della filosofia di lingua francese
sono state misconosciute e sostituite con
stili di pensiero estranei. Ma quali sono
queste peculiarità?
A parere di Michel Serres, esse vanno ricercate nel fatto che molte opere filosofiche
francesi sono state scritte da non-specialisti
e sono nate al di fuori dell’ambiente accademico: l’individuo si sostituiva alla scuola; la
sua esclusione dal circuito dei professionisti
era fonte e garanzia di originalità. Gentiluomini, abati, medici, militari, giornalisti, cimentandosi con la speculazione, hanno testimoniato la loro predilezione per una trasparenza di linguaggio e un’eleganza di scrittura
che sono state a lungo la caratteristica principale della filosofia francese. Del resto, si
tratta di elementi che risalgono all’opzione
cartesiana per la chiarezza e la distinzione,
principi che non hanno mancato di rispecchiarsi nello stile di scrittura di Descartes,
contro il gergo fumoso e involuto della Scuola. Inoltre, la diffidenza nei confronti dell’accademia è sfociata, in Francia, in un’attitudine enciclopedica, manifestazione di una curiosità senza limiti, capace di confrontarsi
con la ricchezza e la molteplicità del reale.
Insomma, la filosofia francese non ha mai
voluto essere una disciplina esoterica, ma un
sapere per tutti e alla portata di tutti, privo di
pedantismo e refrattario a concettualizzazioni troppo rigide. Sebbene si tratti di evidenti
generalizzazioni, è impossibile non vedere
nelle due correnti individuate da Serres quella enciclopedica, per cui tutto può essere
oggetto di riflessione filosofica, e quella
della semplicità e della chiarezza nello stile
espositivo - tratti rintracciabili, insieme o
separatamente, nella maggior parte delle
opere filosofiche francesi.
Per quanto riguarda il presente, deplorando
l’utilizzo di un linguaggio oscuro (di provenienza per lo più tedesca e di matrice heideggeriana), Serres dichiara la propria preferenza per stili di pensiero che riescano a rendere
conto della sovrabbondanza e caoticità del
mondo. Riprendere coscienza della propria
provenienza, delle tradizioni autoctone, dovrebbe, secondo Serres, dare un nuovo impulso alla speculazione e non essere soltanto
un lavoro di memoria e di mera conservazione. Così, in questa ricerca delle tracce e
dell’insegnamento dei padri, Serres non si
limita a riproporre alla nostra attenzione, per
quanto riguarda il Novecento, pensatori come
Bergson o Poincaré, ma anche un poeta
come Charles Péguy. D.F.
Nuove edizioni di Josef König
La recente pubblicazione in Germania
di alcune opere di Josef König mette a
disposizione degli studiosi nuove fonti
per la conoscenza del pensiero di un
filosofo originale, ma ancora scarsamente noto. Si tratta delle KLEINE SCHRIFTEN (Scritti brevi, a cura di G. Dahms,
Alber, Friburgo i/Br. - Monaco di Baviera 1994) e dei corsi di lezioni, DER LOGISCHE UNTERSCHIED THEORETISCHER UND PRAKTISCHER SÄTZE UND SEINE PHILOSOPHISCHE
BEDEUTUNG (La differenza logica fra pro-
posizioni pratiche e teoretiche e il suo
significato filosofico, a cura di F. Kümmel, Alber, Friburgo i/Br. - Monaco di
Baviera 1994), a cui si aggiunge il carteggio degli anni 1923-1933 tra König e
Helmuth Plessner, BRIEFWECHSEL 1923 BIS
1933 (a cura di H.-U. Lessing e A. Mutzenbecher, Alber, Friburgo i/Br. - Monaco di Baviera 1994).
La filosofia di Josef König - affermava il suo
allievo Günter Patzig nel 1974, al momento
della morte del maestro - è priva di quel
“plusvalore” ideologico che tiene vivo l’interesse “popolare” e “pubblico” per la filosofia. Ancora oggi quello di König è un nome
sconosciuto al pubblico dei non specialisti.
Difficile inserirlo in classificazioni di scuola: la sua ricerca si caratterizza anzitutto per
la renitenza a fissare il vivo movimento del
pensiero in punti di vista costituiti. Lo scarso
tasso ideologico-emotivo della sua filosofia
deriva, più che da una scelta metodologica di
“rigore” o di “scientificità”, dalla convinzione che la caratteristica principale dei problemi filosofici sia quella di poter essere posti e
risolti in quello stesso elemento del linguag41
gio che costituisce il loro humus vitale.
Il tentativo di determinare le condizioni di
possibilità del discorso filosofico non in
senso logico-formale, ma mettendo alla prova la capacità del discorso di esprimere una
realtà, costituisce il filo conduttore di tutto il
pensiero di König, che nell’insieme si caratterizza come una serie di “ricerche nell’ambito di confine tra logica, ontologia e filosofia del linguaggio” - così peraltro suona il
sottotitolo della sua tesi di abilitazione Sein
und Denken (Essere e pensare, 1936). L’approccio descrittivo-analitico ai problemi filosofici e l’individuazione del discorso come
capacità centrale dell’essere umano e come
oggetto dell’indagine filosofica accomunano König a pensatori come Georg Misch, di
cui fu allievo all’università di Göttingen, e
Hans Lipps.
König inizia la propria attività filosofica
sotto il segno della filosofia della vita diltheyana, nel senso sobrio e non ideologico
conferito a questo termine da Misch. All’influsso del pensiero misch-diltheyano si
aggiungono le sollecitazioni di Husserl, di
Heidegger e di Russell, fuse in un orizzonte di pensiero originale. Il suo atteggiamento di pensiero distante dalle mode e dalle
ideologie si traduce in parsimonia nel pubblicare: oltre alle tesi di dottorato e di
abilitazione, König ha dato alle stampe
solo sei saggi, raccolti nel 1978 da Günter
Patzig nel volume Vorträge und Aufsätze
(Conferenze e saggi), e la monografia Georg Misch als Philosoph (G.M. come filosofo, 1967). Con la recente pubblicazione
del carteggio con Plessner, degli scritti
brevi, dei corsi sul problema della differenza tra proposizioni teoriche e pratiche, la
quantità degli scritti di König risulta così
quasi triplicata in un colpo solo.
Le Kleine Schriften raccolgono una serie di
conferenze tenute da König negli anni Trenta e Cinquanta sulla filosofia dell’esistenza, sul problema della responsabilità della
scienza, sul concetto di sviluppo e su quello
di metafora. Nel Briefwechsel con Plessner
emerge con vivacità il rapporto di König
con la cosiddetta Dilthey-Schule di Gottinga. Alcune lettere delineano, come osserva
Frithjof Rodi nella “Prefazione” al volume, il contrasto tra la produttività di Plessner, ben inserito nei meccanismi accademici, e la lentezza di König, una sorta di
«spensieratezza rispetto a se stesso», come
egli stesso la chiamava. Oltre all’immagine
di un König mediatore tra Plessner, che
vive a Colonia dove ha studiato con Max
Scheler, e il gruppo di Gottinga, nel quale
Plessner desidera essere accolto, il carteggio offre anche una testimonianza dell’interesse suscitato dall’allora giovane Heidegger e dalla sua filosofia. Di grande
interesse anche la lunga “lettera-saggio”,
pubblicata in appendice, in cui König analizza ampiamente e dettagliatamente il testo di Plessner, Die Einheit der Sinne (L’unità dei sensi).
Con il titolo: Der logische Unterschied theoretischer und praktischer Sätze und seine
PROSPETTIVE DI RICERCA
philosophische Bedeutung, Friedrich Kümmel, a cui si deve l’unica presentazione
organica a tutt’oggi esistente del pensiero
di König, il saggio Josef König. Versuch
einer Würdigung seines Werkes, ha raccolto, introdotto e commentato i manoscritti
dei corsi tenuti da König negli anni Cinquanta su un ambito particolare della logica, la tradizionale suddivisione degli enunciati apofantici in universali, particolari e
singolari, rilevando una differenza “formale” o “radicale” tra le proposizioni “teoretiche” (enunciati universali e particolari) e
quelle “pratiche” (enunciati singolari).
Il problema trattato in questi corsi costituisce un’articolazione del tema di fondo del
pensiero di König, quello della specificità
dell’essere degli oggetti spirituali, la cui
caratteristica è di essere quello che sono
solo in quanto vengono colti da un soggetto. Parlare di soggetto implica però già una
scelta filosofica di carattere “cartesiano”.
In quanto si concretizza solo nei suoi “effetti” (come König mostra nel saggio Die
Natur der ästhetischen Wirkung - “La natura dell’effetto estetico”), lo spirituale non
può essere ridotto ai concetti di “soggetto”
e di “oggetto”. Fenomeno ambivalente, lo
spirito ha sempre a che fare goethianamente con la trasposizione, l’intuizione, il mutamento di forma; ciò risulta non solo dall’analisi dell’effetto estetico, ma anche da
quella delle proposizioni pratiche. Queste
si distinguono, in quanto sono strettamente
intrecciate al contesto in cui hanno origine,
dalle proposizioni teoretiche, che esprimono rapporti puramente concettuali. In questo König sembra riprendere il tentativo
mischiano di fondare le forme logiche nella
vita, trasformando l’ermeneutica della vita
in quella che è stata chiamata una “logica
ermeneutica”. M.M.
Etica e tradizione ebraica
in Spinoza
Lo studio di Filippo Mignini, ETICA. IN(La Nuova Italia Scientifica, Roma 1995), rappresenta un utile strumento per la comprensione dell’etica spinoziana, le cui varie
parti risultano strettamente connesse
secondo un percorso che va dal concetto di sostanza divina alle modalità
di raggiungimento della libertà umana. In SPINOZA E IL CONCETTO DELLA TRADIZIONE EBRAICA (Franco Angeli, Milano
1996) Mino Chamla analizza il rapporto tra Spinoza e la tradizione ebraica,
sottolineando come nell’interpretazione spinoziana dell’ebraismo predomini la componente conoscitiva rivolta
al Sommo Bene.
TRODUZIONE ALLA LETTURA
Lo studio di Filippo Mignini non vuole
essere né un’esegesi, né un commento filologico, né tantomeno un’interpretazione
complessiva dell’opera di Spinoza; si propone piuttosto di consentire un’esperienza
di comprensione dell’etica spinoziana come
filosofia di vita, la cui meta è la libertà
umana. Il metodo “geometrico”, adottato
qui da Spinoza, si basa su nozioni intelligibili per se stesse, semplicemente e universalmente comprensibili, dalle quali si deducono necessariamente tutte le altre nozioni. Le varie parti di cui si compone
l’Etica risultano così collegate tra loro secondo una struttura che partendo da un
principio centrale, secondo il quale l’essere è una sostanza intesa come potenza o
forza, fa derivare le altre parti. La costruzione dell’etica, osserva Mignini, si rivela
infatti “autofondativa”, poiché procede da
alcune «verità semplici ed evidenti», dalle
quali vengono dedotte le altre verità.
Secondo Spinoza, Dio coincide con una
sostanza assoluta, unica e infinita, caratterizzata da infiniti attributi, che è causa di sé
e insieme causa di tutto ciò che è presente
nella natura. L’uomo non si identifica con
la sostanza, ma con il “modo”, in quanto è
«assolutamente determinato nell’essenza,
nell’esistenza e nell’azione dalla sostanza
e dalla serie infinita degli altri modi». Il
fulcro della concezione etica di Spinoza, fa
notare Mignini, è il conseguimento da parte dell’uomo della libertà, che coincide con
l’acquisizione di «una vita affettiva regolata dalla conoscenza adeguata». Per Spinoza, l’uomo non può raggiungere la completa liberazione dalle passioni, non potendo
fare a meno dell’immaginazione; l’unica
libertà perseguibile dall’uomo è quella che
gli consente di avere una certa autonomia
rispetto alle cause esterne, dal momento
che nell’uomo si troveranno sempre un
certo numero di idee inadeguate. Compito
principale di una dottrina etica è dunque,
per Spinoza, di sviluppare nell’uomo la
capacità di tramutare la passione in azione,
perfezionando in lui la forza di autoconservazione.
Per quanto riguarda il rapporto di Spinoza
con la tradizione ebraica, Mino Chamla
mostra nel suo studio come l’ebraismo
spinoziano non possa essere considerato
un puro fattore biografico, o un «arsenale
inerte di spunti filosofici», ma sia strettamente collegato con la “verità nella storia”,
anche se per Spinoza non può esserci storia
della verità, poiché non esiste un progresso
evolutivo dell’umanità.
Nel rivolgersi alla tradizione ebraica, fa notare Chamla, Spinoza si occupa principalmente delle grandi tappe della storia ebraica,
riservando particolare attenzione al conflitto
teologico-politico. L’ebraismo non è, per
Spinoza, l’unico depositario della verità; esso
rappresenta piuttosto un’esperienza storica e
spirituale. In questo, Spinoza critica in particolar modo il concetto ebraico tradizionale
di elezione; critica spesso interpretata come
una difesa delle componenti politiche contro
quelle teocratiche e religiose, mentre per
Chamla, pur senza entrare in conflitto con
questa interpretazione, è tuttavia possibile
42
anche individuare in essa un invito indirizzato agli ebrei all’emancipazione politica rispetto a tutto ciò che può ostacolare le “ragioni della conoscenza”. Nella sua critica
dell’ebraismo, sottolinea Chamla, Spinoza è
condizionato dal suo rapporto con la tradizione in generale e quindi non può essere
ricondotto ad una semplice condanna di essa.
Per Spinoza esistono essenzialmente due
modalità differenti di considerare la tradizione, delle quali una è più specificamente
umana e l’altra, invece, è orientata verso la
considerazione da parte dell’uomo del “Sommo Bene”. Ciò che, pertanto, dirige la considerazione spinoziana dell’ebraismo è sempre la relazione tra «la modalità umana e la
sostanzialità divina». M.Mi.
Sulla pittura e lo spettacolo
Con il titolo: PENSIERI SULLA PITTURA (a
cura di M. Cometa, trad. it. di J.N. de
Azara, Aesthetica, Palermo 1996),
viene pubblicato in edizione italiana
uno scritto del pittore-filosofo
Raphael Mengs incentrato sulla tematica della bellezza connessa all’idea della perfezione, sul gusto inteso come capacità di scelta e sull’imitazione della natura negli antichi greci. Una critica moralistica all’arte dello spettacolo, fondata sull’esaltazione delle passioni umane e
dominata dall’inganno e dalla finzione, è, invece, quella che muove
Rousseau nella LETTERA SUGLI SPETTACOLI (a cura di F.W. Lupi, Aesthetica,
Palermo 1995), scritta in reazione
alla proposta di D’Alembert di aprire teatri a Ginevra.
Pittore-filosofo, seguace e divulgatore
degli ideali di Winckelmann, Raphael
Mengs rappresenta uno dei protagonisti
del neoclassicismo, anche se dopo la sua
morte è stata trascurata la sua importanza. Le riflessioni di Mengs sulla pittura
muovono dall’analisi del significato della
bellezza, che deve essere riprodotta nelle opere pittoriche come scopo principale. Per Mengs, bellezza significa perfezione, manifestazione visibile dell’invisibile perfezione divina; in quanto «punto indivisibile che contiene in sé tutte le
proprietà e tutte le perfezioni», la bellezza non può risiedere nella materia, pur
essendone “l’anima”, cioè quello che
rende vivi i fenomeni naturali. Di fronte
alla bellezza naturale l’anima umana si
perde, rimanendo attratta e incantata; si
tratta di un intenso rapimento, che dona
alla natura un significato vitale. Ciò che
invece non è bello per l’uomo rimane lì
come inerte, opaca materia muta nel suo
mortale silenzio, incapace di parlare all’anima umana.
Se la bellezza costituisce il vertice subli-
PROSPETTIVE DI RICERCA
me di tutte le perfezioni, l’arte, per Mengs, supera la natura nella sua capacità di
rappresentarla. Scopo della pittura è appunto quello di imitare, di riprodurre la
natura, in contrapposizione alle teorie
che privilegiano la componente immaginativa e astratta. La superiorità dell’arte
sulla natura, come mostra Mengs, deriva
dal fatto che mentre l’uomo è costretto
ad adeguarsi alla natura, poiché essa
offre un campione rigido e immodificabile di bellezze naturali, attraverso la
forza duttile dell’arte e la sua mancanza
di vincoli l’uomo può scegliere tra tutti
gli spettacoli naturali quelli più belli,
creando una sintesi sublime della bellezza. Così, mentre la natura è condannata
alla necessità di riprodurre tutti i suoi
accidenti, l’arte manifesta libertà di movimento tra le varie materie, realizzando
la composizione più vicina all’ideale
divino della perfezione. Al gusto Mengs
attribuisce, nell’arte della pittura, la capacità di scegliere gli elementi più belli
della natura, facendo in modo che ciascuno di essi acquisisca il suo significato più autentico nell’armonia nel tutto.
I tre più grandi maestri della pittura sono,
per Mengs, Raffaello, Correggio e Tiziano, in quanto ognuno di essi ha saputo
esprimere un aspetto importante della
perfezione. Se Raffaello privilegia
l’espressione, che realizza nella composizione e nel disegno, Correggio sceglie
il dilettevole che ritrova in certe forme e in
particolar modo nel chiaro-scuro, mentre
Tiziano si dedica all’apparenza di verità
che si manifesta soprattutto nei colori. Superiori ai moderni sono per Mengs gli antichi, in particolar modo i greci, perché mirando alla bellezza intesa come totalità
seppero unire il dilettevole, l’espressivo e
l’apparenza del colore.
Nella Lettera sugli spettacoli Rousseau condanna l’arte dello spettacolo,
che avendo come scopo principale il
piacere non fa che incrementare le
nocive passioni umane invece di aiutare l’uomo a dominarle. Il teatro, non
avendo l’obiettivo di cambiare i costumi e i sentimenti umani, finisce con
l’assecondare le tendenze istintive
umane, rivelandosi in ultima analisi
immorale. La condizione stessa del
commediante, sottolinea Rousseau, è
una condizione di “licenza” e di “immoralità”, poiché in essa agisce l’inganno. Infatti l’attore, per poter esprimere pienamente la sua professione,
deve essere capace di trasformarsi in
qualsiasi altro uomo, anche il più abietto, con il risultato finale di favorire la
tendenza al male.
Per Rousseau, dunque, il teatro è solamente il palcoscenico dell’inganno, della finzione e della maschera, e manifesta
tutta la sua negatività nell’impedire la
limpidezza e la trasparenza dei rapporti
tra gli uomini. Di conseguenza, precisa
Rousseau, rispondendo alla proposta di
D’Alembert di aprire teatri a Ginevra,
sarebbe più opportuno incentivare l’attività dei circoli già presenti, che permettono rapporti moralmente più sani tra gli
uomini, invece di istituire spettacoli che
si rivelano nocivi per la rettitudine morale e l’onestà delle comunità. M.Mi.
L’opera filosofica di Alan Donagan
Un’esauriente rassegna dell’opera
del filosofo australiano Alan Donagan, scomparso nel 1991, ci viene
offerta da due volumi che raccolgono i suoi scritti fondamentali: THE
PHILOSOPHICAL PAPERS OF ALAN DONA GAN . VOLUME 1: HISTORICAL UNDERSTAN DING AND THE HISTORY OF PHILOSOPHY .
VOLUME 2: ACTION, REASON AND VALUE (I
saggi filosofici di Alan Donagan. Vol.
1: Comprensione storica e storia
della filosofia. Vol. 2: Azione, ragione e valore, University Press of Chicago, Chicago e Londra 1995). Gli
interessi di questo autore spaziano
dal confronto con Wittgenstein all’analisi dello storicismo, dallo studio di Spinoza e Cartesio alla filosofia del diritto, con una particolare
attenzione per i temi legati alla persona e all’etica.
Nell’Introduzione di J.E. Malpas, curatore dei due volumi dei saggi filosofici
di Alan Donagan, e nella Prefazione
agli stessi di Stephen Toulmin le origini
del pensiero di questo autore vengono
rintracciate, agli inizi degli anni Cinquanta, all’interno del dibattito filosofico australiano, caratterizzato dalla predominanza del messaggio wittgensteiniano di Douglas Gasking, George Paul
e Camo Jackson.
In Historical Understanding and the history of Philosophy (Comprensione storica e storia della filosofia) emergono in
particolare i quattro saggi su Spinoza. Il
primo, del 1973, mostra come il concetto spinoziano di eternità non sia da intendere come qualcosa al di fuori del
tempo, ma vada invece concepito come
durata costante; ciò ha permesso a Spinoza di sviluppare un’idea di sopravvivenza individuale nella forma di una
perpetua autoconsapevolezza. Nel secondo saggio, del 1980, Donagan sostiene, attraverso una ricostruzione del contesto storico, che il monismo spinoziano
sia compatibile con un dualismo degli
attributi, mentre nel saggio del 1981, sui
concetti di sostanza, essenza e attributo,
viene analizzata l’obiezione di De Vries,
secondo cui attributi differenti devono
costituire l’essenza di sostanze differenti. Infine, nel saggio del 1984, Donagan
mostra come l’utilizzo della nozione di
idea permetta a Spinoza di evitare gli
43
errori di Locke nell’identificare idee e
immagini, pur ammettendo che vi sono
difficoltà nell’applicare queste teorie alle
moderne concezioni che mettono in relazione pensiero e linguaggio.
Tra gli altri testi del primo volume troviamo un saggio del 1974, in cui vengono analizzate le tesi storicistiche, con
particolare attenzione alle posizioni di
Popper; un saggio del 1978 sul dualismo cartesiano; un’analisi della prosa
filosofica del periodo vittoriano, nella
quale emerge lo stile di Berkeley (1968);
uno scritto del 1972 sul metodo filosofico di Collingwood; un testo del 1963
sugli universali e sul realismo metafisico, in cui Donagan giunge alla conclusione che la funzione di una teoria realistica degli universali è solamente negativa; due saggi (1966 e 1977) su Wittgenstein, intorno al ruolo della sensazione e al rapporto con Ryle, in cui si
sostiene che la concezione della filosofia come qualcosa di non teoretico abbia
prodotto risultati negativi e sia ora necessario un ritorno a Kant; infine uno
scritto del 1988, inedito, sulla storia della filosofia, che tenta di tenere insieme
gli approcci storici e filosofici al soggetto.
Nei saggi raccolti in Action, Reason and
Value viene condotta un’analisi critica
della teoria dell’azione di Davidson, del
concetto di libertà e di determinismo in
Sellars e di quello di causalità e intenzione in Von Wright, della teoria dell’azione di Chisholm e del concetto di
persona umana, in cui Donagan mostra,
sulla scorta della tradizione aristotelicotomistica, come la concezione “romantica” di persona implichi possibilità ipotetiche, dovute all’influenza di Locke, che
semplicemente non si possono verificare.
Gli altri saggi presenti nel volume affrontano il tema etico e propongono una
critica dell’utilitarismo. Sebbene Donagan ritenga che Kant sbagli nel considerare in campo morale un principio formale equivalente all’universalizzazione
del principio stesso, tuttavia la valutazione della concezione kantiana è stata
distorta dall’interpretazione di Hegel.
Seguono un saggio sull’etica medica
(1977) e due sulla filosofia del diritto
(1984). Nel primo di questi ultimi, incentrato sul sistema accusatorio, Donagan sostiene che qualsiasi sistema sociogiuridico, in cui il sistema accusatorio e
il controinterrogatorio non siano presenti, fallisce inevitabilmente nel rispetto
della dignità dei suoi membri; il secondo, sul diritto di non autoincriminarsi, è
basato sul fatto che, sebbene sia moralmente corretto che una persona abbia il
diritto legale di non incriminare se stessa, questo diritto legale non coincide
tuttavia con un diritto morale. M.B.
PROSPETTIVE DI RICERCA
Pál Szinyei Merse, Coppia di innamorati (1870, part.)
Ontologia, etica e politica
in Jankélévitch
In traduzione italiana è oggi disponibile
un’edizione parziale dell’opera principale di Vladimir Jankélévitch, IL TRATTATO DELLE VIRTÙ (trad. it. di E. Klersy Imberciadori, a cura di F. Alberoni, introduzione di R. Maggiori, Garzanti, Milano
1996). Oltre alle parti introduttive, di
carattere generale, intorno alla natura
delle conoscenze morali e al rapporto
fra individualità e alterità, questa edizione mette in evidenza, soprattutto, le
riflessioni di Jankélévitch sulla tematica dell’amore e su quella della malvagità. La monografia di Giovan Battista
Vaccaro, ONTOLOGIA ED ETICA IN VLADIMIR
JANKÉLÉVITCH (Longo, Ravenna 1995) tenta un attraversamento dell’opera del
filosofo alla luce delle questioni riguardanti l’ontologia della finitudine, nella
prospettiva della configurazione di
un’etica della convenzione e di una
politica neocontrattualistica.
Le 1500 pagine dell’opera principale di Vladimir Jankélévitch, Le traité des vertus
(Parigi 1971), costituiscono, insieme, un’introduzione “metodologica” alla riflessione
etica del filosofo, un compendio del suo
pensiero, ma anche, in alcune sue parti, come
nota Francesco Alberoni, un’esposizione
tanto dettagliata di talune tematiche da poter
dar luogo a più di un’opera autonoma. La
scelta delle parti tradotte nell’edizione italiana si orienta invece, in particolare, oltre che
sugli aspetti più generali del pensiero di
Jankélévitch, sulle tematiche della malvagità e dell’amore.
Sulla scorta dell’insegnamento di Bergson,
l’interesse principale di Jankélévitch è rivolto, in quest’opera, alla descrizione dell’esperienza interiore, concepita come un flusso di
coscienza. Secondo Alberoni, a fondamento
dell’impianto analitico del Trattato delle
virtù vi è una concezione “quantica” del
tempo e dell’esperienza. L’uomo non gode
mai, per sempre e ovunque, di uno stato
d’animo permanente e definitivo; ogni sentimento costituisce uno stato passeggero
dell’esperienza interiore, la quale può persistere in esso, oppure liberarsene. Nondimeno, ogni sentimento si presenta come assoluto, totalizzante ed esclusivo: l’amore, o l’odio,
ci sono o non ci sono. Ciò comporta che negli
stati emotivi dell’esperienza concreta non si
dia una mediazione tra sentimenti contrastanti, bensì il loro contrasto irriducibile. Per
questo la sincera ammirazione, cioè la predisposizione favorevole verso una persona,
può coniugarsi con una dose di malevolenza,
cioè di invidia. Così accade anche nel caso
dell’amore: nel concreto, esso si verifica
come scontro (non mediazione) fra una pulsione egoistica, che spinge all’appropriazione dell’oggetto del desiderio, e una altruistica, che porta l’io all’“essere per l’altro”.
Come ricorda a questo proposito Robert
Maggiori, per Jankélévitch, di contro alla
44
prospettiva sostanzialista, non esistono bene
e male oggettivi, che qualifichino (in senso
positivo o negativo) la volontà, presunta
come neutra; volontà e intenzione sono benefiche, o sono malefiche.
A partire da questa prospettiva etica, e con un
accento diverso da quello dell’interpretazione di Alberoni, si apre la ricostruzione della
riflessione ontologica di Jankélévitch a opera di Giovan Battista Vaccaro, secondo il
quale tanto la riflessione ontologica, quanto
quella etica e politica si collocano, nel Novecento, nella temperie di una ricerca che potrebbe essere definita come “filosofia della
crisi”, dominata dal rifiuto delle categorie
concettuali e dello stile di pensiero che avevano caratterizzato la modernità. L’“indebolimento dell’ontologia” trova infatti un suo
riscontro nell’espunzione de facto, dalla riflessione etica, della tematizzazione del
concetto di bene. Tuttavia, fa notare Vaccaro, il pensiero di Jankélévitch procede oltre
un tale ambito concettuale, nel tentativo di
fornire, in ontologia come in etica, risposte
“in positivo” alle questioni sollevate dalle
“filosofie della crisi”. Significativamente,
questo tentativo va di pari passi con quello
teso a fornire, della propria riflessione,
un’esposizione non rapsodica (né, tantomeno, aforistica), bensì, come sottolinea Vaccaro, organica e quasi sistematica.
Muovendo, in campo ontologico, dall’assunzione della radicale finitezza dell’essere,
Jankélévitch procede attraverso l’assolutizzazione, in ambito etico, dell’irriducibilità
PROSPETTIVE DI RICERCA
della persona umana. In tal modo, osserva
Vaccaro, l’analitica esistenziale riceve un
presupposto sostanzialistico, e trova qui la
propria fondazione. Ma la fuoriuscita dall’ambito delle “filosofie della crisi” è riscontrabile, in Jankélévitch, anche nella possibilità di dedurre dalla critica morale (non economica) del capitalismo le indicazioni per
configurare una “società rigenerata” comunistica, che sia in grado di rendere giustizia
al valore assoluto della persona umana. Nel
sacrificio per amore dell’altro la finitezza
ontologica dell’uomo si riconcilia con il suo
tempo e con la storia. Proprio per il fatto di
trarre dall’etica indicazioni concrete per l’agire e, all’inverso, di tener conto nell’analisi
etica dell’esperienza dell’agire umano, non
è legittimo, secondo Vaccaro, individuare
nell’umanesimo comunista di Jankélévitch
una distinzione fra etica e morale: nella
storia, la prima diventa fondamento della
seconda, nonché supporto per l’impegno
politico. Supporto necessario, ma anche necessitato: non c’è etica senza impegno, ma
non c’è teorizzazione valida senza la sua
pratica. F.C.
A un’idea come questa è sotteso un intento
pedagogico, sottolinea Carlo Arcuri, curatore dell’edizione italiana, nella sua postfazione dal titolo: Le ultime lezioni sono
già state fatte, da sempre. «Quando la
filosofia crea dei concetti» - affermano
Deleuze e Guattari - «il suo scopo è, sempre, quello di cogliere un evento dalle cose,
e dagli esseri». Ciò, tuttavia, non va inteso
in alcun modo come rispecchiamento delle
cose nel concetto; piuttosto, come loro interpretazione che, per quanto immanente al
piano delle cose stesse, crea “nuovi piani di
immanenza”. Così inteso, il concetto appartiene alla filosofia, e soltanto a essa. In
questa prospettiva, osservano i due autori,
le tre grandi forme del pensiero, arte, scienza e filosofia, sono accomunate dal tentativo di affrontare il caos pensando, in un’alternativa irriducibile, o per sensazioni, o
per funzioni, o per concetti. Esse si differenziano, infatti, a partire dal rapporto che
intrattengono con l’infinito: mentre la scien-
za rinuncia, nella ricerca della referenza,
all’infinità, e l’arte, di questa infinità perduta, intende restituire un’espressione, «la
filosofia vuole salvare l’infinito dandogli
consistenza», attraverso la creazione di
nuovi piani di immanenza, cioè di nuove
realtà. Per Deleuze e Guattari la funzione
del concetto è dunque quella di “aggiungere essere” alle cose, di arricchire di realtà il
reale, trasformandolo. La grandezza di una
filosofia sta non soltanto nella capacità dei
suoi concetti di cogliere eventi, ma anche,
e soprattutto, nella qualità degli eventi ai
quali i suoi concetti richiamano il filosofo
e chi lo ascolta.
Il rapporto tra il concetto (ovvero, la filosofia), da un lato, e il reale, dall’altro, è ciò
che, secondo Deleuze e Guattari, si definisce con il termine “utopia”. L’atto rivoluzionario è in tal senso autoreferenziale, in
quanto è, ad un tempo, concetto ed evento.
Il pensiero rivoluzionario si esplica in una
dimensione che si qualifica come topologi-
Il pensiero nomade di Deleuze
Di recente traduzione italiana, l’ultima opera di Gilles Deleuze e Felix
Guattari, CHE COS’È LA FILOSOFIA? (trad.
it. di A. De Lorenzis, a cura e con
postfazione di C. Arcuri, Einaudi, Torino 1996), riprende, tra le varie questioni che interessavano ai due autori poco
prima della loro scomparsa, il tema
del carattere nomadico del pensiero.
Questa tematica figura anche al centro dello studio di Adelino Zanini, MODERNITÀ E NOMADISMO (Calusca, Padova
1995), nonché della ricostruzione complessiva del pensiero deleuzeano, compiuta da Chiara di Marco nella monografia DELEUZE E IL PENSIERO NOMADE (Franco Angeli, Milano 1995).
L’apparente genericità della domanda posta come titolo dell’ultima opera di Gilles
Deleuze e Felix Guattari, Che cos’è la
filosofia? è in verità indice di profonda
radicalità: in quanto “opera ultima”, sottolineano i due autori, essa ammonisce che,
essendo esaurito il tempo per la pratica
filosofica, occorre interrogarsi sulla sua
essenza. Non che tale interrogazione non
fosse presente già nella pratica; essa, tuttavia, viene ora resa esplicita con la libertà
imposta dalla “cosa stessa”, che deve essere detta. In questa condizione, ribadiscono
Deleuze e Guattari, la filosofia ritorna a
essere ciò che era per i Greci: un “discorso
d’amicizia”, fatto per amicizia di ciò che
non si possiede e a cui si tende, la saggezza, e fatto tra amici, cioè tra amanti
della saggezza, accomunati dalla comune ricerca.
Réne Magritte, L‘Art de vivre (1967, part.)
45
PROSPETTIVE DI RICERCA
ca, piuttosto che come cronologica: esso
consiste in una deterritorializzazione del
momento storico, in una sua evulsione dal
continuum cronologico, al quale esso appartiene, e nella sua ricollocazione “in un
altro luogo”, cioè “in un’altra storia”. In
questo senso, come i nomadi non hanno
una storia, ma piuttosto una geografia, così
la filosofia si definisce in una configurazione spaziale, piuttosto che in una temporale:
essa è “geofilosofia”.
In Deleuze e il pensiero nomade, Chiara di
Marco pone l’accento sull’aspetto di “inattualità” del pensiero di Deleuze, il cui utopismo trova le proprie radici nella sua concezione della filosofia: né pura riflessione,
né attività comunicativa, ma esercizio, pratica di una razionalità critica. Questa prassi
decostruttiva si sostanzia, tuttavia, in un’attività costruttiva in quanto necessità ontologica intrinseca, fondata nella natura riterritorializzante del concetto. Il rapporto nomadico della filosofia con lo spazio, sottolinea Di Marco, non consiste in una sua
funzionalizzazione, quanto piuttosto in una
creazione. In questa prospettiva, il pensiero nomade si definisce come «un’estraniazione, che è un porsi altrimenti nel proprio
luogo, poiché solo nell’“impotere” a pensare l’evento come ciò che è ancora da
pensare si rileva la più alta potenza del
pensiero».
L’ipotesi interpretativa che sorregge l’analisi di Di Marco consiste nella possibilità di
leggere tutta la riflessione di Deleuze come
un’ontologia dell’evento. Essa si presenta
come una filosofia non categoriale dell’essere: l’affermazione radicale dell’univocità dell’essere deve servire a salvaguardare
il carattere irriducibile della differenzialità
del molteplice. Ciò equivale a dichiarare
l’impossibilità, de jure, e l’illegittimità, de
facto, di gerarchizzare le differenze che il
molteplice presenta, sussumendole nello
schema ascensionale, ad un tempo ontologico e assiologico, prodotto dalle categorizzazioni della metafisica essenzialista.
Secondo Di Marco, la valenza teoreticoesistenziale della riflessione deleuzeana appartiene non al nichilismo “servile”, bensì
a quello “tragico”, in quanto non si limita a
lamentare la perdita della gerarchizzabilità
delle differenze, ma contesta tale gerarchizzabilità affermando invece, in positivo, il polimorfismo della declinabilità dell’essere univoco. Il pensiero nomadico,
sottolinea Di Marco, mette in questione
l’unità del soggetto cartesiano, il quale si
ridefinisce nel divenire, e nella molteplicità, secondo una duplice direzione: verso
l’“interno”, cioè verso la “cura di sé”, dove
il soggetto si ridefinisce come “desiderante”, e verso l’“esterno”, come riconoscimento del diritto politico alla differenza.
Quest’ultimo aspetto del pensiero nomadico di Deleuze e Guattari costituisce il punto
focale attorno al quale ruota lo studio di
Adelino Zanini, che sottolinea come per
Deleuze sia decisivo, fin dal momento del
confronto con l’empirismo, dar conto del
problema di come la “mente” divenga “soggetto”, di come possa sorgere, dalla passività originaria, l’attività del soggetto.
Per Zanini, le acquisizioni teoriche di Deleuze diventano rilevanti ai fini della fondazione della questione etica, che deve
essere radicata in un tempo e uno spazio
sempre “presenti”, in quanto (marxianamente) storicamente determinati: la questione del soggetto, «in quanto problema
pratico, si risolve a livello morale e politico». In Deleuze, rileva Zanini, la dissoluzione dell’io non dà luogo ad una metafisica dell’assenza del soggetto formale, bensì
ad una “politica dei corpi”. Nel mettere a
nudo la fallacia della rappresentazione singolare dell’identità personale, l’apologia
del desiderio, che attraversa Che cos’è la
filosofia?, diventa, in Deleuze, esperienza
schizoide di un corpo “politico”. Questa
intende essere la risposta al problema insoluto della modernità, in cui il soggetto,
diventato plurale, nell’impossibilità di essere positivamente riconosciuto come tale,
si ritrae in una molteplicità di universi
omogenei, caratterizzata, anziché dalla differenzialità, dalla serialità.
La rivendicazione della differenza, osserva
Zanini, passa in Deleuze attraverso il paradigma della costante migrazione, inteso
come “sottrarsi a”; in questo si esprime
propriamente il “pensiero nomade”. Di
questa esperienza di sottrazione alle regole
serializzanti dell’organizzazione sociale e
politica Zanini sottolinea sia il carattere
non cronologico, sia la sua dimensione “utopica”: dal momento che l’essere non è, in
senso proprio, “in nessun luogo”, esso «non
si territorializza mai; ovvero, si territorializza sul deterritorializzato». Per questo,
quella del nomade non è una vera e propria
migrazione; egli non passa da un punto
all’altro, bensì insiste, nella figura deleuzeana della ripetizione, sul medesimo punto,
che si rivela un “assoluto locale”. F.C.
Benjamin da giovane
La figura e l’opera di Benjamin viene
nuovamente proposta all’attenzione
del pubblico tedesco con una recente
edizione delle sue lettere giovanili,
GESAMMELTE BRIEFE, BAND 1, 1910-1918
(Suhrkamp, Francoforte s/M. 1995), a
cura di Christoph Gödde e Henry Lonitz. La raccolta aggiunge un ulteriore
contributo alle prospettive di ricerca
su un autore considerato inattuale dai
suoi stessi contemporanei e destinato
dunque a godere di fama postuma.
Le lettere raccolte e pubblicate da Christoph Gödde e Henry Lonitz offrono l’immagine di un Benjamin giovane e ancora
immaturo, ma già pienamente riconoscibile
nei caratteri che lo contraddistingueranno
nell’età matura e che Hanna Arendt stigma46
tizzò nel 1968 come inadeguatezza a ogni
classificazione, nonché incapacità di farsi
comprendere. La cornice temporale di queste lettere coincide con il periodo che va dal
1910 al 1918, anni segnati dalla politica
guglielmina, dalle inquietudini sociali dell’impero e dall’impellenza della prima guerra mondiale. Nonostante ciò, negli scritti di
Benjamin di questo periodo non compare il
riflesso di tale sfondo, mentre già si palesa
quell’incapacità di appropriarsi della storia
che lo caratterizzerà anche negli anni successivi e che lo condurrà a mediare comunque il
suo rapporto con la vita attraverso la riflessione, ad affrontare i problemi indirettamente, seppur a fondo, attraverso la rappresentazione degli scrittori e l’attività ermeneutica.
Solo in due occasioni il giovane Benjamin si
confronta apertamente con il mondo esterno,
nel rapporto con il suo “essere ebreo” e nel
suo impegno fattivo all’interno del movimento giovanile sorto attorno a Gustav
Wyneken, per il quale conduce convinte
battaglie in nome di un idealistico programma di riforme dell’insegnamento e dell’educazione in generale. Del suo atteggiamento
nei confronti del movimento giovanile così
scrive all’amica Carla Seligson nel 1913:
«Questa è la cosa più importante: noi non
dobbiamo ancorarci a un’idea precisa, anche
l’idea della cultura giovanile deve rappresentare solo una forma di illuminazione che
possa condurre lo spirito sulla via della chiarezza»; si tratta di un rifiuto netto della
politica e della società, che agli occhi di
Benjamin appare come corrotta e reificata,
mentre la funzione del filosofo si profila già
per lui come quella di denunciare la catastrofe e annunciare la possibile redenzione. La
particolarità del rapporto di Benjamin con la
contemporaneità sta anche nel fatto che per
lui l’origine ebraica ha una valenza puramente astratta e indica l’appartenenza a
un’élite di «rappresentanti privilegiati dello
spirito», ma non assume alcuna configurazione politica. Sotto questo rispetto Benjamin si sente molto più vicino a Kafka, che
come lui si mantenne estraneo al sionismo e
si dedicò in modo totale all’arte, che non a
quegli amici ebrei, come Scholem, più direttamente e concretamente coinvolti dalle implicazioni storico-sociali della loro identità
religiosa.
Dalle lettere affiora l’inadeguatezza di
Benjamin di fronte alla vita quotidiana e la
sua predisposizione all’isolamento, tanto che
all’età di ventidue anni scrive all’amico Herbert Blumenthal: «Il mio silenzio è l’unica
caratteristica in cui i miei amici mi riconoscono»; il che denota una piena coscienza
della propria mancanza di definizione, della
propria impotenza individuale, che si risolverà in una ricerca incessante dell’affermazione personale, fino all’adesione al marxismo rivoluzionario e alla fede incondizionata nella soluzione messianica della storia.
I temi peculiari della sua filosofia, dal messianismo alla concezione della critica come
“dissolvimento dell’opera nell’assoluto”, dal
rispetto incondizionato per il Nome in ambi-
PROSPETTIVE DI RICERCA
to linguistico al rigetto di ogni forma di
solidarietà ipocrita, risultano dunque già tracciati nella corrispondenza giovanile, che
costituisce pertanto un valido supporto per la
comprensione di uno fra i filosofi più incompresi di questo secolo. L.R.
Il caso Lyssenko
«La vicenda Lyssenko è finita. La storia delle cause del lyssenkismo continua»: così scriveva Louis Althusser
nella Prefazione al volume che nel 1976
Dominique Lecourt dedicava al “caso
Lyssenko”, LYSSENKO. HISTOIRE RÉELLE
D’UNE “ SCIENCE PROLÉTARIENNE ”, (Lyssenko. Storia reale di una “scienza
proletaria”, PUF, Parigi 1995), che viene ora ripubblicato con l’aggiunta di
un saggio su Alexandr Bogdanov, dove
l’affermazione del lyssenkismo viene
messa in relazione diretta con la “teoria delle due scienze”, la scienza “proletaria” e la quella “borghese”, che
tanta importanza ebbe nello sviluppo
del materialismo dialettico staliniano.
Pensato in origine come trattazione di un
episodio particolare nello sviluppo di una
“scienza marxista”, lo studio di Dominique
Lecourt assume una dimensione più generalmente epistemologica, sino a fare del
“caso Lyssenko”, dei suoi sviluppi e dei
suoi presupposti teorici il crocevia di
un’impostazione epistemologica che trascende ampiamente il solo ambito marxista.
A questo proposito risulta illuminante lo
scritto posto in appendice al volume, Alexandr
Bogdanov, specchio dell’intellighentsia sovietica, in cui Lecourt, allievo di Althusser e
di Georges Canguilhem, rintraccia nella dottrina di questo “discepolo russo di Mach” il
fondamento teorico della distinzione tra
“scienza borghese” e “scienza proletaria”. È
infatti una questione epistemologica quella
che conduce Bogdanov a reinterpretare la
nozione di esperienza, cuore del sensismo
machiano, in termini di “esperienza di lavoro” e a definire quest’ultimo come processo
biologico di adattamento dell’organismo all’ambiente. A partire da tale caratterizzazione primitiva dell’esperienza, la scienza diviene quindi «esperienza collettiva organizzata di lavoro» e le verità che essa introduce
assumono valore non più oggettivo, ma piuttosto legato alla temporalità storica.
L’“empiriomonismo” bogdanoviano, osserva Lecourt, concepisce la verità come “forma organizzatrice dell’esperienza”, e individua nella scienza l’espressione compiuta di
una particolare, e storicamente determinata,
organizzazione dell’esperienza di lavoro.
L’intrinseco carattere classista della scienza
assegna al proletariato il compito storico di
definire una nuova universalità, una scienza
nuova capace di produrre delle descrizioni
del nuovo mondo sorto dalla trasformazione
radicale operata dalla rivoluzione. Nell’evoluzionismo storico di Bogdanov, solo questa
scienza nuova, questa “scienza proletaria”
sarebbe stata in grado di descrivere in modo
soddisfacente il mondo del proletariato al
potere.
Su un tale retroterra teorico viene ora proiettata la dottrina di Lyssenko. Di fatto, pur
riproponendo invariato il testo del ’76, Lecourt riesce a trasformarne completamente
la problematica di riferimento, facendo del
“caso Lyssenko” un episodio che oltrepassa
la dimensione di una mera lotta di potere. La
“storia delle cause del lyssenkismo”, per
usare l’espressione di Althusser, rappresenta infatti un problema epistemologico, prima
ancora che politico: l’interesse che gli anni di
dominio politico-scientifico del lyssenkismo
presentano non dev’essere cercato, secondo
Lecourt, né nel valore scientifico della biologia lyssenkista, né nell’analisi della presa del
potere da parte di un gruppo accademico, ma
piuttosto nel particolare rapporto tra scienza
e ideologia che vi si esprimeva e che imponeva la creazione di una scienza proletaria e
l’accettazione di essa da parte della comunità scientifica.
La dottrina di Lyssenko è contenuta nel
rapporto presentato all’Accademia delle
scienze agricole dell’URSS nell’agosto 1948,
nel quale veniva affrontata la «situazione
delle scienze biologiche» in Unione Sovietica e le applicazioni all’agronomia scientifica
della teoria dell’ereditarietà, in opposizione
alla genetica mendeliana, accusata di render
conto dell’ereditarietà attraverso l’introduzione di elementi-vettore dei caratteri ereditari (i geni), immutabili e indipendenti dai
condizionamenti ambientali, dunque metafisici. A tale genetica «reazionaria, metafisica e idealista» Lyssenko contrapponeva una
“biologia proletaria”, la cui idea centrale
consisteva nella possibilità di indurre mutamenti dei caratteri ereditari attraverso una
modificazione delle condizioni ambientali
di vita. Solo nel periodo in cui il lyssenkismo
si andava affermando come dottrina di Stato,
sottolinea Lecourt, lo sviluppo della biochimica e della citologia permetteva di approfondire la conoscenza della struttura cellulare e dava luogo ai primi passi nel campo della
manipolazione genetica, offrendo esiti operativi alla genetica mendeliana. Così, di fronte
all’impossibilità della genetica mendeliana di intervenire sui caratteri ereditari, Lyssenko poteva presentarsi, nel corso degli
anni Trenta e Quaranta, come il campione
della genetica “proletaria” e della teoria
dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti: l’eredità è per Lyssenko «la proprietà dell’organismo vivente di esigere delle condizioni
determinate per vivere e svilupparsi e di
reagire in maniera definita a tali o a talaltre
condizioni».
Ripercorrendo l’origine agricola delle dottrine di Lyssenko, la diffusione dei suoi
metodi di ingegneria agricola attraverso i
kolkhoz, la progressiva elaborazione della
dottrina dell’“eredità adattativa” a partire
dalle posizioni di Mitchurin e la conquista da
47
parte dei lyssenkisti delle posizioni accademiche sino all’affermazione come “genetica
di Stato”, Lecourt mette in evidenza come
«la storia del lyssenkismo sia la storia di una
formazione ideologica». Da insieme di procedimenti tecnici di ingegneria agronomica
il lyssenkismo diviene progressivamente un
sistema ideologico che, innestandosi sulla
vecchia teoria delle “due scienze”, si propone di fornire una “biologia proletaria” alla
nuova agricoltura collettivista.
Nel 1950, Giulio Preti portava in Italia il
“caso Lyssenko” come possibile esempio di
un confronto tra “paradigmi” scientifici alternativi. Oggi è nell’assunto ad un tempo
ideologico ed epistemologico lungo il quale
si svolge la vicenda del lyssenkismo che
deve essere ritrovato l’interesse per questa
teoria dell’eredità adattativa, i cui capisaldi
ideologici rispondevano perfettamente alle
caratteristiche di una “scienza proletaria”. In
questa situazione, fa notare Lecourt, i caratteri “proletari” di una dottrina poterono essere considerati canone sufficiente per sostenerne la validità scientifica.
Gli esiti catastrofici dei metodi adottati da
Lyssenko determinarono la fine della “genetica proletaria” e il ritorno agli studi, ormai
irrimediabilmente compromessi, di genetica
classica. Resta comunque il fatto della “naturalità” con cui una dottrina biologica insostenibile poté divenire ideologia di Stato. In
tale rapporto tra ideologia, teoria delle due
scienze e concezione della verità scientifica
Lecourt situa appunto l’interesse del “caso”
Lyssenko. L.Sc.
Filosofia araba
Il mondo arabo ha prodotto essenzialmente due correnti filosofiche, provenienti dall’opera di Avicenna e Averroè. Alcuni recenti studi si propongono di spiegare la loro opera, anche in
funzione della cultura araba contemporanea: AVERROÈ E L’INTELLETTO PUBBLI CO (Manifesto Libri, Milano 1996), di
Augusto Illuminati, che si sofferma
sull’impronta razionalistica e aristotelica del filosofo; LA RAGIONE ARABA
(trad. it. di A. Serra, Feltrinelli, Milano
1996), di Mohammed Abed al-Jabri,
che propone il recupero della filosofia
averroista per costituire una cultura
democratica e tollerante in medio
oriente; e L’UNIVERSO DI AVICENNA (trad.
it. di S. Crapiz, Ecig, Genova 1995), di
Lenn E. Goodman, che affronta il pensiero avicenniano di ispirazione neoplatonica.
Ricordato quasi esclusivamente in funzione dell’ingresso di Aristotele in Occidente,
Averroè sviluppò, in realtà, un sistema
filosofico in grado di competere con nomi
più celebri. Nel suo studio dedicato al filosofo, Augusto Illuminati descrive la figu-
PROSPETTIVE DI RICERCA
ra di Averroè a partire dagli elementi biografici e procedendo poi all’esposizione
delle sue teorie. L’importanza di Averroè,
ricorda Illuminati, è stata sino a ora oscurata dalle sue posizioni estremamente laiche
e provocatorie. In contrapposizione al misticismo avicenniano che ben si addiceva al
cristianesimo, le tesi di Averroè sono caratterizzate da un forte razionalismo che, prendendo le mosse da Aristotele, rappresenta un
percorso assolutamente laico e originale.
Le critiche ad Avicenna, e di conseguenza
al neoplatonismo cristiano, si concretizzano fondamentalmente, secondo Illuminati,
in due argomentazioni che, in buona sostanza, rappresentano il fondamento del
pensiero averroista. In primo luogo, Averroè sostiene l’eternità dell’universo che,
coesistente al Motore Immobile, non deriva da nessun atto creazionistico. In secondo luogo, la filosofia averroista non tiene
conto dell’anima individuale e predilige
una sorta di Intelletto pubblico e universale
che deresponsabilizza l’individuo di fronte
ai grandi temi esistenziali. In questo modo,
sprovvisto di un’anima individuale e immortale, l’uomo perde la paura dell’inferno
e del giudizio divino ed entra di diritto in
una prospettiva laica e intellettuale.
Il razionalismo di Averroè, e l’insistenza
sul metodo critico e intellettuale, costituiscono, secondo Mohammed Abed al-Jabri, il motivo della sua attualità e del suo
inserimento della cultura contemporanea
araba e occidentale. La ragione araba, infatti, lascia emergere, da una parte, un
debito di riconoscenza al pensiero di Averroè, dall’altra la speranza che proprio le sue
tesi conducano il mondo arabo ad una
emancipazione dal fondamentalismo verso un rinnovamento democratico. Grazie
all’individuazione dei tre ordini cognitivi,
l’Indicazione, l’Illuminazione e la Dimostrazione, che riscontrano il concetto di
verità a partire dall’analisi sillogistica dei
testi, Averroè ha rotto l’identità araba tra
fisica e metafisica, ponendo le basi per lo
studio scientifico della natura. Utilizzando
il sillogismo aristotelico e il metodo assiomatico, Averroè ha messo in discussione il
mondo mistico e gnostico di Avicenna,
che imponeva un forte legame anche tra
filosofia e religione. Secondo Averroè,
occorre controllare razionalmente ogni
dogma degli antichi per potere verificare la
sua attendibilità, come nel caso del concetto di emanazione o di anima individuale
che, non derivando da una dimostrazione
rigorosa, appaiono esclusivamente come
manifestazioni di misticismo religioso.
Contrapposta allo spirito averroista, la filosofia di Avicenna costituisce l’altro ramo
della speculazione araba. Se Averroè ha
influenzato i sistemi razionalistici come
quello di Spinoza o di Hegel, Avicenna ha
condizionato le filosofie della trascendenza da Leibniz sino a Heidegger. Come
dimostra lo studio di Lenin E. Goodman,
i temi affrontati da Avicenna riguardano,
infatti, problemi come la libertà, il tempo o
l’eternità, visti, sempre, in funzione di un’ottica della trascendenza.
Questo studio, utile per chiunque voglia
conoscere il pensiero avicenniano nella sua
globalità, presenta il contesto storico e la
vita di Avicenna in relazione alla sua opera
e alle sue tesi principali. Nell’intento di
operare una sintesi tra la filosofia aristotelica e quella platonica, Avicenna sente la
necessità di conciliare la contingenza con
la necessità e, quindi, l’eternità di Dio con
la nascita del mondo. Rifiutando la coeternità di dio e universo in Aristotele, Avicenna opta per le teorie neoplatoniche sull’emanazione, che rendono conto, da una
parte, della permanenza e immutabilità di
Dio e, dall’altra, della contingenza e imperfezione del mondo. Proprio in linea con
questa distinzione, Avicenna sottolinea l’individualità dell’anima, il concetto di Uomo
Fluttuante, che, relativa all’esistenza soggettiva dell’uomo, si contrappone all’essenza
necessaria di Dio e precede il pensiero soggettivo moderno da Cartesio in avanti. A.S.
La vita e l’opera di Russell
La tesi revisionista di Michael Dummett, secondo cui alle origini della
filosofia analitica vi è la svolta linguistica operata da Frege, e il ruolo di
Russell è tutt’al più marginale, è messa a dura prova in una raccolta di saggi
curata da Monk e Palmer, dal titolo
RUSSELL AND THE ORIGINS OF ANALYTICAL
(Russell e le origini della
filosofia analitica, Thommes Press,
Bristol 1966), che contiene gli interventi di un convegno tenutosi a Southampton nel 1995. Un’utile integrazione di questo materiale è la biografia di Ray Monk, BERTRAND RUSSELL: THE
SPIRIT OF SOLITUDE (Bertrand Russell: lo
spirito della solitudine, Cape, Londra
1996), che prende in esame della vita
del filosofo dalla nascita ai primi anni
del dopoguerra, ricostruendone non
solo l’itinerario speculativo e il suo
rapporto con pensatori quali Whitehead, Wittgenstein, Lawrence, ma
anche la vita privata e affettiva nel suo
intrecciarsi con le vicende scientifiche
e teoretiche.
PHILOSOPHY
Contrariamente alle tesi di Dummett, sebbene Russell non ponesse al centro delle
sue indagini l’analisi linguistica, egli deve
essere considerato un filosofo analitico. A
sostegno di questa tesi si pronunciano, in
particolare, tra i vari saggi raccolti nel
volume Russell and the Origins of Analytical Philosophy, gli scritti di Nicholas Griffin e Harold Noonan: il primo sottolinea
la natura essenzialmente non linguistica
della nozione di concetto denotativo contenuta nei Principles of Mathematics (Principi di matematica, 1903); il secondo inter48
preta l’eliminazione di questi concetti, operata in On Denoting (Sulla denotazione,
1905), come parte di una strategia volta a
salvaguardare la natura non linguistica dell’analisi delle proposizioni. Nel volume,
accanto ad altri saggi sulla logica, la matematica e l’epistemologia di Russell, compaiono anche due interventi sulla sua ricerca in etica e in storia della filosofia.
Russell non è certamente un filosofo analitico se si pone all’origine della filosofia
analitica la svolta linguistica operata da
Frege, e si caratterizza l’intero percorso
successivo come filosofia post-fregeana.
Questa svolta portò Frege a trasformare la
sua domanda iniziale (qual è la natura dei
numeri) in una domanda sul significato
degli enunciati che contengono numerali.
Radicalmente diversa da questa era invece
la posizione di Russell, che riteneva che il
significato fosse, per la logica, del tutto
irrilevante, e che anche quando si rese
conto, grazie all’influenza di Wittgenstein,
che la logica era strettamente dipendente
dal linguaggio, non provò di certo la gioia
della scoperta, ma qualcosa di molto vicino
alla disperazione della disillusione.
Secondo Ray Monk (What is Analytical
Philosophy?) non è vero che la filosofia
analitica sia essenzialmente post-fregeana,
nel senso che, nello spirito di Frege, abbia
considerato e consideri tuttora la filosofia
del linguaggio come il fondamento della
filosofia tutta intera. Ovviamente, se si
accetta il punto di vista di Dummett, Russell non può essere considerato un filosofo
analitico, perché credeva profondamente
che fra tutte le cose di cui si occupa e si deve
occupare il filosofo non debba esservi il
linguaggio: il filosofo si deve occupare del
mondo. On Denoting è stato spesso celebrato (erroneamente) alla luce del fatto che
in esso Russell non si limitava a teorizzare
l’importanza dell’analisi linguistica, né tantomeno riteneva che il significato delle
descrizioni definite fosse un significato
linguistico, bensì sottolineava che per il
logico la nozione centrale è una relazione
logica, e cioè la relazione di denotazione.
In seguito all’incontro con Wittgenstein,
Russell fu costretto a cambiare idea e a
riconoscere che una comprensione del linguaggio è necessaria per conoscere le proposizioni della logica, ma questo non lo
indusse a porre l’analisi linguistica al centro della filosofia, bensì ad ammettere che
la logica non aveva, suo malgrado, tutto il
significato filosofico che egli le aveva originariamente attribuito.
La stessa evoluzione del pensiero di Russell, osserva Monk, mostra chiaramente la
sua lontananza dallo spirito post-fregeano
nel senso inteso da Dummett. Dal platonismo iniziale egli passa infatti ad un accentuato psicologismo: il problema del significato, che pure sussiste, è essenzialmente, in
questa fase, un problema psicologico. Lo
psicologismo diventa la cornice dominante
nel saggio L’analisi della mente, in cui si
teorizza che la natura delle proposizioni
PROSPETTIVE DI RICERCA
Bertrand Russel
49
PROSPETTIVE DI RICERCA
vada compresa nei termini della capacità
della mente di formarsi immagini, ovvero
di compiere una serie di atti mentali e si
sostiene in modo sorprendentemente humeano, che la credenza è una sensazione
specifica in relazione a un’immagine. E
ancor più Russell accentua il suo psicologismo nel saggio successivo, An Inquiry into
Meaning and Truth (Ricerca sul significato
e la verità, 1930), polemicamente rivolto ai
positivisti logici per il loro “pregiudizio
linguistico”. Ora, a proposito di questa
forma di psicologismo, Monk fa notare che
se mai una dottrina filosofica ha meritato il
nome di psicologia descrittiva, ebbene, è
proprio questa. Ma, a questo proposito,
nutriamo alcune forti riserve, perché per la
psicologia descrittiva nel senso del primo
Husserl - che di questa fece il nucleo centrale del proprio programma filosofico proprio lo psicologismo rappresentava una
caduta nello scetticismo da evitare con
grande cura.
Riprendendo un suo scritto recente, Was
Russell an Analytical Philosopher? («Ratio», 9, 3, 1996), Monk accusa Dummett di
aver trascurato nella sua interpretazione proprio la caratteristica definitoria della filosofia analitica, e cioè l’analisi. Se invece si
accetta questa definizione alternativa, fra le
anime salve, oltre a Frege, vi sono Husserl,
Meinong e lo stesso Russell, e fra i dannati vi
è certamente Wittgenstein. Questi infatti,
osserva Monk, se da un lato teorizzava la
necessità della svolta linguistica e la metteva
indubbiamente in pratica, dall’altro non credeva affatto nell’analisi e cioè non riteneva
affatto che compito della filosofia fosse principalmente (anche se non unicamente) individuare in ogni intero complesso (proposizioni o altro) le parti elementari.
