Dumézil Gli dei sovrani degli indoeuropel N ca ... 111 .:.= u " .a ... eu a. " a.. - ] Gli dei sovrani degli indoeuropei costituisce uno dei punti centrali dell'opera che George Dumézil va costruendo da piu di sessant'anni attraverso un vasto e organico piano di ricerche, reso possibile dalla sua prodigiosa conoscenza delle lingue, sulla mitologia e sulla strut­ tura delle società indoeuropee. In questo volume, egli rielabora e svi­ luppa i materiali accumulati per giungere a stabilire in ambito religio­ so la mentalità trifunzionale degli indoeuropei, ossia la loro tendenza a organizzare riti, miti e idee politico-sociali sulla diversificazione di tre modi di vedere e sentire: il sacrale, il militare e il produttivo. I principi «teologici» qui analizzati sono ricostruiti in base alle testi­ monianze delle quattro principali culture che ci permettono di capire la preistoria indoeuropea: l'India vedica, l'Iran, Roma e la Scandina­ via. Come Dumézil stesso osserva, «a causa della natura dei documen­ ti, i fatti indiani e iranici sono quelli osservabili piu facilmente e piu completamente, e il confronto che si può fare tra gli uni e gli altri sco­ pre nettamente uno stato indoiranico della teologia». A loro volta questi fatti orientali «illuminano i fatti occidentali, presentati nei do­ cumenti meno sistematicamente; permettono inoltre di riconoscervi organizzazioni di concetti e di figure divine che richiamano quelle de­ gli indoiranici, ma anche di scoprirvi elementi originali che rappresen­ tano sia innovazioni, sia antiche varianti fedelmente conservate». Arnaldo Momigliano, in un suo studio critico dell'opera di Dumézil, ha sottolineato come questi si addentri in un terreno anche piu arduo di quello esplorato da Émile Benveniste nel suo Vocabolario delle istituzioni indoeuropee (Einaudi 1976), proprio in quanto si propo­ ne di scoprire i principi fondamentali della mentalità indoeuropea. In questo ambito «la teologia degli dei sovrani», secondo lo studioso francese, «è nel complesso del lavoro la parte dove sono stati ottenuti i risultati meglio articolati». George Dumézil, nato a Parigi nel 1898, ha insegnato a Varsavia, a Istanbul e a Uppsala, prima di essere chiamato, nel 1933, all'École Pratique des Hautes Étu­ des (Sezione di scienze religiose). el 1948 è stato nominato al Collège de Fran­ ce e dal 1979 fa parte dell'Académie Française. Di lui Einaudi ha pubblicato Mito e epopea. La terra alleviata. ISBN 88-06-57703-4 ',., :ompresa) l 1111 l 9 788806 5 77032 Titolo originale Les dieux souverains des Indo-Européens Copyright \C 1977 �ditions Gallimard, Paris Copyright© 198' Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino Traduzione di Anna Marietti ISBN 88-o6-on70-7 Georges Dumézil 011 del sovrani degllladoeuropel Indice p. IX Prefazione XVII Abbreviazioni XIX Nota sulle trascrizioni Gli dei sovrani degli indoeuropei Introduzione r. 6 8 2. II 20 22 3· 4· 5· 26 6. 32 7· Prima parte 1. 38 4I 43 46 48 5I 56 6o 6I 63 Gli dei indoiranici delle tre funzioni Gli dei indiani di Mitanni Gli dei indiani di Mitanni nei rituali e negli inni vedici: due esempi Analisi di {{V IO, I25- AV 4, 30 Le liste canoniche degli dei delle tre funzioni Destino degli dei della lista canonica nell'Avesta postgathico Trasposizione della lista canonica nelle Gatba: gli Am;�sa Sp;�nta Prime conclusioni Orientalia Mitra-Varurya Mitra.Varu�a negli inni vedici e dopo gli inni Complementarità e solidarietà dei due dei Distin2ione fra i due dei: a) i caratteri Distin2ione fra i due dei: b) i mezzi d'azione Distinzione fra i due dei: c) i modi d'azione Distinzione fra i due dei: d) le affinità cosmiche 7. Distin2ione fra i due dei: e) le affinità sociali e teologiche 8. Unità del dossier 9· Sviluppi Io. Etimologie r. 2. 3· 4· 5· 6. VI INDICE II. I sovrani minori della teologia vedica p. 69 73 75 79 85 91 93 1. Configurazione del gruppo degli A.ditya 2. Tesi e appoggi esterni 3· Aryaman, Bhaga e Mitra; Dak�a, Arpsa e Varur:ta 4· Aryaman: coesione e durata delle società arya 5. Bhaga: ripartizione dei beni nelle società arya 6. Aryaman, Bhaga e Mitra 7· Dak�a e Af!lsa 8. Conclusioni 97 III. Riforme nell'Iran 99 1. Varur:ta e Ahura Mazdà 2. Ahura Mazdii e MiOra nello wroastrismo post-gathico 3· I primi due Am:�sa Sp:�nta: osservazioni esterne 4· Yasna 44: Asa e il cosmo, Vohu Manah e la terra 5- Yasna 29: Asa e Vohu Manah di fronte alla lagnanza dell'Anima del Bove 6. Sviluppi 7· I nomi dei primi due Am:�sa Spanta 8. Srao5a, Asi e i Sovrani minori del f$gVeda 9· Da Aryaman a Sraosa Io. Da Bhaga ad Asi I r. Zoroastro offeso? IOI I05 I09 III II6 I2I I22 I24 I29 I31 Seconda parte Occidentalia IV. Iupiter e il suo entourage lupiter lupiter, Dius Fidius, Fides Storia e mitologia Romolo e Numa Romolo e Numa, Varur:ta e Mitra lupiter e Fides 7· lupiter e i suoi ospiti ostinati 8. Terminus 9· luuentas IO. Sviluppi I r. Quirinus visto sotto un'altra luce I2. Terminus e Numa, iuuenes e Romolo I. 2. 3· 4· 5· 6. I38 140 I42 I44 I50 I51 I53 I56 I 57 I6o I63 I65 v. I69 I71 I74 I81 Gli dei sovrani degli scandinavi r. Tre caratteristiche delle religioni germaniche 2. La triade degli dei di Uppsala 3· Odinn re e mago 4· Tyr, la battaglia e il l>ing INDICE VII 5. Il monco e il monocolo 6. Gli usurpatori 7. I sovrani di riserva Nota finale Appendici 199 221 1. Le tre funzioni nel �gVeda e gli dei indiani di Mitanni n. Le tre funzioni viste da Jan Gonda 237 Note del I98o Prefazione Quella che i miei amici americani chiamano talvolta la << nuova mitologia comparata » si avvia ormai verso il mezzo secolo di vita. Fu infatti nel 1938, dopo avere brancolato a lungo e spesso errato, che s'incontrò il fatto essenziale, il si­ gnificato trifunzionale del raggruppamento di dei testimonia­ to sia presso i latini di Roma ( Iupiter, Mars, Quirinus), sia presso gli umbri di lguvium (]uu-, Mart-, Vofiono-) : allora si seppe che i romani piu antichi imperniavano la loro teolo­ gia su una concezione del mondo e della società vicinissima a quella che praticavano, all'altro capo dell'espansione indo­ europea, gli indiani vedici e gli iranici, e che, tra l'altro, ha fornito all'India storica la sua suddivisione della società arya in briihma�Ja, k�atriya e vaifya. Gli anni successivi furono dedicati all'esplorazione delle conseguenze di questa prima scoperta, a Roma stessa e presso gli arya dell'Oriente, cosi come presso gli altri popoli indo­ europei, in particolare i germani e i celti. Furono riconosciu­ te molte applicazioni teologiche, rituali, filosofiche di questa concezione, e ogni progresso illuminava l'insieme in un modo nuovo, correggendo i primi abbozzi , aprendo problemi parti­ colari o generali, suggerendo ipotesi di lavoro. In seguito ap­ parvero sviluppi inattesi : al di fuori di questo campo centra­ le, si poterono circoscrivere e descrivere altri frammenti di un'ideologia indoeuropea comune. Queste ricerche sono continuate, a partire da occasioni particolari piuttosto che sulla base di un programma preciso, per un quarto di secolo, producendo messe a punto e abboz­ zi di sintesi, sotto forma di corsi, di articoli e di brevi libri. Mi sarebbe piaciuto continuare a rimestare e lavorare libera­ mente questa pasta di continuo migliorata e al tempo stesso x PREFAZIONE in crescita. Ma, avvertito dalla saggezza etrusca, sorvegliavo l'approssimarsi dell'undicesimo settennio, soglia oltre la qua­ le non è piu permesso all'uomo sollecitare la generosità degli dei. Giunto il tempo, mi sono dunque accinto a presentare una sistemazione ordinata, e ancora una volta controllata, di ciò che di probabile mi pareva emergere da questa ricerca molteplice. Verso il I 9 6 3 il bilancio era previsto in tre serie di libri. I. In primo luogo una specie di corso di teologia trifun­ zionale, illustrata da miti e rituali, doveva mostrare come la comparazione permetta di risalire a un prototipo comune preistorico, e poi, mediante un movimento inverso che non è un circolo vizioso, di determinare le evoluzioni o rivoluzio­ ni che occorre ammettere per spiegare, muovendo da quel prototipo, le teologie direttamente documentate che avevano consentito di ricostruirlo. Conservando, forse per supersti­ zione, alcuni titoli dei miei vecchi saggi ( I 940, I 94 I ), con­ tavo di affidare a un ]upiter Mars Quirinus definitivo una panoramica delle tre funzioni; poi l'analisi della prima fun­ zione a un Mitra-Varu1Ja rimaneggiato; infine un'illustrazio­ ne della seconda a una nuova edizione di Aspects de la fonc­ tion guerrière. Quanto alla terza, insofferente per natura del­ la sistematizzazione, era destinata ad accontentarsi, dopo re­ visione e con commento, di una raccolta di articoli sparsi nel corso degli anni in riviste e in miscellanee. II. In secondo luogo, tre libri dovevano esporre gli usi non piu teologici, ma letterari, che i principali popoli indo­ europei hanno fatto del loro comune retaggio sia del quadro delle tre funzioni, sia di altre parti dell'ideologia. Contavo di dare a questa serie un titolo generale, Mythe et épopée. III. Infine alcune monografie, ciascuna dedicata a uno so­ lo dei principali popoli indoeuropei, almeno a quelli che ave­ vo osservato con maggiore continuità (indiani, iranici di Asia e di Europa, latini, germani), dovevano esporre come le loro diverse religioni, nel corso della storia, avessero mantenuto, alterato, mescolato, imbastardito, prima o poi attenuato o addirittura perduto la loro parte iniziale di eredità indoeuro­ pea. PREFAZIONE XI Sapevo che queste suddivisioni, chiare nel programma, lo sarebbero state meno nell'esecuzione, e anche che l'ordine logico delle pubblicazioni non sarebbe stato osservato: per­ ché l'edificio fosse armonioso e senza sovrapposizioni, si sa­ rebbe dovuto costruire tutto insieme. In realtà il programma è stato modificato, e persino invertito. Il tempo dei bilanci è stato inaugurato nella terza serie. Roma è stata trattata per prima e piu ampiamente nella Reti­ gian romaine archa"ique ( Payot, Paris 1 96 6 ) [trad. it. La re­ ligione romana arcaica, Rizzoli, Milano 1 977] , tradotta in in­ glese col titolo The Archaic Roman Religion (The University of Chicago Press, 1970); una seconda edizione francese, rivi­ sta e migliorata rispetto alla traduzione inglese, è uscita nel 1 974. Sviluppi che non potevano trovare posto in quel gros­ so volume hanno dato luogo nel 1 969 a Idées romaines (Gal­ limard, Paris), e poi, nel I 975, a Fétes romaines d'eté et d'au­ tomne, suivi de dix questions romaines (Gallimard, Paris) e a Mariages indo-européens suivi de quinze questions Romai­ nes (Paris I 979). Quanto ai germani, mi sono limitato (e mi limiterò salvo imprevisti) a pubblicare la traduzione inglese di un testo, mr­ retto e corredato di quattro appendici, dello schizzo presen­ tato nel I 9 59 col titolo Les dieux des Germains (Presses Uni­ versitaires de France, Paris ) [trad. it. Gli dei dei Germani, Adelphi, Milano I 979'] : è il libro intitolato Gods of the An­ cient Northmen, curato dal professor Einar Haugen (Univer­ sity of California Press, I 973). Le altre parti del piano sono sempre in programma. Due raccolte di vecchi articoli aggiornati e di nuovi saggi che li coordineranno usciranno prossimamente. Tratteranno una di argomenti indoiranici, l'altra di problemi scitici . Quanto al volume indiano, che occorrerebbe comporre interamente, mi sembra compromesso; l'Introduzione e i due primi capitoli del presente libro lo sostituiranno per ciò che mi sta piu a cuore. La seconda serie, aperta nel I 96 8 , oggi è la piu avanzata: i tre volumi di Mythe et épopée (Gallimard, Paris) sono usci­ ti con sottotitoli che ne indicano sufficientemente l'orienta- XII PREFAZIONE mento: I . L'idéologie der trois fonctions dans les épopées der peuples indo-européens ( I 968 [trad . it. Mito e epopea. La terra alleviata. L'ideologia delle tre funzioni nelle epo­ pee dei popoli indoeuropei, Einaudi, Torino 1 9 8 2] ; seconda edizione corretta 1 974); II. Types épiques indo-européens: un héros, un rorcier, un roi ( 1 97 1 ) ; III . Histoires romaines ( 1 973). Di questi libri, solo due frammenti sono stati tradot­ ti in inglese: la terza parte di Mythe et épopée II, col titolo The Destiny of a King (University of Chicago Press, 1 973), e la seconda di Mythe et épopée III, col titolo Camillus (Uni­ versity of California Press). A questa sezione si deve aggiungere una riedizione di un libro del I 95 3 , corretto e con l'aggiunta di sei appendici, dal titolo Du mythe au roman, la saga de Hadingus (Saxo grama­ ficus I, v-viii) et autres esrais (Puf, Paris I 970) ; ne è uscita una traduzione inglese, From Myth to Fiction (University of Chicago Press, I 973). Infine, nella prima serie, è stata trattata solo la funzione guerriera, in Heur e malheur du guerrier (Puf, Paris 1969) [trad . it. Ventura e sventura del guerriero , Rosenberg e Sel­ lier, Torino I 974] rimaneggiamento, aumentato di un terzo, di Aspects de la fonction guerrière chez les Indo-Européens ( 1 956), vecchio titolo conservato d'altronde come sottotito­ lo. Questo libro è stato tradotto in inglese, The Destiny of the Warrior (University of Chicago Press, r 970 ). Quanto al problema per me piu importante quindici anni fa, la messa a punto di Jupiter Mars Quirinus e di Mitra-Va­ ru1Ja, sono stato spinto a farne il tema di questo libro, senza attendere oltre. La forma e l'ampiezza sono dunque ben di­ verse da quanto credevo di poter annunciare nel I 968 nella prefazione di Mythe et épopée 1: un solo volume, dove l'In­ troduzione rappresenta, grosso modo, Jupiter Mars Quirinus, e la parte centrale del libro Mitra-Varu1Ja. Ecco perché. I libri pubblicati nelle sezioni I I e III del bilancio, spe­ cialmente La religion romaine archa'ique e Gods of the North­ men, come la seconda parte di Mythe et épopée l, si trova­ no a presentare già una parte notevole della materia che avrebbe dovuto costituire un ]upiter Mars Quirinus comple­ to ed equilibrato : nei libri romani, rispettivamente I 30 e I 8o PREFAZIONE XIII pagine hanno sviluppato, con le sue prime conseguenze, l'in­ terpretazione trifunzionale della triade precapitolina; analo­ gamente, il primo quarto del libro germanico ha spiegato i motivi per cui mi pare che la stessa interpretazione si im­ ponga per la triade divina di Uppsala, e sia preferibile all'in­ terpretazione storicizzante, evoluzionistica, che è stata fìnora preferita. Era inutile riassumere qui tali dimostrazioni . Al contrario, i fatti indoiranici, che costituiscono le due colonne orientali dell'edificio sostenuto, in Occidente, dalla triade precapitolina e dalla triade di Uppsala, erano stati certo af­ frontati piu volte dopo il 1938, perché senza di essi non sa­ rebbe stato possibile alcun progresso; ma proprio perché so­ no essenziali, era opportuno trattarli autonomamente con rigore e ampiezza. A ciò è dedicata l'Introduzione. D'altra parte la teologia della prima funzione - degli « dei sovrani », secondo l'espressione deliberatamente ambigua di Abel Bergaigne, orientata insieme verso il grado piu alto del sacro e verso il potere politico - nel complesso del mio lavo­ ro è la parte dove sono stati ottenuti i risultati meglio artico­ lati, come pure la parte che è stata attaccata piu vivacemente e spesso nel modo meno raccomandabile. Era dunque oppor­ tuno esporla a lungo, quasi in modo scolastico, collocando in una giusta prospettiva - con statistiche incontestabili - dati molto abbondanti, e sottolineando l'ordine e la concatena­ zione degli argomenti. È essa che, dopo il Jupiter Mars Qui­ rinus sommariamente ripreso nell'Introduzione, forma la ma­ teria del libro. È la sola a comparire nel titolo. Ma anche qui s'imponeva una differenza di trattamento fra la parte indoiranica del dossier e le parti romana e ger­ manica. A causa della natura dei documenti (inni vedici e Brahma1Ja, inni gathici·e Avesta non gathico), i fatti indiani e iranici sono quelli osservabili piu facilmente e piu comple­ tamente, e il confronto che