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SLIDE GEOGRAFIA ECONOMICA

SLIDE LEZIONI GEOGRAFIA ECONOMICA
Strumenti teorici e applicativi della geoeconomia
→ delineare quadri interpretativi dei processi che investono il mondo attuale, rendendolo
complesso e dominato da interconnessioni e interdipendenze profonde
◦
studiando i passaggi più significativi della Geografia del XX secolo: tra i quali la
Teoria generale dei sistemi (di Ludwig von Bertalanffy) e la Teoria dei paradigmi (di
Thomas Kuhn)
◦
adottando modelli e paradigmi si è ottenuto anche il tramonto della geografia
descrittiva e l'affermazione di quella esplicativa e dell'analisi funzionale
◦
i nuovi modelli, tratti dalle scienze naturali, hanno però creato un isomorfismo
scientifico delle diverse discipline, fino agli anni 70 quando la globalizzazione economica e
l'emergere dei sistemi locali hanno provocato l'abbandono dei vecchi strumenti d'analisi e
l'adozione di nuovi strumenti interpretativi dell'economia territoriale
◦
La nuova configurazione dell'economia e della società globale ha anche provocato
l'emersione di variabili qualitative, relative alle relazioni umane, alle identità locali, alle
diseguaglianze, che verranno studiate mediante un approccio postmoderno che aprirà
ampi varchi per interpretazioni soggettive
Rivoluzione scientifica e paradigma
• Nel 1962 Thomas Kuhn pubblica l'opera "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" in cui
rifiuta la concezione tradizionale della scienza come accumulazione progressiva di nuove
scoperte, affermando che in certi momenti (detti rivoluzionari) si interrompe il rapporto di
continuità con il passato e si inizia un nuovo corso, in modo non completamente razionale.
Il passaggio da una teoria ad un'altra è così globale e ha tali conseguenze che Kuhn lo
chiama rivoluzione scientifica.
Il paradigma positivista
◦
Il positivismo ha dominato il panorama, delle scienze fisiche e sociali, per circa 100
anni.
◦
Il paradigma positivista parte dal presupposto che esiste una realtà esteriore regolata
da leggi e meccanismi naturali statici che la ricerca può aiutare ad individuare. La
veridicità di un'affermazione scientifica può essere appurata attraverso la comparazione
delle affermazioni teoriche con i "fatti" considerati oggettivi e neutri, ovvero indipendenti
dalle teorie.
Il paradigma positivista si muove, metodologicamente, sostenendo il metodo sperimentale:
vengono formulate delle ipotesi che saranno sottoposte ad accertamento empirico,
seguendo delle norme che escludono alcun imprevisto che non rientri in quelle che sono le
variabili indipendenti manipolate dal ricercatore.
Il paradigma funzionale
◦
L'adozione di questo paradigma comporta l'analisi dei fenomeni mediante
l'individuazione di attori e strutture presenti nel territorio e lo studio delle relazioni e delle
funzioni che questi svolgono (isomorfismo del sistema organico in biologia)
◦
Per funzione si intende il risultato osservabile di un'azione rispetto a una determinata
struttura.
◦
Nel funzionalismo la società è intesa come un insieme di parti interconnesse, nel
quale nessuna parte può essere compresa se isolata dalle altre
◦
I poli industriali e le attività e le relazioni produttive I
◦
Le città e le funzioni urbane che ne derivano
◦
Le imprese e le loro attività
Il paradigma sistemico
◦
Il sistema è visto come un insieme complesso di strutture che agiscono e
interagiscono tra di loro e con l'ambiente esterno, seguendo un processo che tiene conto
dei cambiamenti e richiede continui adattamenti
◦
L'adozione di questo paradigma comporta l'analisi dei fenomeni mediante un
approccio sistemico
◦
Ad esempio, lo studio delle città considerate sistemi
◦
urbani
Ad esempio, lo studio dei distretti industriali considerati come sistemi produttivi
Gli strumenti teorici e applicativi della geografia economica (3)
I presupposti della geografia economica e regionale come branchia fondamentale della
geografia umana vennero posti nell'Ottocento, sotto l'influenza dell'illuminismo dominante,
quando emersero due problemi chiave:
◦
le differenze che caratterizzano la superficie terrestre;
◦
le relazioni uomo-ambiente
◦
Una Geografia che, sull'onda delle idee positiviste e di quelle evoluzioniste di Darwin
(che ravvisava nell'ambiente il motore della selezione e dell'adattamento delle specie),
venne dominata dal determinismo ambientale.
◦
Le attività umane e le forme di insediamento erano soggette ai caratteri dell'ambiente
fisico: l'uomo, i suoi obiettivi, il temperamento, la cultura, le pratiche economiche e la vita
sociale sono derivabili dalle influenze ambientali.
clic per inserire le note.
Gli strumenti teorici e applicativi della geografia economica (4)
◦
Nella prima metà del XX secolo al determinismo ambientale venne sostituendosi
l'indirizzo storicista o possibilista, che ebbe come massimo esponente il geografo francese
Paul Vidal de la Blanche
◦
Il rapporto società-ambiente raggiunge un equilibrio nuovo, l'ambiente naturale offre
una gamma di risorse da cui derivano le opportunità offerte alle attività umane.
◦
concetto di interdipendenza e di reciproca influenza tra uomo e ambiente naturale,
tra natura e gruppi umani, da cui hanno origine le caratteristiche del genere di vita, del
Paesaggio, della Regione.
Paesaggio e Regione (costituita da uno o più paesaggi) fondano le loro caratteristiche
sull'omogeneità, che non riposa più soltanto sull'ambiente fisico, ma su una vasta gamma
di elementi, tra cui un ruolo sempre più importante rivestono le forme di insediamento, i
fenomeni urbani e le attività economiche.
Strumenti teorici-applicativi della geoeconomia (5)
• nel secondo dopoguerra non soltanto la Geografia, ma tutte le scienze sociali, tentano di
fornire risposte adeguate alla crescente complessità dei fenomeni economico-sociali e
territoriali, urbani e regionali in particolar modo, e alla richiesta di forme di pianificazione
fondate su principi scientifici
◦
A differenza dei geografi storicisti, quelli neopositivisti credono in un ordine generale
al quale si può arrivare solo disponendo di teorie e modelli in grado di scoprirlo e
spiegarlo.
◦
Introducono quindi il metodo deduttivo, con il quale il ricercatore grazie
all'osservazione ed all'intuizione formula una spiegazione razionale della realtà (dal
generale al particolare).
) Il confronto con la realtà empirica contribuisce alla conferma dell'intuizione che può
trasformarsi in legge scientifica (affermazione del positivismo logico). E così che il lavoro
empirico, fondato sull'osservazione, viene svolto alla fine e non all'inizio come accadeva
con i metodi induttivi (dal particolare al generale).
Strumenti teorici-applicativi della geoeconomia (6)
◦
L'impianto teorico-concettuale che matura negli anni '50 trova la sua ispirazione
nell'economia classica, in quella neoclassica, in quella marxista e nelle analisi quantitative
(matematiche e statistiche).
◦
I nuovi modelli e paradigmi si distinguono da quelli dell'economia tradizionale perché
la componente spaziale, ignorata dai modelli economici, ne costituisce la principale
variabile.
◦
E' una geografia che studia le funzioni del territorio a cui si applicheranno Von
Thunen, Weber, Perroux e Christaller, ma anche coloro che si applicheranno al modello
gravitazionale, al modello della polarizzazione, alla teoria dei grafi, alla teoria centroperiferia, alla teoria dello scambio ineguale.
7 a rinnovare profondamente le teorie e i modelli territoriali concorrerà soprattutto
l'introduzione della Teoria generale dei sistemi e del concetto di processo, che
permetteranno di superare del tutto i principi di omogeneità e di staticità, aprendo nuovi
orizzonti allo studio delle unità regionali e del paesaggio.
Strumenti teorici-applicativi della geoeconomia (7)
◦
dalla seconda metà degli anni '70, la crisi dell'economia, scossa dalla lievitazione dei
costi energetici e delle materie prime e da tensioni sociali sempre più profonde, faranno
crollare quest'illusione e molte delle teorie e le leggi scientifiche che garantivano
l'obiettività e la razionalità nello studio dei processi economici e regionali.
◦
Si riveleranno parziali le teorie che consideravano:
◦
lo sviluppo economico come processo lineare di crescita nella
◦
produzione di ricchezza;
◦
l'industrializzazione, la grande impresa, la crescita metropolitana, la polarizzazione
industriale ed urbana come elementi centrali di ogni processo di sviluppo economico
→ L'avvento della società postindustriale (o postmoderna), che si associa a questa nuova
era dello sviluppo capitalistico, richiede infatti inediti strumenti di interpretazione, per
l'emergere di interdipendenze economico-sociali e territoriali e di processi sempre più
complessi e sempre meno prevedibili.
Strumenti teorici-applicativi della geoeconomia (8)
→ i nuovi processi sono collegati:
◦
alla crescente terziarizzazione dell'economia e al ruolo dei servizi;
◦
alla modificazione dei rapporti tra Stato e mercato, tra sfera pubblica e privata
dell'economia;
I
◦
al ruolo crescente delle città e delle regioni,
◦
allo sviluppo dell'economia globale, che coinvolge capitali, imprese, informazioni e
l'emergere di nuovi sistemi locali (localizzazione);
◦
all'affermazione di nuove forme periferiche di sviluppo economico, fondate sul
decentramento produttivo, su reti di piccole e medie imprese, sulle risorse locali e sui
distretti industriali;
◦
all'avvento dei paradigmi tecnologico e reticolare, fondati sull'innovazione, sulle
tecnologie telematiche, dell'informazione e della comunicazione;
◦
ad una nuova cultura dei consumi, all'irrompere delle problematiche ambientali.
LEZIONE 2
Migrazioni internazionali
→ Dal dopoguerra fino alla prima crisi petrolifera del 73 si era registrata una migrazione
dalle aree più povere verso le aree ricche e industrializzate dell'America del Nord,
dell'Europa occidentale e dell'Oceani.
- Dalla crisi petrolifera in poi sono emerse nuove aree di attrazione dei flussi: l'Europa
meridionale, i paesi del Golfo Persico, l'America del Sud, alcuni paesi asiatici e africani.
→ dalla fine degli anni '80 le migrazioni internazionali sono strettamente collegate ai
processi di globalizzazione, raggiungendo nel 2008 200milioni di migranti.
Migrazioni internazionali (2)
→ la geografia ha sempre analizzato le cause cercando di pervenire a proposte di
governo:
A. Un primo insieme di teorie ha posto attenzione ai fattori di espulsione e attrazione
(approcci push-pull), connessi ai differenziali economici e demografici tra paese
alla partenza e quello di approdo: la diversa distribuzione della ricchezza, i bassi
salari, il forte tasso di natalità e la pressione demografica, oltre che le crisi
ambientali e fattori politici.
B. Un secondo blocco di teorie interpreta invece le migrazioni come la somma di
intenzioni e motivazioni essenzialmente personali. La teoria economica
neoclassica interpreta le migrazioni come insieme di scelte volte alla
massimizzazione del reddito, indicando i differenziali salariali e la diversa
disponibilità di opportunità lavorative tra paesi come principali spiegazioni delle
migrazioni. Secondo tale logica gli spostamenti di forza lavoro dalle aree a basso
sviluppo verso quelle sviluppate contribuiscono a un'ottimale allocazione
internazionale dei fattori di produzione e quindi, attivano un circolo virtuoso
consentono nel lungo periodo un abbattimento degli stessi differenziali che li
avevano originare.
Migrazioni internazionali (3)
◦
Il limite principale di entrambi questi approcci è di interpretare le migrazioni come
forze socioeconomiche che fanno tendere nel lungo periodo il sistema complessivo verso
una situazione di equilibrio.
◦
Inoltre, leggere le migrazioni come processi determinati da un complesso di scelte
compiute da individui razionali che hanno una completa disponibilità d'informazioni e
operano in condizioni perfette di mercato induce a trascurare sia i fattori relazionali, sia le
distorsioni al libero operare del mercato causate dal controllo dei confini dei singoli stati.
B 1. Un approccio economico alternativo è fornito dalla new economics of labour
migration, che esamina il ruolo di altri fattori che condizionano la scelta di emigrare, quali
le opportunità di lavoro sicuro, la disponibilità di capitale economico per avviare attività in
altri paesi o per sostenere rischi di lungo periodo, il peso della famiglia nella scelta.
Migrazioni internazionali (4)
B 2. Un altro approccio di tipo economico tende a spiegare le migrazioni adottando una
logica strutturalista. In questi casi s'intende cogliere le complesse relazioni che legano le
ondate migratorie ai più ampi processi di globalizzazione economica.
◦ La teoria neomarxista della dipendenza e quella del sistema mondo di Wallerstein
sono i riferimenti guida del modello centro-periferia. Questo modello denuncia il
carattere ineguale dello sviluppo economico capitalista e sottolinea che le
migrazioni dipendono dalla divisione internazionale del lavoro, che colloca
specifiche regioni in posizioni funzionalmente periferiche nell'ambito della gerarchia
internazionale.
◦ Secondo tale modello, il regime di accumulazione post-fordista definisce una
complessa articolazione tra assorbimento di forza lavoro dequalificata nelle aree del
core e delocalizzazione di fasi del processo produttivo nel ring funzionale al
mantenimento di uno scambio ineguale e alla produzione di nuove periferie.
◦
Questo processo di nuova mercificazione del lavoro rappresenta i lavoratori
stranieri, come dei neo-schiavi attratti dalle città-globali.
Migrazioni internazionali (6)
→ Le stesse informazioni, libere di espandersi oltre ogni confine, grazie allo sviluppo di
Internet, ma anche del commercio, dei sistemi pubblicitari, del turismo e degli altri mezzi di
comunicazione/informazione, diffondono a livello planetario le culture e le attrattive
occidentali, creando i presupposti per quelle forme di socializzazione anticipata e la
diffusione del senso di deprivazione che motivano le migrazioni internazionali.
C. Il paradigma degli spazi sociali transnazionali ha l'ambizione di integrare e superare i
due precedenti filoni di ricerca Push-pull e economico-personale: i nuovi sistemi migratori
transnazionali sono visti come processi che rompono i confini e fanno in modo che due o
più Stati-nazione diventino parte di un unico nuovo spazio sociale, in cui, insieme alle
persone, circolano conoscenze, idee, simboli e cultura materiale.
→In quest'ottica le migrazioni da viaggi di sola andata diventano flussi multidirezionali e
continui, generando relazioni che attraversano le frontiere e ridefiniscono identità
individuali, collettive e territoriali.
Migrazioni internazionali (7)
→ Attraverso tale lettura si riesce a fornire una più corretta interpretazione di quelle
modalità di emigrazione caratterizzate dallo sviluppo e dal mantenimento di particolari
legami sociali, economici e culturali con la società di partenza e con quella di arrivo,
attraverso l'instaurazione di rapporti complessi e bifronti che guardano a più universi
sociali e territoriali→ le comunità transnazionali così costituite nelle loro nuove regioni di residenza non sono
più semplicemente un prolungamento delle loro.
→ comunità di origine, ma formano degli spazi deterritorializzati, in cui è possibile sfruttare
quel vantaggio competitivo che deriva dal poter operare contemporaneamente in due
paesi.
→ Quest'approccio transnazionale consente di definire le migrazioni come funzioni di un
più generale differenziale delle strutture delle opportunità spaziali e non semplicemente di
differenziali economici; lega il progetto migratorio ad aspirazioni e risorse umane, sociali,
culturali ed economiche che non sono mai soltanto individuali ma che si organizzano entro
specifici reticoli relazionali.
La scala nazionale del fenomeno migratorio (1)
◦ È necessario distinguere tra politiche e processi d'integrazione:
I. con le politiche ci si riferisce alla promozione dall'alto di un insieme di interventi
di
natura pubblica che definiscono specifici modelli di gestione e governo
dell'immigrazione;
II. con i processi ci si riferisce all'ambito locale dove si manifestano le varie forme di
interazione tra maggioranze autoctone, istituzioni e popolazioni immigrate.
◦ Con riferimento ai processi effettivi d'integrazione entrano in gioco molteplici aspetti
che presentano delle dinamiche spesso slegate tra loro: l'integrazione economica,
politica, culturale, religiosa, territoriale.
◦ i fenomeni migratori costituiscono una delle forze che maggiormente stanno
erodendo il potere dello Stato-nazione (ecco perché si innalzano sempre più muri,
per difendere l'identità nazionale: esempio Ungheria, USA).
La scala nazionale del fenomeno migratorio (3)
Si distinguono tre significati del termine "integrazione":
A. La prima accezione fa riferimento all'integrazione come uguaglianza e a questa si
associa il modello pluralista che si è andato affermando soprattutto negli ultimi anni
negli Stati Uniti (melting pot - crogiolo, amalgama di culture, salad bowl - insalatiera
di etnie), ma anche in Gran Bretagna, in Canada, in Australia, Svezia e Olanda.
B. Una seconda accezione intende l'integrazione come somiglianza ed è alla base dei
modelli d'integrazione di tipo assimilativo, come quello francese (la differenza va
protetta solo nella sfera privata. Poi gli immigrati devono accettare le regole della
popolazione d'accoglienza: conseguenza → perdita di identità nelle banlieu
francesi). In GB pluralismo ineguale.
C. Infine, si riconosce l'idea d'integrazione come utilità, corrispondente al modello
tedesco del lavoratore straniero, che enfatizza la prospettiva funzionalista e tende a
ridurre la sfida multiculturale nei termini di costi e benefici per la comunità.
In Italia:
Nel 1998 con l'introduzione della legge n. 40 "Turco-Napolitano", che funge da primo
Testo Unico finalizzato a rendere più organica la disciplina del fenomeno, viene
riconosciuta, non senza contraddizioni, la funzione economica dell'immigrazione in Italia e
vengono introdotti alcuni principi fondamentali per il conseguimento di un più strutturato
processo di integrazione
• -Con la discussa legge n. 189/2002 "Bossi-Fini", che tra l'altro s'inquadra
perfettamente nella logica europea della "fortezza" invalicabile, il tanto auspicato
modello italiano di integrazione si è appiattito sulle logiche securitarie e
l'immigrazione viene gestita e tollerata fintanto che risulta indispensabile e
funzionale all'economia italiana, mentre per il resto la politica è quella del
contenimento.
• -decreto sicurezza novembre 2018: prima l'Italia poteva riconoscere 3 tipi di
protezione a chi ne facesse richieste: status di rifugiato, protezione sussidiaria e
umanitaria.