Su un punto importante, tuttavia, Dummett e
Monk concordano: su ciò che è (e deve
essere) la filosofia analitica. Entrambi sottolineano l’esigenza (ancora ampiamente delusa) che la filosofia (analitica) debba essere
sistematica e che solo in questo senso essa
possa dare un contributo essenziale ad un
progetto che aspira alla ricerca della verità.
Con la differenza che Dummett ritiene che
il primo passo fondamentale risieda nella
costruzione di una teoria sistematica del
significato. E stupisce allora che egli mostri
qualche incertezza sull’annoverare Wittgenstein nel paradiso della filosofia analitica,
dato che egli è consapevole del fatto che
Wittgenstein non mirava affatto alla sistematicità, né, tantomeno, alla costruzione di
una teoria del significato, che potesse essere
fondante per la filosofia nel suo complesso.
Per Wittgenstein non aveva alcun senso cercare di fondare la filosofia su di una base
scientifica. Proprio in questo ripudio della
mentalità scientifica in filosofia, e nel difendere invece l’idea del filosofo come di colui
che ripulisce i vialetti di un parco dell’immondizia lasciata dagli altri - l’immagine è
di Ayer - si misura tutta la distanza che corre
fra Wittgenstein e lo spirito della filosofia
analitica, se ve ne è uno. Ma si ha anche una
vaga percezione della distanza che separava
Russell dal suo allievo. C.C.
Il tormentato rapporto tra Russell e Wittgenstein è descritto in modo efficace da Ray
Monk nella biografia Bertrand Russell: the
Spirit of Solitude. Russell nasce nel 1872 da
una delle famiglie più illuminate dell’aristocrazia inglese, dalla quale erediterà le abitudini del libero pensiero, mostrando fin da
giovane una notevole intelligenza unita a
dolcezza e docilità, pur nella consapevolezza della necessità della lotta per ottenere la
felicità. A undici anni risale la felice scoperta
di Euclide che, secondo le stesse parole di
Russell, fu l’esordio di una vita di intelletto
e leggerezza insieme. Il bisogno della religione, osserva d’altra parte Monk, caratterizzò un lungo periodo della sua vita, per
quanto ne ritenesse sempre inaccettabili le
forme convenzionali, a cui cercava di supplire con forme religiose di sua invenzione, che
tuttavia si scontravano con il suo temperamento profondamente scettico. Russell nutriva una passione particolare per le “epifanie”: così avvenne per la verità della ricerca
di Cartesio sull’argomento ontologico dell’esistenza di Dio; analogamente avvenne
con Hegel.
Dalla biografia di Monk emerge anche la
grande onestà intellettuale di Russell e la sua
capacità di abbandonare una posizione una
volta convinto della correttezza della concezione opposta. Dopo il lungo e faticoso lavoro sui Principia mathematica, condotto con
Whitehead, Russell si accorse che le basi
fondamentali di questa ricerca erano minacciate dal lavoro di Kurt Gödel; ciò tuttavia
non invalidò completamente il suo lavoro,
che permise comunque ad altri logici-matematici di sviluppare un importante teoria del
calcolo. Interessante risulta, in questo contesto, la ricostruzione da parte di Monk del
rapporto con Wittgenstein, inizialmente
definito da Russell come un tedesco molto
polemico e fastidioso, nonché un poco folle,
per poi rendersi conto come questi fosse
invece privo di quella «falsa cortesia che
interferisce con la verità». In Wittgenstein,
Russell arrivò a vedere una sorta di erede
intellettuale, pur non rendendosi conto di
quanto la sua passione teoretica fosse profondamente distruttrice. Nel 1913 Wittgenstein demolì la teoria del giudizio di Russell
e ciò segnò un momento doloroso, ma decisivo, nella vita di quest’ultimo.
Monk si sofferma anche sul rapporto che
legò Russell a D.H. Lawrence e che si
concluse drammaticamente con una lettera
d’invettive di quest’ultimo, al punto che per
breve tempo Russell arrivò addirittura a contemplare l’ipotesi del suicidio. Ciò che permise a Russell di uscire da questo stato
depressivo fu il suo impegno politico e la sua
lotta contro la guerra, che gli fecero anche
assumere posizioni impopolari, allorché deplorò il rifiuto degli alleati di fronte alle
proposte di pace tedesche; questa posizione provocò l’emarginazione di Russell
da parte dell’ambiente accademico e
50
della sua classe sociale e l’avversione
dell’opinione pubblica.
Una parte importante della biografia di Monk
è dedicata alla vita sentimentale di Russell
attraverso un’ampia rassegna del suo epistolario. Sebbene si professasse contrario a ogni
forma di crudeltà e disonestà, emerge come
Russell, nei suoi rapporti amorosi, fosse
molto spesso falso, crudele e opportunista,
nonché ferocemente geloso delle sue amanti. I piaceri dell’amore, osserva Monk, trovavano del resto in Russell un riscontro con
quelli della ricerca scientifica, nonostante
una evidente differenza tra l’onestà intellettuale e l’ipocrisia nelle relazioni amorose: la
stesura in meno di tre mesi di The Principles
of Mathematics (Principi di matematica)
venne da questi definita come una «luna di
miele intellettuale» che, come tutte le lune di
miele, si spense sotto la pressione della critica di Wittgenstein. M.B.
Attraverso l’opera
di Wittgenstein
I carteggi inediti fra Wittgenstein e i
suoi interlocutori di Cambridge, pubblicati con il titolo: CAMBRIDGE LETTERS
(Lettere di Cambridge, Blackwell,
Oxford 1995), oltre a chiarire alcune
problematiche teoriche, permettono di
far emergere i rapporti ad un tempo
amichevoli e conflittuali intrattenuti dal
filosofo viennese con Russell, Moore
ecc. Un utile strumento per attraversare l’opera di Wittgenstein è anche un
dizionario dei termini filosofici wittgensteiniani, A WITTGENSTEIN DICTIONARY (Dizionario wittgensteiniano, Blackwell,
Oxford 1995), curato da Hans Johann
Glock, in cui sono presenti quasi un
centinaio di voci che aiutano a far chiarezza sul suo pensiero.
Le Cambridge Letters di Ludwig Wittgenstein, curate da Brian McGuinness e Georg Henrik von Wright, presentano un
interessante carteggio, fino a ora inedito, fra
il filosofo viennese e i suoi corrispondenti di
Cambridge: Russell, Moore, Keynes e Sraffa. Si scoprono qui elementi interessanti,
come ad esempio il rischio corso dal Tractatus logico-philosophicus di non essere pubblicato se non fosse stato per l’intervento e
l’appoggio generoso di Russell. L’importanza del rapporto con Russell, sul piano non
solo della ricerca logica, ma anche dell’aiuto
reciproco e di una profonda amicizia, emerge chiaramente in queste lettere, che permettono anche di comprendere per quali motivi,
negli ultimi anni, il loro rapporto si guastò,
come si può ricavare da una lettera di Wittgenstein a Moore in cui Russell viene definito individuo spiacevole, loquace e superficiale. Del resto il carattere particolare di
Wittgenstein emerge chiaramente anche con
altri interlocutori: Keynes, ad esempio, vie-
PROSPETTIVE DI RICERCA
ne accusato di pensare che l’amicizia con
Wittgenstein non fosse altro per lui che un
sistema per ottenere aiuto finanziario.
La radicale onestà e sincerità di Wittgenstein
emerge tuttavia in ogni occasione, come nel
suo giudizio sui Principia Ethica di Moore,
testo fra l’altro profondamente apprezzato
dalla comunità di Cambridge e che viene
invece definito da Wittgenstein, in una lettera a Russell, come un testo prolisso che in tre
pagine dice ciò che potrebbe essere espresso
comodamente in mezza: un lavoro che non
può sognarsi assolutamente di essere paragonato alle opere di Frege o a quelle di
Russell stesso.
Queste lettere mettono anche in evidenza il
senso di instabilità mentale di Wittgenstein,
il suo senso di angoscia e di depressione,
anche se non emergono espressamente nelle
lettere motivi di un ricorso ad aiuti psichiatrici; del resto era noto lo scetticismo di Wittgenstein nei confronti della teoria di Freud.
Spesso un’ancora di salvezza era per lui
rappresentata dalla ricerca scientifica e da
alcune intense amicizie, che tuttavia non
impedivano momenti di profonda delusione
e solitudine.
A Hans Johann Glock si deve la cura e la
stesura di un “dizionario wittgensteiniano”,
nel quale vengono presi in considerazione
quasi un centinaio di termini tecnici che
caratterizzano l’opera del filosofo; termini
coniati ex novo o, se già presenti nel dibattito
filosofico, modificati radicalmente dallo studioso viennese. Il dizionario ricopre così un
importante ruolo filologico ed esegetico. Il
volume contiene inoltre una biografia intellettuale di Wittgenstein e un saggio in cui
vengono delineati gli elementi fondamentali
delle diverse fasi del suo pensiero nella loro
connessione. M.B.
L’unità del pensiero
di Schleiermacher
Il saggio di Christian Berner,
LA PHI-
LOSOPHIE DE SCHLEIERMACHER . HERMÉNEU TIQUE- DIALECTIQUE- ETHIQUE
(Cerf, Parigi 1995) è senza dubbio il primo
studio in lingua francese a prendere
in considerazione non semplicemente l’ermeneutica o la teologia, ma
l’unità sistematica del pensiero di
Schleiermacher, allo stesso titolo di
Kant o di Hegel, dimostrando come
esso offra un’alternativa di grandi
sistemi dell’idealismo tedesco, pur
raccogliendone la sfida.
Nel suo studio, Christian Berner ricostruisce la logica della filosofia di Schleiermacher, mostrando come in essa dialettica ed
ermeneutica si integrino nella prospettiva
unitaria dell’etica, caratterizzata dall’aspirazione razionale di costituire una comunità e
in questo partecipe della motivazione e del
fine della stessa attività filosofica. Un primo
aspetto che Berner mette in evidenza della
filosofia di Schleiermacher è la critica dell’immediatezza. L’idea di sentimento in Schleiermacher è un concetto la cui funzione è di
mettere in risalto le aporie e le contraddizioni
delle teorie idealistiche della coscienza di sé,
che tendono a superare la finitudine della
soggettività. Per Schleiermacher il soggetto
non è la sua propria origine, ma si costituisce
a partire da una dipendenza preliminare e in
virtù di un agire che è parola e azione. Nei
suoi discorsi e nei suoi atti individuali il
soggetto si scopre, s’inventa e, attraverso
quest’individuazione, mira alla comunità.
Questo percorso è restituito con grande
chiarezza da Berner, che legge l’ermeneutica di Schleiermacher soprattutto come
una logica del discorso individuale, che
concerne il dialogo fra un io e un tu, laddove all’interprete è lasciato il compito di
ricostruire ciò che è stato pensato ed espresso dall’autore. Per Schleiermacher non c’è
pensiero senza linguaggio e ogni discorso è
dunque indirizzato, comunicato e comune.
«Comprendere nella sua dimensione ermeneutica è dunque riconoscere l’altro nella
comunità»: il discorso individuale rinvia
ad una comunità che è anche misura della
ragione, e il cui orizzonte rappresenta
“l’ethos dell’ermeneutica”.
In Schleiermacher, fa notare Berner, l’ermeneutica non s’interessa che al senso dei
discorsi, che mira a determinare rigorosamente; è alla dialettica che tocca valutare il
loro rapporto con l’essere, domandandosi
se quello che è detto è “vero”. Ermeneutica
e dialettica rinviano così l’una all’altra e
non possono comprendersi se non nella
loro complementarietà. In particolare, precisa Berner, la dialettica vuole essere tanto
il metodo concreto di produzione del sapere a partire dal conflitto regolato delle pretese individuali di verità, quanto la riflessione critica sui differenti saperi costituiti.
Più volte Schleiermacher sottolinea la dimensione linguistica della dialettica; i conflitti si esprimono in un dialogo e la dialettica è l’organizzazione del dialogo in vista
del sapere. Nella produzione comune del
sapere si costituisce nello stesso tempo la
comunità dei sapienti: un “noi trascendentale”, una comunità storica determinata che
soppianta l’astrazione dell’“io trascendentale”. Al contempo, osserva Berner, il sapere s’inscrive in un divenire che è tradizione, ma anche attività critica ininterrotta.
L’impulso alla conoscenza è dettato in Schleiermacher dal desiderio di costituire una
comunità umana diversificata. Pur evitando il ricorso ad una teoria dello spirito di
tipo hegeliano, Schleiermacher, sottolinea
Berner, non propone una semplice filosofia della cultura abbandonata al relativismo; la realizzazione dello spirito è il compito immanente alla comunità umana. Al di
là di ogni tentazione storicista, lo sforzo
etico, che mira alla realizzazione della ragione nelle forme individuali e storiche,
anima, secondo Berner, l’insieme del progetto teorico di Schleiermacher. F.M.Z.
51
Un dialogo sulla logica
di Aristotele
Con il titolo: POLITIAN AND SCHOLASTIC
LOGIC. AN UNKNOWN DIALOGUE BY A DOMENICAN FRIAR (Poliziano e la logica scolastica. Un dialogo sconosciuto di un frate
domenicano, Olschki, Firenze 1995) Jonathan Hunt pubblica l’edizione critica (con un’ampia introduzione) di un
dialogo quattrocentesco sulla dialettica aristotelica tra due interlocutori appartenenti a due mondi contrapposti,
la scolastica e la cultura umanistica. Il
dialogo presenta sotto una diversa
luce l’aristotelismo nella Firenze di
Lorenzo de Medici, considerata un
baluardo del neoplatonismo.
Il volume a cura di Jonathan Hunt presenta l’edizione critica del dialogo latino De
negocio logico, del domenicano Francesco Tommaso (1445/6-1514), priore di
Santa Maria Novella a Firenze. Si tratta di
un commento delle Isagogge di Porfirio,
largamente debitore del Liber de praedicabilibus di Alberto Magno; di fatto, il lessico, l’argomentazione, gli esempi sono di
stampo prettamente scolastico. L’interesse
maggiore di questo dialogo proviene tuttavia dal suo destinatario, Angelo Poliziano,
il poeta delle Stanze e delle Syluae, uno dei
primi grammatici-filologici dell’umanesimo, prossimo di Lorenzo il Magnifico.
Umanista raffinato, conoscitore della latinità d’argento (allora non proprio di
“moda”) e perfino del greco (una rarità per
chi non era bizantino), Poliziano lesse e
commentò negli ultimi anni della sua vita
(1490-94) le opere logiche di Aristotele,
scatenando le ire dei suoi colleghi filosofi
(Poliziano teneva infatti la cattedra di poetica e di retorica e non di filosofia). Il
dialogo del domenicano risale all’anno 1480
e mostra che l’interesse per la logica aristotelica si manifestò in Poliziano molto prima di quanto si pensi, sebbene l’umanista
vi si consacrasse solo più tardi.
Quest’edizione comporta almeno tre motivi d’interesse. Il primo è che testimonia di
un incontro e di uno scambio fra un umanista e uno scolastico; se il primo si dedica
alla dialettica, il secondo dichiara apertamente la necessità di studiare sia il greco
sia la retorica. Il domenicano condanna
inoltre il linguaggio “sottile” di alcuni commentatori scolastici e propugna un discorso più semplice, quasi familiare. Il secondo
motivo concerne la figura stessa di Poliziano, i cui testi di logica sono pressoché
sconosciuti e la cui lettura specifica d’Aristotele resta poco studiata, allorché si moltiplicano gli studi sulla sua poesia. Infine,
questo dialogo testimonia che l’interesse
per Aristotele nell’ambiente umanista fiorentino non provenne solamente dall’influenza dei greci bizantini e più tardi da
Pico (l’amico della maturità di Poliziano).
F.M.Z.
NOTIZIARIO
A partire dall’analisi dell’opera più
famosa di Adam Smith: La ricchezza delle nazioni, e delineando
il contesto ed i processi che hanno
portato alla stesura di questo lavoro, Ian Simpson Ross, con THE
LIFE OF ADAM SMITH (La vita di
Adam Smith, Clarendon Press,
Oxford 1995), ci fornisce una biografia dell’economista scozzese. Il
lavoro di Ross non è però semplicemente biografico, ma ricostruisce l’importanza che hanno avuto
nella stesura delle opere di Smith
gli interessi crescenti dei mercanti
di Glasgow e degli uomini di cultura per un pensiero economico sistematico. La ricchezza delle nazioni è importante inoltre per le
influenze che ha avuto sulla politica britannica negli anni Ottanta del
XVIII secolo, riguardo allo sviluppoi del libero commercio con la
Francia, arrivando così a costruire
non solo una teoria dell’economia
politica interna, ma anche una teoria dei rapporti internazionali.
Ponendo attenzione alle lezioni tenute da Smith a Glasgow, Ross
sottolinea come l’approcio storicistico e naturalistico fosse il medesimo sia nel campo dell’etica che
della giurisprudenza e del linguaggio; un elemento che è possibile
far risalire ai teorici del giusnaturalismo del XVII secolo Grozio e
Pufendorf e che va unito all’influenza di Montesquieu. L’attenzione dedicata ai legami che intercorrono fra la vita materiale, le
istituzioni politiche e la struttura
sociale è un’eredità che l’Illuminismo scozzese ha lasciato a diversi
autori quali Constant, Guizot e
Marx. Ross mostra l’importanza
che hanno avuto le Lectures on
Jurisprudence (Lezioni di giurisprudenza) quale base per l’elaborazione della Ricchezza delle nazioni e ricorda come questi lavori
sarebbero dovuti culminare nella
pubblicazione della Theory and
History of Law and Government
(Teoria e storia del diritto e del
governo), che non venne però mai
edita nonostante Smith vi avesse
dedicato il resto della sua vita; Ross
ricostruisce il momento in cui Smith, temendo che la pubblicazione
postuma del suo lavoro incompleto
potesse danneggiare la sua fama,
ordinò ai suoi esecutori testamentari di bruciare il manoscritto davanti ai suoi occhi.
Un altro elemento importante del
lavoro di Ross è il ricorso puntuale
alla corrispondenza edita ed inedita di Smith. Per quanto riguarda le
vicende più intime della vita dello
studioso scozzese poco può del resto essere detto, se non alcuni accenni ad alcune passioni amorose e
all’ipocondria che affliggeva l’economista. M.B.
Si è tenuta a Parigi il 23 e 24 novembre 1996, presso la sede dell’Unesco, l’Assemblea generale del CONSEIL INTERNATIONAL DE LA PHI-
NOTIZIARIO
a cura di Luisa Santonocito
contatto con le Federazioni Internazionali. Per informazioni: Luca M.
Scarantino, Secrétaire général adj.,
CIPSH - Maison de l’Unesco, 1, rue
Miollis, 75015 Paris, France.
LOSOPHIE ET DES SCIENCES HUMAINES (International Council for
Philosophy and Humanistic Studies,
CIPSH). Strutturato come federazione di organizzazioni internazionali
nel campo delle scienze umane, il
CIPSH costituisce il massimo organo mondiale di cooperazione e assistenza in questo settore e conta fra i
propri affiliati l’Unione Accademica
Internazionale (UAI), la Federazione Internazionale delle Società Filosofiche (FISP), il Comitato Internazionale di Studi Storici (CISH), il
Comitato Internazionale Permanente dei Linguisti (CIPL), la Federazione Internazionale delle Società di
Studi Classici (FIEC), l’Unione Internazionale di Studi Antropologici
ed Etnologici (UISAE), il Comitato
Internazionale per la Storia dell’Arte
(CIHA), l’Associazione Internazionale per la Storia delle religioni
(IAHR), la Federazione Internazionale di Lingue e Letterature Moderne (FILLM), l’Unione Internazionale di Studi Orientali ed Asiatici (UIEOA), la Società Musicologica Internazionale (SIM), l’Unione Internazionale di Scienze Preistoriche e protostoriche (UISPP), ed il Congresso
Internazionale di Studi Africani
(CIAF). Presente in oltre 140 nazioni, costituisce il principale partner
dell’Unesco nel campo degli studi
umanistici. Il CIPSH pubblica la rivista «Diogène».
L’Assemblea generale di Parigi ha
nominato gli organi direttivi del Consiglio e ha provveduto a indicare le
principali attività del prossimo periodo. Alla Presidenza è stato confermato Jean d’Ormesson, dell’Académie Française, mentre alla Segreteria generale sono stati nominati Jean
Bingen (Belgio) e Luca M. Scarantino (Italia). Tra le attività previste, la
prosecuzione del progetto Endangered Languages e del World Linguistic Atlas, la prosecuzione della pubblicazione dell’International Bibliography of Philosophy e la cooperazione con la Divisione della Filosofia dell’Unesco. Il CIPSH intende
inoltre rafforzare la propria collaborazione con la comunità scientifica
attraverso una capillare opera di diffusione delle proprie attività, stringendo accordi di collaborazione con
istituzioni e pubblicazioni e aprendosi alla partecipazione di singoli
ricercatori interessati a entrare in
In coincidenza con il Convegno italofrancese “La filosofia e il suo insegnamento” tenutosi nel mese di ottobre 1996, all’Istituto Banfi di Reggio
Emilia, su filosofia e didattica della
filosofia nei due paesi, il bollettino di
maggio-agosto 1996 della Società
Filosofica Italiana (nuova serie) presenta un DOSSIER FRANCIA, a cura
della stessa commissione della SFI,
sui temi in discussione negli ultimi
anni a proposito della didattica della
filosofia in Francia. Oltre ad una completa introduzione, curata da Jean
D’Yvoire (Bureau de coopération linguistique, Servizio Culturale dell’Ambasciata di Francia in Italia), il
dossier contiene interventi di A. de
Monzie (Ispettore dell’Istruzione
Pubblica): “Istruzioni del 2 Settembre 1925”; N. Grataloup (Liceo JeanJaurés di Montreuil-sous-bois): “La
lingua al lavoro, il pensiero al lavoro”; M. Tozzi (Liceo Diderot, Narbonne): “Si può ‘didattizzare’ l’insegnamento filosofico?”; J. Muglioni
(Ispettorato generale di filosofia): “La
lezione di Filosofia”. La sezione poi
su “La filosofia e la sua pedagogia?”
- a cura di F. Best (Ispettrice generale
all’ educazione nazionale), B. Bourgeois (Università di Parigi I), M. Conche (professore emerito alla Sorbona), J.Dumont (professore emerito all’università di Lille III), J. Muglioni
(Ispettorato generale di filosofia), M.
Tozzi - tratta da una ricerca pubblicata in «La Philosophie et sa Pédagogie» (giugno 1991) a cura del Centro regionale di documentazione pedagogica di Lille. Chiudono il dossier due appendici sui programma di
filosofia nelle scuole secondarie in
Francia .
Sarà un appuntamento fisso del tradizionale PREMIO LETTERARIO
CASTIGLIONCELLO: LA NUOVA
SEZIONE DI FILOSOFIA, intra-
presa in via sperimentale e che
prende avvio dagli incontri filosofici che si tengono a Castiglioncel-
52
lo dal 1995, si terrà al Castello
Pasquini il 22 febbraio 1997. Istituita nel mese di agosto 1996 per
volontà dell’Assessorato alla Cultura della Pubblica Amministrazione del Comune di Rosignano
Marittimo (Antonella Musu, tel.
0586 792218) e dell’Azienda di
promozione Turistica di Livorno,
con il patrocinio della camera di
Commercio Industria e Artigianato di Livorno e della Provincia di
Livorno, la nuova sezione - la cui
giuria è formata da Paolo Rossi,
Adriano Fabris, Alfonso Iacono,
Enrico Moriconi, Giovanni Manetti, Vinicio Giannotti - costituisce
una svolta per il Premio che intende così aprirsi a iniziative di più
ampio respiro verso la promozione
della ricerca filosofica.
Un tema, una serie di saggi, una
riscoperta e un inedito: questa la
struttura de I CASTELLI DI YALE, la
nuova rivista a periodicità annuale
pubblicata da Vallecchi Editore (Firenze, 055-293477), curata da un
gruppo di docenti della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università di
Ferrara e diretta da Giancarlo Carabelli e Mario Miegge. “Newton e
l’Apocalisse” è il tema del primo
numero che ospita le relazioni di
Giulio Giorello, Maurizio Mamiani
e Mario Miegge tenute durante un
seminario svoltosi all’Università di
Ferrara; seguono i saggi di Marco
Bertozzi sulla teoria delle grandi configurazioni astrali nel Rinascimento, di Paolo Pullega su “Note cartesiane”, di Paola Zanardi su Hume e
Trenchard e di Simonetta Scandellari sul costituzionalista spagnolo di
fine Settecento Valentìn de Foronda. La “riscoperta” è dedicata alla
traduzione italiana del saggio di geopolitica dell’inglese Halford John
Mackinder, Il perno geografico della storia e “inedita” è una lunga
lettera di Giacomo Casanova a Caterina di Russia.
(Informazioni: Francesca Mellone,
Biblioteca Ariostea, tel. 207392 e
Paola Zanardi, Facoltà di Lettere e
Filosofia, tel. 293518).
La genesi dell’etica è il tema del
primo numero della nuova rivista
“BIOLOGIA E SOCIETÀ”, pubblicata da Edizioni D’Antropologia (Milano, via Palma 4, tel. 02
29000672 - 58303958) e che fa
capo al laboratorio di Socioantropologia dell’Università La Sapienza di Roma. È disponibile nelle
librerie Feltrinelli e Universitarie
a lire 3.000.
Il 10 dicembre 1996 è scomparso a
New York GIORGIO TAGLIACOZZO , docente di Storia delle Idee
alla New York School for Social
Research, collaboratore alla “Voice of America” - a lui si deve il
NOTIZIARIO
successo del programma radiofonico “l’Università per Radio ‘Guglielmo Marconi’” - e artefice della diffusione del pensiero di Giambattista Vico in tutto il mondo.
Convinto che il problema dell’unità della conoscenza fosse, prima
che una istanza filosofica, un’aspirazione umana radicata nella coscienza degli esseri umani, nel 1959
Tagliacozzo elaborò una prima rappresentazione arborea della conoscenza, da cui traspariva il suo interesse per la filosofia delle forme
simboliche di Ernst Cassirer e di
Susanne Langer. Nel 1961 l’incontro con Giambattista Vico e la scoperta della sostanziale affinità delle idee fondamentali del suo Tree
con quelle dell’Albero della sapienza nella Scienza Nuova (1744),
lo indussero a dedicare le proprie
energie alla “resurrection” degli
studi sul filosofo napoletano. Questo avvenne attraverso la realizzazione di una serie di convegni da
lui stesso organizzati - “Giambattista Vico: An International Symposium” (1989); “Vico’s Science
of Humanity” (1976); “Vico and
Contemporary Thought” (1979);
“Vico: Past and Present” (1981);
“Vico and Marx: Affinities and
Contrasts” (1983) ; “Vico and
Joyce” (1987); la conferenza mondiale “Vico a Venezia” (1978) - la
creazione a New York dell’Institute for Vico Studies e del periodico
«New Vico Studies», edito dallo
stesso Institute, nonchè attraverso
i suoi lavoriMy Vichian Journay: A
Cronology (New Vico Studies,
1996) e Unity of Knowledge: from
Speculation to Science , determinanti per la scoperta della dendrognoseology, la nuova scienza con
la quale Tagliacozzo realizzò l’esigenza che Vico aveva espresso sin
dal tempo della prima orazione,
cioè di unire in un principio tutta la
conoscenza umana e divina. F.R.
Una protesta multimediale viene dal
mondo di Internet, sottoscritta da
più di duemila dottorandi e dottori
di ricerca della università umanistiche e scientifiche italiane. Attraverso una LETTERA APERTA SULLA CONDIZIONE DEL DOTTORATO DI RICERCA IN ITALIA rivolta
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dell’Università della Ricerca Scientifica e Tecnologica,
al Consiglio Universitario Nazionale, ai Rettorati delle Università Italiane - il cui testo è disponibile su World
Wide Web all’indirizzo http://
distart.ing.unibo.it/dott/ - questo particolare gruppo di ricerca, nato
dallo scambio di corrispondenza
su rete Internet a partire dal 9 gennaio 1996, avanza precise richieste
di revisione e riconoscimento della
figura del dottore di ricerca in Italia. Tra queste, la diffusione di informazioni sulla figura del dottore
di ricerca presso l’industria privata, l’inclusione del titolo di dottore
di ricerca fra quelli valutabili in
tutti i concorsi pubblici e nell’accesso agli enti pubblici e alle amministrazioni dello Stato, l’adeguamento della borsa di studio al costo
attuale della vita, l’apertura di un
tavolo di discussione sulla revisione degli aspetti centralistici e organizzativi dei corsi di dottorato.
ni, B. Salmona, P. Mazzarella, C.
Lupi, T. Bugossi, P. P. Ottonello,
A.M. Tripodi, R. Rossi. Subito
dopo, il DISSPE ha realizzato a
Roma (5-8 aprile 1995) il Congresso Internazionale “M.F. Sciacca e
la filosofia oggi”, i cui due volumi
di atti, ricchi di una cinquantina di
contributi di studiosi di dieci paesi
euro pei ed extraeuropei, sono imminenti presso Olschki, a cura di
P.P. Ottonello; il quale inoltre dirige il periodico «Studi Sciacchiani», fondato a Genova nell’85, ed è
il cur tore anche dei due volumi
della Bibliografia degli scritti di e
su M.F. Sciacca dal 1931 al 1995
(Olschki, vol. I, 1996, pp. 216; il
vol. II è in corso di stampa: i due
volumi raccolgono complessivamente oltre 7000 titoli).
L’ampiezza e insieme la specializzazione dell’ambito delle ricerche
condotte dal DISSPE hanno consigliato di organizzarne la Collana di
volumi - mentre prosegue la collana Categorie Europee” (Ed. Japadre), il cui 36˚ volume, Interiorità ed ermeneutica di T. Bugossi,è
del ’94, nonché il periodico «Studi
Europei» (Ed. Olschki) - in diverse
Sezioni: “Saggi filosofici” e “Saggi pedagogici” (Ed. Marsilio); “Testi” (Ed. Guerini e Associati); “Atti”
e “Bibliografie” (Ed. Olschki). La
sezione “saggi filosofici” è iniziata
con il volume di M.A. Raschini
Thomas Mann e l’Europa (Marsilio 1994) ed è proseguita con Occasioni di Mito di E. Bonessio di
Terzet (ivi, 1995), con il già citato
volume platonico di Gian carlo Duranti e con Sciacca la rinascita dell’Occidente (ivi, 1995) di P.P. Ottonello. La sezione “Saggi pedagogici” è iniziata con il volume di M.
Gennari Semantica della città ed
educazione.
La sezione “Testi” costituisce la
collana “Eidos/Eikon”, edita da
Guerini e Associati, ed è anch’essa
già ricca di tre volumi, presto destinati ad aumentare: Sull’idillio di
A. Rosmini, a cura di P.P. Ottonello; Contra Husserl di L. Sestov, a
cura di F. Déchet e La filosofia
della composizione di E.A. Poe, a
cura di E. Bonessio e Terzet.
Nell’imminenza del bicentenario della nascita di Rosmini (1997), il DISSPE ha pubblicato due importanti
volumi: Rosmini: dialettica e poiesi,
di M.A. Raschini, e Cronache rosminiane dal 1966 al 1995 di A.M.
Tripodi e ha messo a punto il programma di un Congresso Internazionale su “Rosmini e l’enciclopedia
delle scienze” che si terrà a Roma nel
mese di ottobre 1997. P.P.O.
IL DIPARTIMENTO DI STUDI
SULLA STORIA DEL PENSIERO
EUROPEO “ M.F . SCIACCA”
(DISSPE) dell’Università di Ge-
nova, composto da una ventina di
docenti quasi tutti scolari e discepoli di Sciacca e diretto da Maria
Adelaide Raschini, (e costituito nel
1993), ha dato vita al periodico
«Studi Europei» edito da Olschki e
diretto da Pier Paolo Ottonello che, nel suo primo volume, raccoglie tra gli altri saggi di J. Uscatescu, E. Moutsopoulos, A. Caturelli, V. Stella. Il secondo volume
(1994) raccoglie gli atti delle “Giornate gentiliane” realizzate nell’
ottobre del ’94, con contributi di
M.A. Raschini, V. Stella, G. Semerari, A. Negri, G.M. Pozzo, F. Ravaglioli, J. Uscatescu. Il terzo
volume raccoglie, nella sua prima
ampia sezione, gli atti del “Seminario Platonico” svolto nel febbraio del ’95 e imperniato sull’importante volume di Gian Carlo Duranti, Verso un Platone “terzo”, pubblicato come terzo della sezione
“Saggi filosofici” della Collana del
DISSPE (Venezia, Marsilio, 1995,
pp. 330). È intento programmatico
del DISSPE dare crescente spazio
specialistico, specie in «Studi Europei», alle problematiche europeistiche nei loro sviluppi degli
ultimi cinquant’anni.Il DISSPE si
è costituito sulla base del Centro
Interuniversitario di Ricerca per la
Paideia Europea, diretto da Raschini, che ha visto collaborare studiosi di dieci università europee e le
cui ricerche sono rifluite in buona
parte nei 36 volumi del la collana
“Categorie Europee” (Ed. Japadre)
usciti fra 1’85 e il ’94, nonché nel
pe riodico internazionale «Filosofia oggi», fondato nel ’78 da Raschini e Ottonello. Il centro ha inoltre realizzato tre congressi internazionali: “Il commercio delle idee
nella cultura europea” (Genova, 1217 maggio 1986, atti pubblicati
presso Japadre, 1987; “Rosmini
pensatore europeo” (Roma, 26-29
ottobre 1988, gli atti sono editi da
Jaca Book, 1989, pp. 462) e “L’
universo della comunicazione: prospettive europee” (Genova, 26-30
novembre 1990).
In occasione del ventennale della
morte di Sciacca ci si è inoltre
impegnati in una serie di iniziative, la prima delle quali è stata la
realizzazione della “Cattedra
Sciacca”, a cadenza annuale. Del I
Corso di tale Cattedra (1994) è disponibile il volume degli atti: La
presenza dei classici nel pensiero
di Sciacca (Olschki, 1995, pp. 132),
contenente scritti di M.A. Raschi-
Una tavola rotonda su “Che cos’è
la verità”, a cui hanno partecipato
Umberto Curi, il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, Enrico Berti, Paolo Rossi, Emanuele Severino, ha inaugurato, sabato 1 febbraio 1997, LA NUOVA SEDE VENEZIANA DELL’ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI
53
(Cannaregio 2593, Calle Longo,
Venezia, tel. 041 717940, fax
720510). Collegata in ogni senso
alla “casa madre” di Palazzo Serra
di Cassano di Napoli, la sede diretta da Umberto Curi - presenta
già un intenso calendario di appuntamenti non soltanto per la ripresa
di alcuni filoni tradizionali, come
il convegno di cosmologia e filosofia quest’anno dedicato a “L’antichità del nuovo, le radici classiche nella scienza moderna” e la
serie di seminari di filosofia (cfr.
rubrica “calendario”), ma anche per
l’apertura di nuovi terreni di riflessione, con un ciclo di incontri sul
tema “Nuovi scenari della comunicazione”, il convegno su “Il ruolo
della matematica nella cultura contemporanea”, il ciclo di conferenze di astronomia e cosmologia e le
iniziative sul rapporto arte-filosofia, destinate ad accompagnare la
Biennale di arti figurative nel prossimo mese di giugno.
«La prima collana neo-illuminista
in grado di risvegliare l’intelligenza e spronare l’uomo di oggi a
prendere coscienza di sé». Si presenta così la nuova proposta editoriale di Claudio Gallone, la collana
“L’UOMO E LA RAGIONE” , diretta da Emanuele Severino, in una
edizione numerata e limitata, composta da dodici libri «fondamentali per lo sviluppo dell’Occidente»,
come li ha definiti Gallone nel corso della presentazione al Circolo
della Stampa di Milano, giovedì 20
febbraio. Opere rivisitate di grandi
pensatori come Goethe, Manzoni,
Tolstoj e Unamuno, Rosmini, Martinetti, Papini, Ardigò, introvabili
nelle librerie e consultabili solo
nelle biblioteche, libri infine - lo
stesso Severino ha affermato - di
«forte richiamo emotivo», come il
testo che apre la collana, analisi
inedita di Goethe: Il mio Dio, il
mio Cristo .
È la prima rivista italiana di aggiornamento bioetico ad essere pubblicata per via telematica nel mondo
Internet. BIOETHICS è diretta da
Giovanni Berlinguer, redatta in italiano e prossimamente in inglese, è
visitabile sul sito http://www.srd.it/
bioethics/.
CONVEGNI E SEMINARI
Mathias Grünewald, Polittico di Issenheim (1512-16, part.)
54
CONVEGNI E SEMINARI
CONVEGNI E SEMINARI
Sulla condizione
contemporanea
Nel periodo gennaio-marzo 1996, su
invito dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e dell’Istituto
Gramsci Veneto, Gianni Vattimo, Salvatore Natoli ed Emanuele Severino
hanno tenuto a Venezia una serie di
seminari, rispettivamente con i titoli:
“DOPO LA CRISTIANITÀ” (29-31 gennaio
1996), “ETICA DEL FINITO. LA CONDIZIONE
CONTEMPORANEA TRA POST- CRISTIANITÀ E
NEO - PAGANESIMO ” (5-9 febbraio 1996),
“ IL LUOGO DEL NOSTRO TEMPO” (4-6
marzo 1996).
Secondo Gianni Vattimo, la nostra epoca
è segnata dall’annuncio nietzscheano della
“morte di Dio”, cui corrisponde l’annuncio
heideggeriano della fine della metafisica.
Si tratta di annunci o, meglio, di interpretazioni, capaci di aprire e insieme mostrare
(non “dire”) la verità del nostro tempo. Il
nichilismo della nostra epoca, ha osservato
Vattimo, non implica tuttavia la fine di
ogni esperienza religiosa: il dio che è morto
è infatti solo quello morale, il dio garanzia
teoretica, il “dio dei filosofi”; resta aperta,
comunque, la possibilità di un’esperienza
del sacro. La tradizione entro cui pensiamo
è caratterizzata anche dall’annuncio paolino della chénosis di Dio, in cui Vattimo non
scorge solo il messaggio cristiano per eccellenza, ma anche la traccia archetipica
della vocazione della filosofia occidentale
all’indebolimento di ogni óntos on metafisico. In virtù della parentela che lega chénosis cristiana, “morte di Dio” e secolarizzazione, è possibile scorgere la portata (anche) liberatoria del nichilismo.
Da questo punto di vista, Gioacchino da
Fiore si presenta, secondo Vattimo, come
interprete decisivo del cristianesimo, scoprendo la storicità della rivelazione del
divino e insegnandoci che la storia dell’essere è storia della salvezza. Delle tre età
della storia distinte da Gioacchino sul modello trinitario - quella del Padre, in cui gli
uomini vivono sotto la legge, nella schiavitù e nel timore, quella del Figlio, caratterizzata da una servitù filiale e dalla fede, l’età
dello Spirito Santo, della libertà e della
carità - è proprio la terza quella che Gioac-
chino vede come imminente e che Vattimo
interpreta come liberazione in corso dello
spirito ermeneutico. Al Dio paradossale e
intollerante dell’Antico Testamento, Vattimo “preferisce” infatti il dio misericordioso del Nuovo Testamento. Se sapremo sottrarci al peso della letteralità dei testi sacri
e della lettera della materialità del mondo,
allora entreremo nell’età post-moderna
dello Spirito, l’età del libero gioco delle
interpretazioni, in cui la carità di provenienza cristiana troverà debita continuità in
un’ontologia dell’evento.
In un articolato attraversamento del moderno Salvatore Natoli ha proposto motivi
di riflessione per una possibile “etica neopagana del finito”. La complessità e la
pervasività del moderno è tale che risulta
estremamente superficiale intendere il postmoderno come mera messa a riposo del
moderno. Secondo Natoli la modernità è
caratterizzata da una secolarizzazione dell’idea di salvezza di provenienza cristiana
e da un conseguente progetto sul mondo
che ha i tratti dell’infinito. Laddove per il
cristianesimo è Dio a farsi garante della
salvezza dell’uomo, l’epoca moderna insiste sulla possibilità di quest’ultimo di salvarsi da sé tramite la potenza della scienza
e della tecnica.
Richiamando tre diverse dimensioni della
nozione di “fine”, télos, skopós ed éschaton, Natoli ha mostrato come nei greci il
divenire si ponga come ciclo (ripetizione)
dominato dal télos, il fine naturale, con il
quale lo skopós, il fine che l’uomo si sceglie, deve necessariamente armonizzarsi.
Nei cristiani invece domina il primato
dell’éschaton, il fine stabilito da Dio e dalla
fede, in forza del quale il ciclo si spezza,
irrompe il nuovo e il fine diventa il raggiungimento della fine. La storia nel senso
cristiano, ha osservato Natoli, si pone come
processo verso la salvezza assoluta proprio
perché il dolore e la morte non vengono più
pensati come tutt’uno con la natura e il suo
télos, ma come frutto del peccato originale,
da cui la realizzazione dell’éschaton dovrà
riscattarci. Così, quando l’uomo moderno
pensa la storia in termini di progresso,
verso una salvezza che egli può darsi da sé
a dispetto di ogni limite naturale, è lo skopós
umano ad acquisire il primato, prima assoggettando ogni télos, poi, con la “morte
55
di Dio”, imponendosi tout court come
éschaton.
È su una tale soggettività, cartesianamente
intesa come capacità di rappresentazione
trasparente e spassionata e insieme come
tensione verso l’infinito, che fa perno, secondo Natoli, il progetto moderno di trasformare il mondo nel regnum hominis. La
fine della modernità non si porrebbe dunque come dissoluzione dei suoi elementi,
ma solo della sua intenzione, rimasta irrealizzata a causa della complessità e processualità del mondo messe in atto dalla modernità. Da questa genealogia del moderno
Natoli sviluppa un’interpretazione del
mondo contemporaneo il cui modello o
opzione possibile è un’etica neo-pagana,
caratterizzata dall’abbandono del bisogno
di ogni salvezza assoluta, così come di
qualsiasi pretesa di infinito.
L’intervento di Emanuele Severino ha
preso avvio dalla distinzione tra “interpretazione” e “destinazione”. Pur riconoscendosi in quella volontà di conferire senso ai
fatti che caratterizza l’Occidente come dominio dell’interpretazione, Severino ha ribadito come al di là della problematicità e
dell’ipoteticità proprie di ogni interpretazione venga alla luce dell’altro: il significare ha un’articolazione che s’impone senza
dipendere da alcuna volontà interpretativa
o arbitrario conferimento di senso. La necessità dei rapporti tra i significati è appunto la loro destinazione, che peraltro mette a
riposo anche ogni ingenua liquidazione
dell’ontologia.
Se oggi, ha continuato Severino, la civiltà
della scienza e della tecnica può segnare in
modo determinante il nostro tempo, subordinando a sé ogni altra forza, è innanzitutto
perché la verità è tramontata, anche se ciò
non è ovvio, come superficialmente ritiene
gran parte del pensiero contemporaneo.
Nel pensiero greco la verità è alétheia,
disvelamento dell’essente, inteso come
verità stabile e incontrovertibile: l’essente
appare come ciò che non può essere negato;
e per indicare lo stato dell’essente i greci
impiegano il termine epistéme. Solo comprendendo la radicalità e la grandezza
dell’epistéme ellenica che pensa il divenire
come venire dal nulla e tornare al nulla, ha
osservato Severino, si può pensare in modo
non superficiale l’odierno tramonto della
CONVEGNI E SEMINARI
verità. L’epistéme come verità incontrovertibile, che è anche capacità assoluta di
previsione, allontana l’angoscia per il divenire nientificante, pur fondandosi sulla fede
in un divenire che non poteva non annientare qualsiasi stabile verità.
Da ultimo, Severino ha sottolineato come
una critica incisiva della tecnica è possibile
solo se se ne porta alla luce il presupposto
fondamentale: la fede in un divenire pensato come processo in cui il diveniente è
«insieme essente e non essente». Questa è
la struttura decisiva dell’Occidente; questa
è la presunta evidenza da mettere in questione. G.L.P.
La conoscenza delle religioni
Dal 7 febbraio al 13 marzo del 1996 si
è svolto alla Casa della Cultura di Milano un seminario dal titolo: “Storia
delle religioni”, coordinato da Riccardo Massa, il cui scopo è stato quello di
ricostruire alcuni momenti significativi di storia delle religioni, partendo dal
mondo antico e da quello primitivo
fino a giungere all’epoca postmoderna, nella convinzione che la formazione culturale dell’individuo non possa
esimersi da una conoscenza della cultura religiosa, indipendentemente dall’adesione a essa.
Tra gli interventi che avevano come scopo
la ricostruzione delle principali forme di
religione nel loro sviluppo storico, Guido
Rizzi si è occupato dell’esperienza religiosa nel mondo antico, mentre Antonio Marazzi ha preso in considerazione le forme
della religiosità nelle culture dei primitivi.
Carlo Orecchia ha esaminato la religione
ebraica, Massimo Campanini quella islamica, Carlo Della Casa l’induismo, Flavio Poli il buddismo. Gianfranco Bonola
ha invece preso in considerazione la teologia protestante del XX secolo.
Tra i contributi di carattere più decisamente filosofico, Francesco Moiso ha analizzato il significato dell’ermeneutica religiosa in Pareyson, sottolineando come la filosofia rimandi alla dimensione dell’ermeneutica religiosa una volta che si giunga
alla consapevolezza che l’essere coincide
con la libertà. Nella prospettiva pareysoniana il mondo è infatti il risultato di un
«atto di libertà con il quale Dio accetta di
essere se stesso». Ma per poter accettare la
“radicalità di Dio”, afferma Pareyson, occorre accettare la possibilità del non essere.
Dio, infatti, nella creazione del mondo è
passato attraverso la “tentazione del nulla”.
In questa prospettiva, ha fatto notare Moiso, la concezione di Pareyson si rivela una
“radicalizzazione” della componente “dissolvitrice” del pensiero moderno, lontana
da una considerazione tradizionale e confessionale dell’esperienza religiosa.
L’intervento di Salvatore Natoli sulla reli-
gione nel postmoderno ha messo in luce la
situazione del mondo contemporaneo, sospeso tra “serialità” e insicurezza, che ha
generato nuove forme religiose, caratterizzate dalla «fuga dalla libertà responsabile». Si diffondono infatti religioni mistiche
e orgiastiche che attraverso vari surrogati e
artifici hanno come scopo la dissoluzione
dell’identità individuale, vissuta come troppo pesante per la sua intrinseca debolezza.
A differenza delle religioni tradizionali, si
può notare qui la prevalenza della componente settaria, accompagnata da una evidente contaminazione di elementi provenienti da altre religioni. Di fronte a questo
desolante panorama contemporaneo Natoli ha sollevato l’ipotesi alternativa del neopaganesimo, il cui modello è da ricercarsi
nell’eroe del mondo greco: l’ideale neopagano si fonda sull’idea della necessità di
«portarsi all’altezza della propria morte»,
assumersi la responsabilità della propria
morte attraverso la riscoperta del senso
della finitudine che è «funzionale all’etica
del mondo». M.Mi.
L’argomento del sogno
negli scettici
Nell’ambito del corso di filosofia antica diretto da André Laks, Walter
Cavini ha tenuto all’Università di
Lille, da febbraio ad aprile 1996, un
seminario dedicato all’argomento
del sogno nella tradizione scettica,
che si è concluso con due giornate di
studio sul medesimo tema, a cui ha
partecipato anche David Seadley.
Se presso gli antichi, ha esordito Walter
Cavini, la skepsis ebbe valore soprattutto di ricerca/esame sulle nostre credenze
a proposito del mondo, senza tuttavia
presupporre una vera e propria teoria, la
dubitatio moderna entra decisamente a
far parte della riflessione sulle condizioni e sulle dinamiche della conoscenza.
Prendendo in riferimento passi specifici
del Teeteto di Platone, della Metafisica
Aristotele, delle Meditationes Prima
Philosophia di Descartes e di On Certitude di Wittengstein, Cavini ha analizzato la struttura e l’evoluzione dell’argomento scettico del sogno, riassumibile essenzialmente in questi termini: non
ci sono validi motivi, argomenti o indizi,
per poter distinguere la veglia dal sonno.
Il problema filosofico al centro delle
considerazioni di Cavini è stato quello
di determinare l’idea di serietà dell’argomento del sogno, esaminando con particolare attenzione le posizioni di Descartes, che considera il dubitare un
modo per meglio acquisire una certezza,
e di Wittgenstein, che invece ritiene
impossibile il dubitare, affermando in
alcune note, pochi giorni prima della
56
morte, che non è possibile seriamente
ammettere di dubitare di dormire.
Nel corso del seminario e in particolare
nelle due ultime giornate di studio la
discussione si è concentrata anche sullo
statuto di verità della credenza in un
sogno. Al problema di distinguere fra
veglia e sonno, ha dunque rilevato Cavini, pare debba aggiungersi, o almeno
possa offrire una nuova prospettiva, la
questione inerente allo statuto di verità
delle credenze nel sogno, il che pone
anche l’interrogativo se si possa essere
responsabili dei propri sogni, gettando
una diversa luce sul problema dell’identità personale. F.M.Z.
Etica e ambiente
Sui temi dell’etica ambientale, il primo marzo 1996 ha tenuto una conferenza all’Università di Torino Sergio
Bartolommei, che da tempo si dedica a tale questione.
Nell’introdurre un tema ancora poco noto
al grande pubblico, Sergio Bartolommei ha ricordato la tradizionale esclusione dei rapporti tra uomo e non uomo
dalla sfera morale. Tuttavia, dal momento in cui essa si estende a esseri umani
che non sono persone, nel senso di soggetti senzienti e razionali (feti, neonati,
minorati psichici, malati terminali), sembrerebbe lecito allargarla anche a enti
non umani.
Scartate le tesi più radicali di coloro che
pretenderebbero di concedere rilievo etico a tutto ciò che esiste o che almeno è
dotato di vita, così come il punto di vista
“ecocentrico”, la proposta “senziocentrica” di Bartolommei (in gran parte analoga a quella di Peter Singer) include
come soggetti morali tutti gli individui
senzienti, e quindi anche gli animali cosiddetti superiori. A differenza dell’“etica della responsabilità” di Jonas,
ciò che conta non è infatti la perpetuazione delle specie (e in particolare di
quella umana), ma che gli esseri viventi
provino la minima quantità di dolore e la
massima quantità di piacere possibili.
Un tale “criterio della sofferenza”, che
affonda le sue radici nel sensismo e nell’utilitarismo, è altrettanto arbitrario,
secondo Bartolommei, di qualsiasi altro
criterio metafisico, ma appare razionalmente fondato e più plausibile di altri (e
in particolare di quello deontologico
dell’etica cattolica); è condiviso dalla
cosiddetta bioetica laica per stabilire il
momento dell’entrata e dell’uscita dalla
vita e si applica anche alle generazioni
future. G.C.
CONVEGNI E SEMINARI
Hegel e l’estetica
Dal 16 al 18 gennaio 1996, presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, Felix Duque e Vincenzo
Vitiello hanno tenuto un seminario su
“HEGEL E L’ESTETICA”, che ricostruendo i
passaggi fondamentali della riflessione hegeliana ha messo in evidenza
l’impossibile conciliazione non solo di
verità e arte, ma anche di verità e
tecnica.
Nel suo intervento, Felix Duque si è soffermato sull’interpretazione hegeliana del simbolismo e dell’ideale classico come forme di
arte dominate da una profonda nostalgia di
assoluto, nel tentativo vano di accordare fra
loro forma e significato e di rappresentare
adeguatamente il divino. Il simbolismo in
Hegel è tutto percorso da un processo interno
di “desimbolizzazione”: nel suo rinvio ad
altro da sé, il simbolo testimonia un’assenza;
allude al divino, ma in forma inadeguata,
nascosta, indecifrabile. Alla fase del simbolismo incosciente (religione di Zoroastro),
data dall’unità immediata di significato e
forma, in cui il sensibile stesso è intuito come
divino, Hegel fa seguire il simbolismo fantastico (concezione indiana di Brahama), in
cui lo spirito è colto in modo astratto e
indeterminato, sicché le forme particolari
vengono gonfiate e stravolte in qualcosa di
indeterminato e smisurato. Solo con la civiltà egizia l’assoluto viene fissato per sé, come
indeterminatezza in se stesso, come morte
del sensibile: la piramide è il simbolo di ciò
che si è separato dalla vita, ma nella sua
fissità resta muta, senza risonanza, puro involucro di uno spirito che si sottrae. Infine,
nel simbolismo del sublime (mistica ebraica) l’assoluto si dà esclusivamente nella
propria assenza. Il dio ebraico è il dio del
silenzio, inesprimibile nella sua infinità; esso
resta ritirato in sé e, privo di forma, rivela la
sua sublimità nella nullità delle cose.
Con il dio che si nega, ha osservato Duque,
si ha la fine dell’arte sacra e il cominciamento della sapienza, che con l’astuzia della
tecnica e della retorica (simbolismo cosciente) cerca di dare ordine al mondo. Con la fine
dell’arte si offre all’uomo moderno la possibilità di comprendere l’irredimibilità del
mondo, la sua malattia. Compito dell’uomo
occidentale è infatti, secondo Duque, di restituire non solo al simbolismo arcaico, ma
alla stessa classicità greca, ciò che veniva
esibito, senza cogliere l’assenza di rapporto
fra interno ed esterno. Nonostante la perfetta
compenetrazione di forma e significato, nell’arte classica l’espansione dello spirito sulla
superficie, sul marmo liscio senza impurità
della statuaria, suggerisce l’assenza di un
centro interiore, il ritrarsi del dio. Sulla beata
quiete del dio greco aleggia la malinconia
per un’unità superiore che, di contro alla
determinatezza degli dei, è l’in sé informe,
insondabile, non riconducibile a concetto.
Questa è, secondo Duque, l’immagine che
l’uomo moderno, post-rivoluzionario, ha del
mondo classico: solo se posto in lontananza,
l’orizzonte sacro rende possibile all’uomo la
sua vita quotidiana.
Inseguendo la logica oggettiva del testo hegeliano, Vincenzo Vitiello si è interrogato
sul senso profondo del sistema delle arti in
Hegel e in rapporto alla confusione dell’epoca contemporanea, soffermandosi in particolare sulla poesia, la forma più alta dell’arte
romantica, per la sua prossimità alla “nonarte”, al linguaggio comune della prosa e al
linguaggio scientifico. Nella poesia il significato è tutto riportato all’interno e in questo
ritrarsi dallo spirito si annuncia il venir meno
dell’arte. In Wagner a Beyreuth, ha osservato Vitiello, Nietzsche sostiene che musica e
vita hanno un rapporto perfetto, compiuto e
intero, poiché anche la vita è linguaggio.
Tale continuità fra mondo uditivo e mondo
visivo è presente anche nel Cratilo di Platone, in cui viene descritta l’identità mitica di
parola e cosa. La parola è l’essenza delle
cose, suono che disegna la cosa, movimento
che imita movimento: l’arte esprime l’unità
di io e mondo. Ma proprio con Platone l’arte
muore: l’introduzione del linguaggio filosofico separa la parola dalla cosa. La parola del
filosofo è parola seconda, parola di parole,
voce riflessa; essa dice l’altro dal linguaggio,
sicché può dirlo solo disdicendolo, sottraendolo: l’impossibilità del linguaggio originario è il destino della parola di Platone. Compito della filosofia è allora pensare il sublime, argomentare l’impossibilità della dimostrazione stessa, l’impossibilità del mondo
di dirsi a se stesso.
Vitiello ha proseguito affrontando il senso
della proposizione speculativa all’essere-nelmondo di Heidegger, dove il continuo contraccolpo fra soggetto e predicato che, pur
scalzandosi a vicenda, abbisognano l’uno
dell’altro, nega e fa risorgere continuamente
la proposizione. In Wittgenstein, ha sottolineato Vitiello, il “che” del mondo si dà solo
nel “come” del mondo; tutto ciò che noi
diciamo di altro dal dire lo diciamo nel
linguaggio, sicché il limite del pensare è il
non sapere più nulla, l’esperire la possibilità
impossibile. G.F.
Pensare Dio tra teologia
e filosofia
A cura del Seminario Regionale Pontificio della città di Chieti, il 17 aprile
1996 il teologo Bruno Forte ha tenuto
una conferenza dal titolo: “IN ASCOLTO
DELL ’ALTRO. PENSARE DIO TRA TEOLOGIA E
FILOSOFIA”. L’incontro, ha sottolineato
Luigi Gentile, è stato organizzato con
l’intento di avviare un dialogo proficuo tra la società e le istituzioni, fra
teologia e filosofia. Con lo stesso intento Vincenzo Vitiello ha tenuto all’Università di Chieti, il 2 maggio 1996,
una conferenza dal titolo: “FILOSOFIA
CRUCIS”.
57
Partendo dalla crisi della modernità, che
trova il suo principio animatore nella
Rivoluzione francese, e riprendendo la
conclusione della Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno, Bruno
Forte ha definito questo secolo come il
tempo dell’emancipazione e della ricerca dominata dal sole della ragione, ove
tutto può essere spiegato con la fiducia
nella razionalità, come già Hegel aveva
insegnato. Il sogno di libertà della modernità è però diventato totalitarismo,
poiché, parafrasando D. Bonhöffer, «la
fiducia nella verità la si sostituisce con i
sofismi della propaganda». È il trionfo
della maschera, ha sottolineato Forte,
mentre viene meno una prospettiva di
verità che salvi il senso della vita.
Un esplicito richiamo a riflettere su ciò
che è la vera domanda del nostro secolo
ha indotto Forte ad affrontare la problematicità del pensare Dio sia nella manifestazione totale (sogno dell’ideologia
moderna), sia nella revelatio biblica
come manifestazione e nascondimento
del vero. Nelle Lezioni sulla filosofia
della religione, Hegel propone un Dio
senza nascondimento, come spirito che
si manifesta alla coscienza «in quanto è
per la coscienza stessa». Bisogna allora
ritornare a considerare il Dio del Nuovo
Testamento, il Dio che rivelandosi si
nasconde, che prima di essere Parola è
Silenzio. In questo, ha osservato Forte, è
necessario però richiamarci a quel Dio
che è compassionale, il Dio sofferente
sulla croce, poiché soltanto partendo dal
dolore si può assumere la passione della
verità come fedeltà al Dio vivente.
Un ulteriore approfondimento di queste
tematiche è stato offerto dall’intervento di
Vincenzo Vitiello, come ha osservato nella sua introduzione Pietro De Vitiis, soffermandosi in particolare sul pensiero heideggeriano. Muovendo dall’assunto di
un’origine storica dell’età moderna con
Platone, Vitiello ha proposto una concezione del tempo come stratificazione della
storia, nell’esempio della concezione del
cono rovesciato di Bergson.
Heidegger, in particolare, ha proseguito
Vitiello, con la VII sezione di Beiträge
dedicata “all’ultimo Dio”, ci propone
una concezione della finitezza che riguarda una “Filosofia Crucis”. La croce
è evento (Ereignis) in relazione al grido
dell’abbandono del Cristo e al “dopo”
della Resurrezione; una croce che è nel
tempo e che è soggetta a esso, ma senza
essere travolta dalla condizione della
temporalità.
Parafrasando i versi biblici di Paolo e
Giovanni, Vitiello ha osservato come
l’orizzonte di resurrezione sia non soltanto delle anime che hanno creduto in
Cristo, ma anche dei corpi. Riprendendo
poi il capitolo VI del Libro XX di Agostino, in cui viene citato un passo giovanneo, Vitiello ha concluso che la resurrezione dell’anima è dell’ora presen-
CONVEGNI E SEMINARI
te, in questa nostra esistenza, mentre
quella dei corpi, della carne è del futuro,
è affidata a Cristo. Se in Hegel Dio è
rivelazione (Offenbarung), in Agostino
la Trinità presenta se stessa come rivelazione. Il tempo della filosofia è da questo punto di vista l’ora del presente, il
qui, dove il sapere assoluto di ogni storia
accade. M.S.