si può fare tra gli uni e gli altri scopre nettamente uno stato indoiranico della teologia. Era dunque necessario chiarire in primo luogo questi fatti «orien­ tali ». A loro volta essi illuminano i fatti «occidentali » , pre­ sentati nei documenti meno sistematicamente; permettono inoltre di riconoscervi organizzazioni di concetti e di fìgure divine che richiamano quelle degli indoiranici, ma anche di scoprirvi elementi originali che rappresentano sia innovazio­ ni, sia antiche varianti fedelmente conservate. Invece, l'esi- XIV PREFAZIONE stenza, in francese e in inglese, della Religion romaine archa"i­ que e di Gods of the Northmen consigliava di alleggerire i capitoli « occidentali », mentre, negli « orientali », tutto dove­ va essere ripreso ab ovo. Ridotto agli indiani, agli iranici e, piu succintamente, ai latini e ai germani, il panorama non poteva che apparire muti­ lato; quanto ai celti e persino alla Grecia, risultati molto im­ portanti sono stati ottenuti nella prospettiva aperta qui, e parecchi studiosi continuano a esplorare con fortuna questi settori. Ma per quanto mi concerne ho preferito attenermi ai principia theologica, alle corrispondenze iniziali che garanti­ scono la legittimità dello studio e senza le quali le masse infi­ nitamente differenziate delle tradizioni irlandesi o greche non potrebbero essere interrogate utilmente. Di fatto, proprio a partire dall'osservatorio che sostengono i quattro Atlanti qui mobilitati studiosi perspicaci come Alwyn e Brinley Rees nel loro Celtic Heritage, Christian Guyonvarc'h e Françoise Le Roux in numerosi articoli di « Ogam », Daniel Dubuisson in piu saggi, Lucien Gerschel, Francis Vian, Atsuhiko Yoshida, Richard Bodéiis, Bernard Sergent nei loro saggi greci, hanno potuto identificare con verosimiglianza ampie vestigia di ideo­ logia indoeuropea, senza parlare di rivelazioni sensazionali che maturano altri ricercatori. Non è, questo, un libro di discussione, ma di esposizione. Non presenta che il mio lavoro e non si occupa, per principio, di quello di altri autori che, in virtu di postulati o con proce­ dimenti di analisi e di dimostrazione con cui io non concordo, arrivano naturalmente a risultati diversi intorno agli stessi argomenti. Il futuro confronterà le nostre logiche e giudiche­ rà. Per esempio dirà se il ricorso al dio slavo Veles spiega l'indiano Varul).a, e se è davvero Ap!Jm Napat che corrispon­ de allo stesso Varul).a nell'Avesta postgathico. Il mio silenzio non deriva né dall'ignoranza né dal disdegno, ma dalla prova fatta piu volte da altri e da me, della futilità di tali discus­ sioni. Se in passato ne ho sostenute molte, e contro « autori­ tà » affermate, è perché dovevo aprire, foss'anche con la vio­ lenza, quell'accesso a un uditorio minimo che si pretendeva di proibirmi. Questa tappa sembra superata. La principale eccezione al riserbo deliberato riguarderà i libri di J an Gonda PREFAZIONE xv ( 1 972), The Vedic God Mitra e The Dual Deities in the Re­ ligion of the Veda, che hanno il merito di contribuire alla discussione con molti testi secondari finora inutilizzati. Ma l'autore crede di potere al tempo stesso modificare la conce­ zione tradizionale di Mitra e della coppia Mitra-Varut:ta, men­ tre se si classificano razionalmente i dati, nuovi e vecchi, è facile constatare come la confermino. Ho sottolineato questa divergenza il piu brevemente possibile, rinviando d'altronde a Gonda per i tésti che ho conosciuto grazie a lui. Piu in ge­ nerale le note e i riferimenti sono stati ridotti all'indispen­ sabile. Per i testi vedici e gathici in particolare, ho adottato senza discutere, fra le traduzioni che sono state proposte, fino alle piu recenti; quelle che dopo esami ripetuti mi sono sem­ brate piu plausibili, informandomi anche, per i secondi, del­ l'opinione di specialisti di cui i miei avversari piu risoluti non contestano la competenza. Su due punti importanti che avevano anch'essi dato luogo, in passato, ad accese polemiche, ho aggiunto in appendice, at­ tenuandone alcuni aspetti, articoli già vecchi in cui la mia po­ sizione si trova giustificata. Una seconda appendice, aggiunta quando il libro era in corso di stampa, risponde invece a un bisogno recentissimo. G. D. A b b r e v i a z i o n i. -Ar8.1)yaka ApastambaGS AtharvaVeda -Briihmat:ta BharadvajaSS «Bulletin of the School of Orientai (and African) Studies» BrhadA.rat:J.yakaU Festus, Paulus V U Ed. Wallace M. Lindsay, 1913 (Teubner) e 1930 (Glossaria Latina IV) ]an Gonda, Tbe Vedic God Mitra (1972) Gonda, M Gonda, DD Jan Gonda, Tbe Dual Deities in the Religion of the Veda A ApGS AV -B -BhSS BSO(A)S BAU - (1972) -GS IF II! ]A JAOS KB KGS KS UtSS Mbh Muir,OST PiirGS PB -GrhyaSiitra « lndog�.:rmanische Forschungen» «Indo· Iranian Journai » «J ournal Asiatique » «Journal of the American Orientai Society» KathakaB KathakaGS KathakaS LacyayanaSS Mahabharata John Muir, Original Sanskrit Texts, 1-5 (1858-70) ParaskaraGS Paiicavi'!lsaB Plutarco, Rom, N Vite di Romolo, di Numa -Puriit:ta « Revue Celtique » «Revue des Études Latines» Renou, EVP Louis Renou, Études védiques et PiitJinéennes, 1-17 «Revue de l'Histoire des Religions» ( 1955-59) RHR �gVeda �V -S -Sa'!lhita -Pur RC REL 2 ABBREVIAZIONI XVIII SiinkhSS SBAkWien SB SMSR -SS TA TB TPhS TS -U UUA vs y ZCPh ZDMG SankhayanaSS «SitzungsBerichte der (k.k.) Akademie der Wissenschaften, hist.-phil. Klasse, Wien» SatapathaB «Studi e Materiali di Storia delle Religioni» -SrautaSiitra TaittiriyaA TaittiriyaB «Transactions of the Philological Society» TaittiriyaS -Upani�ad «Uppsala Universitets Arsskrift» VajasaneyiS Yasna «Zeitschrift fiir Celtische Philologie» «Zeitschrift der Deutschen Morgenlandischen Gesellschaft» Poiché devo rinviare spesso ai miei libri, uso alcune sigle: DG Les dieux des Germains, Puf, Paris 19.59; testo rimaneg­ giato tradotto in inglese sotto la direzione di E. Haugen, Gods of Ancient Northmen (- GAN ), University of Cali­ fornia Press, Los Angeles 1973. FR IR ]MQ Fétes romaines d'été et d'automne, Gallimard, Paris 197.5. Idées romaines, Gallirnard, Paris 19.59. ]upiter Mars Quirinus, I-III, Gallirnard, Paris 1941-4.5; ME Mythe et épopée, Gallimard, Paris: I, 1968; F, 1974; Il, IV, Puf, Paris 1948. 1971; III, 1973. MV Mitra-Varu1Ja, Puf, Paris 1940; seconda edizione Galli­ NA RIER Naissance d'Archanges (-]MQ III). Rituels indo-européens à Rome, Klincksieck, Paris 19.54. La religion romaine archaique, Payot, Paris 1966, seconda edizione riveduta e ampliata 1974; trad. inglese Archaic Roman Religion ( ARR), University of Chicago Press, RRA mard, Paris 1948. - Chicago 1970. Nota s u l l e t r a s c r i z i o n i. Le citazioni sono fatte, per ogni lingua, nella grafia o nella trascrizione usuali. La lunghezza delle vocali è indicata con l'accento acuto nell'islandese an­ tico e nell'irlandese antico, in tutti gli altri casi con un trattino orizzontale; il è la vocale shwa; islandese ant. y equivale al tedesco ii; in avestico q è un a nasalizzato, a un dittongo ridotto. s, i, é, 1 equivalgono rispettivamente al suono se palatale italiano, al i francese, al c e alla g palatali italiane; x y (e g) sono il suono «ach» tedesco con la sonora corrispondente; in avestico e lì equivalgono al th sordo e forte dell'inglese, come pure, nell'islandese antico, P a; i islandese antico è i semi­ vocalico. In sanscrito, r è r sonante; '!l nasalizza la vocale precedente; c i equival­ gono a c g palatali italiane; n n sono le forme (velarizzate, palatalizzate) che n assume davanti a c e g velari e davanti a c e g palatali; f e! sono due va­ rianti delle fricativo-palatali sorde (cfr. la pronuncia toscana della c palatale intervocalica; !, 4, � sono consonanti invertite (la punta della lingua tocca il velo pendulo del palato); f:J è un'aspirata sorda sostituita a s finale in certe posizioni. In parecchi corpi minori, un certo numero di lettere accentate o sottoli­ neate (corsivo) hanno dovuto essere sostituite dai caratteri tondi corrispon­ denti - specialmente, in sanscrito, piu vocali lunghe accentate; r è anche sostituito da r; f allora equivale a r accentato, f a r lungo accentato. BU del sovraal degO IDdoearopel A mia sorella Marie pensando all'immensa abnegazione dei nostri genitori, il generale Jean Anatole Dumézil I857-I929, Marguerite Dutier Dumézil I860-I945· Introduzione Gli dei indoiranici delle tre funzioni Nel I907, nella parte settentrionale dell'Anatolia, là dove era situata una capitale dell'impero ittita, gli sterratori estras­ sero un documento che suscitò immediatamente un grande interesse. Si sapeva già che, nella seconda metà del secondo millen­ nio a. C., parecchi dei piccoli principi della Siria e della Pale­ stina che difendevano bene o male la loro esistenza in mezzo ai grandi re loro vicini portavano nomi che potevano essere interpretati sia con l'indiano vedico, sia con l'indoiranico co­ mune: in una coalizione contro il re semita di Urusalim, la futura Gerusalemme, colpevole di fedeltà al faraone, non si trovavano forse, tra gli altri, anche un Su-wa-ar-da-ta e un In-dar-u-ta? Il primo, signore della città che la Bibbia chia­ merà QéJ'tliih, era con ogni probabilità, secondo il suo nome, «Creato da Suvar» (vedico Svàr, Suar « Sole»), e l'altro, re di AkSapa, la biblica AkSaf, aveva un omonimo esatto nel �gVeda (8, 68, Il), Indrota, vale a dire Ind(a) ra-iita, «Aiu­ tato da Indra». Ma si trattava di un para-indiano piu note­ vole di quanto rivelasse Boghazkoy, di un re del potente pae­ se di Mitanni. Dopo averlo letto Mat-ti-u-a (z)-za, oggi si tra­ scrive il suo nome (KUR-ti-U.-a(z)-za) piuttosto nella forma Kur-ti-u-a(z)-za, o Sat-ti-u-a(z)-za - ossia *sati-vaja, «che gua­ dagna bottino» (cfr. l'astratto vedico inverso vaja-sati). Que­ sto personaggio era a sua volta figlio di un Tu-us-rat-ta (va­ riante Tu-is-e-rat-ta), vale a dire o il vedico tve�a-ratha, «Dal carro impetuoso» (epiteto della truppa dei Marut), o una for­ ma vicina, *tvi�(i)-ratha. 6 INTRODUZIONE r. Gli dei indiani di Mitanni. KUR-ti-u-a(z)-za recava alla storia un contributo maggio­ re della sua fragile persona. Detronizzato, aveva ricuperato il suo rango grazie al re ittita Suppiluliuma I, che inoltre gli aveva dato in moglie sua figlia. La stretta alleanza che era im­ posta da questi benefici fu sancita formalmente verso il I 3 Bo con un trattato, redatto in accadico, di cui furono ritrovate piu copie. Il mitannico si impegnava a restare fedele a suo suocero, ed elencava i castighi celesti in cui accettava di in­ correre se avesse mancato di parola. Secondo l'uso, i con­ traenti prendevano come garanti del loro accordo importanti divinità dei loro imperi. Ora fra i testimoni del mitannico, accanto a molti sconosciuti e a un gran numero di altri in cui si possono individuare divinità locali o babilonesi, compare un gruppo omogeneo: ILANI mi-it ra-as-si-il ILU in-dar [var. in-da-ra] ILANI u-ru-ua-na-as-si-el [var. a-ru-na-as-si-il] ILANI na-Ia-at-ti-ia-an-na Dopo la scoperta delle tavolette si riconobbe che si trat­ tava di quattro nomi divini tra i piu comuni del �gVeda, e, dopo qualche discussione, oggi si concorda nell'ammettere che la finale -si! attaccata ai primi due e ad essi soltanto è un'approssimazione urrita destinata a rendere l'idiotismo sanscrito che è il doppio duale Mitrii-varu1Jii, «Mitra e Varu­ I).a in coppia». Gli dei indiani che invoca questo re dal nome indiano sono dunque, nell'ordine, Mitra-Varul).a, Ind(a)ra e i due gemelli Nasatya o Asvin. Dei « indiani» piuttosto che «indoiranici comuni » : il com­ plesso delle vestigia linguistiche che questi effimeri conqui­ statori si sono lasciati dietro consiglia effettivamente questa identificazione, sebbene essa dia ancora luogo a controver­ sie, e persino a qualche invettiva, di retroguardia ' . Si può im1 Il principale studioso degli «indiani d'Occidente» è Manfred Mayrho­ fer, che ha dedicato loro parecchi libri e molti saggi, tutti molto importanti. Ricordiamo specialmente Die Indo-Arier im alten Vorderasien, mit einer GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 7 maginare in diversi modi il fatto storico, la migrazione di cui testimonia questa presenza di para-indiani sull'Eufrate e an­ cora piu vicino al Mediterraneo, all'inizio del secolo XIV. Il piu semplice sta nel supporre una scissione in un periodo pre­ coce dei movimenti che hanno portato il grosso dei futuri indiani dal Turkestan meridionale fino al Pengiàb: alcune co­ lonne devianti si saranno dirette verso l'estremo Occidente. Pronti nel rivendicare i quattro dei, gli indianisti sono sta­ ti piu lenti nel cercare che cosa significasse la loro presenza, la loro riunione nel trattato di Boghazkoy. Sono state propo­ ste piu soluzioni : a titoli diversi, questi dei sarebbero stati comunque preoccupati del rispetto della parola data (Wolf­ gang Schulz 1 9 I 6) '; oppure, poiché una delle basi dell'al­ leanza è costituita dal matrimonio del re mitannico con la figlia del re ittita, essi - o almeno gli ultimi - sarebbero stati interessati dalle unioni matrimoniali (Sten Konow I 92 I ) ' ; nel I926, il piu riflessivo d i questi esegeti, Arthur Christen­ sen ' , ha suddiviso la lista in due parti, e interpretato Mitra­ Vatul)a come i rappresentanti degli dei « asura », Indra e i Nasatya come quelli degli dei « deva »; tramite questi dele­ gati, il mitannico si sarebbe posto sotto il controllo del com­ plesso di un pantheon bipartito. Ognuna di queste interpre­ tazioni va incontro a obiezioni. Se è vero che Mitra e Varuna sono per natura custodi dei patti, e se si può capire, al limite, che il dio guerriero Indra sia loro aggiunto con il compito di somministrare le sanzioni violente, non è possibile estendeanalytischen Bibliographie, 1966; Die vorderasiatischen Arier, in « Asiati­ sche Studien», XXIII ( 1969), pp. 139-54; Die Arier im vorderen Orient- ein Mythos? Mit einem bibliographischen Supplement, in SBAkWien, 294, 3, 1974. Vi si troverà tutto ciò che è divertente, o utile, sapere intorno a re­ centi dibattiti (A. Kammenhuber, I. M. D'jakonov). Se si potesse ancora esitare sulla nazionalità di questi arya dell'Eufrate, cercarvi un terzo ramo autonomo dell'insieme indoiranico, o addirittura dei proto-iranici, la dimo­ strazione che è fatta qui non sarebbe che facilitata; ma il problema è stato risolto. 2 Wolfgang Schulz, Die Zwillingsbruder, in «Mitteilungen der vorder­ asiatischen Gesellschaft», XXII-XXIII ( 1916), pp. 284-86; discusso in NA, pp. 27·28. 3 Sten Konow, The Aryan Gods of the Mitani People, in Royal Frederik University, Publications of the Indian Institute (Kristiania), 1924, I, 1 ; di­ scusso in NA, pp. 28-34. Questa tesi è stata ripresa in una nuova forma da Pau] Thieme; vedi qui, Appendice prima. • Arthur Christensen, Quelques notices sur !es plus anciennes périodes du -zoroastrisme, in Acta Orientalia, 1921, pp. 89, 93-97; discusso in NA, pp. 30·40. 8 INTRODUZIONE re questa specializzazione ai Nasatya, senza ricorrere a grossi sofismi. Pensare che questi Nasatya ricordino gli « assistenti dello sposo» dei matrimoni, significa ipertrofìzzare una parte limitata della loro provincia vedica, e rinunciare all'omoge­ neità delle spiegazioni, poiché, in ogni modo, questa non può essere applicata né a Indra, né a Mitra-VaruJ?a. Quanto alla distinzione asura- deva, non è un'opposizione, come aveva interpretato Christensen: in vedico asura sta a indicare un tipo di natura e di azione attribuito a qualche deva, e inoltre ai demoni; le due qualificazioni si sovrappongono; pur es­ sendo i principali asura, Mitra-VaruJ?a restano nondimeno dei deva; inoltre la redazione del testo di Boghazkoy non con­ trappone solidalmente lnd(a)ra e i Nasatya alla coppia for­ mata da Mitra e da Varul).a, elenca tre termini omogenei. Questi tentativi, oltre alle difficoltà proprie di ognuno di essi, avevano in comune una debolezza: dimenticavano una precauzione elementare. Prima di qualsiasi commento, si sa­ rebbe dovuto cercare se lo stesso raggruppamento s'incontra o no negli inni o nei rituali vedici, e, qualora vi si incontrasse, osservare in vivo il valore e la destinazione. La sola osserva­ zione pubblicata in questo senso fino al I 940 era stata for­ nita da {{V 8 , 2 5 : dedicato agli Asvin-Nasatya, questo inno nomina Indra nella strofa 8 nel composto al duale semplice Indranasatya (esempio unico nella raccolta), poi, nella stro­ fa I I , Mi tra-Varlll).a con Aryaman, e nessun altro dio. Que­ sta indicazione era interessante, sebbene sia eccessivo consi­ derare come un raggruppamento sistematico menzioni disse­ minate senza ordine né collegamenti, in posti lontani tra loro, attraverso I 9 strofe '. 