Le incongruenze del «modello implicito» italiano di integrazione degli Immigrati sono
riconoscibili nelle modalità spontanee dell'arrivo e del primo insediamento degli
stranieri (spesso clandestini), nell'informalità che caratterizza l'ingresso nel mercato del
lavoro, nella scarsa regolamentazione legislativa che si è tradotta in continue
sanatorie, nell'inconciliabilità tra riconoscimento dell'utilità economica della forza lavoro
straniera e diffusione e strumentalizzazione delle paure e delle ansie prodotte dalla
coabitazione interetnica.
Tali carenze hanno trovato un prezioso ammortizzatore sociale nell'intervento di supplenza
e di sostegno sviluppato dai numerosi movimenti laici e cattolici di volontariato e di
solidarietà.
La crisi che ha colpito tutti i principali modelli d'integrazione ha invogliato a ripensare: al
"multiculturalismo" (modello a cui tendere che potrebbe portare alla distruzione dei valori
della società ospitante); al "culto dell'etnicità" (enfatizzare la diversità); al "multi
comunitarismo" (accostamento di molte culture senza integrazione né appartenenze
plurime); o alla intercultura (scambio reciproco di culture e valori).
Coabitazione interetnica in città
•
La città è il contesto privilegiato di analisi delle dinamiche migratorie, come
laboratorio di politiche innovative e come spazio sociale dove sperimentare pratiche
di cittadinanza reale, in contrapposizione ai processi tipicamente escludenti che
regolano, in tempi di restrizione forzata dei flussi migratori, l'attribuzione della
cittadinanza nazionale. La città agisce ostacolando o facilitando l'integrazione
dei nuovi arrivati.
L'approccio ecologico della scuola di Chicago intende definire una teoria
dell'adattamento delle società umane all'ambiente. La segregazione non è intesa come
una patologia ma una fase temporanea, che riguarda specifiche "zone di transizione",
manifestazione spaziale di un più ampio processo attraverso cui i sistemi urbani tendono
verso una situazione di equilibrio.
Secondo l'approccio neo-ecologico, la mobilità sociale e l'acculturazione rappresentano
le forze di dispersione in grado di contrastare quelle di concentrazione, prodotte dalla
specializzazione funzionale dello spazio urbano industriale e dalla istituzionalizzazione dei
quartieri etnici.
Altro approccio marxista reinterpreta il fenomeno della segregazione spaziale, sociale ed
etnica alla luce del funzionamento del mercato immobiliare (Harvey) che sottolinea il ruolo
del capitale finanziario nel dar forma e continuità spaziale alle disuguaglianze sociali,
spesso intrecciate con le appartenenze etnorazziali.
Nell'ambito della geografia culturale postmoderna, in cui il territorio è letto come un
universo di segni, l'attenzione invece si sposta prevalentemente sui paesaggi etnici urbani.
Il modello dello status sociale, incorporato dalla teoria dell'assimilazione spaziale, si è
dimostrato adatto a spiegare le dinamiche sociali e spaziali dei gruppi migranti nel Nord
America provenienti dall'Europa, ma non quelle di altre "minoranze involontarie" che,
invece, hanno continuano a manifestare nel corso del tempo alti livelli di segregazione.
Secondo il modello dello status etnico, la scelta di rimanere in aree caratterizzate da
elevata omogeneità (gated communities) non riguarda soltanto le classi agiate autoctone
ma anche quelle immigrate (vedi giapponesi e cinesi a Los Angeles e San Francisco), la
cui composizione socioculturale è guidata più dalle preferenze che dalle costrizioni.
È emblematico il ruolo del capitale sociale etnico che trova esplicita collocazione spaziale
nelle cosiddette enclave, come quella della comunità cubana di Miami.
Queste enclave si presentano come sistemi economici autosufficienti, con raggruppamenti
spaziali di imprese di proprietà etnica che tendono a svilupparsi in prossimità delle aree di
residenza trasformando profondamente il tessuto urbano, la sua struttura economica e
sui processi culturali, fino a divenire istituzionalmente complete.
Ciò ha contribuito a spostare l'attenzione scientifica dai modelli statici di organizzazione e
divisione dello spazio urbano ai processi dinamici di trasformazione territoriale e di
esclusione sociale e spaziale.
Ciò nonostante, nel dibattito politico e massmediatico si tende a una costante
associazione tra concentrazione e ghettizzazione, concentrazione e povertà,
concentrazione e pericolosità sociale. La concentrazione spaziale è ritenuta una
costante dell'immigrazione, Indicativa dell'estraneità di comunità, interessate soltanto alla
creazione di microcosmi separati dal contesto sociale e urbano più ampio.
Dove il dibattito è stato regolato più dalle preoccupazioni per le percezioni d'insicurezza
degli autoctoni che dell'integrazione degli stranieri, la diffusa immagine degli immigrati
come poveri ha favorito il radicamento di approcci emergenziali e muscolari al problema
della coabitazione interetnica.
in America si è affermato un filone di studi, definito di urban political analysis che, in virtù
dell'accentuata decentralizzazione amministrativa e della preferenza accordata alle
iniziative private e non governative nelle politiche sociali, si è concentrato sull'analisi delle
coalizioni e dei regimi o urbani e sulle relazioni esistenti tra politiche di sviluppo economico
capitalistico, relativi squilibri e interessi privati.
Nelle aree metropolitane americane a essere più visibili e acuti sono gli effetti del nuovo
paradigma produttivo post-fordista, a causa del quale l'espansione economica contribuisce
alla polarizzazione dei redditi e ad un'ulteriore marginalizzazione dei segmenti più
deboli.
Migrazioni, governance e società civile nel mediterraneo
•
•
•
•
Quest'area di 2,5 milioni di kmq, in cui si affacciano ventiquattro Stati e una
popolazione complessiva di oltre 500 milioni di persone, assurge a potenziale
laboratorio d'analisi di tutti i principali fenomeni riconducibili alla mobilità umana
(flussi di transito, processi di emigrazione/ immigrazione, rotte clandestine e
human trafficking).
I Paesi sud-orientali sono ancora soprattutto aree di emigrazione, in cui le precarie
condizioni politiche ed economiche alimentano flussi in uscita in costante aumento
Il parziale miglioramento degli indicatori economici e dei livelli d'istruzione piuttosto
che fungere da fattori di rallentamento dell'emigrazione, finiscono con
l'incrementarla, in quanto risorse, aggiuntive da mobilitare per la riuscita del
progetto migratorio,
Egitto, Libano, Marocco, Libia, però, negli ultimi anni sono diventati anche naesiche
attraggono sempre più immigrati.
In Europa appare ancora più evidente quella sindrome schizoide che da un lato enfatizza il
fascino esotico della cultura e della natura del Mediterraneo, dall'altro addita i migranti
provenienti da quegli stessi Paesi come responsabili dell'ampliamento degli spazi di
degrado sociale, economico e territoriale e per questo fonte di rifiuto e ostilità nelle società
ospiti.
Nel corso degli anni, i regimi autoritari africani, in effetti, avevano garantito l'avvio di
un percorso di sviluppo capitalistico neoliberale, la pace sociale interna, la lotta al
terrorismo e il contrasto all'islamismo e all'immigrazione clandestina, ma queste politiche si
traducevano in una crescente disuguaglianza sociale interna e in un sempre più massiccio
uso della violenza contro la popolazione e le varie opposizioni politiche.
L'esplosione di collera partita il 16 gennaio 2011 quando il popolo tunisino, sullo slancio
emotivo prodotto dal gesto disperato dell'ambulante Mohamed Bouazizircheil 17
dicembre 2010 si dà fuoco davanti al Municipio della città di Sidi Bouzid per protestare
contro le continue vessazioni subite dalla polizia, ha dato vita alla Rivoluzione dei
Gelsomini.
Questo primo movimento di rivolta ha finito con il coinvolgere l'intero Nord Africa e gran
parte del mondo arabo esasperato dall'ingiustizia politica e sociale prodotta negli ultimi
decenni dai rispettivi regimi.
L'esplosione di collera partita il 16 gennaio 2011 quando il popolo tunisino, sullo slancio
emotivo prodotto dal gesto disperato dell'ambulante Mohamed Bouazizircheil 17 dicembre
2010 si dà fuoco davanti al Municipio della città di Sidi Bouzid per protestare contro le
continue vessazioni subite dalla polizia, ha dato vita alla Rivoluzione dei Gelsomini.
Questo primo movimento di rivolta ha finito con il coinvolgere l'intero Nord Africa e gran
parte del mondo arabo esasperato dall'ingiustizia politica e sociale prodotta negli ultimi
decenni dai rispettivi regimi.
Altri fattori che accomunano le diverse mobilitazioni sono il diffuso ricorso al web e alle
nuove tecnologie della comunicazione e dell'informazione e un rinnovato ruolo delle
donne.
• Appare evidente che il problema immigratorio non possa essere ridotto a mere
questioni di quote d'ingresso e di controllo e sicurezza delle frontiere. Queste
vanno, infatti, accompagnate a strategie di cooperazione al fine di limitare le
partenze più che impedire gli arrivi, creando in loco quelle condizioni di sviluppo
sostenibile endogeno.
In tale prospettiva le sommosse che hanno destituito Mubarak in Egitto, Ben All in Tunisia
e Gheddafi in Libia non si limitano a richiedere una parziale redistribuzione della
ricchezza, ma si pongono l'obiettivo più complesso e ambizioso di trasformazione in senso
democratico dei propri sistemi istituzionali.
le responsabilità occidentali:
L'accoppiata transizione economica neoliberista e autoritarismo politico è stata, Infatti,
appoggiata dagli Stati Uniti e dall'Europa che hanno finito con l'anteporre le esigenze di
stabilità a quelle della democrazia, proteggendo l'utilità di regimi autoritari funzionali alla
salvaguardia degli interessi occidentali: dalla lotta al terrorismo alla gestione dei flussi
migratori, dalla liberalizzazione dei commerci al turismo, dall'accesso alle risorse
petrolifere e altre risorse energetiche alla delocalizzazione delle produzioni industriali
occidentali, dalle telecomunicazioni al settore bancario.
Impresa e tecnologia
→ Il fine della produzione industriale è lo scambio per la vendita del bene prodotto;
quindi, è comprensibile l'attenzione posta dalle imprese industriali al mercato dei
consumatori e all'ambiente esterno.
→ Tuttavia, queste assunzioni non conducono al riconoscimento di un ruolo attivo del
territorio nei processi e nei meccanismi dello sviluppo: difatti secondo Adam Smith,
l'equilibrio generale di uno spazio urbanizzato si raggiungeva con la naturale
distribuzione di mercati e di lavoratori specializzati in tutte le città.
→ l'industria era strettamente dipendente dagli inputs di materie prime, capitale e
lavoro, mentre la produttività era legata alle economie di scala e di agglomerazione.
→ Ma poiché la produzione, ancorché quella precapitalistica dei beni agricoli, è
necessariamente diretta all'autoconsumo e soprattutto alla vendita in un mercato, il
produttore che gode della prossimità fisica al mercato ha senza dubbio un
vantaggio rispetto al produttore più distante.
Impresa e tecnologia (2)
→ La relazione tra mercati e colture agrarie è trattata diffusamente dallo studioso
tedesco Von Thünen, che caratterizza i centri urbani per la presenza del mercato,
riconoscendo un valore intrinseco superiore (rendita) a quei terreni più vicini ai
luoghi del commercio.
→ Von Thunen analizza lo spazio agricolo in riferimento al mercato: deducendo che
nelle immediate vicinanze di un centro abitato si localizzano le attività economiche
a maggiore valore aggiunto (ad esempio colture intensive) mentre occuperanno
spazi più distanti le attività a minore valore aggiunto (colture estensive e
allevamento).
R = Q(p-c) – Qt
(R= rendita; Q= quantità; t=trasporto)
→ Von Thünen individua nel costo del trasporto la discriminante che differenzia un
terreno dagli altri, in quanto i prodotti agricoli che provengono da terreni più vicini al
mercato possono ricavare una rendita per unità di prodotto più elevata che
remunera il costo del trasporto (un terreno vicino alla città gode di una rendita
maggiore perché sopporta minori costi di trasporto).
FIGURA 1. - Il modello d'uso del suolo agricolo secondo la teoria di Von Thinen (1 punti G
e H, che indicano il confine tra un uso del suolo più redditizio ed uno meno redditizio, sono
individuati dall'intersezione delle funzioni di rendita, in dicate nell'ordine decrescente, AB >
CD > EF)
Teoria di Weber
→ Nella seconda metà dell'Ottocento l'economia rapidamente si evolve dalle forme
precapitalistiche, basate sulle coltivazioni agricole, alle forme proto-industriali e
industriali.
→ La teoria di Weber (1907) si fonda sull'idea che un'impresa per massimizzare l'utile
deve minimizzare i costi di trasporto e che la sua localizzazione ottimale sia il punto
in cui la somma dei costi di trasporto delle materie prime e del prodotto finito risulti il
minore possibile.
Nel modello di Weber si presuppone:
1. Che il costo di trasporto sia funzione lineare diretta della distanza e, a sua volta,
incida sui costi di materie prime e prodotti. Vi è un unico mezzo di trasporto.
2. Che lo spazio sia isotropico ad eccezione della posizione nota di mp, lavoro e del
mercato.
3. Che i costi del lavoro, del capitale e dei terreni siano identici nelle varie località.
4. Che l'imprenditore agisca razionalmente e con perfetta conoscenza.
Teoria di Weber (2)
Nel modello weberiano, posto che:
◦
le località di approvvigionamento delle materie prime, delle fonti energetiche e della
forza lavoro siano rappresentate dai punti A1, A2, A3.
◦
la località di mercato dei prodotti, dal punto M; ed essendo noto il peso delle materie
prime e del prodotto, la posizione ottimale dell'industria sarà nel punto P in cui si ottiene il
minimo costo di trasporto, vale a dire laddove la somma dei costi del trasporto delle
materie prime e delle risorse energetiche all'industria e del costo di trasporto del prodotto
al mercato è la minima possibile.
Teoria di Weber (3)
Successivamente sono stati ammessi degli elementi di perturbazione dell'equilibrio
localizzativo weberiano, come:
1. Le caratteristiche di una o più materie prime durante il processo di lavorazione.
Distingue quindi le materie prime impiegate nel processo produttivo in: ubiquitarie,
ubicate, pure (non destinate a perdere peso durante il processo produttivo), lorde
(se perdono parte del loro peso nel corso della lavorazione);
2. il costo del lavoro variabile a seconda delle diverse località;
3. le forze di agglomerazione che tendono a ridurre i costi in determinate località (le
cosiddette economie di agglomerazione indicano i risparmi ottenuti grazie alla
concentrazione di determinate attività in un luogo o dalla loro vicinanza).
Teoria di Weber (4)
Presupponendo gli elementi di perturbazione, Weber suppone l'esistenza di:
A) fattori localizzativi, che permettono ad un'impresa che si colloca in una località un
risparmio nei costi di produzione. Possono essere:
◦ generali, se agiscono per tutte le industrie indipendentemente dal loro tipo (costo del
trasporto e del lavoro);
◦ specifici, se agiscono solo per alcune industrie;
◦ regionali, quelli che attraggono l'impresa in una regione specifica;
◦ naturali, tecnici, sociali e culturali.
B) Fattori agglomerativi, che permettono alle imprese che accentrano le loro attività in uno
stesso luogo dei risparmi nei costi di produzione e sono:
◦ interni all'industria (tecnici, organizzativi, di mercato);
◦ esterni, come i differenziali nei costi di trasporti; i divari nel costo del lavoro; la
prossimità con strutture commerciali ed urbane.
Teoria di Weber (5)
Weber classifica le industrie a seconda che la produzione sia orientata verso:
- le materie prime. Le industrie che impiegano nel processo produttivo una grande
quantità di materie prime dal costo di trasporto oneroso e che attuano un processo
produttivo con rilevanti scarti di lavorazione tendono a localizzarsi presso i
giacimenti o nei luoghi d'arrivo dei materiali lavorati;
- le fonti d'energia. Le industrie grandi consumatrici d'energia mirano a localizzarsi nei
pressi delle fonti energetiche;
- il mercato dei prodotti. Le industrie che impiegano materiali ubiquitari e producono
beni di consumo finali;
- il mercato del lavoro. Le imprese labour intensive che impiegano manodopera
abbondante e qualificata (presenti nelle città).
Il mutamento tecnologico
Il progresso tecnico diventa la causa prevalente della rapidissima accelerazione dei
mutamenti economici e sociali
tenuto conto che l'impresa si afferma come un istituto destinato a durare nel tempo, a
sopravvivere, ma non in condizioni statiche, né cristallizzate in un equilibrio stazionario e
ripetitivo.
L'impresa non si limita più a registrare e subire i mutamenti e gli stimoli provenienti dal
mercato, ma adesso impone i suoi prodotti al consumatore, attraverso il marchio,
l'organizzazione del mercato, la pubblicità.
D'altro canto, i continui aumenti del prezzo delle materie prime, verificatisi soprattutto
dall'inizio degli anni '70 del Novecento, hanno reso necessario per il sistema produttivo
mondiale la ricerca di soluzioni strutturali.
Gli aspetti della competizione tra le imprese sono: la qualità del prodotto, il sostenimento
di oneri pubblicitari, l'efficienza dell'azione vendita e dei servizi di assistenza tecnica a
clienti e l'innovazione.
Il mutamento tecnologico (2)
Schumpeter considera come innovazione un cambiamento nella funzione della produzione
che può discendere:
a) dalla produzione di un nuovo bene o da una nuova qualità di un certo bene;
b) dalla introduzione di un nuovo metodo di produzione sconosciuto all'industria;
c)dalla scoperta di un nuovo mercato per l'industria;
d) dalla conquista ex novo di una nuova fonte di materie prime o di materie
semilavorate;
e) dall'attuazione di una nuova organizzazione (come la creazione di un monopolio o
la sua distruzione).
A monte di tutto questo c'è il momento creativo che fa capo all'imprenditore.
II mutamento tecnologico (3)
L'innovazione si può distinguere tra:
a. innovazione di mercato;
b. innovazione produttiva;
c. innovazione organizzativa (ripartizione delle funzioni aziendali tra organi);
d. innovazione finanziaria.
Se l'innovazione dipende dal progresso tecnico, perché incorpora più o meno un
avanzamento tecnologico nell'attività aziendale si definisce tecnologica.
Le innovazioni tecnologiche possono essere di processo (se riguardano i cicli produttivi) o
di prodotto (se riguardano trasformazioni sostanziali
del prodotto).
Il mutamento tecnologico (4)
Le cause determinanti dell'innovazione possono essere sintetizzate in due note teorie:
1. Negli anni '50 si riteneva che l'innovazione tecnologica fosse un processo lineare che
partiva da una scoperta scientifica, continuava con la R&S industriale, la produzione e la
commercializzazione.