Fenomenologia della vita
Organizzato dal World Institute for
Advanced Phenomenological Research and Learning, dal 18 al 20 aprile
1996, presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze Umane dell’Università di Macerata, il I Convegno Internazionale di Filosofia, Fenomenologia e Scienza della vita ha proposto
alla riflessione di studiosi provenienti da tutto il mondo il tema: “FILOSOFIA , FENOMENOLOGIA DELL ’ ONTOPOIESI
DELLA VITA UMANA CREATRICE” .
Nella relazione inaugurale (“Il grande
piano della vita. Esigenza delle scienze e
della cultura”), A.-T. Tymienecka, sulla scorta dell’opera Atom and individuals di Rudolf Virchow, ha lanciato
una duplice provocazione, proponendo,
da un lato, la ripresa del dialogo tra
filosofia e scienze della vita e, dall’altro,
la riassunzione, da parte della filosofia
fenomenologica, della sua funzione di
catalizzatore sia delle diverse prospettive disciplinari in gioco nella sua ricerca
sulla vita, sia delle varietà metodologiche interne allo stesso ambito filosofico.
Sul tema della vita in rapporto al metodo
fenomenologico sono intervenuti A. Ales
Bello (“Hyle, corpo, vita. Archeologia
fenomenologica del sacro”) e D.A. Conci (“Introduzione ad una Hyletica fenomenologica”), mettendo in luce la duplice componente, noetica e iletica, in cui si
strutturano i vissuti che stanno alla base
di fenomeni culturali e religiosi. La stessa linea fenomenologica di indagine ha
trovato sviluppo nelle relazioni di D.F.
Castro (“Erlebnis of Story”), A. Calcagno (“Fluctus, Gravitas and Inertia: a
Phenomenological Reflection on the Relation between the Human Person and
the One and Many of Life”), J. Sivak
(“Etre dans le monde chez Husserl”), S.
Procacci (“La complessità come punto
nodale per una fenomenologia della
vita”), M.P. Migon (“The onto-poiesis
of life in A.-T. Tymieniecka’s phenomenology”). D. Verducci (“Vita e vita
umana secondo Max Scheler: problemi
fenomenologici di individuazione”) ha
rilevato le discontinuità in cui l’esplicitazione del tema della vita a partire dagli
Erlebnisse (vissuti) pratici sembra incorrere in un pensatore come Max Sche-
ler; analogo argomento ha affrontato F.
Fornari (“Il problema fenomenologico
della individualità dell’essere umano).
Tra gli interventi a carattere più spiccatamente storico-filosofico, F. Moiso
(“L’individualità del vivente nel pensiero dell’Ottocento”) ha mostrato come, in
natura, la definizione dell’individualità
sia altamente problematica. F. Totaro
ha esplicitato la relazione che lega il
piano della verità a quello della vita,
sulla base della celebre esortazione di
Nietzsche: «Portare la verità alla vita»;
su Nietzsche è intervenuto anche J.
McGraw (“Friedrich Nietzsche: Apologist and Advocate of Earthism Extraordinaire”). Complementari anche due interventi su Cartesio: D. Carloni (“La
nozione di ‘continuità’ negli scritti biologici di Descartes”) ha individuato
un’area tematica cartesiana sulla quale
verificare la proposta di E.C. Wait
(“How to Wake up from Descarte’s Dream or the Impossibility of a Complete
Reduction”). Di grande pregnanza teoretica sono stati gli interventi di M. Sanchez Sorondo (“Hegel: la vita fra morte
e pensiero”), F. Mignini (“Il concetto di
vita in Spinoza”) e F. Voltaggio (“L’irripetibilità del vivente”). M. Millucci
(“L’attività umana creatrice e la separabilità dei princìpi: la possibilità del bene
e del male”) ha fatto riferimento allo
Schelling del 1809; su Dilthey è intervenuto invece C. Danani (“La vita come
enigma nel pensiero di Dilthey”), mentre V. Vevere (“Maurice Merleau-Ponty’s ontology of sight and case of philosophical autobiography: Augustine’s
‘Confessions’”) ha proposto un confronto
tra Merleau-Ponty e Agostino. Ad un
filosofo contemporaneo, Elzenberg, si è
rivolta l’attenzione di A. Nogal (“The
womanhood and the mainless: two kind
of human nature in Elzenberg’s philosophical anthropology”). Orientate su
Heidegger sono risultate le relazioni di
I.A. Bianchi (“Solipsismo, empatia, alterità. Il superamento husserliano della
‘chiusura’ dell’Io verso l’Alterità, come
garanzia di ‘apertura’ al mondo”) e di R.
Giusti (“Vita e negatività. Verso un’ontologia della mancanza”).
Riguardo alla necessità di considerare in
una visione unitaria le innumerevoli manifestazioni della vita, R. Canullo (“Le
piante e il problema dell’individuo”) ha
evidenziato i problemi di individuazione che si presentano allo scienziato;
mentre dall’intervento di O. Ciancio e
S. Nocentini (“La nuova silvicoltura:
implicazioni epistemologiche”) numerosi interrogativi sono emersi da questioni specifiche inerenti l’attuale coltivazione boschiva. J.D. van Mansfield
(“Goethean Phenomenology: Theory and
an Application on Comparative Wheat
Development”) e I.R. Boersma (“Understanding Nature as alive: a Challenge
for Academic Education”). Sul proble58
ma della casualità sono intervenuti M.
Casula (“Il problema dell’origine della
vita per caso”), che ha posto in evidenza
il rischio di arbitraria e indebita sostanzializzazione della legge logica di casualità da parte di alcuni cosmologi, e R.
Verolini (“Un nuovo paradigma creativo: caos e libertà”).
Il tema del tempo e quelli a esso congiunti della storia e della vita quotidiana
hanno attirato l’attenzione di M.L. Perri (“Il mondo della vita come principio
ermeneutico per la comprensione della
condizione umana: funzione e limiti della vita quotidiana”), che ha esplorato le
possibilità ermeneutiche del concetto di
quotidianità, attraverso l’analisi della
trasformazione habermasiana del concetto fenomenologico di Lebenswelt
(mondo della vita), e di D. Alijevova
(“La dynamique de la vie quotidienne”).
Sulla questione della temporalità sono
intervenuti A. Rizzacasa (“Il problema
del tempo nella fenomenologia del mondo della vita”), M. Nkafu Nkemkia (“La
nozione dell’Eleng, ossia del tempo,
nell’esperienza originale africana”),
G.M. Tortolone (“La struttura dell’evento”), K. Rokstad (“On the Historicity of
Understanding”), R. Kulis (“Life and
Culture”).
Numerosi i contributi giunti dall’area
delle scienze umane, psicologiche e sociali: L. Cedroni (“Spazio etologico e
mondi vitali: sul rapporto fra sistemi
viventi e sistemi sociali”), P. Truppia
(“Lo sviluppo economico come mobilitazione di risorse sociali basilari”), R.
Giovagnoli (“La nozione di Hintergrundwissen nella teoria dell’agire comunicativo”), G. Morselli (“Il Logos tra
critica e genetica”), G. Valacca (“L’autopoiesi nell’organizzazione dei fenomeni vitali: un confronto fra sistemi cognitivi autonomi ed eteronomi”). Interventi esplicitamente dedicati all’area
delle emozioni sono stati quelli di M.
Durst (“Una teoria fenomenologica dell’emozione e del narcisismo”), L. Albertazzi (“La forma delle emozioni”),
A. Zuczkowski (“Atti linguistici e causalità emotiva nella vita quotidiana”).
Sono seguiti inoltre interventi di G. Boselli (“Una prospettiva fenomenologica
sul progettare in educazione”) e di V.
Borodulin e A. Vasiliev (“Hopelessness:
Loneliness and Problem of Consciousness”).
Il tema dell’immaginazione ha assunto una
sua speciale rilevanza attraverso le relazioni di W. Kim Rogers (“Imagining: the
invention of new environments”), M.A.
Cecilia (“Imagination and practical Creativity in Paul Ricoeur”) e di P. Volontè
(“L’immaginazione come forma di salvataggio di ciò che altrimenti è destinato
alla cancellazione”); a questo ambito si
è ricollegato anche il contributo di M.
Shedev (“La costruzione del reale nel
mondo magico”).
CONVEGNI E SEMINARI
In prospettiva epistemologica sono intervenuti K. Kloskovski (“Is the essence of life a natural or philosophical problem? Methodological and epistemological notices”), W.S. Haney (“Logos,
Science and Life: a Critique of Referential Reason”) e N. Milkov (“What is
Analytical Phenomenology?”).
Numerosi i contributi a carattere letterario-artistico, come quelli di M. Kronegger (“Poetic Inspiration and the Renewal
of Life. Lesonge, De Vaux, La Fontaine”), M. Kule (“Metaphor of Light in
the Human Condition”), A. DominquezRey (“Groundwork for ontopoetics”) e
O. Rossi (“La vita, il genio e l’opera
d’arte”). Svariati gli autori e i periodi
dell’arte e della letteratura sottoposti a
indagine dal punto di vista della vita e
della sua ontopoiesi, come negli interventi di S. Du Plock (“Ontological insecurity, existential self-analysis and literature: the case of Henri James”), di E.
Rizzuti e D. Monda (“Purezza e colpa
fra manierismo e barocco”), G. Fiori
(“Realismo e fede in trasformazione attraverso la creatività di una vita consapevole. Simone Weil - 1909-1943”), D.
Fabiani (“Condizione umana e ricreazione della vita in letteratura. L’esempio
di Paul Gadenne”), C. Berthold (“Stefan
Zweig and the Artistic Secret”), I. Gillet
(“Silence and Music in the Novels by J.
M. G. Le Clezio”). Sulla musica è intervenuto V. Vasile (“Phenomenological
Approach on the Byzantine Music”).
Gli atti del convegno saranno pubblicati
in lingua inglese nella collana «Analecta
Husserliana» (Kluwer), diretta da A. -T.
Tymieniecka. D.V.
Etica e medicina
Una nuova ed efficace testimonianza dell’attuale interesse per l’etica
applicata, e in particolare per la bioetica e l’etica medica, è il convegno
che si è tenuto a Varese il 10 febbraio 1996, prima di una serie di iniziative varesine destinate ad approfondire e divulgare queste tematiche.
L’intento del convegno è stato di
creare un’occasione di confronto tra
medici, filosofi, storici, psicoanalisti, biologi, epistemologi e addirittura storici dell’arte per favorire una
riflessione più articolata e approfondita su alcuni temi che, pur legati
alla ricerca più avanzata, coinvolgono potenzialmente la realtà di ciascun individuo.
Come ha sostenuto il coordinatore del
convegno, Fabio Minazzi, è ormai indiscusso, nella pubblica opinione, il successo della medicina sul piano tecnico.
Ma spesso proprio alcuni dei suoi più
clamorosi successi pongono nuovi e inquietanti problemi etici, ad esempio l’ingegneria genetica, l’introduzione di tecnologie per la fecondazione, e così via.
Per rispondere a questi problemi, ha osservato Minazzi, non è possibile rinchiudersi nei singoli specialismi; al contrario si avverte la necessità di favorire
un più ampio confronto dialogico tra
le diverse competenze, soprattutto per
confrontarsi sulle questioni di confine, sorte dalla pratica medica e sui
suoi criteri di fondo.
Mentre Giulio Giorello ha vivacemente
delineato una panoramica delle maniere
odierne di porre il problema del rapporto
etica-medicina nella sua più vasta connessione con l’impresa scientifica, Evandro Agazzi ha mostrato come tale problema si ponga non all’interno della
medicina intesa come azione tecnicamente efficace, bensì in ordine ad una
scelta basata su valori. Paolo Cattorini
ha passato in rassegna una serie di questioni etiche che si pongono in modo
stringente nell’odierna pratica medica,
soprattutto riguardo ai problemi estremi
della vita e della morte. Fulvio Papi ha
discusso invece il problema del “dire il
corpo sofferente”, problema accantonato dalla filosofia, la quale ha sempre
parlato del corpo in astratto o considerandolo in una veste “gloriosa”. Lorenzo Magnani ha indicato alcuni aspetti
epistemologici del ragionamento diagnostico, interpretato sulla base del processo logico dell’“abduzione”.
Se per millenni il medico ha avuto una
funzione sacrale e una collocazione
alta, legata ai ceti superiori, dall’Ottocento, ha fatto notare Giorgio Cosmacini, è venuto però mettendo a
fuoco la sua funzione sociale, anche
attraverso il problema della prevenzione e della salute pubblica. Fino al
periodo fra le due guerre, ha ricordato
Felice Mondella, presso il popolo il
medico condotto appariva come il rappresentante della scienza e in effetti
racchiudeva in sé una sintesi delle
conoscenze mediche (sviluppate e unificate grazie alle grandi scoperte e
teorie dell’Ottocento). Poi si è andati
invece verso una progressiva specializzazione e settorializzazione delle
pratiche diagnostiche e terapeutiche,
centrate più sulla biologia molecolare
e su una visione riduzionistica che
sulla visione d’insieme dell’organismo; mentre entrava in crisi la figura
del medico come consulente della salute di ciascuno nel suo contesto familiare e sociale. Rimane comunque il
fatto, ha osservato Alberto Malliani,
che il medico, per intervenire correttamente sulla realtà dell’individuo, deve
saper compiere continuamente una sintesi tra conoscenze di vari livelli: da
quello fisico-chimico a quello biologico
e a quello psicologico. F.V
59
La “storia nascosta”:
tra mito e realtà
A Parigi, nei giorni 27 e 28 gennaio
1996, presso l’Ecole Pratique des
Hautes Etudes (sezione di Scienze
Religiose), con il titolo “L’HISTOIRE
CACHÉE. ENTRE HISTOIRE RÉVÉLÉE ET HI STOIRE CRITIQUE” (La storia nascosta.
Tra storia rivelata e storia critica) si
è tenuto l’XI Convegno internazionale organizzato dall’Associazione
Politica Hermetica, che da diversi
anni sviluppa studi sul rapporto tra
politica ed esoterismo in tutti i suoi
aspetti.
Hervé Savon (“Jacques-Joseph Du Guet et
le figurisme”) ha analizzato il figurismo,
corrente di esegesi scritturale diffusasi in
Francia nel XVIII secolo, a partire dalle
riflessioni di Jacques-Joseph Du Guet,
con l’intento di opporre all’esegesi storicocritica, “razionalista”, che studiava il testo
sacro cercando di inquadrarlo in un contesto preciso, “storicizzato”, un’esegesi “figurata” del testo biblico, che continuasse la
tradizione dei padri della chiesa e quella
medievale. Uno degli aspetti più interessanti del figurismo, ha rilevato Savon, è
il suo costante riferimento a un’escatologia millenarista. Tema centrale della
speculazione figurista è infatti quello
della conversione degli ebrei al cristianesimo, condizione indispensabile, secondo la tradizione, per il nuovo avvento
del Cristo sulla terra. Sempre nell’ambito del figurismo, Catherine Maire (“Le
figurisme de l’abbé d’Etemare à l’abbé
Grégoire”) ha ripercorso la storia di questa corrente, mettendone in evidenza la
rilevanza nel contesto dei conflitti tra il
tardo giansenismo e la Compagnia di
Gesù nella Francia del XVIII secolo.
Partendo dall’abbé d’Etemare, che vede
nella storia della Chiesa una continua
lotta tra errore e verità, Maire è passata
per Louis-Adrien Le Paige, che traspone sul piano politico il modello ecclesiologico del figurismo, fino ad arrivare
all’abbé Gregoire, nel quale il millenarismo originario del figurismo si fonde
con un tentativo di conciliazione tra gli
ideali repubblicani rivoluzionari e quelli
cristiani.
Emile Poulat (“Lucie Varga et les autorités invisibles”) ha richiamato l’attenzione
su Lucie Varga, storica austriaca di origine ebraica, trasferitasi a Parigi alla fine
degli anni Trenta, a causa del nazismo,
dove entra in contatto con Lucien Febvre e
la scuola degli Annales, che ha dedicato in
particolare al catarismo e al nazismo le
proprie ricerche storiche, introducendo il
concetto di “autorità invisibile”. Poulat ha
fatto notare come questo concetto non intendesse dare una lettura “esoterizzante”
della storia, quanto piuttosto contrapporsi
ad una storiografia basata esclusivamente
su dati materiali.
CONVEGNI E SEMINARI
Albrecht Dürer, Gesú a dodici anni tra i dottori (1506, part.)
Nella tavola rotonda seguita a questi
interventi Bruno Neveu ha richiamato
gli scritti giovanili di Fénelon, in cui si
fa spesso riferimento ad una tradizione
apostolica segreta, tramandata e gestita
da un’élite in seno al cattolicesimo. Per
delineare questa concezione, Fénelon
s’ispira a Clemente Alessandrino, che
parla di un giardino segreto come emblema della vera conoscenza. Antoine Faivre ha invece affrontato il tema dell’atteggiamento che l’indagine storico-critica delle correnti esoteriche deve avere
nei confronti del cosiddetto “perennialismo”, corrente di pensiero secondo la
quale tutte le tradizioni religiose ed esoteriche emanano da un’unica sorgente e
sono in qualche modo riconducibili a
essa. Uno degli elementi caratterizzanti di
questa corrente, ha osservato Faivre, è l’ostilità sostanziale nei confronti della Modernità in tutti i suoi aspetti. Tra i suoi esponenti più noti figurano René Guénon,
Frithjof Schuon e Titus Burckhardt.
Jean-Pierre Laurant ha invece rilevato
come l’esoterista veda la storia in senso
essenzialmente negativo, essendo privo
di fiducia nel progresso e anzi incline a
ritenere l’epoca nella quale vive come
un’epoca di decadenza e di oscuramento
dei valori tradizionali, mentre l’occultista dia fiducia alla storia, leggendone gli
avvenimenti come presagi di un rivolgimento prossimo e non essenzialmente
negativo.
Roger Dachez (“Sources et fonctions de
l’histoire cachée chez Willermoz, dans
la maçonnerie du XVIIIe siècle”) ha
mostrato come il mito dell’esistenza di
una storia segreta abbia giocato un ruolo
importante nel pensiero di Jean-Baptiste Willermoz, fondatore del Rito Scozzese Rettificato. Per conoscere la storia
segreta e per comprendere quindi il vero
senso della storia in generale, ha osservato Willermoz, è necessario essere iniziati. L’iniziazione dona quella conoscenza attraverso la quale tutti gli ele60
menti che nella storia sembrano essere
staccati e privi di senso acquistano organicità. Non si tratta dunque di andare
alla ricerca di avvenimenti storici dimenticati o rimasti ai margini, ma di
offrire un sistema di interpretazione globale, inaccessibile al profano. Alla storia della più importante tradizione millenaristica e profetica del Portogallo, il
sebastianismo, tutt’oggi presente, si è
rivolto invece André Coyné (“Sébastianisme et Portugal”). Secondo il mito sebastianista, il re portoghese Don Sebastiano, che era stato sconfitto e ucciso nella
battaglia di Al-Ksar el Kebir (1578) durante una spedizione in Marocco contro i mori,
non era morto realmente e sarebbe un giorno tornato per ridare al Portogallo il destino
imperiale che gli era proprio. Il significato
di questo mito è legato al fatto che con la
scomparsa di Don Sebastiano la Spagna
poté stabilire la sua egemonia sul Portogallo (che durò sino al 1640).
Sulla visione della storia di Raymond
CONVEGNI E SEMINARI
Abellio, scrittore ed esoterista francese,
è intervenuto Jérôme Rousse-Lacordaire (“Abellio et l’histoire cachée”). In
Abellio, più che di storia “nascosta” si
può parlare di storia “invisibile”, o di
“metastoria”. Infatti, solo attraverso una
sorta di “riduzione fenomenologica” di
stampo husserliano, il senso della storia,
il suo elemento teleologico, può emergere. Inoltre, secondo Abellio, si possono riconoscere nella storia dell’Occidente diverse fasi, che corrispondono
alle fasi della vita di un individuo, secondo uno schema di ispirazione cristiana: Antichità, Era cristiana, Rinascimento, e così via.
Sulla storia della rivista «Planète», nata
con la pubblicazione, nel 1963, di Le
matin des magiciens, di Louis Pauwels e
Jacques Bergier, è intervenuto JeanBruno Renard (“L’aventure de la revue
«Planète»”). L’amalgama di letteratura
fantastica, di scienza più o meno ortodossa, di enigmi storici, di mistero, che
aveva caratterizzato il libro, fu utilizzato anche per la rivista. In seguito vennero fondati dei gruppi, i cosiddetti Ateliers Planète, sparsi sul territorio francese, all’interno dei quali venivano discussi i temi della rivista. La storia “nascosta”, per come viene presentata su
«Planète», è la storia dei dati e degli
elementi che sono stati rifiutati dalla
scienza o dalla cultura ufficiali e che
vengono qui ripresi e reinterpretati, coniugando il meraviglioso con il reale.
Infine Bernard Chédozeau è intervenuto sul Deuxième éclaircissement de la
nature de la Grâce (1683), di Malebranche, sinora piuttosto trascurato dalla critica, mentre Jean Borella ha affrontato
la dottrina tradizionale dei cicli temporali e il suo rapporto con la concezione
cristiana del tempo, basata sulla linearità. M.P.
la graduale emancipazione dalla sua influenza. Le sezioni del volume mostrano
in maniera esemplare i principali snodi
di quella che è diventata la più influente
ermeneutica filosofica del nostro secolo, dalla riflessione sul rapporto tra Hegel e Heidegger alla polemica (negli anni
Settanta) condotta in nome della pretesa
di universalità dell’ermeneutica nei confronti della critica dell’ideologia, con
Apel e Habermas soprattutto; una polemica che indusse Gadamer a sottolineare in modo sempre più netto (anche in
seguito al confronto con le posizioni di
Levinas e Ricoeur) come l’ermeneutica
sia non solo un’arte dell’interpretazione, ma il fondamento di una vera e propria filosofia pratica. Inoltre si passa
dall’intenso dibattito con lo storicismo
(che difende dall’accusa di contraddittorietà), che in qualche modo anticipa
l’autocritica della metodologia di Feyerabend, al confronto con il decostruzio-
nismo di Derrida, rispetto al quale Gadamer intende sia difendersi dall’accusa di
logocentrismo metafisico, sia mostrare
come il decostruzionismo non sia che la
produzione della distruzione della metafisica a suo tempo intrapresa da Heidegger.
Secondo Maurizio Ferraris, troppi equivoci hanno inficiato il dibattito tra ermeneutica e critica dell’ideologia; peraltro,
Habermas stesso sembra sfuggire all’inganno storicistico che condannava, né
sembra sufficientemente consapevole del
carattere del tutto tradizionale di criteri,
quali l’evidenza e la chiarezza, con cui
pretendeva di opporsi al presunto tradizionalismo di Gadamer. Assai più promettente, ha proseguito Ferraris, sembra
il confronto tra ermeneutica e decostruzionismo, soprattutto quando si tenga
ben presente il comune fondamento fenomenologico dei due orientamenti. Richiamando la critica di Gadamer alla
‘Verità e metodo 2’
Il 18 aprile 1996, nella sede del Dipartimento di Ermeneutica filosofica dell’Università di Torino, in occasione
della pubblicazione del volume di
Hans-Georg Gadamer, ‘Verità e metodo 2’ (a cura di R. Dottori, Bompiani,
Milano 1996), si è tenuto un seminario
sul tema: “L’ERMENEUTICA DOPO ‘VERITÀ E
METODO ’”, al quale hanno partecipato
Riccardo Dottori, Maurizio Ferraris,
Jean Grondin e Gianni Vattimo.
Con Verità e metodo 2, ha spiegato Riccardo Dottori, si è voluto ripercorrere,
attraverso la prima presentazione italiana di saggi preparatori a Verità e metodo
(1960) e di saggi della piena maturità,
l’intero sviluppo del pensiero di Gadamer dal 1939 al 1994, caratterizzato dal
costante confronto con Heidegger e dal-
Hans-Georg Gadamer
61
CONVEGNI E SEMINARI
differenziazione estetica, quindi il suo
anti-romanticismo, Ferraris ha messo in
evidenza l’intimo rapporto, solitamente
oscurato, dell’ermeneutica con la fenomenologia quale descrizione immanente. È questo d’altronde anche il senso
(fenomenologico: iscrizione della traccia) della critica che Derrida muove all’ermeneutica, concepita come un atteggiamento naturale gravemente limitato
dal quasi esclusivo interesse per l’universalità della mediazione linguistica e
dalla tendenza apologetica nei confronti
del logos dell’uomo.
Dal canto suo Jean Grondin si è limitato
a ricordare che questo volume di integrazioni a Verità e metodo andrebbe inteso come un fondamentale supplemento a ciò che l’opera del 1960 non ha
potuto dire: esso evidenzierebbe, in particolare, il sempre più critico rapporto
con Heidegger, sia per quel che concerne il rapporto con la tradizione, sia per la
diversa interpretazione di Platone (l’apologeta del dialogo e della dotta ignoranza per Gadamer, della metafisica onnisciente per Heidegger), e non da ultimo
la crescente consapevolezza circa i limiti del linguaggio e la sua impossibilità di
esprimere ogni cosa.
L’intervento di Gianni Vattimo ha invece preso le mosse dall’esigenza di radicalizzare in senso heideggeriano l’ermeneutica, dopo Verità e metodo largamente diffusasi come lingua comune del dibattito contemporaneo, ma a prezzo di
una perdita della sua specificità filosofica. Se vi è stato un momento in cui è
parso indubbiamente proficuo procedere alla “urbanizzazione della provincia
heideggeriana”, la maggiore preoccupazione odierna è forse quella di ricollegare il dibattito sull’ermeneutica con quello sulla metafisica. La condivisibile insoddisfazione per gli esiti relativistici di
molta ermeneutica contemporanea, ha
rilevato Vattimo, non giustifica l’intento di riportare l’ermeneutica alla fenomenologia, riabilitando l’accezione neokantiana della filosofia come pura e semplice teoria della conoscenza (o fenomenologia), né di dissolvere l’ermeneutica
in comunitarismo; si tratta piuttosto di
ritrovare il necessario legame dell’ermeneutica con la storia dell’essere, intesa come tramandamento e dialogo con le
tradizioni. Quanto poi al confronto con
il decostruzionismo, Vattimo ha insistito sia sull’impossibilità anche di Derrida
di sottrarsi alla trasmissione logocentrica, sia sulla non sufficientemente radicale critica gadameriana alla metafisica,
relativamente rifiutata, in definitiva, unicamente a causa dei suoi esiti scientistico-metodici. T.G.
Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici
Palazzo Serra di Cassano
Via Monte di Dio14, Napoli
Cristianesimo e redenzione
Dal 22 al 25 gennaio 1996, Vincenzo
Vitiello ha tenuto un ciclo di seminari
sul tema: “CRISTIANESIMO SENZA REDENZIONE”, esponendo come proprio obiettivo teoretico quello di recepire-concepire il senso cristiano dell’esistenza
umana come “abbandono” da parte
del divino, in una prospettiva che esclude il momento della redenzione.
Il percorso interpretativo di Vincenzo
Vitiello si è snodato, a partire da Parmenide e Plotino, attraverso il pensiero trinitario e la riflessione intorno alla prova
ontologica - da Anselmo a Kant -, nell’intento di ricostruire il divenire delle
relazioni tra l’eterno e il tempo, l’essere
e il male, all’interno di una lettura del
Nuovo Testamento al di fuori del canone
paolino.
Secondo Vitiello l’esperienza cristiana
del tempo, nella misura in cui risulta
estranea all’idea della redenzione, si
sottrae all’alternativa tra la circolarità o
ciclicità greca, di cui Nietzsche è l’ultimo grande assertore, e la linearità ebraica, che alimenta un pensare a sfondo
escatologico, sino a Derrida. All’opposto, la concezione pagana del tempo consiste nell’esperire l’attualità come ethos
che l’uomo abita e nel quale agisce. Il
mondo greco, ha osservato Vitiello, perviene con Parmenide alla rappresentazione dell’Essere come uno e immobile,
che destituisce di senso le mere datità
della molteplicità e del movimento. La
metafisica di Plotino tenta di racchiudere insieme i due lati della relazione tra
l’Uno e le cose: il lato della differenza
ontologica tra ciò che è positività assoluta e l’esistente, in sé negativo e strutturalmente “male”, e il lato dell’unitarietà del reale, per cui l’essere che è nel
mondo è l’Uno stesso.
In tale contesto problematico, ha sottolineato Vitiello, il cristianesimo storico,
di matrice paolina, introduce la concezione della creatio ex nihilo e, soprattutto, quella del Dio-amore. Mentre la divinità greca è perfetta perché racchiusa in
sé e muove con indifferenza le cose solo
62
come oggetto d’amore, il Dio annunziato nei Vangeli, proprio in quanto costitutivamente amore, appare compromesso
con il mondo nel pretendere di tenere
insieme l’assolutezza divina e la creazione del finito nell’unicità-trinità di Dio.
Tuttavia, ha fatto notare Vitiello, il pensiero trinitario può aprirsi ad un esito
diverso, nel quale Padre e Figlio, invece
di comporsi in unità, risultano coinvolti
in una “relazione irrelante”, in cui ciascuno dei due termini è nell’altro come
possibilità che questo non sia. Che il
Figlio sia coeterno al Padre, come suggerisce Agostino nel De trinitate, non
significa altro, secondo Vitiello, che l’Essere, nella sua infinità, contiene la possibilità, così come l’impossibilità, che il
Figlio sia, senza esserne, però, causa in
senso attivo. È vero invece che la seconda persona della trinità, in quanto principio della creazione, affetta l’“Uno in
uno”, imponendogli la separazione dal
male e incrinando così quella dimensione
di assolutezza primaria, propria di ciò al di
là del quale non c’è altro, e che può dirsi
solo di Dio “prima” della creazione.
Si tratta, in altri termini, di riconoscere
nel Figlio la cruciale affezione del Padre
come causa necessaria, ma non sufficiente, e la cui origine, ovvero il suo
venire all’essere da uno stato di mera
possibilità, rimane profondamente enigmatico. Emerge qui, ha sottolineato Vitiello, il carattere ontologicamente paradossale di quella “relazione irrelante”
che lega due termini, per cui essa si dà in
due opposte configurazioni, l’essere del
Figlio nel Padre e l’essere di questo in
quello, con la possibilità, per ciascuno,
di capovolgersi nell’opposto. In tale cristianesimo anti-escatologico l’esistenza
è esperita nella dimensione dell’“essere
stato abbandonato”, che il Cristo grida
nell’ora nona, ovvero del poggiare del
creato solo sull’indifferenza di un Diopadre, in cui è la suprema minaccia. Ne
deriva, per l’uomo, un relazionarsi al
presente e al tempo stesso un restarvi
sospeso fra il mero fatto della creazione
e la sua negazione: di fronte al fondarsi
ultimo delle cose su nient’altro che sul
loro “poter non essere più”, il pensiero
resta impotente.
Sul piano morale, Vitiello rifiuta di assegnare una valenza regolativa al principio di speranza e riflette invece sulla
libertà come incondizionatezza propria
di ciò che è sottratto alla sequenza dei
fenomeni ordinati secondo il “prima” e
il “poi”; uno stato che si dà per l’uomo,
in quanto ente finito, solo nella forma di
una doverosità opposta alle inclinazioni
naturali. Nella prospettiva di un cristianesimo “senza redenzione”, ciò non significa che non vi è scelta tra il bene e il
male; ancor di più, che la libertà è per la
creatura solo una possibilità, la cui attuazione non è da nulla garantita e resta
essa stessa sospesa sul proprio non esse-
CONVEGNI E SEMINARI
re. E tuttavia la coscienza della libertà si
accompagna ad una compiacenza di sé
che appartiene all’uomo in quanto si
scopre, pur nella messa in opera del
male, più del male stesso. L.S.
Dio nella teologia
del Novecento
Dal 4 al 7 marzo 1996, Bruno Forte ha
tenuto un seminario dal titolo: “DIO
NELLA TEOLOGIA DEL NOVECENTO ”, soffermandosi su Karl Barth, Rudolf Bultmann e Karl Rahner, artefici della svolta compiuta in campo teologico nel
XX secolo.
Il XX secolo, ha esordito Bruno Forte,
deve essere compreso fra lo scoppio della
prima guerra mondiale e il 1989, anno in
cui, con la caduta del muro di Berlino, si
concretizza la fine del socialismo reale. Il
Novecento, come “secolo breve”, che si
brucia nella celerità del tempo storico, si
contrappone, significativamente, alla lunga stagione ottimistica dell’Ottocento, dominata dal positivismo scientifico, dal culto del progresso e dal grande sistema hegeliano, oltre che dalla teologia liberale e
schleiermacheriana
Nell’agosto del 1914, ha osservato Forte,
Karl Barth matura quella svolta radicale
che gli consentirà di abbandonare la teologia liberale e di mostrare la vera identità di
Dio, che non è solo consolazione della
coscienza di un’anima pia, ma è impossibile possibilità, è sovrano, è sconosciuto, è
totalmente altro. La svolta di Barth è evidente nella seconda edizione del commento all’Epistola ai Romani di San Paolo
(1922) e si attua attraverso la lettura della
Scrittura (in primis Paolo), di Lutero, Calvino, Kant, Dostoevskij. Testimoniando la
crisi del tempo storico, oltre che della coscienza, l’Epistola segna una svolta epocale, opponendo ad una teologia del sì, conciliante e fiduciosa, una teologia del no, della
rottura, della crisi nei confronti del mondo
borghese, che fa di Barth l’apologeta del
baratro, del non riducibile a sistema, dell’appello alla scoperta di un Dio sconosciuto: per Barth non esiste sicurezza umana (in
positivo = passione ideologica; in negativo
= abbandono nichilista) che possa essere
anteposta a Dio.
Al deus dixit barthiano, ha fatto notare
Forte, i giovani leoni della teologia degli
anni Venti oppongono la continuità con il
moderno. Rudolf Bultmann, anzitutto, non
ripudia l’eredità liberale ma esalta, anzi,
l’autonomia del pensiero umano. In accordo con Barth, egli condanna le ideologie
che dispensano l’uomo dalla fatica del pensiero, ma rivendica il protagonismo del
soggetto umano in nome della sola fides,
intesa non come negazione dell’uomo (in
senso luterano), ma come esaltazione del-
l’uomo libero di abbandonarsi alla fede, al
rischio, alla scelta, in quanto è nel momento dell’incontro tra l’uomo vivente e il Dio
vivente che l’individuo dà senso ai suoi
giorni. In questo, ha sottolineato Forte,
Bultmann viene accusato da una parte di
ridurre Dio all’uomo, inglobando la teologia nell’antropologia, dall’altra di propagandare una teologia della solitudine, in
cui l’uomo è solo di fronte alla decisione.
Diversamente, in Karl Rahner la teoria
della potentia oboedentialis cerca di conciliare il primato del trascendente con lo
spirito della modernità. Nell’antropologia
trascendentale di Rahner, ha rilevato Forte,
l’uomo è infatti costitutivamente ansia, ricerca, domanda; è potenza obedenziale, è
una creatura aperta in direzione dell’evento innovante dell’auto-comunicazione di
Dio nella parola, e la sua felicità può nascere solo dall’incontro tra la propria autotrascendenza e l’auto-comunicazione di
Dio. Anche in Rahner il no all’ideologia è
netto, come in Barth e Bultmann; per Rahner infatti l’uomo può venire a compimento solo con la cristologia trascendente.
L’ideologia rahneriana esalta una fede senza garanzie, come perdutamente andare
verso l’altro affidandovisi, come sollecitazione della ragione a oltrepassare la sua
soglia.
Affrontando successivamente il tema dell’éschaton, Forte ha preso in esame la concezione di Barth della veritas in spe, non in
re, nel suo arrendersi alla potenza del Dio
sconosciuto. L’éschaton viene riaffermato
anche da Bultmann, che esalta l’autonomia della dignità umana e considera la
predicazione di Gesù annuncio escatologico. Con la rottura di Barth e l’esaltazione
umana di Bultmann, ha precisato Forte, si
profila nel Novecento la teoria della speranza, in cui l’éschaton è pensato come
avvento e la sua incidenza sulla condizione
umana è vista come altro aspetto del venire
a noi di Dio. Si tratta del pensiero di J.
Moltmann, per il quale l’éschaton è la
dimensione che pervade tutta la parola della fede, facendo divenire la teologia e lo
stesso cristianesimo pensiero della speranza. L’ultimo passo sul terreno dell’éschaton, ha osservato Forte, è compiuto da E.
Bloch, per il quale la speranza, che a prima
vista sembrerebbe una categoria teologica,
non è altro che una proiezione dell’uomo,
una struttura anticipante della coscienza. Il
Deus absconditus, oggetto della speranza,
non è altro, per Bloch, che l’uomo absconditus, l’abisso che è nel profondo di ogni
essere umano. Il principio speranza è perciò una struttura dell’antropologia, dal
momento che l’uomo è sempre incompiuto, aperto ad una potenzialità irrisolta e non
espressa.
Per quanto riguarda l’esperienza della grazia, Forte ha analizzato il pensiero di Dostoevskij e di Henry de Lubac. Nell’uomo
dostoevskijano agisce secondo Forte una
logica “dei doppi pensieri”, in base alla
quale ogni affermazione è trapassata dalla
63
sua negazione. Così, in Dostoevskij la questione dell’infinito dolore che sovrasta la
terra si risolve solo pensando al Dio della
croce, abbandonato e spezzato; il duplice
atteggiamento dell’uomo dinanzi al dolore
(vittimismo o fuga da se stesso) si risolve in
un atto coraggioso, soggettivo, e l’ossimoro
di una concezione della bellezza come salvezza e come dannazione si risolve considerando la bellezza come trascendente, come
speranza. In Henry de Lubac, ha fatto invece notare Forte, l’uomo è fatto per Dio, è
nostalgia di Dio, è attesa, è ferita che attende
il balsamo dell’incontro; ma Dio è libero e
gratuito e si comunica all’uomo secondo tali
qualità. Attraverso l’affermazione del Dio
vivente e dell’uomo vivente, viene affermata la gratuità, la sorpresa della grazia che
rende manifesto Dio, il novum che gratuitamente si auto-comunica all’uomo. R.S.
Storia filosofica del razzismo
Dall’8 al 12 gennaio 1996, Alberto Burgio ha tenuto un ciclo di incontri sul
tema: “PER UNA STORIA FILOSOFICA DEL
RAZZISMO”, con l’obiettivo di esplorare
quei fenomeni socio-politici che possono essere ricompresi in una categoria unitaria che ha nel razzismo il suo
carattere distintivo.
In apertura del seminario, Alberto Burgio
ha spiegato la necessità di una “storia
filosofica del razzismo”, sottolineando
l’opportunità di muovere da una definizione di razzismo come «insieme di ideologie caratterizzate dalla trascrizione, in
chiave naturalistica, di differenze da sempre storicamente e socialmente determinate». Di fatto, molteplici sono i conflitti tra razze diverse che alimentano vivaci
discorsi sul razzismo. Tuttavia, un fenomeno multiforme come il razzismo è
sempre attraversato da elementi comuni: uno di questi è dato dal fatto che in
tutti i diversi fenomeni di tal genere si
riconosce valore alle differenze che sono
proprie dei vari soggetti che vengono tra
loro in rapporto o in conflitto, al fine di
produrre, sulla base proprio di queste
differenze, delle gerarchie tra singoli o
tra gruppi. Questo aspetto ha avuto inizio nel periodo di massimo sviluppo ed
espansione della modernità, quale il
XVIII secolo. Proprio l’Illuminismo,
infatti, propugnando una progressiva elevazione della figura umana e la contestuale proliferazione di interessi e spunti
culturali, ha poi, d’altro lato, determinato una radicalizzazione delle forme di
segregazione e sfruttamento di alcune
categorie di soggetti. Questa prassi consapevole della valorizzazione delle differenze, che è poi l’essenza propria del
razzismo, è, secondo Burgio, un’ideologia di puro stampo borghese in quanto,
CONVEGNI E SEMINARI
così inteso, il fenomeno razzista ammette la negazione di princìpi universalistici. In realtà, uno dei lati oscuri della
modernità è rappresentato proprio dal
fatto che essa, nonostante il continuo
sviluppo e la tendenza a progredire, produce, su di un versante meno illuminato,
quelle barriere che, innalzandosi tra soggetti diversi, finiscono per discriminarli.
In tal senso, ha notato Burgio, il diverso
colore della pelle fu, di fatto, notato e
usato quale elemento di distinzione solo
quando si ritenne ormai necessario individuare un criterio distintivo per quei
soggetti che andavano necessariamente
discriminati.
Il momento somatico sarebbe dunque
sorprendentemente successivo ad una
originaria discriminazione già avvenuta
in base al ruolo marginale di talune categorie di soggetti, come nel caso della
schiavitù che, dopo il suo avvento, mise
a nudo la necessità di distinguere gli
schiavi, proprio quando maggiore era
l’espansione di teorie e princìpi universalistici. Estendendo a tutti la coscienza
di sentirsi uomini, la schiavitù, che fino
ad allora non aveva rappresentato un
problema, ora necessita di cause giustificative elaborate da teorie che tendono
a riconoscere più significati, diversi tra
loro, al termine “uomo”, originariamente sinonimo di una categoria unitaria.
Il razzismo nazista, ha osservato Burgio,
con la sua coda italiana durante il ventennio fascista, emerse in Germania nell’ambito di una ben difficile e tumultuosa convivenza fra due razze contrapposte, il problema della comunicazione fra
ebrei e nazisti; per sottolineare la segregazione nella quale intendevano relegare gli ebrei, i tedeschi elaborarono un
linguaggio minore, molto più limitato e
residuale, per comunicare con gli esclusi. D’altra parte è innegabile che la Germania nazista dovette fare i conti con
l’ingombrante tradizione culturale degli
ebrei, che si temeva contaminasse la
purezza e il presunto carattere elitario
della cultura germanica; ecco perché al
puro razzismo biologico si affiancò un
tipo di selezione culturale che doveva
impedire che gli ebrei influenzassero
con la loro presenza la tradizione giuridica e culturale tedesca.
Queste stesse osservazioni, ha sottolineato
Burgio, possono essere trasposte nel nostro
paese e avvicinate al fascismo. Parte della
moderna storiografia, tra cui lo stesso De
Felice, sostiene di fatto che il fascismo in
Italia non riuscì a concepire un razzismo
autonomo e convinto, ma semplicemente
una soggezione ideologica del movimento
italiano rispetto a quello del più potente
alleato tedesco. Secondo Burgio è da imputare invece agli uomini del regime lo sforzo,
peraltro non dissimulato, di creare le basi di
un netto differenzialismo, testimoniato da
una fiorente produzione di letteratura antropologica evidentemente razzista. R.de C.
Sull’intelletto
Dal 19 al 23 febbraio 1996, Alessandro
Ghisalberti ha tenuto un seminario sul
tema: “INTERPRETAZIONI DELL’INTELLETTO
NELLA FILOSOFIA DEL SECOLO XIII”, mostrando come la riflessione medievale sull’intelletto costituisca una chiave d’accesso fondamentale per la comprensione di uno dei momenti filosoficamente più vivi della civiltà cristiana
occidentale.
Il tema dell’intelletto acquista una speciale
importanza nella speculazione del secolo
XIII, quando, sul comune terreno della
filosofia aristotelica, si scontrano le culture
arabo-islamica e latino-cristiana. I prodromi di un tale interesse, ha osservato Alessandro Ghisalberti, si rintracciano originariamente nell’opera di Aristotele (De
anima, III 5 430a 10), dove, potremmo
dire, vengono poste le basi psicofisiologiche del processo della conoscenza. Analizzando la funzione intellettiva dell’anima
umana, Aristotele distingue un intelletto
potenziale, che ha la potenzialità di essere
di tutti gli oggetti della conoscenza, da un
intelletto attuale, che tutti li produce; il
processo del conoscere si determina come
azione dell’intelletto attivo su quello passivo, dove l’intelletto attivo è impassibile,
separato, senza mescolanza e, esso solo,
immortale ed eterno.
I principali testimoni della tradizione aristotelica sono stati identificati da Ghisalberti, tra gli antichi commentatori greci, in
Alessandro di Afrodisia (sec. II-III) e Temistio (sec. IV); tra i commentatori arabomedievali si deve invece tener conto, nelle
loro interrelazioni reciproche, delle concezioni di Al-Farabi (sec. IX), Avicenna (sec.
X) e Averroè (sec. XII). Nel secolo XIII,
attraverso le versioni dal greco e dall’arabo
delle opere di Aristotele e dei suoi commentatori, la speculazione araba si trapianterà sul terreno della cultura dell’Occidente latino, dove darà vita a originali fenomeni di sincretismo. Il primo sintomo dell’incontro dell’aristotelismo arabo con elementi dottrinali di ascendenza agostiniana,
ha osservato Ghisalberti, è rappresentato
da un movimento di pensiero della prima
metà del secolo XIII, che Étienne Gilson,
lo storico francese della filosofia medievale, ha indicato con l’espressione di “agostinismo avicennizzante”. Come esempio di
questa originale commistione di dottrine
valga l’opera di Giovanni de la Rochelle (1238-45), che fuse insieme la dottrina della distinzione dell’intelletto in
agente e passivo con la gnoseologia agostiniana imperniata sul concetto dell’illuminazione divina.
Successivamente, nei primi decenni della
seconda metà del secolo (1250-1270), ha
proseguito Ghisalberti, si affermerà una
forma più evoluta e matura di aristotelismo: la scuola dell’“averroismo latino” o
“aristotelismo radicale”, il cui caposcuola
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fu Sigieri di Brabante (1266-1277), secondo il quale si poteva giungere, attraverso l’uso della ragione, a conclusioni ad un
tempo filosoficamente vere e teologicamente false, diverse dalle verità rivelate
dalla Scrittura e dalla tradizione teologica.
Così, se da un lato si doveva riconoscere
che la dottrina averroista dell’unicità dell’intelletto possibile risultava, alla luce della
ragione, filosoficamente inconfutabile, dall’altro il dogma scritturale dell’immortalità dell’anima individuale doveva in fide
essere creduto vero. Secondo Alberto
Magno, invece, la supposizione dell’esistenza di un unico intelletto possibile è
insufficiente per spiegare la conoscenza
del singolo uomo mediante concetti universali presenti in un intelletto separato. Da
qui, ha notato Ghisalberti, la necessità di
postulare, sul piano gnoseologico, un’unione sostanziale tra intelletto e individuo.
Ammettere l’esistenza di un intelletto separato significa per Tommaso d’Aquino
muoversi in un orizzonte speculativo platonico e non aristotelico, per il quale, invece, l’anima è forma del corpo, e in quanto
tale è parte inscindibile della sostanza sinolica. In realtà, ha sottolineato Ghisalberti,
la concezione aristotelica dell’anima quale
forma del corpo era condivisa da Averroè,
ma con la differenza importante che mentre
l’anima vegetativa e quella sensitiva sono
forme del corpo a pieno titolo, l’anima
intellettiva è invece forma del corpo solo
equivocamente, in senso traslato, data l’impossibilità strutturale per una sostanza intellettiva separata di unirsi ad un corpo
come forma. Da queste considerazioni discende, per Tommaso, la collocazione dell’anima al confine tra gli esseri corporei e
incorporei, essendo ad un tempo sostanza
incorporea e forma di un corpo. Per intendere come una sostanza spirituale, quale
l’anima intellettiva dell’uomo, si possa unire
ad un corpo pur mantenendo una forma di
sussistenza, Tommaso si valse di uno scritto particolare che circolava con il nome di
Liber de causis, che secondo Ghisalberti,
come Tommaso stesso dimostrò, rappresenta una silloge di testi del filosofo neoplatonico Proclo (sec. V). Questo breve
scritto consentiva, in effetti, di fondere
istanze della metafisica plotiniana con quelle dell’ontologia aristotelica: l’anima intellettiva, pertanto, è da un lato, aristotelicamente, forma del corpo, dall’altro, neoplatonicamente, partecipe di un elemento,
per il quale conosce e vuole, che non comunica con il corpo.
Nell’ambito dell’aristotelismo radicale del
XIII secolo, ha proseguito Ghisalberti, un
altro fecondo sviluppo della speculazione
sull’intelletto è rappresentato dalla dottrina della felicità mentale, secondo cui l’uomo realizza la felicità nell’esercizio dell’attività intellettuale. Significativi a questo riguardo sono Boezio di Dacia, attivo a
Parigi nel periodo di Sigieri (1270-1277), e
Giacomo da Pistoia, filosofo di formazione medica, che agì in Italia verso la fine del
CONVEGNI E SEMINARI
secolo (1290-1300). Entrambi distinguono
tra una felicità terrena, conseguibile attraverso l’esercizio del filosofare, vero coronamento dell’attività intellettuale, e una
felicità eterna, oggetto dell’impegno teologico. Accanto a costoro merita particolare
rilievo, secondo Ghisalberti, Giovanni di
Jandun, che tra le attività animiche distingue la funzione di forma sostanziale dell’anima cogitativa; un elemento che, nel
processo dell’intellezione, si connette all’attività dell’anima intellettiva separata,
aprendo l’accesso alla conoscenza superiore delle sostanze separate e di Dio, cui
conseguirebbe il possesso della felicità. La
felicità, quale fine ultimo dell’uomo, lo è
propriamente anche dello Stato, dove la
felicità speculativa del singolo, a cui spetta
la virtù della sapienza, subordina a sé quella pratica dello Stato, a cui spetta quella
della prudenza.
Venendo al delicato dominio della mistica,
Ghisalberti ha rilevato come Alberto Magno distingua un intelletto di natura divina
e separata e, per spiegare il processo di
congiunzione dell’anima a Dio, impieghi il
concetto dell’intelletto acquisito (intellectus adeptus), per il quale l’uomo si innalza
alla conoscenza delle intelligenze superiori, preludio dell’ascesi mistica, in cui l’intelletto realizza la condizione di intellectus
assimilatus, attuando pienamente la sua
natura divina. La mistica albertina, secondo Ghisalberti, va intesa nel senso della
teologia mistica, ugualmente lontana da
ogni forma sentimentalistica e da ogni pretesa di conoscenza totalizzante della realtà;
una mistica che rimanda alla scuola domenicana renana e, particolarmente, alla figura di Meister Eckhart, per il quale intelletto è luce divina che, sostanzializzandosi,
conferisce all’uomo la possibilità di essere,
vivere, intelligere. Secondo le diverse proprietà dell’anima, esso è indipendente da
spazio e tempo, identico a sé, puro, operante in sé, immagine; la sua natura è increata
e increabile, come tale; è il tempio di Dio
che accoglie Dio stesso nella sua nudità,
privo dei veli dell’essere e della bontà,
spoglio di tutti i nomi e le determinazioni.
La via beatifica si delinea quindi in Eckhart
come via all’intelletto di luce, realizzantesi
attraverso un processo di ritorno a sé (reditio), in quanto spoliazione, denudamento,
disvelamento del fondo dell’essere. P.A.
Il pensiero politico nel Seicento
Dal 4 all’8 marzo 1996, Jean Robert
Armogathe ha tenuto un seminario dal
titolo: “IL PENSIERO POLITICO NEL SEICENTO”,
mostrando attraverso l’analisi delle
concezioni di vari pensatori del tempo
come lo Stato moderno, nella sua costruzione, abbia preso a modello la
Chiesa nella sua organizzazione e nella
sua codificazione.
Jean Robert Armogathe ha iniziato con
l’individuare il fondamento delle teorie
politiche dello Stato moderno nei trattati
sull’“ecclesiologia” riconducibili al concetto teologico della Chiesa come societas perfecta, dei quali Cajetano è l’autore più importante. Armogathe ha sottolineato l’importanza del dibattito fra
Cajetano e i gallicani. Confutando le tesi
gallicane per cui il papa possiede solo il
dominium ministeriale, non la potestas,
Cajetano, nei suoi scritti Auctoritas Papae et Concilii seu Ecclesiae Comparata (1511) e Apologia (1514), sostiene
che la Chiesa ha origine divina e che,
pertanto, anche il ministero di Pietro ha
origine divina. Questo passaggio dal diritto canonico alla teologia politica comporta la natura assolutistica del potere
del papa, dato che la Chiesa trae origine
direttamente dalle Sacre Scritture e non
dalla legge. Sul passaggio di Cajetano
dalla teologia politica al pensiero politico laico, il pensiero politico gallicano
del Seicento costruisce una teoria del
potere assoluto del sovrano che trae le
sue argomentazioni per simmetria dall’argomentazione usata da Cajetano per
difendere la Chiesa e la monarchia pontificia.
Armogathe ha proseguito l’analisi del
pensiero politico del Seicento affrontando il legame intellettuale che unisce Bellarmino, Sarpi e Hobbes e mostrando in
particolare come, indirettamente, il pensiero politico del terzo sia stato influenzato dal secondo. Armogathe ha fatto
rilevare che il primo punto in comune ai
tre è l’analisi delle Sacre Scritture. Nell’interpretare i passi 17 e da 8 a 12 del
Deuteronomio sui giudici leviti in Israele, Bellarmino dice, nelle Controversie,
che il papa ha il diritto di stabilire un
corpus di leggi civili; per Sarpi questo
potere è stato dato da Dio al popolo;
Hobbes, nel Leviatano, sostiene che il
sommo sacerdote solo in quel tempo
aveva potere civile e, pertanto, solo allora poteva nominare i giudici. Pur essendo d’accordo nel voler limitare il potere
del papa, ha sottolineato Armogathe, Sarpi e Hobbes differiscono per il fatto che
il primo insiste sul limite che l’insegnamento di san Paolo e il Concilio di Gerusalemme hanno posto al potere ecclesiastico, il secondo, come Bellarmino, pensa al potere ecclesiastico come assoluto,
ma a differenza di questi ritiene che il
potere assoluto si sia trasferito al sovrano civile. Hobbes e Sarpi convergono
anche sull’interpretazione dell’Apocalisse, poiché entrambi pensano a un’escatologia conseguente; inoltre, nella costruzione politica di entrambi, grande
importanza è data alla teologia della
doppia alleanza.
Proseguendo la sua analisi, Armogathe
ha parlato della politica dei gesuiti e dei
due tipi di insegnamento della Compagnia abitualmente distinti, ma insepara65
bili: la filosofia politica da una parte, la
“morale pratica” dall’altra. I gesuiti considerano la teoria dello Stato indivisibile
dal governo delle coscienze individuali,
pertanto loro precipuo compito è la direzione spirituale di prìncipi e sovrani.
Armogathe ha quindi ricostruito i più
salienti fatti storici che determinarono la
cacciata dei gesuiti dalle più importanti
corti europee, e soprattutto si è soffermato sulle teorie di alcuni pensatori della Compagnia, tra i quali Mariana e Suarez. Nel suo De rege et Regis Institutio
(1599), Juan de Mariana espone la sua
teoria sull’uccisione non solo del tiranno di usurpazione, ma anche del tiranno
di esercizio. Accusata di istigare al tirannicidio, l’opera fu condannata e ritirata dalla circolazione subito dopo l’assassinio di Enrico IV. Tra il 1610 e il
1613 Francisco Suarez redige il Defensio fidei contro Giacomo I d’Inghilterra,
in cui sostiene che i re scomunicati dal
papa possono “essere deposti o messi a
morte dai loro sudditi”. Nei paesi cattolici, ha ricordato Armogathe, i gesuiti
hanno contribuito alla formazione del
potere personale del monarca, che viene
organizzato sul modello di monarchia
assoluta che si era dato la Compagnia.
Figura importante del Seicento, ha continuato Armogathe, è Gaspare Scioppio, autore dell’Apologia di Machiavelli
e dei Paedia politices (opera, questa, in
cui non figura mai il nome del fiorentino, anche se tutto lo scritto ruota attorno
a lui), il quale sostiene che l’uomo politico, secondo l’insegnamento di Machiavelli, deve ubbidire solo alla politica in
quanto “scienza pubblica dell’utilità”;
inoltre, sulla scia della tradizione ciceroniana, considera fine ultimo della politica il benessere della società civile. A
differenza dei gesuiti, che proponevano
una responsabilità personale del re,
Scioppio propone la responsabilità dello
Stato e quindi la responsabilità della
funzione del principe e non della sua
persona. Se le teorie dei gesuiti hanno
portato avanti la nascita dell’assolutismo dello Stato moderno, il discorso
machiavelliano dello Scioppio, ha evidenziato Armogathe, si pone in un certo
senso come freno all’assolutismo monarchico dando nuova linfa alle forze
alternative all’interno dello Stato stesso.
A conclusione della sua analisi, Armogathe ha parlato del concetto di “gloria”
e della sua secolarizzazione da Bellarmino a Spinoza. Attraverso la divinizzazione del sovrano, alla gloria di Dio si
sostituisce la gloria del re; la gioia dei
cortigiani si sostituisce alla beatitudine
dei santi. P.S.
CONVEGNI E SEMINARI
Nagasaki, il 10 agosto 1945, due giorni dopo il lancio della seconda bomba atomica
Memoria, oblio, perdono
Dal 15 al 19 aprile 1996, Paul Ricoeur ha
tenuto un ciclo di seminari sul tema:
“MEMORIA, STORIA, PERDONO”, incentrando la sua riflessione sul rapporto critico
fra storia e natura alla luce di due figure
concettuali significative: l’oblio e il perdono. Al tema “L’AMORE DIFFICILE. IL PROBLEMA DELL’IDENTITÀ PERSONALE E L’ERMENEUTICA DEL SÉ”, Ricoeur ha dedicato una
conferenza, tenutasi presso l’Università Federico II di Napoli, a cui hanno
preso parte, tra gli altri, G. Polara, G.
Lissa, G. Cantillo, D. Jervolino, D. Gambarara, C. Penco.
Chiedersi in che modo la storia , così come
viene scritta dagli storici, interviene a titolo
critico fra un eccesso e un difetto di memoria, ha esordito Paul Ricoeur, significa stabilire se sia legittimo parlare di memoria
collettiva. Dal dilemma tra memoria individuale e collettiva si può uscire, secondo
Ricoeur, attraverso la nozione, elaborata da
Husserl nella Quinta meditazione cartesiana, di personalità di rango superiore, con cui
si determinano entità collettive derivate, che
risultano da un processo secondo di oggettivazione degli scambi intersoggettivi, a cui
per analogia si può attribuire un “noi” con le
prerogative fondamentali di memoria. In
quest’ottica la memoria collettiva viene considerata come raccolta di tracce lasciate dagli eventi.
Sulla base dell’attribuzione del concetto di
memoria agli individui e alle collettività, ha
proseguito Ricoeur, si possono introdurre i
concetti di “memoria storica” e “tempo storico”, elaborati da Koselleck, che parla di
“spazio d’esperienza” e “orizzonte d’attesa”, dove per spazio d’esperienza intende
l’insieme dell’eredità del passato, per cui
non c’è spazio d’esperienza senza orizzonte
d’attesa, mentre considera l’orizzonte di attesa irriducibile allo spazio d’esperienza; la
dialettica fra questi due poli assicura così la
dinamica della coscienza storica che a parti66
re dal sentimento di orientamento, nel passaggio del tempo, dà impulso all’orizzonte
d’attesa che tocca lo spazio d’esperienza.
Il passaggio dalla memoria alla storia, ha
osservato Ricoeur, si realizza attraverso la
mediazione operata dal “racconto”; si avranno pertanto “racconti di memoria” e “racconti storici”. Nei racconti di memoria il
racconto ordinario si mette a servizio tanto
della memoria-ripetizione quanto della memoria-ricostruzione; sul primo versante si
collocano i racconti fissati dai riti sociali a
carattere commemorativo, mentre sul versante della ricostruzione si pongono le operazioni di conformazione, di costruzione
dell’intreccio, che dispongono in relazione
fra loro, nello stesso tempo, la storia raccontata e i suoi protagonisti. La storia, ha proseguito Ricoeur, rompe con la memoria su un
triplice paiano: documentario, esplicativo e
interpretativo. Nel primo caso si ha a che fare
con la storia che dipende da “fonti” per
comprovare una evidenza documentaria; nel
secondo entrano in gioco le pretese esplica-
CONVEGNI E SEMINARI
tive della storia miranti a costituirne lo statuto di scientificità. Nel terzo caso, invece, si
ha a che fare con il fenomeno della scrittura
della storia, cioè della storiografia. Questi tre
piani possono anche essere posti sotto i termini
di: “ricerca”, “spiegazione” e “scrittura”.
Per quanto riguarda il problema dell’oblio,
ha continuato Ricoeur, a livello più profondo
esso riguarda la memoria in quanto conservazione del ricordo, mentre a livello più
superficiale esso riguarda la memoria in
quanto rimemorazione. A livello profondo si
incontrano due poli antagonisti: l’oblio inesorabile che si adopera a cancellare la traccia
del vissuto e l’oblio dell’immemoriale che è
l’oblio delle fondazioni. Progredendo dal
livello più profondo a quello più superficiale
s’incontra tutta una serie di forme dell’oblio
che possono essere classificate come il passaggio dall’oblio passivo a quello attivo.