2. Gli dei indiani di Mitanni nei rituali e negli inni ve­ dici: due esempi. . Ora si dà il caso che il raggruppamento divino di Bogha­ zkoy sia precisamente testimoniato, come raggruppamento, nella letteratura vedica in versi e in prosa. Il dossier di que­ ste testimonianze è stato costituito progressivamente a par­ tire dal I 940, e se ne constaterà lo stato attuale nella prima 5 Le strofe 2o-25, a Vayu, di fatto sono un altro inno. GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 9 Appendice del presente libro. Qui mi limiterò a studiarne due delle piu utili. L'una si trova in una formula rituale della Vii.jasaneyiSamhitii. ', l'altra in un inno speculativo comune al �gVeda e all'AtharvaVeda '. I ) Per tracciare sul suolo il rettangolo nel quale sarà pre­ parato e acceso l' ii.havanzya (il fuoco incaricato di trasmettere agli dei le offerte degli uomini), un solco è aperto con l'ara­ tro. Questa operazione, che è eseguita a condizioni rigorose (quanto al punto di partenza, alla direzione), è accompagnata da una formula rivolta alla vacca mitica Kamadhuk, « quel­ la da cui si munge tutto ciò che si desidera» (VS 1 2 ; SB 7, 2 , 2, I2): kdma'!1 kiimadughe dhuk�va mitrdya vraut;zdya ca indriiyiifvfbhyiif!Z pu�t;zé prajdbhya 6�adhibhyal;. «Produci (come latte) ciò che desiderano a Mitra e a VaruiJ.a, a Indra, ai due Asvin, a Pii�an, alle creature, alle piante! » E il Brahma1Ja commenta: sarvadevatyii vai kr#r etiibhyo devatiibhyal; sarviin kiimiin dhuk�vety etad. L'agricoltura concerne tutte le divinità; per queste divinità pro­ duci (come latte) tutti i desideri; tale è il senso. 2 ) In un inno (�V IO, I 25 AV 4, 30) ' dove, secondo la tradizione indiana, una donna chiamata Vac, « Parola» - che deve essere in realtà la Parola divinizzata - afferma di essere il fondamento dell'universo, la prima strofa è costituita da un duplice elenco : in primo luogo delle classi degli dei, e poi degli dei individuali : = aha'!1 rudrébhir vasubhif cariimy aham iidityair uta vifvadevail; ahaf!Z mitrdvarut;zobhd bibharmy aham indriignt aham afvinobhd. Sono io che vado con i Rudra, con i Vasu, con gli A.ditya, e con i Tutti-gli-Dei; Sono io che porto Mitra-Varul)a, i due, io che porto Indra-Agni, io che porto gli Asvin, i due. 1 Interpretata nel 1941 in ]MQ, l, p. 6o, assieme alla lista degli dei di Boghazkoy, p. 51. ' Interpretato nel 1948 in ]MQ, IV, pp. 26-30. ' L'ordine delle strofe è diverso: I'AtharvaVeda trasporta la strofa 2 del �gVeda davanti alle ultime due, e inverte le strofe 4 e 5· Le varianti testuali sono insignificanti. IO INTRODUZIONE Il primo insegnamento che dànno questi testi e tutti quelli dello stesso tipo è negativo : il raggruppamento degli dei in­ dividuali che impiegano in comune non può essere stato sug­ gerito dalle circostanze particolari di ciascuno, poiché esse sono diverse: se garantisce a Boghazkoy un trattato di allean­ za che comporta un matrimonio, presiede all'apertura di un solco sacro nella preparazione del fuoco delle offerte, e, nel­ l'inno speculativo, è semplicemente un elemento dell'assor­ timento divino che la Parola pretende di «portare ». Ma questi testi dànno anche un insegnamento positivo piu sostanziale di quanto non potesse-fare l'asciutto protocollo di Boghazkoy : collocano il raggruppamento entro insiemi che orientano la sua interpretazione. Entrambi lo presentano come una serie unitaria di elementi in un elenco che vuole essere esaustivo: la Vacca è invitata a soddisfare sarviin kii­ miin, tutti i desideri, e la Parola dichiara di portare tutto, persino al di là della parte visibile del nostro mondo. E que­ ste totalità sono analizzate. Secondo quale piano? La vacca che l'officiante interpella è quella che, secondo la mitologia vedica e post-vedica, ha un rapporto essenziale con la gerarchia, piu esattamente con la collocazione gerarchica degli esseri, poiché il principale mito in cui interviene, la sto­ ria del re Prthu, racconta come i prodotti successivi dei suoi parti e delle sue mungiture, distribuiti tra questi esseri, ab­ biano assegnato a ciascuno il suo giusto posto nel mondo 4• È a questa funzione classificatoria, gerarchizzante, che si rife­ risce la formula della preparazione dell'altare del fuoco. Per partire dalla fine, gli ultimi due termini, le « creature » (qua­ le che sia il valore preciso della parola) e le «piante», seb­ bene personificate (poiché hanno dei « desideri »), sono ap­ pellativi, e, in quanto tali, restano all'interno della natura organica. Situato proprio prima di loro, Pu�an è un dio, ma il dio degli armenti, e dunque è ancora vicinissimo alla na­ tura animale, come il suo omonimo greco, il grande Pan ; inoltre è talvolta collegato ai sudra, vale a dire alla parte piu bassa, originariamente non arya, della società (cosi Brhadii­ ratzyaka Upan. I, 4, I3) '. Per estensione logica, si deve dun4 IR, pp. I I I·17. ' Su Pil�an, vedi gli studi di S. D. Atkins, Pu�an in the Rig-Veda, Prin­ ceton 1941 ; Pu�an in the Siima, Yaiur, and Atharva Vedas, in ]AOS, LXVII ( 1947), pp. 274-95. Vi si troveranno piu esempi di una triade evidentemente GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI II que intendere che i tre termini che, fino a Pii�an, formano tutta la lista - Mitra-Varut:J.a, Indra, i due Asvin - facciano riferimento a concetti di dignità superiore rispetto a tutto ciò che li segue, e che siano anch'essi enunciati secondo un or­ dine di dignità decrescente dal punto di vista dell'uomo in società. Si pensa subito alla struttura gerarchizzata dei tre vart;a arya - preti, guerrieri, allevatori, che i siidra sono ve­ nuti a completare dal basso; o almeno ai principi di questi tre vart;a: brahman, k�atra, vis(aM. 3· Analisi di «{{V>> IO, I2J «AV» 4, JO. = L'inno speculativo è molto piu ricco. Saldamente compo­ sto, deve essere esaminato nel suo insieme. Considera la po­ tenza della dea da quattro punti di vista collegati da interes­ santi transizioni 1• La prima parte presenta la Parola nella sua relazione dominante con due gruppi di divinità (tra le quali la lista ternaria di cui ci occupiamo), seguiti, nel �gVeda, da alcuni dei isolati; la seconda, molto breve, l'analizza in se stessa, sulla base di una triade di eccellenze; la terza, la piu lunga, la mostra sotto l'aspetto per cui provvede alle tre prin­ cipali attività o necessità umane; la quarta la esalta nel suo ruolo cosmico. È a priori probabile che, in questo insieme nitidamente costruito, le strutture triplici delle prime tre parti non siano indipendenti, e che esprimano in termini ditrifunzionale, dove il gradino inferiore è occupato da Pii�an, con esclusione degli Asvin; per esempio ]AOS, p. 278, una variante del testo di cui ci stia­ mo occupando (TS 4 , 2, 5 ) : kiimaf!Z kiimadughe dhuk�va mitriiya varu1_1iiya­ ca indriiyiignaye pu�na o�adhibhya/:J prajiibhyaf:J. Qui, come spesso (vedi qui, Indra è appaiato con Agni, il quale non è legato esclusivamente a p. una unzione. Sui iudra vedi Ram Sharan Shamra, Sudras in Ancient India, 1958. 1 Questo inno si trova tradotto o commentato specificamente in Abel Bergaigne, Quarante Hymnes du « Rig-Veda », 1895, pp. 70-71 ; K. F. Geld­ ner, Der Rig-Veda, III, 1951, pp. 355-56; Louis Renou, Hymnes spéculatifs du Véda, 1956, pp. 123-24; W. Norman Brown, Theories o/ Creation in the Rig-Veda, in ]AOS, LXXXV ( 1 965), p. 33 (cfr. p. 27). F. Edgerton, The phi­ losophic materials of the Atharva Veda, in Studies in honor of Maurice Bloomfield, 1920, p. 1 26, ha appreuato i cambiamenti apportati al testo rgvedico nell'AtharvaVeda; K. L. Janert, Rigveda-Studien, in II], II ( 1958), pp. 103-4, ha studiato il significato di -sthiitra nel verso 3d; in Renou, EVP, 16 (postumo), 1967, pp. 166-67, si sono potute raccogliere solo alcune note in vista di un commento. 11), 12 INTRODUZIONE versi ma fondamentalmente equivalenti una stessa idea del­ la dea. 1. I. ah!Jf!l rudrébhir vasubhii cariimy aham iidityair uta visvadevai!J ah!Jf!l mitravarut;zobha bibharmy ah!Jm indriignl ah!Jm asvinobhd. 2. ah!Jf!l s6mam iihanasam bibharmy ah!Jf!l tva�{iiram uta pu�at;zam bbagam abam dadhiimi dravinam [AV dravina] havismate supriivyè [AV supriivyiij ya;amiiniiya· sunvatJ. I. Sono io che vengo con i Rudra, con i Vasu, io con gli Aditya e con i Tutti-gli-Dei. Sono io che porto Mitra-Varu�a in coppia, i due, io che porto Indra-Agni, io che porto gli Asvin in coppia, i due. 2. Sono io che porto l'eccitante 2 Soma, io che porto TvaHar e Pii�an, Bhaga. Sono io che fornisco ricchezza a chi fa libagione, al buon invocatore, a chi sacrifica, a chi spre­ me il soma. II. 3· abaf!l rJ�{ri SOf!lgamani vasuniif!l cikitu�i prathamd yaiiiiyiiniim tdm mii devd vy àdadhuiJ purutrd bhuristhiitriim bhury iiveiayantim [AV -antaiJ]. 3· Sono io che sono la dominatrice, colei che raccoglie beni ma­ teriali, colei che comprende - la prima degli esseri degni del sacrificio. Gli dei mi hanno distribuita in vari posti (di modo che) io sono postata in molti luoghi e vi intro­ duco molte cose 3• III. 4· mayii so annam atti y6 vipasyati yaiJ prdt;ziti [AV prdt;zatz] ya tf!l 1-ct;z6ty uktam amantavo mdf!l la upa k�iyanti srudhi sruta sraddhivaf!l [AV sraddheyaf!l] te vadiimi. 5. abam eva svayam idaf!l vadiimi iuHaf!l devébhir [AV devdniim] uta mdnu�ebhi!J [AV mdnusiiniim] . yaf!l kiimaye laf!1-10m ugram krt;zomi tam brahmdnam tam rsim tam sumedhdm. 6. ah!Jf!l rudraya dbanur d ianomi brahmadvise sarave kantavd u ah!Jf!l ;aniiya samadaf!l krt;zomy ah!Jf!l dydviiprthivt d viveia. 2 Renou 1967 (ma « exubérant », 1956); « en rut » (Bergaigne), « stiir ­ misch » (Geldner), « Swelling» (Brown). 3 È l'interpretazione piu diretta: dovunque gli dei l'hanno collocata e dove essa è « pestata », la parola « introduce » uno o piu vantaggi in rappor­ to con la sua natura (qui, pp. 14-16 e p. 16, nota 10, 4). La variante del­ l'AtharvaVeda è una tautologia ben piatta. GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 13 4 · È per me che egli mangia cibo, colui di cui la vista discerne, colui che respira, colui che intende la cosa detta. Senza rendersene conto, è su di me che vivono tranquillamen­ te. Ascolta, tu che sai [? o « illustre»] •, io ti dico cosa degna di fiducia. 5· Sono io, da me, che pronuncio ciò che è assaporato dagli dei e dagli uomini. Colui che amo, quale che sia, lo rendo forte, lo faccio brahman [masch.] , Io rendo Veggente, lo rendo molto saggio. 6. Sono io che, per Rudra, tendo l'arco, affinché la freccia uc­ cida il nemico del brahman [neutro] . Sono io che, per gli uomini, faccio il combattimento'. Sono io che ho pene­ trato il cielo e la terra. IV. 7· ahaf!1 suve pitaram asya miirdhan mama y6nir apsv ànta� samudré tato vi tisthe bhuvanani viivo­ tdmiif!1 dyaf!1 var�ma1J6pa sprsami. 8 . aham eva vdta iva pra viimy iirabhamiinii bhuvaniini viivii par6 divd "para end pcthivyai tdvati mahind sam babhiiva. 7. Sono io che genero il padre sulla testa di questo mondo, la mia matrice è nelle acque, nell'oceano. Di là io mi esten­ do a tutti i mondi e il cielo, laggiu, io lo tocco col vertice della mia testa. 8. Io soffio come il vento, abbracciando tutti i mondi, piu lon­ tano del cielo, piu lontano della terra: tale mi trovo a essere in grandezza •. Il piano è chiaro in tutti i suoi punti. r. La prima strofa e la prima metà della seconda pongono il tema della potenza universale in termini teologici, elencan­ do dei di cui la Parola dice che essa stessa « cammina con �> loro o che li porta : a) Cammina con quattro gruppi di dei che sono nominati, al plurale, coi loro nomi collettivi e di cui i primi tre (gli Aditya, i Rudra, i Vasu) formano una lista frequen­ te negli inni e nei rituali, mentre il collegamento di • «Toi qui sais » (Renou 1956); ma << illustre » (Bergaigne), « du Beri.ihm­ ter » (Geldner), « you man of renown » (Brown). 5 Non c'è motivo di ridurre samad al senso di « certame letterario » (Re­ nou 1967, a causa di un partito preso che segna tutta la sua interpretazione del J3.gVeda). • Non penso che etiivat, a conclusione di queste vanterie panteistiche, ab­ bia un valore « limitativo » (Renou 1957); al contrario: tantae molis erat... INTRODUZIONE questi tre con il quarto (i Visvadeva) è meno stretto. L'insieme significa certamente la totalità delle classi di­ vine, concepita secondo un'analisi tradizionale. b ) Porta tre coppie di dei personali che sono designati, in varietà del duale, con i loro nomi individuali: Mitra­ VaruQ.a, lndra-Agni, i due Asvin: vale a dire gli stessi dei di Boghazkoy con la forma �<coppia » sottolineata per il primo e il terzo termine da ubM, « entrambi (in­ sieme per natura) », ed estesa al secondo con l'inseri­ mento (senza ubhJ.) di Agni, uno dei principali soci oc­ casionali di lndra. c) Porta, isolatamente: Soma, Tva�!ar, Pii�an, Bhaga. Fra gli dei isolati del terzo gruppo, due completano la li­ sta delle coppie che precede : Tva�!ar, dio operaio, e Pii�an, dio del bestiame, compaiono nelle stesse condizioni in cui compare Pii�an nella formula di apertura del solco sacro: due attività se non inferiori, almeno legate alla materia, prolun­ gano cosi le attività di Mitra-VarUQ.a, di lndra-Agni, degli Asvin. Soma e Bhaga annunciano ciò che seguirà, essendo le divinità che corrispondono ai due termini dello scambio van­ taggioso che è definito nella seconda metà della strofa 2: il soma è la bevanda sacrificale offerta agli dei, e Bhaga ha la funzione di vigilare affinché i beni siano assegnati giustamen­ te ai membri della società; subito dopo l'elenco degli dei che essa accompagna o porta, la Parola infatti dichiara che è essa a conferire il dravit}a, i beni materiali, ma che li riserva a coloro che li meritano per la loro pietà e la loro precisione nelle libagioni e nei sacrifici (sunvaté fa riferimento a soma). Sebbene sia cosi valorizzato, questo servizio non è che uno di quelli che assicura Vac, evidentemente quello a cui attri­ buisce essa stessa il maggior pregio: non concerne diretta­ mente che Soma e Bhaga, il culto e la sua ricompensa. Ora Vac «porta» anche gli altri dei elencati prima di Bhaga (che d'altronde è egli stesso uno degli Aditya, a fianco di Mitra e di VaruQ.a), e provvede ai benefici che evocano i nomi di que­ sti dei. Quali benefici? 