Cosiddetta teoria della technological push (Schumpeter e Rosenberg): le scoperte nella
ricerca di base inducono sviluppi tecnologici industriali che si tramutano in nuovi processi
e prodotti.
2. quella della demand pull di Jacop Schmookler nel 1966 (cosiddetto effetto traino della
domanda di tecnologia scaturita dalle imprese concorrenti nello stesso settore). È la
domanda a determinare la direzione e la dimensione dell'attività innovativa. Egli sostiene
l'elevata correlazione tra la produzione di beni e il numero di invenzioni riguardanti gli
stessi beni, con il ruolo predominante del primo elemento.
Il mutamento tecnologico (5)
Due teorie sui processi di diffusione dell'innovazione:
a. l'innovazione introdotta in un sistema di imprese territorialmente delimitato si diffonde
per contiguità alle imprese ubicate nei luoghi confinanti;
b. la diffusione dell'innovazione avanza secondo gerarchie territoriali dalle aree centrali
(metropolitane, considerate sede di impulsi di innova-zione) alle aree periferiche, alle
aree marginali.
Il mutamento tecnologico (6)
La teoria delle onde di Kondratiev
può fornire una interpretazione tanto
delle fasi ricorrenti di espansione e
declino dell'economia internazionale,
in virtù delle innovazioni
tecnologiche che con cadenza sono
applicate ai processi industriali e di
prodotto, quanto ai luoghi di
diffusione delle innovazioni e di
concentrazione delle imprese.
Il mutamento tecnologico (7)
*lo sviluppo regionale veniva considerato come una conseguenza del potere economico e
degli obiettivi strategici della grande impresa, che contribuiva a distribuire le fasi della
produzione e la specializzazione dei lavoratori tra più stabilimenti. Il ruolo della grande
impresa, intesa come industria con un processo produttivo articolato, è attentamente
preso in considerazione dallo studioso François Perroux negli anni '50 del secolo scorso
•
•
•
La teoria del Perroux divenne un modello per le politiche di sviluppo regionale e
venne applicata indiscriminatamente in tutto il mondo industrializzato e
soprattutto negli Stati più sviluppati, nell'intento di sanare gli squilibri territoriali
con l'innesto di nuove attività industriali.
la grande industria fordista cresceva internalizzando tutte le fasi del processo di
produzione per realizzare beni standardizzati rivolti ai consumi di massa.
l'intervento di politica economica nel Mezzogiorno fu chiaramente ispirato dalle
teorie keinesiane (Perroux ne è un'applicazione).
Il mutamento tecnologico (8)
Implicitamente Perroux, al contrario di quanto avevano teorizzato in precedenza gli
economisti classici e neoclassici, prevedeva che le imprese industriali motrici potessero
dar vita a crescenti squilibri territoriali. Un processo di crescita cumulativo nel quale veniva
negato un ruolo al territorio, che figurava semplice spettatore delle vicende delle imprese e
della loro crescita (in fig. Industrializzazione nel Sud)
Il mutamento tecnologico (10)
A posteriori, sono stati attribuiti al modello di Perroux questi effetti:
◦ il drenaggio di forza lavoro;
◦ il consumo indiscriminato di ambiente;
◦ la progressiva sostituzione della mo con processi automatizzati;
◦ la localizzazione di imprese esogene (capitale esterno anche appartenente ad un
altro Stato) nelle regioni depresse a scapito delle imprese endogene;
◦ i profitti delle imprese (solitamente non vengono reinvestiti nei poli di produzione),
endogene (capitale interno) ed esogene, non necessariamente sono reinvestiti nel
polo;
◦ non sempre si generano economie esterne.
Il mutamento tecnologico (11)
Myrdal (1944) ha sostenuto la tesi che in alcune regioni si autoalimentino processi di
crescita economica con effetti moltiplicativi che divaricano ulteriormente le differenze tra
aree sviluppate e aree depresse.
Le fasi della teoria myrdaliana:
◦ iniziale localizzazione di una nuova impresa
◦ crescita dell'occupazione in quel settore,
◦ la qualificazione di quella manodopera,
◦ la crescita dei servizi connessi,
◦ i nuovi insediamenti di imprese che operano in settori indotti,
◦ lo sviluppo delle infrastrutture a servizio delle imprese e quindi la creazione di
economie esterne.
◦ Economie che attraggono nuove altre imprese che si affiancano alla prima impresa,
secondo un modello di causazione circolare cumulativa che prescinde dalle reali
potenzialità territoriali.
Il mutamento tecnologico (12)
Il modello di Friedmann teorizza l'esistenza di un centro e di una periferia
necessariamente dipendente dal primo, nel senso che questi non potrebbe esistere senza
lo sfruttamento della periferia.
Lo spazio è animato dalla dialettica tra uno spazio urbano organizzato e interdipendente e
uno spazio periferico sottosviluppato e disarticolato.
L'organizzazione degli spazi è speculare al livello di sviluppo economico secondo un
modello che prevede l'attraversamento di quattro stadi:
Le fasi del modello di Fiedmann (13)
a) nella prima fase preindustriale la struttura economica è tradizionale e si fonda sullo
sfruttamento delle risorse naturali locali. A questa condizione economica corrisponde un
generale equilibrio di centri urbani non particolarmente sviluppati e collegati tra di loro
b) nella fase successiva, una città-centro si sviluppa grazie a processi di
industrializzazione incipiente, che in uno schema myrdaliano gli permettono di accumulare
capitali, attrarre manodopera qualificata e imprese a scapito di una vasta periferia
c) nella fase della maturità industriale che caratterizza la città-centro con la produzione di
beni di massa, emergono dalla periferia altre città che contendono alla prima l'attrazione di
investimenti e di imprese. In questa fase si esplicano eventuali politiche di sviluppo
regionale con l'obiettivo di riequilibrare le distanze tra il centro e le periferie.
d)
nell'ultima fase, lo spazio
regionale/nazionale è
caratterizzato da centri
urbani
funzionalmente
interdipendenti in quanto alla città che si è sviluppata per prima si sono connesse le altre
città. Rapporti
gerarchici tra le città
regolano anche
la distribuzione degli
investimenti e
l'attrazione di forza
lavoro,
distribuita nello spazio
per
qualificazione.
La scoperta del territorio (1)
Negli anni 1969- 73 per mantenere elevata la competitività delle industrie italiane e
sostenerne le esportazioni, gravate dall'aumento del prezzo delle risorse energetiche
(soprattutto del petrolio) e della manodopera (a seguito delle lotte sindacali del 1969), si
ristrutturò l'apparato industriale attraverso la pratica del decentramento produttivo, con una
razionalizzazione all'esterno della fabbrica.
Negli stabilimenti originari si conservarono i processi fondamentali mentre le fasi
intermedie vennero trasferite a fabbriche di piccole e piccolissime dimensioni
Il decentramento produttivo comportò anche una modificazione dell'assetto territoriale
dell'industria in Italia. Infatti, il declino della grande impresa avvenne tanto al Nord quanto
al Sud.
I sistemi produttivi dell'Italia Centro-orientale, apertamente diretti alle esportazioni e quasi
del tutto privi di legami con imprese maggiori, costituirono territorialmente "una terza
Italia", distinta dal vecchio triangolo industriale e dal sistema produttivo meridionale.
La scoperta del territorio (2)
Il successo di questi apparati produttivi, d'altra parte, non è spiegabile con le teorie
classiche sulla diffusione dell'innovazione, quanto piuttosto con la presenza di
discriminanti/caratteri locali, vale a dire le specificità culturali, sociali ed economiche che in
alcune aree permettono l'emergere di nuova imprenditorialità e di nuovi modelli di
industrializzazione (p.97)
Queste discriminanti costituiscono un capitale territoriale a disposizione delle imprese che,
a loro volta, lo rendono ancor più ricco con le loro attività. Il core business della produzione
industriale è così passato dalle materie prime dell'epoca preindustriale al capitale
dell'epoca industriale, alla conoscenza dell'epoca postindustriale.
I sistemi produttivi dell'Italia Centro-orientale costituirono territorialmente una terza Italia
(Bagnasco)
La produzione contiene sempre più una componente soft, sia in termini di relazioni
industriali e istituzionali contestualizzate, sia in termini di innovazioni continue nel modo di
produrre, originando una forte domanda di servizi per la produzione destinata alle imprese
terziarie.
La scoperta del territorio (3)
La caratteristica delle nuove professionalità, quale nuovo strumento di competizione delle
imprese produttive, è quindi l'informazione. Tuttavia, poiché l'informazione giunge alle
imprese sotto molteplici forme, essenzialmente come un "rumore", è compito precipuo
dell'impresa competitiva decodificarlo e trarre la notizia utile.
Questa concentrazione di imprese di terziario trova adeguata accoglienza negli spazi
urbanizzati. Tuttavia, se apparentemente sembrerebbe giovare di più alle imprese
concentrarsi nelle città, col passare del tempo, durante gli anni '90, sono proprio le
tecnologie delle telecomunicazioni e della telematica che non rendono necessaria la
vicinanza delle imprese ai "fattori discreti".
In quel periodo si verificò un mutamento epocale nella struttura dell'economia e della
società causato da:
• l'innovazione tecnologica e la segmentazione del processo produttivo;
• il decentramento produttivo e delocalizzazione;
• il trasferimento del rischio d'impresa da grandi alle pmi;
• il minore costo dei lavoratori nelle pmi, perché privi di garanzie sindacali.
La scoperta del territorio (4)
Le grandi imprese e soprattutto le piccole e medie ricercano nel territorio quei servizi e
quelle attività vitali per la loro stessa sopravvivenza: consulenze legali, fiscali e direzionali,
marketing e ricerche di mercato, vendita e assistenza post-vendita, manutenzione del
prodotto, design industriale e altri ancora.
Un territorio ricco della presenza di studi professionali e imprese del terziario (avanzato o
quaternario) offre un patrimonio di opportunità e attrattive maggiori all'insediamento di
imprese industriali rispetto a territori che ne sono sprovvisti.
Una vera e propria rivoluzione dell'economia e della società a livello internazionale si è
verificata con il fenomeno della terziarizzazione dell'economia: rivoluzione che ha
condizionato il futuro delle relazioni economiche.
La terziarizzazione (5)
La terziarizzazione in senso stretto indica la crescita di popolazione terziaria
nell'economia, in senso più esteso indica una terziarizzazione dell'industria ed anche
dell'agricoltura.
All'interno dell'industria cresce il numero di addetti destinati a quei servizi funzionali
all'efficienza delle produzioni, della vendita e dell'assistenza ai clienti, perché muta il modo
di produrre. Si afferma nelle grandi imprese la modalità di produzione just in time.
Nuovo slancio allo sviluppo locale può derivare da due diversi - ma interagenti - modelli di
riorganizzazione territoriale delle attività economiche:
l'uno disposto presso i centri di produzione dell'innovazione (A),
l'altro presso i centri di valorizzazione del saper fare delle comunità locali (B).
A)L' organizzazione territoriale delle imprese innovative
La capacità innovativa di una data area deriva principalmente dalle sinergie positive tra
attività industriali, scientifiche, del terziario, culturali e formative
Sono indispensabili politiche terr. che rafforzino la domanda e che istaurino comportamenti
di collaborazione e di cooperazione e sinergie creative tra strutture pubbliche, università e
imprese private, in modo da rendere possibile l'afflusso e lo scambio di informazioni.
Almeno quattro aspetti incidono in modo rilevante sulla nascita e lo sviluppo delle
relazioni che intercorrono tra i diversi attori delle aree scientifico-tecnologiche:
◦ l'aspetto organizzativo, vale a dire l'insieme delle relazioni tra imprese, università,
laboratori di ricerca pubblici e privati, enti locali, banche, ecc;
◦ l'aspetto residenziale e sociale, non tralasciando quegli aspetti propriamente
speculativi legati al mercato immobiliare;
◦ gli aspetti tecnologici e quindi la vocazione, oltre al trasferimento tec.;
◦ l’aspetto finanziario vale a dire i canali di finanziamento attivati.
Cosa sono i parchi scientifici?
(Science and technology park-STP secondo EU)
• I parchi scientifici e tecnologici (STP) sono strumenti molto comuni utilizzati dalle autorità
regionali e nazionali per lo sviluppo regionale.
Il loro obiettivo principale è promuovere poli di crescita basati sulla scienza per stimolare la
diversificazione economica lontano dalle industrie in declino.
Oggi, gli STP sono presenti in molte regioni europee. Concentrano una vasta gamma di
aziende e organizzazioni di ricerca innovative e, di conseguenza, l'intensità della
conoscenza complessiva di questi luoghi è molto elevata.
Cinque elementi chiave caratterizzano gli STP:
◦ Un obiettivo di sviluppo economico localizzato;
◦ Un focus sulla promozione delle relazioni scienza-industria;
◦ Una priorità riservata alle attività innovative e basate sulla tecnologia;
◦ La fornitura di servizi a valore aggiunto alle imprese;
◦ Un'iniziativa basata sulla proprietà.
La valorizzazione del saper fare delle comunità locali-2
Questo modello di sviluppo trova i suoi presupposti nel declino delle grandi concentrazioni
urbane e produttive e nell'emergere di nuove realtà industriali nelle aree periferiche che
adottano strategie "autocentrate", fondate sull'attivazione di tutti quei fattori economici,
sociali, culturali, istituzionali ed ambientali che concorrono a definire i potenziali endogeni
regionali
In tale contesto il ruolo delle istituzioni non è soltanto quello di creare un efficiente sistema
di infrastrutture e di servizi, ma anche quello di alimentare un clima favorevole alla
collaborazione tra gli organi pubblici e le imprese e di stimolare tra queste forme di
competizione e di imitazione.
Dalla globalizzazione ... alla dimensione locale
Le modificazioni nelle relazioni economiche e nella struttura della società a fronte di un
minore ruolo delle istituzioni, soprattutto di quelle statali, hanno inevitabilmente
riconfigurato:
◦
I flussi commerciali
◦
i consumi
◦
le abitudini
◦
i movimenti di capitale
Questa nuova configurazione investe luoghi ignorati in precedenza dai sentieri dello
sviluppo e, viceversa, spinge al declino (alla perifericità)
territori caratterizzati da un'industrializzazione matura e da una scarsa propensione ad
innovare.
Dalla globalizzazione ... alla dimensione locale (2)
La struttura dello spazio delle nuove relazioni è formalmente globale perché interessa
tutto il pianeta, ad eccezione di ampie aree nel continente africano e di quello asiatico,
grazie ad alcune condizioni determinate dall'affermarsi del nuovo ciclo del capitalismo:
◦
La liberalizzazione del commercio
◦
le innovazioni tecnologiche
◦
la riduzione del costo del lavoro
◦
l'aumento dei consumi individuali
La forte crescita delle attività terziarie nei decenni passati ha dato vita ad un sistema
reticolare di imprese e di attività umane professionali che innervano la struttura economica
dei paesi avanzati, riducendo il peso delle attività industriali e materiali in genere, che
vengono decentrate in spazi periferici e marginali. Questa spinta al decentramento ha
ulteriormente contribuito a ridare forza alla dimensione locale della produzione.
Dalla globalizzazione ... alla dimensione locale (3)
La dimensione globale è strutturata come un fitto reticolo, il cui singolo nodo è a sua volta
costituito da un altro reticolo, attivo nella dimensione nazionale, e i nodi di quest'ultimo
reticolo sono a loro volta radicati nella dimensione locale con un ricco patrimonio di
relazioni economiche, sociali, storiche e culturali.
Dalla globalizzazione. ... alla dimensione locale (4)
II "paradigma reticolare", a cui si ricorre per chiarire la dialettica locale/globale, aiuta quindi
a comprendere la struttura delle interconnessioni tra punti diversi dello spazio,
rappresentate da nodi (imprese e/o luoghi) e da flussi (di beni, persone informazioni), che
possono avere carattere paritario (sub a) oppure di gerarchia (sub b)
Nei paesi avanzati le relazioni che si instaurano tra i nodi sono prevalentemente di tipo
interconnesso. Risulta comunque evidente che queste relazioni sono caratterizzate dalla
«transcalarità»
Schematizzano rapporti fra territori che riflette una gerarchia fra città, centri ecc..
una struttura gerarchica (figura b)
una struttura interconnessa dove i diversi centri dialogano direttamente con i centri più
importanti (figura a)
Dalla globalizzazione .. alla dimensione locale (5)
Le fattispecie di imprese che operano su scala internazionale:
◦
l'impresa internazionale (che attua il decentramento di attività produttive gestite da
una propria sezione internazionale),
◦
l'impresa multinazionale (che attua il decentramento di attività produttive ma
mantiene la centralizzazione delle decisioni nella casa
madre d'origine),
◦
l'impresa transnazionale (sviluppa attività produttive internazionali in linea con la
proprietà e le attività decisionali internazionali)
Tuttavia, il modello dello sviluppo endogeno territoriale è diventato egemone, dimostrando
che non solo è più resistente alla crisi internazionale ma può anche diventare una
formidabile arma nelle mani delle forze politiche locali per accampare le loro pretese di
autonomia politica e istituzionale.
Dalla globalizzazione ... al sistema locale (1)
La globalizzazione ha fatto emergere molteplici realtà territoriali, sottolineandone la
capacità organizzativa e di reazione di fronte ai cambiamenti, alle trasformazioni anche
repentine a cui soggiace il sistema internazionale. Trasformazioni che valideranno
l'identità del sistema territoriale, esaltando i caratteri locali.
L' approccio sistemico studia la capacità di autoorganizzazione degli attori locali e quindi
anche i processi posti alla base della formazione delle relazioni. L'attenzione degli studiosi
e dei pianificatori si è spostata dalla definizione dell'unità territoriale e dei fenomeni che la
riguardano ai processi che consentono di interpretare le trasformazioni e, quindi, la
direzione del cambiamento, ineluttabile ma governabile.
La teoria generale dei sistemi (1968) di Von Bertalanffy (biologo), a cui si sono ispirate le
scienze fisiche e quelle sociali, come l'economia e la geografia, riconosce un sistema in
una pluralità di elementi che mediante processi condivisi e auto-organizzati (un "progetto"
secondo Luhmann) conseguano obiettivi comuni in un contesto dinamico.