Una di queste figure di oblio è quella denominata “oblio di fuga”, caratterizzata da un
non voler sapere e da un non voler informarsi. L’“oblio selettivo” è importante per la
costruzione dell’intreccio: infatti per narrare è opportuno tralasciare piccoli eventi
ed episodi che non sono significativi ai fini
del racconto.
Il perdono, ha rilevato infine Ricoeur, è una
forma di oblio attivo e pertanto contrario
all’oblio passivo. Esso presuppone la mediazione della vittima che è l’unica abilitata
all’atto del perdono. Da un punto di vista
giudiziario, il perdono implica la “riabilitazione” di chi commette la colpa; a esso è
riconducibile anche la grazia. L’amnistia,
invece, ha un risvolto politico paragonabile
a un’amnesia istituzionale; essa si comprende solo ai fini di una riconciliazione della
nazione in cui l’istituzione invita a fare come
se l’evento criminoso non avesse avuto luogo. Da un punto di vista semantico, ha precisato Ricoeur, il temine “perdono” è vicino al
termine “dono”. Il comandamento di Gesù,
«amate i vostri nemici», rompe con ogni
calcolo e apre l’ispirazione di una nuova
tipologia di scambio, quella secondo cui il
nemico diventa amico. Il perdono difficile è
quello che, in qualche modo, si riconnette
alla fonte dei conflitti che richiedono con
insistenza il perdono. G.B.C.
non-essere-capace. L’“attribuzione”, riconoscimento di una capacità di agire da
parte di un terzo, è ciò che fa appello alla
nostra “responsabilità” nei confronti di chi
conta su di noi.
Sull’interazione fra questi tre momenti, ha
sottolineato Ricoeur, si fonda la costituzione
di un soggetto responsabile, dalla quale dipende che qualcun altro possa continuare a
contare su di lui. Il prezzo di tale costituzione
è la rinuncia all’immediatezza dell’Io-sono,
in favore di un’ermeneutica del sé, sviluppata attraverso l’analisi di quattro gradi fondamentali di capacità: poter parlare - poter
agire - potersi raccontare - potersi assumere
la responsabilità morale dei propri atti. Sul
piano del linguaggio, il soggetto grammaticale si fa garante di ciò che afferma e di ciò
che fa. Sul piano della praxis, l’affermazione
“Io posso” viene presupposta come implicita
in ogni segmento di qualsiasi fare intenzionale in quanto attestazione governata da un
sapere non teoretico che è certezza soggettiva. Al racconto Ricoeur assegna una funzio-
Richiamando lo studio di D. Jervolino (Ricoeur. L’amore difficile, Studium, Roma 1995),
Ricoeur ha affrontato le difficoltà che il tema
dell’amore genera sia nel linguaggio ordinario, sia nella trattazione filosofica. Nella
pratica esistenziale l’amore rischia per lo più
di essere confuso con le due componenti che
si intrecciano in ogni fare umano, agire e
patire. Tre atteggiamenti specifici sono interconnessi secondo Ricoeur in questa dialettica dell’agire e del patire: attestazione,
sospetto, responsabilità. L’“attestazione” è
la risposta positiva di un soggetto responsabile al dubbio esistenziale della propria incapacità di intervento nel mondo in cui si trova
“gettato”, in opposizione alla minaccia di
destabilizzazione rappresentata dal “sospetto”, sempre rinascente, di non-potere, di
ne mediatrice fra capacità e incapacità umane. Dalle ceneri di una soggettività intesa
come autocertezza immediata nasce la nozione di “identità narrativa”, riferita ad un
soggetto modesto, ma tuttavia irriducibile,
costretto a cercare il proprio sé attraverso le
tracce mnestiche e i segni del proprio agire e
del proprio patire. La struttura narrativa è la
mediazione originaria della comunicazione
verbale capace di dare forma - e quindi un
senso intelligibile - ai frammenti di esperienza che costituiscono l’esistenza di ciascuno.
Ma poter raccontare significa anche potere
di raccontarsi e di strutturare la propria memoria; significa “configurare”, dare forma e
senso ad un vissuto.
La difficoltà dell’amore, ha concluso Ricoeur, nasce quindi dall’incapacità, dal nonpotere, che si annida in tutti gli aspetti del
nostro agire. Tra libertà e determinismo, il
soggetto umano deve mettere in atto una
mediazione incessante: Da questo deriva la
sua stessa responsabilità. Inoltre l’amore è di
per sé sovversivo; rappresenta una “spropor-
Paul Ricoeur
67
CONVEGNI E SEMINARI
zione” - per così dire - ontologica, che si
oppone polarmente all’equilibrio della giustizia, la quale appartiene invece all’ordine
tutto umano dello scambio. T.N.
Dai presocratici a Platone
Dall’8 al 12 gennaio 1996, Hans-Georg
Gadamer ha tenuto un ciclo di seminari su “LA TEORIA ATOMISTICA DEI GRECI E LA
SUA ATTUALITÀ ”, mettendo in evidenza
il rapporto significativo tra atomismo
e scienza della natura e approfondendo anche altri ambiti tematici, tra cui
in particolare la dialettica platonica.
La nostra conoscenza dei presocratici,
ha esordito Hans-Georg Gadamer, è
mediata in primo luogo da Aristotele e
dal suo commentatore Simplicio, in secondo luogo dalla tradizione dossografica. L’interpretazione storiografica di
questi pensatori a opera di Aristotele, ha
sottolineato Gadamer, non può che avvenire in funzione delle categorie aristoteliche. Premessa implicita di tutta la
filosofia ionica è infatti che il fondamento dell’intero processo della natura
sia una materia cosmica unica, soggetta
a trasformazioni, da cui scaturiscono tutte
le cose particolari e in cui tutte si risolvono: l’arché, che Talete identifica con
l’acqua, Anassimene con l’aria e Anassimandro con l’infinito, l’apeiron. Tale
interpretazione dell’arché come materia
cosmica, contenente implicitamente la
premessa dell’unitarietà del mondo, non
prescinde, secondo Gadamer, dall’aristotelica causa materiale, hyle: deve esserci un ente che figuri come il movente,
alla stessa stregua che deve esserci una
hyle, perché possa venire generato un
nuovo ente.
Aristotele menziona Eraclito di Efeso,
che per primo propone una riforma della
vita pubblica, predicando quella legge
dell’ordine che deve regnare tanto nella
natura quanto nella vita umana. Secondo
Gadamer, Eraclito deve la sua importanza al fatto che fu il primo a introdurre il
concetto di anima come respiro, quindi
come qualcosa che non è visibile, per cui
le esperienze dell’anima della ragione,
dell’immaginazione sono qualcosa di
inosservabile. Eraclito pone come arché
di tutte le cose il divenire come fuoco.
Nel motto eracliteo «non possiamo immergerci due volte nella stessa acqua»,
ha osservato Gadamer, non si può non
rilevare la presenza del concetto di identità accanto a quello del divenire. Da ciò
consegue che una tendenza dialettica non
è estranea al pensiero di Eraclito, tendenza che lo avvicinerebbe a Zenone,
fondatore della dialettica.
Dopo aver menzionato Empedocle e la
sua dottrina dei quattro elementi, ha os-
servato Gadamer, Aristotele parla di
Anassagora di Clazomene, il cui pensiero è da considerarsi senza dubbio una
prima tappa verso il materialismo: secondo Anassagora esistono innumerevoli elementi, chiamati spermata (semina), detti da Aristotele “omeomerie”,
dal cui incontro deriverebbe la nascita, e
dalla cui separazione la morte, delle cose
singole. Queste particelle, anche se mobili, non sono capaci di movimento autonomo, perciò Anassagora introduce un
ente come causa del movimento: una
materia-pensiero, definita nous. Sottolineando che Anassagora è il primo a isolare il nous da tutte le altre forme di enti
che esistono, Gadamer ha messo in evidenza l’aspetto di percezione immediata
di questa nozione: in quanto presenza
dell’essere nella nostra percezione il nous
rappresenta una forma di immediatezza
dell’apparire dell’essere dell’ente.
Secondo la tradizione tramandataci da
Aristotele, gli Eleati assorbono tutto
nell’unità dell’essere, che dichiarano
“assolutamente immobile”, negando,
oltre che la generazione e la corruzione,
tutte le forme di movimento. L’essere di
Parmenide coincide con la corporeità,
la materialità (to pleon); “essere” e “occupare spazio” sono sinonimi. Questo
duplice significato assegnato da Parmenide all’essere, per cui esso è ad un
tempo “il pieno” e “la realtà”, conduce
alla proposizione che “lo spazio vuoto
non può essere”. Ora, ha osservato Gadamer, dato che la separazione delle cose,
in virtù della quale esse si presentano
come varietà e molteplicità, consiste nel
loro essere separate mediante lo spazio
vuoto, se il vuoto è irreale, anche la
molteplicità e il movimento delle cose
singole sono irreali. In questo senso l’eleatismo è acosmico: nel tutto-uno la verità delle cose è tramontata. Da Aristotele
apprendiamo però che Leucippo e Democrito da Abdera pongono come reali
il pieno e il vuoto: l’“essere”, o il “pieno”, sono ovviamente gli “atomi”, mentre il “non-essere”, o il “vuoto”, sono gli
intervalli tra gli atomi. Nella dottrina
dell’atomismo, ha rilevato Gadamer,
l’unica qualità dell’essere è la “corporeità”, l’occupare spazio; per rendere
intelligibile la pluralità delle cose e la
vicenda del loro accadimento materiale
viene posto, in luogo dell’unico corpo
cosmico indifferente di cui parlava Parmenide, una pluralità di enti, gli “atomi”, separati tra loro da un non-ente, da
qualcosa di incorporeo, lo spazio vuoto,
al quale tuttavia deve attribuirsi una specie di essere, di realtà metafisica: l’illimitato, l’apeiron. Il movimento degli atomi è un movimento spontaneo senza principio e senza fine, come il loro essere.
Nel libro IV della Fisica Aristotele critica la teoria del vuoto degli atomisti che
fondano l’esistenza del vuoto sull’esistenza del movimento, in quanto non è
68
possibile che un solo oggetto si muova,
qualora il vuoto esista. Dunque, continua Aristotele, o non c’è per natura alcuno spostamento in nessun luogo e per
nessuna cosa, oppure, se questo c’è, non
c’è affatto un vuoto. Secondo Gadamer
la critica aristotelica al vuoto non è fondata, in quanto Democrito non intendeva il vuoto in senso matematico. Se l’atomismo dei greci ha un rapporto con la
matematica, ha aggiunto Gadamer, questo rapporto non lo si può intendere nel
senso moderno di Galileo e Newton. La
matematica greca ha sempre una valenza
ontologica; ne è un’esemplificazione la
dottrina dei pitagorici, i quali identificavano le strutture matematiche con la realtà, per cui la natura era matematica; lo
stesso Platone non è estraneo ad un orientamento matematico.
Dell’insegnamento di Platone abbiamo
notizia soltanto attraverso la critica aristotelica, di cui troviamo traccia nel primo libro della Metafisica. Secondo Gadamer, il punto di partenza della critica
che Aristotele volge a Platone implica
una sostanziale comunanza tra i due;
come nel caso della conversione ai logoi, individuabile letterariamente nel
Fedone platonico, dove Platone fa compiere a Socrate un radicale distacco dai
metodi incontrollati di esplorazione e
spiegazione della natura, propri dei presocratici. Tanto secondo Platone quanto
secondo Aristotele, è il logos che dice
l’“essere”; mentre a sostenere l’intero
orientamento del pensiero e la formazione del concetto provvede, in Platone,
l’essenza del numero, in Aristotele la
natura del vivente. Il numero, ha rilevato
Gadamer, rimane però in Platone soltanto un modello per il compito platonico
del logos dell’essenza, non solo nel senso che l’eidos si presenta come l’unità
del molteplice, ma anche nel senso che
pure il logos dello stesso eidos, quindi il
tentativo di dire ciò che costituisce sempre l’essenza unitaria di qualcosa, mira
alla sintesi di molte definizioni eidetiche (definizioni essenziali) nell’unità di
un’asserzione definitoria. La dottrina
platonica dell’uno e del due indeterminato, riferita da Aristotele e da altri,
doveva esprimere il convincimento che
in nessuna unità del vedere e del dire è
mai raggiungibile, mediante il logos, l’infinitudine delle possibili spiegazioni, la
sola che renda possibile la piena verità.
Secondo Gadamer, il significato di ciò si
può comprendere soltanto in base al
modello pitagorico, nel quale domina la
convinzione fondamentale che, nonostante la varietà dei fenomeni, esiste una
sorprendente esattezza di rapporti numerici puri, come dimostrano le armonie
dei suoni e dell’ordine cosmico. Con
Platone il sapere non è più possibile
come sapiente annuncio della verità, ma
si deve autenticare mediante l’intesa dialogica, mediante cioè l’illimitata dispo-
CONVEGNI E SEMINARI
nibilità a giustificare e a motivare tutto
quello che si dice. La dialettica platonica, nella sua indubbia derivazione dal
dialogo socratico, vive della forza intrinseca all’intesa dialogica, della partecipazione comprendente dell’altro e, a
ogni passo del suo cammino, è sostenuta
dall’accertato consenso dell’interlocutore. B.M.
La scuola hegeliana
Dall’8 all’11 gennaio 1996, Giovanni
Bonacina ha tenuto un seminario dal
titolo “LA SCUOLA HEGELIANA E GLI «ANNALI
PER LA CRITICA SCIENTIFICA»”, con lo scopo
di analizzare la genesi e la dissoluzione della scuola hegeliana in rapporto
alla storia della rivista «Annali per la
critica scientifica».
Attorno a Hegel si era formata una cerchia
ristretta di discepoli, il cui principale organo di diffusione erano gli «Annali per la
critica scientifica», in cui Hegel stesso e gli
hegeliani prendevano posizione sulle correnti di pensiero contrarie all’hegelismo.
Nella convinzione che la Germania si trovasse all’epoca in una posizione di svantaggio rispetto agli altri paesi a causa dell’estremo particolarismo che caratterizzava ogni aspetto della società tedesca, la
scuola hegeliana riteneva che la Germania
dovesse riscattarsi dalla generale anarchia
nella quale era precipitata attraverso un
necessario processo di accentramento della cultura tedesca; di qui le accuse di dispotismo e settarismo che furono mosse alla
scuola e in particolare a Hegel. In realtà, la
creazione di una scuola rispondeva all’esigenza degli hegeliani di sottrarre potere
alla vecchia aristocrazia tedesca, a cui imputavano la responsabilità del particolarismo politico-culturale della Germania.
Gli «Annali» divennero così il terreno per
ampie e interessanti discussioni sulla storia, la teologia e la filosofia. Dall’analisi di
questi dibattiti Bonacina ha tratto elementi
per individuare un preciso intento da parte
degli hegeliani di affermare il predominio
assoluto della filosofia sulle altre discipline. Le recensioni di Eduard Gans, K.L.
Savigny, F. Guizot e H. Hallam, così
come quelle di H. Leo su C. Schlosser,
lasciano emergere una concezione della
storia indissolubilmente legata alla filosofia contro una storiografia tedesca ostile alla filosofia in nome di un’insensata,
quanto irrealizzabile, oggettività della
storia. Storia autentica è solo quella che
riesce a ricondurre il fatto storico ad un
processo unitario, rappresentato dalla
storia universale. Inseriti in questo modo
in un progetto, i fatti non hanno valore in
sé, ma acquistano significato solo in relazione alla realizzazione di questo progetto universale che, in quanto tale, può
essere compreso solo attraverso le categorie logiche della ragione.
Se per gli hegeliani la storia non può prescindere dalla filosofia, da questa non può
prescindere la teologia. Negli interventi di
Rosenkranz e Schleiermacher sugli «Annali» è possibile individuare il tentativo da
parte degli hegeliani di liberare la religione
da quell’esasperato soggettivismo nel quale era precipitata in epoca romantica, dove
l’Assoluto aveva finito col perdere la propria oggettività fino al punto di esistere
solo in funzione dell’io. La rinuncia alla
conoscenza di Dio, alla quale il filosofo era
approdato, aveva praticamente gettato l’uomo in una condizione di pietistico abbandono a Dio, allontanandolo dalla vita attiva. Perché la religione potesse riaffermarsi
in tutta la sua centralità, era necessario
invece ammettere che la sua fosse una
verità comune a quella della filosofia.
Emerge qui una concezione della storia
della filosofia come progresso. Anche per
la storia della filosofia, infatti, non si può
parlare di neutralità storica, né di oggettività dei fatti. Ogni evento ha senso solo in
relazione al ruolo che assume in ambito
universale e compito del filosofo, o, più
precisamente, dello storico della filosofia,
è di rinvenire il significato dei fatti, che sta
appunto nella loro connessione con l’universale. G.M.
Sulla questione del metodo
Dal 12 al 15 febbraio 1996, Guido Oldrini ha tenuto una serie di lezioni sul
tema: “LA DISPUTA SUL METODO NEL RINASCIMENTO ALLA LUCE DEL RAMISMO ”, richiamando l’attenzione sulla questione del
metodo in ambito rinascimentale, e
mostrando come il ramismo fosse il
centro nevralgico di tale questione.
Secondo Guido Oldrini è possibile uscire
sia dall’ottica della storiografia post-hegeliana, che generalmente liquida, in quanto
non filosofico, tutto il XVI secolo, sia anche dall’ottica di Cassirer, che considera il
Tardo Rinascimento europeo come un periodo privo di interesse, attraverso una più
attenta analisi delle trasformazioni in corso
in questo secolo e una più seria valutazione
della possibilità che gli artefici della moderna rivoluzione scientifica (Bacon, Galilei, Descartes) abbiano rafforzato l’autorità della loro impresa liquidando non solo la
Scolastica, ma anche la tradizione del Rinascimento umanistico in modo sommario
e alquanto superficiale.
Affidandosi con cautela ai criteri della storiografia marxista, Oldrini ha identificato
nello scorcio del Cinquecento i prodromi di
uno sviluppo dei rapporti economico-sociali in direzione capitalista, sulla base del
nesso che si stabilisce fra esigenze ideologiche nuove e sviluppo di nuove “tecni69
che”, che genera un riordino del sistema del
sapere in funzione della centralità dell’istanza metodologica.
Da questo punto di vista, ha sottolineato
Oldrini, Ramo (nome italianizzato di
Pierre de La Ramée, 1515-1572) costituisce un caso limite delle istanze praticiste già presenti in Melantone e nei melantoniani come in Erasmo. La sua teoria
del metodo unico, la sua preoccupazione
per l’usus e l’utilitas si ponevano alla
testa del passaggio da un umanesimo
inteso come pratica di un individuo esemplare ad un umanesimo inteso come pratica esemplare per l’individuo, che rendesse possibile l’acquisizione di precetti
e la loro messa in pratica. In Ramo troviamo una vera e propria esaltazione del
fattore dell’utilizzabilità pratica, per cui
il metodo diviene parte integrante della
dottrina. In tal guisa, Ramo si pone a
metà strada tra l’umanesimo classico e i
primi sviluppi della scienza moderna.
Non a caso la sua metodologia trovò
largo impiego in campo storiografico e
giuridico, anche se non si può parlare di
una storiografia ramista o di un diritto
ramista, ma piuttosto di una “congiuntura ramista”, ovvero di un’incidenza del
ramismo, riconducibile più a mediazioni
culturali che operano trasversalmente nel
Tardo Rinascimento che non direttamente ad un contributo personale di Ramo.
Dopo il 1560, ha osservato Oldrini, l’emergere di una più matura esigenza metodica
rafforza l’esigenza di scientificità, per cui
si procede verso un graduale abbandono
della storia retoricizzata in vista di una
verità che non risulti schiacciata sotto il
peso delle convenzioni e delle convinzioni
morali, mentre nel campo del diritto viene
man mano abbandonato il culto della romanità e si afferma l’esigenza di un diritto
rivolto e diretto al presente. In tutto questo
l’apporto specifico del ramismo va rintracciato nella “occorrenza” dei tratti peculiari
della dottrina di Ramo: “usus”, brevità,
chiarezza, “utilitas” sono le parole chiave
di una dottrina che contribuisce a preparare
un nuovo clima culturale. In Francia è con
J. Bodin che giunge al culmine quel nesso
tra metodo e finalità scientifica derivato
appunto da Ramo. In Inghilterra il ramismo
recluta i suoi adepti, in particolare fra i
progressisti puritani di Cambridge e in parte di Oxford, svolgendo qui una funzione di
rottura nei confronti di tutte le procedure
dogmatiche di derivazione scolastica. Del
resto la finalità pratica aveva rappresentato
la maggiore aspirazione di Ramo e gli era
valsa la qualifica di “usuraio”. Alla fine,
tutto quanto nell’Inghilterra elisabettiana è
in gestazione a livello economico-sociale
trova nel ramismo un adeguato riconoscimento culturale. C.T.
CALENDARIO
In occasione del cinquantesimo anniversario della pubblicazione della
Dialettica dell’illuminismo di Max
Horkheimer e Theodor Adorno, la
rivista Nuova Corrente e il Goethe
Institut di Genova, in collaborazione
con l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici e il Dipartimento di filosofia dell’Università degli Studi di Genova, presentano il convegno internazionale: Per una rilettura di The-
CALENDARIO
Il calendario aggiornato
è on-line
all’indirizzo
http://www.infophil.it
e-mail [email protected]
odor Adorno. Mito, mimesis e critica della cultura, il 4 e 5 aprile
1997, a Genova presso l’Auditorium
Eugenio Montale (Largo Siri). Interventi di: A. Wellmer, “La promessa
di felicità e perché deve essere infranta”; A. Benjamin, “Adorno e il problema del razzismo contemporaneo”;
S. Petrucciani, “La Dialettica dell’illuminismo: considerazioni a partire
dalla ricezione italiana”; C. Wulf, “Il
ritorno della mimesis”; C.Gentili,
“L’«assurdo» canto delle sirene. Mito,
mimesis e disincanto del mondo in
Adorno”; R. Genovese, “Mimesis e
autoconservazione nella Dialettica
dell’illuminismo”; F. Desideri, “Mimesis e techne nella Teoria estetica di
Adorno”; J.Früchtl, “Sul carattere
postaffermativo della cultura”; R.
Wiggershaus, “Arte e trauma. L’estetica di Adorno e il secolo dell’estremo”; D. Roberts, “Arte e mito: Adorno e Heidegger”; F. Jarauta, “Adorno
e la linea d’ombra della modernità.
Figure e crisi di una mitologia”; R.
Bodei, “Le ombre della ragione.
L’emancipazione come mito”. Gli atti
del convegno verranno pubblicati sul
numero 119-120 di Nuova Corrente,
a cura di A. Borsari e S. Mele.
Informazioni: Goethe Institut v. Peschiera, 35 16122 - Genova, tel.
010 - 8398768
fax 010 - 8398810
•
Da febbraio a luglio 1997, all’Istituto
Universitario Suor Orsola Benincasa
di Napoli, si tiene un corso di perfezionamento in filosofia del diritto su:
Esperienza giuridica: Scienza, storia, filosofia, diviso in tre sezioni:
“La domanda della scienza del diritto
alla filosofia”; “La domanda della
storia del diritto alla filosofia”; “Crisi
della razionalità moderna e filosofia
del diritto”.
Informazioni: Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, corso
Vittorio Emanuele 292, tel. 081
400070-412908
•
In occasione della pubblicazione
dei volumi La natura tra Oriente e
Occidente (Luni, Milano 1996) e
La polifonia estetica. Specificità e
raccordi (Guerini e Associati, Milano 1997) all’ISU (Istituto Universitario per il diritto allo studio
dell’Università Statale di Milano)
si è svolto un incontro su La polifonia estetica, nuove voci italiane, con P. D’Angelo, E. Franzi-
ni, G. Marchianò, F. Piselli, G.
Scaramuzza, R. Troncon, M. Venturi Ferraioli, S. Zecchi.
del mondo nell’ambito della fisica,
della biologia, della neurologia e
della matematica, le ragioni dello
scarto tra le acquisizioni scientifiche
e le conoscenze che sono alla base
del senso comune. Relatori: E. Bellone (lunedì 10 febbraio 1997, ore
20,45); G. Corbellini (17 febbraio);
U. Bottazzini (24 febbraio); P. Bozzi
(3 marzo); A. Piazza (10 marzo); A.
Sparzani (17 marzo); C. Mangione
(24 marzo).
Informazioni: La Casa Zoiosa,
Corso di Porta Nuova 34, Milano,
tel. 02 6551813, fax 6551448
•
a cura di Luisa Santonocito
ISU dell’Uni•versitàInformazioni:
Statale di Milano, corso di
3-4 aprile, R. Prodomo: “Identità personale e statuto etico dell’embrione
umano”; 9 aprile, E. Granaglia: “Filosofia politica e politiche sociali”; 10 e
11 aprile, T. Magri: “La struttura dell’azione morale”; 17 aprile, A. Honneth: “Riconoscimento e moralità”;
18 aprile, E. Galeotti: “Il problema del
pluralismo”; 22, 23 aprile, L. Sacconi:
“Teoria dei giochi e filosofia politica”;
28-30 aprile, A. Savignano: “Bioetica
delle virtù: la prospettiva di A. Mac
Intyre”; 5 maggio, V. Zanone: “I liberali italiani dall’Unità a oggi”; 6 maggio, P. Bonetti: “Elitismo e liberalismo”; C. Ocone, “Il liberalismo metapolitico di Croce”; 7 maggio, G. Pagano: “Il liberalismo tra stato e mercato:
la polemica tra Croce ed Einaudi”; 8
maggio, E. Marzo: “Il liberalismo ‘rivoluzionario’ di Piero Gobetti”; 8 maggio, N. Urbinati: “Il socialismo liberale di Carlo Rosselli”; 9 maggio, C.
Ocone: “Il meridionalismo liberale”;
9 maggio, P. Bonetti: “Il liberalismo
nel secondo dopoguerra”; 12-13 maggio, R. Bodei: “Privazioni di libertà.
Sulla preistoria del rapporto servo/
padrone”; 12 e 13 maggio, A. Besussi:
“Giustizia e comunità”; 12 e 13 maggio, G. Fiaschi: “Dall’autonomia alla
comunicazione. Per un’ermeneutica
filosofica della differenza”; 14-15 maggio, P. Martelli: “Aspetti descrittivi e
normativi della teoria delle elezioni”;
16 maggio, C. Amadio: “Riconoscimento e politica”; 20-21 maggio, E.
Lecaldano: “Modelli di analisi filosofica dell’oggettività in etica”; 22-23
maggio, R. Cubeddu: “La scuola austriaca: Menger, Mises, Hayek, Rothbard”; 29-30 maggio, G. Marini: “Diritto internazionale e storia del mondo
nel sistema hegeliano dello Spirito Oggettivo”; 5 giugno 1997, Richard Rorty: “Giustizia come lealtà più ampia”.
Informazioni: Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, via Suor
Orsola 10, 80135 Napoli, tel. 081
400070- 412641
Porta Romana 19; Milano, tel. 02
804545
L’edizione 1997 del ciclo di incontri
“Cosa fanno oggi i filosofi”, a cura del
Centro Culturale Polivalente del Comune di Cattolica e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ha come
titolo Morbus sine materia, le malattie dell’anima. Intervengono: venerdì 7 marzo, M. Vegetti: “Le metamorfosi della malattia dell’anima: da
Platone a Galeno”; venerdì 14 marzo,
B. Callieri: “La questione psicosomatica”; venerdì 21 marzo, E. Borgna:
“La significazione psicopatologica e
umana della malinconia”; venerdì 4
aprile, E. Soresi: “Il cervello anarchico”; venerdì 11 aprile, G. Cosmacini:
“Il sapere della cura: corpo, mente,
ambiente, società”; venerdì 18 aprile,
G. Zucchini: “Tra patologia, normalità e salute: le sofferenze della mente”;
giovedì 24 aprile, R. Cocchi: “Lo stress
come crocevia tra mente e corpo”;
venerdì 9 maggio, U. Galimberti: “La
materia dell’anima”.
Informazioni: Centro Culturale
Polivalente, Comune di Cattolica, piazza della Repubblica 31, 47033, tel.
0541 967802, fax 967803
•
Si è aperto con una tavola rotonda
sulla filosofia di Robert Nozick a cui
hanno partecipato lo stesso Nozick,
S. Maffettone, S. Veca e A. Pizzorno, martedì 4 febbraio 1997 all’istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, il corso di perfezionamento in discipline storico-filosofiche su Filosofia civile e sociale. Questo il programma da febbraio a giugno 1997: 5-7/11-14 febbraio, R. Nozick: “Oggettività delle
scienze sociali”; 5-6 febbraio, S.
Veca: “Incertezza e teoria politica”;
7/11-12 febbraio, S. Maffettone:
“Che cos’è la filosofia sociale?”; 2425 febbraio, L. Pellicani: “Modelli
delle scienze sociali”; 3-7 marzo, A.
Negri: “Filosofia e politica nella tradizione del pensiero meridionale”;
14 marzo, A. Ferrara: “L’approccio
deliberativo e il dibattito tra Rawls e
Habermas”; 24-25 marzo, S. Petrucciani: “Marxismo e teorie politiche”;
•
Fino a che punto il senso comune è
impermeabile alle concettualizzazioni scientifiche? Le sette lezioni da
febbraio a marzo 1997, alla casa Zoiosa di Milano, su Le rivoluzioni
copernicane incompiute analizzeranno e approfondiranno il contributo delle scienze moderne e contemporanee al formarsi di una visione
70
A quale paradigma si ispirerà lo Stato del 2000? È la domanda del VI
convegno di studio della Facoltà di
Filosofia del Pontificio Ateneo della
Santa Croce, il 27 e 28 febbraio 1997,
su Politica ed Etica nella società
del 2000/ Politics and Ethics in
the Society of the Third Millennium. Partecipano : P.P. Donati, “Cri-
si dello stato sociale: prospettive per
la configurazione della ‘nuova’ società”; A. Da Re, “Il bene e il giusto:
una panoramica delle attuali proposte etico-politiche”; H. Hude, “Ci sarà
un fine comune della ‘nuova’ società?”; R. George, “Il pluralismo morale, la ragione pubblica e la legge naturale”; G. Chalmeta, “La società multiculturale”; R. J. Neuhaus, “Chiesa e
Stato nella ‘nuova’ società”.
Informazioni: Rev. Prof. Robert
A. Gahl, Pontificio Ateneo della
Santa Croce, Piazza di Sant’Apolinnare 49, I-00186 Roma, tel.06
681641, fax 06 68164400, e-mail:
[email protected]; http:
www.asc.urbe.it/fil
•
Dialettica e razionalità alla file del
XX secolo è il tema del simposio
internazionale che si tiene dal 14 al 16
marzo 1997, alla Certosa di Pontignano di Siena, a cura del Dipartimento di
Filosofia e Scienze Sociali dell’Università di Siena e dell’ Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici. Tra gli interventi: H. Heinz Holz, “Dialektische
Rationalität”; M. Buhr, “Vernunft
Rationalität Geschichte”; A. Gedö,
“Umstrittene Rationalität: philosophische Bruchstellen der gegenwänigenRationalitätsdebatte”; D. Losurdo,
“Che cos’è la dialettica? Scorribande
di uno storico”; G. Prestipino, “La
dialettica reale: limiti e pretese”; F.
Valentini, “La virtù, il corso del mondo, la razionalità”; S. Tagliagambre,
“Dalla dialettica della rappresentazione a quella della interazione”; A. Mazzone, “Libertà e tempo”; S. Garroni,
“Temi dialettici in Wittgenstein”; W.
Dietrich Gudopp Von Behm, “Zum
Begriff der Epoche”; E. Brissa, “Noterelle gramsciane: traducibilità e unità
della cultura”; N. De Domenico, “Dialettiche, buon senso, finalità”; G. Varnier, “Aspetti metodologici e aspetti
epistemologici nella Logica hegeliana”; F. Gonnelli, “Il progresso in Kant:
una tesi di filosofia della storia?”; M.
Capozzi, “La dialettica... non è una
CALENDARIO
dottrina della probabilità”; F. Vidoni,
“Dialettica e pensiero scientifico: discussioni recenti”. Sono previsti inoltre contributi di: F. Minazzi, A. Zanardi, A. Tosel, B. McGuinnes, J. Zeleny.
Informazioni: prof. Alessandro
Mazzone, Dipartimento di filosofia e
scienze sociali, Università di Siena,
tel. 0577 298566
•
Nel corso del seminario sui rapporti
tra filosofia e poesia, organizzato dall’università degli Studi di Verona, venerdì 14 marzo 1997 si tiene un incontro sul tema: Il superamento del
tragico. Forme del pensiero nella
poesia contemporanea femminile. Ida Travi, Chiara Zamboni, Cristi-
na Fischer introdurranno i testi delle
poetesse Marosia Castaldi, Vivian Lamarque, Giulia Niccolai.
Informazioni: Ida Travi, Università degli Studi di Verona, tel./fax 045
8005976
•
Dal 24 al 27 marzo 1997, all’Istituto di
Filosofia e Scienze dell’Uomo dell’Università di Palermo, si tiene il convegno internazionale From Seman-
Representations”; giovedì 27 marzo:
T. Yagisawa, “Naming and its Place in
Reference”; F. Orilia, “Kripke’s Puzzle and the Quasi-Nominalistic Theory of Proper Names”; F. Recanati,
“Topics and Truth-Conditions”; A.
Newen, “The logic of indexical thoughts”.
Informazioni: Alberto Voltolini,
Istituto di Filosofia e Scienze dell’Uomo, Università di Palermo, tel. 091
6956501
tic to Pragmatics: Problems and
Theories of Reference, organizzato
in collaborazione con il Consiglio
Nazionale delle Ricerche, il Centro
Interdipartimentale di Tecnologia della Conoscenza e la Società di Filosofia
Analitica. Intervengono: A. Bonomi,
“Contexts of Reference”; M. Di Francesco, “(Self-) Reference and Personal Identity”; K. Mulligan, “How Perception Fixes Reference”; M. La Matina, “Reference from Language to
languages”; M. Santambrogio, “Puzzling Beliefs”; P. Casalegno, “How to
Misunderstand Kripke’s Puzzle”; P.
Hoewich, “Reference from a Deflationary Perspective”; G. Rigamonti, “On
Quinean Semantic Indeterminacy”; F.
Lo Piparo, “Wittgenstein and the Biological Syntax of Reference”; E. Corazza, “Psychologis, Socialism and
Russell’s Principle”; H. Wettstein, “Direct Reference and the Later Wittgenstein”; S. Schiffer, “Reference and Propositional Attitudes”; E. Napoli, “Reports”; J. Almog, “I met (seek) a man”;
A. Voltolini, “Cognitively Contentless Significance as Semantic Content”; J. Berg, “In Defense of Direct
Belief”; P. Leonardi, “Direct Thoughts”; J. Dokic, “Some Reflections on
the Notion of an Unarticulated Constituent”; F. Costa, “The Trouble with
•
A Milano, il 3 e 4 aprile 1997, presso
la Facoltà di Scienze Politiche (via del
Conservatorio 7) si tiene un convegno
di Studio su Etica Laica e Valori,
organizzato dalla Consulta di Bioetica
e dall’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici. Partecipano: C.A. Viano,
“Che cos’è l’etica laica?”; C. Flamigni
e E. Lecadano, “L’etica laica e il problema della vita”; C.A. Defanti e D.
Neri, “L’etica laica e il problema della morte”; G. Berlinguer e J. Harris,
“L’etica laica, la salute e la malattia”;
S. Veca e A. Bagnasco, “L’etica laica, la libertà e la solidarietà”; P. Rescigno e S. Rodotà, “La concezione
laica della società e il diritto”; Pietro
Rossi e A. Gambino, “L’etica laica in
una società multi-culturale”.
Informazioni: Segreteria scientifica: Maurizio Mori, tel./fax 0372
25303; Segreteria Organizzativa: Consulta di Bioetica, via Cosimo del Fante
13, tel. 02 58300423
•
Sulla Philosophy for Children si tiene una conferenza internazionale al
King’s College di Londra, il 14 e 15
aprile 1997, con: D. Camhy, “The
Role of Philosophy ina Pluralist Society”; P. Costello, “A Reply to its
Critics”; G. Fairbairn, “Philosophy
with Children: A True experience or a
Flight of Fancy?”; A. Fisher, “Critical
Thinking: The Fourth ‘R’”; H.L. Freese, “Imagination and Reflection: Philosophical Thought Experiments in
the Context of Doing Philosophy with
Children”; C. McCall, “A Suitable Job
for a Philosopher?”; K. Murris, “What
Are Suitable for Philosophical Enquiry with Children?”.
Informazioni: Dr A.J.Dale, King’s
College,Phone: 0171 8732585,
email:a .dale@ kc l.ac.u khttp://
www.kcl.ac.uk/kis/schools/hums/philosophy/Centre.html
•
RETROSPETTIVA
Presso il Dipartimento di Filosofia
dell’Università degli Studi Roma
Tre, Reinhard Brand ha tenuto un ciclo
di seminari su L’«Antropologia Pragmatica» di Kant con il seguente programma: venerdì 10 gennaio 1997,”Introduzione alle questioni fondamentali dell’antropologia”; lunedì 13
gennaio, “Il tema della follia”; venerdì 24 gennaio, “Kant e la concezione antropologica di Pietro Verri”; lunedì 27 gennaio,”La destinazione dell’uomo”.
Informazioni: Elio Matassi, Dipartimento di Filosofia, via Magenta 5, tel. 06 491629-491629
•
Filosofia della morte come filosofia della vita, Etica e responsabilità nella società contemporanea:
questi i temi affrontati nel corso
del convegno Emmanuel Levinas:
per un’etica della memoria al
centro culturale Primo Levi Genova, il 12 gennaio 1997, a cura dei
dipartimenti di filosofia delle Università di Genova e Roma (la Sapienza). Interventi di L. Malusa, F.
P. Ciglia, B. Carucci, F. Camera,
R. Di Castro, P. Vinci, A. Luzzatto, A. Balletto, F. Baroncelli, F.
Becchino, G. Momigliano.
Informazioni: Dipartimento di
Filosofia, Università di Genova,
via Balbi 4, Genova, tel. 010
2099781
•
Sabato 18 gennaio 1997, presso il
convento Saint-Jacques di Parigi,
si è tenuto un incontro su La socio-
biologie en toute «liberté», a
certezza, società aperta e integrazione”; L. Sciolla: “Lealtà particolari e società aperta”; S. Rodotà:
“Certezza del diritto e società complesse”; A. Dal Lago: “Il multiculturalismo non esiste”; M. Bovero:
“Habermas versus Rawls: Ma che
c’entra il liberalismo?”; M. Reale:
“Riflessioni sulla democrazia a
partire da ‘Fatti e norme’”.
Informazioni: Fondazione Basso, via della Dogana Vecchia 5,
Roma, tel. 06 68307516
cura del centro di studi di Saulchoir in collaborazione con il
‘Groupe de recherches en sciences
et théologies Albert le Grand’.
Informazioni: Le centre d’études du Saulchoir, 43 bis rue de la
Glacière 75013 Parigi, tel. 0144
087197, fax 0143 310756
•
•
Per il seminario di Filosofia della
Politica su I termini della politica , organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal
Collegio Siciliano di Filosofia Sociale, sabato 18 gennaio 1997, presso il Salone Chiesa SS. Salvatore
di Siracusa, si è svolto un incontro
sul tema “Politica e Verità”, con R.
Esposito, P. Barcellona, S. Amato.
Informazioni: Collegio Siciliano di Filosofia, prof. Elio Cappuccio, tel. 0931 66544
Individual Community è stato il
tema del seminario dalla “School of
Advanced Study Philosophy”, all’Università di Londra, venerdì 24
gennaio 1997: K. Graham e S. Meckled-Garcia, “The Moral Status of Collectiveentities”; D. Archard e A. Chitty, “The Nationas Community”; M.
Gilbert e J. Wolff, “Reconsidering
the ‘actual contract’ theory of Political Obligation”.
Informazioni: Society for Applied Philosophy, Philosophy Now
stlg 4.50 Philosophy Programme
Members & Staff and Students of
Philosophy, Departments of Universities of London, Leeds, Oxford,
Yor k; philprog@sas .ac.uk or
(0171) 636 8000 ext 5105
•
•
Su Integrazione delle società
complesse e rinnovamento del
liberalismo il Dipartimento di So-
ciologia dell’Università di Roma
La Sapienza, il Seminario di teoria
critica e la Fondazione Lelio e Lisli Basso hanno promosso un convegno a Roma venerdì 24 e sabato
25 gennaio alla Fondazione Basso
a cui hanno partecipato G. Marramao: “Democrazia deliberativa e
forme del potere”; F. Crespi: “Integrazione senza ‘consenso’ e liberalismo senza ‘individuo’”; S. Maffettone: “Pluralismo culturale e liberalismo filosofico”; S. Veca: “In-
L’innovazione del sistema universitario. Verso la riforma del
percorso degli studi è stato l’ar-
gomento della lezione di apertura
del sottosegretario di Stato con
delega per l’Università, Luciano
71
Guerzoni, il 18 gennaio 1997, presso il teatro della Fondazione San
Carlo di Modena, al secondo Anno
Accademico della Scuola Internazionale di Alti Studi Scienze della
Cultura.
Le lezioni previste fino ad aprile
1997 sono: 27 -30 gennaio 1997,
Steven Lukes (Siena): “Giustizia e
riconoscimento. Contenuto e confini del concetto di giustizia sociale”; 17-21 febbraio , C. Wulf (Freie-Universitat di Berlino): “Aisthesis -Mimesis-Alterité”; 19-25 marzo, W. Schluchter (Heidelberg):
“Autonomy and Solidarity. Universalism and Contextualism”; 1418 aprile, L. Ritter Santini (Università di Munster): “Iconologia
letteraria”; 21-25 aprile, G. Filoramo (Torino): “Sulle tracce del sacro”; 26-30 maggio, A. Palmonari
(Bologna): “Identità. Dimensione
temporale e relazione del sé”.
Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, Scuola Internazionale di Alti Studi Scienze della
Cultura, via San Carlo 5, 41100
Modena, tel 059 222315
•
Il dipartimento di Filosofia dell’Università di Keele organizza
un ciclo di incontri seminariali a
cui partecipano: il 29 gennaio 1997,
H. Lafollette: “Ethical Theory and
Practice, Together Again”; mercoledì 5 febbraio, S. Houlgate; mercoledì 19 febbraio, K. Hutchings:
“Argument and Obedience: The
Janus face of Legality in Kant and
Habermas”; mercoledì 26 febbraio, E. Garrard: “On the Concept of
CALENDARIO
Evil”; mercoledì 5 marzo, A. Gallois: “Rationality and Externalism
about Meaning”; mercoledì 12
marzo, J. Tate: “A Sexual Paradigm”; mercoledì 19 marzo, P. Simons: “Whitehead and the Architecture of Being”; mercoledì 30
aprile, R. Norman: “Equality and
Priority”; mercoledì 7 maggio, G.
Micheli; mercoledì 14 maggio, A.
Hamilton: “Intention as a Mode of
Self-consciousness”.
Informazioni: Dr. Joise D’Oro,
Dep. of Philosophy, University of
Keele, tel. 01782 584085/583304;
e-mail: [email protected]
•
Il linguaggio come oggetto culturale è il tema delle tre Lezioni
Italiane promosse dalla Fondazione Sigma Tau di Roma e tenute
quest’anno da Noam Chomsky, lunedì 27, martedì 28 e mercoledì 29
gennaio 1997, al Dipartimento di
Scienze Cognitive dell’Istituto
Scientifico San Raffaele, coordinate dal direttore del dipartimento
Massimo Piattelli-Palmarini.
Informazioni: Dipartimento
Scienze Cognitive, Istituto Scientifico San Raffaele, via Olgettina,
Milano, tel. 02 26434784, fax
26434892
•
I primi due seminari della serie
The Perpetual Aristotle - quattro
seminari on-line sulla logica aristotelica - sponsorizzati dalla Aldine Press, prendono il via su Internet mercoledì 27 gennaio 1997
con gli Analitici Primi (J. South) e
Analitici secondi (S. Carson).
Informazioni: Gerald Harnett,
[email protected]
•
Le opere complete di Giordano
Bruno, pubblicate da Les Belles
Lettres - edizione critica integrale
dei testi italiani e latini con traduzione francese a fronte - con il
patrocinio dell’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, sono state presentate mercoledì 29 gennaio 1997
a Bruxelles, presso la sede del Parlamento Europeo (Salle 7 C 50, 97113 Rue Belliard). Hanno partecipato Luciana Castellina (Presidente della Commissione Cultura), Ilya
Prigogine (Premio Nobel per la
chimica, Université Libre de Bruxelles), Enrique Baron Crespo (Deputato del Parlamento Europeo),
Biagio De Giovanni (Istituto Universitario Orientale di Napoli, Deputato del Parlamento Europeo),
Gerardo Marotta (Presidente dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Giovanni Pugliese Carratelli (Accademia dei Lincei), Giovanni Aquilecchia e Rita Sturlese
(curatori dell’edizione critica),
Yves Hersant et Nuccio Ordine (Direttore della collana), Miguel Angel Granada (Vice Presidente del
Centro Internazionale di Studi Bru-
niani), Alain Segonds (Direttore
Generale della Casa Editrice Les
Belles Lettres).
Informazioni: Istituto Italiano
per gli Studi Filosofici, Via Monte
di Dio 14, Napoli, tel. 081 7641393;
rivista «Informazione Filosofica»,
viale Monte Nero 68, Milano, tel
02 55190714
prof.ssa Lelia
•PozziInformazioni:
D’Amico, Società Filosofi-
A Roma, il 30 e 31 gennaio 1997,
all’Auditorium del Goethe-Institut,
si è svolto un convegno internazionale su Il pensiero di Karl Löwith
nel centenario della nascita, a
cura dell’Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici, del Goethe Institut di Roma, dell’Università di
Roma Tre e del Dipartimento di
Filosofia dell’Università di Torino. Suddiviso in due sessioni - “Le
tappe della biografia intellettuale”e
“Motivi del pensiero di Lowith” sono intervenuti: E. Donaggio,
“Una sobria inquetudine. Karl
Lowith 1917-1928”; K. Stichweh,
“Radicalità rovesciata: la svolta
verso la ‘Gelassenheit’”; W. Schwentker: “L’esilio giapponese. 1936-41";
J. A. Barash, “Meaning in History: il
significato politico della secolarizzazione secondo Löwith”; H. Braun,”Il
ritorno in Germania e gli anni heidelberghesi”; con interventi di F. Bianco,
“Fedeltà nella distanza. Il confronto di
Löwith con Heidegger”; D. Henrich,
“Conoscenza, scetticismo e rapporto
con la natura”; T. Baumeister,”Il pensiero di Löwith tra ‘nichilimo’ e superamento del ‘nichilismo’”; H.
Schnädelbach, “La critica dello storicismo”; G. Marramao, “Tempo ciclico e tempo storico”; M. Riedel, “La
doppia prospettiva dell’esilio. Germania ed Europa nel pensiero storico
di Löwith”.
Informazioni: Goethe Institut di
Roma, via Savoia 15, tel. 06
844005-1, fax 8411628, internet:
htt p:/ /w w w.go e the .de /i t/r o m,
email: [email protected]
•
ca Italiana, Milano, tel. 02 5469020
•
Venerdì 13 dicembre, all’Istituto
Universitario Orientale di Napoli,
R. Esposito, G. Moretto e F. Vercellone si sono discussi i volumi di
S. Givone, Storia del nulla e F.
Volpi, Il nichilismo, nell’incontro
Il nichilismo, oltre .
Informazioni: Mario Agrimi,
Istituto Universitario Orientale di
Napoli, tel. 081 7605111
Per il ciclo “Orizzonte filosofia” alla
Sala Convegni ISU (corso di Porta
Romana 19) di Milano, mercoledì 11
e giovedì 12 dicembre 1996 si è tenuto il convegno: Filosofia in questione: perché esiste qualcosa e non il
nulla?; verità o stili della conoscenza?; esiste il bene comune?; bellezza
o razionalità delle cose? Sono intervenuti: G.Giorello, M. Ferraris, S.
Natoli, D.Marconi, A. Pagnini, P.
Parrini, E. Lecaldano, S. Veca, L.
Boella, F. Papi, C. Sini, S. Givone, A.
Massarenti, R. Ruschi.
Informazioni: Rivista «Informazione Filosofica», viale Monte Nero
68, Milano, tel. 02 55190714/
5519240, fax 55015245, e-mail:
[email protected]
•
In occasione della pubblicazione del
volume Il desiderio di essere. L’itinerario filosofico di Pietro Prini, a cura
di D. Antiseri e D.A. Conci, il 6
dicembre, a Napoli, presso l’Istituto
Universitario Suor Orsola Benincasa, si è tenuta una giornata di studio su
L’ambiguità dell’essere, a colloquio con Pietro Prini. Hanno parte-
•
cipato: F.M. De Sanctis, M. Bianca,
V. Cappelletti, L. D’Alessandro, A.
Masullo, V. Mathieu, G. Morra, A.
Negri, M. Schiavone.
Informazioni: Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, via
Suor Orsola 10, Napoli, tel. 081
406702
•
La sezione lombarda della Società
Filosofica Italiana organizza, all’Università Statale di Milano (Aula Crociera Alta) una serie di incontri su:
Filosofia e contemporaneità nel
dibattito tra le due guerre, nel
A Palermo, il 22 e 23 novembre
1996, presso l’Istituto di Filosofia
e Scienze Umane della Facoltà di
Scienze della Formazione dell’Università, si è tenuto il convegno di
studi Il secolo deleuziano. Sono
intervenuti P.A. Rovatti: “Nel mondo di Alice”; G. Agamben: “L’immanenza assoluta”; F. Montanari:
“Esprimere l’immanenza”; F. Polidori: “Fuori dalla filosofia”; P.
Fabbri: “Come Deleuze ci fa segno: da Hjelmslev a Peirce”; F.
Berardi: “Corpo senza organi e divenire planetario”; S. Vaccaro: “Risonanze. La macchina da pensiero
Foucault-Deleuze”; F. La Cecla:
“Deleuze era un cannibale?”; P. Di
Giovanni: “Differenza e diversità”; G. Burgio, T. Cumbo, G. Di
Benedetto, M. Gebbia, S. Lucido:
corso del quale vengono analizzate
alcune opere filosofiche significative
del rapporto tra filosofia, storia e scienza: giovedì 20 febbraio 1997, La crisi
delle scienze europee e la filosofia
trascendentale di E. Husserl, relatori V. Melchiorre e R. Panaro; 20
marzo, Tractatus logico-philosophicus di L. Wittgenstein, relatori M. Di
Francesco e P. Negri; 15 aprile: La
storia come pensiero e come azione
di B. Croce, relatori G.Lanaro e L.
Pozzi D’Amico. Il corso si chiuderà il
22 maggio con una tavola rotonda su
“Aristotelismo e Platonismo nel pensiero medioevale: testi, traduzioni, interpretazioni”, relatori : M. A. Del
Torre, M.T. Fumagalli Beonio Bocchieri, A. Ghisalberti, P. Pirzio.
72
“Caos e democrazia. Deleuze e la
politica”; F. Riccio: “La possibilità del possibile”.
Informazioni: Salvo Vaccaro,
Istituto di Filosofia e Scienze dell’Uomo, piazza Ignazio Florio 24,
90139 Palermo, tel. 091 6956527,
fax 6956518
•
La ricerca del carattere nella fisiognomia, Ipotesi scientifiche
tra Illuminismo e Romanticismo/Die Suche nach dem Charakter in der Physiognomie:
Wissenschaftliche Hypothesen
zwischen Aufklarung und Romantik: questo il titolo del conve-
gno organizzato dalla Facoltà di
Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo, al Palazzo della Regione della
città di Bergamo, dal 20 al 23 novembre 1996. Relazioni di: G. Cantarutti , P. Giacomoni, J. Leerssen,
R. Venuti, W. Zacharasiewicz, A.
Koschorke, C. Begemann, E. Agazzi, G. Cusatelli, M. Cometa, F. Rodriguez Amaya, E. Locher, G. Mattenklott, A. Valtolina, C. Vittone,
G. Fink, G. Neumann, M. Galli, T.
Wirtz, C. Fischer, I. Zingner, A.
Montandon, U. Persi, J. Kresalkova, G. Bohme, A. Holter, C. Schmolders.
Informazioni: Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Bergamo, Irma Mancini, tel. 039 35
277811, fax 277810
•
Internet e le muse è stato il titolo
del convegno tenutosi all’Istituto
Universitario di Lingue Moderne
di Milano, il 14 e il 15 novembre
1996, a cui hanno partecipato G.
Landow: “Text withouth Borders
on Internet”; M. Ricciardi: “Studenti, reti e comunità virtuali: protagonisti e nuovi ambienti”; M. Yoneyama: “Filosofia e Informatica”;
P. Ferri: “Apocalittci o integrati:
per una filosofia della rivoluzione
digitale”; L. Toschi: “L’ipertesto
d’autore. Verso una retorica del
testo elettronico”; C. Cazale Berrad e R. Mordenti: “Libertà e responsabilità del critico/editore/ermeneuta in ambiente elettronico interattivo”; M. C. Vettraino Soulard:
“Internet et ses mythes”.
Informazioni: Istituto Universitario di Lingue Moderne (IULM),
Milano, tel. 02 582181
•
CALENDARIO
Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
SEDE DI NAPOLI
Palazzo Serra di Cassano
Via Monte di Dio 14
10-13 marzo 1997
Roberto Esposito
(Istituto Universitario Orientale, Napoli)
Le idee del Novecento:
il totalitarismo
Le interpretazioni classiche - Totalitarismo, autoritarismo, tirannide - Totalitarismo e politica - Totalitarismo e
filosofia.
17-21 marzo 1997
Paolo Lucentini
(Istituto Universitario Orientale, Napoli)
La tradizione ermetica
nel medioevo latino
Origini e natura della tradizione ermetica
- Ermete Trismegisto e i Padri della
Chiesa- Ermetismo eplatonismo: I’Asclepius nel secolo XII - L’ermetismo filosofico e magico-astrologico nei secoli XIIIXIV - Il Libro dei ventiquattro filosofi.
24-27 marzo 1997
Michael J. Petry
(Università di Rotterdam)
Franz Hemsterhuis e il pensiero
europeo
Spinoza e i suoi critici olandesi - Newton
e l’Illuminismo inglese - Diderot e gli
enciclopedisti francesi - Kant e i romantici tedeschi.
24-27 marzo 1997
Claudia Melica
(Istituto Italiano per gli Studi Filosofici)
L’opera di Franz Hemsterhuis
La Lettera sull’ateismo di Hemsterhuis e
il dibattito sul panteismo - La biblioteca
privata di Hemsterhuis, la sua conoscenza scientifica e i suoi rapporti con gli
scienziati italiani - La relazione con la
Gallitzin: i testi pubblicati e i manoscritti
a lei indirizzati (il Gallitzin Nachlab )
1-4 aprile 1997
Emilio Hidalgo-Serna
(Università di Braunschweig)
Poesia e filosofia di Antonio
Machado e Octavio Paz
La poetica di A. Machlado: Juan de
Mairena - A. Machado e la funzione
filosofica della sua poesia - L’arco e
la lira di O. Paz «La poesia è conoscenza».
1-4 aprile 1997
Geminello Preterossi
(Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici)
Da Hegel a Weimar
La dottrina ottocentesca dello Stato Schmitt e il “duplice volto” di Hegel Kelsen e il modello del “diritto statuale
esterno” - Smend e Heller: teoria dell’integrazione e sovranità democratica.
1-4 aprile 1997
Giovanni Stelli
(Istituto Italiano per gli Studi Filosofici)
Il relativismo contemporaneo
e il problema del fondamento
ultimo
Il relativismo contemporaneo come “spi-
rito del tempo” e come principio della
filosofia - Il relativismo contemporaneo
e l’insu perabilità dei “conflitti interetnici” - Riflessione trascendentale e fondamento ultimo: I’autodissoluzione del relativismo e la “prova apagogica” - Riflessione trascendentale e ontologia; la “differenza ontologica”.
le sue radici.- Semier L’apporto di Lessing e di Herder - L’evoluzione della
dogma tica tra Sartorius e Storr - Influenze illuministiche nella prima formazione
di Hegel.
ne con la rivelazione nel cammino
della filosofia (San Tommaso, Kant,
Hegel) - Circolarità e complementarietà fra ragione e rivelazione nell’approccio contemporaneo.
28 aprile - 2 maggio 1997
Paul Ricoeur
(Università di Parigi X - Nanterre)
19-22 maggio 1997
Lea Ritter Santini
(Università di Munster)
7-9 aprile 1997
Silvia Vegetti Finzi (Università di Pavia)
Pluralità delle lingue e problema
della traduzione
Mito e storia
Le idee del Novecento: inconscio
5-9 maggio 1997
John E. Murdoch (Harvard University)
Crisi del soggetto classico ed emergenza dell’inconscio - Paradossi della
conoscenza e statuto della verità - Identità e femminilità.
Figure del mito e identificazione storica - Erudizione mitologica e invenzione letteraria - Miti di segregazione
- Miti di elevazione.
Problems of newtonianism
5-9 maggio 1997
Vincenzo Vitiello
(Università di Salerno)
21-23 aprile 1997
Giuseppe O. Longo
(Università di Trieste)
Ordine e differenza Vico
e la fondazione epistemica
della storia
Le idee del Novecento: informatica
Informazione e intelligenza artificiale Le radici dell’informa tica - Dal calcolatore alle reti.
Le idee del Novecento: potere
Le interpretazioni novecentesche di Vico
- Philosophia et Philologia - Il principio
universale del sapere: dal verum ipsum
factum alla rerum ordini conformatio L’orizzonte trascendentale della storia:
Vico e Kant - Il rapporto natura-storia:
Vico e Hegel.
Potere-dominio (M. Weber) - Poteresapere e potere-influenza (da Nietzsche a
Foucault) - Potere simbolico: auctoritas
e potestas.
12-16 maggio 1997
Marcello Sánchez Sorondo
(Pontificia Università Lateranense)
21-23 aprile 1997
Giacomo Marramao
(Terza Università di Roma)
Per un progetto di filosofia aperta
alla fede
21-24 aprile 1997
Adriano Tassi
(Istituto Italiano per gli Studi Filosofici)
La lettura razionalistica della Scrittura e
I cardini di una filosofia aperta alla
fede secondo Paolo (Atti 17,22 ss) - Il
fondamento dell’esistenza di Dio - La
dignità primaria dell’essere umano
come persona - Incontro della ragio-
Napoli, 19-21 giugno 1997
Venezia, 28 febbraio - 1 marzo 1997
In collaborazione con l’Hastings
Center di New York, conferenza
internazionale su The Goals of
Presso l’Aula magna dell’istituto
Universitario di Architettura di Venezia, dal 28 febbraio al 1 marzo
1997,, si tiene il I X Convegno
Filosofia e religione nell’età
dell’Aufklarung
Medicine: new perspectives for
the third millennium. Interventi:
veneziano di cosmologia e filosofia: L’antichità del nuovo. Le
radici classiche della scienza
moderna. Venerdì28 febbraio: P.
R. Baker, “History and the Goals of
Medicine”; L. Nordenfelt, “Health as
a Goal of Medicine”; R. Gillon, “A
tentative Model for the Goals of Medicine”; J. Payne, “Methode for
Thinking about the Goals of Medicine”; J. Burrows, “A Global Perspective: Burden of Future Cancer Care”;
C. Defanti, “Concepts of Death and
the Goals of Medicine”; K. Boyd,
“Old Age: Something to look forward
to?”; M. Mori, “Assisted Reproduction and the Goals of Medicine”; G.
Sponhalz, The Influence of Human
Genetics on the Goals of Medicine”;
Q. Renzong, “The Goals of Medicine
in a Multicultural Context”; A. Suwandono, “The Goals of Medicine
and the Problkem of Developing
Countries”; R. De Sanctis, “Medicine, Mass Media and Ethical Problems”; G. Allert, “Teaching the Physicians of Tomorrow”; M. Marigo,
“Ethical Problems and Medical
Education”; D. Gracia, “Goals of
Medicine: From Theory to Practice”; D. Callahan, “Ends and Means in Medicine”.