11. È precisamente a questa domanda che rispondono la seconda e la terza parte. Dapprima (strofa 3) Vac comincia GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 15 a definirsi in s e stessa, al di fuori dei suoi rapporti con gli dei che ha appena nominato e dei suoi rapporti con gli uomi­ ni che esporrà dettagliatamente in seguito. Lo fa con una du­ plice affermazione: a) si attribuisce, in due versi, tre qualità che giustificano la sua pretesa al «primato nel culto » : è sovrana (« re­ gna-trice »); e ha i due vantaggi che permettono le sue azioni: costituisce accumulazioni di beni; è l'intelligen­ za stessa; b) come possiamo aspettarci dopo gli enunciati teologici della prima strofa, questa sovranità si manifesta in mol­ ti campi : la dea è postata (rad. sthà-) in numerosi set­ tori di attività, e dunque capace di introdurvi (rad. vii­ al causativo) numerosi vantaggi. m. Di fatto questi campi molteplici sono in numero di tre, specificati in tre strofe (4, 5, 6), cominciando da quelli che sono già stati messi in evidenza nella seconda metà della strofa 2 e in ciascuno di questi tre settori, Vàc incontra l'uomo} non incontra che uomini, a beneficio dei quali agisce. In breve, 1 ) sono io, dice, che do il nutrimento a tutti gli esseri vivi («che respirano ») ragionevoli («di cui l'occhio di­ scerne» e che praticano il linguaggio), e che assicuro loro una sistemazione stabile e tranquilla; 2 ) sono io, dice successiva­ mente, essendo fondamentalmente la parola sacra, che faccio preti e veggenti, forti 7 e saggi '; 3) infine sono io, dice, che armo l'arco assassino per Rudra, l'avversario mitico dei de­ moni, contro il « nemico dei brahman », e che, per gli uomini, faccio il combattimento . Queste sono le tre scene dove Vàc dichiara di arrecare agli uomini vantaggi essenziali. Ma, ricorda l'ultimo verso della - 7 Mentre il sostantivo 6ias, « forza », appartiene statisticamente, in mi­ sura schiacciante, alla funzione guerriera, non è lo stesso per l'aggettivo ugra (dr. IR, 1969, p. 88, nota 1 ). ' Si noti l'aggettivo sumedhas, che caratterizza specificamente uomini della prima fWlZione, come medhasataye, « per conquistare la saggezza », la caratterizza nella triade di 7, 66, 8: « Questo carme (è fatto) in vista del­ la ricchezza, dell'oro (ray� hirat}Yay�), in vista della forza (iavase ), che di­ strugge il lupo [o: an nemico"] ; questo (poema) ispirato (è fatto) allo scopo di conquistare la saggezza (medhtisataye) ». INTRODUZIONE strofa 6, verso di transizione, gli uomini non sono i soli a interessarla: essa è penetrata nel cielo e nella terra e li oc­ cupa. IV. Infatti con queste ultime parole la dea, superando l'u­ manità, celebra un elogio di sé ampiamente panteistico che ha il valore di una conclusione: essa riempie le acque, i mon­ di, il cielo, la terra, e persino ciò che è al di là del cielo e della terra. Cosi le strofe 4, 5 e 6, le' sole, con la seconda metà della seconda, che concernano l'umanità, sono dominate l'una dal sostantivo anna, « alimento», e dalla radice k�i-, « vivere sta­ bile, tranquillo e prospero» '; la seguente dai nomi delle due varietà dell'uomo sacro, brahman e f�i; l'ultima dalle espres­ sioni dhanur d tanomi - « io tendo l'arco » -, e samadaf!Z krnomi « io faccio il combattimento» : sono (nell'ordine 3� ·I, 2 ) i contrassegni delle tre attività che, in quest'epoca della storia dell'India, si stanno cristallizzando in classi so­ ciali, «Lehrstand, Wehrstand, Nahrstand », come si è detto talvolta sacrificando l'esattezza alla rima. D'altra parte, per poco che ci si sia occupati della mitologia vedica, si vede im­ mediatamente che brahman ·e fsi rimandano alla zona di Mi­ tra-Varut:J.a, samad a quella dei combattente Indra, anna e k#- a quella dei premurosi A§vin. I tre « luoghi» in cui la dea colloca i suoi tre benefici sono dunque quelli in cui ope­ rano gli dei nominati a coppie a partire dalla strofa I (cd), ­ <( gli dei indiani di Boghazkoy » 10• - 9 Su questa radice vedi bibliografia in A. Minard, Trois énigmes sur les cent chemins, II, 1956, p. 226 ( § 6o3a). 10 Si completerà la spiegazione di questo testo con le osservazioni se­ guenti : I) L'analisi svolta qui permette di capire perché l'AtharvaVeda abbia spostato la strofa 2 : tutto ciò che concerne le tre funzioni come strut­ tura si trova cosi raggruppato senza interruzioni; ma il nuovo posto assegnato a questa strofa, mentre è già in corso lo svolgimento cosmi­ co, non è soddisfacente. 2) Non si deve cercare qui - come è stato fatto talvolta a proposito del verso JC - un'allusione ad altre classificazioni vediche delle varietà di parola o di rumore: in particolare, in rutto l'inno nulla ricorda la voce di qualche animale. 3) II fatto che sia Viic, « Uerbum », a presentarsi come il fondamento di GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI I7 Cosi sia nell'inno speculativo che nel rituale del solco sa­ cro la lista degli dei di cui ci occupiamo si basa sul riconosci­ mento delle tre funzioni - amministrazione del sacro, azione guerriera, economia - di cui l'armonia gerarchizzata è neces­ saria perché la società viva, e queste tre funzioni sono quelle che, in diversi punti del settore indoiranico - specialmente nel ben noto sistema indiano dei brahma�a, dei k�atriya e dei vaisya -, hanno prodotto una suddivisione, effettiva o idea­ le, degli uomini in preti, guerrieri e produttori (questi ultimi precisati secondo l'economia del momento). Per tornare al trattato di Boghazkoy, è l'insieme del suo popolo già orga­ nizzato in queste tre classi che il re KURtivaza impegna con i nomi dei loro rispettivi protettori, oppure si tratta, in astrat­ to, del sistema di funzioni a cui presiedono questi dei ? In altri termini, in caso di spergiuro, accetta che la squadra di­ vina lo punisca nei suoi preti, nei suoi guerrieri, nei suoi pro­ duttori differenziati, oppure che dia scacco ai suoi riti, che gli infligga disfatta e carestia? La risposta dipende dall'idea che ci si fa della società vedica e prevedica, dall'anzianità e dal grado di realtà che si attribuisce al quadro sociale chia­ mato a incarnarsi piu tardi nei var�a. Dal punto di vista del­ l'ideologia - la sola cosa che sia accessibile attraverso testi ogni cosa, spiega abbastanza bene, nelle strofe relative agli uomini, la molteplicità dei riferimenti all'ascolto e alla parola orale (o al ru­ more) : « sentire, intendere » come una delle tre caratteristiche della vita (4b); ordine di ascoltare che cosa dichiara Vac (4d); questa stessa parola gustata dagli dei come dagli uomini (5ab); forse valorizzazione dell'arco ( 6a) a causa dell'effetto sonoro del tiro? 4) L'azione della parola ai tre livelli funzionali è ben precisata : essa con­ diziona l'alimentazione (verosimilmente con l'allevamento e l'agricol­ tura, gli scambi, la cucina organizzati, dunque << parlati »), è il fon­ damento del culto e della saggezza (con le sue prescrizioni formulate e trasmesse, i suoi testi sacri), domina nella guerra (con gli ordini, le esortazioni, gli insulti, il barritus negli scontri). 5) Nella strofa 3 , è probabile che, contemporaneamente al potere reale, ra�tri (in proposito vedi Renou, 1967) evochi anche, in contrasto con i due aggettivi che seguono immediatamente, la seconda funzione donde sono normalmente tratti i re (cfr. riijanyà come sinonimo di k�atriya; lo stesso k�atra come concetto bipolare, insieme « potere temporale » e « essenza della funzione guerriera »); SB 13, r, 6, 3 , per fare capire il contrario del maschile prossimo, rii�!rin, sceglie l'agget­ tivo abala, « senza forza » ; in ogni caso queste parole vediche rii�!ri, rii�!rin, nomi d'agente, sono piu concreti di rajan : il re vi è presente non solo nel suo rango, ma nell'esercizio concreto del suo potere. r8 INTRODUZIONE come questi -, la differenza è piccola: la lista tripartita di Boghazkoy e i suoi correlati vedici testimoniano comunque di un'analisi razionale delle tre attività che, sotto il controllo degli dei competenti, concorrono (condizioni necessarie e con ogni probabilità sufficienti) alla riuscita, alla sopravvivenza di una società, e, poiché è un re che parla, di uno Stato. Di uno Stato, di una società di uomini soltanto? Certa­ mente no. Gli dei delle tre funzioni che abbiamo identificato nei �gVeda non s'interessano unicamente degli uomini, assi­ curano servigi cosmici nei quali, beninteso, conservano i loro caratteri funzionali, - e questo tanto piu facilmente in quan­ to, a causa dell'esistenza dei demoni, la società divina con­ duce una vita difficile, paragonabile a quella dei mortali. Questa considerazione ci riconduce alla prima strofa del­ l'inno speculativo, dove finora abbiamo fatto astrazione dal rapporto fra i due elenchi, quello dei gruppi divini dal nome generico e quello delle coppie divine dai nomi individuali. Che cosa rappresenta la triade formata dagli Aditya, dai Ru­ dra e dai Vasu " ? Su quale concezione si basa questa tavola delle principali « classi » della società divina? Motivi conver­ genti inducono a riconoscervi un'altra proiezione nell'invisi­ bile dello stesso modello sociale, di quello che gli uomini di quei tempi auspicavano o realizzavano per se stessi ". 1) Poiché gli Aditya spesso sono chiamati i « te», e, di fat­ to, governano l'universo, Abel Bergaigne li ha chiamati « dei sovrani» ; questo nome resta eccellente a condizione che non offuschi, nella nostra mente di occidentali, il carattere es­ senzialmente sacro, i legami sacerdotali di questa sovranità. I principali sono Mitra e Varul).a, ossia gli stessi dei che apro­ no anche l'elenco di dei individuali che stiamo studiando ". 11 Sui rapporti fra queste tre classi divine e di VisveDeva, i « Tutti-gli­ dei », non dovrei cambiare quasi nulla a ]MQ, IV, pp. 155-61, né alle ipo­ tesi romane (sui Quiriti) che seguono, pp. 16I-7o; ma non scriverei piu le pp. 1 37-54: vedi IR, pp. 209-223; tutto quanto precede la p. 137 è stato sostituito dalle prime due parti di ME, I, 1968_ Il nome Viivedeva (Visva­ qui eccezionalmente) ha due usi (Renou, EVP, 4, p. 1 ) : la totalità degli dei; un gruppo speciale composto probabilmente di elementi indistinti tratti dai tre grandi gruppi (Aditya, Rudra, Vasu), una sorta di plebe divina. " Interpretazione adottata da Renou, EVP, 4, p. 4 1 . 13 Sugli Aditya cfr. qui, capp. I e IL GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 19 Presi collettivamente, i Rudra sono una sorta di doppione dei Marut, la truppa dei giovani guerrieri atmosferici impe­ gnati in quella battaglia che è la tempesta - probabilmente proiezione nell'aldilà delle bande di marya o specialisti della guerra, che hanno svolto una parte molto importante nel­ l'espansione degli arya. Vale a dire che agiscono a livello di Indra in quanto combattente e folgorante. La solidarietà di queste diverse figure è sottolineata dal fatto che i Marut, compagni ordinari di Indra, siano detti figli di Indra. Poiché sono quasi esclusivamente un nome, è ben difficile caratterizzare i Vasu, ma il nome stesso è significativo : è il plurale maschile dell'aggettivo di cui l'uso dominante nel �gVeda è, al plurale neutro, misu, vasuni, e designa i beni materiali ". Con ogni probabilità due di queste parole sono riprese deliberatamente nella parte successiva dell'inno, ognuna col suo valore funzionale preciso : la Parola dice (strofa 3 ) di essere saf!1gamani vasunam, « raccoglitrice di beni materiali, di ricchezze », e (strofa 6 ) di tendere l'arco rudrdya, « per Ru­ dra», preso come il vincitore tipico dei demoni e dei barbari (nemici del brahman) . 2 ) Una seconda ragione conferma l a precedente. Nell'elen­ co abituale, « gli Aditya, i Rudra, i Vasu» , accade che uno dei termini sia sostituito dal termine omologo dell'elenco de­ gli dei individuali - e cioè che talvolta Indra sia accoppiato, come nell'inno speculativo, a uno dei suoi soci occasionali, o sia sostituito dalla sua banda guerriera, dai Marut; cosi si legge: �V 5, J I , ro: gli A.ditya, Indra-Viiyu, i Vasu; AV 8, r , r6: gli A.ditya, Indra-Agni, i Vasu; AV 6, 74, 3; 9, r , 3-4; ro, 9, 8 : gli A.ditya, i Marut, i Vasu; AV 5, 3, 9: gli A.ditya, i Rudra, gli Aivin. È evidente èhe queste varianti erano sentite come equiva­ lenti all'originale. 3 ) Infine certi testi liturgici provano come questo valore classificatorio della triade dei gruppi divini fosse percepito: 14 vasava[J, pl. maschile, designa sia l'insieme degli dei, che il gruppo dei Vasu (Renou, EVP, u, p. 75). 20 INTRODUZIONE ogni gruppo vi è sollecitato per un beneficio della sua specia­ lità. Cosi l'invocazione di SB I , 5 , I , q : vasiiniif!Z riitau syiima l rudriitziim urvyiiyiif!Z sviidityii aditaye syiimiinehasa!; . .Potessimo essere nella generosità dei Vasu, nell'estensione di Ru­ dra! Potessimo essere favoriti dagli A.ditya per Aditi [o: << per l'a-diti, l'assenza di legami, piuttosto mistici che materiali] in innocenza [o « sicurezza ))] mistica ! 15• 4· Le liste canoniche degli dei delle tre funzioni. I testi che abbiamo commentato, come parecchi di quelli che si troveranno citati nella prima Appendice, impartiscono altri insegnamenti che basterà segnalare brevemente. I ) La lista di Boghazkoy e - quanto ai termini omologhi ­ quella del rito del solco sacro sono la forma piu ridotta che si possa concepire (con una variante ancora piu semplice do­ ve Varur;ta rappresenta da solo il primo livello). Ma la lista dell'inno {{V Io, I 2 5 , con « lndra-Agni » al secondo livello, cosi come parecchi altri che si leggeranno nell'Appendice (con Indra-Agni, Indra-Vayu), mostrano come fossero am­ messe e comprese anche forme piu sviluppate. Al primo li­ vello, altri Aditya (Aryaman, Bhaga) potevano unirsi a Mi­ tra-Varur;ta (o a Varur;ta soltanto), eventualmente con la loro madre Aditi, o ancora poteva accadere che un dio piu specia­ lizzato nella protezione di certi preti, Brhaspati, vi compa­ risse o persino occupasse tutto lo spazio disponibile. Al se­ condo livello, Indra poteva essere accompagnato dall'uno o dall'altro degli dei che lo assistono spesso nelle sue imprese, per esempio da Vi�r;tu. Al terzo, i benefici Asvin potevano essere rafforzati da diverse divinità interessate ognuna a un aspetto particolare dell'abbondanza o della fecondità, spe­ cialmente dalla dea-fiume Sarasvati, la quale, pur essendo attiva ai tre livelli (come la Vac dell'inno, d'altronde assimi­ lata a Sarasvati in certe speculazioni), era fondamentalmente situata al terzo '. 1 5 Bergaigne, ]A, 1 ( 1 884), pp. 21 1-12, ha studiato l a varietà d i sicurez­ za o d'innocenza che indica anehas; nella grande maggioranza dei casi, il ,t{gVeda applica la parola come aggettivo, a personaggi o ad atti sacri. 1 ME, 1', pp. 103-7, e già Dumézil, Tarpeia, 1947, pp. 45-60. GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 21 Analogamente l'ordine di presentazione delle tre funzioni non è sempre l'ordine gerarchico: cosi le strofe 4, 5 , 6 del­ l'inno �V Io, I 25 , le considerano nell'ordine 3 , I , 2 (e le strofe corrispondenti della variante dell' AtharvaVeda nel­ l'ordine I , 3 , 2 ), attribuendo l'ultimo posto alla funzione guerriera. Inversamente, si giustifica facilmente il passaggio di questa stessa seconda funzione, sotto forma di Indra-Vayu, in testa alla lista: Vayu, che è per natura un « dio primo )) in riti e in miti, trae seco lndra. Questi arricchimenti e attenuazioni, anzi queste sostitu­ zioni, non sfigurano il quadro canonico, non lo fanno piu che le aggiunte esterne alla struttura delle tre funzio-ni, che tal­ volta, come si è visto, le seguono senza penetrarvi. Mostrano solo che la scienza sacra, analizzando ognuno dei tre livelli funzionali, vi praticava suddivisioni di cui ciascuna aveva il suo o i suoi patroni diversi, insomma la sua teologia, carica o meno di mitologia . 2) Nonostante le considerazioni precedenti, è statistica­ mente evidente che, nelle epoche in cui sono stati composti gli inni e fissati i riti, l'elenco che stiamo considerando non era piu l'espressione dominante della teologia delle tre fun­ zioni, mentre si deve pensare che lo fosse ancora presso · i principi arya di Mitanni. Sono gli dei propriamente liturgici Soma e Agni che, di fatto, proteggono la classe e l'attività dei preti; certo avevano dovuto avere una grande importanza dai tempi indoiranici, ma il ruolo attribuito ai loro correlati iranici Haoma e Atar, soprattutto al primo, ne mostra i li­ miti. Nonostante la posizione ancora eminente che Mitra e Varuç.a occupano nei Brahmana, sono da allora la parte piu vulnerabile del vecchio edificio, la piu minacciata dalle evo­ luzioni e rivoluzioni religiose che sopravverranno nella lette­ ratura vedica in prosa e nell'epopea, e per cui subentreranno i futuri elementi della Trimurti : nell'epopea, gli Aditya, an· che i due principali, Mitra e Varur;ta, sono impoveriti e poco coerenti. Infine al terzo livello gli Asvin a partire dai �gVeda tendono a liberarsi dal valore classificatorio, e, autonomi, a condurre soltanto la vita di buoni taumaturghi; piu tardi si incontreranno occasionalmente, al di fuori delle classi arya, in rapporto con la classe dei sudra. 