Dalla
globalizzazione ... al sistema locale (2)
Lo stesso paradigma sistemico fornisce essenziali punti di riferimento alle politiche di
sviluppo territoriale intraprese negli ultimi vent'anni:
◦
Distretti industriali, previsti dal legislatore italiano con la L. 317/1991
◦
i distretti rurali, ma già reinterpretati secondo la normativa italiana come «sistemi
produttivi locali caratterizzati da un'identità storica e territoriale omogenea derivante
dall'integrazione fra attività agricole ed altre attività locali, nonché dalla produzione di beni
o servizi di particolare specificità, coerenti con le tradizioni e le vocazioni naturali e
territoriali» (decreto legislativo n. 228/2001).
◦
distretto alle attività agrituristiche.
◦
sistemi turistici locali secondo la legge quadro 135 del 2001.
Omogeneizzazione dello sviluppo (1)
si assiste in Italia all'applicazione del modello distrettuale prima e di sviluppo sistemico poi
esteso ad attività assai diverse (industria, agricoltura, turismo, per non dire dei distretti
culturali), istituzionalizzando i processi interattivi transcalari tra attori secondo modalità
preordinate, a prescindere dall'esistenza di discriminanti locali e del potenziale territoriale
endogeno.
Le politiche economiche delle maggiori istituzioni internazionali, Banca Mondiale, Fondo
Monetario, ONU, a favore degli Stati meno sviluppati, suggeriscono e supportano azioni:
◦
per la privatizzazione delle attività e degli immobili statali,
◦
per la deregolamentazione delle attività private e per una sempre minore presenza
dello stato nel mercato,
◦
per la flessibilità sempre più spinta dell'impiego di forza lavoro,
◦
per la liberalizzazione dei commerci
Azioni riconducibili al ricco patrimonio delle best practices delle modalità dello sviluppo
locale.
Omogeneizzazione dello sviluppo (2)
Il cosiddetto "neoistituzionalismo", ridando energie e poteri alle istituzioni locali, nazionali
ed internazionali, si caratterizza proprio perché prelude alla destrutturazione dei territori a
favore dell'applicazione di modelli astratti.
La stessa Commissione Europea sostiene programmi e politiche di sviluppo per le città e
le regioni di convergenza e di coesione che spesso prescindono dalla reale esistenza di
reti di attori, di forme di partenariato e di risorse da valorizzare e che sono supinamente
accettati dagli Enti e dai protagonisti locali, pur di accaparrarsi fondi e finanziamenti.
In Italia i geografi appartenenti alla scuola torinese hanno elaborato un modello
"territorialista" dello sviluppo locale, che si sviluppa nell'ambito dell'approccio sistemico e
che potrebbe contribuire a superare gli equivoci e le perplessità scaturite dall'applicazione
istituzionalista delle politiche economiche.
Contro l'omogeneizzazione dello sviluppo (3)
I perni dell'approccio territorialista sono:
◦
◦
◦
◦
◦
Il territorio (come risorse, reti, milieu);
La territorialità (interazione tra soggetti e luoghi);
L'identità locale (definita dalla capacità di autorganizzazione);
la sostenibilità territoriale;
la governance.
La caratterizzazione del modello di territorialità è in altre parole la coesione sociale che
rende possibili processi di autorganizzazione degli attori locali intorno a progetti di sviluppo
del territorio.
La metodologia per misurare il livello di coesione interna dei Sistemi Locali Territoriali
(SLoT) tende a riconoscere un buon livello di autorganizzazione degli attori quando
vengono attivati specifici strumenti di concertazione (patti territoriali, progetti integrati
territoriali, patti territoriali per l'occupazione, programmi europei, Programmi di
riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile-Prrust, есс).
Contro l'omogeneizzazione dello sviluppo (4)
Quali fattori influenzano la localizzazione delle imprese? le politiche territoriali non solo
indirizzano la valorizzazione delle risorse del territorio (resource based managament), ma
concorrono in modo essenziale alla costruzione dell'immagine del territorio.
◦
Alle politiche si associano quindi specifiche strategie di marketing territoriale.
Secondo la teoria soddisfazione-attrattività-valore: l'attrazione generata nei confronti degli
utenti esterni e la soddisfazione offerta agli utenti interni (la collettività locale) sono
complementari in un circuito autoalimentato dal valore aggiunto prodotto, a vantaggio del
territorio e quindi degli utenti complessivamente intesi.
Omogeneizzazione dello sviluppo (1)
Si assiste in Italia all'applicazione del modello distrettuale prima e di sviluppo sistemico poi
esteso ad attività assai diverse (industria, agricoltura, turismo, per non dire dei distretti
culturali), istituzionalizzando i processi interattivi transcalari tra attori secondo modalità
preordinate, a prescindere dall'esistenza di discriminanti locali e del potenziale territoriale
endogeno.
Le politiche economiche delle maggiori istituzioni internazionali, Banca Mondiale, Fondo
Monetario, ONU, a favore degli Stati meno sviluppati, suggeriscono e supportano azioni:
◦
per la privatizzazione delle attività e degli immobili statali,
◦
per la deregolamentazione delle attività private e per una sempre minore presenza
dello stato nel mercato,
◦
per la flessibilità sempre più spinta dell'impiego di forza lavoro,
◦
per la liberalizzazione dei commerci
Azioni riconducibili al ricco patrimonio delle best practices delle modalità dello sviluppo
locale.
Omogeneizzazione dello sviluppo (2)
Il cosiddetto "neoistituzionalismo", ridando energie e poteri alle istituzioni locali, nazionali
ed internazionali, si caratterizza proprio perché prelude alla destrutturazione dei territori a
favore dell'applicazione di modelli astratti.
La stessa Commissione Europea sostiene programmi e politiche di sviluppo per le città e
le regioni di convergenza e di coesione che spesso prescindono dalla reale esistenza di
reti di attori, di forme di partenariato e di risorse da valorizzare e che sono supinamente
accettati dagli Enti e dai protagonisti locali, pur di accaparrarsi fondi e finanziamenti.
In Italia i geografi appartenenti alla scuola torinese hanno elaborato un modello
"territorialista" dello sviluppo locale, che si sviluppa nell'ambito dell'approccio sistemico e
che potrebbe contribuire a superare gli equivoci e le perplessità scaturite dall'applicazione
istituzionalista delle politiche economiche.
Contro l'omogeneizzazione dello sviluppo (3)
I perni dell'approccio territorialista sono:
◦
Il territorio (come risorse, reti, milieu)
◦
La territorialità (interazione tra soggetti e luoghi)
◦
L'identità locale (definita dalla capacità di autorganizzazione)
◦
la sostenibilità territoriale
◦
la governance
La caratterizzazione del modello di territorialità è in altre parole la coesione sociale che
rende possibili processi di autorganizzazione degli attori locali intorno a progetti di sviluppo
del territorio.
La metodologia per misurare il livello di coesione interna dei Sistemi
Locali Territoriali (SLoT) tende a riconoscere un buon livello di autorganizzazione degli
attori quando vengono attivati specifici strumenti di concertazione (patti territoriali, progetti
integrati territoriali, patti territoriali per l'occupazione, programmi europei,
Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile-Prrust, ecc)
Lo sviluppo declinato (1)
ll nuovo millennio si è presentato all'umanità con due importanti crisi economiche. La
prima è stata innescata dalla scintilla terroristica che dopo l'attentato a New York dell'11
settembre 2001, la seconda ha avuto inizio nel 2007 con lo scoppio della bolla immobiliare
negli Stati Uniti d'America, a seguito del quale il clima di incertezza si è esteso
all'economia finanziaria e a quella della produzione (IlI crisi 2020).
I tradizionali modelli di sviluppo sono superati e insufficienti a spiegare le nuove
dinamiche in atto, In quest'ottica emerge il concetto di "sviluppo declinato", nel senso che
si sono ridotti i modelli interpretativi dello sviluppo perché è maturata la consapevolezza
che lo sviluppo è singolare, unico e irripetibile a livello territoriale.
È stato superato in tal modo il modello distrettuale per approdare al concetto più semplice
di cluster di imprese, inteso come concentrazione di imprese nel territorio operanti nella
stessa filiera produttiva e in settori funzionali ad essa, comprendendo organismi pubblici e
privati che svolgono la loro attività istituzionale nella medesima filiera produttiva.
Cluster
◦
un'agglomerazione geografica di imprese interconnesse, fornitori
◦
specializzati, imprese di servizi, imprese in settori collegati e organizzazioni associate
che operano tutti in un particolare campo, e caratterizzata dalla contemporanea presenza
di competizione e cooperazione tra imprese.
◦
Il cluster si distingue per la sua fitta e articolata rete di relazioni industriali,
commerciali e di servizi che legano tutti i soggetti che ne fanno parte, relazioni tra persone
intessute in un favorevole contesto istituzionale e sociale.
◦
Il cluster deve la sua forza all'efficienza collettiva, ossia al vantaggio competitivo che
deriva dalla presenza di economie esterne locali e di azioni congiunte
◦
Nel cluster si può riscontrare anche il decentramento produttivo da una grande
impresa a tante pmi.
◦
Il distretto è una particolare forma circoscritta di cluster.
◦
Nel cluster esistono anche interconnessioni con le istituzioni.
Sviluppo declinato e scoperta del territorio
Queste relazioni sono in grado di creare un patrimonio di conoscenze, di idee, di
opportunità e quindi di risorse umane qualificate accessibili a tutti i componenti il cluster.
Da quanto esposto emerge il ruolo strategico del territorio che accoglie e avvicina gli attori,
sostenendo dapprima il processo di apprendimento collettivo, conseguente alle interazioni
tra le imprese e tra queste e gli altri attori locali, e successivamente agevolando la
diffusione delle conoscenze.
→ quali fattori contestualizzati attraggono le imprese in una data area?
◦ Paul Krugman (1991 e 2011) sottolinea la forza delle economie di scala e di
agglomerazione per accrescere la competitività delle imprese nel contesto degli
scambi internazionali.
◦ gli economisti aziendali hanno ripensato all'organizzazione aziendale strutturata
secondo il modello di sistema aperto.
sviluppo declinato e scoperta del territorio (2)
Nuove discontinuità preoccupano le imprese, costrette a fronteggiarle mettendo in campo
tanto innovazioni relative all'organizzazione interna e sperimentando una nuova capacità
di adattamento/sfruttamento delle risorse territoriali:
◦
l'indebolimento dei principi democratici e il rafforzamento dell'etica del guadagno e
del denaro in un contesto globale (benefici per le grandi i.)
◦
l'affermazione di una nuova etica ambientalista nelle imprese
- l'avanzata di un capitalismo foriero di uno spregiudicato liberismo, che richiede un
recupero del senso dello Stato
- è cresciuto a dismisura l'individualismo e la governance locale, ma manca uno slancio
verso un impegno collettivo e solidale e, soprattutto c'è un'insufficienza di leadership
globale .
Il sistema di vasi comunicanti in cui viviamo ci ha insegnato che non esiste un'unica via
allo sviluppo ma che, al contrario, la crescita e il benessere di una comunità vanno
ricercati in luoghi e in modi assai differenti, cioè "vanno declinati" in diverse e molteplici
applicazioni.
sviluppo declinato e scoperta del territorio (3)
In altre parole, le risposte possono essere cercate nel ricco patrimonio territoriale che
nella sua complessità può fornire le soluzioni ai problemi che l'uomo stesso ha contribuito
a porre.
Perché il territorio è il prodotto sociale, la rappresentazione delle relazioni e delle attività
degli uomini e delle organizzazioni economiche.
Lo spazio è conteso dall'urbanizzazione, dall'agricoltura, dall'industria del turismo e dalle
infrastrutture; quindi, è diventato una risorsa sempre più rara e irriproducibile nonostante le
nuove tecnologie abbiano tentato di sminuirne il ruolo e le potenzialità.
→ Non si può interpretare come sviluppo tutto ciò che semplicemente produca profitti
alle imprese, anche a costo di devastare il territorio.
La competitività dei territori urbanizzati si misura mediante la disponibilità di:
◦ relazioni intessute tra gli attori, locali ed extra locali, pubblici e privati;
◦ servizi pubblici e privati, banali e avanzati;
◦ trasporti e logistica.
sviluppo declinato e scoperta del territorio (4)
~ Un sistema territoriale per raggiungere elevati livelli organizzativi richiede tempi lunghi e
opportune politiche culturali che rafforzino l'identità territoriale e incrementino nella
comunità locale la fiducia nel conseguimento di obiettivi condivisi.
Per la competitività dei sistemi territoriali è inoltre indispensabile essere riconoscibili nella
dimensione globale, nel senso che è vitale conoscere chi fa che cosa e come lo fa.
L'economia locale garantisce un valore aggiunto alle imprese e agli operatori economici
quando è collegata ad un marchio.
Le strategie di marketing sono lo strumento delle politiche di sviluppo territoriale in grado
di veicolare una immagine vincente di un territorio delle imprese che vi sono radicate.
L'impresa è l'espressione del luogo, inteso come insieme di attributi territoriali,
demografici, culturali, sociali, istituzionali, economici. Così come un luogo può essere
considerato espressione di una specifica attività produttiva oltre che della collettività
locale.
Geografia urbana
Gli studi di Geografia Urbana si rivolgono tanto alle problematiche della città intesa come
insediamento fisico agglomerato (urbs) quanto a quelle che la riguardano come sistema di
relazioni socioeconomiche immateriali (civitas).
Il loro campo di indagine, inoltre, non si esaurisce all'interno del territorio urbano, ma si
estende ai rapporti che la città sviluppa alle diverse scale territoriali (locale, regionale,
nazionale e globale), dando vita a sistemi urbani e reti di città.
Un punto di svolta fondamentale di questo ramo della geografia è stato segnato, nella
metà del secolo scorso, dal tramonto delle metodologie descrittive e dall'affermazione di
quelle esplicative e dell'analisi funzionale, che hanno aperto la strada ad una Geografia
Urbana moderna. Quest'approccio è superato dal postmoderno.
Oggi si studiano nuove variabili di carattere culturale, sociale, ecologico-ambientale ed
istituzionale, volte a sottolineare il ruolo delle identità e del milieu urbano, dei rapporti
sociali e dei relativi interessi, delle governance urbane, delle differenze e delle
disuguaglianze.
Processi storici e dinamiche urbane
La città è un organismo complesso perché essa è una proiezione della società, con la sua
cultura e le istituzioni, i suoi valori, le sue basi economiche ed i rapporti sociali.
Essa contribuisce ad organizzare il territorio e ad orientarne i cambiamenti, poiché è
all'interno della città che vengono elaborate le fondamentali decisioni che lo riguardano.
La rottura provocata dalla rivoluzione industriale, avviata in Inghilterra nel XVIII secolo, e
dai vistosi fenomeni produttivi, socioeconomici e demografici che l'hanno accompagnata
lungo il XIX e XX secolo, si riflette pesantemente sulla città.
L'irrompere dell'economia nelle funzioni vitali di una città ha severamente ridisegnato gli
equilibri tra classi sociali e gli spazi urbani.
Si può distinguere la città preindustriale da quella industriale (o moderna), per approdare
alla spiegazione dei complessi fenomeni che hanno aperto la strada alla città
contemporanea o postindustriale o postmoderna.
Processi storici e dinamiche urbane
L'emergere di una nuova classe borghese, prima mercantile poi industriale e oggi dei
servizi, ha profondamente trasformato di spazi urbani cambiandone i simboli.
Prima la chiesa, il palazzo comunale, il palazzo nobiliare e i gli accampamenti dei militari
delimitavano i simboli della città, poi si sono aggiunti industrie e servizi che hanno scalzato
i simboli del potere politico, oggi l'architettura moderna simboleggia spesso i nuovi poteri
economici (come la sede del New York Times progettata da Renzo Piano, o la maison di
Armani a Tokio).
I nuovi attori economici piegano (talvolta corrompendolo) il potere politico (si veda come
molti candidati a sindaco, a presidente del consiglio in Italia, a presidente degli USA siano
imprenditori).
La città preindustriale
La nascita delle città viene collegata dagli storici alla diffusione dell'irrigazione e delle
tecniche agricole, con la conseguente intensificazione dell'agricoltura, l'abbandono del
nomadismo, la concentrazione della popolazione, lo sviluppo di forme di organizzazione
sociale capaci di gestire la produzione agricola e lo scambio dei suoi prodotti.
Le prime civiltà urbane vengono collocate all'incirca nel IV millennio a.C (Babilonia, di
Roma e di Bisanzio): fondate sull'equilibrio tra il modo di vivere e di produrre e le leggi
divine, i miti e le credenze religiose. Ma rispondevano anche fini politici, sociali, economici,
militari e, con le loro piante ortogonali, incentrate su cardi e decumani, e l'articolazione
interna per funzioni mostravano un'organizzazione urbana improntata alla funzionalità ed
alla razionalità.
L'espansione della civiltà greca e romana si associava alla fondazione di nuove città, le
quali pur assumendo valori simbolici, culturali e religiosi erano essenzialmente strumento
di popolamento, di controllo e di organizzazione dei territori.
La città preindustriale (2)
Le città feudali del Medioevo difese da mura, torri e castelli erano di dimensioni modeste,
superando raramente i 10 mila abitanti, e davano vita ad un'economia agricola ed
artigianale chiusa.
Tra l'VIII e il XI secolo l'urbanizzazione fu anche sostenuta dallo sviluppo della civiltà
arabo-mussulmana: la città islamica, la medina, pur sovrapponendosi a precedenti
insediamenti ed acquisendone elementi specifici, presenta caratteri comuni, come il suo
carattere monocentrico, evidenziato dalla centralità della Moschea e del Bazar, mentre
quelle medioevali dell'Occidente mostrano un'evidente separazione tra i simboli del potere
politico e di quello religioso.
Una nuova fase dell'urbanizzazione, basata sul capitalismo mercantile, soppianterà
gradualmente l'egemonia feudale. Dall'Italia alle Fiandre, dal Reno alla Loira e al Rodano,
dalla Germania meridionale al Baltico e all'Inghilterra, città come Venezia, Bologna,
Firenze, Milano, Gand, Colonia, Bruges, Parigi, Londra e York, guidate da comunità
borghesi diventarono i nuovi centri della vita economica, a cui si associavano sempre più
spesso anche funzioni culturali e politico-amministrativo.
La città preindustriale (3)
In Italia sin dal XII secolo cominciò a divenire sempre più evidente la divaricazione tra le
città del centro-nord, dove fioriva la civiltà comunale, sostenuta dalla nuova borghesia
mercantile, e quelle meridionali ed insulari. Queste ultime, infatti, sotto la dominazione
Normanno-Sveva subivano la supremazia di capitali accentratrici, come Napoli e Palermo
Dal XIV secolo un nuovo forte impulso allo sviluppo delle città venne dalla formazione e
dal consolidamento di diversi Stati nazionali (Francia, Inghilterra Spagna, Portogallo e
Olanda) e regionali (Germania e Italia) che contribuiranno ad estendere e rafforzare il
ruolo e le funzioni di molte città europee, in particolare delle capitali, che mutarono
funzioni, forma, strutture.