Bozzi, “Letture sorprendenti: osservazioni fatte ora, proposizioni
scritte allora”; L. Accardi, “Il ritardo del caso”; A. Hayli, “L’eliocentrismo: un’idea antica ripresa
diciotto secoli più tardi”; C. Sini,
“L’eternità del principio”; sabato
1 marzo: S. Corradino, “L’umanesimo scientifico della Compagnia
di Gesù nel Sei e Settecento”; M.
Hack, “Modelli cosmologici dall’antichità a oggi”; L. Woltjer,
“L’universo in evoluzione”; L.
Russo, “La rivoluzione dimenticata”; P. Budinich, “Anticipazioni
dell’odierna fisica teorica nel pensiero presocratico”; P. Zellini, “Il
logos matematico e le radici del
pensiero algoritmico”; G. Giorello, “Pianeti ed extraterrestri in
Kant”; J. Luminet, “Cosmologia e
poesia”; G. Salvini, “La fisica: i
grandi progressi attuali, le domande eterne”.
73
26-30 maggio 1997
Francis Jacques
(Institut Catholique de Paris)
L’orde du texte
Du Linguistic turn aux Textual turn
en philosophie - Trois raisons pour
distinguer discours et texte - Y-a-t’il
des univer saux de la textualité? Interrogativité et textualité - Pourquoi distinguer des types de textes:
philosophiques, littéraires, religieux,
scientifiques.
SEDE DI VENEZIA
Cannaregio 2593, Calle Longo
tel 041 717940 fax 041 720510
17-21 marzo
Mario Ruggenini
(Università di Venezia)
Il discorso dell’altro:
ermeneutiche della finitezza
lunedì 17 marzo, Mondo e linguaggio.
Da dove comincia il discorso dell’altro; martedì 18 marzo, L’altro e l’assenza; mercoledì 19 marzo, L’altro e
l’essere; giovedì 20 marzo, L’altro e il
tempo; venerdì 21 marzo, Il Dio, la
morte, la contraddizione. Dove finisce
il discorso dell’altro?
7-11 aprile
Carlo Sini (Università di Milano)
L’etica e la scienza
lunedì 7 aprile, Hilary Putnam e il realismo scientifico martedì 8 aprile, Le cose
e le parole: dal Cratilo ad Alfred Kallir
mercoledì 9 aprile, La genealogia del
conoscere giovedì 10 aprile, La metafisica come analogia simbolica venerdì 11
aprile, L’etica del sapere.
5-9 maggio
Paolo Rossi (Università di Firenze)
La nascita della scienza moderna
lunedì 5 maggio, Gli ostacoli; martedì 6 maggio, Le cose mai viste; mercoledì 7 maggio, Filosofia meccanica, chimica, magnetica; giovedì 8
maggio, L’infinito; venerdì 9 maggio, Gli strumenti e le teorie.
19-23 maggio
Pier Aldo Rovatti (Università di Trieste)
Michel Foucault e la storia
della follia
lunedì 19 maggio, Interno ed esterno;
martedì 20 maggio, Il silenzio e le
parole; mercoledì 21 maggio, “Essere giusti con Freud”; giovedì 22 maggio, Il caso Pierre Rivière; venerdì 23
maggio, La follia di Foucault.
DIDATTICA
DIDATTICA
a cura di Riccardo Lazzari
Interventi, proposte, ricerche
Una tendenza in atto nell’ambito del
dibattito sull’insegnamento della filosofia è quella di ricercare opportune
sedi di confronto e di approfondimento
che, senza prescindere dagli aspetti
complessivi della disciplina, consentano ai docenti di confrontarsi sul “come”
della sua comunicazione in una situazione di carattere scolare. Un esempio
di questa tendenza è la recente apparizione del primo «Quaderno di filosofia
e didattica della filosofia», intitolato
INSEGNARE E APPRENDERE A FARE ESPERIENZE
(Giuseppe Laterza
Editore, Bari 1996), promosso dalla
Società Filosofica Italiana - Sezione di
Bari e curato da Mario De Pasquale.
Sulla stessa linea di tendenza si pone il
dibattito presente sul «BOLLETTINO DELLA
SOCIETÀ FILOSOFICA ITALIANA», di cui si segnala in particolare il n. 158 (maggioagosto 1996), che ospita interventi di
Sergio Cicatelli e Antonino Postorino.
DI FILOSOFIA IN CLASSE
Il «Quaderno» della sezione di Bari della
S.F.I., che ospita interventi di M. De Pasquale, A. Gentile, F. Maurino, R. Ruggiero e M.
Trombino, è nato come una riflessione a più
voci su di un’esperienza di insegnamento
della filosofia secondo il cosiddetto “Programma Brocca” e vuole anzitutto rispondere
all’esigenza, di molti docenti, di ovviare alla
«mancata problematizzazione... del canale
comunicativo-didattico da essi utilizzato»,
nell’ottica di promuovere una specifica ricerca teorica ed empirica nell’insegnamento della
filosofia e di favorire il confronto delle idee e
delle esperienze. Si è trattato perciò di far leva
su quello “stile sperimentale” che sempre più
si richiede oggi a chi insegna nella scuola
secondaria superiore. Del resto, come mette
in luce De Pasquale, la ricerca teorica sulla
didattica della filosofia non è estranea al
destino medesimo della filosofia: «Nella nostra attività sperimentiamo anche un modo di
essere filosofi, frequentando i luoghi di confine della filosofia, le sue frontiere, nella
relazione che essa instaura con la complessità
del mondo in cui viviamo e con la società
civile (...). Noi docenti, nel tentativo di mediare la ricchezza della tradizione disciplinare con le nuove generazioni, ci facciamo
carico del destino della filosofia nel futuro,
nel tempo dell’istruzione di massa».
Proprio in quanto figura di frontiera tra filosofia e società, al docente è affidata oggi una
specifica responsabilità, che trova il suo ambito di attuazione in quella che si può definire
la «filosofia insegnata»: non si tratta di una
formula per intendere un sapere già compiuto, un insieme di conoscenze già date che
vanno passivamente trasmesse agli allievi,
ma di un modo di fare filosofia che si confronta col «problema del senso per l’altro delle
teorie filosofiche», e che pertanto non può
prescindere dal misurarsi con «le voci inespresse, le istanze, i bisogni, i timori, i linguaggi, le visioni del mondo, gli stili cognitivi
ed espressivi dei giovani allievi». In una
parola, si tratta dell’esperienza del «confilosofare per i giovani» con i grandi autori. A
questo fine si richiede una mediazione didattica, purché essa non scada a mero tecnicismo
o a espediente per rendere attraente il messaggio filosofico, ma sappia declinarsi nel senso
di una esperienza di filosofia.
Ciò esige da un lato il passaggio da un apprendimento in classe finora basato su una “filosofia raccontata” attraverso il manuale o la
spiegazione del docente, rispetto a cui gli
studenti restano uditori passivi, ad un dialogo
con i grandi autori della tradizione, nella
prospettiva di “confilosofare” con loro attraverso i testi; dall’altro esige che il filosofare
venga appreso come «un’attività fruibile nella quotidianità dei contesti di vita da parte di
tutti». Se è peraltro vero che nel “confilosofare” è coinvolta la totalità della persona del
docente, un’adeguata programmazione dell’insegnamento della filosofia non può non
tener conto di definire obbiettivi sia dell’area
cognitiva sia dell’area affettiva. A questo fine
viene offerto nel «Quaderno», a livello esemplificativo, un protocollo degli obiettivi e
delle operazioni nelle varie fasi dell’attività
didattica che si svolge intorno alla lettura del
testo filosofico, secondo una “tassonomia a
spirale” che distingue, relativamente all’incontro con il testo e con l’autore, fra una
dimensione semantica, una dimensione sintattica e un giudizio personale. Vengono poi
forniti esempi di unità didattiche, che hanno
trovato esecuzione presso i Licei “Salvemini”, “Fermi” e “Orazio Flacco” di Bari.
Un’altra riflessione condotta a più voci su
questo «Quaderno» della S.F.I. di Bari ri74
guarda l’esperienza della “comunicazione
secondo regole”: l’assunto di fondo è che il
problema della comunicazione non si pone
soltanto entro la didattica della filosofia, ma
che costituisce anche la cornice più generale
in cui situare lo stesso problema della didattica della filosofia come «forma circoscritta
delle più ampie dimensioni della comunicazione». Viene inoltre fornita una griglia di
obiettivi riguardanti la promozione di apprendimenti, teorici ed esperienziali, sulla
comunicazione, e viene illustrato un percorso
didattico, attraverso testi platonici, finalizzato a sviluppare un discorso sulla comunicazione. Altre riflessioni condotte sul «Quaderno» riguardano il tema della valutazione e le
prospettive future inerenti alla ricerca didattica in filosofia.
Sul n. 158 del «Bollettino della Società filosofica italiana» la Commissione Didattica
traccia un bilancio dell’iniziativa relativa all’apertura del Bollettino agli interventi sulla
didattica, e annuncia che il primo numero del
’97 sarà dedicato a due temi specifici: il
recupero e la valutazione, sollecitando pertanto contributi in questo senso. S. Cicatelli si
sofferma su Un esempio di prova strutturata
per la comprensione del ‘Discorso sul metodo’ di Cartesio, la cui struttura («molto semplice») consiste nel proporre allo studente,
dopo la lettura integrale del testo, «60 domande a risposta chiusa con quattro alternative»
da «somministrare» in due riprese, all’interno di un percorso didattico che dura circa un
mese. Più che un semplice test, la proposta
qui avanzata vuole essere quella di un «completo sussidio didattico». A. Postorino avanza invece una riflessione Sulla questione didattica dei testi filosofici. L’itinerario disegnato di avviamento alla lettura dei testi si
articola in alcuni “passi” fondamentali: la
presentazione della filosofia come “distruzione delle certezze” e, al tempo stesso, come
«ricerca di una certezza non suscettibile di
distruzione», l’analisi delle ragioni del desiderio umano di certezza, l’analisi della risposta magico-religiosa alla “domanda fondamentale” e dell’approccio “filosofico” a essa,
l’avviamento alla prima forma storica della
sophìa come scienza dell’arché e il passaggio
alla lettura dei testi.
Sul n. 31 di «Sensate esperienze» si segnala
inoltre, in questo contesto di discussione,
Un’esperienza di lettura del testo filosofico di
DIDATTICA
Giuseppe De Lucia, relativa ad un percorso
d’insegnamento condotto in una classe seconda del Liceo-Ginnasio “Corradini” di
Thiene (Vi). L’esperienza in questione è stata
realizzata con la lettura del Discorso sul metodo di Cartesio: dopo la lettura in classe di
sequenze di testo, si è proceduto ad assegnare
agli studenti lo svolgimento di particolari
esercitazioni, promovendo il lavoro di gruppo e soprattutto la discussione delle risposte
ai quesiti proposti.
Sulla «Nuova secondaria» (a. XIV, n. 3,
novembre 1996) troviamo un ampio approfondimento dedicato a Cartesio: A 400 anni
dalla nascita. Cartesio: un filosofo da rileggere, con contributi specifici di Ettore Lojacono, Giulia Belgioso, Marta Fattori, JeanPierre Cavaillé. Da un lato si conferma il
riconoscimento di Cartesio tra i fondatori del
razionalismo, ma dall’altro si avanza anche
l’esigenza sia di definire meglio quest’ultimo, sia di documentare la ricchezza dei percorsi intellettuali del filosofo, senza appiattirla ad alcun cliché storiografico. R.L.
Dizionario di filosofia
Costituisce un utile strumento di studio il
DIZIONARIO DI FILOSOFIA (La Nuova Italia, Firenze 1996), a cura di Paolo Rossi, Bruno
Mancini, Giuseppe Marini, Michela Nacci,
Silvia Parigi. Diversamente dal classico
dizionario, quest’opera offre un’esposizione tematica e concettuale che prescinde dai singoli autori.
Nella “Premessa al Dizionario”, Paolo Rossi
chiarisce come esso sia stato concepito come
«un primo strumento per quei giovani che
iniziano un loro personale rapporto (mediato
dall’insegnamento) con quel gigantesco, complicato, proliferante e affascinante oggetto
che è la filosofia». Proprio per questa sua
finalità, il Dizionario di filosofia non intende
sostituire il manuale di filosofia (tanto più
che, volutamente, non ricorrono tra le voci
che lo compongono i nomi degli autori), ma
punta su «una lettura trasversale» che fa riferimento «ai temi e ai problemi», indicando
«la persistenza dei termini, il lento (a volte
improvviso) variare dei significati» e favorendo la costruzione di percorsi tematici.
Questi ultimi sono agevolati sia dalla presenza di voci che si richiamano alle tradizioni
filosofiche, sia da una molteplicità di rimandi
posti all’interno dei singoli lemmi. Non mancano neppure rimandi ad argomenti “attuali”,
che sollecitano l’interesse dei giovani: per
questo non si sono fatte mancare voci come
Animalismo, Bioetica, Destra/Sinistra, Razza/Razzismo e numerose altre.
Pensato come strumento per i giovani che
iniziano ad avvicinarsi a questa disciplina, il
Dizionario di Filosofia costituisce un aiuto
più che valido anche per tutti quegli interessati meno giovani che hanno perso di vista i
concetti basilari della filosofia. In 435 pagine,
più di trecento voci offrono un panorama
esauriente di quello che propone la filosofia
attraverso i concetti principali, le correnti
filosofiche e i percorsi tematici. Caratteristica
del volume, infatti, è l’assenza di protagonisti
del pensiero filosofico, che compaiono solo
all’interno dell’indice analitico, in chiusura
del volume, rimandando ai concetti di riferimento, in modo da offrire una descrizione
tematica e concettuale in cui le idee si muovono staccate dagli autori. Il vantaggio è un’analisi anche evolutiva dei movimenti filosofici
indicati a discapito della parte biografica,
totalmente assente, degli autori citati.
Molto interessanti, a uso scolastico, sono i
percorsi tematici che riportano fedelmente lo
sviluppo dei concetti. Così troviamo, ad esempio, l’evoluzione del concetto di “dialettica”
a partire da Platone, passando per Kant sino a
Hegel e Marx; o quello di “ermeneutica”
dalle interpretazioni classiche fino a quelle
gadameriane. Curiosa è la presenza del termine “filosofia” che compare in tutte le sue
accezioni e interpretazioni a seconda dello
sviluppo storico a cui si fa riferimento.
Ampio spazio è dedicato anche alla parte
categoriale e terminologica, essenziale per
chiunque voglia avvicinarsi alla filosofia.
Troviamo così termini come “induzione” e
“deduzione”, “ontologia” o “gnoseologia”,
che costituiscono il vocabolario di chiunque
voglia acquisire un linguaggio filosofico corretto ed esauriente. Per quanto riguarda i
contenuti, è forse dedicato più spazio alla
parte teoretica a discapito di quella pratica ed estetica. Basti pensare, ad esempio,
che il concetto di io è analizzato in tutte
le sue accezioni teoretico metafisiche,
mentre la sua concezione morale è messa
in secondo piano. Inoltre, si nota molta
attenzione alla filosofia contemporanea;
Heidegger, ad esempio, è uno dei filosofi
più citati. R.L./A.S.
CALENDARIO
A Palermo nei giorni 13-15 marzo 1997 si tiene il XXIV
Convegno Nazionale, valevole ai fini della professione
della carriera, promosso dal CIDI (Centro Iniziativa
Democratica degli Insegnanti) e dalle Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori sul tema: La scuola nella società della conoscenza - formazione, tecnologia,
informazione, modelli di vita. Giovedì 13 marzo, ore
9.30: “La società della conoscenza” (C. Marrocchi,
A.Sasso, F. Colombo, L. Gallino; E. Resta); ore 15.30:
“Per il progetto cultrale “ (S. Bonsanti, P. Fabbri,
A.Oliverio, A. Ruberti, T. De Mauro); venerdì 14 marzo,
ore 9.30: “Esigenze della società e bisogni formativi” ( G.
Chinnici, G. Cerini, R. Conserva, W. Moro); ore 15.30:
“Gruppi di apprendimento e di confronto”; sabato 15
marzo ore 9.30: “Una politica per la formazione”(P.
Puccio, L.Violante) ; ore 15.30: “Dal progetto al governo
della trasformazione” (L. Berlinguer, E.Coniglione);
Infomazioni: Servizitalia-turismo & congressi,
V.le S.Puglisi 15, 90143, Palermo, tel. 091/6250453- fax
091/ 303150
•
Istituzioni del pensiero laico: l’esperienza giuridica è il titolo del corso che si tiene a Milano a cura
dell’associazione Studium Cartello, in collaborazione
con il Servizio Formazione Permanente dell’Università
Cattolica, con il seguente programma: 8 marzo:
A.Santosuosso, “Bioetica e diritto”; 22 Marzo: F. Botturi, “Modernità e giuridicità da Hobbes a Vico”; 5 aprile:
T.Perlini,”Diritto, modernità e autonomizzazione delle
sfere culturali”; 19 aprile: S. Natoli, “Colpa, paura,
redenzione”; 3 maggio: G. Spazzali,” Pentimento e
pentitismo”; 24 Maggio: G. Feliciani, “ L’esperienza
giuridica individuale nel diritto della Chiesa cattolica”; 7
giugno: E. Rigotti, “Competenzalinguistica e competenza giuridica”; 21 giugno: Tavola rotonda e discussione.
Informazioni: G. Genga, Studium Cartello, T.
•02/76006879
La Sezione novarese della SFI propone un corso di studio
e di aggiornamento, valevole ai fini della professione
della carriera, sul tema: Filosofia e letteratura tra ’800
e ’900. Inaugurato da C. Sini con una relazione sul tema:
“Filosofia e letteratura tra ’800 e ’900: introduzione alla
lettura dei rapporti fra le due discpline”, il corso prevede
il seguente calendario: 14 febbraio: G. Barberi Squarotti,
“Manzoni filosofo”; 25 febbraio: E. Rambaldi, “Leopardi pensatore”; 14 marzo: E. Fagiuoli, “Nietzsche letterato”; 21 marzo: S. Moravia, “Pirandello filosofo”; 11
aprile: S. Arcoleo, “Sartre letterato e critico della letteratura”; 6 maggio: G. Zaccaria, “Heidegger e la poesia” e
si chiude il 13 maggio con un seminario sulla didattica
interdisciplinare tra le Materie letterarie e la Filosofia .
Informazioni: SFI - Sez. di Novara, Via Giovannetti 8, T. 0321/ 398895
•
Presso la sede milanese dell’ IRRSAE Lombardia è in
corso un’ampio progetto di formazione su La didattica
della filosofia in chiave interdisciplinare. Una prima
sezione già conclusa ha visto il 13 dicembre scorso
l’intervento di C. Mangione sul tema: “La crisi dei
fondamenti della matematica”, seguito da un incontro
organizzativo il 9 gennaio sui temi: “Filosofia e formazione” (P. Zanelli e G. Molinari), “Filosofia e matematica” (M. Negri), “Filosfia e letteratura”(Gavianu), “Filosofia e comunicazione” (G. Sidoni). La seconda fase
prevede l’attivazione di seminari specifici nei mesi di
febbraio-aprile 1997 su: “Filosofia e letteratura”, “Filosofia e formazione”, “Filosofia e matematica”.
Informazioni: Silvio Restelli, IRRSAE Lombardia, Via Leone XIII 10, Milano, T. 02/ 4818331
•
75
Il Centro per la formazione e l’aggiornamento Didattica e Innovazione Scolastica (DIESSE) propone, a
partire da febbraio 1997, un corso di aggiornamento
- approvato nel piano provinciale del Provveditorato
agli studi di Milano -dal titolo: Percorsi paralleli.
Tra i relatori: A. Ricagni, M.S. Bellada, M. Franchi,
A. Caspani, G. Massone, E. Arnone, L. Polo, G.
Meroni, A.M. Ferrari.
Informazioni: Nicola Itri, Via Boltraffio 21, 20159
Milano, T. 02/606390 - 606377, Fax 02/6880981
•
L’ UCIM organizza a Roma nei giorni 17 - 21 febbraio
il XIX Congresso nazionale sul tema: Quale progetto
culturale ed educativo alle soglie del terzo millennio? Riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istru-
zione all’interno del piano nazionale di aggiornamento, il convegno si articola con la seguente scansione tematica: “L’unità delle culture nell’età della
tecnica” (M. Buzzoni), “L’istruzione al servizio dell’educazione” (L. Caimi), “Il ruolo del lavoro e della
formazione nel processo educativo”; “Il rapporto fra
il sistema dell’istruzione e il sistema della formazione” (D. Nicoli); “Dal centralismo e dal decentramento alla autonomia scolastica. I riflessi a livello di
ministero, di regione e di scuola”(S. Pajno); “La
famiglia e il suo contributo al processo personale e
sociale di formazione e di sviluppo. Una rilettura
storica del problema; uno sguardo prospettico” (G.
Campanini); “Valutazione dell’apprendimento e valutazione dell’insegnamento per una scuola promozionale e orientativa”(I. Fassin), “Quale progetto
culturale ed educativo alle soglie del terzo millennio”
(C. Checcacci).
Informazioni: Domus Mariae, Via Aurelia 481,
00105 Roma, tel. 06/66000576 - 6623138 - 662494
•
STUDIO
STUDIO
Leggere
la “Critica della ragion pura”
Costituisce un valido strumento di studio l’introduzione alla lettura della
kantiana CRITICA DELLA RAGION PURA (La
Nuova Italia scientifica, Roma 1996) di
Raffaele Ciafardone. Il volume, che affianca, nella stessa collana, due precedenti testi di introduzione alle altre
‘Critiche’ kantiane, presenta gli obiettivi della prospettiva critico-trascendentale anche in riferimento alle opere pre-critiche e agli altri scritti dell’epoca.
In poco più di duecento pagine lo studio di
Raffaele Ciafardone presenta e analizza i contenuti della Critica della ragion pura kantiana.
Il testo è strutturato in tre parti che analizzano il
contesto filosofico nel quale si sviluppa il criticismo, la produzione pre-critica e, finalmente,
l’esposizione dell’opera. Chiudono il volume
una breve biografia e una bibliografia dettagliata in italiano e non.
Con un linguaggio sufficientemente semplice e chiaro, Ciafardone illustra il rapporto tra
il criticismo e le filosofie precedenti, evidenziando il rapporto tra la filosofia di Kant,
l’empirismo, il razionalismo e la filosofia
illuminista. Costituisce un’introduzione anche la seconda parte del volume che analizza
le opere precritiche, dagli scritti di geografia
astronomica a quelli critici sulla metafisica.
L’argomento centrale è comunque l’analisi
della Critica della ragion pura, che è presentata a partire dagli intenti fino alla realizzazione compiuta. L’analisi verte principalmente sui principi del criticismo, del concetto di trascendentale e della rivoluzione copernicana, mentre poco spazio è dedicato
all’analisi dei giudizi, forse non considerati
fondamentali. I due obiettivi dell’opera, ovvero la giustificazione della fisica e la critica
della metafisica, sono qui fondati a partire
dal problema trascendentale e conoscitivo,
che diventa il perno attorno al quale ruota
questo studio. La tripartizione della Critica
della ragion pura, infatti, assume qui i contorni della prospettiva gnoseologica piuttosto che scientifica. In altre parole, Ciafardone presenta Kant non tanto come il difensore
del meccanicismo e della fisica newtoniana,
quanto il fondatore della prospettiva critico-
trascendentale. In questo modo, l’Estetica
trascendentale, più che costituire la fondazione della matematica, rappresenta l’analisi
della conoscenza sensibile attraverso le forme a priori dello spazio e del tempo. Lo
stesso accade per l’Analitica dove il problema del meccanicismo è appena accennato
per lasciare spazio alla fondazione della conoscenza intellettuale grazie alla deduzione
e allo schematismo trascendentale. Diverse
pagine sono dedicate all’analisi dell’io penso e alla differenza tra il pensare e il conoscere. Infine, l’analisi della Dialettica sfocia
nella illusorietà della ragione che fallisce di
fronte ai paralogismi, alle antinomie e alla
teologia. Nonostante lo scacco finale, ricorda Ciafardone, alla ragione restano le strade
della pratica e dell’estetica, unico campo in
cui l’infinito resta raggiungibile. A.S.
Differenti significati
del positivismo
Nel volume dal titolo EREDI DEL POSITIVISMO. RICERCHE SULLA FILOSOFIA ITALIANA
TRA ‘800 E ‘900 (il Mulino, Bologna 1996)
Antonio Santucci mostra come non
sia possibile fornire un’immagine unitaria del positivismo, che è invece costituito da molteplici aspetti e si snoda in differenti percorsi.
Secondo Antonio Santucci il positivismo
rappresenta un movimento filosofico complesso ed eterogeneo che non può essere
facilmente riducibile a formule unitarie
che lo definiscano globalmente o in modo
schematico, come alcune interpretazioni
recenti hanno cercato di fare, considerandolo un “romanticismo della scienza”, legato alla teoria hegeliana, o ritenendolo
caratterizzato da due dimensioni, quella
umanistica e quella scientifica. Tali schematizzazioni possono essere evitate se questo movimento filosofico viene inquadrato
all’interno delle coordinate sociali, come
quelle capitalistiche, individuando le “infrastrutture mentali” su cui esso si fonda o
scorgendo i legami che il positivismo stabilisce con altre concezioni filosofiche, come
le teorie socialiste, marxiste, nazionalisti76
che, evoluzionistiche, psicologiche e persino idealistiche.
Nel delineare il panorama filosofico del
positivismo, Santucci individua da una
parte, nel panorama italiano, Cattaneo e
Ardigò, dall’altra i naturalisti come Tomasi, Lombroso e Villari; autori che non
possono essere riuniti sotto il comune
denominatore dell’opposizione alla metafisica, poiché è necessario distinguere
tra quei positivisti che attribuiscono alla
filosofia il compito di «generalizzare i
risultati di altre discipline» e quelli che
invece le riservavano il compito di analizzare l’esperienza. Del resto, osserva
Santucci, se vengono esaminati i dibattiti e ci si immerge nel vivo delle dispute
del primo Novecento del positivismo,
come ha sottolineato Garin, diventa difficile fissare i confini tra le “revisioni
positivistiche” e la “rinascita dell’idealismo”, e facili sono gli “equivoci”, gli
“scambi delle parti”. Così è avvenuto
che, se il compito dei positivisti era quello
di rendere manifesto “il senso umano
della scienza”, quello degli idealisti era
piuttosto di chiarificare “il valore scientifico della storia”.
Nel lungo percorso seguito da Santucci
attraverso i differenti significati del positivismo emergono, inoltre, alcune tendenze
paradigmatiche. Così se Enriques considera la realtà scientifica come una “costruzione” che implica «un processo di approssimazione», identificandosi con un «progetto aperto ai controlli futuri», Ardigò
considera fondamentale il problema gnoseologico in relazione alle teorie di Berkeley e di Hume, di Mill e degli empiriocriticisti. D’altra parte, se Ferrari si oppone
alle accuse dell’idealismo di collocare la
psicologia nell’ambito del sapere e di conferirle di conseguenza una reale consistenza nella varietà degli indirizzi, Labriola e
altri positivisti favoriscono un incontro tra
il positivismo e il marxismo attraverso l’analisi del legame esistente tra le teorie positiviste da un lato e le forze produttive e le
lotte di classe dall’altro.
D’altro canto, osserva Santucci, gli aspetti
negativi del positivismo, come l’esaltazione di un sapere totalmente empirico incapace di «elevarsi alla purezza del concetto», la presenza di una concezione natura-
STUDIO
listica della storia e della politica, la prevalenza di una “mentalità massonica”, possono essere corretti solamente rivalutando la
tradizione del pensiero italiano da Machiavelli a Vico: l’esito sarebbe stato un idealismo “riformato” senza metafisica. M.Mi.
La linguistica del Novecento
Nel volume dal titolo: LA LINGUISTICA DEL
(il Mulino, Bologna 1996)
Giulio C. Lepschy propone un quadro
generale di questa disciplina attraverso l’esame dei suoi diversi aspetti,
dalle riflessioni dei filosofi che si sono
occupati di essa ai suoi rapporti con
altre discipline.
NOVECENTO
Nella sua indagine della linguistica Giulio
C. Lepschy ne sviscera tutte le diverse manifestazioni in rapporto alle riflessioni dei
linguisti e dei filosofi che si sono occupati di
questa disciplina. In primo luogo, Lepschy
mostra come nella linguistica del Novecento
ricopra una posizione centrale De Seaussure, le cui analisi hanno contribuito allo sviluppo delle scuole strutturalistiche a cui appartengono Benveniste, Trubeckoy e Jakobson. La componente principale di questo
pensiero è quella relativa all’affermazione
della “radicale arbitrarietà” del segno linguistico che si esplica nel rapporto tra significante e significato, tra parola e cosa. Tale
arbitrarietà esprime, secondo Lepschy,
“l’estraneità dell’uomo” dovuta alla sua condizione di “gettatezza” nel mondo, divenendo simbolo di una originaria frattura all’interno del soggetto, che si rivela una ferita
insanabile per via della sua connaturata mancanza di fondamento. Tuttavia, se si valuta il
significato di questa concezione all’interno
della linguistica, tale arbitrarietà indica la
possibilità di uno studio autonomo della
lingua, in quanto i segni linguistici possono
essere indagati senza analizzare la loro corrispondenza con le cose reali.
Un’altra corrente degna di rilievo per la
linguistica del Novecento, sottolinea Lepschy, è la “grammatica generativa”, la cui
fondazione è da ricondurre a Noam
Chomsky e che è il prodotto della fusione di
due correnti della ricerca precedente, quella
che accentua la creatività del linguaggio e
quella propria della teoria matematica della
“computabilità” e della “ricorsività”. L’ambito privilegiato di studio dei generativisti è
la grammatica e quindi la considerazione di
quel sistema di principi che permette all’uomo di riconoscere la “grammaticabilità delle
frasi”. Tale sistema, per i generativisti, è
dovuto ad una capacità innata, biologicamente ereditaria, rispetto alla quale le differenze storiche tra le lingue naturali sono
irrilevanti.
Un settore che ha determinato molte delle
riflessioni nel dibattito linguistico del Novecento è quello che riguarda il rapporto
Ferdinand De Saussure
tra la linguistica e la filosofia. Così, osserva
Lepschy, se da un lato, con Croce, l’idealismo ha evidenziato l’aspetto creativo e fantastico rintracciabile in ogni espressione linguistica, anche quella più quotidiana, dall’altro il positivismo e il neopositivismo,
ispirandosi all’opera di Frege, hanno sottolineato la distinzione tra senso e significato.
Particolarmente importante per le sue riflessioni sulla relazione tra la lingua e il
mondo è Wittgenstein, dalle cui teorie si
svilupperanno quelle indagini che considerano i problemi filosofici come problemi
inerenti all’uso del linguaggio. Infatti, soprattutto in relazione alla seconda fase del
suo pensiero caratterizzata dalle Ricerche
filosofiche, si origina la filosofia “analitica” o “linguistica” che considera i paradossi filosofici come il prodotto di un uso
inadeguato del linguaggio.
Un’altra corrente filosofica in cui la riflessione sul linguaggio ricopre una posizione
di primo piano è quella ermeneutica di
Gadamer, Apel e Habermas, che mostra
come tutta l’esperienza sia dotata di un
carattere linguistico in quanto ogni comunicazione linguistica necessita di un processo
di interpretazione. Lo sviluppo dell’ermeneutica, sottolinea Lepschy, è infatti dovuto
anche alle riflessioni scaturite dall’incontro
tra la linguistica, da un lato, e la psicoanalisi
e la filosofia esistenzialistica dall’altro, che
si basano sull’attribuzione al linguaggio di
una realtà costitutiva dello stesso soggetto.
Se per Lacan, infatti, l’inconscio è struttura77
to come un linguaggio che parla al soggetto,
per Heidegger il linguaggio si identifica con
un “dire originario” che l’uomo deve ascoltare per ritrovare in esso il proprio essere.
Inoltre, secondo Lepschy, è grazie alle riflessioni linguistiche di De Seassure e di Peirce
che si è sviluppata la semiotica. A tale proposito, interessanti sono le distinzioni stabilite
da Peirce tra il significato iconico, il simbolo
e l’indice, che si basano sull’identificazione
non solamente del linguaggio, ma anche
della società e del mondo, con un “sistema
semiotico”.
Infine, Lepschy prende in considerazione i
diversi usi del linguaggio mostrando come in
questo ambito siano state sottolineate in particolar modo le componenti sociali, che hanno dato sviluppo alla linguistica sociologica,
alla sociolinguistica e alla sociologia del
linguaggio. D’altra parte, non mancano studi
relativi al rapporto tra il linguaggio e alcuni
settori di indagine psicologica, come si può
rilevare dall’originarsi di discipline come la
linguistica psicologica, la psicolinguistica e
la psicologia del linguaggio.
Degno di rilievo è anche il rapporto tra la
linguistica e la critica che si basa sulle analisi dei
testi narrativi, come nelle teorie dei formalisti e
nelle analisi di Propp. In questo ambito è sorto
il decostruzionismo di Derrida, che mette in
evidenza l’illusorietà dell’armonia costruttiva e della coerenza interna di un testo per far
risaltare ed emergere le contraddizioni, le
aporie, i paradossi che frantumano la sua
presunta linearità e unità. M.Mi.
RASSEGNA DELLE RIVISTE
RASSEGNA DELLE RIVISTE
a cura di Silvia Cecchi
in collaborazione con Laura Rossi e Corrado Soldato
RIVISTA DI FILOSOFIA
NEOSCOLASTICA
Anno LXXXVIII, n. 1, gennaio-marzo 1996
Vita e Pensiero, Milano
La dottrina dell’origine del mondo in Platone con particolare riguardo al Timeo e
l’idea cristiana della creazione, di G. Reale: attraverso un confronto con l’opera di
maggior carattere enciclopedico di Platone, si tenta di recuperare l’attrezzatura concettuale necessaria per un confronto con la
metafisica antica di cui Platone, a partire
dal Fedone, è fondatore; la sua dottrina
cosmogonica, in particolare, rappresenta
una vera e propria riflessione metafisica sui
principi della genesi, della struttura e della
finalità del cosmo.
Piero Martinetti e i maestri in persona, di
G. Colombo: l’articolo traccia uno schizzo
della Torino e dei maestri che Martinetti vi
trovò all’inizio della sua carriera di studente di filosofia nell’anno accademico 1890.
Un surrettizio cambiamento di designazione di un termine: cardine della prova di
Goedel della non dimostrabilità della non
contraddittorietà. Riesposizione metalinguistica e considerazioni filosofiche, di F.
Rivetti Barbò.
PARADIGMI
Anno XIV, n. 41, maggio-agosto 1996
Schena Editore, Brindisi
Il metodo empirico in filosofia secondo
Dewey, di G. Semerari: la questione del
metodo è centrale nella riflessione di
Dewey e la sua definizione fa tutt’uno
con la definizione stessa di filosofia.
L’unico metodo valido nell’era delle rivoluzioni scientifica, industriale e politica non può che essere quello empirico,
che impedisce alla filosofia di scadere in
un mero esercizio di retorica e fraseologia. Il metodo empirico si chiarisce poi
alla luce del concetto di esperienza che il
filosofo analizza nella sua onnilateralità
e integrità e che si configura come esperienza reale, radicata in pratiche cultura-
li concrete e che riconduce la filosofia ai
luoghi originari in cui sorge l’esigenza
stessa della scienza.
La struttura dell’orizzonticità, di R. Walton: sul concetto di orizzonte di Husserl
all’interno di opposizioni che fanno da
complemento all’opposizione primaria
tra primo piano e sfondo. Vi sono varie
forme di orizzonte: interno, esterno, temporale, spaziale, di familiarità, intersoggettivo, storico, universale.
Heidegger tra attesa, noia ed angoscia,
di F. Di Giorgi.
Aporie della concezione husserliana
della temporalità, di J. Ponzio: nelle
Lezioni del 1905 Husserl analizza fenomenologicamente il tempo allo scopo di
eliminare il tempo obiettivo e ritrovare il
tempo “originario”. In realtà questa messa fuori causa del tempo obiettivo non si
realizza, poiché esso rispunta ostinatamente attraverso l’analisi fenomenologica proprio all’interno di quella coscienza che doveva esorcizzarlo, detenendo essa stessa il controllo del tempo.
Questa ripresa del tempo obiettivo avviene a partire dalla differenza tra ritenzione e rimemorazione.
Soggetti a verità. Foucault, Heidegger e
la questione del soggetto, di D. Sparti e
M. Greco: analisi di alcune delle posizioni di Foucault riguardo al soggetto
nei suoi ultimi scritti in rapporto a Heidegger; sebbene entrambi affrontino il
problema sulla base di una situazione in
prospettiva, Heidegger mette in luce una
precondizione più fondamentale della
verità, mentre Foucault offre una storia
della produzione della verità, dei suoi
riferimenti soggettivi e dei suoi effetti.
Il gioco dei volti, di G. Cascione: la
prassi linguistica viene immaginata da
Wittgenstein come un coro formato dalla massa di proposizioni e nomi pronunciati incessantemente.
La fondazione materialistica dell’economia politica nel pensiero di F. Quesnay, di L. Dorelli.
78
Una testimonianza sulle relazioni tra
Spinoza, Meyer e la società ‘nil volentibus arduum’, di R. Bordoli.
AUT AUT
n. 275, settembre-ottobre 1996
La Nuova Italia, Firenze
Tema della rivista: “Dentro/Fuori. Scenari
dell’esclusione”.
Il fascicolo intende dar conto della ricerca
internazionale sulle varie forme di esclusione. Attraverso interventi in materia di
urbanistica, teoria politica, storia delle idee
si tenta di delineare i tratti di una categoria,
come quella di esclusione, che segna in
modo decisivo la società di fine millennio.
Tra i vari interventi: La doppia pena del
migrante, di A. Sayad; La comunità dei
nemici, di S. Mezzadra; Nonpersone. Il
limbo degli stranieri, di A. Dal Lago; L’insicurezza urbana in America, di A. Petrillo; L’America come utopia rovesciata, di
L.J. Wacquant; Chi ha assassinato Los
Angeles, di M. Davis; Alcune aporie delle
migrazioni internazionali, di F. Gambino;
Verso il “fascismo democratico”? Note su
emigrazione, immigrazione e società dominanti, di S. Palidda.
RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA
Anno LI, , n. 2, 1996
Franco Angeli, Milano
Come Quintiliano conobbe Crisippo, di A.
Grilli: pur non essendo un cultore della
filosofia, nella parte iniziale della sua Institutio oratoria, dove si occupa dell’educazione del bambino e del ragazzo, Quintiliano si richiama esplicitamente a Crisippo.
L’ideale dell’estinzione dello Stato in Fichte, di L. Fonnesu: l’idea dell’estinzione
dello Stato come istituzione coattiva è ricorrente e rappresenta una delle idee centrali della teoria fichtiana della società. Per
Fichte lo Stato si colloca in mezzo tra
RASSEGNA DELLE RIVISTE
individuo, come strumento della sua vita
morale da cui questi riceve la sicurezza di
fronte agli altri e ai propri bisogni naturali,
e società, intesa come reciproca comunicazione e educazione di cui lo Stato è appunto
mezzo. Il fine in sé non è pertanto l’uomo,
ma la società; lo Stato di conseguenza è
destinato all’estinzione e ciò rappresenta
un ideale della storia umana.
La possibile influenza di F. M. Zanotti
nelle riflessioni filosofiche di Leopardi sul
valore della conoscenza scientifica, di M.
De Zan.
Romanticismo leopardiano, di M.A. Rigoni: molteplici sono gli elementi che ci consentono di inscrivere il pensiero di Leopardi nell’orizzonte del romanticismo europeo: la poesia come creazione ed espressione della pura soggettività, la lirica come
essenza e culmine della poesia, la natura
intesa come totalità organica e vitale coglibile non mediante la ragione, ma con l’immaginazione, l’unità vivente tra contenuto
ed espressione.
Dibattito a tre voci su profezia e storia, di
F. De Michelis Pintacuda, F. Papi, A.M.
Iacono: recensione di M. Miegge, Il sogno
del re di Babilonia. Profezia e storia da
Thomas Müntzer a Isaac Newton (Milano
1995).
Il Padre Athanasius, l’atomista canonico e
l’isola del giorno prima. Divagazioni sul
Seicento filosofico di Umberto Eco, di G.
Piaia.
Marxismo e storia delle idee nella storiografia di Giuliano Gliozzi, di M. Mori.
La stampa ed il Congresso del 1926, di B.
Riva: il VI Congresso di Filosofia, organizzato nel 1926 a Milano dalla Società Filosofica Italiana e presieduto da Martinetti,
venne sospeso dopo tre giorni dall’inizio
dei lavori perché secondo le autorità esso
aveva assunto un taglio politico troppo
polemico nei confronti del regime. In quest’articolo vengono trascritti gli undici articoli più significativi apparsi tra il marzo e
l’aprile del 1926 sull’argomento.
Enesidemo e Pirrone. Il fuoco scalda “per
natura” (Sext, ADV. MATH. VIII 215 E XI
69), di F. Caizzi Decleva.
L’interpretazione della sostanza aristotelica in Porfirio, di R. Chiaradonna.
Forme di governo e proporzioni matematiche: Severino Boezio e la ricerca dell’aequum ius’, di M.L. Silvestre: benché Boezio non abbia dedicato alla politica alcun
trattato, né abbia mai espresso un chiaro
pensiero sulle istituzioni politiche, la sua
intensa vita politica lascia supporre che
possedesse un sostrato dottrinale e ideologico piuttosto chiaro. L’articolo tenta di
rintracciare le concezioni politiche di Boezio. Viene inoltre proposto l’esame di un
breve passo del De Institutione arithmetica, in cui le forme di governo vengono
confrontate con le proporzioni.
ACTA PHILOSOPHICA
Vol. 5, n. 2, luglio-dicembre 1996
Armando Editore, Roma
Weber e lo spirito del capitalismo. Storia di
un problema e nuove prospettive, di J.M.
Burgos: un’analisi del dibattito sulla celebre opera di Weber, soprattutto intorno alle
tematiche relative al rapporto tra cattolicesimo, protestantesimo e capitalismo.
Il singolo kierkegaardiano: una sintesi in
divenire, di M. Fazio: l’intera produzione
di pensiero kierkegaardiana può essere considerata come un pensare soggettivamente
il singolo, analizzato come categoria dialettica antihegeliana, come sintesi, prodotto di un divenire, come libertà e attraverso
i suoi stadi esistenziali.
I rapporti tra scienza e metafisica, di M.
Marsonet: dopo aver preso in esame la
posizione del neopositivismo logico e quella
di Popper e sulla base di una recente opera
di E. Agazzi, l’articolo fa il punto sui rapporti attuali tra scienza e metafisica, sottolineando la contiguità tra le due.
Sujeto, proprio y esencia: el fundamento
de la distincíon aristotélica de modos de
predicar, di M. Perez De Laborda.
ELENCHOS
Anno XVII, n. 1, 1996
Bibliopolis, Napoli
Plato’s “Real Astronomy” and the myth of
Er, di V. Kalfas.
Autopredicazione e autopartecipazione delle idee di Platone, di F. Fronterotta: viene qui
presentato nelle sue linee fondamentali il
problema dell’autopredicazione delle idee
in Platone, al centro di un ampio dibattito tra
gli studiosi di formazione angloamericana.
Ética y dialéctica. Sócrates, Platón y Aristóteles, di I. Yarza.
Il desiderio: precedenti storici e concettualizzazione platonica, di A. Malo: al di là
dei termini impiegati e del loro significato,
attraverso cui i pensatori presocratici (Omero, Anassimamdro, Eraclito, Empedocle,
Antifone), trattano il tema del desiderio,
emerge una continuità di pensiero tra queste varie posizioni, derivante dal riferimento a una realtà di cui tutti gli uomini fanno
esperienza. La posizione platonica appare
79
non solo una sintesi delle posizioni precedenti, ma cerca di risolvere problemi legati
alla sfera etica e antropologica messi in
luce dall’analisi del desiderio.
El problema de la “Theory Ladenness” de
los juicios singulares en la epistemología
contemporánea, di G.J. Zanotti.
VERIFICHE
Anno XXV, n. 2-3, aprile-settembre 1996
Trento
Infinità e filosofia trascendentale. La riflessione sulla grandezza infinita in Kant,
di A. Moretto: il problema filosofico dell’infinito in Kant si connette con il problema matematico della correttezza della rappresentazione dell’infinito, questione cruciale nel dibattito matematico del tempo.
L’articolo prende in esame l’analisi kantiana della grandezza infinitamente grande e
della grandezza infinitamente piccola, da
cui emerge la non marginalità di queste
riflessioni non solo per il calcolo infinitesimale e per la fondazione della matematica
e della fisica, ma anche per la stessa metafisica.
L’indagine kantiana sulla natura della ‘Vernunft’, di N. Mai: la natura sillogistica della
ragione kantiana.
Nota sul modo di tradurre ‘Aufheben’, di F.
Chiereghin.
RIVISTA INTERNAZIONALE
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO
Anno LXXIII n. 3, luglio-settembre 1996
Giuffré, Milano
Domande e risposte sul problema della
giustizia, di L. Bagolini.
La possibiltà giuridica, di G. Capozzi:
la possibilità giuridica viene qui analizzata in relazione alla “ragione giuridica” e alla “eidetica del diritto” e si
concentra sul tema della logica modale di Aristotele.
Verso una concezione unitaria della norma fondamentale, di M.J. Falcón Y Tella: dopo aver delineato l’argomento relativo alle origini e all’enunciazione della
norma fondamentale in merito agli antefatti e all’evoluzione del concetto, l’articolo ne individua i principali tratti distintivi in Kelsen e Hart.
Superamento della complessità attraverso
la capacità di apprendimento del diritto.
L’adeguamento del diritto alle condizioni del Postmoderno. Una critica alla
RASSEGNA DELLE RIVISTE
teoria giuridica del discorso di J. Habermas, di K.H. Ladeur.
Funzioni e senso del diritto moderno. Riconoscimento e ragione sistemica, di B. Romano: l’articolo riflette sul senso e sulla
funzione del diritto nel moderno alla luce
dell’opera di Luhmann.
AQUINAS
Anno XXXIX, n. 2, maggio-agosto 1996
Pontificia Università Lateranense, Roma
Coscienza morale e realtà secondo J. G.
Fichte, di W. Schrader: dopo aver analizzato l’argomentazione di Nietzsche e
Freud circa la coscienza morale come
prodotto di un sentimento soggettivo,
l’articolo analizza le conseguenze del
dubbio sulla realtà della coscienza morale alla luce della riflessione fichtiana.
ranea. Un confronto con il pensiero della differenza, di M. Durst.
Percorsi della e nella psicoanalisi contemporanea, di L. Longhi.
DIAIMON
n. 12, gennaio-giugno 1996
Università di Murcia
RIVISTA DI ESTETICA
Anno XXXVI, n. 1-2, 1996
Rosenberg & Sellier, Torino
Origini del numero. Geometria, logos e
computazione, di P. Zellini.
Schematismo e costruzione. Il rapporto tra
la matematica e la rappresentazione a priori
dei concetti nella sensibilità in Kant, di A.
Ferrarin: dopo aver brevemente introdotto
le due diverse modalità attraverso cui l’intellegibile si dà nell’intuizione, le ipotiposi
schematiche e simboliche, l’articolo si concentra sul rapporto tra schemi e costruzione
matematica in Kant.
Espressione intervallo. La musica nel ‘Saggio sull’origine delle conoscenze umane’
di Condillac, di A. Arbo: il problema del
legame tra le forme dell’espressione artistica e il segno in Condillac, mettendo in
luce come la musica venga qui assunta nel
quadro di un esame del pensiero e delle
leggi del suo funzionamento.
Il concetto di coscienza nella fenomenologia di E. Husserl e di E. Stein, di P.
Schulz: a partire dalla descrizione di
alcuni aspetti fondamentali della nozione di coscienza in Husserl, l’articolo
spiega come Stein, riprendendo tale concetto, lo utilizzi per elaborare la sua
teoria della persona.
Philosophy in an age of overinformation, or what we ought to ignore in
order to know what really matters, di
V. Hösle.
Michel Foucault, lecteur de Platon ou
l’amour de beau garçon à la contemplation du beau en soi, di P. Catonné: Foucault mette in luce come Platone costituisca una fonte fondamentale per comprendere il fenomeno complesso e problematico della pederastia greca, in quanto non solo esperienza di formazione
dell’individuo, ma anche forma elevata
di erotica filosofica.
The status of the dimensiones interminatae in the thomasian principle of individuation, di N.A. Morris.
On the prelude to the Timaeus and the
Atlantis story, di V. Tejera: il Timeo
come seguito della Repubblica.
Identidad personal, acontecimiento,
alteridad desde Paul Ricoeur, di A.
Fornari.
El problema del continuo en la escolástica española: Francisco de Oviedo
(1602-1651), di M.L. Una.
Berkeley: crítica de la ideas abstractas.
La abstracción como simple semántica,
di L.V. Burgoa.
L’affectivité chez Kant. Remarques sur
l’esthétique transcendantale, di D. Giovannangeli.
SEGNI E COMPRENSIONE
Esistenza estetica, esistenza concettuale. I
cento talleri, di P. Kobau: una riflessione
sulla confutazione della prova ontologica
kantiana alla luce della tensione tra dimensione estetica e dimensione logica, passività e costruzione, tensione propria di tutti gli
“esistenzialismi” e che permane anche all’interno dell’argomentazione kantiana.
L’Oriente e la filosofia in Merleau Ponty,
di R. Taioli.
Mathesis universale. Costruzionismo e metodo assoluto in Schelling, di T. Griffero:
l’articolo ripercorre l’evoluzione dal 1797
al 1805 del concetto di costruzione in Schelling con lo scopo di opporsi all’accusa
mossa alla filosofia della natura schellinghiana di aver sottovalutato l’imporsi del
metodo matematico come paradigma di
ogni sapere. Queste considerazioni permettono anche di valutare l’estensione alla
filosofia del costruzionismo matematico e
i legami che possono essere individuati tra
la filosofia della natura di Schelling e le
scienze del tempo.
Estética y hermenéutica, di H.G. Gadamer.
Anno X, n. 28, maggio-agosto 1996
Capone Editore, Lecce
Essere nel mondo e Koinonia. Heidegger e Biswanger, di M. Bracco: essere
nel mondo e koinonia come presupposti
teoretici per una chiarificazione antropoanalitica del senso e della razionalità
soprattutto per quanto riguarda il discorso psichiatrico.
Le ragioni del conflitto, di E. Donaggio:
il problema di un’autochiarificazione dei
criteri che orientano ogni teoria critica
attraverso l’analisi delle proposte di Foucault e Habermas.
La conchiglia del Nautilo, di D. W. Thompson.
Il diritto tra norma e cultura. Le “vocazioni anomale” con funzione produttiva,
di A. Maraschio: attraverso l’esame delle cosidette “vocazioni anomale”, finalizzate al criterio della produttività sociale, si vuole mettere in luce come il
sistema giuridico di un Paese salvaguardi alcuni diritti primari che hanno un’incidenza per la collettività.
Ontologia, di M. Ferrraris.
Narcisismo ed ermeneutica contempo80
“A free man’s worship”, 1902 (El culto
del hombre libre). El problema de la
existencia humana en su relación con el
desrino y los ideales éticos, di I. Sancho
García: “Il culto dell’uomo libero” è uno
dei due articoli fondamentali che precedono gli scritti filosofici di Russell e che
propone un nuovo modo di vivere e una
nuova etica.
Antropología y alteridad. De la naturaleza humana a la normalidad social, di
J. Lorite Mena: l’antropologia nasce
come sguardo verso l’altro; ciò è sostenuto dal ruolo decisivo e simmetrico
giocato dalla medicina e dalla mitologia.
Ideología y comunicación, di M. Milovic: l’articolo si concentra sul problema
della ex-Iugoslavia, sottolineando come
il nuovo soggetto trascendentale e costitutivo di tipo kantiano sia diventato lo
stato nazionale. La nuova soggettività è
perciò la soggettività del potere, come
già aveva avvertito Foucault.
La justicia en el pensamiento jurídico
angloamericano contemporáneo. Acotaciones críticas, di S. Rus Rufino: sul
didattito sviluppatosi nel mondo anglosassone a seguito della riflessione di
RASSEGNA DELLE RIVISTE
Rawls sul tema della giustizia all’interno delle ricerche di filosofia morale e
politica.
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE
vol. 59, n. 2, aprile-giugno 1996
Beauchesne, Parigi
Husserl et Merleau-Ponty: la prose bourdonnante du monde, di P. Kerszberg:
partendo dall’ipotesi di un’incomprensione radicale all’origine di ogni comunicazione e criticando il modello della
comprensione tentativo più o meno riuscito di colmare un vuoto determinato, il
confronto tra Husserl e Merleau-Ponty
diviene la base per una riabilitazione
dell’essenza del suono e del rumore come
veicolo originario di comunicazione.
Merleau-Ponty lecteur et critique de Bergson. Le statut bergsonien de l’intuition,
di A. Clair: nella sua lettura di Bergson
Merleau-Ponty oppone due concezioni
dell’intuizione, una come simpatia e
coincidenza, la ricettività, l’altra come
comprensione e costituzione, l’attività.
L’atto dell’intuizione richiede la correlazione di entrambe.
Le retour a l’origine de l’État, di T.
Berns: analisi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio III-1, riguardante
la nascita violenta dello stato.
Sur la justification des droits de l’homme, di E. Picavet: sulla legittimazione
giuridica e sul riconoscimento da parte
dello Stato dei tradizionali diritti dell’uomo a partire da premesse derivanti
esclusivamente da un’analisi politica,
scevra da particolari valori morali o religiosi.
REVUE DE METAPHYSIQUE
ET DE MORALE
n. 3, settembre 1996
A. Colin, Parigi
jeune Heidegger, di F. Dastur: partendo dalla sua prima elaborazione giovanile -la Dissertazione del 1914 sulla teoria del giudizio
di Wundt, Maier, Brentano, Marty e Lipps si ripercorre l’itinerario che conduce Heidegger ad accogliere e difendere la posizione
husserliana del giudizio in quanto dotato di
natura logica di contro allo psicologismo.
L’“en soi” husserlien à la lumière de la
doctrine trascendantale du jugement, di E.
Rigal: una riflessione sula Logica formale e
trascendentale di Husserl, che mostra come
il platonismo - e quindi la nomologia - delle
Ricerche logiche non venga negato dalla
fenomenologia trascendentale, il cui scopo
permane la fondazione sull’“in sé”, in quanto soggettività trascendentale, di un’idea di
sapienza universale. Tale fondazione porta
all’“ontologia a priori universale”, che ripropone il concetto di “a priori materiale” elaborato nelle Ricerche.
Concept, Jugement et “forme sérielle”, di F.
Capeilléres: la filosofia delle forme simboliche come logica delle relazioni in Cassirer,
oltre il problema delle funzione concettuale
di Sostanza e Funzione.
La doctrine du jugement correct dans la
philosophie de F. Brentano, di J.- C. Gens:
La specificità del contributo di Brentano
consiste non tanto nella riforma della sillogistica aristotelica quanto nel ricondurre continuamente la proposizione logica al giudizio, ovvero alla sogettività che pure non
comporta una scelta psicologista. La difesa
della teoria non predicativa e non proposizionale del giudizio.
Théorie du jugement négatif, di A. Reinach:
fenomenologo vissuto tra Otto e Novecento,
cresciuto alla scuola di Husserl, di cui fu
assistente, Reinach dedica la sua riflessione
al chiarimento del significato di Sachverhalt, per prendere posizione, accanto al
maestro, nella controversia tra Brentano e
Meinong sul tema del giudizio. Nell’applicare gli esiti di tale riflessione teorica ad
ambiti non propriamente logici, quali la prosa teorica, letteraria e storica, Reinach sembra delineare una teoria generale degli atti
linguistici.
Tema della rivista: “Le jugement”.
La monstration, unique mode de donation de
l’a priori chez Wittgenstein, di Ch. Chauviré: una rilettura del Tractatus di Wittgenstein sul tema delle proprietà logiche (a
priori) del linguaggio, che sono solo ostentabili, mostrabili nel linguaggio stesso, rendendo del tutto inutile una teoria dei tipi
logici. Una medesima posizione è assunta da
Wittgenstein nella seconda fase del suo pensiero: le proprietà essenziali del linguaggio
si mostrano entro le regole grammaticali.
L’étude des thoeries du Jugement chez le
REVUE PHILOSOPHIQUE
DE LA FRANCE ET DE L’ETRANGER
n. 2, aprile-giugno 1996
PUF, Parigi
Tema del fascicolo: “Mal moral et atheisme”.
Le mal moral, pierre de touche de l’ontologie: monisme idéel et dualisme réel du sens
de l’etre, di R. Lamblin: etica e ontologia e
rapporto tra ragione, libertà e natura all’interno di una riflessione sulla presenza del
81
male nel mondo che si ricollega alle riflessioni di Kant e dei filosofi dell’Idealismo
tedesco.
La moralité et le mal dans les ‘Principes de
la philosophie du droit’ de Hegel, di P.
Soual: la natura e la fenomenologia del male
morale nella riflessione hegeliana sull’etica
e il diritto. Il male morale come possibilità
“costitutiva” del libero soggetto pensante
che, negando l’autentico Assoluto (il Bene),
sceglie di assolutizzarsi ponendosi come “sé
arbitrario” e “coscienza malvagia”; una concezione non priva di analogie con il tema
biblico del peccato di superbia.
Le jeu de l’athéisme dans le ‘Theophrastus
redivivus’, di H. Ostrowiecki: la definizione
di opera “visceralmente” atea e anti-cristiana rende veramente giustizia all’anonimo
manoscritto seicentesco Theophrastus redivivus? Soffermandosi sull’apparente contraddizione tra il palese ateismo del frontespizio e del primo dei sei trattati (quello sugli
dei) e l’aperta professione di cristianesimo
del Proemium l’articolo intende dimostrare
come la stessa struttura “dialogica” dell’opera
e l’analogia di alcuni temi con i dogmi cristiani della caduta e della redenzione evidenzino nel Theophrastus non tanto una posizione di mero ateismo, quanto un tentativo di
esercitare liberamente la razionalità naturale
fondata sui sensi contro l’egemonia dell’apologetica tradizionale.
Les “Lectures traversières” de Louis Marin,
di J.-P. Cavaillé: l’ermeneutica dell’ “attraversamento” nell’ultima opera di Louis
Marin.
REVUE DES SCIENCES
PHILOSOPHIQUES ET THEOLOGIQUES
Tomo LXXX, n. 3, luglio 1996
J. Vrin, Parigi
Conscience et humanité selon Husserl, di S.
Bréton: il rapporto fra la fenomenologia
generale di Husserl e la riflessione politica
attraverso l’analisi di Y. Thierry sul “soggetto politico” e sulla “coscienza umana” come
intenzionalità epocale che apre all’intersoggettività. La riduzione trascendentale come
punto di partenza del pensiero politico.
Le monde et l’absence de l’oeuvre, di J.-Y.
Lacoste: a partire da Essere e tempo di Heidegger, l’articolo si propone di riflettere
sull’opera d’arte come alternativa al mondo
delle cose. L’opera d’arte, infatti, sottratta
alla temporalizzazione, gode di un privilegio ontofanico in quanto “evento della verità” che rimanda al cuore stesso del progetto fenomenologico: il cominciamento
non di un mondo costituito, ma della sua
possibilità.
Friedrich Schlegel’s Theory of an alterna-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
ting principle prior to his arrival in Jena (6
august 1796), di E. Behler: l’analisi della
posizione polemica di Schlegel rispetto a
Jacobi e alla sua opposizione alla ragione
come strumento di conoscenza e veicolo
dell’ateismo e del nichilismo.
“Alle Wahrheit ist relativ, alles Wissen
symbolisch” - Motive der Grundsatz-Skepsis in der frühen Jenaer Romantik (1796),
di M. Frank.
Hölderlins frühe Fichte-Kritik und ihre
Wirkung auf den Gang der Ausarbeitung
der Wissenschaftslehre, di V. Waibel: a
partire dall’epistolario Hölderlin-Hegel si
ripercorre la critica originaria alla concezione fichtiana dell’Io assoluto presente
nella Dottrina della scienza.
REVUE INTERNATIONALE
DE PHILOSOPHIE
n. 3, settembre 1996
Presse Universitaire de France, Groeninghe (Belgio)
Tema della rivista: “Le premier romantisme allemand (1796)”.