3 ) Al contrario, a prescindere da questi dei, il quadro del­ l'ideologia tripartita è sopravvissuto, persino prosperato, e 22 INTRODUZIONE si è ornato di materie nuove, e questo poggiando sul sistema dei tre var1_1a arya, il quale, dopo le parti tarde del �gVeda, a sua volta non cessava di svilupparsi. Ma ne restano applica­ zioni epiche molto antiche, indipendenti dai var1_1a: è cosi che, nell'epopea, i nipoti di Yayati, tutti re, eccellono diver­ samente : il primo per le sue ricchezze, il secondo per le sue qualità guerriere, il terzo per una pratica assidua dei sacri­ fici, - il quarto coronando i suoi vantaggi tradizionali con un attaccamento impeccabile alla verità • . Sia direttamente, sia con la specificazione dei var1_1a, la struttura delle tre funzioni è stata messa spesso in corrispon­ denza, dai pensatori, con altre triadi, di significato e di ori­ gine differenti - nulla è piu usuale nel mondo che gli schemi ternari -, e ha loro comunicato, in maniera piu o meno sta­ bile, una coloritura trifunzionale: per esempio le tre parti so­ vrapposte del mondo (cielo, atmosfera, terra) ; il sistema dei tre «figli » gu1Ja, da cui è tessuta ogni cosa (sattva, rajas, ta­ mas); la gerarchia dei valori morali (dharma, artha, kama) , la teoria dei fuochi sacrificali (fuoco del padrone di casa, fuo­ co di difesa, fuoco delle offerte), i principali colori (bianco, rosso, nero), ecc. ' . 5 . Destino degli dei della lista canonica nell'« Avesta» post-gathico. A quanto pare non si contesta piu che la struttura ideo­ logica delle tre funzioni, nella sua forma piu generale, sia già stata famigliare agli indoiranici indivisi. Parecchi passi del­ l'Avesta gathico e non gathico lo enunciano chiaramente ', cosi come lo fa, presso gli sciti descritti da Erodoto, la leg­ genda dei tesori-talismani utilmente commentata da Quinto 2 Vedi ME, Il, terza parte. 3 I livelli del mondo, JMQ, I, p. 65 (cosi SB 7, I, 5, 2-3 : i Vasu e questo mondo qui, i Rudra e l'atmosfera, gli Aditya e lo « yonderworld » ) ; i guiJa, ibid. , p. 64; i principi psicologici, ibid., p. 260 (e ME, 1', pp. 94-95); i fuo­ chi del sacrificio (ultimamente RRA', pp. 319-26, e FR, pp. 6x-68); i colori RIER, pp. 45-52. 1 Per esempio Yast 5, 85-87. GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 23 Curzio Rufo '. In particolare gli iranici dell'Iran conosceva­ no, almeno in teoria, una suddivisione sociale in classi, pisOra - preti, guerrieri, allevatori-agricoltori, ulteriormente com­ pletati da una classe di artigiani -, che è paragonabile ai tre vart;ta arya dell'India, e i principali frammenti dell'epopea degli eroi narti, raccolti un po' piu di un secolo fa presso gli osseti del Caucaso, ultimi discendenti degli sciti, si sviluppa­ no all'interno di tre famiglie (tertte Narty), definite rispetti­ vamente dall'intelligenza, dal valore guerriero, e dall'abbon­ danza 3• Si deve dunque ammettere che già gli antenati co­ muni degli indiani e degli iranici pensassero anche la loro organizzazione sociale nei termini di questo sistema, senza che sia ovviamente possibile determinare fino a che punto e in quale forma la teoria fosse applicata: il metodo compara­ tivo cosi praticato può scoprire rappresentazioni, non può ricostruire fatti. Le analisi e i paragoni che precedono costringono allora a porre un problema piu preciso. Hanno messo in luce, in conformità con questa ideologia, una struttura teologica che si esprime in un raggruppamento, in una lista canonica di divinità di cui il trattato di Boghazkoy assicura, per quanto concerne gli indiani, l'antichità e l'importanza : essa era cer­ tamente ben fissata, tradizionale, quando KURtivaza, nel se­ colo XIV a . C., se ne avvalse per impegnarsi con tutte le sue risorse o con tutto il suo popolo. Questa lista canonica era già in funzione presso gli indoiranici indivisi, cosi come lo era l'ideologia? E in caso positivo, che cos'è diventata nel ramo iranico della famiglia? Il pantheon degli iranici piu antichi, quello che hanno co­ nosciuto i riformatori, Zoroastro ' , all'ombra del quale essi 2 Erodoto 4, 5-6; Quinto Curzio Rufo 7, 8, r8-r9; vedi ultimamente ME, 1', pp. 446·52. 3 Sono le famiglie fondamentali, le sole che siano raccolte e domiciliate sulla montagna dei Narti, che occupano interamente: la parte alta, la media, quella bassa. Secondo il capriccio degli episodi epici, sono nominate altre famiglie (gli Acretre, per esempio), ma restano esterne agli tl!rtlil! Narty, ai << Tre Narti », ME, 1', pp. 457-71 . ' Poiché non sto scrivendo una storia delle religioni iraniche, non prendo posizione su alcuni punti importanti, ma che non cambiano nulla al proble­ ma qui trattato: a che cosa corrisponde il nome di Zoroastro, a un individuo, a un gruppo? La sua azione è forse il prolungamento di riforme anteriori? INTRODUZIONE sono cresciuti e che è stato uno degli argomenti della loro riflessione, non ci è direttamente accessibile: nessun docu­ mento lo ha registrato; appare solo il risultato delle opera­ zioni teologiche complesse che implica ogni « riforma». Ma questo risultato compare in piu forme, esattamente in due stati principali: da un lato il pensiero originale di Zoroastro espresso dalle Gatha, dove il monoteismo regna assoluto, dove, sotto Ahura Mazdii, non è stata conservata nessuna delle persone divine di cui i nomi siano anche vedici, né co­ me dio né come demone; d'altro lato il resto dell'Avesta, dove la teologia delle Gdtba è sempre in onore, ma dove sotto il nome di Yazata, « esseri degni del sacrificio », sono ammesse numerose divinità di cui molte hanno nomi cono­ sciuti nei Veda. Qui non dobbiamo esaminare questi due aspetti dello zoroastrismo in tutta la loro ampiezza, né trat­ tare delle loro cronologie relative. Il nostro argomento è pu­ ramente teologico: l'uno e l'altro, l'uno o l'altro di questi aspetti, il gathico e il non gathico, inducono o meno a pen­ sare che le riforme iraniche siano state fatte a partire da un politeismo imperniato, come quello degli indiani piu antichi e dei para-indiani dell'Eufrate, sulla struttura gerarchica di cui la forma indiana è «Mitra-Varul).a, Indra, i due Niisatya », eventualmente accompagnati da una dea trivalente? Consideriamo dapprima il secondo zoroastrismo. Subito colpisce per una distribuzione significativa dei termini. I no­ mi degli dei della lista canonica indiana appaiono tutti, a In particolare, ha già raccolto il retaggio di un <( Ahura » supremo, o addi­ rittura unico? Non devo neanche discutere sulle date, sui luoghi, sulle cause della riforma zoroastriana, e poi della reintroduzione nella religione rifor­ mata di divinità quali Mi6ra, V;�r;�6ragna, Aniihitii. Dunque non obietterò nulla ai romanzi recenti che sono stati pubblicati sull'argomento, special­ mente da Ilya Gershevitch, nell'Introduzione di The Avestan Hymn to Mithra, 1959: da Zoroastro, una specie di profeta di statura biblica, ai preti insieme machiavellici e volteriani che intrigano intorno agli Achemenidi, questo pezzo di « Storia >> non ha segreti per lui. Tuttavia è piu sicuro con­ sultare le esposizioni, classiche e bene informate, di Geo Widengren, Stand und Au/gaben der iranischen Religionsgeschichte, in <( Numen », I ( 1954), pp. r6-83; ivi, n ( 1 955), pp. 47-134; e Die Religionen Irans, 1955 ( trad. fr. Les religions de l'Iran, 1968); Jacques Duchesne-Guillemin, La religion de l'Iran ancien, in « Mana », r ( 1 962), 3· Infine qui non devo neanche pren­ dere posizione sui rapporti della religione dei primi Achemenidi, special­ mente di Dario, con lo zoroastrismo. 25 GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI eccezione di Varut:J.a, di cui molti esegeti pensano che si celi sotto la perifrasi « Ahura Mazdii», il « Signore Saggezza». Ma compaiono gli uni come dei, gli altri come demoni, e questo secondo una cesura che separa la prima funzione dalle altre due, e, di conseguenza, suggerisce l'ipotesi che i teologi ab­ biano effettivamente lavorato a partire dallo schema trifun­ zionale: VGVEDA Nomi di dei AVESTA NON GATHICO Nomi di dei Nomi di demoni grande dio AHURA MAZDA yazata I. MITRA-VARUNA II. INDRA III. I due NA SATYA MI9RA INDRA NÀNHAI9YA Cosf i teologi che, probabilmente alcune generazioni dopo Zoroastro, hanno reintrodotto gli dei funzionali nella religio­ ne riformata, hanno conservato come dei solo quelli della prima funzione: appartenendo certamente essi stessi - come pure Zoroastro, che si dichiara zaotar, prete (ved. hotar) - a qualche espressione sacerdotale di questa prima funzione, non potevano concepire la purificazione della religione, la « riforma», se non come l'estensione a tutti i livelli dell'ideo­ logia e della morale proprie del loro. Gli dei degli altri due livelli, che garantivano condotte, ideali differenti, divergen­ ti, dunque pericolosi per la riforma, quello di un'aristocrazia militare violenta e turbolenta e quello di un ceto contadino avido e terra terra, sono stati respinti, condannati, messi alla berlina; sono diventati gli esempi tipici di quei daeva che, pur conservando il nome indoiranico di dei (ved. deva) 5, han­ no assunto il rango e il ruolo di demoni . 5 Abbiamo ora la prova che questa inversione del senso di *daiva non è INTRODUZIONE Ancor piu, questi daeva tipici non sono semplicemente demoni, né demoni isolati. Sono una specie di arcidemoni, solidali, e questo privilegio alla rovescia ci porta alla seconda parte del problema, a quella che concerne lo zoroastrismo puro delle GathJ. Il teologo Zoroastro, quando eliminava tutti gli dei fuorché il Signore Saggezza, non conservava nul­ la dell'analisi trifunzionale della società e del mondo che presso i suoi cugini dell'India corrispondeva all'unione <(Mi­ tra-Varur:ta, Indra, i due Nasatya» ? La risposta è stata data nel 1 945 nel mio libro Naissance d'Archanges, di cui nume­ rosi passi saranno ritoccati in una prossima edizione, ma di cui l'argomentazione resta valida. Molto presto accettata, corretta, affinata da molti iranisti notevoli, è stata respinta da alcuni altri, talvolta con un'ira e un disprezzo poco abi­ tuali nei nostri studi. 6 . Trasposizione della lista canonica nelle «Gatha» : gli Amasa Spanta. Gli dei funzionali scomunicati, Indra e i Nariliaieya, con l'inserimento di un Saurva, che porta lo stesso nome del dio indiano Sarva (Rudra), sono, nello zoroastrismo non gathico, incorporati in quest'ordine in una lista di sei arcidemoni di cui la ragion d'essere è di contrapporsi termine a terrnine a una lista di sei ((buone» figure che in Occidente si chiamano talvolta gli Arcangeli, e le quali, a loro volta, provengono dalla teologia delle GathJ di cui sono persino uno degli ele­ menti essenziali. Adottate dallo zoroastrismo postgathico, vi compaiono con il nome collettivo di Am�sa Sp�nta, <( Immor­ tali benefattori [o " Efficaci "] », secondo un ordine di enume­ razione fisso e in una posizione d'onore: inferiori solo al Si­ gnore Saggezza, sono collocate nelle liste di esseri sopranna­ turali prima di tutti gli dei ripristinati. Che cosa sono questi Am�sa Sp�nta ? Certo la lingua dei poeti gathici è delle piu oscure; la loro iranico comune: gli sciti non l'avevano operata, a giudicare dal composto ossetico peggiorativo ll!vdiv (da *apa·daiva), nome di mago, propriamente « colui che è lontano dai *daiva »: Dumézil, « daiva» en ossète, in « Paideu­ ma », vu ( 1960) (Festschrift Hermann Lommel), pp. 47-48, ripreso in Ro­ mans de Scythie et d'alentour, 1978, pp. 295-98. GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI sintassi, la loro retorica, la loro poetica sono originali, per non dire di piu, e il loro vocabolario non è stato interamente elucidato, nonostante numerosi lavori scientifici. Per fortu­ na la loro teologia non è del tutto schiava delle incertezze o degli enigmi della traduzione letterale : almeno i nomi delle Entità sono chiari, e semplicissime osservazioni esterne rive­ lano l'essenziale delle articolazioni. I ) La tavola delle frequenze delle menzioni delle Entità mostra che l'importanza relativa che gli autori delle Gathd attribuivano a ciascuna concorda esattamente con il posto che doveva occupare nella gerarchia canonica dell'Avesta post-gathico; si può dunque concludere che questa gerarchia, sebbene non sia dichiarata nelle poesie con un ordine enu­ merativo che era escluso dal genere letterario, esisteva già nell'epoca in cui sono state composte '; ed anche che essa non era arbitraria, ma si fondava sulla natura dei concetti divini che accosta. 2 ) La frequenza maggiore o minore delle presenze con­ giunte di piu Entità (due, tre) all'interno di una stessa strofa rivela affinità o indifferenze che non possono che derivare dalla definizione o dall'ufficio di ciascuna. 3 ) Allusioni precise, riconosciute da tempo, permettono di affermare che l'elemento materiale che, nell'Avesta post­ gathico, sottostà alla protezione differenziata di ciascuno de­ gli Am;)sa Sp;)nta, gli era associato fin dalle Gathd: Elementi materiali il bovino il fuoco 2 . Afa Vahista (l'Ordine molto Buono) 3. Xsa8ra Vairya (la Potenza Desiderabile) i metalli 4· Spanta Armaiti (l'Efficace Pensiero Pio) la terra le acque 5· Haurvatii! (l'Integrità, la Salute) le piante 6. Amaratii� (la Non-Morte, la Vita) Entità 1 . Vohu Manah (il Buon Pensiero) Queste Entità sono presentate sia come aspetti piu o me­ no personalizzati del Dio unico, sia come le sue prime crea­ ture e i suoi principali aiutanti. I loro nomi sono tratti da un 1 Dubito che il termine boga, in un passo della grande iscrizione di Behi­ stun, indichi gli Am��a S�nta, malgrado Gershevitch, in «J. Near Eastern St. », XXIII ( 1964), p. 18; ma questo autore ha indicato un motivo per pen­ sare che, dal tempo in cui sono state composte le Gatha, il nome collettivo Am��a Sp�nta fosse impiegato, sebbene non vi si incontri il suo uso (Avestan Hymn cit., pp. I O- I I , 1 63-66). INTRODUZIONE repertorio religioso di astrazioni che conosce anche il �gVeda con il suo rta 2, per esempio, l'Ordine giusto, - cosmico, ri­ tuale, morale -, che corrisponde al gathico asa, al vecchio­ persiano arta-. Il procedimento per cui queste astrazioni so­ no diventate persone agenti non è meno antico : infatti gli indiani piu antichi, come d'altronde gli altri indoeuropei, dagli ittiti ai latini, dai greci ai celti, animavano volentieri i derivati che forniva alla loro lingua un abbondante reperto­ rio di suffissi di astratti. Ma questo non concerne che la forma e non spiega l'essen­ ziale : perché sono state scelte queste sei astrazioni, ed esse soltanto, e perché sono state riunite, cristallizzate in que­ st'ordine? Perché sono scartati, per esempio, il Sapere, la Previdenza, la Destrezza, la Volontà, l'Immensità, e tanti altri attributi divini che non erano meno importanti? Piu in particolare, perché mai, alla fine di una lista che comprende cosi pochi termini, ci si è permesso lo spreco che è costituito dalla giustapposizione delle due Entità terminanti in -tii[ che sono quasi una ripetizione inutile? È evidente che la scelta è stata orientata da un'intenzione e che, anche all'interno de­ gli ambiti permessi da questa intenzione, non è stata intera­ mente libera - in altri termini, che ha seguito un modello; quale? I ) Da tempo la coppia finale dai nomi consonanti Haur­ vatii!-Am�ldtii! ha fatto pensare agli indissociabili gemelli ve­ dici, ai Nasatya o Asvin ' , che, tra l'altro, si preoccupano di proteggere fisicamente gli uomini e gli animali, specialmente contro la malattia e contro la morte: dànno salute e vitalità, ringiovaniscono i vecchi, fanno cessare la sterilità; « medici » fra gli dei, sono associati in certi riti a quella « medichessa» che è la dea-fiume, Sarasvati. Per giunta, benché i nomi delle due Entità zoroastriane siano di genere femminile, dobbiamo pensare che, in margine alla tradizione sacerdotale, fossero rappresentate come esseri maschili, poiché «esse» ricompaio2 Il complesso semantico che designa rta, propriamente <d'Aggiustato », va dall'Ordine generale al Vero (bibliografia di eta a partire da Oldenberg 1915, in Renou, EVP, 3, p. 50). Etimologicamente, nei vocabolari europei piu conservatori, il vero è talvolta ciò che è (bene) aggiustato, talvolta ciò che è reale e non illusorio (ved. eta, satya); &J..1]Bi)c;, uérus, ecc., poggiano su altre immagini. 