Tra il XV ed il XVII secolo, la rivoluzione nei trasporti marittimi e l'espansione coloniale
europea verso l'Atlantico, il Pacifico e l'Oceano Indiano, ridimensionando il ruolo dei
commerci Mediterranei, avviò il declino delle città che ne avevano beneficiato, a cui si
contrappose il rafforzamento dei porti aperti verso l'Atlantico (Londra, Amsterdam...)
La città industriale
La città preindustriale fu sede del potere politico e nodo mercantile, centro di
redistribuzione più che di produzione delle merci v Nel XVIII secolo l'espansione coloniale,
la rivoluzione agricola, l'affermazione della borghesia mercantile annunciarono in
Inghilterra fondamentali innovazioni tecniche nella produzione che dettero inizio alla 1°
rivoluzione industriale (fine 700 ).
Nelle fasi (2° riv. da fine'800 a metà '900 e 3° riv.da metà '900) corrispondenti a particolari
modalità di organizzazione e di innovazione tecnica e produttiva e di localizzazione
territoriale dell'industria, le città diventeranno protagoniste, ma dall'organizzazione
industriale subiranno anche profonde trasformazioni.
La città industriale, che nasce e si consolida tra il XVIII e il XIX secolo, è espressione di un
nuovo sistema economico basato sulla creazione di ricchezza attraverso l'uso del capitale.
In questa città si formano nuove classi sociali, la borghesia capitalistica e il proletariato
urbano, il cui conflitto caratterizzerà le grandi città e l'offerta dei servizi sociali.
La città industriale (2)
La città preindustriale fu sede del potere politico e nodo mercantile, centro di
redistribuzione più che di produzione delle merci.
Nella città si concentrano:
◦ produttori e consumatori che alimentano il processo di urbanizzazione;
◦ Le attività e le funzioni urbane accrescono la produttività del sistema industriale,
offrendo vantaggi alla localizzazione industriale e all'integrazione orizzontale e
verticale delle imprese (economie di urbanizzazione);
◦ si creano forze di agglomerazione endogene che determinano lo sviluppo di un
rapporto reciproco tra città e industria che incoraggia la crescita cumulativa di
entrambe;
◦ si concentra la crescita economica che ne rafforza il ruolo e l'area d'influenza
nell'ambito dell'organizzazione regionale e statale, per cui forme e funzioni urbane
divengono più complesse.
La città industriale (3)
Nella prima metà del XX secolo la rivoluzione industriale aveva già alterato profondamente
i rapporti demografici tra città e campagna e tra le città, sia nei paesi europei che in quelli
nord americani.
Lo sviluppo urbano/industriale raggiungeva i suoi livelli più elevati dall'Inghilterra
meridionale alla Valle del Reno, mentre negli Stati Uniti era dilagato nella regione dei
grandi laghi, dominata dalle metropoli industriali di Chicago e Detroit, e soprattutto lungo la
costa atlantica, dove si era formata un'immensa "Megalopoli".
In Italia la concentrazione industriale e urbana si manifestò con particolare vigore nel
triangolo Milano, Torino, Genova.
La città industriale (4)
La concentrazione di attività industriali nella città genererà:
◦ la rottura degli equilibri tra le principali componenti della città, vale a dire la
popolazione, il sistema industriale, la tecnologia, l'organizzazione sociale e
l'ambiente;
◦ costi crescenti dei suoli e delle abitazioni, crollo della solidarietà sociale e aumento
dell'emarginazione, conflitti tra classi sociali e segregazione topografica di quelle
più deboli nei quartieri degradati (funzionale alle esigenze del mercato immobiliare
e di controllo politico e sociale del capitalismo dominante), diffusione della
delinquenza;
◦ ambienti e paesaggi urbani sempre più congestionati, artificiali, inquinati e meno
vivibili per cui le economie esterne di urbanizzazione tendono a trasformarsi in
diseconomie, che coinvolgono imprese e famiglie;
◦ migrazioni di imprese e attività verso quelle che diventeranno le grandi cinture
industriali suburbane (fenomeni di suburbanizzazione) e poi verso aree sempre più
lontane che, associandosi a fenomeni di decentramento demografico avvieranno
processi di disurbanizzazione.
I modelli di analisi dello spazio urbano
il tentativo di spiegare l’articolazione funzionale della città vale a dire la localizzazione
delle residenze e delle attività che si svolgono al suo interno (direzionali, commerciali,
produttive, culturali, ecc.) e la loro evoluzione ha dato vita ad alcuni fondamentali modelli
della Geografia
Urbana
◦
Il modello della rendita urbana di Alonso, che riprende la teoria di von
Thûnen, si avvale dell'impalcatura teorica dell'Economia classica, fondata sulle leggi della
domanda e dell'offerta e degli equilibri di mercato. Alonso propone uno spazio isotropico la
cui la variabile principale è rappresentata dalla distanza, che si traduce in costi di
trasporto.
◦
La maggiore vicinanza delle attività e delle residenze al Central Business District
(CBD) permetterebbe, secondo il modello, non solo di ridurre i costi di trasporto ma anche
di conseguire maggiori risparmi e ricavi, per cui persone, famiglie e imprese per una
localizzazione centrale sarebbero indotte a pagare un prezzo più elevato.
I modelli di analisi dello spazio urbano (4)
Il modello di Alonso è soggetto a molteplici adattamenti e all'introduzione di numerose altre
variabili che rendono più realistica la determinazione della Rendita e la destinazione del
suolo urbano. Una di queste è rappresentata dalle caratteristiche della rete dei trasporti,
che incidono sull'accessibilità ai luoghi privilegiati dello spazio urbano, determinando con il
crescere dell'efficienza e la diminuzione dei costi una riduzione della Rendita Urbana del
centro a vantaggio di alcune aree periferiche.
Inoltre, le diverse classi sociali hanno comportamenti differenziati in relazione alle scelte
residenziali. I ceti con reddito più elevato preferiscono quartieri residenziali con costruzioni
unifamiliari e ampie aree verdi, collocate spesso in periferia, mentre quelli a reddito
inferiore privilegiano alloggi più piccoli in quartieri centrali che consentono di risparmiare
sul costo del trasporto.
I modelli di analisi dello spazio urbano (Burgess)
Ernest Watson Burgess (scuola di C.), nel 1925, partendo da ricerche empiriche sulla città
di Chicago constatava che il territorio urbano si articolava in zone concentriche che
tendevano ad espandersi in senso radiale attorno al CBD. Questa espansione avviava una
competizione fra usi alternativi del suolo, non sempre in sintonia con la Rendita Urbana, e
dove ogni zona tendeva ad espandersi invadendo quella confinante.
I modelli di analisi dello spazio urbano (Burgess -2)
La localizzazione residenziale nel modello di Burgess veniva spiegata dalla teoria del
filtering down, secondo la quale con l'espansione urbana e il miglioramento dei trasporti (e
dell'accessibilità dell'intera area urbana) si rompe la posizione di equilibrio, in virtù della
quale i ceti benestanti vengono attratti dalle aree centrali, in funzione della più
elevata Rendita Urbana.
Infatti le famiglie a più alto reddito mostravano la propensione ad abbandonare le aree
centrali per quelle periferiche (qualitativamente migliori dal punto di vista ambientale e con
abitazioni più grandi e confortevoli), sostituite da famiglie a più basso reddito.
I modelli di analisi dello spazio urbano (Hoyt)
Sostanziali modifiche al modello di Burgess vennero proposte nel 1939 da Homer Hoyt,
che formula un modello di città che tende a strutturarsi in settori circolari a forma di cono.
La distanza da un unico centro non rappresenta il solo fattore di organizzazione dello
spazio urbano. Si creano infatti assi e direttrici privilegiate che indirizzano lo sviluppo della
città, segnati da strade e vie di comunicazione, da edilizia monumentale, da infrastrutture
I modelli di analisi urbana (Harris-Ullmann)
Più complesso la città ipotizzata dal modello di Harris e Ullmann nel 1945, che ha origine
da più nuclei centrali tendenti ad agglomerarsi. Un modello che si presta in modo
particolare allo studio di città che nel loro sviluppo hanno inglobato periferie residenziali,
aree industriali, borgate e centri preesistenti, che avviano specializzazioni funzionali e
nuovi meccanismi di rendita dando vita ad aree centrali minori, distanti dal CBD.
I modelli di analisi urbana (trade off)
La teoria del trade off ha come assunti di base una città monocentrica, un territorio urbano
privo di differenziazioni altimetriche e topografiche,
nella quale:
◦
i posti di lavoro sono localizzati tutti nel centro;
◦
esiste un sistema di trasporti radiale che non presenta squilibri e
◦
differenze di efficienza;
◦
il comportamento delle famiglie nella scelta residenziale è razionale, avvalendosi di
due parametri di riferimento, i costi della casa e quelli di trasporto tra luogo di residenza e
di lavoro;
◦
i costi del trasporto sino al luogo del lavoro crescono al crescere della distanza dal
centro della città;
◦
i costi della casa decrescono all'aumentare della distanza dal centro e crescono con
il diminuire di questa distanza.
Date queste condizioni la scelta della localizzazione residenziale da parte delle famiglie
verrà individuata in un punto di equilibrio nel quale verrà minimizzata la somma dei due
costi, di trasporto e abitazione.
I modelli di analisi urbana (trade off - 2)
Tuttavia, quest'equilibrio non sarà permanente, ma in continua evoluzione, poiché
l'aumento della velocità dei trasporti e la riduzione dei relativi costi posso divenire un
incentivo a spostarsi più lontano dal centro oppure se c'è una caduta della domanda e
quindi dei valori fondiarie e dei prezzi delle aree centrali rispetto a quelle periferiche,
determinando un'inversione di tendenza e una maggiore convenienza a spostarsi verso il
centro.
I modelli teorici della Rendita Urbana e le teorie del filtering down e del trade off sono ben
lontani dal riprodurre in tutta la loro complessità realtà e dinamiche urbane concrete,
plasmate da specificità storiche ed ambientali e da percorsi unici e irripetibili.
La trasformazione dello spazio urbano
(il ciclo di vita della città)
Il modello del ciclo di vita della città (isomorfismo scientifico dal ciclo di vita del prodotto)
pone in relazione le variazioni demografiche all'interno della città e nelle periferie esterne
con lo sviluppo economico e tecnologico.
Nel 1982 Leo Van den Berg, analizzando l'evoluzione delle città europee mise a punto il
modello del Ciclo di vita della città, nel quale venivano individuati 4 stadi successivi
dell'evoluzione demografica delle aree urbane (Urbanizzazione, Suburbanizzazione,
Disurbanizzazione e Riurbanizzazione) che furono messe in relazione alle fasi dello
sviluppo industriale e tecnologico.
Questo modello studia la Regione Urbana Funzionale vale a dire agglomerazioni formate
da una città centrale di maggiori dimensioni
(Core) e da una corona circostante (Ring) caratterizzata da un determinato tasso di
pendolarismo verso il centro.
I sistemi metropolitani
Già nel corso del 2009, più della metà della popolazione mondiale viveva nelle aree
urbane. La popolazione risiede prevalentemente nelle aree urbane soprattutto nel Nord
America (82,1%), nell'America Latina (79,6%) ed in Europa (72,8%).
I più elevati tassi di inurbamento sono quelli delle popolazioni asiatiche ed africane. Un
fenomeno sostenuto dagli elevati tassi di natalità, dal crollo dell'economia rurale e
dall'attrazione esercitata dalle grandi città.
ANTICIPO
ARGOMENTO
L'analisi dei sistemi urbani (Christaller)
Nel modello di Christaller sono imperniati i concetti di centralità, area di mercato e
gerarchia:
◦
la città (o località centrale) è dotata di centralità poiché le sue attività forniscono beni
e servizi al territorio circostante (area di mercato o di gravitazione);
◦
il livello gerarchico (ordine) di una città è funzione del numero e del livello (rango)
delle attività e dei servizi che sono presenti al suo interno
Christaller propone a base del suo modello una rappresentazione semplificata della
realtà, costituita da uno spazio astratto pianeggiante:
a) Isotropico (stesse proprietà non vi sono ostacoli)
b) nel quale vigono regole di mercato e libera concorrenza e gli acquirenti, la relativa
domanda di beni e servizi e il potere d'acquisto (reddito) si distribuiscono in maniera
uniforme;
c)servito uniformemente ed in ogni sua parte da almeno una loc.centr.
d) I soggetti economici hanno un comportamento razionale.
L'analisi dei sistemi urbani (Christaller - 2)
La quantità domandata del bene o servizio diminuisce man mano che ci si allontana dal
centro/mercato, cresce proporzionalmente il prezzo del bene che tiene conto di un costo
del trasporto crescente.
L'analisi dei sistemi urbani (Christaller – 3)
Il raggio della circonferenza che delimita l'area di mercato,
corrispondente alla distanza oltre la quale i consumatori
rinunceranno all'acquisto e i venditori non saranno più in
grado di attrarre i consumatori, viene definito portata (è la
domanda) del bene o del servizio centrale. Il raggio
dell'area di mercato che contiene il numero minimo di
consumatori la cui
Mercato
domanda consente al venditore di coprire almeno i costi e
di ottenere un minimo di profitto, assicurandogli la
sopravvivenza, viene definito soglia (è l’offerta) (la portata
non potrà essere inferiore alla soglia altrimenti la funzione
centrale non verrà attivata)
L'analisi dei sistemi urbani (Christaller - 4)
le località centrali verranno distribuite regolarmente sulla superficie ipotizzata e le loro aree
di mercato, costituite da esagoni di uguale dimensione, si disporranno in modo da coprirne
l'intera superficie, assicurando la copertura totale della domanda del bene o servizio.
L'analisi dei sistemi urbani (Christaller - 5)
Ai beni e servizi viene attribuito un rango, definito in base alla frequenza con cui vengono
acquistati beni e servizi (giornalmente, settimanalmente, mensilmente, annualmente,
ecc.).
Quelli di uso quotidiano avranno una soglia e un'area di mercato poco estese.
Al contrario, più rara sarà la domanda del bene o del servizio più estese dovranno essere
la loro soglia e le aree di mercato, in modo da poter soddisfare l'esigenza del venditore di
avere un adeguato numero di consumatori.
Quindi ai luoghi centrali viene attribuito un ordine gerarchico che dipende dal numero e dal
rango dei beni e servizi che essi sono in grado di offrire (ogni centro offre beni e servizi
relativi al suo livello gerarchico e tutti quelli di ordine inferiore).
L'analisi dei sistemi urbani
(Christaller - 6)
Il numero delle località centrali sarà
tanto minore quanto
più elevato sarà il loro ordine gerarchico: da
ciascun centro di ordine superiore
dipenderà un certo numero di centri di ordine inferiore:
organizz.gerar.
L'analisi dei sistemi urbani
L'organizzazione gerarchica prevede che su ogni centro di un dato
ordine (in particolare quelli che accolgono funzioni rare e
specializzate)
graviteranno un certo numero di centri di ordine inferiore. Cioè per
ogni centro di ordine n esistono k centri di ordine n-1.
Nel principio di mercato, la localizzazione del centro inferiore è
equidistante da una triade (3) di centri di ordine superiore, coincidenti
con il centro dell'esagono e da due vertici.
Quindi ad ogni località centrale di ordine superiore corrispondono tre
località di ordine inferiore K = 3; nella formula 1 e 6 sono
rispettivamente il centro e i vertici dell'esagono.
Il principio del trasporto è rivolto a minimizzare i costi di trasporto
tra i centri della rete.
La localizzazione del centro inferiore è equidistante da una coppia di centri di ordine
superiore: quindi in ogni area di mercato di ordine superiore esistono 1+6/2=4 centri di
ordine inferiore, quindi K = 4.
Il principio amministrativo si fonda sull'esigenza di una
razionalizzazione delle funzioni politico-amministrative e di evitare
conflitti di competenze tra centri di ordine superiore
nell'offerta delle loro funzioni ai centri di ordine inferiore (ad ogni
località ordine superiore corrisponderanno sette centri di ordine
inferiore K = 7).
I principi del trasporto e amministrativo determinano sostanziali
mutamenti nei rapporti tra località centrali e rappresentano forme di
adattamento del modello alle specificità locali. Il Christaller trova un
riscontro ai principi del suo modello nella Germania meridionale,
dove individua un'organizzazione gerarchica di sette ordini di località
centrali con le loro aree di mercato.
L'analisi dei sistemi urbani: Losch (2)
FIGURA 19. - L'organizzazione ideale dei centri di produzione e delle aree di mercato
intorno ad un centro metropolitano secondo Lösch (1954). Nella figura si alternano sei
settori radiali (più scuri) nei quali si concentra il maggior numero di località centrali (che si
collocano in gran parte lungo gli assi di comunicazione che partono dal centro
metropolitano) e altri sei con una minore densità di località.
L'analisi dei sistemi urbani: Isard
Isard considera le differenze di densità di popolazione, ignorate dagli altri studiosi,
giungendo alla conclusione che si otterrebbero oltre che variazioni di forma, aree di
mercato sempre più piccole in corrispondenza dei centri maggiori, dove si concentra la
popolazione, e aree sempre più estese nelle zone più lontane e meno popolate
Relazioni
città-regione
Regione Area Metropolitana Ipotesi di lavoro: la
differenza di livello di sviluppo fra metropoli (città con la
propria area metropolitana) e il suo hinterland regionale
(macroregione) è cresciuta come risultato dei processi di
metropolitanizzazione.
Città: unità all'interno di confini amministrativi.
Area Metropolitana: zona di diretto impatto della città
nella quale le relazioni sono forti e permanenti (area
urbana funzionale, zona interna di hinterland)
Range: zona urbana più ampia (Urban Audit)
approssimata dalla regione NUTS3 (provincia)
Regione Metropolitana: zona nella quale le relazioni sono
più deboli, ma l'area si trova sotto l'influenza della città core (macroregione, zona esterna
di hinterland)
Range: combinazione di NUTS3 confinanti.
Ipergentrificazione: Chi abita nel bosco verticale? (porta Garibaldi)
I costi si aggirano intorno ai 10.000 euro al metro quadro, che possono arrivare a punte di
15.000. Un bilocale non troppo grande costa circa 800.000 euro.
Stando a quanto riportato da alcuni quotidiani, i coinquilini sono per lo più attori, calciatori,
modelle, stilisti. Nell'elegante complesso milanese abiterebbero i calciatori dell'Inter.