John Mc Dowell’s ‘Mind and world’, an
early Romantic epistemology, di A. Bowie:
sul legame teoretico tra Mc Dowell e il
pensiero di Novalis, Schlegel e Schleiermacher a partire dal concetto di incondizionato-illimitato-assoluto e da quello di un Io
consapevole, preceduto da uno stato, al
quale si accede solo indirettamente, sospeso fra un passato da ricordare e un futuro
sconosciuto (eternal lack). L’opera di Mc
Dowell, Mind and world, tradisce inoltre la
componente idealrealistica del suo pensiero, in accordo con Schelling e forse anche
con una rilettura di Hegel.
Der Klagenfurter Herbert-Kreis zwischen
Aufklärung und Romantik, di W. Baum:
l’analisi delle componenti filosofiche illuministiche e pre-romantiche del “circolo”
di Herbert attraverso una rilettura storica
(gli influssi rivoluzionari) e teoretica (Kant,
Reinhold, Fichte).
partecipazione, forzatamente imperfetta, dell’uomo, tramite la fede e la Rivelazione, alla conoscenza che Dio ha di
Sé e del mondo.
di rapporto con l’alterità. Cartesio, però,
insiste sulla impossibilità di formulare giudizi scientifici sul tema delle scelte umane
come esito della libertà individuale.
Du logos intermèdiaire au Christ médiateur chez les Pères grecs, di G. Remy:
sul tema del Cristo come “mediatore” tra
Dio e l’uomo e autore del loro riconciliarsi nell’evento dell’incarnazione,
come viene affrontato nella tradizione
della Patristica orientale, da Ireneo a
Cirillo di Alessandria.
L’esthétique musicale de Descartes et le
cartésianisme, di B. Van Wymeersch: l’estetica cartesiana nella sua evoluzione da una
filosofia dell’oggettivo a una del soggettivo
e del gusto personale (la musica nella sua
risonanza emozionale nel soggetto) come
dimensione metarazionale.
Etudes sur les écrits johanniques, di L.
Devillers: breve rassegna di studi critici
sul Vangelo di Giovanni.
Approches du Moyen Age tardif, di S.T.
Bonino: serie di recensioni di testi relativi alla situazione degli studi filosofici
e teologici nel tardo medioevo (XIV-XV
sec. ). Di particolare interesse i temi
della ricezione della filosofia e della
politica di Aristotele e della diffusione
del tomismo.
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES
gennaio-giugno 1996
PUF, Parigi
REVUE DE PHILOSOPHIE DE LOUVAIN
Tomo 94, n. 2, maggio 1996
Institut Supérieur de Philosophie
Louvain La Neuve
Tema della rivista: “Descartes - Le quatrième centenaire (1596-1996)”.
L’analyse cartésienne et l’ordre des raisons,
di B. Timmermans: Il metodo di ricerca
cartesiana viene messo in relazione a quello
analitico inaugurato da Galeno, ripreso in
seguito da Hooke e indirettamente commentato da Kant. Ma questa ipotesi di lettura si
scontra con quella di Vuillemin, il quale, nel
sottolineare il carattere asimmetrico dell’ordine cartesiano, ricorda che in Cartesio l’analisi interviene al cospetto di un ordine turbato
e confuso, mentre, quando esso viene “scoperto” o “costruito”, Cartesio lascia spazio
alla sintesi.
De la liberté absolue, di O. Depré: sulla
teoria cartesiana della creazione delle verità
eterne, in rapporto alle metafisiche sottese e
fondative e con un’analisi delle posizioni di
Leibniz e Spinoza in merito e alle più recenti
critiche di Jonas.
REVUE THOMISTE
n. 3, luglio-settembre 1996,
Edizioni dei Domenicani, Tolosa
Le savoir théologique chez Saint Thomas, di J.P. Torrell: prima parte di uno
studio sulla sacra doctrina di Tommaso
d’Aquino, un insieme di teologia e di
studio delle Sacre Scritture, che si configura come scienza delle cose divine,
come sapere finalizzato alla contemplazione della “verità prima”, derivante dalla
Le cogito ébloui ou la noése sans noéme, di
M. Dupuis: la rilettura del cogito cartesiano alla luce della riflessione di Levinas. Il
cuore dell’ispirazione metafisica che guida
la fenomenologia “radicale” di quest’ultimo consiste nella concezione dell’Infinito
di Cartesio, alla luce della creazione delle
verità eterne, della presenza nel “cogito”
dell’idea di infinito e del superamento del
cogito stesso.
Du bons sens le mieux partagé..., di D.
Lories: sul rapporto tra il concetto cartesiano
di bons sens e quello di phronesis contenuto
nell’Etica a Nicomaco di Aristolele: in entrambi i casi si assiste al tentativo di porre in
rapporto particolare e universale al cospetto
della contingenza situazionale; inoltre, nel
“giusto mezzo” entrambi i concetti individuano la misura delle virtù etiche; infine,
entrambi sono relativi al piano sia intellettuale, sia morale, istituendo una possibilità
82
Il numero della rivista è dedicato alla
figura e all’opera di Cartesio, nel quattrocentesimo anniversario della sua nascita (1596-1996). Vengono inoltre pubblicati due articoli relativi all’ontologia
di Christian Wolff e alla critica di Hegel
alla concezione wolffiana dell’essere.
Le référent “dialectique” dans les ‘Regulae’, di A. Robinet: le Regulae ad
directionem ingenii di Cartesio nel contesto della fioritura degli studi logici e
dialettici del XVI sec. ispirati alla Dialectique di Pierre de La Ramée.
Logique, mathématique et ontologie: La
Ramée précurseur de Descartes, di G.
Jamart: su Pierre de La Ramée come
esponente di spicco di quella tradizione
antiscolastica e antiaristotelica tra Cinquecento e Seicento in cui si inscrivono
le Regulae di Cartesio. Il progetto cartesiano della mathesis universalis e la Dialectique di La Ramée presuppongono
entrambi il ragionamento matematico
come paradigma del pensare e partono
dalla prossimità tra pensiero e scienza
matematica per elaborare una “ontologia della relazione” antitetica alla metafisica sostanzialista di derivazione aristotelica.
La philosophie cartésienne et l’hypothèse de la pure nature, di L. Renault: la
lettera a Silhon sulla conoscenza razionale del divino come spunto per evidenziare, negli scritti cartesiani, la coesistenza di una noetica filosofica e di una
noetica teologica e per sottolineare la
RASSEGNA DELLE RIVISTE
plausibilità dell’appartenenza di Cartesio a quella tradizione della “pura natura” (Suarez e Caetano), secondo cui il
desiderio naturale di conoscere Dio è
pienamente soddisfatto, nell’uomo, dai
poteri e dalle prerogative della sola ragione individuale.
L’unité de la science et son objet. Descartes et Gassendi: deux critiques de
l’aristotelisme, di T. Bedouelle: il confronto tra le Exercitationes paradoxicae
adversus Aristoteleos di Gassendi e le
Regule di Cartesio dimostra che mentre
Gassendi, muovendosi in una prospettiva scettica, resta comunque tributario di
Aristotele, Cartesio attua una autentica
trasformazione dei concetti aristotelici
che lo porta a elaborare una dottrina
filosofica del tutto nuova e originale.
La thérapeutique de Descartes dans les
“Remedia et vires medicamentorum”, di
V. Aucante.
Descartes et la fortune, di J.-C. Bardout:
la fortuna, in Cartesio, è il nome proprio
di quell’“altro” che l’io esperisce come
libera soggettività che resiste a ogni tentativo di oggettivazione e che, nella sua
natura di soggetto pensante dotato di
libertà e dunque irriducibile, nel suo
agire, a norme etiche universalmente
condivise, si pone come imprevedibilità
e impermeabilità al criterio conoscitivo
dell’evidenza. La fortuna, dunque, come
ciò che, nel mondo nelle relazioni umane, ostacola ogni forma di sapere metodico e garantisce, in un certo senso, dalla
tentazione del razionalismo assoluto.
Gouvernement de soi et contentement, di
J.-P- Marcos: l’egocentrismo infantile
(principio del “tutto è dovuto”), alimentato dalla benevolenza degli adulti, è per
Cartesio modello di un comportamento
ispirato all’illusione che il mondo sia
fatto a misura del desiderio dell’io e
all’ignoranza di quella correlazione tra
“realtà” e “alterità” che sola consente al
soggetto, nell’esperienza del confronto
con i desideri dell’altro, di prendere coscienza dell’indisponibiltà del reale alle
pulsioni del proprio volere. “Uscire dall’infanzia” diviene così l’imperativo di
un’etica dell’auto-limitazione del desiderio in cui l’intelletto, sostituendo la
fede nella Fortuna con la fede nella Provvidenza e ricercando un saggio equilibrio tra “morale dell’azione efficace” e
“morale dell’accettazione”, perviene a
una esatta conoscenza del “possibile”
come presupposto essenziale della piena
soddisfazione di sé.
Arnauld, les idées et les verités éternelles,
di D. Moreau: la critica di Huygens e Lamy,
seguaci della teoria malebranchiana della
visione delle verità in Dio e dell’univocità
tra conoscere divino e umano, porta Ar-
nauld, in particolare nella Dissertatio bipartita e nelle Règles du bon sens, ad
avvicinarsi, con originalità, alla dottrina
cartesiana della creazione delle idee eterne.
Idée, peinture et substance, di D. Dauvois:
la teoria cartesiana del conoscere, con particolare riguardo al rapporto tra le idee e le
loro cause, riletta metaforicamente in relazione all’esperienza della pittura.
Descartes est-il un penseur critique? Quelques rèflexions, di C. Bouriau: partendo
dalla rilettura neo-kantiana di Cartesio, l’articolo sottolinea come, evidenziando i vincoli che la sensibilità pone all’esercizio
della razionalità e anticipando le soluzioni
di Kant alle prime due antinomie della
ragion pura (grandezza del mondo e numero delle parti della materia), la speculazione del filosofo francese riveli una innegabile dimensione “critica”, intesa come superamento del dogmatismo metafisico o razionalistico reso possibile dall’individuazione dei limiti che si oppongono alle pretese conoscitive della ragione individuale.
Scienza della logica di Hegel diviene
così quello di recuperare, inverandola,
l’essenza “noetica” dell’ontologia wolffiana, dimostrando l’identità tra pensiero ed essere in modo concreto, necessario ed esaustivo.
La dèfinition de l’existence comme le
complement de la possibilité et les rapports de l’essence et de l’existence selon
Christian Wolff, di J. Ecole.
IDEE (Anno XI; n. 31. 32, gennaio-ago-
sto 1996, Milella, Lecce) presenta un
intervento di D. Mansueto su Figura
sola: il diagramma secondo Deleuze,
una breve discussione sulla monografia
di Deleuze, Francis Bacon. Logica della
sensazione (Quodlibet, Macerata 1995),
con particolare riferimento allo strumento di analisi del diagramma utilizzato da
Deleuze.
DISCIPLINE FILOSOFICHE (Anno VI, n.
L’évidence en règle: Descartes, Husserl
et la question de la ‘mathesis universalis’, di G. Olivo: l’interpretazione husserliana di Cartesio tende a “radicalizzare” l’apparente contraddittorietà delle
nozioni cartesiane di metodo e di mathesis universalis, che ora sembrerebbero
fondate e quasi assorbite dalla metafisica (garanzia divina della veridicità delle
conoscenze), ora precederebbero la metafisica, distinguendosi apertamente da
essa. L’attenta lettura delle Regulae, delle
Meditationes e del Discours sur la méthode consente invece di evidenziare come,
anche nel ricorso a Dio quale “garante”
delle conoscenze “chiare e distinte”,
Cartesio resti fedele a una concezione
della priorità del metodo e della mathesis come non riducibili, né subordinabili
alla speculazione metafisica.
1, 1996, Vallecchi, Firenze) nella sezione “Hermeneutika” figura una serie di
interventi sul tema: “Ermeneutica e psicoanalisi”; nella sezione “Analitika” il
tema è: “Il problema della rappresentazione della conoscenza nel dibattito tra
cognitivismo e connessionismo”.
IL CANNOCCHIALE (n. 1-2, gennaio-
agosto 1996, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) presenta un numero monografico su “L’argomentazione misura
delle filosofie”, a cura di G. Traversa. Se
ogni posizione filosofica contiene e presuppome necessariamente una struttura
argomentativa, si pone allora il problema di misurare la differenza tra le varie
posizioni con il criterio dell’argomentazione, sostanziale per la filosofia stessa.
RAGION PRATICA (Anno IV, n. 6, Edi-
Le tournant “discursif”: de la vérité
métaphysique à la vérité dans l’ordre du
discours, di P. Larralde: partendo dall’interpretazione di Heidegger della metafisica moderna (e cartesiana in particolare) come “oblìo dell’essere”, l’articolo si propone, rileggendo la dottrina
del cogito come “scoperta” dell’essere,
di elaborare una prospettiva filosofica
“neocartesiana” che, rinunciando a qualsiasi alternativa “radicale” alla speculazione della modernità, recuperi comunque l’esigenza heideggeriana.
zioni Compagnia dei Librai, Genova):
alla luce dell’importanza centrale che da
un tempo va assumendo il problema del
precedente giudiziale, la rivista propone
una sezione dedicata a “I giudici e il
precedente”, a cura di M. Taruffo. Segnaliamo inoltre vari interventi su “Kelsen, la pace, la guerra”.
Ontologie et logique dans l’interprétation hégelienne de Christian Wolff; di C.
Bouton: per Hegel, l’ontologia di Wolff
rappresenta il compimento della metafisica dell’identità di essere e pensiero
inaugurata da Cartesio, ridotta però a
mera e astratta elencazione di concetti e
di determinazioni. L’obiettivo della
FILOSOFIA OGGI (Anno XIX, n. 75,
83
INTERSEZIONI (Anno XVI, n. 2, agosto
1996, Il Mulino, Bologna) presenta un
fascicolo monografico su “Le donne nella
storia e nella cultura” .
luglio-settembre 1996, L’Arcipelago,
Genova) presenta un intervento di J. M.
Trigeaud: Le mythe du héros et l’esthétique de la justice.
FILOSOFIA E TEOLOGIA (Anno X, n. 2,
maggio-agosto 1996, Edizioni Scientifi-
RASSEGNA DELLE RIVISTE
che Italiane, Napoli) presenta un articolo di A. Ghisalberti su Vita e logos dall’antichità al medioevo e un intervento
di F. Moiso su La vita come pluralità
senziente. La scuola stahliana e il suo
influsso sulla filosofia del secondo Settecento.
QUADERNI DI SCIENZA POLITICA
(Anno III, n. 2, agosto 1996, Giuffré,
Milano) contiene un intervento di R.
Biorcio su Comunicazione elettorale e
identità: note sulla transizione italiana.
TEOLOGIA (Anno XXI, n. 2, giugno 1996,
Glossa, Milano) pubblica un articolo di
P. Colombo su Nietzsche ed il Cristianesimo.
RIVISTA ROSMINIANA (Anno XC, n. 3,
luglio-settembre 1996, Sodalitas, Stresa) presenta tra gli articoli Il silenzio
nella vita di Rosmini, di L. Cristellon, e
Rosmini e Maine de Biran, di M. Fabris.
PROSPETTIVA PERSONA (Anno V, n.
15, giugno 1996, Andromeda, Teramo)
presenta un intervento di B.A. Andreola
su Mounier e l’America latina.
storicismo, neostoricismi”, dedicato al
movimento critico comparso sulle scene
accademiche statunitensi alla fine degli
anni Settanta e confluito, insieme al decostruzionismo, nel vasto panorama della tradizione poststrutturalista. I caratteri dell’approccio neostoricista sono i seguenti: una visione complessa del rapporto tra storia speciale (arte, letteratura) e storia generale; l’interesse per le
fonti marginali ed extraletterarie apparentemente insignificanti; l’approccio interdisciplinare; l’idea della storia come
narrazione analizzabile con gli strumenti classici della critica letteraria.
FENOMENOLOGIA E SOCIETÀ (Vol.
XIX, n. 1-2, 1996 Rosenberg & Sellier,
Torino) dedica il fascicolo a Charles
Taylor, filosofo canadese importante
esponente del comunitarismo e del neoaristotelismo anglosassone. Lo scopo che
la rivista si propone è di offrire una serie
di letture critico-esegetiche trasversali
dell’opera di Taylor con particolare rifermento al nucleo filosofico contenuto
nella sua più importante opera Radici
dell’Io.
CENOBIO (Anno XLV, n. 3, luglio-set-
HERMENEUTICA (1996, Morcelliana,
Brescia) presenta un fascicolo monografico dal titolo: “Rileggere Bonhoeffer”,
che richiama l’attenzione su un pensatore asistematico e incompiuto, la cui domanda radicale: «che ne è oggi del Cristianesimo» pone la questione dell’essere con o contro Cristo in un interrogare
che risente profondamente dell’influenza di Nietzsche.
LINGUA E STILE (Anno XXXI, n. 3,
settembre 1996, il Mulino, Bologna) presenta un saggio di P. Garavaso su Significanza cognitiva e contenuto di pensiero nella nuova teoria del riferimento che
prende le mosse da un dibattito all’interno della filosofia del linguaggio contemporanea che vede alcuni nuovi teorici del riferimento impegnati a controbattere una critica proveniente dai neofregeani, secondo cui la nuova teoria del
riferimento non può costituire una semantica adeguata perché non spiega i
problemi messi in luce da Frege sulla
significanza cognitiva del linguaggio. In
particolare, viene qui presa in esame la
posizione di Wettstein sulla questione
della significanza cognitiva. Segnaliamo inoltre l’aticolo: Il tempo come condizione che permette al linguaggio di
dire ogni cosa. Un modello di spazializzazione del tempo, di P. Perconti, che
tratta del ruolo omogeneo del tempo nell’articolazione cognitiva prelinguistica
e nell’articolazione del linguaggio.
STUDI DI ESTETICA (Anno XXIV, n.
13, 1996, Clueb, Bologna) presenta un
numero monografico dal titolo: “Neo-
tembre 1996, Lugano, Svizzera) presenta un fascicolo contenente gli Atti del
convegno di Montagnola (22-23 settembre 1996) su “La teoria critica di Max
Horckhimer”.
IRIDE (Anno IX, n. 18, agosto 1996, Il
Mulino, Bologna) presenta tre sezioni
dedicate ai seguenti temi: “Patologie
del sociale”, “Destra e destre”, “Soggettività e modernità”. In particolare
si segnala: Patologie del sociale. Tradizione ed attualità della filosofia sociale, di A. Honneth, in cui vengono
descritti i compiti della filosofia sociale in rapporto alla filosofia politica
e alla filosofia morale; La crisi del
sapere moderno, di P. Alheit, che affronta, nella consapevolezza della non
esistenza di una scienza pura e neutrale e del rischio di uno scientismo irresponsabile, il problema della responsibilità fondamentale nella scienza per
le conseguenze del lavoro scientifico.
Nella sezione “Destra e destre” compaiono contributi che mettono in luce
l’esistenza di una destra liberista (S.
Veca: Sulla destra e i suoi pincipi), di
una conservatrice (D. Cofrancesco:
Qual è la destra che manca in Italia),
di una radicale e metapolitica (M. Revelli: La nuova destra). Nella sezione
“Soggettività e modernità” prosegue
la pubblicazione di interventi sulla
questione della soggettività con riflessioni sul legame sociale per un soggetto contingente, sulla produzione della
soggettività in un mondo dominato dai
mass media, sulla permanenza del mito
nella società moderna.
84
TEORIA (Anno XVI, n. 1, 1996, ETS,
Pisa) presenta un fascicolo monografico
sul tema: “Heidegger, Nietzsche e il nichilismo contemporaneo”. I contributi
qui riportati costituiscono parte degli
interventi tenuti da G. Campioni, A. Fabris, F. Volpi al convegno “Heidegger e
Nietzsche” (La Spezia, 23-24 marzo
1995), a cui hanno partecipato anche P.
A. Rovatti e M. Ruggenini. Compare
inoltre un intervento di W. Müller Lauter sull’interpretazione heideggeriana di
Nietzsche.
RIVISTA DI STORIA DELLA FILOSOFIA
(Anno LI, n. 3, 1996, Franco Angeli,
Milano) dedica il fascicolo all’esame di
alcuni aspetti del pensiero e dell’opera
di Cartesio, in ricordo del quarto centenario della nascita, e allo studio di momenti del cartesianesimo e di fasi significative della sua fortuna tra Sei e Settecento.
REVUE DES ETUDES AUGUSTINIENNES (n. 42/1, 1996) pubblica l’articolo:
Un poème philosophique de l’Antiquitè
tardive: ‘De pulchretudine mundi’, di F.
Dalbeau, che riporta un’analisi formale
e contenutistica del famoso testo del
XVI capitolo del Liber viginti sentientiarum, De pulchretudine mundi, attribuito ad Agostino, identificando motivi
di carattere culturale che permettono di
ricondurre l’opera al contesto filosofico
della tarda antichità: la teoria dei quattro
elementi; l’analisi aristotelica delle coppie di contrari (caldo/freddo e secco/
umido); la concezione delle qualità binarie come sfondo dell’armonia universale del Timeo.
REVUE DES QUESTIONES SCIENTIFIQUES (Tomo 167, n. 1, 1996, Société
Scientifique, Bruxelles) presenta, tra l’altro, un articolo dal titolo: De l’ouverture
de l’homme et du monde: réflexions sur
la tecnique, les sciences et la réligion, di
J. Fennema, che tratta della progressiva
autonomia della tecnica dall’uomo, richiamando il ruolo decisivo della tecnica nella guida dello sviluppo sociale e
nelle trasformazioni della vita e del pensiero, come pure della scienza. L’auspicio è quello di una “teologia della natura” capace di una nuova trasparenza,
emergente non più dal linguaggio “cosale”, ma dal silenzio, dall’ascolto ermeneuticamente inteso.
NOVITÀ IN LIBRERIA
A.A.V.V.
Giordano Bruno: note filologiche
e storiografiche - I giornata Luigi Firpo: 3 marzo 1994
L.S. Olschki, aprile 1996
pp. 61, £. 25.000
Gli interventi presenti in questo libro sono:
“Bruno ieri e oggi” di Michele Ciliberto, “I
dialoghi italiani (varietà di varianti)” di
Giovanni Aquilecchia, “Il Bruno di Luigi
Firpo” di Diego Quaglioni.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Audretsch, J. - Mainzer, Kl.
(a cura di)
Wieviele Leben hat Schrödingers Katze?
Zur Physik und Philosophie
der Quantenmechanik
Spektrum, maggio 1996
pp. 320, DM 48.
A.A.V.V.
Kant politico a duecento anni dalla Pace
perpetua: Convegno della Società italiana
di studi kantiani presso la scuola normale
superiore di Pisa
Istituti editoriali, giugno 1996
pp. 733, £. 10.000.
A.A.V.V.
Almanacco di filosofia 96
Periodici culturali, aprile 1996
pp. 280, £. 20.000
Questa rivista raccoglie i seguenti scritti:
“I compiti della filosofia” di Norberto
Bobbio, Nicola Abbagnano e Antonio Banfi, “Passione democratica e routine degli
interessi” di Jurgen Habermas e John Rawls,
“È la gente per bene a erigere le ghigliottine” di Adama Michnik e Isaiah Berlin,
“L’invenzione dell’individuo” di Massimo Cacciari, “La legge della comunità” di
Roberto Esposito, “Nascita, orgasmo e politica” di Adriana Cavarero, “Il tragico della
libertà” di Sergio Givone, “Comune presenza” di Renè Char, Martin Heidegger,
“Dio, l’ornamento” di Gianni Vattimo ecc.
Abba, Giuseppe
Quale impostazione per la filosofia morale
LAS, giugno 1996
pp. 329, £. 35.000
In questo libro l’autore, confrontando in
modo sistematico i principali interlocutori
della filosofia morale, trae la conclusione
che l’etica della vita buona e delle virtù,
specialmente nella versione tomista, non è
così sprovveduta come si ritiene, in quanto
può rispondere alle obiezioni e alle istanze
alternative riscontrando a volte aporie e
incongruenze di cui esse sono inconsapevoli.
Abbagnano, Nicola
Esistenzialismo positivo
Taylor, giugno 1996
pp. 47, £. 16.000.
Abelardus, Petrus
Lettere di Abelardo e Eloisa
introduzione di M.T. Fumagalli
Beonio Brocchieri; trad. e note
di Cecilia Scerbanenco
Rizzoli, giugno 1996
pp. 535, £. 20.000
In questo libro si trova un documento eccezionale su un’epoca alle soglie del mondo
moderno.
Adorno, Theodor
Probleme der Moralphilosophie
a cura di Th. Schröder
Suhrkamp, maggio 1996
pp. 320, DM 68.
Agazzi, Evandro
Das Gute, das Böse und die Wissenschaft.
Die ethische Dimension
des wissenschaftlich-technologischen
Unternehmung
Akademie-Vlg., aprile 1996
pp. 344, DM 64.
Alker, Hayward R.
Rediscoveries and Reformulations:
Humanistic Methodologies
for International Studies
Cambridge UP, giugno 1996
pp. 450, UK£ 17.95
Questo testo fornisce una concezione della
metodologia che sta alla base degli studi
internazionali. L’autore si pone di fronte a
una sfida: integrare gli stili di ricerca “positivisti” e “falsificazionisti” nelle investigazioni umanistiche e interpretative.
Alliez, Eric
Deleuze, philosophie virtuelle
Sinthélabo, maggio 1996
pp. 55, F 40
È stato da sempre rimproverato a Deleuze
di non essere l’autore di una filosofia originale, perché egli commenta, e di non essere
maggio 1996
pp. 225, DM 68
Seguendo gli approcci sintetici dei presocratici, del Rinascimento e del Romanticismo, scienziati, filosofi ed esperti di scienze dello spirito si sono uniti, allo scopo di
avviare un discorso comune sulla natura,
che oltrepassi i confini delle singole discipline.
uno storico della filosofia, perché non ha
mai fatto altro che “del Deleuze”. L’autore
scopre, nella nozione così discussa del
“virtuale”, l’operatore, a partire dal quale è
possibile produrre una sorta di “eterogenesi” del pensiero deleuziano. Per tutti gli
interessati.
rimane uno dei riferimenti d’obbligo per
ogni studio della letteratura. Per tutti gli
interessati alla materia e di livello universitario.
Aristotele
The Politics and the Constitution
of Athens
a cura di Stephen Everson
Cambridge UP, giugno 1996
pp. 296, UK£ 6.95
Questa raccolta degli scritti politici di Aristotele fornisce un resoconto de La politica
e mostra il rapporto tra questo testo e i suoi
studi in qualità di storico costituzionale.
Viene anche presentata la costituzione di
Atene, per contrastare gli aspetti empirici e
teorici della scienza politica di Aristotele.
Aminrazavi, Mehdi
Suhrawardi and the School
of Illumination
Curzon Press, maggio 1996
pp. 220, UK£ 12.99
La tela dei miti e del simbolismo nella
filosofia di Shihab al-Din Yahya Suhrawardi esprime chiaramente la sua teoria della
conoscenza, che rappresenta un importante tema della scuola di pensiero “ishraqi”.
Quest’opera si propone di mostrare
Suhrawardi come un pensatore che ha tentato di conciliare il discorso razionale e la
purificazione interiore.
Aristoteles, 384-322 B.C.
Retorica
testo critico, trad.
e note a cura di Marco Dorati
introd. di Franco Montanari
Mondadori, giugno 1996
pp. 396, £. 15.000
In questo libro Aristotele affronta sia
l’aspetto teorico che quello pratico della
retorica. Della retorica, intesa come “tecnica della persuasione” vengono trattati
tutti gli aspetti: dalla logica all’uso delle
metafore e dei motti di spirito, dallo stile
del discorso ai modi per determinare negli
ascoltatori gli atteggiamenti e gli stati d’animo più favorevoli.
Amtmann, Rolf
Sinn und Sein. Mensch und Gott
in der europäischen Philosophie
Grabert, maggio 1996
pp. 448, DM 68.
Antiseri, Dario
La tolleranza e i suoi nemici
pref. di Giorgio De Finis
Il mondo 3, giugno 1996
pp. 62, £. 8.000
In questo saggio Antiseri cercando le motivazioni etiche e conoscitive del pregiudizio, della violenza e dell’intolleranza, giunge alla conclusione dell’impossibilità di
trovare un fondamento logico ai principi
etici come ai comportamenti umani.
Armellini, Serenella
Le due mani della giustizia:
premialità del diritto come problema
filosofico
Giappichelli, maggio 1996
pp. 189. £. 26.000
In questo libro vengono trattate le seguenti
tematiche; le ricompense in Hobbes, il
premio in relazione al rapporto uomo-società nel riformismo italiano, la natura dell’uomo e la premialità del diritto, la premialità del diritto tra scienza e filosofia,
considerazioni sul “feticismo della legge”
e lo stato punitivo tra premialità e la promozionalità del diritto.
Antiseri, Dario - Conci,
Domenico Antonino
(a cura di)
Il desiderio di essere: l’itinerario
filosofico di Pietro Prini
contributi di Dario Antiseri et al.
Studium, maggio 1996
pp. 360, £. 42.000
In questo libro sono raccolti alcuni saggi di
diversi autori sul pensiero di Prini in occasione del suo ottantesimo compleanno. In
un arco storiografico di ispirazione neoplatonico-cristiana sono illustrate criticamente le interpretazioni che il Prini ha
dedicato a Plotino, a Rosmini, alla storia
dell’esistenzialismo nel suo complesso e
in modo particolare a Gabriel Marcel.
Armstrong, D.M. - Martin,
C.B. - Place, U.T.
Dispositions: A Debate
Routledge, maggio 1996
pp. 208, UK£ 40
Si tratta di un esteso dialogo fra tre famosi
filosofi sui molti problemi connessi alle
inclinazioni naturali, che sono a loro volta
legati ad altri aspetti come la natura della
mente, la materia, i concetti generali, le
leggi della natura e la relazione causaeffetto.
Archard, David (a cura di)
Philosophy and Pluralism
Cambridge UP, maggio 1996
s.pp., UK£ 14.95
In un mondo di diversità - culturali, religiose, morali, filosofiche - la questione che
preoccupa coloro che hanno collaborato a
questo volume è se l’esistenza della differenza - ovvero della pluralità - porti inevitabilmente alla conclusione che non può
esistere un’unica verità, nemmeno nelle
questioni morali.
Arrington, Robert Glock, Hans-Johann
Wittgenstein and Quine
Routledge, giugno 1996
pp. 272, UK£ 35
Questo studio accomuna due dei più importanti filosofi del XX secolo. I due pensatori vengono paragonati e le opinioni dei
commentatori sul loro rapporto mostrano
profonde differenze.
Aristotele
Poétique
pref. di Philippe Beck
Gallimard, maggio 1996
pp. 162, F 55
Nei testi che ci sono pervenuti, Aristotele
propone un’analisi dei principali generi
letterari: l’epopea, la commedia e, soprattutto, la tragedia. Questo testo è stato e
Arzt, Th. et al. (a cura di)
Philosophia naturalis.
Beiträge zu einer zeitgemäßen
Naturphilosophie
Königshausen & Neumann,
85
Aul, Joachim
Schopenhauer-Bibliographie.
Mikrofiche-Ausgabe. Stand: Juli 1995
Hänsel-Hohenhausen, aprile 1996
2 microfiche (pp. 136), DM 80
Si tratta di un’edizione su microfiche della
bibliografia su Schopenhauer, aggiornata
al luglio ’95.
Axelos, Kostas
Métamorphoses: clôture-ouverture
Hachette-Pluriel, aprile 1996
pp. 192, F 49
Partendo dal lungo percorso che ha condotto dalla mitologia arcaica attraverso la
tradizione greco-romana e quella giudaico-cristiana fino alla tecnologia ultramoderna, si sviluppano le grandi metamorfosi
del mondo. All’epoca dell’universalizzazione della tecno-scienza a che punto, all’interno di questa evoluzione, si situa l’Europa? Che cosa è accaduto della “fine dell’arte”? Per tutti gli interessati alla materia.
Badiou, Alain - Cigolani,
Patrick -Vauday, Patrick et al.
(a cura di)
Jean Borreil: la raison de l’autre
pref. di M. Matieu e P. Vermeren
L’Harmattan, aprile 1996
pp. 207, F 120
Il libro mostra i cammini filosofici ai quali
ha attinto Jean Borreil o Joan Borell (19381992) e presenta un testo inedito su Samuel
Beckett. Per tutti gli interessati alla materia.
Bärthlein, Karl
Der Analogiebegriff bei
den griechischen
Mathematikern und bei Platon
a cura di Josip Talanga
Königshausen & Neumann, aprile 1996
pp. 197, DM 68.
Baruzzi, Arno
Philosophie der Lüge
Wiss. Buchges., aprile 1996
pp. 220, DM 49,80
La menzogna sembra appartenere al comportamento umano. La biologia infatti indica che le vite mentono e che questo
significa e implica una “lode della menzogna”. Se la natura è una cultura della menzogna, come si mette la situazione per
l’uomo, con la sua libertà da e rispetto alla
menzogna?
Bausi, Francesco
Nec rethor neque philosophus: fonti,
lingua e stile nelle prime opere latine
di Giovanni Pico della Mirandola: 1484-87.
L.S. Olschki, giugno 1996
pp. 213, £. 48.000.
Beaufret, Jean
Parménide, ‘Le poème’
PUF, maggio 1996
pp. 112, F 49
Il luogo del Poema di Parmenide è sicuramente la trascendenza, ma non quella trascendenza
evasiva che, da Platone in poi, è metafisicamente nostra, ma una trascendenza che non
sarà da nessuna parte più evidente che qui. Il
volume presenta anche l’edizione bilingue
greco e francese dei frammenti del Poema. Di
livello universitario.
Becker, Thomas
Die Hegemonie der Moderne.
Zur Neubestimmung politischer
Romantik
im Naturrecht Kants und Hegels
pref. di Dietmar Kamper
Olms, aprile 1996
pp. 221, DM 58.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Becker, U. - Feldmann, Kl. Jihannsen, Fr. (a cura di)
Sterben und Tod in Europa.
Wahrenehmungen - Deutungsmuster
Wandlungen
Neukirchener Vlg., maggio 1996
pp. 240, DM 48
Questo volume fornisce una rassegna della
ricerca sul morire e sulla morte nella teologia, la sociologia, la psicologia, la medicina, la storia, la pedagogia e la filosofia.
Beckmann, J.P. (a cura di)
Philosophie im Mittelalter.
Entwicklungslinien
und Paradigmen. Wolfgang
Kluxen zum 65. Geburtstag
Meiner, maggio 1996
pp. 476, DM 49,80
Si tratta della seconda edizione di questo
volume, dedicato a Wolfgang Kluxen, in
occasione del suo sessantacinquesimo compleanno.
Behrens, Roger
Pop, Kultur, Industrie.
Zur Philosophie der
populären Musik
Königshausen & Neumann, aprile 1996
pp. 175, DM 38.
Bellissima, Fabio
Consequentia mirabilis: una regola
logica tra matematica e filosofia
L.S. Olschki, aprile 1996
pp. 231, £. 45.000
In questo libro vengono analizzate alcune
tematiche relative alla logica; la scoperta
di Girolamo Cardano, i ritrovamenti di
Clavio, le controversie in Belgio, la logica
di Geulincx e la teologia dei Gesuiti, l’apoteosi in Gerolamo Saccheri, la fase critica
di Wolff, l’analisi di Lambert e le critiche
di Bolzano, la riscoperta moderna della
logica di Giovanni Vailati e l’analisi della
nuova logica.
Benjamin, Andrew
What is Abstraction?
Academy Editions, aprile 1996
pp. 68, UK£ 8.95
Questo testo fa parte della serie What is;
affronta la questione dell’astrazione, una
delle scuole più significative e influenti
della critica moderna ed esamina le attuali
tendenze di pensiero presenti in questo
settore. Il testo è destinato agli studenti del
primo anno di filosofia e arte.
Berman, David
George Berkeley:
The Man and his Religious Philosophy
Clarendon Press, aprile 1996
pp. 242, UK£ 11.99
Il testo fornisce un quadro completo della
vita e del pensiero di George Berkeley,
integrando la sua filosofia e la sua religione. Berkeley si rivela essere un pensatore
umano profondo e non un idealista virtuoso.
Bernasconi, Robert
Heidegger in Question: The Art of Existing
Humanities Press, aprile 1996
pp. 288, s.pr.
Bernasconi indaga, nel contesto del pensiero di Heidegger, su un certo numero
di questioni di rilievo: un serie di saggi
analizza il rapporto tra la politica di
Heidegger e il suo pensiero e le ulteriori
possibilità, aperte da questo rapporto,
negli scritti di Arendt, Gadamer, Levinas e Derrida.
Bernet - Kern - Marbach
Edmund Husserl. Darstellung seines
Denkens
Meiner, maggio 1996
pp. 246, DM 48
Si tratta della seconda edizione ampliata di
quest’opera.
Bernhardt, Uwe
Vom Anderen zum Selben.
Für eine anthropologische Lektüre
von Emmanuel Levinas
Bouvier, aprile 1996
pp. 288, DM 82
Gli aspetti etici e teologici della filosofia di
Levinas hanno suscitato una vivace discussione in ambito internazionale, a partire della fine degli anni Ottanta. Questo
volume propone invece una “lettura antropologica” di Levinas.
Bernstein, Richard
Hannah Arendt and the
Jewish Question
Polity Press, maggio 1996
pp. 240, UK£ 12.95
Questo libro si propone di mostrare che
molti dei temi più significativi del pensiero
di Hannah Arendt hanno origine dal confronto con la questione ebraica. Avvicinandosi al lavoro maturo di Hannah Arendt da questo punto di vista, il lettore raggiunge una piena comprensione delle sue
idee principali.
l’analisi sui veri e falsi valori e il Bene
sommo; la natura del libero arbitrio e la
compossibilità della prescienza divina.
Böhler, Arno
Das Gedächtnis zur Zukunft.
Ansätze zu einer Fundamentaltheologie
der Freiheit bei Martin Heidegger
und Aurobindo Ghose
Passagen-Vlg., aprile 1996
pp. 368, DM 78.
Böhme, Gernot
Idee und Kosmos. Platons Zeitlehre.
Eine Einführung in seine theoretische
Philosophie
Klostermann, aprile 1996
pp. 168, DM 68.
Bertola, Francesco
La Bellezza dell’Universo
Il poligrafo, aprile 1996
pp. 126, £. 30.000
Filosofi e astrofisici, storici della scienza e
artisti si interrogano in questo libro sulle
questioni relative al rapporto tra l’ambito
estetico e quello scientifico . Come aveva
mostrato Feyerabend, a parità di condizioni una teoria “bella” (semplice, intuitiva,
formalizzabile ed elegante) è preferibile a
un’altra priva di tali requisiti. Questo ragionamento può essere applicato anche
all’ambito della cosmologia, con il risultato di parlare di “bellezza” dell’universo.
Bord, André
Plotin et Jean de La Croix
Beauchesne, aprile 1996
pp. 264, F 180
Per Plotino l’apice è l’estasi, per Jean de La
Croix non è che un incidente di percorso,
aleatorio. Per gli specialisti della materia.
Bornedal, Peter
Speech and System
Museum Tusculanum, maggio 1996
pp. 533, s.pr.
Quest’opera propone la tesi secondo cui la
scrittura creativa e la filosofia emergono
come forme specifiche di giochi del linguaggio, che sono distinte dal discorso,
così come esso viene usato in forma intercomunicativa tra gli individui. Peter Bornedal tratta del pensiero, del discorso e dei
sistemi.
Bertrand Russell
The Imprisoned Self
vol. I: Phantoms of the Dusk
a cura di Raymond Monk
Jonathan Cape, aprile 1996
pp. 600, UK£ 20
Questo volume dell’autobiografia di Bertrand Russell copre i primi cinquant’anni
della sua vita: l’infanzia, le sue prime opere, comprendenti Principia Mathematica,
i suoi rapporti con Ottoline Morrell e Joseph Conrad, la sua insolita vita sessuale, la
sua obiezione di coscienza alla Prima Guerra Mondiale e i suoi viaggi all’estero.
Bornet, Gérard
Die Bedeutung von ‘Sinn’ und der Sinn
von ‘Bedeutung’. Auf dem Weg zu einem
gemeinsprachlichen Wörterbuch
für formale Philosophie
Haupt, aprile 1996
pp. 246, FRS 42.
Beutin, Wolfgang
Zur Geschichte des Fridensgedankens
seit Immanuel Kant
von Bockel, maggio 1996
pp. 200, DM 68.
Borsche, T. (a cura di)
Klassiker der Sprachphilosophie
von Platon bis Noam Chomsky
C.H. Beck, aprile 1996
pp. 520, DM 78
La “svolta rispetto alla lingua” nella filosofia del secolo che si sta concludendo ha
portato alla domanda: fino a che punto la
filosofia è stata, già dai suoi inizi, filosofia
della lingua? Eminenti esperti dimostrano,
in ventiquattro contributi, perché nella filosofia viene data un’importanza determinante ai problemi della lingua.
Bickmann, Claudia
Differenz oder das Denken
des Denkens.
Topologie der Einheitsorte
im Verhältnis von Denken und
Sein im Horizont der
Transzendentalphilosophie Kants
Meiner, aprile 1996
pp. 428, DM 168.
Biolo, Salvino (a cura di)
Filosofi cattolici a confronto
con il pensiero moderno:
Rosmini, Newman, Blondel.
Contributi del 49˚ Convegno
del Centro di studi filosofici
di Gallarate - aprile 1994.
Rosenberg & Sellier, giugno 1996
pp. 302, £. 48.000
Il libro raccoglie diversi contributi che
mettono in evidenza come il pensiero cattolico non debba essere rigettato per la sua
dipendenza dogmatica dalla verità ma rivalutato in quanto è dotato del senso della
storia che gli consente di collocarsi all’interno di una tradizione da svolgere, accettando con disponibilità critica ogni nuova
proposta che è valida in quanto vera secondo l’ordine dell’essere.
Bouchindhomme, C. - Rochlitz, R.
(a cura di)
Habermas, la raison, la critique
Cerf, maggio 1996
pp. 238, F 140
Si tratta di una serie di tributi che si situano
nella prospettiva di un dibattito critico con
Habermas, condotto su basi vicine alle
proprie concezioni e ricollocato intorno
alla sua teoria del diritto e della democrazia. Per tutti gli interessati alla materia.
Braun, Lucien
Iconographie et philosophie:
essai et définition d’un champ
de recherche - vol. I
Presses universitaires de Strasbourg,
maggio 1996
pp. 404, F 208
La filosofia è stata ed è presente in seno
allo sviluppo socio-culturale delle società sotto forma di idee o dottrine, ma
anche sotto forma di immagini. Quest’ultime si rapportano sia ai promotori
della filosofia sia alle allegorie che traducono a loro modo la potenza dell’interrogazione (o della proposizione)
della filosofia. Per gli specialisti della materia.
Blumenberg, Hans
Arbeit am Mythos. Ein Gedenkbuch
Suhrkamp, maggio 1996
pp. 704, DM 35
C’è qualcosa di irrisolto nell’ambito del
mito: la corrente visione della storia come
un unico percorso dal mito al logos era
poco seria. È questo che mostra Arbeit am
Mythos, nell’analisi funzionale delle forme del mito e nella loro ricezione, nell’elaborazione e nella categorizzazione delle
rappresentazioni sulla propria origine e
sull’essere originario, che l’uomo via via si
è costruito.
Braybrooke, David
Social Rules: Origin, Character,
Logic, Change
Westview Press, aprile 1996
pp. 352, UK£ 48.50
Questo testo rappresenta un tentativo di
raggiungere un compromesso tra le illustrazioni storiche e le argomentazioni teoretiche e di mettere in relazione tra di loro
i punti di vista riguardo le regole sociali
adottati dagli avvocati, gli antropologi, i
sociologi e gli economisti.
Boethius, Anicius Manlius Torquatus
Severinus,
Consolazione della filosofia
introd., trad., note,
apparati di Luca Orbetello
Rusconi, giugno 1996
pp. 307, £. 21.000
La Consolazione presenta due temi nodali;
86
Breil, Reinhold
Kritik und System.
Die Grundproblematik
der Ontologie Nicoli Hartmanns
in traszendentalphilosophischer
Sicht
Königshausen & Neumann, aprile 1996
pp. 312, DM 68
Breil, nella sua tesi di abilitazione all’insegnamento universitario, dimostra, in ogni
singolo capitolo, che i principi ontologici
relativi all’argomento di quel capitolo hanno bisogno di motivazioni differenti e poi
trasforma questo assunto, utilizzando una
sistematicità filosofico-trascendentale. La
pretesa di fornire la motivazione finale,
accampata dall’ontologia, viene respinta e
l’ontologia viene costruita sulla base di
un’eccellente critica metafisica.
Brose, Karl
Friedensphilosophie
und Friedenserziehung
von Kant bis Adorno
Vlg. Die Blaue Eule,
maggio 1996
pp. 216, DM 29.
Buroker, Jill Vance
Antoine Arnauld and Pierre Nicole:
’Logic or the Art of Thinking’
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 13.95
Quest’opera tratta gli argomenti della logica, del linguaggio, della teoria della conoscenza e della metafisica e fornisce la risposta del cattolicesimo giansenista eretico ai punti di vista ortodossi cattolici e
protestanti riguardo alla grazia, al libero
arbitrio e ai sacramenti.
Cacialli, Liliana
“Tutto scorre e tutto rimane”.
Eraclito e Parmenide.
Ed. Poli, aprile 1996
pp. 79, L. 15.000
Il pensiero di Eraclito, considerato dalla
tradizione filosofo dell’eterno divenire, e
il pensiero di Parmenide, considerato invece filosofo dell’essere immobile, trovano
in questa analisi una possibile conciliazione, lasciando emergere nuove ipotesi interpretative.
Campanella, Tommaso
De libris propriis et recta ratione
studenti syntagma
a cura di Armando Brissoni
Rubbettino, maggio 1996
pp. 100, £. 10.000
In questa opera Tommaso Campanella si
propone di ricostruire la propria autobiografia intellettuale fornendo anche indicazioni essenziali per intendere il suo
pensiero.
Canfield, John
Routledge History of Philosophy:
Philosophy of the English-speaking World
in the Twentieth Century.
Meaning. Knowledge and Value - vol. X
Routledge, maggio 1996
pp. 400, UK£ 55
Il decimo volume di questa serie che si
concentra sulla storia della filosofia discute argomenti come la filosofia del linguaggio, la metafisica, l’etica, la filosofia della
legge, la filosofia politica e la filosofia
femminista.
Capozzi, Gino
Saggi di etica: giuridica e politica
ESI, aprile 1996
pp. 245, £. 38.000
Attraverso l’interrogazione dei più famosi
filosofi antichi e moderni, Platone e Aristotele, Kant e Hegel nel loro dialogo con
alcuni maestri del pensiero europeo sia
filosofico (Croce e Gentile, Dilthey, Husserl, Heidegger) sia giuridico (Kelsen, Schmitt, Romano), i saggi di questo libro ripropongono i problemi del rapporto di
etica e politica, del diritto con la morale e
con la politica, dello Stato come sistema
politico e ordinamento giuridico per approdare a una filosofia che si sta sviluppando attualmente (il praxeologismo).
Cappelörn, N.J. - Deuser, H.
(a cura di)
Kierkegaard Studies Yearbook
de Gruyter, maggio 1996
pp. 575, DM 178
Si tratta di una fonte di documentazione sui
NOVITÀ IN LIBRERIA
contributi alla ricerca, le conferenze e le
nuove edizioni dell’opera di Kierkegard,
curata dal Kierkegaard Research Centre di
Copenhagen.
Caputo, Cosimo
Materia signata: sulle tracce di Hielmslev,
Humbolt e Rossi Landi
intr. di Augusto Ponzio
Levante, giugno 1996
pp. 167, £. 20.000
In questo libro l’autore analizza i vari significati di materia; per Hyelmslev la materia è l’eccedenza della scienza del linguaggio, per Humbolt è attività formatrice
e per Rossi-Landi è un continuo esserealtro senza ritorno alla tesi o all’essenza
originaria.
Cardwell, Mike
The Complete A-Z Psychology Handbook
Hodder & Stoughton, aprile 1996
pp. 320, UK£ 8.99
Il volume contiene tutta la terminologia e il
materiale importante per il corso di studio
del Livello A della facoltà di Psicologia. Il
libro è organizzato in ordine alfabetico e
permette riscontri incrociati, in modo da
facilitarne l’uso e da renderlo un manuale
di ripasso.
Carr, Brian (a cura di)
Morals and Society in Asian Philosophy
Curzon Press, maggio 1996
pp. 260, UK£ 37.50
Questa raccolta, basata sul primo convegno della European Society for Asian Philosophy, analizza temi della tradizioni filosofiche indiane, cinesi, giapponesi e islamiche, sia antiche che moderne.
Cartesio
Oeuvres complètes
a cura di C. Adam e P. Tannery
Vrin, maggio 1996
pp. 8560, F 800
Quest’edizione riprende quella del 1900 e
comprende, oltre alle opere scientifiche e
filosofiche di Cartesio, anche la sua corrispondenza. Per gli specialisti della materia.
Cartesio
Philosophische Schriften
in einem Band
Meiner, maggio 1996
pp. 534, DM 39,80
Si tratta dell’edizione bilingue curata da L.
Gäbe, H. Springmeyer e H.G. Zekl, che
presenta anche un’introduzione di R. Specht e lo scritto di Ernst Cassirer, Descartes
Wahrheitsbegriff.
Cassirer, Ernst
Eloge de la métaphysique
pref. di Joël Gaubert
trad. dal tedesco di Jaen Carro collaborazione di Joël Gaubert
Cerf, maggio 1996
pp. 172, F 175
Durante il suo soggiorno in Svezia, nel
1933, Cassirer inizia una discussione con
A. Hägerström, uno dei principali rappresentanti della filosofia svedese. Il libro,
sotto forma di dialogo filosofico, traccia i
contorni di un vero trattato sistematico,
dimostrando non solo la possibilità, ma
anche la necessità di compiere il dovere
kantiano della costituzione critica della
metafisica come scienza. Per gli specialisti
della materia.
Castelli Gattinara, Enrico
Epistemologia e storia: un pensiero
all’apertura nella Francia
fra le due guerre mondiali
F.Angeli, giugno 1996
pp. 265, £. 38.000
In questo libro viene descritto l’intreccio
che negli anni fra le due guerre mondiali ha
permesso a filosofi, epistemologi e storici
di influenzarsi reciprocamente determinando un’apertura culturale e originando posizioni teoriche sino ad allora inedite.
Cattorini, Paolo
La morte offesa: espropriazione
del morire ed etica della resistenza
al male
EDB, maggio 1996
pp. 244, £. 32.000
Tra le tematiche analizzate in questo libro
si rileva l’analisi di alcuni significati della
legittima opposizione che l’uomo produce
nei confronti della morte, cercando di strapparle sempre maggior terreno. L’offesa
arrecata al morire nella forma dell’espropriazione medica, dell’accanimento tecnologico e nella svalutazione del tempo
della malattia e l’offensiva che l’uomo ha
da sempre dichiarato e cercato di realizzare
nei confronti della morte sono due tratti,
l’uno illegittimo, l’altro doveroso, che spiegano alcuni ambigui atteggiamenti della
società contemporanea riguardo alla fine
della vita.
Cognetti, Giuseppe
L’arca perduta: tradizione e critica
del moderno in Renè Guénon
pref. di Mariano Bianca
A. Pontecorboli, maggio 1996
pp. 294, £. 28.000
In questo libro viene analizzata l’apertura
di Renè Guénon all’orizzonte della Tradizione. La critica del filosofo al Moderno
non si riduce affatto a una condanna moralistico-passionale che si rifugia in una difesa del passato nostalgica e inconcludente.
Essa è iscritta, invece, in un’ermeneutica
che coglie la necessità, il senso e il “compito” del moderno.
Cavalier, Robert - Covey, Preston Anderson, David
The Right to Die?: the Dax Cowart Case.
An Ethical Case Study on CD-ROM CD-ROM (for network use)
Routledge, maggio 1996
s.pr.
Questo CD-ROM presenta il caso di Dax
Cowart, la cui lotta per morire, dopo un
grave incidente, mise in risalto i dilemmi
etici e medici riguardanti il diritto dell’individuo a morire. L’utente vede e sente
Dax stesso e quelli che lo circondano e così
prende parte alla formulazione della difficile decisione.
Compagnoni, Francesco (a cura di)
Etica della vita: bioetica, vita, morte,
malattia, tossicodipendenza, sessualità,
psichiatria, risorse, professione, ricerca
San Paolo, maggio 1996
pp. 311, £. 26.000
In questo libro vengono presentati i temi
essenziali della bioetica facendo riferimento alle più importanti parole-chiave che
consentono di esprimere tutti gli aspetti
principali di questo campo.
Coniglione, Francesco
Nel segno della scienza:
la filosofia polacca del Novecento
F.Angeli, maggio 1996
pp. 346, £.48.000
Questo libro costituisce il primo tentativo di offrire un quadro complessivo
della filosofia polacca che ha fatto della
discussione della razionalità scientifica
e dei metodi delle scienze il terreno
privilegiato su cui le varie concezioni
del mondo (da quella cattolica al marxismo) hanno riflettuto trovando il modo
di dialogare e di riconoscere i propri
torti e i meriti altrui in nome della
scienza.
Chamla, Mino
Spinoza e il concetto
della tradizione ebraica
F.Angeli, maggio 1996
pp. 222, £. 34.000
Chamla analizza il rapporto tra Spinoza e
la tradizione ebraica sottolineando come
nell’interpretazione spinoziana dell’ebraismo predomini la componente conoscitiva
rivolta al Sommo Bene.
Chappell, Tim (a cura di)
The Plato Reader
Edinburgh UP, aprile 1996
pp. 320, UK£ 14.95
Il volume presenta la nuova traduzione di
quarantasei passaggi-chiave tratti dalle
opere di Platone. Vengono trattati tutti gli
aspetti centrali della filosofia di Platone; il
testo è corredato di note e rimandi incrociati. Il libro consente di leggere e comparare i passi collegati tra di loro, ma che si
trovano in dialoghi diversi.
Copeland, Jack (a cura di)
Logic and Reality: Essays on the Legacy
of Arthur Prior
Clarendon Press, giugno 1996
pp. 576, UK£ 50
Si tratta di una raccolta di saggi scritti da
filosofi, logici, matematici ed esperti di
informatica che celebra l’opera del famoso
filosofo Arthur Prior. Gli argomenti discussi spaziano dalla natura della logica
stessa a intelligenti sistemi informatici in
grado di ragionare.
Chiusano, Lido
Commento a Ugo Spirito
Bibliotheca, giugno 1996
pp. 85, £. 15.000
Questo libro ripropone con qualche rimaneggiamento gli scritti che erano raccolti
nel libro Filosofia e dintorni dello stesso
autore, il cui saggio d’apertura è incentrato
sulla fine dell’autocoscienza e sulla prospettiva axiologica secondo Spirito.
Copjec, Joan
Radical Evil
Verso, maggio 1996
pp. 288, UK£ 13.95
Questo libro - basato sul concetto del male
radicale, un male che si trova al cuore della
problematica etica - si concentra sulla
moderna nozione politica del male, così
come viene formulata da Kant, come viene
prefigurata da Machiavelli e più tardi sviluppata da Schelling.
Chiusano, Lido
Letture filosofiche
Bibliotheca, giugno 1996
pp. 157, £. 15.000
In questo libro sono contenute diverse letture filosofiche tra le quali si evidenziano:
il neopositivismo nell’interpretazione di
Giorgio Fano, l’ateismo di Frederich Nietzsche, ontologia e storia in Husserl, dalla
psicoanalisi alla cibernetica, l’ermeneutica restauratrice di Paul Ricoeur, Voltaire,
la Bibbia, il male, un’antologia kantiana
ecc.
Costa, Vincenzo
La generazione della forma:
la fenomenologia e il problema
della genesi in Husserl e Derrida
Jaca Book, aprile 1996
pp. 191, £. 28.000
Mentre alcune interpretazioni considerano
la fenomenologia di Husserl una semplice
metafisica della presenza individuando il
nucleo dell’interesse di Derrida per essa
nell’atteggiamento decostruttivo, invece
questo libro si propone di mostrare l’esistenza di un doppio movimento nel discorso di Derrida sulla fenomenologia e allo
stesso tempo di una tensione tra origine e
divenire. Quindi, si suggerisce una certa
impossibilità per il pensiero del segno e
della scrittura di abbandonare la fenomenologia.
Clemens, Detlef
Günther Anders. Eine Studie über
die Ursprünge seiner Philosophie
Haag & Herchen, aprile 1996
pp. 152, DM 28.
Coates, John
The Claims of Common Sense:
Moore, Wittgenstein, Keynes
and the Social Sciences
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 30
Attraverso un esame del pensiero di Moore, Ramsey, Wittgenstein e Keynes, questo
testo analizza l’importanza delle idee portate avanti dai filosofi di Cambridge tra le
due guerre, in particolare per le scienze
sociali riguardanti il senso comune, i concetti vaghi e il linguaggio quotidiano.
Cottingham, John
Descartes: Meditations on First
Philosophy: With Selections from
the Objections and Replies
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 7.95
Le Meditazioni di Cartesio, uno dei
testi-chiave della filosofia occidentale, è lo scritto cartesiano che è stato
oggetto di più studi. Questa traduzione è basata su tutti i testi cartesiani
disponibili e presenta i suoi principali scritti di metafisica in un inglese
chiaro e moderno.
Coelln, Harmann von
Von den Gütern zu den Werten.
Versuch einer Kritik
aller Wertphilosophie
Vlg. Die blaue Eule, aprile 1996
pp. 300, DM 66.
87
Coudert, Allison P.
Anne Conway: the Principles
of the Most Ancient and Modern
Philosophy
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 12.95
L’edizione completa e annotata delle opere di Conway include un’introduzione che
le situa nel loro contesto storico e filosofico e fornisce una cronologia della sua
opera e una bibliografia.
Cozzoli, Leonardo
Il linguaggio senza nome: estetica,
analogia e belle arti in Kant
prefazione di Silvestro Marcucci
Clueb, giugno 1996
pp. 190, £. 25.000
Scritto da un giovane brillante ricercatore
prematuramente scomparso, il libro affronta alcuni dei temi cruciali dell’estetica di
Kant analizzando sia l’ambito storico che
quello teorico. Nel primo capitolo viene
posto il problema della bellezza della natura, della bellezza del cosmo colta attraverso il linguaggio del sentimento. Nel secondo capitolo vengono considerati i temi
della purezza dell’estetico, del giudizio del
gusto, della classificazione delle belle arti.
Infine, nell’ultimo capitolo, vengono trattati i temi dell’analogia e del simbolo.
Crisaldi, Antonio
Scritti filosofici e carteggio
con Benedetto Croce: 1945-1947
a cura e con un saggio introduttivo
di Francesco Platania
Bibliopolis, maggio 1996
pp. 165, £. 25.000
Presentazione, la grande luce, la piccola e
grande storia, la lunga confessione, l’incontro a Napoli, la conciliazione di Antonio, l’ultimo messaggio di Croce, la Sicilia
di Antonio.
Crisciani, Chiara
L’arte del sole e della luna:
alchimia e filosofia nel Medioevo
Centro italiano di studi
sull’alto Medioevo, giugno 1996
pp. 354, £. 65.000
In questo libro viene esaminata l’introduzione dell’alchimia in Occidente, l’alchimia nella cultura scolastica, e vengono
esposte le dottrine e correnti nell’alchimia
latina. Vengono, inoltre, presi in considerazione i testi e le rappresentazioni e vengono presentate anche alcune interpretazioni dell’alchimia.
Cristofolini, Paolo
Spinoza, chemins dans’L’Ethique’
trad. dall’italiano di Lorand Gaspar
PUF, aprile 1996
pp. 128, F 45
Si tratta di sette itinerari, sette punti di vista
e differenti conclusioni relativi a un approfondito confronto con L’etica, che portano
a una nuova visione, insieme complessa e
trasparente, di quest’opera.
Cunningham, Suzanne
Philosophy and the Darwinian Legacy
Univ. Rochester Press, aprile 1996
pp. 272, UK£ 25
L’autrice sostiene che esiste una difficoltà inerente alle teorie della percezione e della mente della filosofia analitica
e della fenomenologia; tale difficoltà è
causata dall’esclusione del contributo
di Darwin all’evoluzione. Cunningham,
ricercando le ragioni di quest’ostacolo,
critica le teorie della percezione puramente cognitive e il funzionalismo della macchina.