3 Cosi ]. A. Moulton, Early Zoroastrianism, 1913, pp. I I4·I5. GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI no nella tradizione ebraico-musulmana sotto le specie degli angeli Hariit e Mariit, eroi di un'audace avventura galante in cui sono beffati da una donna, una Nahid che non è altri che l'antica dea Anahitii; ora questa avventura ricorda trop­ po davvicino una delle principali leggende dei Nasatya vedici dove la virtuosa Sukanyii manda a vuoto la loro impresa affin­ ché l'incontro sia fortuito • . 2 ) Al terzo posto, Xsaara è la parola stessa che, dai tempi indoiranici, caratterizza la seconda funzione : nell'India, kfa­ tra ne è il principio, come brahman (neutro) è il principio della prima e vif il principio della terza; nel sistema dei var­ l).a, i guerrieri sono chiamati col derivato kfatriya, e, nei riti, Indra è il dio k�atriya per eccellenza, il modello dei kfatriya. Presso gli osseti, quella delle tre famiglie di eroi Narti che è definita differenziatamente dal valore guerriero e che di fatto produce i piu grandi combattenti è la famiglia degli /Exsa?r­ ta?gkata?, nome derivato dal sostantivo a?xsar(t) che è il risul­ tato regolare dell'iranico comune xfa8ra e significa « bravura, eroismo» '. Ma, nello stesso tempo, il vedico k�atra designa, inseparabilmente da questa classe militare da cui sono nati, abitualmente i re, il potere, la monarchia temporale. È su questo lato sovrano che è stato riequilibrato lo xfa8ra della riforma zoroastriana diretta in parte contro l'autonomia, la morale speciale della classe militare - e questo al punto che buoni traduttori delle Gathd hanno pensato di poter rendere la parola con « Regno», con risonanze paragonabili a quelle che i Vangeli dànno a questa parola. L'elemento materiale associato all'Entità Xsaara è ambiguo come la parola stessa: è il «metallo », in tutte le sue varietà, sia i metalli preziosi che convengono agli uomini di potere, che i metalli robusti - certi testi esplicitano e sviluppano questo punto - di cui sono fatte le armi •. • NA, pp. 159-70; questa interpretazione è stata confermata e sviluppata dal P. Jean de Menasce, Une légende indo-iranienne dans l'angélologie iu­ déo-musulmane: à propos de Hiirut-Miirut, in « Études Asiatiques (Revue de la Sbciété Sr1isse d'Études Asiatiques) », I ( 1947), pp. 10-18; buon rias­ sunto di H. Ch. Puech, RHR, cxxxm ( 1 947-48), pp. 221-25. 5 NA, pp. 136-56. L. H. Gray, Tbe Foundations o/ the lranian Religion, 1929, p. 47, aveva già proposto la derivazione di X§aOra Vairya a partire da Indra. 6 Vedi per esempio Le livre de Zoroastre (Zaratusht Niimak), ed. e trad. dì F. Rosenberg, 1904, p. 36, § 3 1 , dove la missione che l'Amshaspand Shah- 30 INTRODUZIONE 3 ) Aprendo la lista, le due Entità Vohu Manah e Asa Va­ hista sono menzionate insieme in una maniera meno automa­ tica che Haurvatii! e Am;}r;}tii!, ma con una frequenza che non permette di dubitare della loro affinità, d'altronde con­ fermata dall'epiteto comune : vahista è il superlativo di vohu « buono ». La parola afa, come è stato ricordato prima, col­ loca �esta coppia nella zona del rta vedico, ossia in quella degli Aditya e in primo luogo di Mitra e di Varul).a. Potremo precisare questa constatazione solo nel capitolo seguente, quando avremo esaminato, nell'India, la motivazione dell'ar­ ticolazione di Mitra e di Varul).a, ma qui dobbiamo ricordare che, già nel 1926, senza intravvedere la spiegazione comples­ siva che si può scoprire oggi, un osservatore perspicace, Ar­ thur Christensen, aveva notato la parentela tipologica di Vohu Manah con il Miera dell'Avesta postgathico e piu an­ cora con il Mitra vedico '. Sulla stessa linea di pensiero e atte­ nendoci ai dati statistici, noteremo che l'ordine di enuncia­ zione, Vohu Manah per primo e Asa secondo, riproduce l'or­ dine dei termini del composto vedico e para-indiano Mitrariver affida a Zoroastro è la seguente: « Raccomanda a tutti quelli che por­ tano un'arma, spada, freccia, clava o lancia, di tenerla in buone condizioni e di preservarla sempre dalla ruggine, poiché la vita del nemico sta davanti a essa; quando quest'ultimo la vede (in buone condizioni), la pelle gli scoppia di paura. Quando un'arma è ben curata, nel combattimento brilla come il sole. Non prestare la tua arma al nemico, poiché in seguito, nell'ora del com­ battimento, essa ti mancherebbe. Trasmetti ai popoli della terra questo mes­ saggio, da un capo all'altro e tutto intero >>. In Denkart 3, 1 34, i mezzi ma­ teriali di Xsa8revar ( inteso come Regalità) sono : le armi, l'esercito, il tesoro ( trad. ]. de Menasce, 1973, pp. 138-39). Il Grande Bundahi1n, 26, 57, non commenta neanche il « metallo >> di Xsa8revar se non nel senso del metallo delle armi, passando analogicamente alle armi spirituali (ed. e trad. B. T. Anklesaria 1956, pp. 220-23). Sulle monete indo-scitiche di Kanishka, figu­ ra Xsa8ra Vairya sotto il nome di Saoreoro; A. Stein, che l'ha identificato fin dal 1 887, Zoroastrian Deities on lndo-Scythian coins (« Babylonian and Orientai Record >>, I, p. 161 ), lo descrive cosi: « Se il dio ... finora non è stato riconosciuto affatto, non è stato certamente per una mancanza di chiarezza nella leggenda o perché le monete non fossero coniate in modo tale da carat­ terizzarlo e contraddistinguerlo. Queste ultime, in tutte le variazioni, ci pre­ sentano la figura ben modellata di un guerriero armato interamente alla maniera greca, con elmo, giavellotto e scudo greci; l'ultimo in un singolo esemplare del British Museum è sostituito da un'arma che assomiglia a un uncino ». In compenso l'assimilazione di Xsa8ra Vairya al << Marte » del mi­ traismo che ha proposto F. Cumont (Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, l, 1929, p. 144) è priva di basi. 1 Christensen, Quelques notices cit., pp. 103-4· GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 31 Varu�a; come sappiamo, questo ordine non si basa che su una convenzione di ordine meccanico - il termine piu corto dovendo venire per primo -, e non impedisce a Mitra di es­ sere nominato da solo molto meno spesso di Varul).a, nel J!.-g­ Veda; ora lo stesso rapporto si osserva nella lista gathica: nelle I 79 strofe che contengono nomi di Entità, Vohu Manah non compare senza Asa che I I volte, mentre Asa senza Vohu Manah compare 30 volte (contro 54 menzioni congiunte, senza terzo termine), e, in maniera generale, come Varul).a nel {{gVeda, Asa è piu notevole di Vohu Manah, nelle Gdtba. Infine non è privo di significato il fatto che l'epiteto stereo­ tipato di Manah sia il semplice Vohu, « buono », quello di Asa il superlativo Vahista, come per sottolineare, in uno stes­ so tipo di natura, un ordine d'importanza inverso dell'ordine di enumerazione. 4) Resta Sp;mta Armaiti, la sola Entità veramente femmi­ nile del gruppo, poiché Haurvatii! e Am;}r;}tii! non sono che « falsi femminili», in realtà molto virili. Per il suo nome si collega alla prima funzione (cfr. ved. Aramati), ma l'elemen­ to materiale che le è unito - e solidamente, poiché il prestito armeno Spandarmet, per esempio, non significa altro che « terra » 8 - la colloca nella terza. Questa plurivalenza richia­ ma la dea che, come abbiamo visto, nell'India è talvolta unita alla lista degli dei maschili funzionali, e che l'Avesta postga­ thico ha conservato con il nome triplice « l'Umida, la Forte, l'Immacolata » (Ar;}dvi Sura Anahita) . È possibile che la po­ sizione occupata da Armaiti nella lista, non già come supple­ mento finale, ma all'interno, proprio dopo Xsaera, proprio prima di Haurvatii! e di Am;}r;}tat, riveli questa pluriva­ lenza • . 8 Antoine Meillet, Sur !es termes religieux iraniens e n arménien, in « Re­ vue des �tudes Arméniennes », 1 ( I92I ), pp. 233·36 (pp. 234-35 su Spanda­ ramat e Sandaramat), ripreso in Etudes de linguistique et de philologie ar­ méniennes, Il, pp. 193-96; G. A., Ar.1v.1 Ha; iogovrtagan havadk'i mel, in Hante1 Amsorea;, 1929, coll. 647·48 (col. 648, il Sole notturno che entra da Santaramed [prùnuncia armena occidentale] ). Il culto sassanide di Spandar­ mat è un culto minuzioso della terra, Sàyast ne-Sàyast 15, 20-24. • Nella lista degli dei di Mitanni, la serie degli dei para-indiani (Mitrii­ Varu�ii 13-14; Indara IJ ; Niisatya 16) è immediatamente completata dalla grande dea babilonese Allatum ( I?), che si trova cosi staccata dal plotone degli dei babilonesi (8-12), e che è seguita da divinità di altro tipo ( 18 ? ; I921 dei di città). Ora Allatum è la « Signora della Terra », e si vedeva in essa, 32 INTRODUZIONE 7 . Prime conclusioni. Le conclusioni precedenti, ripeto, sfuggono alle difficoltà che incontra la filologia delle Gathd. Sono fatte dall'esterno, vertono sui nomi delle Entità, sul loro ordine canonico di enumerazione nell'Avesta postgathico, sulle loro frequenze di menzione o di associazione nelle Gatha, sugli elementi ma­ teriali che sono loro uniti. Dunque nessuna dipende dal con­ tenuto delle strofe, nessuna è contrastata dalle difficoltà grammaticali o stilistiche che comporta questo contenuto. La spiegazione verso cui convergono tutte senza eccezione è la seguente: la lista delle Entità destinate a diventare gli Amasa Spanta è stata sostituita dalla teologia riformata a una lista di dei delle tre funzioni vicinissima a quella che era in corso presso i futuri indiani ' . Questi primi missionari hanno cosi potuto conservare l'analisi tradizionale dei meccanismi del mondo nello stesso tempo in cui purificavano l'ideologia fondata su questa analisi, uniformando, allineando al servi­ zio e secondo la volontà del solo Ahura Mazda i nuovi pa­ troni delle funzioni e di conseguenza le condotte umane cor­ rispondenti. Ne è derivata quella tendenza di tutte le Entità a « raccogliersi», se non a equivalersi, di fatto a modellarsi sulle prime, la quale, sessant'anni fa, aveva indotto Bernhard Geiger a cercare negli Amasa Spanta, un equivalente appros­ simativo dei soli Aditya 2 • La soluzione nel suo insieme dà luogo alla tavola seguendice E. Dhorme, « una forma divina della terra, ersetum » (Les Religions de Babylonie et d'Assyrie, in << Mana », n ( 1945 ), p. 39). Questo tipo di grande dea associata agli dei delle tre funzioni era certamente suscettibile di assi­ milazione a una figura locale preesistente, in nuove condizioni ambientali (Dumézil, Tarpeia ci t., pp. 63-64). 1 Gli epiteti delle Entità sono notevoli. Il rapporto di Vohu e di Vahi1ta all'interno della prima funzione è stato notato prima, p. 30; Vairya implica desiderio, il che si addice a un sostituto di lndra; Sp;mta, essendo anche l'epiteto comune di tutto il gruppo delle Entità, invoca la trivalenza (ME, 1', pp. 103-7) di Armaiti e in genere della dea unita all a lista degli dei fun­ zionali; le ultime due Entità, sostituite ai gemelli, non hanno epiteti, ma i loro nomi hanno la stessa formazione, lo stesso suffisso. 2 Bernhard Geiger, Die Am<1Ja Sp<1ntas, ihr Wesen und ihre urspriingli­ che Bedeutung, in SBAkWien, CLXXVI ( 1916), 7· Non discuto le interpreta­ zioni piu recenti, specialmente di R. C. Zaehner ( 1961) e di Mary Boyce ( 1975). GLI DEI INDOIRANICI DELLE TRE FUNZIONI 33 te, dove non sono considerate che le liste strutturate, testi­ moniate come tali: Entità gathiche e postgathiche Dei funzionali indo-iranici (secondo la lista di Boghazkoy) Vohu Manah Mitra [nuova costruzione astratta: Cattivo Pensiero] • Aia Vahiita Varu�a Indra < Xsa8ra Vairya Indra Saurva < con complementi vedici Avversari postgathici delle Entità i Rudra (RudraSarva•) Sp;mtii Armaiti 1 l l l l l l l l dee trivalenti Sarasvati Nanhai8ya<· • -------------- Haurvatii!Am;mtii! i due Nasatya [nuove costruzioni astratte: Sete, Fame] • Sérva: cfr. Rudra in �\' 10, 125, I e 6, qui, pp. 12-13. • Ako Manah, « Cattivo Pensiero ,., contrapposto a Vohu Manah; « Sete » , « Fa­ • me » in riferimento alle acque e alle piante associate a Haurvatàl e ad Am�r:�tiil. < Il fatto che queste divinitA divenute " arcidemoni ,. scendano di un grado si può spiegare, per Indra, con l'ambiguità del concetto di Xla8ra-lqatré (insieme principio della seconda funzione e, nella prima, « potere temporale 10); per NAithaillya, con l'in­ tenzione di conservare l'unità del blocco degli dei funzionali condannati. • Il singolare al posto del duale si può spiegare con l'influenza degli altri « arei­ demon i » , o con quella dell'arcangelo opposto, Armai ti , tutti al singolare. L'unico passo del �gVeda dove Nasatya è al singolare non autorizza a vedere in questo nu­ mero lo stato originario della rappresentazione. Naturalmente questa interpretazione panoramica deve prolungarsi in spiegazioni interne, letterali, dei testi gàthici: occorre esaminare se il modo d'azione che ha in questi testi ognuna delle Entità o dei gruppi di Entità conferma, consen­ te o invalida le conclusioni che abbiamo ora tratto dall' osser­ vazione delle linee esteriori dell'insieme. Ma occorre � apere anticipatamente che le difficoltà linguistiche e stilistichè sono tali che, in piu di un caso, sarà l'esterno a illuminare un in- 34 INTRODUZIONE terno irrimediabilmente oscuro, e che saranno le usanze ge­ nerali preliminarmente riconosciute ad arbitrare fra piu co­ struzioni sintattiche possibili. Non c'è, in questo, nulla che offenda la filologia, niente che giustifichi l'irritazione di co­ loro che pensano di avere il monopolio di questi nobili rom­ picapo perché si sono dati la pena di impararli a memoria, nella loro giovinezza. Iniziato con la Nascita di Arcangeli, questo lavoro di veri­ fica è stato sviluppato e migliorato da piu scienziati, special­ mente da Kaj Barr, Jacques Duchesne-Guillemin, Geo Wi­ dengren. Per l'argomento deJ. presente libro, il profitto di questa escursione nella zona di Zoroastro è notevole. Assi­ cura: 1 ) Che i pensa tori della comunità preistorica indoiranica imperniavano la loro teologia sulla concezione delle tre funzioni. 2) Che riassumevano volentieri questa teologia in una bre­ ve lista, una lista canonica, di divinità gerarchizzate. 3 ) Che la coppia vedica Mitra-Varul).a deve essere studiata non come un dato indipendente, ma come il piu alto di tre termini solidali e gerarchizza ti. 4 ) Che la doppia rappresentazione, a questo primo livello, era già indoiranica. 