Vivrebbe anche qui il rapper brasiliano Lorenzo Carvalho. Ci sarebbero poi due icone
dell'industria della moda mondiale: Diego Dolcini e Gaia Trussardi (by Cristina La Bella
27/11/2018).
L'analisi dei sistemi urbani
L'Analisi Gravitazionale rappresenta uno dei primi e più interessanti tentativi volti alla
ricerca delle regole che guidano i rapporti tra le città, dai movimenti pendolari a quelli
commerciali e allo scambio di informazioni, che danno luogo a molteplici forme di
integrazione e collaborazione. Per la misurazione di questi rapporti si ricorre
all'Interazione Spaziale.
II presupposto è che l'Interazione Spaziale segua gli stessi principi della legge della
Gravitazione Universale di Newton (isomorfismo scientifico), venga cioè incentivata da
forze di attrazione (misurate dalle dimensioni dei centri, per lo più quelle demografiche, ma
anche dalla dotazione di attività, di reddito, ecc.) e frenata dalla frizione esercitata dalla
distanza.
I ji = K(P;P;/d})
L'analisi dei rapporti tra sistemi urbani: "rank size rule"
La rank size rule considera le caratteristiche dell'intera organizzazione del sistema urbano
e si fonda sul presupposto che esista un rapporto tra la dimensione demografica di un
centro (size) e l'ordine gerarchico (rank) che questo centro occupa nell'ambito di un
sistema urbano (che dipende dal livello delle sue funzioni).
Essa, infatti, stabilisce una relazione tra la città più popolata dei sistemi urbani (città
primaziale) e tutte le altre dello stesso sistema, ordinate in modo decrescente secondo il
loro peso demografico.
O Questa relazione si esprime per mezzo di una formula:
Pr = P1/r
Nella quale: Pr è la popolazione della città di rango r; P1 una costante rappresentata dagli
abitanti della città più popolosa; r la posizione occupata dalla città nell'ambito della
graduatoria dei centri urbani del sistema esaminato. la seconda città ha una popolazione
pari a 1/2 della prima, la terza pari ad 1/3 e così via.
Se al denominatore r viene aggiunto un esponente q, con lo scopo di rendere la relazione
più flessibile e si esprime la formula in forma logaritmica si ottiene:
log Pr = log P1 - q log r.
Una funzione (del tipo y = a - bx) che per 9 = 1
verrà rappresentata in un diagramma cartesiano in scala logaritmica
(con la popolazione delle città in ordinata e il loro rango in ascissa) come
una retta inclinata di 45°. In presenza di un sistema urbano equilibrato i
valori teorici si disporranno lungo la retta.
L'analisi dei rapporti tra sistemi urbani: "rank size rule" (3)
Diversi stati e regioni presentano organizzazioni urbane nelle quali domina per dimensioni
demografiche una sola città e mancano nella graduatoria quelle di media grandezza.
In questo caso siamo di fronte al modello della città-primate, un modello che si
contrappone a quello policentrico, che presenta dimensioni demografiche delle città più
equilibrate, vicine a quelle teoriche della legge Rango/dimensione.
Esempi tipici del primo tipo sono quelli del Messico (Città del Messico) e della Thailandia
(Bangkok) e ad esso si avvicinano quelli di Francia (Parigi) e Regno Unito (Londra),
mentre tra quelli policentrici emergono Stati europei come Germania, Olanda.
L'analisi dei rapporti tra sistemi urbani: "base economica urbana"
Questo modello analizza gli specifici processi di agglomerazione che operano all'interno
delle città e che ne determinano la crescita, il livello gerarchico e le capacità di competere
nell'ambito di un sistema di città.
Distingue le funzioni urbane fra quelle che si rivolgono ad una domanda esterna e quelle
che, al contrario, sono rivolte a soddisfare i bisogni della popolazione residente. Le prime,
quelle rivolte alla domanda esterna, definite funzioni di base, vengono considerate come
quelle che incidono profondamente sul profilo economico-funzionale della città, sulla sua
specializzazione e nella divisione spaziale del lavoro.
Per contro le funzioni non di base, rivolte alla domanda interna alla città, permetterebbero
soltanto il sostentamento della popolazione urbana, senza avere particolari capacità
propulsive.
Lo sviluppo delle attività di base sarebbe in grado di generare una crescita della domanda
di servizi per l'intera area urbana con effetti di moltiplicazione dell'occupazione e della
popolazione.
I sistemi metropolitani
Già nel corso del 2009, più della metà della popolazione mondiale viveva nelle aree
urbane. La popolazione risiede prevalentemente nelle aree urbane soprattutto nel Nord
America (82,1%), nell'America Latina (79,6%) ed in Europa (72,8%).
I più elevati tassi di inurbamento sono quelli delle popolazioni asiatiche ed africane. Un
fenomeno sostenuto dagli elevati tassi di natalità, dal crollo dell'economia rurale e
dall'attrazione esercitata dalle grandi città.
I sistemi metropolitani (2)
• La conferma della grande esplosione urbana, soprattutto nei paesi asiatici, risalta
evidente da una semplice ricognizione delle città con oltre 10 milioni di abitanti, che
erano appena 4 nel 1980, sono divenute. 16 nel 2000 e attualmente sono 21, dieci
delle quali in Asia.
• L'Europa è senza dubbio il continente con il più elevato grado di urbanizzazione al
Mondo, ma si caratterizza anche per la rilevante presenza di città piccole e medie,
con una densità urbana. particolarmente elevata in corrispondenza della vasta area
compresa tra l'Inghilterra meridionale, Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Francoforte,
le cui propaggini si estendono sino all'Italia centro-settentrionale.
• La maggioranza della popolazione vive in città di dimensioni medie, nelle quali le
patologie urbane: esclusione sociale e segregazione spaziale, problemi ambientali
e di trasporto, tensioni sociali sono meno marcate che in altre aree geografiche.
• poche aree hanno più di 2 milioni di abitanti (Londra e Parigi dominano le altre città)
• la distanza tra le città europee è ridotta.
I sistemi metropolitani (2)
◦ Concentrazione, compattezza e densità sono tra le caratteristiche principali delle città
europee che, in ragione della loro origine storica, mantengono importanti funzioni
simboliche, economiche, politiche, culturali.
◦ Pur essendo investite da processi di diffusione e sub-urbanizzazione più o meno
rilevanti, la loro individualità e originalità rimane rilevante, soprattutto nelle aree
centrali, che assumono forme compatte, densamente costruite attorno strade e
piazze, spazi permeati di memorie storiche e di valori simbolici condivisi. È qui che
si concentrano gli edifici pubblici, le chiese, i monumenti, le aree per il commercio e
gli scambi e le residenze delle élite economiche, politiche e culturali, che nella
maggior parte dei casi continuano a vive re nei centri storici.
◦
Ne deriva una città compatta, con un'elevata densità abitativa, che ben si adatta ai
modelli più attuali proposti dagli urbanisti, dai sociologi e dai geografi per associare
la competitività economica all'equità sociale e alla salvaguardia dell'ambiente.
I sistemi metropolitani (3)
Questo modello europeo di città si distingue da quello nordamericano, a più bassa
densità, che si sviluppa orizzontalmente, incardinato in griglie geometriche. Modello che,
contrariamente a quanto avviene in Europa, è contrassegnato da una marcata diffusione
urbana (urban sprawl).
Si rafforzano per contro le piccole città suburbane americane, che spesso riescono a
dotarsi di autonome governance.
Pur tuttavia non si può non rilevare che da alcuni anni si manifesta un generale
riorientamento delle politiche urbane, che investe le città europee come quelle
nordamericane, volto a privilegiare la "città compatta" in ragione della sua migliore
sostenibilità.
Un modello che ha come elementi di riferimento la "rigenerazione" dei centri storici e il
miglioramento della qualità degli spazi della città, la
"densificazione" del tessuto urbano e un minor consumo di suolo, una migliore
accessibilità, la creazione di spazi utili e aggreganti e la formazione di città più complesse,
meno banali.
I sistemi metropolitani nei PVS
Queste città mostrano livelli di sviluppo tecnico, economico e sociale molto diversi tra loro,
ma hanno in comune:
◦
condizioni di dipendenza dal capitale industriale e finanziario esterno e dagli
investimenti speculativi, che impediscono la formazione di solide basi economiche;
◦
ritmi di urbanizzazione più elevati rispetto alla crescita produttiva e del reddito procapite;
◦
una migrazione dalle campagne superiore alla creazione di nuovi posti di lavoro.
L'inurbamento è causato dall'espansione delle monocolture (modalità di produzione
intensive di una sola coltura basate non sulla necessità delle popolazioni locali bensì sulle
esigenze del mercato internazionale); dalla liberalizzazione dei mercati che costringe i
contadini dei PVS ad affrontare competitori più agguerriti sostenuti da migliori tecnologie e
da sussidi pubblici; dagli effetti dell'impatto ambientale (siccità e alluvioni, ecc.) in zone
non sufficientemente attrezzate per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico.
Paesaggio
Il paesaggio è visto come bene in condizione di implementare, se non generare,
attrattività per il territorio, in quanto mette a disposizione (di imprese, di soggetti, di
comunità, ecc.) risorse materiali ed immateriali, favorisce la competitività per attrarre
investimenti, talenti, turisti o nuovi residenti, promuove processi innovativi per migliorare la
qualità della vita e per valorizzare il capitale umano e sociale.
Il paesaggio, che comprende tutto ciò che un osservatore può cogliere, è la traduzione
materiale delle relazioni che si sono sviluppate nel tempo tra un gruppo umano e il suo
ambiente.
Nell'odierna concezione il paesaggio è cultura, identità, politica, economia, sviluppo,
occupazione e produzione, aspirazione sociale. pianificazione e gestione del territorio e
quindi prassi territoriale, ma è anche tutela, salvaguardia e valorizzazione, storia e
percorso nella storia insieme: è la misura dello spessore del tempo in un luogo.
Geografia, paesaggio, economia (1)
Le recenti trasformazioni negli assetti della produzione industriale, che hanno prodotto la
dismissione di fatiscenti opifici all'interno o nelle periferie delle città, hanno di fatto
generato un vasto movimento per il recupero e la riconversione produttiva di quei siti,
comprendendone anche la riqualificazione.
È il costo dell'eliminazione di tali opere e della ristrutturazione dei profili paesaggistici e
vedutistici o degli skyline a definire il valore di quel paesaggio.
Nella convenzione adottata a Firenze nel 2000 stabilisce che il paesaggio è «una
determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere
deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni».
Inoltre, considera il paesaggio come patrimonio e come una risorsa e la sua qualità un
fattore incidente nelle attività economiche, in specie quelle connesse con lo sviluppo del
turismo.
Paesaggio secondo la geo eco (1)
" Occorre inoltre considerare l'importanza che viene oggi riservata al paesaggio nelle
politiche territoriali a livello comunitario, nazionale e regionale, anche quando non ne
prevedono un coinvolgimento diretto ma la sua tutela rappresenta un obiettivo specifico tra
le finalità che esse si prefiggono.
◦
La strategia dell'Unione Europea 2020 che punta sulla crescita sostenibile basata
sulle diversità territoriali, con allo sfondo il mantenimento della biodiversità e della qualità
del paesaggio e, sostenendo la green economy, impone necessariamente una variazione
degli assetti o dei comportamenti delle produzioni nei confronti dell'ambiente, quindi dei
paesaggi.
C'è una notevole differenza nelle modalità con cui esso si può relazionare alle diverse
filiere produttive (agricola, industriale, turistica..) e aspetti socio-economici (urbano, vuoti
urbani, ex industrie, ambiente..).
Geografia, paesaggio, economia (2)
La qualità del paesaggio crea del valore, aggiuntivo rispetto a quello
Intrinseco posseduto comunque dagli elementi territoriali che lo compongono, utilizzabile
per incrementare il reddito e promuoverlo al tempo stesso. Questo, in particolare, può
valere per quelle produzioni che hanno una più stretta relazione con il paesaggio, come
quelle delle più tipiche filiere agro alimentari
Si pensi ai paesaggi del vino, ormai considerati appieno all'interno dei processi di
marketing turistico legati a questo prodotto di filiera, il cosiddetto enoturismo
Il paesaggio, essendo l'elemento territoriale identificativo e dominante in una determinata
regione e facilmente associabile a quello che tipicamente essa produce (vini, oli, miele,
formaggi, etc.), può essere assunto come il suo marchio specifico, il brand per vendere.
Geografia, paesaggio, economia (2)
La qualità del paesaggio crea del valore, aggiuntivo rispetto a quello intrinseco posseduto
comunque dagli elementi territoriali che lo compongono, utilizzabile per incrementare il
reddito e promuoverlo al tempo stesso. Questo, in particolare, può valere per quelle
produzioni che hanno una più stretta relazione con il paesaggio, come quelle delle più
tipiche filiere agro alimentari
Si pensi ai paesaggi del vino, ormai considerati appieno all'interno dei processi di
marketing turistico legati a questo prodotto di filiera, il cosiddetto enoturismo.
il paesaggio, essendo l'elemento territoriale identificativo e dominante in una determinata
regione e facilmente associabile a quello che tipicamente essa produce (vini, oli, miele,
formaggi, etc.), può essere assunto come il suo marchio specifico, il brand per vendere
Paesaggio al plurale (2)
Il paesaggio, ritenuto da taluni legato all'evoluzione della pittura, a partire dal
Rinascimento, alle scoperte scientifiche ed all'acquisizione estetica del viaggio, ha dato
vita a innumerevoli punti di vista:
- la ricerca delle differenze tra paesaggi naturali e antropizzati
- l'incidenza delle forme fisiche nella loro percezione,
- le visioni estetizzanti della prima metà del Novecento italiano sulla scia dei vedutisti
del "gran tour".
Paesaggio al plurale (3)
• Di certo, il significato della parola cambia in relazione al profilo culturale dell'osservatore:
è di conseguenza differente l'approccio con cui se ne può discutere, spaziando da quelli
meramente scientifici ai percorsi più specificamente culturali, se non assolutamente
personali, quindi emozionali
La definizione della Convenzione Europea da' rilevanza ad una pluralità di paesaggi, che
non possono dunque essere soltanto quelli eccezionali, ma anche quelli ordinari e
addirittura quelli devastati.
Occorre porsi il problema della conoscenza del paesaggio, prima ancora che della sua
valorizzazione e utilizzazione per la produzione di ricchezza, provocando una transizione
da valore elitario a valore per tutti
Il paesaggio oggi (1)
il percorso sulla "riabilitazione" del paesaggio inizia pressoché contestualmente
all'emergere della questione ambientale: il tema della conservazione e valorizzazione del
paesaggio è divenuto oggetto di analisi, di dibattito, di confronto e di scontro ma anche di
proposte costruttive in vari settori, culturali, politici ed economici.
Il tema paesaggio si pone in termini di progettualità finalizzata I all'organizzazione dei
nuovi processi di valorizzazione del territorio che intendono basare proprio sulla sua
specificità il valore di un patrimonio, progettualità che interseca diverse scale geografiche:
internazionale, nazionale e locale.
È oggi consuetudine riferirsi ai problemi connessi al paesaggio, sia per quanto concerne la
pianificazione e la gestione del territorio, sia relativamente all'utilizzo della sua qualità
come elemento di competitività per generare, come si è accennato, nuove opportunità di
sviluppo attraendo capitali, imprese, talenti.
Il paesaggio oggi (2)
II paesaggio è così visto (o forse sarebbe meglio dire andrebbe visto) sia in relazione agli
impatti che su di esso provocano le costruzioni dell'uomo, con l'intento di prevenire quelli
attivabili dalle future progettazioni, sia in prospettiva di una gestione che tenda a esaltarne
i valori, da quelli scenico-percettivi a quelli sensibili o strutturati e statici, a quelli
economici.
il paesaggio è divenuto un punto cardine della conoscenza e della pianificazione
territoriale.
Il problema della gestione del paesaggio passa quindi attraverso il dispositivo con il quale
viene disposta la redazione del Piano paesaggistico, ricadente in capo alle Regioni, con il
concorso dello Stato limitatamente ai beni paesaggistici. Spetta poi alle Amministrazioni
locali recepire le indicazioni riportate nei Piani paesaggistici traducendole in azioni
concrete di carattere urbanistico, spesso causa, com'è noto, di forti tensioni e
Conflittualità.
Per un approccio al turismo alle diverse scale
I Paesi maturi, fra cui quelli europei, risentono dei nuovi competitor: nei primi la vasta
disponibilità di forti attrattori turistici, quali i beni ambientali e paesaggistici, i monumenti e i
beni culturali, è infatti sempre di più messa in discussione dalle nuove mete le quali
riescono spesso ad esibire un'alta esoticità di luoghi, non più rinvenibile nelle regioni
mature ormai dominate da una diffusa antropizzazione.
•Non va peraltro trascurata la politica dei prezzi, decisamente più competitiva nelle
destinazioni emergenti.
Allo stesso modo l'Italia, che pur essendo uno dei paesi leader a livello mondiale per
spesa accolta e numero di arrivi, registra un calo.
Mancanza di un'adeguata politica turistica una delle cause della sofferenza del settore.
il turismo internazionale ha registrato una crescita quasi ininterrotta, sia in termini di arrivi
sia in termini di entrate valutarie, divenendo uno dei settori dell'economia capace di
maggiore reattività alle crisi, nonostante attentati terroristici, malattie e guerre regionali.
La politica europea
II turismo nell'Unione Europea rappresenta la terza attività dopo il commercio e
distribuzione, il settore delle costruzioni, generando più del 5% del PIL. Le imprese,
soprattutto PMI, dedite al turismo sono stimate in circa 1,8 milioni ed occupano 9,7 milioni
di individui (il 5,2% della manodopera totale).
L'EU attrae turisti per la diversità dei suoi paesaggi e il suo straordinario patrimonio
culturale risorse uniche e fortemente attrattive.
Queste risorse non possono essere la sola risposta ai nuovi competitor ed occorrano
nuove proposte e valide iniziative inquadrate all'interno di una politica del turismo.
La politica europea (4)
Uno dei primi atti adottati, dal titolo: Primi orientamenti per una politica comunitaria del
turismo (1982).
Istituzione, nel 1986, di un Comitato Consultivo per il Turismo, creato per agevolare lo
scambio di informazioni e la cooperazione fra gli operatori del settore e gli Stati membri.
Decisione del Consiglio dei ministri di proclamare il 1990 "Anno Europeo del Turismo" a
cui fece seguito la pubblicazione nel 1995, del Libro verde sul ruolo dell'Unione nel settore
del turismo per stimolare una riflessione generale sul ruolo dell'Unione a favore del
turismo.