D’Anna, Vittorio
Il denaro e il terzo regno: dualismo
e unità della vita nella filosofia
di Georg Simmel
Clueb, aprile 1996
pp. 156, £. 20.000
L’autrice mostra come nella complessa
riflessione di Simmel prevalga un motivo; quello della ricerca del “terzo regno” al di là della contrapposizione di
soggettività individuale e soggettività
logica. Se nell’opera Filosofia del denar o il d ualis mo è go vernato d a
un’istanza di unità, nella filosofia della
vita l’unità passa per il dualismo.
De Crescenzo, Luciano
Ordine e disordine
NOVITÀ IN LIBRERIA
Mondadori, giugno 1996
pp. 154, £. 25.000.
De Finis, Giorgio De Sanctis Ricciardone, Paola
La filosofia e lo specchio della cultura.
La scienza in antropologia
tra seduzione e repulsione
Il mondo 3, giugno 1996
pp. 78, £. 10.000
Il libro si propone di realizzare la comunicazione tra lingue e culture diverse anche
se lo sforzo di “traduzione” è molto difficile. Quesa ricerca accomuna antropologi,
filosofi e storici della scienza una volta
venuta meno l’idea aristotelica della corrispondenza tra linguaggio e realtà.
De Ruvo, Vincenzo
I valori morali
Levante, maggio 1996
pp. 426, £. 42.000
In questo volume l’autore esamina le antropologie e le proposte etiche, storicamente elaborate dalla filosofia, attraverso
la sua prospettiva realistica che mira ad
affermare contro ogni riduzionismo, la
complessità e l’integralità dell’essere umano e del suo agire, la “pienezza viva del
Reale”.
Debray, Regis
Media Manifestos
Verso, aprile 1996
pp. 192, UK£ 12.95
Questo volume propone una nuova sottodisciplina della scienza umana, la “mediologia”. Prospetta un nuovo modo di analizzare e considerare i media, partendo dalla
città-stato e arrivando fino a Internet. Vengono anche esaminate le opere di Roland
Barthes, Umberto Eco, C.S. Peirce e Marshall McLuhan.
Deleuze, Gilles
Fluchtlinien der Philosophie
a cura di F. Balke e J. Vogl
W. Fink, maggio 1996
pp. 280, DM 48
Considerando che quest’opera non si presenta come il programma di una scuola né
come il contenitore per alcune idee-guida,
la questione da porre riguarda, non in ultima istanza, il corso della «linea labirintica» (Foucault) che attraversa le opere, così
diverse tra di loro, di questo filosofo.
Deleuze, Gilles
Périclès et Verdi: la philosophie
de François Châtelet
Minuit, aprile 1996
pp. 32, F 30
Si tratta della ristampa di questo testo,
presentato in occasione di due giornate in
cui filosofi, giornalisti, musicisti e attori
rendevano omaggio a François Châtelet.
Per gli specialisti della materia.
Deleuze, Gilles - Guattari, Felix
What is philosophy?
Columbia UP, aprile 1996
pp. 256, UK£ 14
Questa monografia analizza la concezione
filosofica degli autori e sviluppa il loro
concetto dei rapporti tra filosofia, scienza
e arte. Prende anche in considerazione il
rapporto tra la filosofia e la storia dello
sviluppo sociale e culturale in Occidente.
Di Cesare, Donatella
Die Sprache in der Philosophie
von Karl Jaspers
Francke, maggio 1996
pp. 110, FRS 30.
Di Francesco, Michele
Introduzione alla filosofia della mente
Studi superiori Nis, aprile 1996
pp. 223, £. 28.500
Questo libro si propone di esaminare la
tematica relativa al rapporto tra mente e
corpo che fino dall’epoca classica è stata
analizzata dai filosofi. Partendo dalla riflessione dei filosofi classici, quindi, l’autore giunge a considerare alcuni dei principali problemi filosofici posti dalla filosofia
contemporanea, come la questione del rapporto tra concettualizzazione scientifica e
visione ordinaria dell’io.
Diethe, Carol
Nietzsche’s Women - Beyond the Whip
s.ed., maggio 1996
pp. 177, DM 120
Il libro esamina perché ci siano così tante
donne prominenti nella generazione di
Nietzsche; tutte conoscevano la famosa
citazione da Zarathustra: «Andate dalle
donne, non dimenticate la frusta!» e, nonostante questo, ammisero con riconoscenza
l’influsso esercitato da Nietzsche sulla loro
vita e le loro opere. Molte donne, infatti, lo
consideravano un misogeno.
Doepke, Frederick C.
The Kind of Things:
A Theory of Personal Identity
Based on Transcendental Argument
Open Court, maggio 1996
pp. 288, UK£ 17.50
Cosa siamo? Quest’opera affronta l’enigma dell’identità personale tramite una teoria generale dell’identità e si dichiara a
favore di una visione del sé opposta a
quella di Hume e Parfit e più in sintonia con
quella di Kant e del senso comune. L’autore fa uso di argomenti trascendentali nel
corso della sua considerazione di questi
temi.
fare in modo che si possa scorgere ciò che
è profondamente altro: il fine ultimo e
unico di Sein e Sollen, quindi l’Uno stesso.
so un’analisi del concetto di capitale e della
critica marxiana all’economia politica.
Eigen, Michael
Psychic Deadness
Jason Aronson, maggio 1996
s.pp., UK£ 31.95
Molte persone cercano aiuto perché un
senso di morte pervade la loro esperienza e
li conduce spesso a mezzi disperati per
liberarsene. Questo libro mostra che cosa
significhi sopportare e combattere con questa morte psichica, giorno per giorno, seduta dopo seduta.
Fechtrup, H. - Schulze, Fr. Sternberg, Th. (a cura di)
Aufklärung durch Tradition.
Symposion der Josef Pieper Stiftung
zum 90. Geburtstag von Josef Pieper,
Mai 1994 in Münster
Lit, aprile 1996
pp. 176, DM 29,80
Il volume si basa sul simposio, tenuto dalla
Josef Pieper Stiftung a Münster, nel 1994,
in occasione del novantesimo compleanno
di Josef Pieper.
Elshtain, Jean Bethke
Augustine and the Limits of Politics
Univ. Notre Dame Press, aprile 1996
pp. 176, UK£ 17.95
Si tratta di un’analisi del pensiero e dell’opera di Sant’Agostino. Questo studio
presenta la posizione di Sant’Agostino
contraria all’arroganza della filosofia, collegandolo in questo modo alle ultime correnti del pensiero moderno, comprendenti
anche Wittgenstein e Freud.
Domanskj, Juliusz
La philosophie, théorie ou manière
de vivre?: les controverses
de l’Antiquité à la Renaissance
Ed. universitaires de Fribourg-Cerf,
maggio 1996
pp. 126, F 120
Quest’opera, che raccoglie quattro conferenze tenute presso il Collège de France
nel 1990, espone e analizza il processo che
ha condotto la filosofia a perdere poco a
poco la sua componente “praticista”, ovvero la sua dimensione di modo di vivere,
a favore di un percorso filosofico soprattutto teorico e astratto. Per gli specialisti
della materia.
Evagrio, Pontico
Gli otto spiriti della malvagità:
Sui diversi pensieri della malvagità
tr. e note di Francesca Moscatelli
San Paolo, giugno 1996
pp. 122, £. 24.000
L’opera di Evagrio, monaco vissuto nel
VI secolo, è un sistema grandioso che
unisce etica, psicologia, teologia, filosofia, ascesi e mistica in un itinerario
ascensionale che conduce all’incontro
“diretto con Dio” attraverso una purificazione successiva delle passioni. In
questo libro vengono presentate le sue
riflessioni sugli otto spiriti della malvagità che hanno determinato la dottrina
dei sette vizi capitali.
Dörring, Eberhard
Karl R. Popper: ‘Die offene Gesellschaft
und ihre Feinde’.
Ein einführender Kommentar
UTB, maggio 1996
pp. 147, s.pr.
Fadini, Ubaldo (a cura di)
Adorno, Canetti, Gehlen - desiderio:
conversazioni sulle metamorfosi
dell’uomo
Mimesis, aprile 1996
pp. 107, £. 20.000
In questo libro viene individuato un elemento comune tra le concezioni di Adorno, Canetti e Gehlen che concerne “l’affermazione del carattere sovversivo dell’esistenza” almeno in termini di possibilità.
Dufresnois, Huguette - Miquel, Christian
La philosophie de l’exil
L’Harmattan, maggio 1996
pp. 165, F 95
Questo saggio tenta di pensare alla condizione e al destino dell’uomo, sottoponendo la nozione del soggetto e il credere al
“me” a una decostruzione, allo scopo di
ritrovare una visione contemporaneamente tragica e dionisiaca di un essere umano
aperto improvvisamente al flusso del mondo e “decentrato” rispetto a se stesso. Per
tutti gli interessati alla materia.
Falcioni, Daniela
Natura e libertà in Kant:
una interpretazione del progetto
Per la pace perpetua (1795)
presentazione di Reinhard Brandt
Bulzoni, aprile 1996
pp. 204, £. 25.000
L’autrice analizza in questo libro il trattato
di Kant del 1795 “Per la pace perpetua”
mostrando come il progetto filosofico kantiano implichi una messa in politica del
diritto in quanto si rivolge alla politica
intesa come “dottrina del diritto da mettere
in pratica”.
Dumoncel, Jean-Claude
Philosophie deleuzienne
et roman proustien
Zyx, maggio 1996
pp. 128, F 95
La storia esemplare raccontata da Alla ricerca del tempo perduto, contiene una lezione di filosofia che spettò a Gilles Deleuze trarre. Questo libro può essere preso sia
come una spiegazione del pensiero deleuziano partendo dalla storia prostiana, sia
come un’esegesi di Proust, partendo dagli
strumenti concettuali riuniti da Deleuze.
Di livello universitario.
Farley, Wendy
Eros for the other: Retaining Truth
in a Pluralistic World
Penn State Press, maggio 1996
pp. 264, UK£ 13.50
Quest’opera analizza il problema di come
le pretese di verità e le norme etiche possano sopravvivere al crescente e radicale
riconoscimento del carattere storico, culturale, pluralista e spesso ideologico dell’esperienza umana.
Dyson, A.E.
The Fifth Dimension
Macmillan Press, maggio 1996
pp. 368, UK£ 40
In quest’opera, A.E. Dyson definisce la
“quinta dimensione” come il nostro infinito momento di coscienza. Egli studia le
opere di Eschilo, Sofocle ed Euripide, le
due grandi preghiere di Cristo e la Sua
proclamazione del “regno” e le tradizioni
mistiche, a sostegno della sua teoria.
Farrell, Frank B.
Subjectivity, Realism and Postmodernism
Cambridge UP, maggio 1996
s.pp., UK£ 12.95
Questo volume sulla filosofia angloamericana si concentra su come la filosofia ha confutato le nozioni di soggettività, della mente e del linguaggio. Gli
argomenti sono collocati nel contesto
storico e in particolare sono messi in
relazione alla filosofia medioevale e
all’idealismo tedesco.
Ebeling, Hans
Das andere Gesetz. Letzte Philosophie
und die Lehre vom Einen
Königshausen & Neumann, maggio 1996
pp. 128, DM 26
”L’altra legge” è ciò che è altro rispetto alla
leggittimità e la regolarità della fisica, della tecnica e della politica. Considerata come
qualcosa a sé stante, “l’altra legge” è in
primo luogo ciò che è altro nella metafisica; questo significa quindi anche lasciar
dietro di sé il diritto, l’etica, l’estetica, per
Fausto, Ruy
Sur le concept de capital: idée
d’une logique dialectique
L’Harmattan, maggio 1996
pp. 87, F 60
Il libro presenta la logica, studiata attraver-
88
Fenner, David E.W.
The Aesthetic Attitude
Humanities Press, maggio 1996
pp. 208, UK£ 29.95
L’atteggiamento estetico - lo stato percettivo che consente all’agente di sperimentare gli oggetti esteticamente - ha acquistato
un’importanza crescente a partire dall’Illuminismo. E’ stato confutato soltanto nel
XX secolo. Questo libro passa in rassegna
le importanti teorie di atteggiamento estetico e le critiche relative.
Fenu, Carlo Maria
Il problema della creazione
nella filosofia di Rosmini
Edizioni Rosminiane Sodalitas,
aprile 1996
pp. 142, £. 20.000
In questo libro l’autore esamina il problema della creazione nella filosofia di Rosmini considerando il valore gnoseologico
e quello ontologico della dottrina della
creazione e l’analitica dell’atto creativo.
Ferrari, Massimo
Ernst Cassirer: dalla scuola di Marpurgo
alla filosofia della cultura
L.S. Olschki, aprile 1996
pp. 343, £. 69.000
In questo libro vengono esaminati; la genesi
e struttura dell’Erkenntnisproblem, Cassirer e la Critica del giudizio, l’interpretazione della teoria della relatività, la fondazione
delle scienze dello spirito, le fonti leibniziane della Filosofia delle forme simboliche, la
logica dell’origine e la filosofia del linguaggio e la filosofia della cultura (dal metodo
trascendentale alla filosofia antropologica).
Ferraro, Giuseppe
Il poeta e la filosofia: filosofia morale
e religione in G. Leopardi.
Saggio di interpretazione
Filema, aprile 1996
pp. 137, £. 16.000
Ferraro ripercorre in questo libro la storia
della critica leopardiana da Croce a Severino, riproponendo il senso del nullismo di
Leopardi come anticipazione del nichilismo nietzscheiano. Dopo aver considerato
gli effetti della malattia del nulla e del mal
d’essere dell’uomo, lo studio si conclude
con una suggestiva analisi su “la luna e la
letteratura” come approdo simbolico al primitivo e al semplice. L’”ultrafilosofia” citata da Leopardi non è oltre la filosofia ma
è la filosofia che va oltre in quanto pensiero
rivolto all’infinito, fuori da ogni calcolo,
dentro l’associazione del vissuto.
Festa, Roberto
Cambiare opinione: temi e problemi
di epistemologia bayesiana
Clueb, maggio 1996
pp. 326, £. 40.000
In questo libro viene l’autore esamina
l’approccio bayesiano all’analisi del
metodo scientifico dedicando particolare attenzione alla “cinematica dell’opinione” cioè all’analisi bayesiana
del cambiamento razionale di opinione
nella scienza. L’autore si propone di
mostrare come la teoria bayesiana sia in
grado di offrire soluzioni relativamente
semplici a molti problemi di carattere
metodologico.
Feuerbach, Ludwig
Entwürfe zu einer neuen Philosophie
a cura di W. Jeaschke e W. Schuffenhauer
Meiner, maggio 1996
pp. 193, DM 36.
Ficino, Marsilio
Meditations on the Soul: Selected Letters
of Marsilio Ficino
NOVITÀ IN LIBRERIA
a cura di Clement Salaman
Shepheard-Walwyn, aprile 1996
pp. 250, UK£ 12.95
I problemi che assillavano la mente umana
nel Rinascimento erano gli stessi con cui ci
confrontiamo oggi. Questa selezione di
lettere di Marsilio Ficino copre una vasta
gamma di argomenti e offre un panorama
del pensiero rinascimentale.
Fiorani, Eleonora
Il mondo senza qualità:
per una geo-filosofia dell’oggi
Lupetti, aprile 1996
pp. 233, £. 30.000
L’autrice analizza in questo libro prendendo in considerazione i dibattiti epistemologici e filosofici attuali, il tema relativo al
legame tra il vivente e l’ambiente reale.
Nella sua prospettiva il “soggetto” viene
incorporato nell’ “essere vivente” attraverso l’individuazione di un collegamento
tra il nuovo sapere emerso dalla biologia e
la neurofisiologia e filosofi europei già
esperti in queste correnti “trasversali” come
Piaget, Wittgenstein e Merleau-Ponty.
Gensini, Stefano - Gola, Elisabetta Storari, Gian Pietro (a cura di)
Derive 1995: quaderno di semiotica
e filosofia del linguaggio
Cuec, aprile 1996
pp. 233, £. 25.000
Tra gli scritti raccolti in questo libro relativi al rapporto tra semiotica e filosofia del
linguaggio si evidenziano; Corpo e linguaggio: spunti per una riunficazione del
visibile e dell’invisibile di Felice Cimatti,
Matematica e linguaggio: il lavoro di approfondimento logico-linguistico dalla
Befriffsschrift ai Grundgesetze di Roberto
Cocco, Il problema dell’ebraico nella corrispondenza leibniziana del 1696-97 di
Stegano Gensini, Tre modelli di produzione della voce: Ippocrate, Aristotele, Galeno di Patrizia Laspia, Materiali per un
lessico critico-linguistico di G.W. Leibniz: il termine Analogia di Cristina Marras.
Fischer, Kuno
Über den Witz. Ein philosophischer Essay
Klöpfer und Meyer, maggio 1996
pp. 150, DM 32.
Flynn, Bernard
Political Philosophy at the Closure
of Metaphysics
Humanities Press, aprile 1996
pp. 248, s.pr.
Si tratta della critica alle opere dei filosofi
politici a partire dalla prospettiva indicata
dagli ultimi scritti di Merleau-Ponty e dalla
filosofia politica di Lefort. L’analisi si ispira
alle opere di Heidegger, Lacan e della
tradizione fenomenologica.
Fontenelle, Bernard le Bouvier de
Oeuvres comlpètes - vol. VII
Fayard, aprile 1996
pp. 530, F 295
L’opera raggruppa gli scritti di Fontanelle
in qualità di segretario della Académie des
Sciences, le sue polemiche relative alle
scoperte scientifiche del suo tempo e alcuni scritti filosofici. Per tutti gli interessati
alla materia.
Foti, Veronique M. (a cura di)
Merleau-Ponty:
Difference, Materiality, Painting
Humanities Press, maggio 1996
pp. 304, UK£ 35.95
Il volume presenta una raccolta di dottrine
americane ed europee su tre aspetti fondamentali del pensiero di Merleau-Ponty
(1908-1961): il problema della differenza
nel pensiero heideggeriano del dopo-guerra e post-strutturalista, la tematizzazione
della materialità e l’ontologia e la teoria
della pittura.
Fournier, Emmanuel
Croire devoir penser
Eclat, aprile 1996
pp. 133, F 80
”Pensare senza saperlo. Camminare senza
saperlo. Né sapere come fare a camminare o a pensare. Sorprendersi della
mancanza di sapere. E sorprendersi di
poter sapere senza sapere di sapere,
senza avere coscienza di sapere.” Si
tratta di un’interrogazione sul sapere
che si declina senza coniugarsi. Di livello universitario.
Frank, Daniel
Judah Halevi
a cura di Arthur Hertzberg
Peter Halban, giugno 1996
pp. 176, UK£ 7.99
Judah Halevi (c1075-1141), filosofo e poeta spagnolo, fu uno degli ebrei eminenti
nel mondo medioevale mediterraneo.
Franzini, Elio
Estetica: i nomi, i concetti, le correnti
B. Mondadori, giugno 1996
pp. 456, £. 48.000
Il testo si divide in due parti; la prima parte
è una presentazione dei principali momenti della storia della disciplina dall’antichità
ai giorni nostri, la seconda parte, invece, è
una ricostruzione completa e approfondita
delle categorie chiave e dei principali problemi dell’estetica.
Froment-Meurice, Marc
C’est-à-dire: poétique de Heidegger
Galilée, aprile 1996
pp. 217, F 185
La poetica di Heidegger si fa in nome
dell’essere, si basa cioè anche sul nome,
perché il poeta avrebbe la vocazione di
nominare ed è a questo proposito che sarebbe il testimone dell’essere. Questo saggio non si limita alla poesia, ma si occupa
anche del suo ritiro dalla politica, si interessa dell’arte, che Heidegger affronta con
uno spirito diverso, uno spirito che lo porterebbe al di là di se stesso. Di livello
universitario.
pp. 534, F 170
Si tratta della traduzione integrale del testo
definitivo, che rappresenta la totalità del
primo tomo delle Gesammelte Werke, apparse in Germania nel 1986. Una prima
edizione abbreviata di questo testo era già
stata pubblicata dalle edizioni Seuil nel
1973. Di livello universitario e per la ricerca specialistica.
Blackwell Publishers, aprile 1996
pp. 232, UK 14.99
Questo volume fornisce un resoconto del
versante più politico di Felix Guattari, documentando i suoi interventi in conflitti
politici particolari all’interno dell’Europa
contemporanea. Il testo si rivolge a chi
lavora nell’ambito o a cavallo tra gli ambiti
politico, filosofico, semiotico, psicoanalitico, sociologico e degli studi culturali.
Gaeta, Giancarlo, Bettinelli,Carla Del
Lago Alessandro
Vite attive: Simone Weil, Edith Stein,
Hannah Arendt
Lavoro, maggio 1996
pp. 89, £. 12.000
In questo libro vengono esposti le filosofie
di tre donne (Weil, Stein e Arendt) per
mostrare come l’essere donna produca delle differenze nelle modalità del pensare e
proponga una specificità che previene il
pericolo di imprigionarsi in forme di pensiero e di azione standardizzate.
Gensler, Harry
Formal Ethics
Routledge, aprile 1996
pp. 224, UK£ 12.99
Il più importante principio etico è la cosiddetta regola d’oro: “tratta gli altri come
desideresti essere trattato.” Concentrandosi su questo dettame, lo studio mostra che
i principi fondamentali dell’etica sono
molto simili ai principi della logica e forniscono una solida base per il pensiero etico.
Gaetano, Raffaele
Beati se non sanno la loro miseria:
formazione e primi sviluppi del concetto
di natura nella filosofia di Leopardi
prefazione di Jolanda Capriglione
introduzione di Elio Matassi
Periferia, maggio 1996
pp. 134, £. 15.000
Il taglio prevalentemente filosofico di questo libro non trascura l’analisi dei testi
letterari. Esso prende in esame un periodo
particolarmente interessante dell’opera leopardiana, quello della crisi giovanile e
delle cosiddette “conversioni”
Frost, Mervyn
Ethics in International Relations:
A Constitutive Theory
Cambridge UP, maggio 1996
s.pp., UK£ 14.95
La maggior parte delle domande sulla politica internazionale sono di carattere etico.
Tuttavia, all’etica viene riservata una posizione marginale all’interno degli studi accademici dei rapporti internazionali. Questo volume esamina le ragioni fornite per
giustificare questa posizione e conclude
che esse non reggono a un esame accurato.
Gagliardi, Francesco
L’oggettività in Kant
Bibliotheca, giugno 1996
pp. 126, £. 10.000
In questo libro l’autore esamina il problema dell’oggettività nella filosofia kantiana
mostrando come esso implichi essenzialmente l’analisi di due punti. Il primo riguarda il modo nel quale la ragione possa
giungere alla rappresentazione dell’ambito oggettivo attraverso il quale viene delineata l’essenza di un oggetto in quanto
oggetto e il secondo concerne quale genere
di oggetti possa venire determinato sulla
base di tale ambito oggettivo.
Frowen, Stephen F.
Hayek: Economist and Social
Philosopher: A Critical Retrospect
Macmillan Press, aprile 1996
pp. 320, UK£ 45
Questo volume fornisce un giudizio critico
delle ampie prospettive presenti nelle famose opere di Hayek come economista e
filosofo sociale; contiene inoltre articoli
sulle prime opere di Hayek nel campo
dell’economia monetaria.
Gardeva, Peter
Platons ‘Phaidon’. Interpretation
und Bibliographie
Königshausen & Neumann, aprile 1996
pp. 46, DM 32.
Gargano, Antonio
I sofisti, Socrate, Platone
Città del Sole, maggio 1996
pp. 102, £. 7.000
Fuhrmann, Manfred
Cicero: And the Roman Republic
Blackwell Publishers, aprile 1996
pp. 256, s.pr.
Questa biografia di Cicerone è indirizzata
a un pubblico di non specialisti, comprendente coloro che non hanno conoscenze di
prima mano delle lingue classiche. Il volume presenta un coerente resoconto non
solo della personalità di Cicerone, ma anche del retroterra politico e culturale del
suo tempo.
Gaubert, Joël
La science politique d’Ernst Cassirer:
pour une refondation symbolique
de la raison pratique
contre le pythe politique contemporain
Kimé, maggio 1996
pp. 112, F 105
Mobilitando le risorse de La filosofia delle
forme simboliche, Cassirer rifonda progressivamente, negli anni Trenta, la filosofia, aprendola alla considerazione
dell’agire; il filosofo si mette quindi
egli stesso a diagnosticare il male dei
nostri tempi e lo reputa rilevate ai fini di
una quasi-decadenza della funzione
simbolica, dovuta al ritorno di un
pensiero mitico, consolidato attraverso una razionalità tecnica. Di livello
universitario.
Furuta, Hirokiyo
Wittgenstein und Heidegger.
’Sinn’ und ‘Logik’ in der Tradition
der analytischen Philosophie
Königshausen & Neumann, aprile 1996
pp. 164, DM 38.
Gadamer, Hans-Georg
Le problème de la conscience historique
a cura di Pierre Fruchon
Seuil, aprile 1996
pp. 90, F 79
Con coscienza storica bisogna intendere la
coscienza della storicità di tutto ciò che è
presente e la relatività di ogni opinione.
L’apparizione di tale presa di coscienza è,
verosimilmente, la rivoluzione più importante manifestatasi dall’inizio dell’epoca
moderna. Il volume raccoglie cinque conferenze tenute in francese nel 1958 all’università di Tolosa. Per tutti gli interessati
alla materia.
Gadamer, Hans-Georg
Verité et méthode: les grandes lignes
d’une herméneutique philosophique
tr. dal tedesco e a cura di P. Fruchon,
J. Grodin, G. Merlio
Seuil, aprile 1996
Geertz, Clifford Feyerabend, Paul K.
Anti-anti-relativismo. Clifford Geertz
Contro l’ineffabilità culturale/
Paul K. Feyerabend
introduzione di Giorgio De Finis
il mondo, giugno 1996
pp. 78, £. 12.000
In questo libro Clifford combatte la sua
battaglia contro il “demone” del relativismo. D’altra parte, Fereybend definisce il relativismo una “chimera” poiché
esso presuppone degli universi chiusi e
autonomi che possono determinare una
interruzione della comunicazione.
Genosko, Garry
Guattari Reader
89
Ghersi, Luciano
L’essere e il tessere
Loggia de Lanzi, aprile 1996
pp. 294, £. 25.000
Il filo conduttore di questo libro pantagruelico è il filo della tessitura che è intesa
insieme arte, artigianato, tecnica, codice
culturale ecc.
Giamblico
Vie de Pythagore
a cura e tr. dal greco di Luc Brisson,
Alain Segonds
Belles lettres, aprile 1996
pp. 336, F 135
Questa biografia di Pitagora riguarda tre
grandi ambiti di interesse: la filosofia, la
storia delle scienze e l’esoterismo. Il biografo Giamblico, nativo dell’attuale Siria
(290-325 ca. d. C.) fu uno dei più grandi
filosofi del Neo-platonismo. Per tutti gli
interessati.
Gioberti, Vincenzo
Pensieri numerati
a cura di Giulio Bonafede
Cedam, aprile 1996
pp. 159, £. 25.000
In questo libro vengono presentate le meditazioni giovanili di Vincenzo Gioberti
che mettono in rilievo l’inizio della sua
attività di scrittore basata su una notevole
lettura attinta prima alla Biblioteca del
liceo Mandralisca, poi alla Biblioteca della
Fondazione Mandralistica. Gioberti manifestava già la sua concezione filosofica
basata sulla distinzione tra infinito in atto
proprio della mente divina e infinito potenziale proprio della mente umana che determina una riflessione sulla potenza conoscitiva dell’uomo.
Girgenti, Giuseppe
Il pensiero forte di Porfirio: mediazione
tra henologia e ontologia aristotelica
introduzione di Giovanni Reale
Vita e pensiero, giugno 1996
pp. 348, £. 26.000
In questo libro vengono analizzate l’henologia neoplatonica, l’interpretazione porfiriana di Platone e Aristotele, e la concezione porfiriana dell’Uno e la sua ricostruzione della struttura del reale.
Glasersfeld, Ernst von
Radikaler Konstruktivismus.
Ideen, Ergebnisse, Probleme
pref. di Siegfried J. Schmidt
Suhrkamp, aprile 1996
pp. 288, DM 48
Si tratta di un’analisi delle opere di pensatori fondamentali per la storia della filosofia, che hanno sviluppato idee che sono
state basilari per filosofia e su cui è stato
edificato il pensiero costruttivista.
Gloy, K. (a cura di)
Natur- und Technikbegriffe.
Historische und systematische
Aspekte
Bouvier, maggio 1996
pp. 312, DM 68
In questo volume - sotto forma di ricerche
autonome sulla storia del concetto di natura e di tecnica, sulle domande intorno alla
possibilità di conoscenza della natura e su
aspetti teorico-linguistici, teoretico-conoscitivi, etici e politici - viene tracciato
quell’arco che va dal mito alla magia, passando per il meccanicismo e l’Idealismo,
arrivando fino alla molteplicità del discor-
NOVITÀ IN LIBRERIA
so odierno all’interno delle scienze naturali e della filosofia.
Goddman-Thau, E. - Daxner, M.
(a cura di)
Bruch und Kontinuität. Jüdisches Denken
in der europäischen Geistesgeschichte
Akademie-Vlg., aprile 1996
pp. 258, DM 98.
Godfrey-Smith, Peter
Complexity and Function of the Mind
Cambridge UP, maggio 1996
pp. 320, UK£ 30
Quest’opera si propone di spiegare il rapporto tra l’intelligenza e la complesssità
ambientale e, così facendo, di collegare la
filosofia della mente a temi più generali,
riguardanti il rapporto tra organismo e
ambienti, e a uno schema generale di spiegazioni esternaliste.
Golomb, Jacob
Nietzsche and Jewish Culture
Routledge, giugno 1996
pp. 288, UK£ 40
Questa raccolta di saggi analizza il rapporto reciproco tra Nietzsche e la cultura ebraica. Il libro è organizzato in due parti: la
prima esamina gli atteggiamenti di Nietzsche verso gli ebrei e l’ebraismo, la seconda analizza l’influsso di Nietzsche sugli
intellettuali ebrei.
Gottfried, Gabriel
Ästhetischer ‘Witz’ und logischer
’Scharfsinn’. Zum Verhältnis
von wissenschaftlicher
und ästhetischer Weltauffassung
Palm & Enke, aprile 1996
pp. 26, DM 18.
Granada, Miguel A.
El debate cosmològico en 1588:
Bruno, Brahe, Rothmann, Ursus, Roslin
Bibliopolis, giugno 1996
pp. 165, £. 25.000.
Grange, Juliette
La philosophie d’Auguste Comte:
science, politique, religion
PUF, aprile 1996
pp. 448, F 198
Il nome di Comte è messo in relazione con
la filosofia della scienza che fa riferimento
al “positivismo”. Ma il “comtismo” deve
essere riscoperto: il pensiero di Comte si
sforza di realizzare l’ambizione filosofica
di riunire i saperi e di porre le basi per
l’etica, la politica e la religione. Al di là di
uno scientismo sorpassato, il comtismo
permette di pensare a una filosofia della
“fine della filosofia”. Di livello universitario.
Grant, Edward
Planets, Stars, and Orbs:
The Medieval Cosmos, 1200-1680
Cambridge UP, maggio 1996
s.pp., UK£ 17.95
Quest’opera descrive la concezione medioevale del cosmo, così come veniva considerata dai teologi scolastici e dai filosofi
naturali nelle università dell’Europa occidentale dal XIII al XVII secolo.
Grethlein, Th. - Leitner, H.
Inmitten der Zeit. Beiträge
zur europäischen Gegenwartsphilosophie.
Festschrift für Manfred Riedel
Königshausen & Neumann, maggio 1996
pp. 646, DM 86.
Groenen, Marc
Leroi-Gourhan: essence et contingence
dans la destinée humaine
pref. di Marc Richir
De Boeck-Wesmael, maggio 1996
pp. 185, F 125
André Leroi-Gourhan, instancabile pensatore dell’uomo, si è rivelato essere il
costruttore dell’antropologia globale.
La grande originalità del suo sistema si
basa sul fatto che egli si rifà alla biologia, all’etnologia e alla preistoria. Oggigiorno, il suo pensiero alimenta le
ricerche in numerose discipline. Per gli
specialisti della materia.
Großheim, M. (a cura di)
Leib und Gefühl. Beiträge
zur Anthropologie
Akademie-Vlg., aprile 1996
pp. 306, DM 98.
Grosseteste, Robert
On the Six Days of Creation: A Translation
of the ‘Hexaemeron’
Oxford UP, aprile 1996
pp. 380, UK£ 30
Questa traduzione integra il testo latino
dell’Hexaemeron di Dales e Gieben. Fornisce un resoconto dell’unità della cultura
medioevale, dove lo studio di Dio include
lo studio del mondo intero. Si rivolge agli
studenti e agli specialisti di filosofia, teologia e letteratura medioevali.
Pro-Universitatte-Vlg., maggio 1996
pp. 126, DM 69.
Hogrebe, Wolfram
Societa teutonica. Profile
der Frühromantik und das Elend
der deutschen Geselligkeit
Palm und Enke, maggio 1996
pp. 32, DM 18.
Hohmann, J.S. (a cura di)
Beiträge zur Philosophie
Eduard Sprangers
Duncker & Humblot, maggio 1996
pp. 394, DM 148.
Guglielmo di Occam
Somme de logique - parte II
a cura e tr. dal latino di Joël Biard
TER, maggio 1996
pp. 242, F 189
Il volume rappresenta un momento decisivo della conclamazione dei principi dell’analisi sematica, che verranno poi sviluppati da un gran numero di filosofi nel
XIV secolo. La logica di Occam, un’opera
fondamentale per comprendere il pensiero
degli ultimi secoli medioevali, rompe con
ogni visione di un sistema cosmologico di
rinvii simbolici, in cui il mondo è esso
stesso un linguaggio.
Höhn, H.-J.
Krise der Immanenz. Religion
am Ende der Moderne
Fischer Taschenbuchvlg., maggio 1996
s.pp., DM 34
Filosofi, studiosi di religione e sociologi si
occupano delle questioni fondamentali
della permanenza dell’elemento religioso
in opposizione alle spinte di secolarizzazione radicali degli ultimi tre secoli.
Hubbert, Joachim
Auf dem Rücken eines Tigers
in Träumen versunken. Einführung
in Nietzsches philosophische Kulturkritik
Brockmeyer, aprile 1996
pp. 104, DM 29,80.
Guyer, Paul
Kant and the Experience of Freedom:
Essays on Aesthetics and Morality
Cambridge UP, giugno 1996
pp. 467, UK£ 12.95
Questa raccolta di saggi si propone di trasformare il nostro modo di concepire sia
l’estetica che l’etica di Kant. Guyer mostra
che, al centro della teoria estetica di Kant,
il disinteresse per il gusto diventa un’esperienza di libertà e quindi un indispensabile
complemento della moralità stessa.
Hübsch, Stefan
Philosophie und Gewissen.
Beiträge zur Rehabilitierung
des philosophischen Gewissensbegriffs
Vandenhoeck & Ruprecht, aprile 1996
pp. 286, DM 80
L’insicurezza in questo campo viene ricondotta da Hübsch al fatto che il concetto
di coscienza è stato svincolato dal contesto
della riflessione filosofica ed è comparso
all’orizzonte della costruzione della teoria
scientifica.
Hacker, P.M.S.
Wittgenstein: Mind and Will:
’Philosophical Investigations’ an Analytical Commentary
on the ‘Philosophical Investigations’
vol. IV
Blackwell Publishers, aprile 1996
pp. 752, UK£ 74.95
Si tratta del quarto e ultimo volume del
commento alle Investigazioni filosofiche
di Wittgenstein. Come i volumi precedenti, il testo consiste di saggi filosofici e di
esegesi. I nove saggi analizzano i temi più
importanti di questa parte dell’opera.
Hughes, G.E. - Cresswell, M.J.
A New Introduction to Modal Logic
Routledge, aprile 1996
pp. 448, UK£ 13.99
La logica modale è la logica della necessità
e della possibilità; diversamente rispetto
alla logica non-modale, essa codifica le
strutture che rappresentano come le cose
potrebbero essere e come di fatto sono.
Questo testo guida i lettori attraverso i
sistemi più importanti di logica del predicato modale con identità.
Han, Byung-Chul
Heideggers Herz. Zum Begriff
der Stimmung bei Martin Heidegger
W. Fink, aprile 1996
pp. 160, DM 48
Con il concetto di “umore”, l’autore
rivela lo strato portante della filosofia
di Heidegger. Nell’umore, che rimane
“al di qua” rispetto alle affermazioni
psicologiche e antropologiche, si rivela
un “qui” che non è connotato dal punto
di vista metafisico.
Ivanhoe, Philip J. (a cura di)
Chinese Language, Thought and Culture:
Nivison and his Critics
Open Court, maggio 1996
pp. 392, UK£ 18.50
Questa raccolta di saggi scritti da sinologi,
storici e filosofi confuta e amplia l’opera di
David Nivison, i cui contributi spaziano
dalla filosofia morale, alla riflessione religiosa, alla storia del pensiero alla lingua
cinese. Nivison risponde a ogni saggio.
Hardwick, Charley D.
Events of Grace:
Naturalism, Existentialism, and Theology
Cambridge UP, maggio 1996
pp. 350, UK£ 37.50
Inserendosi nella tradizione teologica liberale, iniziata con Schleiermacher, questo
testo dimostra che la fede cristiana può
essere pienamente compatibile con una
visione scientifica del mondo.
Janich, Peter
Konstruktivismus und Naturerkenntnis.
Auf dem Weg zum Kulturalismus
Suhrkamp, maggio 1996
pp. 320, DM 22,80.
Jay, Martin
The Dialectical Imagination:
A History of the Frankfurt School
and the Institute of Social Research,
1923-1950
Univ. of California Press, aprile 1996
pp. 415, UK£ 10.95
Si tratta di una storia della Scuola di Francoforte e del suo impatto, nei primi anni
della sua esistenza, sulla cultura tedesca e
statunitense. Quest’edizione include una
nuova prefazione che contiene riflessioni
sull’attualità e l’importanza, ai giorni nostri, delle opere della Scuola di Francoforte.
Heintel, Erich
Gesammelte Abhandlungen
vol. V: Zur praktischen Vernunft 1,
Zum Begriff der Freiheit, des Handelns
und der Ethik
Frommann-Holzboog, aprile 1996
pp. 435, DM 98.
Heintel, Erich
Gesammelte Abhandlungen
vol. VI: Zur praktischen Vernunft 2,
Zum Begriff der Geschichte, der Politik
und der Erziehung
Frommann-Holzboog, aprile 1996
pp. 440, DM 98.
Jeannière, Abel
Les présocratiques
Seuil, aprile 1996
pp. 224, F 65
Si tratta di uno studio su alcune delle principali figure che emersero nel periodo tra il
VI e il V secolo a.C.: Talete, Anassimandro, Anassimene, Senofane, Pitagora,
Eraclito, Parmenide, Anassagora, Democrito... Per tutti gli interessati alla materia.
Hemming, Ralf
Individuum. Soziogenese
und kommunikative Kompetenz.
Zur Bestimmung und Kritik
sozialtheoretischer
Implikationen im Habermas’schen
Theorieentwurf
90
Joly, Jacques
La nature selon Ando Shoêki
Maisonneuve et Larose, maggio 1996
pp. 528, F 210
L’autore, tramite la nozione di “shizen”, ci
offre un quadro di come gli ambienti intellettuali giapponesi dell’epoca Tokugawa
abbiano potuto concepire il problema dei
rapporti tra la natura e la cultura. Per tutti
gli interessati alla materia.
Kanitscheider, Bernulf
Im Innern der Natur. Philosophie
und moderne Physik
Wiss. Buchges., maggio 1996
pp. 244, DM 68
Il libro presenta la concezione del mondo
delle scienze naturali, così come essa si
presenta nella riflessione filosofica. L’autore si pone lo scopo di raggiungere un
naturalismo generale, che comprenda anche l’esistenza dell’essere umano e il suo
orientamento verso il mondo della vita.
Kant, Immanuel
Kant: the Metaphysics of Morals
tr. e a cura di Mary Gregor
Cambridge UP, aprile 1996
pp. 252, UK£ 10.95
Questo volume contiene due parte: la Dottrina del diritto, che si occupa dei diritti
che la gente ha o può acquisire e la Dottrina
della virtù, che si occupa delle virtù che la
gente dovrebbe acquisire. Questa traduzione include note sulla terminologia kantiana, spesso difficile e poco accessibile.
Kaufmann, Matthias
Rechtsphilosophie
Alber, maggio 1996
pp. 320, DM 99.
Kellerer, Christian
Die Befreiung des abendländischen
Denkens
Stroemfeld, maggio 1996
pp. 675, DM 48
Kellerer presenta, nel suo libro, una teoria
dello sviluppo del processo culturale occidentale che è sia avvincente che divertente
da leggere. La bellezza del libro risiede nel
fatto che in esso vengono intrecciate conoscenze psicologiche, filosofiche e tecnicoscientifiche.
Kemmerling, A. - Schütt, H.-P.
(a cura di)
Descartes nachgedacht
Klostermann, maggio 1996
pp. 208, DM 38
I contributi originali, raccolti in questo
volume, tematizzano i diversi aapetti della
metafisica, della teoria della conoscenza e
della filosofia dello spirito cartesiane, che
vengono ancora interpretate non correttamente nella cerchia degli esperti di filosofia classica.
Kemmerling, Andreas
Ideen des Ichs. Studien
zu Descartes’ Philosophie
Suhrkamp, aprile 1996
pp. 200, DM 18,80.
Kerger, Henry
Wille als Reiz. Die psycho-physischen
Grundlagen der Lehre Nietzsches
vom Willen zur Macht
Königshausen & Neumann, maggio 1996
pp. 240, DM 48
Le affermazioni di Nietzsche sul rapporto
tra i processi psicologici e fisiologici, nelle
quali Nietzsche formula l’ipotesi di una
volontà unica, vengono collocate e presentate qui nel contesto in cui furono espresse.
Keshen, Richard
Reasonable Self-esteem
McGill Q UP (UCL), maggio 1996
pp. 232, UK£ 10.95
L’autore, in questa sua rassegne sulla filosofia dell’autostima, sviluppa e difende
l’idea di un’autostima ragionevole, un concetto basato su un ideale di ragionevolezza, e conclude che gli individui che pensano a se stessi nei termini di questo paradigma vivranno vite più felici e più soddisfacenti.
Kessler, H. (a cura di)
Ökologisches Weltethos im Dialog
der Kulturen und Religionen
Wiss. Buchges., aprile 1996
pp. 290, DM 58
NOVITÀ IN LIBRERIA
Instaurando un dialogo tra esperti appartenenti a diverse culture e religioni,
il libro cerca di raggiungere un accordo
su atteggiamenti fondamentali e princÏpi ecologici ed etici che hanno un’importanza mondiale.
Kessler, H. (a cura di)
Sokrates, Geschichte, Legende,
Spiegelungen
H. Leins, aprile 1996
pp. 296, DM 34
Gli otto contributi a questo volume, che
fa parte degli Sokrates-Studien II, si
dedicano ad analizzare le interpretazioni che, nel corso del tempo, sono state
date della figura di Socrate. In piccolo,
queste interpretazioni rispecchiano però
anche tutta la storia della filosofia.
Kim, Jaegwon
Philosophy of Mind
Westview Press, maggio 1996
pp. 224, UK£ 13.50
Questa rassegna - concepita come libro di
testo per studenti universitari laureandi e
laureati, ma adatta anche a filosofi esperti
e a lettori nuovi all’argomento - esamina,
traccia delle mappe e interpreta la filosofia
della mente.
Klemme, Heiner F.
Kants Philosophie des Subjekts
Meiner, maggio 1996
s.pp. , DM 148.
Kobusch Th. - B. Mojsisch (a cura di)
Platon. Seine Dialoge in der Sicht neuer
Forschungen
Wiss. Buchges., aprile 1996
pp. 296, DM 68
L’aspetto nuovo di questo volume è rappresentato dal fatto che i singoli dialoghi di
Platone vengono analizzati da rappresentanti delle diverse scuole. Attraverso i nuovi approcci, vengono aperte al lettore nuove prospettive sulla filosofia platonica.
Koslowski, P.
Ethics of Capitalism and Critique
of Sociobiology
Springer, maggio 1996
pp. 142, DM 98
I due saggi raccolti nel libro si occupano di due argomenti: la teoria etica
dell’ordine economico e la critica alla
sociobiologia e alla sua teoria dell’evoluzione. I due saggi sono commentati
da James B. Buchnam.
Koslowski, P. (a cura di)
Die spekulative Philosophie
der Weltreligionen. Ein Beitrag
zum Gespräch der Weltreligionen
im Vorfeld der Expo 2000 Hannover
Passagen-Vlg., aprile 1996
pp. 50, DM 14,80.
Kramer, Rolf
Ethik des Geldes. Eine theologische
und ökonomische Verhältnisbestimmung
Duncker und Humblot, maggio 1996
pp. 136, DM 86.
Krämer, S. (a cura di)
Bewußtsein. Philosophische Beiträge
Suhrkamp, maggio 1996
pp. 272, DM 19,80.
Kremer-Marietti, Angèle
La raison créatrice: moderne
ou post-moderne
Kimé, aprile 1996
pp. 192, F 135
Quando la ragione moderna si avventurò
con ottimismo lungo le vie della scienza e
della tecnica, sembra che da essa si sia
distaccata come un’altra ragione, una sua
figlia primogenita. Oramai però le innovazioni e il divenire caratterizzano un mondo
sempre più complesso, davanti al quale
l’essere umano prova un crescente senso di
perplessità. Di livello universitario.
Kristjcnsson, Kristjcn
Social Freedom: The Responsibility View
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 32.50
In quest’opera, Kristjcn Kristjcnsson offre
un’analisi critica dei principali elementi
della teoria della libertà negativa: la natura
degli ostacoli e delle costrizioni, il peso
degli ostacoli e il rapporto della libertà con
il potere e l’autonomia.
Kronegger, Marlies (a cura di)
Life - the Human Quest for an Ideal:
25th Anniversary Publication Book II
Kluwer, maggio 1996
pp. 360, UK£ 98
Questa raccolta di saggi - preceduta da un
esame dell’allegoria nell’estetica e della
metafisica dell’ontopoiesis della vita - si
apre con Tymieniecka, la quale propone la
“misura aurea” come l’ideale che l’umanità dei nostri giorni chiede e per cui lotta.
Lee, Patrick
Abortion and Unborn Human Life
Catholic UP USA, aprile 1996
pp. 168, UK£ 11.95
Questo volume affronta la questione morale dell’aborto: è sempre moralmente giusto
procurare un aborto, aiutare a procurarlo o
eseguirlo? Il testo passa in rassegna le
principali argomentazioni filosofiche a favore della permissibilità morale dell’aborto e ne confuta i diversi punti argomentativi.
Kühn, R.
Leben als Bedürfen.
Eine lebensphänomenologische
Analyse zu Kultur und Wirtschaft
Physica-Vlg., maggio 1996
pp. 247, DM 90
La cultura non è la creazione di opere
letterarie, ma un’auto-elevazione della vita
originario-fenomenologica. Nella “situazione di bisogno”, la soggettività assoluta
dell’essere umano riceve questa vita e la
vuole anche riconoscere in tutto. Questo
processo è determinante anche per l’economia.
Leibniz, Gottfried Wilhelm von
Des Freiherrn von Leibniz Theodicee,
das ist von der Güte Gottes, Freiheit
des Menschen und vom Ursprunge
des Bösen, mit verschiedenen Zusätzen
und Anmerkungen vermehrt
von Johann Christoph Gottscheden (1744)
a cura di H. Horstmann
Akademie-Vlg., maggio 1996
pp. 600, DM 136
Questa nuova edizione si basa su quella
commentata da Gottsched nel 1744, con
tutti gli allegati da lui allora pensati; contiene un elenco dei nomi, è corredata di
note e ha una post-fazione dell’editore.
Kummer, Christian
Philosophie der organischen Entwicklung
Kohlhammer, maggio 1996
pp. 271, DM 36.
Lenk, Hans et al.
Ethik in der Wirtschaft. Chanchen
verantwortlichen Handelns
Kohlhammer, aprile 1996
pp. 210, DM 40.
Lamettrie, Julien Offray de
’Machine Man’ and other Writings
tr. e a cura di Ann Thomson
Cambridge UP, a prile 1996
s. pp., UK£ 12.95
Julien Offray de Lamettrie, l’autore dell’Uomo macchina (1747), era uno dei più
convinti materialisti del XVIII secolo.
Questa traduzione presenta questo testo,
insieme ad altri scritti. Il volume descrive
anche le conseguenze morali scandalose
che egli trasse dal suo materialismo.
Lesch, W. (a cura di)
Naturbilder - Ökologische
Kommunikation
zwischen Ästhetik und Moral
Birkhäuser, aprile 1996
pp. 344, FRS 48
La percezione dell’ambiente naturale viene determinata dalle rappresentazioni della natura trasmesse dalla cultura, la cui
conoscenza è importante per la concezione
e l’agire ecologici. Il libro fornisce una
chiave d’ingresso a settori dell’attuale ricerca sull’ambiente scientifica e culturale.
Ciò che accomuna tutti i contributi è la
questione delle rappresentazioni della comunicazione ecologica.
Lange, Ernst Michael
Ludwig Wittgenstein Logisch-philosophische Abhandlung.
Ein einführunder Kommentar in den
‘Tractatus’
Akademie-Vlg., aprile 1996
pp. 156, DM 18,80.
Lewis, Gordon
Existence in Black: An Anthology
of Black Existential Philosophy
Routledge, giugno 1996
pp. 288, UK£ 12.99
Questo studio, basandosi su fonti della
filosofia e della letteratura africana, analizza alcuni temi centrali dell’esistenzialismo, così come vengono presentati nel
contesto di ciò che Franz Fanon ha identificato come “l’esperienza vissuta del nero”.
Lao-tzu
Tao Te Ching: The Book of the Way
Kyle Cathie, aprile 1996
pp. 128, UK£ 5.99
Il manuale cinese classico sull’arte di vivere di Lao-tzu, esamina la condizione di
base dell’essere vivi e fornisce consigli che
tendono a far raggiungere l’equilibrio e
nuove prospettive, partendo da uno spirito
sereno e generoso. La traduzione di Stephen Mitchell, si propone di mantenere il
sentimento di grazia e profonda saggezza
dell’originale.
Lohnstein, Horst
Formale Semantik und natürliche
Sprache. Einführung und Lehrbuch
Westdt. Vlg., aprile 1996
pp. 280, DM 46
L’autore fornisce una presentazione
completa e sintetica dei concetti teorici
e dei processi di analisi correnti e introduce, capitolo dopo capitolo, alla teoria
degli insiemi, alla logica delle affermazioni e dei predicati, alla teoria dei tipi,
al calcolo del Lambda, alla semantica
temporale e alla logica modale, fino ad
arrivare alla logica intensionale. Il libro
comunica anche i fondamenti tecnici
della semantica formale.
Laurent, Alain
Du bon usage de Descartes
Maisonneuve et Larose, aprile 1996
pp. 128, F 98
Il libro intende far rivisitare con simpatia
un aspetto un po’ trascurato ma importante
dell’opera di Cartesio: la sua morale individualista di portata universale che completa e corona la riflessione scientifica e
metafisica. Il volume è quindi un testo di
divulgazione dell’opera di Cartesio.
Lawton, Clive
Celebrating Caribbean
Young Library, giugno 1996
pp. 48, UK£ 7.50
Il libro fa parte di una serie che analizza il
modo di vivere di altri popoli. L’autore
descrive le celebrazioni caraibiche, si occupa anche di abiti e di costume, di cibo,
religione e include testi sacri e luoghi di
culto, nascita, morte e matrimonio, le feste
e le celebrazioni con il loro calendario e la
lingua caraibica.
Lugo, Luis E.
Sovereignity at the Crossroads?:
Morality and International Politics
in the Post-Cold War Era
Rowman & Littlefield, aprile 1996
pp. 208, UK£ 18.50
L’opera analizza i problemi del mondo
dopo la guerra fredda: la lotta etnica e
nazionale, la proliferazione delle armi
nucleari e il terrorismo. L’autore, adottando una prospettiva filosofico-morale, si rifà a una tradizione di riflessione
politica cristiana allo scopo di considerare la politica internazionale sotto
l’aspetto morale.
Lawton, Clive
Celebrating India
Young Library, giugno 1996
pp. 48, UK£ 7.50
Il libro fa parte di una serie che analizza il
modo di vivere di altri popoli. L’autore
descrive le celebrazioni indiane, si occupa
anche di abiti e di costume, di cibo, religione e include testi sacri e luoghi di culto,
nascita, morte e matrimonio, le feste e le
celebrazioni con il loro calendario e la
lingua indiana.
Lutz, B. (a cura di)
Metzler-Philosophen-Lexikon
Metzler, aprile 1996
pp. 954, DM 39,80
Si tratta di un’edizione speciale, la seconda, di questo volume, che è stato ampliato
e attualizzato.
91
Macmurray, John
Interpreting the Universe
Humanities Press, aprile 1996
pp. 112, UK£ 9.95
Quest’opera dimostra che il filosofo John
Macmurray ha posto le basi dell’idea che i
filosofi debbano imparare a pensare all’azione, il che presuppone una partecipazione alla vita reale, e non uno studiare il
puro sé pensante, per il quale il mondo è un
oggetto.
Mai, Katharina
Die Phänomenologie und ihre
Überschreitungen. Husserls reduktives
Philosophieren und Derridas Spur
der Andersheit
M & P, aprile 1996
pp. 340, DM 45.
Mainzer, K.
Thinking in Complexity.
The Complex Dynamics of Matter,
Mind and Mankind
Springer, aprile 1996
pp. 350, DM 58
Il libro, in questa sua seconda edizione
ampliata, fornisce un’ampia rassegna
sull’importanza della complessità e dell’evoluzione nella natura e nel mondo
moderno. Vengono fornite argomentazioni in favore di una visione del mondo integrativa e olistica che saranno
certamente interessanti per la generazione contemporanea, con i suoi ideali
filosofici.
Malusa, L. - Campodonico, A.
(a cura di)
Jacques Maritain: riflessioni
su una fortuna
F.Angeli, maggio 1996
pp. 159, £. 24.000
Il volume si propone un bilancio critico
del pensiero di Jacques Maritain inquadrandolo nel suo tempo, confrontandolo con altri del novecento e valorizzando alcuni aspetti meno conosciuti e tuttavia fondamentali nella sua opera. Le
tematiche trattate dai diversi specialisti
riguardano in particolare l’articolazione maritainiana dei «gradi del sapere»,
dalla metafisica alla dottrina della conoscenza, dalla problematica epistemologica alla teologia filosofica, dall’etica alla filosofia politica.
Manilius, Marcus
Il poema degli astri: Astronomica
Mondadori, giugno 1996
pp. 384, £. 48.000.
Marchetti, Laura
Il fanciullo e l’angelo:
sulle metafore della redenzione
Sellerio, maggio 1996
pp. 271, £. 35.000
Tra le tematiche trattate in questo libro si
rilevano: visioni del fanciullo o dell’Origine, pulsioni originarie e origine del progresso, il “Fanciullo Divino” e il mito dell’Eterno Ritorno, visioni dell’angelo o della Leggerezza, il Doppio angelico e l’identificazione proiettiva “buona”.
Marcuzzi, Max
Les corps artificiels: peur
et responsabilités
Aubier, aprile 1996
pp. 256, F 98
L’autore analizza le dottrine riguardanti il
corpo nel corso della storia della filosofia.
Ne risulta che il corpo è diventato un oggetto di culto che si occupa ormai solo di se
stesso. Marcuzzi si interroga sui rischi di
ammettere solamente l’esistenza dei corpi,
indipendenti dall’incorporeo. Per tutti gli
interessati alla materia.
Maritain, Jacques
La philosophie de la nature: essai
critique sur ses frontières et son objet
pref. Louis Chammings
Téqui, aprile 1996
pp. 167, F 80
In questa nuova edizione ampliata della
sua opera, Jacques Maritain mostra che,
contrariamente alle scienze della natura, la
filosofia della natura costituisce anche una
saggezza, nella misura in cui essa esercita,
a un livello che le è proprio, lo sguardo con
intento ontologico, che la rapporta e la
ricollega alla metafisica. Per tutti gli interessati.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Martelli, Michele
Gramsci: filosofo della politica
Unicopli, aprile 1996
pp. 203, £. 26.000
Dopo il crollo del “socialismo reale” esteuropeo e la crisi radicale del comunismo
come teoria e prospettiva storica il ripensamento e la reinterpretazione della gramsciana “Filosofia della prassi” diventa uno
dei punti obbligati per chiunque voglia
tentare un bilancio critico del movimento
comunista del XX secolo di cui Gramsci è
una delle coscienze più alte e problematiche.
Martin, C.J.F.
An Introduction to Medieval Philosophy
Edinburgh UP, giugno 1996
pp. 144, UK£ 11.95
L’autore guida gli studenti attraverso i
problemi intellettuali del pensiero medioevale, spiegando i principali argomenti da
Agostino d’Ippona al XVI secolo. Enfatizzando i rapporti tra ragione e fede, l’autore
mostra che i filosofi medioevali considerarono il loro ruolo come lo sviluppo di una
tradizione.
Martin, Mike W.
Love’s Virtues
Univ. Press of Kansas, maggio 1996
pp. 224, UK£ 11.95
Quest’opera esamina perché i valori morali abbelliscono e rinforzano i rapporti erotici e matrimoniali. L’autore lancia una
sfida al cinismo rispetto al matrimonio, pur
rimanendo sensibile agli innumerevoli problemi che le coppie si trovano ad affrontare; il suo approccio all’amore matrimoniale è sia tradizionale che moderno.
Marx, Karl
Misère de la philosophie
a cura di Jean Kessler
Payot, aprile 1996
pp. 240, F 72
Nel 1847, in occasione di una polemica
con Proudhon, Marx - in questo testo,
scritto direttamente in francese - regola i
conti con una certa idea del socialismo e
dell’economia. Criticando il socialismo
“piccolo-borghese”, egli precisa le sue tesi
e ne propone una versione molto accessibile.
Masters, Roger D.
Machiavelli, Leonardo, and the Science
of Power - vol. III
Univ. Notre Dame Press, aprile 1996
pp. 384, UK£ 26.50
L’autore di questo testo sostiene che il
pensiero di Machiavelli rende accessibile
la saggezza antica alla condizione moderna (e post-moderna) e che la sua comprensione della natura umana è superiore a
quella di Hobbes, Locke, Rousseau, Marx
o Mill. Viene anche documentato il suo
rapporto con Leonardo da Vinci.
Masullo, Aldo
Metafisica: storia di un’idea
Donzelli, giugno 1996
pp. 316, £. 38.000
Quesro libro analizza lo sviluppo della
metafisica mostrando come il problema
fondamentale sia quello di recuperare ciò
che di divino è rimasto nell’umano, i diversi simboli attraverso i quali gli uomini
riescono a orientarsi entro la pluralità dell’esperienza. La metafisica così si rivela
essere la “logica generale delle misure”.
Mathieu, Vittorio
Orfeo e il suo canto: scritti (1950 -1993)
prefazione di Guglielmo Gallino
S. Zamorani, maggio 1996
pp. 166, £. 36.000
I saggi raccolti in questo libro scritti nel
corso di quarant’anni coprono l’intero arco
della riflessione filosofica di Mathieu. Si
tratta di una ripresa in chiave contemporanea della filosofia di Plotino.
Moravia, Sergio
L’enigma dell’esistenza: soggetto,
morale, passioni nell’età
del disincanto
Feltrinelli, maggio 1996
pp. 256, £. 40.000
In questo libro Moravia propone il mistero
dell’esistenza senza fornire soluzioni definitive ma ponendo le domande più urgenti
per l’uomo occidentale nel suo essere-nelmondo. Per Moravia l’uomo passionale
ma anche morale può perseguire una giustificazione laica alla propria esistenza, o
addirittura una forma di salvezza, ricercando e costruendo sempre nuovi valori, sempre nuove forme di comprensione tra l’io e
l’altro.
Fenomenologia dello spirito sia quello della
libertà, di una libertà che sempre inciampa
negli accidenti della storia e sempre si
solleva su se stessa e su tutto si eleva.