5 ) Che la dinamica interna della coppia vedica Mitra­ Varul).a e quella della coppia Vohu Manah - Asa Vahi­ sta devono potersi spiegare e controllare reciprocamen­ te, poiché la seconda è una derivazione della prima, operata in una direzione e secondo un'intenzione cono­ sciute. Prima parte Orientalia Capitolo primo Mitra-Varul).a Quale bisogno logico sta alla base dell'associazione di Mi­ tra e di Varu1Ja, la piu stretta che esista nel pantheon vedico, a prescindere da quella dei due Afvin, che è di un tipo evi­ dentemente diverso? A dire il vero, la domanda ha ricevuto sostanzialmente la sua risposta almeno un secolo fa, e, a parte alcune costru­ zioni senza futuro, le opinioni, compresa quella di Hermann Giintert, che sono state presentate da Abel Bergaigne fino alla nostra generazione, hanno mirato solo a precisarla o a completarla, o, nel caso di Louis Renou, a !imitarla. Solo ai nostri giorni due lavori hanno preteso - e pomposamente di inaugurare prospettive nuove. Ma soffrono delle debolez­ ze consuete dei loro autori. Per non ricordarne che una delle principali di ciascuno, Paul Thieme si fonda su inammissibili postulati di cui sviluppa imperturbabilmente le conseguenze senza tenere conto dei segnali d'allarme '; fan Ganda arric­ chisce diligentemente la materia, ma la spezzetta e l'ingarbu­ glia nelle ripartizioni meno adatte a riceverla, e cosi cerca di orientar/a piu facilmente verso la soluzione di sua scelta z scartando la concezione tradizionale, che tuttavia lo assale 1 Paul Thieme, Mitra and Aryaman, in « Transactions of the Connecticut Academy of Arts and Science », xLI ( 1957 ), pp. 1-96. Questa memoria è di­ retta in gran parte contro di me. Una risposta è stata data in ]A, CCXLVI ( 1 958), pp. 67-84, e, in seguito a un pittoresco intervento di I . Gershevitch, i vi, CCXLVII ( 1959), pp. 17 1·73· ' Jan Gonda, The Vedic God Mitra, Orientalia Traiectina, 1972 ; Id., The Dual Deities in the Religion of the Veda, in « Verhandelingen der kon. Nederlandse Akademie van Wetenschappen, Afd. Letterkunde », n.s., LXXXI ( 1974), pp. 145-208 (Mitra-e-Varut;ta). I riferimenti a questi due libri sono fatti nella forma « Gonda, M », « Gonda, DD ». Vedi qui, Appendice se­ conda. ORIENTALIA da ogni parte. Di modo che il pamphlet del primo non è or­ mai nulla piu che un pittoresco divertimento, nella biblio­ grafia, mentre l'utilità della memoria del secondo sta nei testi che aggiunge al dossier, e che, nonostante molti sforzi e arti­ fici, non fanno che confermare quànto si sapeva già. r. Mitra-Varu1Ja negli inni vedici e dopo gli inni. Una constatazione di ordine cronologico domina il pro­ blema. Nel f!..gVeda, la distinzione fra Mitra e Varul).a è raramen­ te notata, e, quando lo è, lo è allusivamente o con una formu­ lazione enigmatica. L'AtharvaVeda, raccolta di inni magici, è piu esplicita su questo punto, ma avviene piu tardi, nella letteratura vedica in prosa, trattati rituali e commenti, che i due dei siano definiti quanto piu spesso l'uno in rapporto al­ l'altro. A priori, un quadro siffatto può essere interpretato in due modi. O rivela un'evoluzione: nel tempo in cui sono stati redatti gli inni del f!..gVeda, i due dei sarebbero coesistiti sen­ za veramente distinguersi, solo alcuni poeti ogni tanto avreb­ bero cercato di costringerveli, ed è a partire da questi spunti irrilevanti che i dottori e i ritualisti, dopo parecchi secoli, avrebbero sviluppato una teologia differenziata. Oppure fin dai tempi prevedici la coesistenza dei due dei si sarebbe fon­ data su una teologia siffatta, ma gli autori degli inni, sebbene la conoscessero, non avrebbero provato spesso il bisogno di esprimerla, non essendo né dei teorici né degli insegnanti, ma dei lirici, e anche dei pratici piu preoccupati di affermare e di utilizzare l'accordo dei due grandi dei che di cavillare sulle parti svolte rispettivamente in benefici comuni; avreb­ bero lasciato questo compito ai ritualisti, e, dopo di loro, ai sapienti autori dei trattati sistematici. La grande maggioranza dei vedisti, compreso Ganda, a quanto pare, scartano la prima tesi, che al contrario costitui­ sce uno dei postulati di Thieme. Hanno ragione. Infatti la seconda è raccomandata da considerazioni concordanti. r ) La conservazione di due dei di prim'ordine sull'Eufra­ te come sull'lodo e durante tanti secoli è concepibile solo a MITRA-VARUt:JA 39 patto che essi non rischiassero in alcuna misura di costituire una ripetizione inutile, in altri termini solo se la loro coesi­ stenza era fondata su una distinzione completa e irriducibile, tale tuttavia che la presenza di uno dei termini implicasse, al suo fianco, la presenza dell'altro. Questa condizione baste­ rebbe per scartare la tesi di Thieme 1 , che pensa che Mitra e VaruQ.a formassero all'inizio e formino ancora negli inni una sorta di tiro a due ben addestrato : due nozioni molto vicine sarebbero state messe alla testa del mondo per « tirare» nello stesso senso, e queste nozioni sarebbero, in virtu di un par­ tito preso etimologico dell'autore, il Contratto (Mitra) e la Parola Vera (Varul).a). L'associazione fondata su tale rap­ porto non avrebbe avuto nessun carattere di necessità, e la coppia cosf costruita sarebbe stata costantemente esposta al rischio di semplificarsi, di ridursi a uno dei suoi termini: il Contratto è forse una cosa diversa da una varietà o un'appli­ cazione della Parola Vera? 2 ) In certi casi in cui gli autori del J!.gVeda hanno notato una differenza di natura fra i due dei, questa differenza non è una sfumatura in una quasi-sinonimia, è una contrapposi­ zione, espressa con una formula antitetica, ossia è, per eccel­ lenza, il tipo di relazione che, nelle coppie di concetti che col­ lega, esclude che uno dei due termini possa riassorbirsi nel­ l'altro. So bene che Thieme nega l'antitesi, persino là dove è piu evidente. Ma i testi sono coriacei. 3 ) Simmetricamente, nella letteratura vedica in prosa, il rapporto dei due dei ha sempre carattere antitetico, e non tollera l'interpretazione di Thieme, a meno che una persona abile non riesca a dare un senso a espressioni come «Ciò che è di Contratto non è di Parola Vera» (etad vii avaru?Jyaf!Z yan maitram, in SB 3, 2 , 4 , r8) . Thieme ha visto la difficoltà, ma l'ha trattata come tratta abitualmente ciò che gli resiste; le dedica alcune righe sdegnose: « Mitra e Varul).a, come tanti altri dei del J!.gVeda, hanno ricevuto [nei testi in prosa] sem­ plicemente dei nomi che possono essere trattati dal mago on­ nipotente [interpretiamo : dal ritualista, o dal redattore di 1 Lo stesso errore, con gravi conseguenze, già nel Varu�a di H. Liiders, l, 1 95 1 , p. 37: « Mitra è legato a Vanu).a cosi strettamente, che deve avere la sua stessa essenza e natura, affinché la spiegazione di VaruJ?.a sia esatta ... Giuramento (VaruJ?.a) e Contratto (Mitra) sono legati intimamente, in India, come ovunque, in ultima analisi». ORIENTALIA BràhmaiJa] secondo la sua volontà, e possono essere identifi­ cati con qualsiasi coppia di opposti dell'universo secondo le esigenze di qualsiasi particolare contesto » (Mitra and Arya­ man cit., p. 7 1 ) . Dubitiamo che i teologi si siano prese tali libertà. D'altronde oggi non è piu possibile, nonostante la differenza dei tempi in cui sono stati redatti, ammettere una scissione cosi profonda fra gli inni da una parte, i rituali e i commenti dall'altra. Nell'epoca in cui si componevano i pri­ mi, la religione certamente non si riduceva alle effusioni liri­ che le quali soltanto sono state conservate, e queste ultime in buona parte avevano certamente come occasione e come sup­ porto delle cerimonie, principalmente dei sacrifici, destinati a ottenere la benevolenza degli dei : da sempre Soma, Agni, l'Aurora e molti altri personaggi divini hanno dovuto la loro importanza alle liturgie. Che i rituali che leggiamo siano stati arricchiti in rapporto a quelli del xx o del xv secolo a. C., è piu che probabile; che ne siano stati fondamentalmente di­ versi, che siano stati inventati ex nihilo o per una metamor­ fosi totale dopo l' « età» degli inni, è un'ipotesi intrinseca­ mente inverosimile, e si trova contraddetta sia da corrispon­ denze immediate con l'Iran (haoma, àtar), sia da piu ampie concordanze indoeuropee (teoria vedica e romana dei fuochi sacri, asvamedha e Cavallo d'Ottobre, �flàpadi e Fordicidia, sautramaiJi e suouetaurilia, ecc.). Si può allora immaginare che una coppia importante sia nelle formule rituali che negli inni come è quella di Mitra e di Varul).a, sia stata, da un grup­ po di testi all'altro, svuotata del suo senso e reinterpretata in maniera completamente nuova? 2 • 4) L'accostamento delle due osservazioni precedenti ne ingenera una nuova: tutte le espressioni antitetiche che il .{{gVeda applica agli dei compaiono anche, in forme vicine, tra quelle, piu numerose, che contiene in abbondanza la lette­ ratura vedica in prosa. Per esempio questa letteratura dice, in molti modi, che Mitra è il giorno e Varul).a la notte. Cosi .{{gVeda r, I I 5, 5 , dichiarava già, in forma di enigma, a pro­ posito degli andirivieni del sole 3 : 2 Inoltre il �gVeda certamente non fa conoscere tutta la teologia del suo tempo : F. B. ]. Kuiper, II], xv ( 1973 ), p. 226. 3 TradUzione di Renou, EVP, 15, 1966, p. 6: « Qui è (per la prima vol­ ta?) implicata un'associazione tra VaruJ)ll e la notte (o almeno la forma nera del sole ) ». MITRA-VARU�A tfm mitrasya varu!Jasyabhicakfe siiryo riipflt?t kr!Jute dy6r upasthe anantam anyfld rufad asya pdja� kniJam anyad dharita}; sam bharanti. Questa (doppia) forma, (l'una) di Mitra, (l'altra) di VaruJ:].a, il sole l'assume per rendersi visibile nel grembo del cielo; illimitata (è) l'una (delle sue due) forme [= forme massicce], quella (che è) brillante [- aspetto Mitra] ; l'altra, la nera [= aspetto Va­ tul).a] , i sauri [= i cavalli del sole] la ritirano. Si sosterrà forse che l'autore dell'inno non aveva inten­ zione di mettere ognuno degli dei in rapporto con uno dei due anyad, con uno dei termini dell'opposizione « sole diur­ no - sole notturno », « giorno - notte», o che lo ha fatto solo per un gioco gratuito, e che sono stati lontani epigoni a pren­ dere sul serio questo legame fortuito e illusorio, deducendo­ ne una teoria che in seguito sarebbe diventata corrente? Pro­ babilmente arretrando davanti a questa applicazione della sua tesi, Thieme si è difeso nel modo piu radicale: mentre per pagine intere si sofferma sulle facili occasioni che gli offrono i testi del f!..gVeda dove Mitra e Varut:ta sono associati senza essere distinti, è invano che si cercherà, nelle sue novanta pa­ gine, un riferimento, un'allusione a f!..gVeda I , I I 5 , 5 - testo ben noto, di cui tutti i vedisti, da Bergaigne a Renou, hanno rispettato e sottolineato l'insegnamento. Questo complesso di considerazioni non permette che una decisione : da un capo all'altro della carriera di Mitra e di Va­ ru1Ja come grandi dei sovrani, dai tempi prevedici fino alla fine dei tempi vedici, la loro unione ha conservato lo stesso principio, un tipo di contrasto di cui dobbiamo ora esplorare i contenuti. 2. Complementarità e solidarietà dei due dei. Precisiamo dapprima alcuni caratteri generali del dossier. I ) La contrapposizione di Mitra e Varut:ta non è mai, non poteva essere ostilità o rivalità, ma solo complementarità. I due dei, con le idee e i comportamenti che rappresentano, sono ugualmente necessari alla vita degli uomini e del cosmo. Quando sono opposti, non si dispongono l'uno da un lato ORIENTALIA «buono», l'altro da un lato «cattivo », anche se sono state percepite certe risonanze in questo senso 1 • 2) Dal punto di vista dell'uomo come del cosmo, è l'opera comune dei due dei che importa prima di tutto, la specificità di ciascuno essendo meno interessante che la loro intesa. Di conseguenza, negli inni, non solo l'opera comune in genere è attribuita con tutti i suoi aspetti alla coppia indivisa, ma accade che uno dei due dei, nominato da solo, sia come il de­ legato della coppia e assuma le qualità o modalità dei due, e persino quelle che sono attribuite differenziatamente all'al­ tro quando la distinzione è espressa. Qui non c'è bisogno di insistere su ciò che è quest'opera comune : è stata presentata piu volte ', e d'altronde corrisponde a ciò che ci si aspetta do­ vunque dagli dei piu grandi : creazione delle parti e delle arti­ colazioni dell'universo (compito a cui altri dei, specialmente Indra e i suoi dipendenti, partecipano in modi piu speciali) ; amministrazione, manutenzione e controllo di questo univer­ so, in particolare della sua divisione binaria (cielo e terra) e dei grandi meccanismi alterni che l'animano (giorno e notte, stagioni...); sorveglianza, con spionaggio 1, delle società uma­ ne, dei loro atti religiosi e dei loro comportamenti morali. Insomma, Mitra e Varul).a sono per eccellenza i conservatori del rta, propriamente dell'« aggiustato» •, dell'Ordine esatto in tutte le sue specificazioni, e anche dell'insieme delle no­ zioni di cui rta è il centro, e di cui Bergaigne ha trattato in un capitolo mirabile della sua Religion Védique, sotto il titolo L'idea di legge '. 3) Nel .{{gVeda c'è una disuguaglianza quantitativa note­ vole negli usi che sono fatti dei due dei, se cosi si può dire. Varul).a, isolatamente, riceve 8 inni ( r o se se ne sdoppiano 2 ), e Mitra uno solo (due se lo si sdoppia), ma utile per carat­ terizzare il dio: « Quest'ultimo», dice ancora Renou, «vi ap1 Gonda, DD, p. 181, bibliografia sui caratteri « rudriani» di Varu':Ja (Bergaigne, Rohde... ); p. 155, sui « lati sinistri e perniciosi del suo carattere che continua ad attirare l'attenzione dei poeti dell'AtharvaVeda ». ' In particolare, sobriamente e obiettivamente, in A. A. Macdonell, Ve­ dic Mythology, 1897, pp. 22-30. 1 Che queste spie siano le stelle o una trasposizione cosmica delle « spie del re » iraniche, o le due cose insieme. 4 Qui, p. 28, nota 2 . 5 Bergaigne, Religion védique, III, pp. 2 1o-71 . MITRA-VARUJ";;A 43 pare eminentemente favorevole e benefico, senza l'ombra di quell'aspetto temibile che caratterizza VaruQ.a» • . 4 ) La contrapposizione si esprime non solo con proposi­ zioni del tipo « Mitra fa (possiede ecc.) questo, VarUQ.a fa (possiede ecc.) l'inverso », ma anche con formulazioni del ti­ po «Mitra è questo, VaruQ.a è l'inverso>>. Nella retorica o nel­ la logica dei Veda, questo procedimento, l'identificazione di due concetti o di due dei, è generosamente usato, e invita solo l'ascoltatore a riconoscere tra di loro una somiglianza importante, ma circostanziale o parziale, che non distrugge l'individualità di ciascuno. È solo piu tardi che tali assimila· zioni avranno conseguenze metafìsiche, e, un poco per volta, approderanno a equivalenze stabili di numero illimitato. Siamo ora in grado di affrontare il problema radicalmen­ te: qual è l'orientamento differenziato di ciascuno dei due dei all'interno della loro attività unitaria? La risposta non può essere che una descrizione a partire dalle osservazioni che, dovunque, sono le piu adatte a rivelare l'essenziale di un dio 7 : Mitra e Varut;J.a si distinguono per i loro caratteri, per i loro mezzi e modi di azione, per i loro rapporti con il cosmo e con l'uomo, per le loro affinità sociali e teologiche. 3 . Distinzione fra i due dei: a) i caratteri. Se entrambi sono legati al rta e ne assicurano il rispetto ', Mitra, in questo controllo, è ritenuto benevolo, amichevole 6 Renou, EVP, 7, p. 3 · 7 I l lettore confronterà questi « osservatori » con quelli impiegati da J . Gonda nel suo libro su Mitra, dove i rapporti di Mitra con Varu�a (cap. 1) sono messi sullo stesso piano dei suoi rapporti con la luce (cap. n), con Agni (cap. m ), col sole (cap. Iv), ecc. 1 Condivido interamente il giudizio espresso da L. Renou sul problema éontroverso : occorre tradurre le parole-chiave di un sistema di pensiero mol­ to diverso dal nostro? « Quale che sia il termine inglese che si scelga per rendere eta, si è certi di non cogliere il bersaglio; e poiché ogni significante di questa importanza significa contemporaneamente un'altra cosa ("io " è un altro, potrebbe essere il motto del �gVeda), quale vantaggio autentico può offrire .la traduzione di eta? Il senso generale della frase è meno che mai chiarito dalla scelta di qualche equivalente » (]A, ecu ( 1 963), p. 395i cfr. EVP, 7, p. 16). Nel caso di eta la migliore approssimazione resta « Ordine (cosmico, rituale, morale) », fondato sull'esatto accomodamento delle parti; « verità » non è che uno degli elementi della comprensione di questo con­ cetto. 44 ORIENTALIA e amabile, rassicurante, mentre Varut:J.a è ritenuto giustiziere, duro, temibile. E questo a partire dal .{{gVeda Mentre que­ sta raccolta è piena di inni, di strofe dove l'uomo dice il suo timore di fronte a Varut:J.a, l'inno unico, o piuttosto i due brevi inni saldati che sono rivolti a Mitra ( 3 , 59), non espri­ mono che la fiducia in un dio ben disposto non meno che po­ tente. Si legga la traduzione che ne ha dato Renou, nel vo­ lume 5 delle Études védiques et paninéennes, p. 66, e che precede immediatamente quella del primo inno a VarUQ.a del­ la raccolta ( 1 , 25 ) . Colpisce il contrasto fra una professione continua di speranza, persino di sicurezza, e una deprecazio­ ne inquieta, che è dominata dalla parola « pietà ». La prima parte dell'inno a Mitra finisce cosi: . 