La mancata esistenza di una vera e propria politica per il turismo è causata dall'ostracismo
di alcuni Stati membri, come Gran Bretagna, Paesi Bassi e Finlandia, contrari ad ogni
estensione di competenze.
Il rinnovamento della politica europea
Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha attribuito all'Unione
europea una competenza specifica in materia di turismo, laddove per "specifica" si deve
intendere che l'Unione può svolgere azioni per sostenere, coordinare o completare quelle
degli Stati membri.
Consiglio informale dei ministri del turismo tenutosi nel 2010 a Madrid ha prodotto la
Dichiarazione omonima nella quale si chiede di attuare una politica europea del turismo
che comprenda: un adeguato coordinamento delle iniziative politiche che possono avere
un impatto sul turismo, la promozione del turismo sociale, il sostegno alla consapevolezza
dell'importanza dell'innovazione e delle tecnologie di comunicazione per mantenere la
competitività delle imprese del turismo, l'integrazione della sostenibilità nei settori legati al
turismo, la promozione congiunta di un'unica destinazione europea, l'armonizzazione delle
legislazioni dei consumatori, il riesame della politica dei visti per favorire la domanda dei
nuovi paesi.
Il rinnovamento della politica comunitaria (2)
A seguito della dichiarazione di Madrid la Commissione europea ha presentato le 21
azioni da intraprendere a sostegno del settore, che possono essere raggruppate in 4
obiettivi:
- stimolare la competitività del settore;
- promuovere lo sviluppo di un turismo sostenibile, responsabile e di qualità;
- consolidare l'immagine e la visibilità dell'Europa come insieme di destinazioni
turistiche sostenibili e di qualità;
- massimizzare il potenziale delle politiche e degli strumenti finanziari per lo sviluppo
del turismo.
Mancano slide lezione del 09/05/23
Analisi delle reti
Gli indici misurano la connettività indipendentemente dalla maggiore o minore
concentrazione e dispersione dei
vertici sul territorio, pertanto si
sono elaborate le matrici.
La matrice delle distanze, per i
grafi planari, misura l'accessibilità
di ciascun vertice (data dalla
somma del numero minimo di
segmenti esistenti tra il vertice e
tutti gli altri) e l'indice di dispersione
di tutta la rete. Nella figura, la rete
ferroviaria siciliana con una nuova
tratta (GF): D col valore 9 è il più accessibile nel primo caso, D e G nel secondo caso. Ma
il secondo caso indica una rete meglio connessa per il suo minore valore totale (76 contro
86 del primo caso).
Nelle matrici origine-destinazione gli spigoli equivalgono ai flussi di persone o merci in
entrata e in uscita dai vertici.
Analisi dei grafi e delle relazioni spaziali
◦
Reti di trasporto rappresentate con grafi lineari denotano livelli di sviluppo funzionale
e di integrazione territoriale molto modeste I grafi ad albero sono caratteristici di
interrelazioni territoriali meno elementari ma non molto evolute.
◦
I grafi ad albero con il dominio di uno o più centri collocati alla radice dell'albero
suggeriscono marcate gerarchie territoriali, con forti spinte polarizzanti e periferie deboli e
scarse (sinistra)
◦
interrelazioni orizzontali tra i centri di analogo livello gerarchico
I grafi a circuito sono tipici delle aree di più elevato sviluppo economico ed organizzazione
urbana equilibrata con elevata accessibilità dei nodi e connettività dell'intera rete (a
destra).
I costi e la specializzazione dei trasporti
I costi variano in relazione alla distanza, alle modalità del trasporto, al peso e al volume
delle merci, ma anche per la concorrenza e per politiche specifiche.
In relazione alla distanza si ha una componente fissa investimenti e spese di
funzionamento che sono inversamente proporzionali alla distanza) e una variabile (fonti
energetiche che sono direttamente proporzionali)
Le due componenti hanno un peso differente in ciascuna
modalità di trasporto.
I costi diminuiscono con l'aumentare della distanza in
modo differente per modalità
La scelta della modalità non dipende solo dal costo ma
anche dalla velocità, congestione e sicurezza.
Le politiche dei trasporti (1)
L'intervento dello Stato nei trasporti è stato rilevante fin dai primi decenni del '900 per
perseguire obiettivi di pubblica utilità per tutti, di riequilibrio territoriale, strategici e militari,
di sicurezza. Mediante la gestione delle reti e delle compagnie di trasporto, il controllo
delle tariffe, la regolazione dell'ingresso di nuovi operatori. Ma dagli anni 70 l'alto costo
della gestione delle reti e dei servizi ha spinto a:
A. Politiche di deregolamentazione e privatizzazione, con l'ingresso di nuovi operatori
privati. Hanno iniziato gli USA (1978) e la GB (1980). A più bassi costi e
all'efficienza delle reti di trasporto, si contrappongono alcune conseguenze negative
come la formazione di oligopoli privati, la minore sicurezza, la congestione di alcune
tratte e l'abbandono di altre. Pertanto, si sono applicate misure contro le
concentrazioni e per la tutela dei consumatori e per l'accessibilità delle aree
periferiche.
B. Politiche di tutela ambientale e di risparmio energetico per fronteggiare le ricadute
dell'alta mobilità della società postmoderna su impatto visivo, inquinamento
acustico e atmosferico. I modelli di questa società, basati sul decentramento urbano
e produttivo, producono congestione delle reti e degli spazi.
Le politiche dei trasporti (2).
Per ridurre l'alto costo sociale dei trasporti si moltiplicano gli interventi diretti:
a) Ai mezzi e alle infrastrutture (innovazioni dei materiali e dei sistemi; impiego di
mezzi che usano fonti di energia meno inquinanti; limiti alle emissioni; standard di
sicurezza per i veicoli; nuove infrastrutture che rispettino il paesaggio)
b) All'organizzazione (articolazione orari di lavoro; incentivazione uso trasporto
pubblico; barriere fonoassorbenti; regolamentazione atterraggio e decollo aerei;
telematica per aumentare efficienza). Il ruolo pubblico (stati, UE) è ancora forte
nella pianificazione dei trasporti per creare uno spazio integrato, coeso e poco
squilibrato.
Per valutare l'impatto ambientale delle politiche dei trasporti si adottano diversi modelli,
come quello a pentagono (così detto perché si estende a cinque livelli: 1 alle infrastrutture
fisiche, 2.alla logistica ed informatica, 3.alle strutture organizzative ed istituzionali, 4.alle
risorse finanziarie, 5.al controllo e tutela dell'ambiente, della sicurezza e dei consumi
energetici)
Le tendenze evolutive nel trasporto
→ Tendenza alla specializzazione
→ Tendenza alla complementarità tra le diverse modalità e delle tecniche intermodali,
per evitare le rotture di carico e ottenere l'efficienza totale del sistema.
→ Diffondersi di reti logistiche e piattaforme logistiche dotate di unità funzionali che
coordinano e integrano le diverse modalità.
→ La tendenza al decentramento di attività e funzioni nelle reti locali.
→ La tendenza all'accentramento selettivo di attività e funzioni di livello superiore nelle
reti globali, grazie ai fenomeni di deregolamentazione e liberalizzazione, alla
standardizzazione dei mezzi e delle infrastrutture.
Il trasporto merci e l'intermodalità
• La logistica risponde all'esigenza di riorganizzazione della catena del trasporto, Essa da
impulso alle relazioni economiche e alla
organizzazione del territorio.
◦
Le piattaforme logistiche intermodali sono aree dotate di strutture in grado di
ricevere, immagazzinare e smistare le merci utilizzando i mezzi di trasporto più idonei.
Nelle piattaforme si concentrano interporti, autoporti, terminali ferroviari, stradali etc.
◦
Pur essendo il trasporto stradale ancora determinante nel traffico delle merci, si
sviluppano anche progetti che puntano su altre modalità (le autostrade del mare, i
collegamenti ferroviari transalpini)
◦
Il trasporto marittimo sta accrescendo il suo peso nel traffico delle merci grazie ai
grandi vettori globali, come avviene nel Pacific Rim in cui convergono i paesi americani e
asiatici di antica e nuova industrializzazione.
Il Pacific Rim
Un'area immensa e articolata, nella quale confluiscono il dinamismo economico di Hong
Kong, Taiwan, Singapore e Malesia; le capacità tecnologiche del Giappone, della Corea
del Sud e del versante occidentale degli Stati Uniti; le immense risorse umane della Cina,
dell'India e dell'Indonesia; le risorse naturali di Australia, Colombia, Canada, Filippine e
dell'Estremo. Oriente russo; le capacità produttive dell'agricoltura degli Stati Uniti, del Cile,
della Nuova Zelanda e delle Filippine.
Tra le rotte che negli ultimi decenni denotano un maggiore dinamismo si annoverano,
infatti, quelle che nell'ambito del Pacific Rim uniscono i paesi asiatici di vecchia e nuova
industrializzazione (Giappone, India, Cina, Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Malaysia,
Filippine, Indonesia e versante pacifico della Russia) all'Australia, agli Stati Uniti e al Sud
America.
Il trasporto marittimo
Grazie all'impiego di unità standardizzate (container, pallets) per il traffico merci si sta
verificando l'integrazione tra varie modalità di trasporto e soprattutto si stanno creando
grandi regioni marittimo-portuali.
Il traffico marittimo può essere specializzato e riguardare merci come il petrolio greggio e i
derivati, i minerali, i cereali, ecc., che dalle aree di produzione vengono smistate a quelle
di trasformazione e di consumo, alla rifusa (bulk freight) o confezionate (break-bulk
freight); oppure riguardare le merci contenute nelle unità standardizzate (containers e
pallets). Questi ultimi sono i flussi che sono cresciuti più rapidamente negli ultimi anni.
Un contributo determinante alla formazione di sistemi intermodali, che realizzano flussi
continui di merci dai luoghi di origine a quelli di destinazione, viene fornito dai land-bridge
che integrano il trasporto oceanico e quello terrestre.
Il trasporto marittimo nei land-bridge
• land-bridge consentono i collegamenti di interi
continenti, anche diversi, interando trasporto
oceanico, aereo e terrestre (nordamericano e
transiberiano.
• È proprio grazie ai land-bridge americani che è
stato realizzato un salto generazionale delle
porta-container.
Principale classificazione delle navi porta container:
(TEU - acronimo di twenty-foot equivalent unit è la misura standard di volume nel trasporto
dei container e corrisponde a circa 40 metri cubi totali)
◦
nave Panamax (1980-1988): nave di dimensioni adatte all'attraversamento del
Canale di Panama; le dimensioni massime sono 294 m di lunghezza, 32.3 m di larghezza
e 12.04 m di pescaggio con capacità di carico di 3 000 - 4'000 Teus per una portata
massima di 75 000 t.
◦
nave Post-Panamax (1988-2000): nave le cui dimensioni impediscono
l'attraversamento del Canale di Panama; la lunghezza massima è dell'ordine dei 275-305
m, la larghezza di 42 m, il pescaggio 11-13,5 m e la capacità di carico è di 4'000 - 5 000
Teus.
◦
nave Super Post-Panamax (2000-2006): la lunghezza massima varia tra i 335 e i 370
m, la larghezza di 42-50 m, il pescaggio 15 m e la capacità di carico è di 5 000 - 8'000
Teus.
◦
nave Super Post-Panamax 8000+ o Mega Post-Panamax: la lunghezza massima
varia tra i 364-397 m, la larghezza di 50-56 m, il pescaggio 15-16 m e la capacità pari a
8'000 - 14'000 Teus.
◦
nave Super ULCV (Ultra Large Container Ship): le prime navi da 18.000 Teus
(lunghe 400 metri, larghe 59 metri, alte 73 metri con un pescaggio di "soli" 14,5 metri)
entrano in servizio tra il 2014 ed il 2015 (20 sono già state ordinate dal gruppo danese
A.P. Moller-Maersk ai cantieri navali sudcoreani Daewoo.
Il ruolo strategico del Mediterraneo legato al Canale di Suez
◦
◦
◦
II Canale di Suez acquista rilievo per collegamenti tra Asia, Europa e nord
America in quanto il Mediterraneo diventa mare di transito.
Lo sviluppo del traffico è stato reso possibile dal transhipment, vale a dire dalle
grandi navi porta-container che trasferiscono il carico a navi più piccole che lo
smistano in tutto il Mediterraneo. Le rotte pendulum che hanno come baricentro
il Mediterraneo e le loro diramazioni verso il Medio Oriente, Singapore e
l'Estremo Oriente da un lato e dall'altro verso l'Europa e le coste Atlantiche del
Nord America,
Gli otto maggiori porti hub di transhipment del Mediterraneo sono: Algeciras,
Porto Said, Malta-Marsaxlokk, Gioia Tauro, Tangeri, Genova, Cagliari e Taranto.
◦
◦
si è irrobustito il traffico di diversi porti tradizionali, soprattutto di quelli che hanno
realizzato nuove infrastrutture marittime e interportuali e migliori collegamenti
con il retroterra.
Dagli anni '90 gli scali mediterranei hanno eroso quote di mercato ai porti del
Northern Range, grazie alla possibilità di risparmiare alcuni giorni sul percorso
delle navi, ma resta la loro superiorità tecnico-org.
Il ruolo strategico del Mediterraneo: Canale di Suez
• Percorsi in Miglia nautiche tra i porti di Tokyo e Rotterdam seguendo la via del Canale di
Suez e quella Del Capo di Buona Speranza.
Il ruolo strategico del Mediterraneo: Canale di Suez
1) Suez rappresenta per i paesi asiatici, ed in particolare per quelli che si affacciano
all'Oceano Indiano, una valida alternativa alle rotte del Pacifico;
2) le direttrici di traffico Singapore/Mar Rosso/ Suez/Mediterraneo/ Atlantico hanno in
prospettiva concrete possibilità di competere con successo con i servizi pendulum
del Pacifico, poiché hanno all'incirca la stessa durata, ma il percorso
Singapore/New York, per via marittima e /andbridge nordamericano, risulta più
costoso perché i percorsi terrestri presentano costi chilometrici assai più elevati di
quelli marittimi;
3) la realizzazione di efficienti collegamenti stradali e ferroviari fra i porti del
Mediterraneo e gli scali Nord Europei potrebbe rendere conveniente persino il
percorso Singapore/Suez/Mediterraneo/Nord Europa/ Atlantico, poiché a fronte di
una durata pressoché analoga a quella del percorso Singapore/ New York (circa 22
giorni) ha una tratta terrestre molto più breve del landbridge nordamericano e quindi
costi meno elevati.
Il ruolo strategico del Mediterraneo
- Le prospettive di sviluppo dei porti mediterranei sono collegate alla prospettiva di
prosperare di due settori chiave del traffico merci marittimo, tra di loro interagenti e
caratterizzati da esigenze infrastrutturali abbastanza differenti, vale a dire:
• i servizi di linea container internazionali, che riguardano i carrier globali a lunghissimo
raggio, che operano sulle rotte transoceaniche (pendulum in particolare), a cui si
collegano direttamente i servizi feeder intra-mediterranei;
• lo Short Sea Shipping e le Autostrade del Mare, che comprendono tanto i
collegamenti nazionali, quanto quelli internazionali che interessano le sponde
settentrionali e meridionali del Mediterraneo.
- Le scelte di alcune multinazionali del trasporto marittimo permettono di creare
alternative logistiche che influiscono sulla concorrenza tra il Northern Range (Il
fronte costiero che si estende dal porto di Le Havre a quelli di Rotterdam, Anversa e
di Amburgo) e il Southern Range, trasformandola talora in una
competizione/collaborazione complessa tra "sistemi a rete".
I porti italiani collegati via terra al Northern range
Corridoio n. 24 "Dei due mari" (che riguarda il potenziamento
dell'asse ferroviario Lione/Genova, Basilea, Duisburg,
Rotterdam/Anversa), della rete europea TEN-T che potrebbe
rivelarsi funzionale all'estensione dell'attività di Genova e dei
porti liguri all'Europa centrale.
Il porti del Mediterraneo
◦ In concorrenza con i porti mediterranei, lo scalo di Tangeri in Marocco ha
recentemente attratto rilevanti investimenti internazionali, poiché la particolare
posizione rispetto allo stretto di Gibilterra gli permette di accogliere le grandi navi
oceaniche che circumnavigano l'Africa e di smistare i loro container con flotte
feeder sia verso i porti nordeuropei che verso quelli mediterranei.
◦ A subire la concorrenza dei porti nord africani sono in particolar modo gli scali italiani
che sempre più spesso vengono abbandonati dalle principali compagnie che
gestiscono i terminali ed il traffico di transhipment (Taranto, Trieste, Venezia, Gioia
Tauro sono dipendenti da alcuni vettori asiatici).
◦ La maggior parte dei porti italiani non riesce ad approfittare della propria posizione
geografica. Una posizione che ne avrebbe potuto esaltare la funzione di naturali
approdi europei per le merci provenienti e destinate all'Estremo Oriente.
I porti italiani e Sud-europei (5)
Più difficili si presentano le possibilità per risollevare dalla crisi il traffico container dei porti
del Mezzogiorno e della Sicilia, toccati da movimenti feeder e di cabotaggio. Tra le poche
eccezioni si annovera quella di Napoli, il cui terminal container primeggia in Italia nel
traffico con la Cina. Un traffico destinato a crescere grazie ai recenti miglioramenti della
rete infrastrutturale terrestre, che permettono l'interconnessione all'interporto di
Marcianise/Maddaloni.
Restano aperte in ogni caso interessanti possibilità per Bari e Brindisi qualora venisse
attivato il Corridoio VIII sull'asse Adriatico-Mar Nero, che nel suo tracciato principale si
sviluppa lungo la direttrice Durazzo-Tirana-Skopje-Sofia-Burgas e Varna.
Le Autostrade del Mare (che si avvalgono di navi Ro/Ro e Ro/Pax) sono attualmente in
pieno sviluppo e sono tra i servizi marittimi mediterranei meno toccati dalla crisi, grazie alla
loro crescente competitività nei confronti del trasporto terrestre.
Il trasporto passeggeri in città
La domanda di trasporto delle merci e dei passeggeri nelle aree urbane è cresciuta
moltissimo negli anni recenti perché incentiva le interazioni proprie della società postmoderna; tuttavia, rende più complessi i problemi del traffico.
Diviene naturale sostenere la tesi dell'importanza di una forte coerenza tra politiche del
trasporto urbano e pianificazione del futuro della città.
Le più recenti scelte strategiche relative alla mobilità nei sistemi urbani e metropolitani
tendono a sostenere la mobilità collettiva e le utenze deboli e a limitare quella privata (pur
nel rispetto delle possibilità di utilizzo del mezzo privato), nello stesso tempo si indirizzano
alla realizzazione di sistemi infrastrutturali, che interessano tanto il trasporto individuale
quanto quello collettivo.