Montaleone, Carlo
La cultura a Milano nel dopoguerra:
filosofia e engagement in Remo Cantoni
Bollati Boringhieri, aprile 1996
pp. 251, £. 38.000
In questo libro l’autore esamina la figura
poliedrica di Remo Cantoni considerando
la sua critica al fascismo, la sua adesione al
comunismo e il suo successivo abbandono
del comunismo in nome di un umanesimo
critico insofferente ai dogmi della nuova
“mitologia” marxista. Montaleone evidenzia come nella concezione filosofica di
Cantoni predomini l’idea che il Logos non
si incarni e che quindi, il mondo degli
uomini rappresenti un’opera aperta.
Mattei, Jean-François
Platon et le miroir du mythe
de l’âge d’or à l’Atlantide
PUF, aprile 1996
pp. 344, F 148
La filosofia platonica, tesa tra il mito e la
ragione, la recita e l’argomentazione, la
persuasione e la certezza, nasce anche come
mitologia, intrecciando in maniera indissolubile i due percorsi attraverso i quali il
mondo accede alla parola. Di livello universitario.
McDermott, Robert A.
The Essential Steiner:
Basic Writings of Rudolph Steiner
Floris Books, aprile 1996
pp. 464, UK£ 11.99
Si tratta di un’introduzione agli scritti principali di Rudolph Steiner, che ha avuto un
importante influsso sull’educazione, la letteratura, l’arte, la scienza e la filosofia
contemporanee. Il libro narra della vita e
delle opere di Steiner e lo mette in relazione alle principali tradizioni di pensiero.
Montet, Danielle
Archéologie et généalogie: Plotin
et la théorie platonicienne des genres
J. Millon, aprile 1996
pp. 272, F 170
Lungi dal contribuire a una lettura troppo semplicemente idealista di Platone,
il testo di Plotino potrebbe confermare
un approccio fenomenologico al pensiero platonico, di cui non è ancora stata
misurata tutta la fecondità. Di livello
universitario.
McInerny, Ralph
Aquinas and Analogy
Catholic UP USA, giugno 1996
pp. 178, UK£ 31.95
De nominum analogia di Cajetan introduce un’argomentazione spuria che non si
ritrova in Tommaso d’Aquina. Questo testo indica che la fonte della confusione è
dovuta alla non comprensione da parte di
Cajetan di un testo tratto dal Commento
alle sentenze di Aquino e mostra quanto sia
fuorviante questa distinzione.
Moore, F.C.T
Bergson: Thinking Backwards
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 10.95
Il volume analizza la filosofia di Henri
Bergson (1859-1941), mostrando la sua
importanza per la filosofia contemporanea. L’autore discute una serie di argomenti, comprendenti il riso, la natura dell’esperienza del tempo e suggerisce che
l’intelligenza e il linguaggio dovrebbero
essere visti come un prodotto pragmatico
dell’evoluzione.
McIntyre, Lee C.
Laws and Explanation in the Social
Sciences: A Defense of Nomological
Explanation in the Study
of Human Behavior
Westview Press, aprile 1996
pp. 184, UK£ 33.50
Ponendosi come obiettivo un’analogia con
le scienze naturali, questo libro si prefigge
di mostrare che le barriere dell’indagine
nomologica all’interno delle scienze sociali non sono generate da fattori appartenenti unicamente all’indagine sociale, ma
che derivano da una serie di problemi molto comuni che si prospettano ogni volta che
si indaga in modo scientifico.
Morresi, Ruggero
Argomentazione e dialettica:
tra logica hegeliana e nouvelle rhétorique
Calamo, aprile 1996
pp. 131, £. 24.000
In questo libro vengono trattate; la dialettica e la teoria dell’argomentazione, le figure della differenza, la neoretorica e la
neodialettica, la dialettica e retorica in Hegel
e Perelman, l’hegelismo e le tecniche dell’argomentazione.
Morris, Paul
Rosenzweig
a cura di Arthur Herztberg
Peter Halban, giugno 1996
pp. 176, UK£ 7.99
Franz Rosenzweig (1886-1929), il teologo
ebreo tedesco, viene considerato il pensatore religioso più profondo dell’epoca
moderna.
Meyer, Lutz
John Rawls und die Kommunitaristen.
Eine Einführung in Rawls’ Theorie
der Gerechtigkeit und die
kommunitaristische Kritik am Liberalismus
Königshausen & Neumann, maggio 1996
pp. 128, DM 32.
Mulhall, Steven
Routledge Philosophy Guidebook
to Heidegger and ‘Being and Time’
Routledge, maggio 1996
pp. 216, UK£ 6.99
Questo volume guida il lettore attraverso la
complessità del pensiero di Heidegger in
Essere e tempo, collocando l’opera nel suo
contesto, sia all’interno del progetto filosofico di Heidegger, che nel filone della
storia della filosofia. Vengono anche presi
in considerazione la vita di Heidegger e il
suo ambiente.
Miquel, Christian
La quête de l’exil: pratique de l’exil
L’Harmattan, maggio 1996
pp. 86, F 70
E’ possibile ritrovare in un modo pratico
l’esilio interiore che esiste in ognuno di noi
e che viene abitualmente occultato dalle
molteplici forme sociali, giochi di potere e
di forza che regolano l’individuo? Questo
è l’obiettivo del libro, che si propone di
dimostrare come il sentimento e la ricerca
dell’esilio possano essere riscontrati sia in
una città che in un’avventura amorosa. Per
tutti gli interessati alla materia.
Mittelstaedt, Peter
Die Zeitbegriffe in der Physik.
Physikalische und philosophische
Untersuchungen zum Zeitbegriff in der
klassischen und relativistischen Physik
Spektrum, maggio 1996
pp. 192, DM 49,80.
Naudé, Gabriel 1600-1653
De fato: ristampa anastatica
dell’edizione Joh. Beverovicii
Epistolica quaestio, de vitae termino,
fatali an mobili? Lugduni Batavorum 1639
a cura di Anna Lisa Schino
Conte, aprile 1996
pp. 104, £. 70.000.
Monaldi, Marcello
Storicità e religione in Hegel:
strutture e percorsi della storia
della religione nel periodo berlinese
ETS, giugno 1996
pp. 252, £. 18.000
L’autore intende contrapporsi alla tradizionale interpretazione della filosofia hegeliana come teoria dello Stato assoluto
mostrando come il concetto che domina la
Nicolas, Simonne
Métaphysique: sens et amour de la réalité
Téqui, aprile 1996
pp. 164, F 70
Che cos’è la metafisica, come nasce e si
sviluppa? Simonne Nicolas, professoressa
di filosofia e metafisica, mostra la liberazione che porta la metafisica a chi ne comprende l’insegnamento. Per tutti gli interessati.
92
Notker der Deutsche von St. Gallen
’De Categoriae’. Boethius’ Bearbeitung
von Aristoteles’ Schrift ‘Kategoriai’.
Konkordanzen, Wortlisten und Abdruck
der Texte nach den ‘Codices Sangallensis’
818 und 825
a cura di E. Firchow Schebaron
de Gruyter, maggio 1996
pp. 1243, DM 680
La traduzione in antico alto tedesco
della versione di Boezio delle Categorie di Aristotele fu redatta nel 1000
d.C.. Quest’importante opera sulla logica fu utilizzata come libro di testo.
Quest’edizione la presenta in due volumi.
Ommerborn, Wolfgang
Die Einheit der Welt.
Die Qui-Theorie des Neo-Konfuzianeres
Zhang Zai (1020 bis 1077)
Grüner, aprile 1996
pp. 349, DM 125.
Onfray, Michel
La sculpture de soi: la morale esthétique
LGF, maggio 1996
pp. 219, F 40
La filosofia di M. Onfray si esprime nel
suo rapporto con i filosofi, colti nella
loro vita, quella vita che spetta a ciascuno di noi costruire, farne un’opera d’arte, secondo il desiderio di Nietzsche.
Questo deve avvenire preferibilmente
seguendo la logica di espansione dei
corpi e dei piaceri, attraverso la quale
un’etica può dirsi anche estetica. Per
tutti gli interessati.
Onyefulu, Ifeoma
One Big Family: Sharing Life
in an African Village
Frances Lincoln, aprile 1996
pp. 32, UK£ 9.99
Nei villaggi nigeriani, le persone sono
legate dal loro ogbo, o dal loro essere
divisi per età, che unisce i bambini e le
bambine della stessa età. In questo libro, una bambina piccola racconta i
diversi ogbo e ciò che essi implicano: i
lavori domestici, il prendere decisioni e
il diverstimento.
Orabona, Michele
Paul Ricoeur: esistenzialismo
ed ermeneutica in un filosofo moderno.
In appendice: 50 voci del vocabolario
ermeneutico-fenomenologico-esistenziale
prefazione di Paolo Manzelli
Ripostes, aprile 1996
pp. 125, £. 22.000
Orabona in questo libro è riuscito a delineare un avvicente dibattito a più voci al
centro del quale si colloca la meditazione
di Paul Ricoeur, riguardante le relazioni tra
le teorie del significato e della struttura
cognitiva del linguaggio e la filosofia dell’esistenza.
Orsucci, Andrea
Orient - Okzident. Nietzsches Versuch
einer Loslösung vom europäischen
Weltbild
de Gruyter, aprile 1996
pp. 406, DM 198
Scorrendo l’indice, si trovano trattati questi argomenti: la lettura filologica e gli
studi etnologici sul periodo di concezione
di Umano troppo umano; le affermazioni
sui “greci stranieri” (die fremden Griechen); l’etnologia e la scienza della religione negli scritti di Nietzsche degli anni
Ottanta; Nietzsche e l’antisemitismo della
sua epoca.
Osborne, Richard
Eastern Philosophy for Beginners
Icon, aprile 1996
pp. 176, UK£ 7.99
L’interesse per la filosofia orientale
antica è cresciuto negli ultimi anni,
poiché il malcontento nei confronti del
materialismo ha allontanato molte persone dal pensiero occidentale. Questo
libro descrive il pensiero orientale, da
Confucio a Buddha, dall’Islam al Tao e
spiega le differenze tra queste correnti
di pensiero e la filosofia occidentale.
Ott, Konrad
Vom Begründen zum Handeln.
Aufsätze zur angewandten Ethik
Attempo-Vlg., aprile 1996
pp. 260, DM 39.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Ottonello, Pier Paolo
Sciacca: la rinascita dell’Occidente
Marsilio, aprile 1996
pp. 154, £. 28.000
L’autore mostra come Sciacca da Platone
ad Agostino e Rosmini, attraverso il travaglio del pensiero moderno e contemporaneo ricostruisca la strada maestra della
metafisica dell’integralità concepita come
l’unico fondamento dell’autentico progresso della persona in tutte le sue dimensioni,
dell’intera totalità del sapere, della pienezza delle realizzazioni pratiche e morali.
Outhwaite, William
The Habermas Reader
Polity Press, giugno 1996
pp. 340, UK£ 13.95
Si tratta di un’introduzione esaustiva agli
scritti di J. Habermas, dall’inizio degli anni
Sessanta fino ai giorni nostri. Il libro è
diviso in sette sezioni che si occupano
delle aree principali dell’opera di Habermas. Ogni sezione contiene un’introduzione e una scelta di brani significativi tratti
dalle principali opere.
Padovese, Luciano
La vita umana: lineamenti
di etica cristiana
San Paolo, maggio 1996
pp. 343, £. 30.000
Questo volume parla della vita umana cercando di aiutare il lettore a comprendere
quale “dominio” sulla vita deve esercitare
ogni uomo e ogni donna del mondo.
Panza, Marco - Roero, Clara Silvia
(a cura di)
Geometri, flussioni e differenziali:
osservazioni sul rapporto
tra tradizione e innovazione
nella matematica del Seicento
La città del sole, aprile 1996
pp. 551, £. 52.000
Questo libro rappresenta il prodotto di una
ricerca in comune che si propone di mettere in discussione lo stereotipo storiografico in base al quale la nascita del calcolo
“infininitesimale” sia il risultato di un capovolgimento repentino e netto all’interno
della matematica classica.
Paradisi, Riccardo (a cura di)
Julius Evola: mito, azione, civiltà
Il cerchio, giugno 1996
pp. 110, £. 25.000
Questo libro è un omaggio a Evola ed è
stato concepito nel ventennale della sua
morte. Esso rappresenta anche uno strumento di documentazione in quanto sono
raccolti presupposti e punti di vista diversi
in onore di Evola che è stato Maestro di
tante generazioni antagoniste al mondo
moderno.
Paradosso: quadrimestrale di filosofia
Nuova serie
Il Cardo, aprile 1996
pp. 126, £. 20.000
In questa rivista sono raccolti i seguenti
scritti; Forme e senso di Carlo Sini, i luoghi, la tecnologia, la politica di Stefano
Rodotà, la sanzione delle mura. Sulla genealogia della Città nel lessico giuridico di
Vico di Gennaro Carillo, piano e progetto
di Vittorio Gregotti, città formata: atopicità e appartenenza di Margherita Petranzan,
Sprawi, atteggiamento scomposto, sobborgo caotico, città futura estesa da Boston ad
Atlanta di Roberto Masiero, Venezia salva. Per una filosofia della conservazione di
Marco Biraghi, dove finisce l’Europa di
Sergio Givone ecc.
Parmenide
Fragments du ‘Poème’ de Parménide
PUF, aprile 1996
pp. 198, F 198
Sotto l’influsso di Anassimandro, Parmenide radicalizza il pensiero di Eraclito:
come tuto ciò che è al mondo, il mondo
stesso è in balia della potenza universale e
annientante del tempo. Resta però ciò su
cui il tempo non ha presa: non ciò che il
mondo ha, ma il fatto stesso che esso l’abbia. In Parmenide, il logos ci fa cogliere la
verità eterna dell’essere. Per tutti gli interessati.
Pasini, Enrico
Corpo e funzioni cognitive in Leibniz
F.Angeli, maggio 1996
pp. 237, £. 34.000
In questo libro l’autore intende mostrare
sulla base di testi di Leibniz in gran parte
inediti che Leibniz possiede oltre a una
teoria metafisica della percezione come
corrispondenza espressiva degli stati delle
sostanze, anche una compiuta interpretazione fisiologica dei processi percettivi
come corrispondente corporeo degli stati
percettivi dell’anima.
Giannini, maggio 1996
pp. 47, £. 10.000
Il volume contiene i due scritti: Due concetti della necessità di A. Pisani e Necessità di un’alternativa di C. La Greca.
Plutarchus 45-125 ca. A.D.
L’esilio
introd., testo critico,
trad. e commento
a cura di R. Caballero, G. Viansino
M. D’Auria, aprile 1996
pp. 119, £. 30.000
Viene presentato il testo “L’esilio” di Plutarco con l’introduzione e la considerazione della tradizione manoscritta.
Pellecchia, Fausto
La libertà tentata: margini
dell’etica kantiana
Biblioteca, maggio 1996
pp. 150, £. 25.000
In questo libro vengono esaminate alcune
questioni relative all’etica kantiana; la natura del male, l’impossibilità del diavolo e
la rimozione del male, la libertà come
potere e potenza, l’inattualità dell’imperativo categorico, il dettato dell’immaginazione.
Plutarchus, 45 -125 A. D.
Le bestie sono esseri razionali
introd., testo critico,
trad. e commento
a cura di G. Indelli
M. D’Auria, aprile 1996
pp. 138, £. 30.000
Viene presentato il testo di Plutarco “Le
bestie sono esseri razionali” con l’analisi
dell’argomento, dei motivi e della struttura
dell’opera. Inoltre, vengono presi in considerazione la tradizione manoscritta e i criteri editoriali.
Peterson, Donald
Forms of Representation
Intellect Books, giugno 1996
pp. 192, UK£ 14.95
L’autore si occupa dell’influsso sulla comprensione, l’intuito, la competenza e la
conoscenza avanzata delle forme di rappresentazione che usiamo. Il libro si rivolge a questioni quali: esistono dati che siano
liberi da forme di rappresentazione? Le
forme di rappresentazione possono essere
complete o sono sempre limitate?
Plutarchus, 45 ca. - 125 A.D.
La curiosità
introd., testo critico,
trad. e commento
a cura di Lionello Inglese
M. D’Aria, giugno 1996
pp. 171, £. 40.000.
Petit, Jean-Luc
Solipsisme et intersubjectivité:
quinze leçons sur Husserl et Wittgenstein
Cerf, maggio 1996
pp. 235, F 150
Partendo da diversi testi tratti dall’Husserliana, il volume invita il lettore a superare
il pregiudizio, secondo il quale Husserl si
sarebbe chiuso nel suo solipsismo chimerico, diversificandosi quindi rispetto alla filosofia analitica di Wittgenstein. Il confronto tra i due pensatori permette di sviluppare una teoria che ha le sue radici nel
senso dell’essere all’interno dell’intersoggettività della vita pratica. Per gli specialisti della materia.
Poirié, François - Levinas, Emmanuel
Emmanuel Levinas: essais et entretiens
Actes sud, maggio 1996
s.pp., F 45
Si tratta di un testo che fornisce chiarimenti sull’opera e il percorso del grande filosofo, morto nel 1955. Il libro contiene anche
un lungo entretien, realizzato nel 1986. Per
tutti gli interessati alla materia.
Poma, Iolanda
Le eresie della fenomenologia: itinerario
tra Marleau-Ponty, Ricoeur e Lèvinas
ESI, maggio 1996
pp. 102, £. 15.000
In questo libro l’autrice mostra come le
filosofie di Marleau-Ponty, Ricoeur e Lèvinas rappresentino lo sviluppo eretico della
fenomenologia di Husserl. In questa prospettiva il soggetto viene ora indagato come
realtà opaca nel cui fondo è nascosta un’oggettività, che pur essendo propria del soggetto, a esso si sottrae costituendolo.
Pezzella, Mario (a cura di)
Lo spirito e l’ombra: i seminari
di Jung su Nietzsche
saggi di Mario Pezzella et al.
Moretti & Vitali, maggio 1996
pp. 113, £. 20.000
Questo volume contiene i seguenti scritti:
la potenza dello spirito di Mario Pezzella,
un percorso sdoppiato di Fulvio Salza, la
visione del funambolo di Dario Squilloni,
lo spirito della maschera di Giorgio Concato e Dioniso nelle opere di Jung di James
Hillman.
Prini, Pietro
La filosofia cattolica italiana
del Novecento
Laterza, maggio 1996
pp. 269, £. 30.000
In questo libro Prini fornisce la prima
interpretazione complessiva del cattolicesimo filosofico italiano del Novecento da Papini a Buonaiuti, da Varisco
a Bontadini, da Del Noce a Capograssi,
analizzando come la filosofia cattolica
abbia affrontato il problema dell’autonomia della ragione e dell’interiorità
della fede.
Piccolini, Sabina e Rosario (a cura di)
Lo specchio dell’alchimia/
9 trattati alchemici scelti e tradotti
da Sabina Piccolini, Rosario Piccolini
Mimesis, giugno 1996
pp. 281, £. 35.000
In questo libro sono raccolti alcuni trattati
sull’alchimia di John Daustin, di Ferrari, di
George Ripley, di Denys Zachaire, di Giovanni Pontano e di Arnaldo Da Villanova.
Pieper, Josef
Werke in acht Bänden
vol. IV: Schriften zur philosophischen
Anthropologie und Ethik. Das Menschenbild
der Tugendlehre
a cura di B. Wald
Meiner, aprile 1996
pp. 432, DM 96.
Privitera, Walter
Il luogo della critica:
per leggere Habermas
presentazione di Franco Crespi
Rubbettino, giugno 1996
pp. 78, £. 10.000
In questo libro l’autore mostra come
nel pensiero di Habermas solo su una
base che è uscita dalle barriere di classe
e che si è liberata dalla stratificazione
sociale e dallo sfruttamento possa svilupparsi pienamente il potenziale di un
pluralismo culturale.
Pinkard, Terry
Hegel’s Phenomenology:
The Sociality of Reason
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 13.95
La fenomenologia dello spirito è una delle
opere più lette, ma anche più oscure di
Hegel. Il volume offre un commento dettagliato delle opere di Hegel e fornisce un
resoconto filosofico indipendente della teoria generale della conoscenza, della cultura e della storia presentate nella Fenomenologia.
Putallaz, François-Xavier
Insolente liberté: controverses
et condamnations au XIII siècle
Ed. universitaires de Fribourg-Cerf,
aprile 1996
pp. 338, F 175
Il volume affronta la questione delle rivendicazioni della libertà nel Medioevo, attraverso pensatori come Siger de Brabant,
Etienne Tempier, Pierre de Jean Olivi,
Henri de Gand o Godefroid de Fontaines.
Per gli specialisti della materia.
Pisani, A. - La Greca, C.
La concezione aristotelica della necessità
93
Radice, Roberto
La Metafisica di Aristotele nel 20˚ secolo:
bibliografia ragionata e sistematica
con la collaborazione di M. Andolfo et al.
presentazione di Giovanni Reale
Vita e pensiero, giugno 1996,
pp. 734, £. 75.000.
Rapp, Chr. (a cura di)
Aristoteles - Die Substanzbücher
der Metaphysik
Akademie-Vlg., maggio 1996
pp. 312, DM 29,80
I contributi qui raccolti rispecchiano diversi punti di vista e riflettono i rispettivi
livelli di ricerca, in modo da fornire una
base di lavoro desunta direttamente dalla
ricerca e che si adatta sia alla discussione in
sede seminariale che allo studio personale
di questo complesso tema.
Rawlinson, Mary (a cura di)
Derrida and Feminism:
Recasting the Question of Woman
Routledge, aprile 1996
pp. 256, UK£ 12.99
Questa raccolta di saggi riunisce diversi
importanti contributi che propongono prospettive, disparate tra di loro, sul significato dell’intersezione tra le idee di Derrida e
il femminismo.
Reiger, R.A. (a cura di)
Reference in Multidisciplinary
Perspective.
Philosophical Object, Cognitive Subject,
Intersubjective Process
Georg Olms, aprile 1996
pp. 764, DM 198.
Rescher, Nikolas
Studien zur naturwissenschaftlichen
Erkenntnislehre
Königshausen & Neumann, maggio 1996
pp. 198, DM 48
Come si distinguono le conoscenze scientifiche dall’altro sapere umano? Come si
arriva a conoscenze di questo tipo? Che
ampiezza e che profondità possono raggiungere? Il volume si articola intorno a
queste domande e a questioni affini, si
occupa del metodo della ricerca scientifica, prende in considerazione l’importanza
di quest’ultima in quanto disciplina cognitiva e analizza i limiti che le sono propri.
Resnik, Salomon
Sul fantastico
Bollati Boringhieri, giugno 1996
pp. 206, £. 38.000
Resnik si propone di esaminare l’enigma
dell’opera d’arte considerando l’impatto
estetico come incontro, sospresa, domanda, dialogo e apertura di senso.
Rex Li
A Theory of Conceptual Intelligence:
Thinking, Learning, Creativity,
and Giftedness
Praeger Publishers, maggio 1996
pp. 256, UK£ 43.95
Questo volume, analizzando la ricerca sull’intelligenza a partire dalla fine del XIX
secolo, propone la nozione dell’intelligenza concettuale: l’intelligenza umana è il
risultato del pensiero e dell’apprendimento atraverso i concetti. L’autore traccia lo
sviluppo dei concetti ed esamina come
l’apprendimento conduca all’intelligenza
e alla creatività.
Richter, Ewald
Ürsprüngliche und physikalische Zeit
Duncker & Humblot, aprile 1996
pp. 177, DM 98.
Ricken, Fr. (a cura di)
Philosophen der Antike
2 voll.
Kohlhammer, aprile 1996
pp. 240 a vol., DM 29 a vol.
Ringleben, Jochim
’Die Krankheit zum Tode’
von Sören Kierkegaard
Vandenhoecke & Ruprecht, aprile 1996
pp. 320, DM 98
Una delle opere più importanti del XIX
secolo viene spiegata in maniera chiara, mostrandone l’abile costruzione a
livello di pensiero e chiarendo la complessità delle singole affermazioni. Il
volume contiene anche una parte di commento e note che illustra accuratamente
NOVITÀ IN LIBRERIA
il contesto storico e di pensiero in cui è
nata l’opera.
Königshausen & Neumann, aprile 1996
pp. 196, DM 49.
antropologia ed etica: non c’è niente di
cui egli non parli... Di livello universitario.
Riordan, James
The Songs my Paddle Sings
Pavilion, aprile 1996
pp. 128, UK£ 14.99
Si tratta di una raccolta di storie riraccontate che rivelano le credenze e la cultura
degli Indiani d’America e che includono
favole morali e racconti della creazione e
della grande inondazione. Il libro celebra
la storia degli Indiani d’America e confuta
le precedenti descrizioni degli Indiani come
selvaggi.
Rossetti Livio, Bellini Ornella
(a cura di)
L’inconscio e i percorsi della coscienza
ESI, aprile 1996
pp. 124, £. 20.000
Questo libro si propone di analizzare il
significato della riflessione sull’inconscio
in relazione all’emergere della coscienza
prima della razionalizzazione compiuta da
Freud. Prende in considerazione il rapporto tra conscio e inconscio di Dafni e Cloe,
la teoria leibniziana delle “piccole percezioni”, la coscienza in Carabellese e i condizionamenti inconsci che si esercitano sul
docente.
Santucci, Antonio
Eredi del positivismo: ricerche
sulla filosofia italiana tra ‘800 e ‘900
il Mulino, aprile 1996
pp. 361, £. 48.000
Siccome non è più possibile una definizione univoca del positivismo soprattutto in seguito ai significati assunti
nella filosofia italiana tra la fine del
secolo scorso e gli anni successivi al
primo conflitto mondiale, questo libro
si propone di eliminare gli stereotipi
presenti e di porre nuove domande.
Risso, Alessandra
I modi di amare Sophia: la paideia
strutturale del dialogo platonico
La nuova Italia, giugno 1996
pp. 158, £. 18.000
Questo studio nasce dall’intento di accordare un’attenzione globale ai dialoghi platonici che vengono letti tenendo conto della complessità non solo dei messaggi che
vi prendono corpo ma anche delle modalità
espressive, degli stili di scrittura che li
costruiscono. In tal modo l’intero dialogo
si rivela strumento e stimolo di paideia.
Robinet André
Aux sources de l’esprit cartésien,
l’axe La Ramée-Descartes:
de ‘La Dialectique’ de 1555 aux ‘Regulae’
Vrin, aprile 1996
pp. 316, F 320
Se i rapporti tra le Regulae e le loro fonti
antiche o medioevali sono stati trattati bene,
la loro collocazione nell’ambito immediato lascia un po’ a desiderare. Ecco perché
questo studio consiste nel prendere come
punto di riferimento la Dialettica francese
di La Ramée e nel tracciare l’asse critico e
speculativo che lega La Ramée a Cartesio.
Di livello universitario.
Rogozinski, Jacob
Kanten: esquisses kantiennes
Kimé, aprile 1996
pp. 192, F 130
I saggi qui raccolti si propongono una
rilettura dell’opera del filosofo, che Rogozinski affronta a partire dai suoi Kanten:
dalle sue zone di frontiera o dalle sue
delimitazioni, trascurate dai commenti tradizionali. Di livello universitario.
Römelt, Josef
Vom Sinn moralischer Verantwortung.
Zu den Grundlagen christlicher Ethik
in komplexer Gesellschaft
Pustet, aprile 1996
pp. 192, DM 32.
Ronchi, Rocco
La scrittura della verità:
per una genealogia della teoria
Jaca Book, giugno 1996,
pp. 125, £. 22.000
L’autore analizza il significato della filosofia mostrando come essa da Platone a
Hegel si sia autocompresa come scienza
della verità che ha per oggetto “ciò che non
tramonta mai” e che costringe perciò in
modo uguale gli uomini. L’autore evidenzia come la filosofia non avrebbe potuto
diventare potente se non si fosse anticipatamente riflessa nello specchio della scrittura. Pertanto, mettendo a contatto campi
d’indagine e ricerche che finora hanno
proceduto diversamente, delinea una genealogia dell’ “atteggiamento teoretico”.
Rondoni, Davide - Santori, Antonio
(a cura di)
La sfida della ragione:
testi di Piero Bigongiari et al.
Guaraldi, maggio 1996
pp. 95, £. 10.000
In questo libro, partendo da prospettive e
da tradizioni intellettuali diverse, gli interventi presenti convergono nel definire la
ragione come la più laica e la più aperta
possibile.
Ropohl, Günther
Ethik und Technikbewertung
Suhrkamp, aprile 1996
pp. 376, DM 27,80.
Rosas, Alejandro
Kants idealistische Reduktion.
Das Mentale und das Materielle
im traszendentalen Idealismus
Sasso, Gennaro
Tempo, evento, divenire
il Mulino, maggio 1996
pp. 388, £. 50.000
In questo libro vengono affrontate i
temi del tempo, dell’evento e del divenire attraverso l’esame delle opere di
Platone, Agostino, Aristotele, Kant,
Hegel, Bergson, Husserl e Heidegger.
L’autore propone una strada diversa da
quella della filosofia occidentale attraverso una critica della metafisica evitando di svelare il senso del tempo,
dell’evento e del divenire entro il quadro delle cosiddette concezioni “unitarie” della realtà.
Rossi, Paolo et al. (a cura di)
Dizionario di filosofia
La nuova Italia, giugno 1996
pp. 453, £. 27.000.
Rozza Del Sassello, Edino
Teatro dei diversi cervelli
epistemologici contemporanei
e mercato delle idee
M. Pacini Fazzi, giugno 1996
pp. 66, £. 24.000.
Ruggenini, Mario
Il discorso dell’altro
(ermeneutica della differenza)
Il saggiatore, maggio 1996
pp. 205, £. 34.000
In questo libro l’autore mostra come l’ermeneutica, deposte le pretese assolute della metafisica, interroghi l’altro che si rivela
e si nasconde nell’essere finito dell’uomo,
nel rapporto dell’esistenza del mondo, nel
necessario esistere di ciascuno in relazione
con altri nel linguaggio.
Sautet, Marc
Les femmes? De leur émancipation
Lattès, aprile 1996
pp. 298, F 79
L’autore, che è un filosofo, elabora delle
domande sull’emancipazione della donna
e fa rispondere ai grandi filosofi classici,
partendo dalle loro opere. Si esprimono
così Confucio, Platone, Aristotele, Agostino, Avicenna, Hume, Schopenhauer... Marc
Sautet sintetizza poi i vari punti di vista.
Per tutti gli interessati alla materia.
Ruß, Hans Günther
Religiöser Glaube und modernes Denken.
Religion im Spannungsfeld
von Naturwissenschaft und Philosophie
Königshausen & Neumann, aprile 1996
pp. 160, DM 29,80
Partendo dalla prospettiva della scienza
della natura e della filosofia, che cosa può
essere detto riguardo alla questione se, nel
corso dell’evoluzione, il fenomeno dello
spirito umano o della coscienza umana
rappresentino o meno un “candidato” plausibile all’immortalità in senso religioso?
Savigny, Eike von
Wittgensteins ‘Philosophische
Untersuchungen’. Ein Kommentar
für Leser
vol. II, brani 316-693
Kloster, maggio 1996
pp. 380, DM 78
Si tratta della nuova edizione, ampliata e
completamente rinnovata, di questo commento.
Russell, Bertrand
Foundations of Geometry
Routledge, giugno 1996
pp. 240, UK£ 40
Questo testo fornisce sia una comprensione delle basi del pensiero filosofico di
Bertrand Russell che un’introduzione alla
filosofia della matematica e della logica. Il
libro analizza i diversi concetti di geometria e le loro implicazioni filosofiche e
contiene anche una visione d’insieme dello sviluppo della geometria.
Scarre, Geoffery
Utilitarianism
Routledge, aprile 1996
pp. 240, UK£ 12.99
Questo testo, passando in rassegna lo
sviluppo storico e la situazione attuale
dell’etica utilitaristica, sostiene che
mentre l’utilitarismo può anche non
essere considerato un’infallibile dottrina morale, le sue posizioni sono importanti e restano ancora significative oggi.
Scheppke, K. - Tichy, M. (a cura di)
Das Andere der Identität.
Ute Guzzoni zum 60. Geburtstag
Rombach, maggio 1996
pp. 230, DM 29,80.
Russell, Bertrand
Mortals and others: American Essays
1931-1935
Routledge, giugno 1996
pp. 192, UK£ 9.99
Si tratta di una raccolta di saggi e di reportage che si occupano di un’ampia gamma
di temi. Il libro mostra il lato serio e quello
meno serio della personalità e dell’opera di
Bertrand Russell. I lettori di ogni livello
vengono così introdotti al pensiero di Russell.
S.A.
A Journey into Consciousness:
Exploring the Truth behind Existence
Barry Long Books, aprile 1996
s.pp., UK£ 11.95
Queste due cassette sono pensate per riaprire la mente alla coscienza, attraverso
una serie di esercizi.
Salem, Jean
Démocrite: grains de poussière
dans un rayon de soleil
Vrin, aprile 1996
pp. 415, F 198
Poesia del discontinuo che la luce dell’intelletto rischiara, verità di ciò che è
mobile e minuscolo: l’atomismo di Democrito porta sicuramente a sognare.
Fisica generale, astronomia, teoria della conoscenza, psicologia e medicina,
94
Schmid, Michael
Rationalität und Theoribildung.
Studien zu Karl Poppers Methodologie
der Sozialwissenschaften
Ed. Rodopi, aprile 1996
pp. 339, FOL 100
Il volume ricostruisce e critica i consigli
che K. Popper dà, nelle sue opere, alla
filosofia delle scienze sociali.
Schneewind, J.B. (a cura di)
Reason, Ethics, and Society:
Themes from Kurt Baier,
with his Responses
Open Court, aprile 1996
pp. 392, UK£ 17.95
Questa raccolta di dieci saggi, che si
occupano tutti delle tematiche trattate
da Baier nelle sue opere recenti, rappresenta un manuale di The Rational and
the Moral Order. Gli autori sono famosi filosofi morali contemporanei. Il libro contiene anche la risposta di Baier
alle loro critiche.
Schnelle, Helmut
Die Natur der Sprache.
Die Dynamik der Prozesse des Sprechens
und Verstehens
de Gruyter, maggio 1996
pp. 671, DM 98.
Schockenhoff, Eberhard
Naturrecht und Menschenwürde.
Universale Ethik in einer geschichtlichen
Welt
Grünewald, aprile 1996
pp. 320, DM 48
Esistono dei diritti umani che hanno una
base comune e valgono per tutte le culture
e tutte le religioni? E’ come è possibile
dimostrare razionalmente i fondamenti di
questi diritti?
Schumacher, Ralph
Realität, synthetisches Schließen
und Pragmatismus. Inhalt, Begründung
und Funktion des Realitätsbegriffs
in den Theorien von Chrales S. Pierce
in der Zeit von 1865-1878
Beltz Athenäum, aprile 1996
s.pp., DM 98.
Sedmak, Clemens
Kalkül und Kultur. Studien zur Genesis
und Geltung von Wittgensteins
Sprachmodell
Ed. Rodopi, aprile 1996
pp. 317, FOL 95.
Seibert, Thomas
Geschichtlichkeit, Nihilismus, Autonomie.
Philosophie(n) der Existenz
M & P, aprile 1996
pp. 452, DM 55.
Seifert, Josef
Sein und Wesen
Winter, maggio 1996
pp. 551, DM 148.
Schlanger, Jacques
Un art, des idées
L’Harmattan, maggio 1996
pp. 255, F 140
Si tratta di un libro che cerca di cogliere la
nozione di idea. Come produrre un’idea,
come conservarla, esprimerla, comunicarla agli altri? L’autore esamina poi l’oggetto ideale, cioè un oggetto fatto di idee e di
collegamento di idee e dei suoi artigiani, i
filosofi e i metafisici. Per tutti gli interessati alla materia.
Sgalambro, Manlio
La morte del sole
Adelphi, maggio 1996
pp. 230, £. 40.000
Vagando tra gli imponenti relitti della
storia della filosofia Sgalambro risale
alla celebrata conversione del “vero”
nel “certo” che si compie con Cartesio
e riconosce nei passi successivi la graduale cancellazione dell’“unilateralità
scandalosa del vero”. La transizione
dall’illuminismo all’idealismo appare
allora come il passaggio da un tentativo
di guardare il mondo senza terrore a una
risoluzione di abolire il mondo stesso.
Nella seconda metà dell’Ottocento si
sviluppa la “morte del sole”, condannato dalla termodinamica.
Schleiermacher, Friedrch E.D.
On Religion:
Speeches to its Cultured Despisers
tr. di Richard Crouter
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 12.95
Questo testo, scritto quando Schleirmacher era coinvolto nel Romanticismo
tedesco e nella critica alla filosofia
morale e religosa di Kant, è l’espressione dell’apologetica cristiano-protestante del periodo moderno e mostra le tensioni tra la concezione della religione
romantica e illuminista.
Shanker, S.G.
Routledge History of Philosophy:
Philosophy of the English-speaking World
in the Twentieth Century
-1: Logic, Mathematics and Science
vol IX
Routledge, maggio 1996
pp. 400, UK£ 55
Questo nono volume della serie che si
concentra sulla storia della filosofia, discute, insieme al decimo volume, la filosofia di lingua inglese del XX secolo. In
questo tomo, vengono presentate la logica,
la matematica e la scienza.
NOVITÀ IN LIBRERIA
Sharples, R.W.
Stoics, Epicureans and Skeptics
Routledge, maggio 1996
pp. 144, UK£ 10.99
Questo studio esamina le principali dottrine degli stoici, degli epicurei e diverse
tradizioni scettiche nell’arco di tempo che
va dalla morte di Alessandro il Grande nel
323 a.C. al 200 d.C. circa. La discussione
è organizzata per argomenti piuttosto che
per scuole, in modo da portare alla luce i
problemi che sottostanno alle diverse teorie.
Shore, Brad
Culture in Mind: Meaning Construction
and Cultural Cognition
Oxford UP, aprile 1996
pp. 416, UK£ 25
Questo ritratto etnografico della mente
umana utilizza studi su casi avvenuti sia
nelle società industrializzate che in quelle
in via di sviluppo, per giungere alla conclusione che i “modelli culturali” sono necessari al funzionamento della mente umana.
Silverman, Hugh J. (a cura di)
Texts and Dialogues:
Merleau-Ponty on Philosophy, Politics,
and Cultural Understanding
Humanities Press, aprile 1996
pp. 232, s.pr.
Il testo contiene saggi, interviste e scambi
del filosofo francese del XX secolo, Maurice Merleau-Ponty, proposti nella versione inglese. Questo testi sono accompagnati dalla valutazione dell’attività filosofica
di Maurice Merleau-Ponty e da un’introduzione del curatore.
Sini, Carlo
Gli abiti, le pratiche, i saperi
Jaca Book, giugno 1996
pp. 98, £. 22.000
Sini, partendo dall’analisi del gesto della
voce come origine dell’autocoscienza, esamina la verità della parola filosofia e il suo
rapporto con altri saperi.
Sinnott-Armstrong, Walter (a cura di)
Moral Knowledge?: New Readings
in Moral Epistemology
Oxford UP, aprile 1996
pp. 368, UK£ 17.50
Si tratta di una raccolta di saggi sul tema
della conoscenza morale. Ogni saggio propone un punto di vista rappresentativo nel
campo dell’epistemologia morale. Si discute anche di scetticismo morale, contrattualismo, progettismo, scetticismo femminista e pragmatismo.
Siorvanes, Lucas
Proclus
Edinburgh UP, giugno 1996
pp. 300, UK£ 35
Questo studio analizza tutti gli aspetti di
Proclo, includendo anche la religione, la
matematica, la fisica, l’astronomia e la
poesia. L’autore si propone di fornire un’introduzione accessibile all’opera di questo
filosofo, tradizionalmente considerato difficile.
Sloterdijk, P. (a cura di)
Augustinus
Diederichs, maggio 1996
pp. 48, DM 48
Il volume presenta brani scelti e commentati da K. Falsch, tratti dalle opere di Sant’Agostino.
Solterdijk, P. (a cura di)
Kant
pres. di G. Schulte
Diedrichs, aprile 1996
pp. 448, DM 48
Il volume contiene una serie di brani di
Kant, scelti e presentati da G. Schulte.
Solterdijk, P. (a cura di)
Leibniz
pres. di Th. Leinkauf
Diedrichs, aprile 1996
pp. 448, DM 48
Il volume contiene una serie di brani di
Leibniz, scelti e presentati da Th. Leinkauf.
Sontag, Susan
Under the Sign of Saturn
Vintage, aprile 1996
pp. 224, UK£ 6.99
Si tratta di una raccolta di saggi sul rapporto tra idee morali ed estetiche. Il libro
riunisce alcune delle migliori opere critiche della Sontag degli anni Settanta, su
argomenti che vanno da Walter Benjamin
a Antonin Artuad, Elias Canetti e Leni
Reifenstahl.
Stewart, Robert M. (a cura di)
Readings in Social and Political
Philosophy
Oxford UP, aprile 1996
pp. 496, UK£ 22.50
Quest’antologia della filosofia sociale e
politica riunisce esaurienti brani tratti dalle
opere classiche e importanti contributi recenti, molti dei quali non sono facilmente
consultabili. L’interesse si concentra sulle
correnti liberali del pensiero politico occidentale moderno.
Sorrentino, Vincenzo
La politica ha ancora un senso?:
saggio su Hannah Arendt
Ave, giugno 1996
pp. 132, £. 19.000
In questo libro vengono analizzati; il totalitarismo, lo spazio della politica, le condizioni della libertà, i limiti dell’agire politico, il pensiero e la banalità del male, Amor
mundi.
Striker, Gisela
Essays on Hellenistic Epistemology
and Ethics
Cambridge UP, maggio 1996
s.pp., UK£ 13.95
Le dottrine delle scuole ellenistiche - epicurei, storici e scettici - hanno certamente
avuto un influsso formativo sul pensiero
successivo. Questa raccolta di saggi è incentrata su questioni-chiave di epistemologia ed etica, dibattute dai filosofi greci e
romani del periodo ellenistico.
Sousa, Ranald de
Die Rationalität des Gefühls
Suhrkamp, aprile 1996
pp. 460, DM 68
In quest’ampia ricerca, de Sousa dimostra
che ciò che spesso sembra irrazionale, cioè
la testarda indipendenza del sentire, consente l’infinita razionalità dell’intelligenza umana. L’intelligenza ha un effetto solo
quando valuta all’interno delle poche alternative che vengono scelte emotivamente.
Stubenberg, Leopold
Consciousness and Qualia
John Benjamins, maggio 1996
pp. 220, FOL 80
Si tratta di uno studio della coscienza qualitativa, di cui esempi caratteristici sono: il
dolore, le esperienze del colore, dei suoni
ed esperienze affini. La coscienza viene
analizzata come possesso di qualia.
Spahn, Christine
Phänomenologische Handlungstheorie.
Edmund Husserls Untersuchungen zur
Ethik
Königshausen & Neumann, maggio 1996
pp. 280, DM 78
L’autrice dimostra che la costituzione di
un’etica scientifica, intesa come il tentativo di considerare parallele logica ed etica,
è sempre stata una delle principali preoccupazioni di Husserl.
Taroni, Paolo
Assoluto: frammenti di misticismo
nella filosofia di Francis Herbert Bradley
Cooperativa libraria e di informazione,
maggio 1996
pp. 204, £. 24.000
In questo libro Taroni presenta il pensiero
filosofico di Bradley inquadrandolo all’interno della corrente idealistica anglo-sassone e individuando la sua componente
mistica. Così l’autore mostra come il sostrato filosofico inglese conferisca alla teoria mistica di Bradley una componente
scettica ed empirica.
Spencer, Lloyd
Hegel for Beginners
Icon, aprile 1996
pp. 176, UK£ 7.99
Il testo rappresenta un’introduzione alle
opere di Hegel e documenta il suo influsso
fino ai giorni nostri, fornendo nuove prospettive sui dibattiti contemporanei e postmoderni riguardo alle “meta-narrative” e
alla “fine della storia”. Aiuta anche a capire Marx, Lacan, Sartre e Adorno.
Taubes, Jacob
Vom Kult zur Kultur. Bausteine zu einer
Kritik der historischen Vernunft.
Gesammelte Aufsätze zur Religionsund Geistesgeschichte
pref. e commento di A. e J. Assmann,
W.-D. Hartwich e W. Menninghaus
W. Fink, aprile 1996
pp. 250, DM 48
Nel volume vengono analizzati la legge, la
storia, il messianesimo; la gnosi e le sue
conseguenze; la teologia dopo la svolta
copernicana; la religione e la cultura.
Spini, Giorgio
Galileo, Campanella e il divino poeta
il Mulino, maggio 1996
pp. 90, £. 16.000
In questo libro Spini esamina il “caso Galileo” attraverso una rilettura attenta del
materiale disponibile, comprese talune fonti
di solito trascurate dagli studiosi, quali il
commento di Campanella alle poesie di
papa Barberini e le confidenze di Galileo ai
giovani scolopi che lo assistettero negli
ultimi anni. Così Spini mostra come Galileo ebbe tra i suoi sostenitori anche credenti di profonda fede e fu avversato da scienziati d’indirizzo aristotelico notoriamente
irreligiosi.
Theunissen, Michael
Vorentwürfe von Moderne.
Antike Melancholie und die Acedia
des Mittelalters
de Gruyter, maggio 1996
pp. 56, DM 24
Il volume si basa sulle interpretazioni dei
due testi fondamentali, che rappresentano
il tentativo di riassumere i dibattiti, durati
nei secoli, su questo argomento: la trattazione della Melanchologia nella scuola di
Aristotele e l’analisi dell’Acedia di Tommaso d’Aquino.
Spinoza, Benedict de
Ethics
Penguin, giungo 1996
pp. 192, UK£ 7.99
Quest’opera di Spinoza, pubblicata per la
prima volta in un’edizione del 1677, è un
tentativo sistematico di capire la natura di
Dio, il rapporto tra mente e corpo, la psicologia umana e il modo migliore di vivere.
Tommaso d’Aquino
’Summa contra gentiles’ ’Summa gegen die Heiden’
vol. III, parte 2
a cura di K. Allgeier
Wiss. Buchges., aprile 1996
pp. 408, DM 89.
Stadler, Friedrich
Studien zum Wiener Kreis. Ursprung,
Entwicklung und Wirkung des logischen
Empirismus im Kontext
Suhrkamp, aprile 1996
pp. 900, DM 98
Questo libro offre, nella sua prima parte, una ricerca completa, sia dal punto
di vista della storia della scienza che da
quello sistematico, sul Circolo di Vienna. Nella seconda parte, che è documentaristica, viene fornito per la prima
volta un quadro bio-bibliografico del
centro e della periferia del Circolo di
Vienna.
Tommaso d’Aquino
’Summa contra gentiles’ ’Summa gegen die Heiden’
vol. IV
a cura di M. Hilmar Wörmer
Wiss. Buchges., aprile 1996
pp. 4596, DM 118
L’edizione di quest’opera di Tommaso
d’Aquino si conclude con questo quarto
volume. Viene qui presentata per la prima
volta la versione latina e tedesca del testo.
Stewart, Jon (a cura di)
The Hegel Myths and Legends
North Western UP (UCL), aprile 1996
pp. 350, UK£ 16.95
Questa raccolta di saggi mira a trattare
i diversi miti e leggende su Hegel e a
smitizzarli.
Tommaso d’Aquino
Commentary on the ‘Book of Causes’
Catholic UP USA, maggio 1996
pp. 258, UK£ 13.50
Tommaso d’Aquino considerava il Libro
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della cause come una derivazione dagli
Elementi di teologia di Proclo. Questo commento è un’opera filosofica distinta, che
fornisce un’ampia visione del suo approccio al pensiero neo-platonico e funge da
guida alla sua metafisica.
Tommaso d’Aquino
De la verité: question 2
(la science en Dieu)
a cura e tr. di Serge-Thomas Bonino
pref. di Ruedi Imbach
Ed. universitaires de Fribourg-Cerf,
maggio 1996
pp. 622, F 290
Nel XIII secolo, alcune dottrine metafisiche e noetiche dei commentatori ebrei e
musulmani minacciavano seriamente la
fede cristiana nell’onniscieza divina, il fondamento immediato del dogma della provvidenza universale. Per gli specialisti della
materia.
Tugnoli, Claudio
Ragione e tradizione:
come e perché insegnare filosofia
Francisci, giugno 1996
pp. 177, £. 25.000
Questo libro si rivolge a chi pensa che
dovrebbe imparare la filosofia ma anche a
chi crede di poterla insegnare.
Tymieniecka, Anna-Teresa
Life in the Glory of its Radiating
Manifestations
Kluwer, maggio 1996
pp. 592, UK£ 134
Scavando la fenomelogia della vita e della
condizione umana porta alla luce il logos
della vita nella sua interazione armonizzante. Questa raccolta rivela il campo
dell’ontopoiesis della vita, attraverso un’auto-individualizzazione della vita, che è la
chiave del suo labirinto (Tymieniecka).
Vaassen, Bernd
Die narrative Gestalt(ung)
der Wirklichkeit. Grundlinien einer
postmodern orientierten Epistemologie
für die Sozialwissenschaftler
Vieweg, maggio 1996
pp. 249, DM 100
Assunzioni di base, ormai acquisite da
parte della conoscenza scientifica perdono
rapidamente la lora forza argomentativa
nel corso del discorso post-moderno. In
questo volume, ci si preoccupa soprattutto
di postulare principi per un nuovo orientamento e di renderli adatti alla discussione.
Valdinoci, Serge
La traverseé de l’immanence:
europanalyse
ou la méthode de la phénomenologie
Kimé, aprile 1996
pp. 384, F 210
L’autore, constatando il decadimento del
corpus, inizialmente greco, del pensiero in
Europa e la determinazione del caos, considerato positivo dalle scienze forti, colloca la sua azione all’interno del progetto di
ricostituire un corpus gerarchico e propone
un percorso immanente e autonomo che
generalizzi i primi lineamenti di un pensiero positivamente caotico, presente nelle
riflessioni dei mistici. Di livello universitario.
Valenti, Cesare (a cura di)
Quaderni di Pensiero e società
Bibliotheca, giugno 1996
pp. 111, £. 20.000.
Vattimo, Gianni
Credere di credere
Garzanti, maggio 1996
pp. 107, £. 15.000
In questo libro Vattimo propone la sua
interpretazione della dimensione religiosa
individuando nell’incarnazione di Cristo
la secolarizzazione del principio divino e
nell’ “ontologia debole”. La trascrizione
del messaggio cristiano. Così Vattimo si
considera anarchico non violento e decostruttore ironico delle pretese degli ordini
storici, sempre guidato dal principio di
carità verso gli altri.
Vergely, Bertrand
La philosophie
Milan, aprile 1996
pp. 64, F 15
Attraverso i suoi stupori, le sue domande e
le sue critiche, la filosofia non ha smesso di
NOVITÀ IN LIBRERIA
esplorare - attraverso la natura, Dio, la
coscienza, la libertà o la storia - ciò che
costituisce la ricchezza della condizione
umana. Quest’opera si rivolge a chi vuole
scoprire la filosofia o, semplicemente, avere
spiegazioni su termini come “metafisica”,
“dialettica” o “verità”. Per adolescenti (a
partire dai tredici anni) e per tutti gli interessati.
Virno, Paolo
Miracles, virtuosité et Déjà vu:
trois essais sur l’idée du monde
tr. dall’italiano di Michel Valensi
Eclat, aprile 1996
pp. 155, F 87
Il primo di questi tre saggi è consacrato
al contenuto di tutta la filosofia della
storia: l’idea di una fine. Il secondo
parte dai sentimenti che proviamo quando pensiamo al mondo nel suo insieme.
Il terzo cerca di trovare delle parolechiave (come intelletto, esodo, amicizia) che consentano di pensare a delle
nuove teorie politiche.
Vuilleman, Jules
Necessity or Contingency?:
The ‘Master Argument’
and its Philosophical Solutions
Cambridge UP, aprile 1996
s.pp., UK£ 14.95
Analizzando l’Argomento di Epitteto,
questo testo sostiene che la forza dell’argomentazione non proviene solo da
considerazioni puramente logiche e
modali, ma dalla nostra esperienza del
tempo.
Walter, Katya
Tao of Chaos: DNA and the I Ching Unlocking the Code of the Universe
Element Books Ltd, giugno 1996
pp. 288, UK£ 4.99
I Ching cinesi e il codice genetico hanno somiglianze sorprendenti e in questo
libro Katya Walter analizza la loro unione nella teoria moderna del caos. L’autrice conclude che I Ching anticiparono
il codice binario di Leibniz di oltre
3000 anni. Katya Walter giunge anche a
rivelare l’ordine fondamentale dell’universo.
Ward, Julie
Feminism and Ancient Philosophy
Routledge, aprile 1996
pp. 256, UK£ 12.99
Quest’opera fornisce una valutazione
delle discussioni dei filosofi antichi a
proposito della donna e spiega quali
punti di vista del passato possono essere utili alla teoria femminista di oggi. I
passi antologici vanno dalla filosofia
greca classica fino al periodo ellenistico, includendo anche Platone e Aristotele.
Weis, Kurt (a cura di)
Was ist Zeit? Entwicklung und Herrschaft
der Zeit in Wissenschaft, Technik und
Religion
Akademie Vlg. Hofbauer, aprile 1996
pp. 280, DM 29,80.
Weisch, Wolfgang
Vernunft.
Die zeitgenössische Vernunftkritik
und das Konzept der trasversalen Vernunft
Suhrkamp, aprile 1996
pp. 944, DM 34,80.
ed. Rodopi, maggio 1996
pp. 193, FOL 125
Si tratta della pubblicazione del manoscritto di Werkmeister, da lui lasciato
incompiuto al momento della sua morte. In un lasso di tempo di trentasei
anni, l’autore scrisse nove articoli e
compilò diverse rassegne riguardanti le
sue scoperte. All’età di novantanni,
Werkmeister si accinse di nuovo a scrivere un’opera che avrebbe dovuto unificare il pensiero di Heidegger.
pp. 468, DM 98
Diversamente rispetto ad altre discipline filosofiche, non esiste nessuna monografia che riguardi la storia delle problematiche della filosofia sociale. Con
questo volume - in cui la filosofia viene
presentata come forma di pensiero centrale per l’epoca moderna e in cui questa disciplina viene misurata sulla base
dei suoi ambiti problematici e delle
posizioni che la caratterizzano - si vorrebbe rimediare a questo vuoto.
Willett, Cynthia
Maternal Ethics and other Slave
Moralities
Routledge, giugno 1996
pp. 256, UK£ 13.99
Quest’analisi rivela il modo in cui le
soggettività materne servono come critica della ragione strumentale, cioè come
le madri, negre e altre “schiave” della
storia stiano trasformando la cultura
repressiva che in occidente assume il
nome di ragione.
Wisser, Richard
Philosophische Wegweisung. Versionen
und Perspektiven
Königshausen & Neumann, maggio 1996
pp. 472, DM 98.
Woodfield, Richard
Gombrich on Art
Manchester UP, aprile 1996
pp. 256, UK£ 40
Il volume discute dell’opera di Gombrich sull’arte e la psicologia. Dei saggi
esaminano diversi aspetti, tra i quali
figurano le dispute sull’arte e l’illusione, la socio-bilogia dell’arte, Il senso
dell’ordine e il primitivismo contemporaneo. Anche Gombrich ha contribuito con un articolo, “Quattro teorie dell’espressione artistica.”
Williams, Bernard
Descartes. Das Vorhaben
der reinen philosophischen Untersuchung
Beltz Athenäum, maggio 1996
s.pp., DM 48.
Williams, John Tyerman
Pooh and the Philosophers
Mandarin, giugno 1996
pp. 184, UK£ 5.99
Questo libro si propone di dimostrare
che tutta la filosofia occidentale dai
cosmologi agli esistenzialisti, può essere ritrovata nelle pagine di Winnie
Pooh l’orsetto e La strada di Pooh.
L’autore mostra come il “Grande orso”
spiega le idee profonde di grandi pensatori come Platone e Kant.
Zaccaï-Reyners, Nathalie
Le monde de la vie
vol. II: Schütz et Mead
Cerf, maggio 1996
pp. 105, F 59
Quali sono gli ambiti della coesione
sociale? Che ruolo hanno il linguaggio
e l’interazione nella costruzione di immaginari comuni? Molte domande rinviano al concetto di “mondo della vita”
e vengono esaminate secondo i contributi di Schütz e Mead. Per tutti gli
interessati.
Williams, Michael
Unnatural Doubts:
Epistemological Realism
and the Basis of Skepticism
Princeton UP, aprile 1996
pp. 410, UK£ 14.95
Il testo è una polemica contro l’idea di
epistemologia nella sua concezione tradizionale. L’autore sostiene che la conoscenza del mondo costituisce un tipo di
conoscenza teoricamente coerente, le cui
potenzialità devono essere difese, considerando come premessa una dottrina profondamente problematica che egli chiama “realismo epistemologico”.
Zaccaï-Reyners, Nathalie
Le monde de la vie
vol. III: Après le tournant sémiotique
Cerf, maggio 1996
pp. 125, F 59
All’incrocio tra l’ermeneutica filosofica di Gadamer e la pragmatica universale di Habermas, il concetto di mondo
vissuto, che viene qui riformulato, può
contribuire all’intelleggibilità della vita
in comune, in contesti profondamente
pluri-culturali. Per tutti gli interessati.
Zamora, José A.
Krise - Kritik - Erinnerung.
Ein politisch-theologischer Versuch
über das Denken Adornos
im Horizont der Krise der Moderne
Wirkus, Bernd
Deutsche Sozialphilosophie in der ersten
Hälfte des 20. Jahrhunderts
Wiss. Buchges., maggio 1996
Werkmeister, W.H.
Martin Heidegger on the Way
a cura di R.T. Hull
Zecchi, Stefano (a cura di)
Le arti e le scienze
il Mulino, aprile 1995
pp. 300, £. 34.000
Questo libro raccoglie alcuni saggi di
diversi autori che si propongono di analizzare il complesso rapporto tra arte e
scienza a partire dalla classicità, periodo in cui la parola arte coincideva con la
parola tecnica e indicava una particolare capacità di collegare cose, immagini
e parole evidenziando la qualità e la
bellezza per giungere al periodo attuale
nel quale viene affermata la distinzione
tra arte e scienza.
Zhengyuan Fu
Chinese Legalists:
The Earliest Totalitarians
M. E. Sharpe, aprile 1996
pp. 176, UK£ 19.95
Questo studio si occupa dei Legalisti, un’antica scuola della filosofia cinese, che perfezionò la scienza dell’arte del governo.
Consente di avvicinarsi allo stile del discorso legalista ed evidenzia la sua influenza sulle istituzioni e le pratiche di
governo cinesi.
Ziegler, Leopold
’Der europäische Geist’. ‘Die neue
Wissenschaft’. Zwei vergessene Schriften
H. Leins, aprile 1996
pp. 226, DM 34
Leopold Ziegler (1881-1958), che ai
suoi tempi era uno dei filosofi tedeschi
più importanti, viene ormai nominato
poco. Gli si fa un torto, in quanto è in
grado di fornire la risposta a domande
importanti per il nostro presente. Questo è il motivo per cui gli si restituisce
la parola, tramite questi suoi due testi.
Zimmerman, Michael J.
The Concept of Moral Obligation
Cambridge UP, maggio 1996
s. pp., UK£ 35
Questo testo sviluppa e difende un’analisi del concetto dell’obbligo morale.
L’autore si mantiene neutrale rispetto
alla competitività tra le concrete teorie
dell’obbligo, sia che esse assumano
carattere consequenzialista che deontologico; egli cerca di formulare nuove
soluzioni per una serie di problemi filosofici.
Zubiria, Martin
Die Teleologie und die Krisis
der Principien
Georg Olms, aprile 1996
pp. 234, DM 47,80.
(Biblio. it. di M.Mi.; trad. it. di L.T.)
Informazioni bibliografiche
relative
alle pubblicazioni italiane
sono tratte
dalla banca dati
della
Weizsäcker, Viktor von
Gesammelte Schriften
vol. IV: Der Gestaltkreis.
Theorie der Einheit
von Wahrnehmen und Bewegen
a cura di D. Janz, W. Rimpau,
W. Schindler et al.
Suhrkamp, aprile 1996
pp. 608, DM 68.
Welte, Bernhard
Wahrheit und Geschichtlichkeit
a cura di B. Casper e I. Feige
Knecht, maggio 1996
pp. 224, DM 42
Si tratta di una pubblicazione tratta dalle
opere postume di Welte.
Lit, maggio 1996
pp. 512, DM 78,80.
via B. da Maiano, 3
50014 Fiesole (FI)
telefono 055.599941
fax 055.598895
[email protected]
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