In diverse aree metropolitane europee la gestione e il coordinamento tecnico dei trasporti
pubblici è stato affidato a delle Authorities, che impiegano Sistemi di gestione del traffico.
Mobilità e sviluppo urbano
• Le più recenti scelte strategiche sulla mobilità sostengono Il trasporto collettivo e
limitano quello privato
• La gestione dei trasporti pubblici è stata affidata ad Authorities che:
→ controllano i flussi di traffico
→ gestiscono la realizzazione dei parcheggi
→ controllano gli incroci
→ sincronizzano i semafori
→ forniscono informazioni ai conducenti sulla viabilità.
In Italia, in coerenza con gli indirizzi dell'U.E., oltre alla redazione di PUT (Piani Urbani del
Traffico), per il miglioramento della circolazione e della sicurezza stradale, la riduzione
dell'inquinamento e il risparmio energetico, il Piano Generale dei Trasporti ha introdotto
(art. 22 della Legge Nazionale n. 340 del novembre del 2000) il PUM (Piano Urbano della
Mobilità).
Mobilità e sviluppo urbano (2)
• II PUM, rivolgendosi alla organizzazione e alla gestione di sistemi integrati della
mobilità urbana, si rivela particolarmente adatto a realtà complesse, come quelle
metropolitane, annoverando tra gli obiettivi principali:
•
→ il soddisfacimento dei bisogni di mobilità;
→ il rispetto degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto sulle emissioni di gas di
scarico;
→ l'accessibilità per le persone e per le merci all'interno delle aree urbane;
→ la sicurezza del trasporto;
→ la qualità del servizio;
→ la riduzione del costo della mobilità individuale e collettiva;
→ l'efficienza economica del trasporto.
Trasporto ed accessibilità nelle aree rurali
• I flussi delle aree rurali, sparsi o aggregati in piccoli centri distanti, comportano costi
elevati, a meno che si sfrutti la motorizzazione privata (frammentazione della
domanda).
• La disincentivazione dei servizi pubblici nelle campagne ha provocato l'aumento
dell'uso delle auto private, innescando circoli viziosi.
• Nei pvs i trasporti pubblici sono l'unico mezzo per raggiungere zone isolate e
periferiche. Inoltre, prima di procedere con interventi specifici si preferisce
"infrastrutturale" il territorio.
• Nei paesi sviluppati i trasporti pubblici assumono ancora un ruolo determinante per
collegare aree periferiche ed evitare discriminazioni che inducono squilibri regionali.
Trasporto interregionale dei passeggeri
Il trasporto dei passeggeri extraregionale è segnato da un netto predominio di quello
stradale sulle brevi e medie distanze e di quello aereo sulle medie e lunghe, sebbene il
trasporto ferroviario stia segnando vistosi progressi, grazie anche allo sviluppo
dell'Alta Velocità.
I piani di ristrutturazione dei trasporti e le politiche di deregolamentazione e
liberalizzazione hanno incoraggiato l'iniziativa privata, coinvolgendola in maniera sempre
più diretta tanto nei programmi di rilancio delle autolinee, delle ferrovie e del trasporto
aereo, quanto nelle gestioni di alcune infrastrutture di rilievo, come quelle aeroportuali e
delle stazioni ferroviarie.
È in continua crescita la complementarità tra le varie modalità e la proliferazione di
piattaforme di interconnessione tra autostrade, ferrovie ordinarie e ad alta velocità,
aeroporti, e trasporti collettivi urbani.
Trasporto interregionale dei passeggeri (2)
Il trasporto stradale, grazie alla sua flessibilità, fornisce un contributo determinante alla
mobilità al di sotto dei 300-400 km.
• Tuttavia, la ferrovia, dopo aver attraversato un periodo di incertezza, ha riacquistato
competitività grazie all'adozione di nuove tecnologie e di più moderni sistemi
organizzativi, ma anche per la necessità di contenere la crescita incontrollata dei
consumi energetici e dei costi sociali (o esterni) della mobilità, dovuti alla
congestione, agli incidenti e all'inquinamento acustico ed atmosferico causati dalla
inarrestabile crescita del trasporto stradale e di quello aereo.
Il Giappone è stato tra i primi paesi a sperimentare l'Alta Velocità (Shinkansen), inaugurato
nel 1964. Negli Stati Uniti non è operativa una rete ferroviaria ad alta velocità, ma
l'Amministrazione guidata dal presidente Obama e il Congresso americano hanno deciso
nel 2009 di avviare il programma High-Speed Intercity Passenger Rail Program (HSIPR).
L'Alta Velocità in Europa
In Europa la distanza relativamente breve tra le capitali offre condizioni particolarmente
favorevoli ad uno sviluppo del trasporto ferroviario veloce, che negli ultimi decenni ha
registrato consistenti progressi. Le prime positive esperienze sono state quelle maturate in
Francia (Train à Grande Vitesse-TGV) e in Germania (Inter City Express), seguite da
quelle della Spagna (Alta Velocidad Española) e dell'Italia (Treno ad Alta Velocità).
Le stesse compagnie aeree, nel realizzare le loro strategie, volte ad estendere e
rafforzare i loro bacini di utenza, operano ormai in sintonia con le nuove linee dell'A.V.,
che contribuiscono ad accrescere l'accessibilità dei loro hub intercontinentali e a
sviluppare i collegamenti tra gli aeroporti, agevolandone l'integrazione e la
specializzazione.
L'Alta Velocità in Europa (2)
◦
La Francia ha sviluppato la rete ferroviaria veloce più estesa in Europa. II TGV
nacque nel 1981, con l'apertura della linea tra Lione e Parigi, dopo si diffuse gradualmente
verso Bordeaux, Marsiglia e Lilla, estendendosi anche ai paesi vicini (Svizzera, Belgio,
Paesi Bassi), dove è stata possibile l'interoperabilità con la rete francese.
◦
II TGV serve attualmente, con la denominazione Eurostar, anche l'Eurotunnel sotto la
Manica raggiungendo Londra, da Parigi, in poco più di tre ore.
◦
In Italia, dopo la realizzazione della prima linea ad alta velocità, Roma-Firenze,
terminata nel 1992, i progetti sono avanzati con notevole ritardo. Pur tuttavia nel 2012 era
in esercizio l'intera dorsale Salerno, Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino
◦
L'Alta velocità sta contribuendo indubbiamente al miglioramento dei sistemi di
trasporto del nostro continente; tuttavia, non sempre si ha la interoperabilità dell'A.V. con
le linee tradizionali.
L'Alta Velocità in Europa (3)
◦
l'A.V., ridimensionando gli effetti della distanza, influisce direttamente sulla
localizzazione dei servizi di rango più elevato e delle funzioni e attività decisionali e
direzionali rare ed avanzate che, per inserirsi in reti di relazioni a lungo raggio, tendono a
concentrarsi presso i nodi e le stazioni dell'A.V.
◦
Il convergere dei grandi assi di collegamento A.V. sull'euro poligono delle capitali,
(Londra, Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Francoforte), accentua la polarizzazione delle
funzioni più rare e avanzate in tale area, rafforzandone le gerarchie territoriali
◦
Questi squilibri vengono aggravati dal fatto che l'A.V. non è una rete a sé stante, ma i
suoi nodi divengono punti di convergenza degli altri rami del sistema dei trasporti, che a
loro volta attraggono attività e opportunità collegate a quelle di rango superiore. Per
contro, nelle aree periferiche, e segnatamente in quelle del Sud mediterraneo, si
avvantaggiano solo le città che si raccordano direttamente alla rete europea A.V.
Il trasporto aereo
• Il mezzo aereo, nel trasporto passeggeri sulle grandi distanze, ha sbaragliato da
tempo tutti i possibili concorrenti e negli ultimi decenni, grazie ai progressi
tecnologici ed organizzativi, al miglioramento dei collegamenti tra aeroporti e centro
città, alle deregolamentazioni e privatizzazioni, sta diventando competitivo anche
nelle medie distanze (oltre i 400 Km).
• Le deregolamentazioni e privatizzazioni, avviate con l'Airline Deregulation Act, del
1978, che liberalizzava il trasporto aereo negli Stati Uniti, si sono estese
successivamente alla Gran Bretagna e al resto dell'Europa, dove le liberalizzazioni
sono state avviate nel1988.
• Alla liberalizzazione si è associata la privatizzazione dei servizi portuali, con effetti
contrastanti; infatti, da un lato si è verificata una concentrazione del traffico nei
grandi hub aeroportuali, che moltiplica le interconnessioni con le reti aeree regionali
e locali e con altri sistemi di trasporto; dall'altro viene esaltato il ruolo nazionale e
internazionale di alcuni aeroporti minori dove operano le compagnie low cost.
Il trasporto aereo (2)
L'aereo è ormai da tempo uno dei principali mezzi di trasporto dei passeggeri di vasti paesi
come gli Stati Uniti, il Canada, la Russia e l'Australia, ed ha assunto un ruolo essenziale
anche in molte regioni dell'America Latina, dell'Estremo Oriente e dell'Africa, nelle quali la
presenza di vaste aree disabitate e poco accessibili, desertiche, montuose o isolate dal
mare ostacolano lo sviluppo di altre forme di trasporto.
La complessità, sotto il profilo economico, organizzativo ed operativo, del trasporto aereo
lo rendono particolarmente sensibile ai fenomeni congiunturali e vulnerabile alle azioni del
terrorismo internazionale.
Ma problemi rilevanti vengono anche dal controllo del traffico aereo, che crea non pochi
vincoli agli stessi sistemi aeroportuali, soprattutto in territori frammentati come quelli
europei. In Europa, infatti, è stato necessario affidare il coordinamento del traffico ad un
ente comune, Eurocontrol, ed è in corso la creazione di uno "spazio aereo unico europeo".
Il trasporto aereo (3)
Grazie ai processi di privatizzazione dei servizi, anche le strutture aeroportuali si sono
evolute: i grandi hub internazionali, ma non solo questi, sono divenuti dei veri e propri
centri commerciali, dotati di alberghi, hotel, ristoranti e parcheggi, legati in vario modo ai
gestori aeroportuali.
In Italia, lo sviluppo delle compagnie low cost, come del resto è già avvenuto in altri paesi
europei, sta modificando l'assetto del trasporto aereo, segnando un incremento delle
funzioni degli aeroporti minori o delle aree periferiche (Venezia, Bologna, Firenze, Pisa,
Napoli e Catania) grazie alla moltiplicazione dei collegamenti nazionali ed internazionali,
ed in particolare con Londra, Bruxelles, Francoforte. Tuttavia, il caso più eclatante è quello
di Bergamo-Orio al Serio, scalo di riferimento della Ryanair, numero uno delle compagnie
europee low-cost.
Il trasporto aereo (4)
• Le ragioni del successo del traffico low cost sono da collegarsi non soltanto alle
tariffe particolarmente favorevoli, ma anche alla possibilità di evitare la congestione
degli aeroporti maggiori e alla favorevole collocazione geografica degli aeroporti
minori, che permette di evitare onerosi spostamenti verso Roma e Milano, senza
considerare che alcuni di essi consentono agli stranieri di raggiungere più
agevolmente mete turistiche come Firenze, Venezia e la Costiera Amalfitana.
• A tal proposito, vale la pena di rilevare che negli ultimi decenni sono cresciute a
livello internazionale le relazioni dinamiche tra trasporti aerei e turismo.
• I vettori del trasporto aereo tendono a controllare direttamente anche il settore
alberghiero ed a condizionare le scelte dei turisti (come avviene per alcuni vettori
dei paesi mediterranei e segnatamente quelli di Spagna, Grecia e Italia). Il turismo
ha tratto grande profitto anche dalla crescita dei voli charter, gestiti da compagnie
controllate dalle stesse compagnie di linea.
Le reti transeuropee
Sono trascorsi oltre quindici anni da quando l'U.E. si è impegnata nel sostenere la
realizzazione di una rete di trasporto tra gli stati membri, definita Trans European
Networks-T (TEN-T), con l'obiettivo di migliorare l'accessibilità a tutto il territorio dell'U.E.,
consentire adeguate condizioni di sviluppo economico anche alle aree periferiche
agevolare la libera di circolazione delle merci e delle persone, la coesione economica e
sociale, la competitività e la sostenibilità ambientale, la diffusione di un modello urbano
policentrico.
La politica europea delle infrastrutture di trasporto si avvale di due fondamentali strumenti:
- la Rete Transeuropea di Trasporto (TEN-T), punto di riferimento per l'integrazione.
Territoriale e della costruzione di un sistema europeo dei trasporti:
- i Corridoi Pan-europei (PEC), prolungamento verso Est della rete TEN-T ed elementi
di riferimento per gli interventi infrastrutturali oltre gli attuali confini dell'U.E. verso
l'Asia e l'Africa.
i corridoi Pan-europei
i corridoi Pan-europei si configurano come sistemi logistici complessi nei quali
confluiscono differenti infrastrutture di trasporto e di comunicazione, tra le quali hub
portuali, interportuali e aeroportuali.
Alle TEN-T e ai Corridoi Pan-europei è legata la nascita e l'espansione in Europa di poli
logistici, gestiti da grandi società nazionali ed internazionali, che favoriscono l'intermodalità
e forniscono servizi e strutture specializzate. Poli decentrati rispettc ai grandi centri urbani,
ma ben collegati con reti telematiche.
Tra i poli logistici di maggior rilievo si annoverano: il Parc ProLogis di Chanteloup a Sénart
(a sud di Parigi); il ProLogis South Marston Park di Swindon (60 miglia ad est di Londra); il
Magna Park di Berlino; il Magna Park Plaza di Saragozza; l'Interporto Quadrante Europa
di Verona; ZES italiane.
La politica europea dei trasporti
Le scelte effettuate dall'U.E. nel settore dei trasporti manifestano chiare tendenze:
- Alla valorizzazione del centro geografico dell'Europa, per il consolidarsi dei trasporti
lungo la Dorsale centrale europea che ha il suo baricentro nell’euro poligono delle
capitali (Londra, Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Francoforte), nel quale
l'integrazione tra vari sistemi di trasporto rappresenta ormai una realtà in rapida
evoluzione.
- Il rafforzamento delle direttrici di sviluppo trasversali, ed in particolare di quelle
settentrionali (dalla Penisola Iberica all'Europa Centrale, ai paesi scandinavi e
all'Europa dell'Est, con il rafforzamento di Berlino e Vienna come gatweway rispetto
ai paesi dell'Europa orientale e dell'Asia.
Si tratta di scelte che hanno suscitato non poche critiche (anche da parte CRPM Conferenza delle Regioni Periferiche Marittime dell'Europa e non) per la possibile crescita
dei divari regionali.
Il commercio internazionale
Le indagini sulle dinamiche commerciali tra diverse aree del Mondo sono sempre più utili
a comprendere i nuovi assetti locali e globali che si vanno configurando nel contesto geoeconomico e geo-politico.
Il commercio internazionale, infatti, è il campo privilegiato dell'intreccio delle determinanti
geopolitiche con quelle geoeconomiche e il terreno su cui si sono consolidati nel tempo
differenti equilibri di potere su scala regionale o sovranazionale.
Gli accordi bilaterali e multilaterali che pure si prefiggono di promuovere e regolamentare
le relazioni commerciali tra i diversi sistemi economici nazionali, divengono un'occasione
per costruire alleanze, esercitare pressioni, isolare particolari antagonisti, minacciare la
stabilità economica.
II GATT (General Agreement on Tarif and Trade), nato del 1947, ebbe lo scopo di
liberalizzare gli scambi internazionali, a cui è subentrato cinquant'anni più tardi (nel 1995)
il WTO (World Trade Organization), con lo scopo di promuovere il processo di
liberalizzazione e di vigilare sull'attuazione dei singoli accordi internazionali sul commercio.
Il commercio internazionale (2)
Il commercio, quindi, si è mondializzato grazie alle innovazioni tecnologiche ed
organizzative, che alla politica e alla diplomazia.
Queste ultime, infatti, hanno rafforzato il processo di liberalizzazione dei commerci
sostenendolo con un miglioramento del quadro dei regolamenti internazionali in materia di
scambi.
Regole e regolamenti, quindi, che sostanzialmente hanno favorito la liberalizzazione degli
scambi commerciali e finanziari e disincentivato le politiche protezionistiche (dazi,
contingentamenti, incentivi e controlli), sebbene ancora oggi tendano ad intensificarsi gli
accordi bilaterali o regionali di liberalizzazione commerciale, non sempre in linea con gli
accordi di libero scambio internazionale.
L'esito di questo processo sulla governance mondiale è stato ambivalente. Per molti anni,
dal secondo dopoguerra agli anni '80 del secolo scorso, sostanzialmente ha rafforzato
l'egemonia commerciale, economica e politica della cosiddetta triade (Stati Uniti
d'America, Unione Europea e Giappone) a cui si è aggiunta la Cina.
Il commercio internazionale (3)
Negli ultimi vent'anni però qualcosa è cambiato e il rapido affermarsi di nuovi protagonisti
nell'economia mondiale ha cominciato a mutare gli scenari di fondo. Paesi emergenti
conquistano quote importanti del commercio mondiale e impongono quindi la rivisitazione
di accordi e regolamenti internazionali a loro sfavorevoli e, soprattutto, si fanno interpreti di
nuove politiche commerciali (es. India; Cina) segnate sovente dalla sovrapposizione di
apertura e chiusura, economia aperta e sofisticate forme di nuovo protezionismo.
Rimodellare la propria presenza economica nel mondo e, di conseguenza, la propria
gamma di prodotti e servizi volti all'esportazione, così come i propri bisogni in termini di
prodotti, servizi e materie prime da importare, è diventata la sfida da affrontare per USA,
Europa e Giappone.
A partire dagli anni '70 del XX secolo si verifica la transizione da un'economia
internazionalizzata ad un'economia globale.
Commercio internazionale (4)
Leggendo il dato europeo emerge il protagonismo della Germania, unico paese europeo
con un saldo positivo tra esportazioni e importazioni.
Cina e Sud Est Asiatico detengono insieme più del 20% della quota di export mondiale .
Per quanto riguarda i paesi del BRIC, Brasile, Russia, India e Cina, pur non mostrando un
incremento nelle quote di import ed export, risultano essere paesi con bilance commerciali
positive (Russia e Brasile) o abbastanza equilibrate (India).
Il ruolo di primo piano acquisito dai BRIC sullo scacchiere internazionale ne accresce le
possibilità di influire sulle decisioni di grandi organizzazioni internazionali, quali le Nazioni
Unite, il Fondo Monetario Interazionale e la Banca Mondiale