4· Ecco Mitra, (dio) degno di omaggi, molto favorevole, re dal buon potere temporale: è nato, l'ordinatore. Potessimo parteci­ pare del pensiero benevolo di questo (dio) degno del sacrificio, della sua buona disposizione benefica! 5· Il grande Aditya deve essere affrontato con ossequio. (È colui) che fa sf che gli uomini si organizzino 2, egli, molto favorevole al cantore. A questo Mitra celebrabile fra tutti, versate sul fuoco questa oblazione, (in modo che gli sia) gradevole. Ed ecco l'inizio del primo inno a Varut:J.a: x. Se accade che noi abusiamo del voto (che ci lega) a te, dio, o Va­ tui;ta, come clan (che abusano del voto che li lega al re), un gior­ no dopo l'altro, 2. non consegnarci per questo all'arma mortale, (all'arma) che uc­ cide, di (te) irritato, (non consegnarci) al furore di (te) corruc­ ciato. Rimandando a Bergaigne, Ganda ha bene esposto questi tratti differenziati di Varut:J.a ': Inoltre s i dovrebbe sottolineare che alcune caratteristiche tipi­ che di Varui;ta generalmente parlando si notano per la loro assenza non appena i poeti si rivolgono alla personalità divina duale. Da solo Varui;}a è il dio che si muove o risiede nelle acque '. È la col­ lera di Varui;ta che è suscitata dalla violazione delle sue leggi. È lui che assale i peccatori, li afferra violentemente (per esempio SB 2 , 3 , 2, x o ) . È lui che l i lega con i suoi lacci o catene da cui i poeti vogliono essere liberati. È per timore di lui che la gente prende pre­ cauzioni, per paura che egli li possa vedere e seguire (TS 6 , 6, 3, 5), 2 yatayaiiana-, vedi qui, p. 48, nota 4Gonda, M, pp. 15-16; cfr. DD, pp. 154-55 . 4 Su Varui:Ja e le acque vedi qui, p. 59 e nota x o. 3 MITRA-VARU�A 45 la stessa espressione (ananvavayaya) essendo usata in connessione con il molto paventato Rudra. Sono precisamente le due caratteri­ stiche - le sue relazioni con le acque e i suoi castighi, il suo incate­ nare e sciogliere - che continuano ad attirare l'attenzione dei poeti dell'AtharvaVeda. Insistendo sugli aspetti sinistri e perniciosi del carattere del dio, essi sopprimono ogni idea di pietà e indulgenza 5; col risultato che le differenze tra il loro Varui].a e l'immagine che i Veda ci dànno di Mitra sono maggiori di quanto non appaiano nel {{gVeda. Come è stato detto prima, i poeti non si fanno scrupolo di attribuire indistintamente ai due dei riuniti i caratteri del­ l'uno o dell'altro, oppure, in comune, quelli di uno solo. Di conseguenza, accade, raramente, che Mitra partecipi, per con­ tagio, alle collere di Varul).a. Inoltre occorre notare certe sfu­ mature. In un passo del .{{gVeda Mitra, ancorché associato a Varul).a nella « collera» propria di questo dio, riceve al tempo stesso l'epiteto « il piu amato », come un'allusione alla sua vera natura, come una correzione: md hé!e bhuma VrJTUIJasya vayor md mitrasya priyatamasya nr!Jam Potessimo non essere nel corruccio di Varui].a, di Vayu, di Mitra i l piu amato dai signori! [o semplicemente: « dagli uomini di qua­ lità ! »] '. Nei testi vedici in prosa, questo contrasto dei caratteri tal­ volta si esprimerà con formule brutali. Il SatapathaBrahma­ t;za, che parla spesso dei vincoli di Varut:�a e lo mostra nell'at­ to di afferrare le creature (per esempio 5 , 4, 5 , 1 2 ) , dice in­ vece che Mitra non fa male a nessuno, e nessuno gli fa del male (5 , 3 , 2, 7). Piu vivacemente, la MaitrayaniSaf!lhita r , 5 , 14, e altri testi, dicono, giocando sul duplice valore di Mi­ tra, nome divino e appellativo che significa « amico » : mitre1Ja ca va ima!; praja guptiil; kruret;za ca, « le creature sono pro­ tette da un amico e da un duro» 7 • E tale è appunto il senti5 Cfr. Renou, Varu�;�a dans l'Atharva Veda, in Festschrift Hermann Lom­ mel cit., p. 125. ' Renou, EVP, 5, p. 87. Nessuno dei testi che cita P. Thieme, Mitra and Aryaman cit., parla della collera del solo Mitra, tutti parlano invece della collera di Mitra e di VaruQ.a presi insieme. 7 Gonda, M, p. 40; Sylvain Lévi, La doctrine du sacri/ice dans les Briih­ ma�;�as, 1898, p. x68: « Mitra è l' ftamico". Quando gli dei cominciano a com­ battere contro il piu temibile dei loro avversari, Vrtra (il cui nome pare ave­ re un'origine simile a VaruQ.a), insistono affinché Mitra colpisca a sua volta il demone; ftma egli rifiutò. No, dice, io sono l'amico universale". Le mi- ORIENTALIA mento attribuito a Mitra stesso quando rifiuta di aiutare gli altri dei nell'assassinio nondimeno indispensabile del demone Vrtra (SB 4, 1 , 4, 8 ) : « <n verità, io sono l'amico (mitra) di tutti ». Accade anche che questa « amicizia» universale di Mi­ tra sia espressa da un aggettivo negativo che allontana da lui ciò che è invece caratteristico di Varuq.a: qualcuno è invita­ to (KathGS 26, 6) a considerare la sposa novella aghore1Ja cakfUfa maitre1Ja, « con l'occhio non terrificante di Mitra [op­ pure: " con un occhio non terrificante, mitraico "] » . Analo­ gamente, già nel �gVeda è a Mitra, e a lui solo, hapax, che è applicato, assieme a priya, « caro », un epiteto che annuncia la « non violenza» delle morali dell'India ulteriore e - fino a tempi recentissimi - contemporanea, ahittzsana: « che non danneggia, compassionevole» (5, 64, 3 ) • . 4· Distinzione fra i due dei: b) i mezzi d'azione. Sempre con le stesse riserve - eventuale accumularsi nei due dei associati delle caratteristiche proprie di ciascuno; casi rari, statistiCamente trascurabili, in cui l'uno mutua le carat­ teristiche dell'altro -, i modi di azione divergono nel senso che fa prevedere il contrasto delle nature. Il duro Varuq.a dispone dei legami, dei nodi con cui pren­ de istantaneamente colui che vuole punire. Sono menzionati piu volte negli inni come nei Brahma1Ja o nei trattati rituali, e caratterizzano veramente il dio. Hanno persino dato luogo a un notevole artificio di casistica, poiché il legame, anche quando è simbolicamente necessario in un rituale, comporta inconvenienti, di cui il principale sta precisamente nel conse­ gnare a Varuq.a la cosa legata, che tuttavia non gli è desti­ nata. Questa circostanza s'incontra a proposito della vacca nacce degli dei lo fanno tuttavia cedere, a lungo andare; ma quando il colpo è stato inferto, si alza il grido di riprovazione. " Lui che è l'amico, ha fatto del male! " (SB 4, I, 4, 8 e testi paralleli citati in nota)». Vedi altre espres­ sioni della dolcezza di Mitra in Ganda, M, pp. 75, 77, 78. • Renou, EVP, 5, p. 79; 7, p. 63; ahùpsiina è tradotto « che esclude il danno ». È probabilmente a questo contrasto dei rispettivi caratteri che oc­ corre collegare l'attribuzione della sinistra a Varu�a, della destra a Mitra ( Ganda, DD, p. I 56; TB I, 7, IO, r ). MITRA-VARUI:lA 47 che serve ad acquistare il soma per il sacrificio '. Deve essere attaccata, altrimenti non sarebbe piu controllata e potrebbe sparire; ma, per il legame, sarà confiscata a beneficio di Va­ tul).a, e non potrà piu assolvere alla sua funzione nell'affare sacro. I liturgisti hanno superato la difficoltà affidando a Mi­ tra la cura di legarle un piede: cosi essa si troverà legata e controllata, e tuttavia sfuggirà a Varul).a. La stretta unione di Mitra con Varul).a gli permette di utilizzare i legami, ma neu­ tralizzandoli: non si tratta che di un prestito, durante il qua­ le Varul).a non rivendica il suo diritto, senza che tuttavia Mi­ tra approfitti di una proprietà che non ha. Con i legami, il grande strumento di Varul).a è la mayd 2, il potere di modificare e di creare forme 3 • È per suo tramite che sono stati fissati il rta e i suoi grandi supporti materiali, è « dalla miiyd di Varul).a che è stato teso il filo del rta» (�V 9 , 73 , 6 ). La nascita delle aurore, l'ascesa del sole, l'equilibrio del cielo e della terra, del mare e dei fiumi, l'alternanza del giorno e della notte (o del sole e della luna), le opere del fuo­ co e la discesa benefica della pioggia, insomma le parti dina­ miche del rta, quelle che implicano un ampio movimento o un « cambiamento visibile» importante, sono dovuti a que­ sta mayd sovrana.:. Ora, mentre nel .{{gVeda si parla 2 volte della miiyd degli Aditya in generale (senza alludere alla crea­ zione), e 3 volte di quella di Mitra e di Varul).a riuniti, la miiyd del solo Varul).a è menzionata 7 volte, per lo piu in rap­ porto con un atto creatore o ordinatore, e né Mitra né uno degli altri Aditya da solo non è mai, di per se stesso, miiyin. Il poeta di 10, 147, 5 , dice persino esplicitamente, rivolgen­ dosi a Indra: «Tu sei per noi Mitra [con il duplice senso: il dio, l'amico] , miiyin come Varul).a», e quindi riserva specifi1 Gonda, M, p. 32; sui legami come caratteristici di Varul).a, Gonda, DD, p. I49· 2 Renou , EVP, 7, p. 37 (ad I, I 5 I , 96) : « mayiJ si applica in proprio al solo Varul).a (cfr. 6, 48, I4; 7, 28, 4; Io, 99, 10; I47, 5), ma compare anche (per estensione?) nei passi che trattano indistintamente di Varul).a-Mitra ». Definizione di A. Minard, Trois énigmes cit., II, 87I ; « forza con cui gli dei, e specialmente Varul).a, realizzano certe strutture efficienti ». Sul corrispon­ dente avestico di maya, che significa « prestigio », vedi Jean Kellens, Prestige et satisfaction dans l'Avesta, in « Miinchener Studien zur Sprachwissen­ schaft », XXXII ( 1974), pp. 87-IOI. 3 La parte vedica del mio saggio Ordre, fantaisie, changement dans !es pensées archa"iques de l'Inde et de Rome, in REL, xxxn ( 1 954), pp. 139-60, resta valida, ma in seguito ho rinunciato all'accostamento al latino mos. ORIENTALIA camente al solo Varul).a (come in Io, 99, Io, dove si tratta ancora di Indra; in 6, 48, I 4, dove si tratta di Pusal).) l'onore di comparire in un paragone come il tipo stesso del miiyin. I mezzi propri di Mitra sono completamente diversi : giu­ ridici o paragiuridici. L'epiteto suo proprio, yiitayajjana, co­ me riconosce Ganda ' , « ci suggerisce che Mitra abbia qual­ cosa a che fare con (ciò che è) " diritto " e " legge " » . Il senso preciso della parola è discusso; le due interpretazioni piu pro­ babili (d'altronde simili) sono «che mette le persone al loro giusto posto (nei loro rapporti con gli altri )», e «che fa si che le persone si intendano» . In qualunque maniera ci si rappre­ sentino gli strumenti di queste intese, erano sicuramente ac­ cordi formali che avevano il valore di un trattato o contratto, probabilmente formulari, con garanzie. Cosi non sorprende leggere (TS 2, I , 8 , 4 ) che, quando si apre un conflitto, colui che desidera un accordo (samaya) deve offrire una vittima bianca a Mitra ': si rivolge cosi al dio, dice il commento, con quello che appartiene al dio, e il dio mette l'uomo in armonia (saf!tnayati) col suo mitra, col suo amico. Non si deve nean­ che dimenticare che, in avestico, nello Yast IO (a Mi6ra), l'appellativo miOra significa incontestabilmente « contratto» . 5 · Distinzione fra i due dei: c ) i modi d'azione. I ) Sul piano concreto, l'azione di Vatul).a è violenta, im­ provvisa, quella di Mitra è dolce e fluisce per le vie della na­ tura. Questa forma di contrasto è illustrata, nei Briihma1Ja, da numerose applicazioni che vanno tutte nello stesso senso; a Mitra appartiene ciò che si rompe da sé e a Varul).a ciò che è tagliato con l'accetta (SB 5 , 3 , 2, 5 ); a Mitra la panna che si forma sul latte e a Varuna il burro fabbricato con lo sbatti­ mento nella zangola (ibid. , 6 ); a Mitra ciò che è cotto a va­ pore, e a Varul).a ciò che è arrostito, « preso» al fuoco (ibid. , ' Gonda, M, p. 93. Sulla radice yat- (caus. yiitay-), vedi t. Benveniste, Mélanges Georg Morgenstierne, p. 26: << metter(si) nel posto appropriato, occupare la propria sede naturale »; occorre precisare: « in rapporto agli al­ tri ». Traduzioni variabili in Renou, EVP, I , p. xoo; 4, p. 98; 7, p. 8 (yiitay­ « far fare degli accomodamenti, dei patti »); 13, p. 107 (Benveniste appro­ vato); x6, pp. 64, 123. Bibliografia e discussione in Gonda, M, pp. 93-99 (Benveniste approvato), DD, pp. 148, 182. 5 Gonda, M, p. 67. MITRA-VARU�A 49 8 ) ; a Mitra le piante che, come il riso selvaggio, crescono su una terra non lavorata, e a Varul).a quelle che crescono su un terreno lavorato (SB 5 , 3 , 3 , 8 ) ; a Mitra il latte quando si ri­ copre della sua pelle naturale, a Varul).a il latte messo sul fuo­ co (AB 5 , 26, 6 ), o ancora a Mitra il latte bollito ' (che dun­ que non inacidirà), a Varul).a il latte fresco (pronto a fermen­ tare) (KS 27, 4); nella miscela dell'offerta, appartiene a Mi­ tra il latte (calmante), a Varul).a il soma (forte, eccitante) (SB 4, I , 4, 9). Data l'importanza del soma nei rituali, quest'ul­ tima formula ha provocato nei commenti molte chiose utili, che Gonda riassume cosi: « Il soma è spesso mescolato con latte (cfr .{{V I , I 5 3 [a Mitra e Varul).a] , 4), cosicché ha un gusto piu dolce e meno aspro del succo puro » 2 • Ognuna di queste specificazioni particolari è ovviamente artificiale, però avvalorano tutte una stessa contrapposizio­ ne, che non è esattamente ciò che ne estrae Gonda: « Ciò sug­ gerisce una relazione di quanto è innaturale o artificiale con Varul).a, e con Mitra di ciò che è naturale e che non è realiz­ zato con uno speciale sforzo umano» '. Ciò che costituisce la differenza non è l'uomo, se non come agente: cuocere a va­ pore e mettere allo spiedo sono ugualmente interventi umani (è tendenzioso dire che la cottura a vapore ha luogo « sponta­ neamente o meglio esclusivamente attraverso l'azione divi­ na»); la contrapposizione sta nella violenza o repentinità del processo (che spesso richiede un agente, in effetti), o nella violenza virtuale della materia (forza del soma, predisposi­ zione del latte crudo a fermentare) da un lato, dall'altro nella progressività dell'azione (con o senza l'uomo) o nella dolcez­ za della materia (latte; latte bollito e raffreddato). 2 ) In materia morale o rituale, l'azione propria di Varul).a è piuttosto punitiva, quella di Mitra accogliente, cordiale: . ' Gonda, M, pp. 25, 35· Gonda, M, p. 25. ' Gonda, M, p. 23. Alla nota 4, ]. Gonda cita, senza commento, un'ese­ gesi indiana piu pertinente, che avrebbe dovuto fargli correggere la sua: « Dopo avere scritto questa frase, incontrai G. V. Devasthali, Religion and Mythology of the BriihmaJJas, Poona 1965, pp. r6o·6 r : " Da questi riferi­ menti. [bollito - arrosto ecc. ], parrebbe che Mitra e VaruJ:ta rappresentas­ sero due aspetti di un identico potere che produce gli stessi risultati, con la sola differenza che l'uno lo fa usando la forza e introducendo nel processo una certa violenza, rottura o ingiuria, mentre l'altro lo fa solo in un modo naturale, senza causare nessuna di queste cose n ». 2 ORIENTALIA «È Varul).a che prende col suo nodo varul).iano colui che è preso dal male» (TS 2 , 3 , I 3 , 2 ; cfr. SB 1 2 , 7, 2 , I ); quando si sacrifica, « tutto ciò che è ben sacrificato, è Mitra che lo prende, ma tutto ciò che è mal sacrificato, è Varul).a che lo prende » (SB 4, 5 , I , 6 ; TB I , 6, 5 , 5 , ecc.). Quando i due dei sono ugualmente propizi, il beneficio di Varul).a sta nel rimuovere ciò che non è desiderato, quello di Mitra nel fare accadere quello che è auspicato (TB 3 , 6 , 3 ) •. 3 ) In campo psicologico, Mitra ha piu rapporto con la ri­ flessione, Varul).a con l'azione. È quanto consegue da due equivalenze date successivamente in SB 4, I , 4, I : Mitra è colui che concepisce (abhigantar), Varul).a colui che fa (kar­ tar) ; Mitra è il kratu, concetto di cui la migliore approssima­ zione è « forza deliberante» (Renou, EVP, 8 , p. 4), Varul).a è il dak�a, « forza agente» • . 4) In virtu della sua natura, Mitra è talvolta pregato di acquietare, e in particolare di intercedere presso il suo duro fratello. Ganda ha ragione di insistere sul ruolo svolto da Mi­ tra nelle numerose circostanze in cui l'uomo cerca questa santi, questo acquietamento degli dei o delle cose ·, ma non si tratta che di un'applicazione della natura benevola del dio, e non avvalora l'etimologia del suo nome verso cui tende tut­ to il libro di Ganda '. Quanto all'intercessione, essa si osser­ va, tra altri esempi, in TS 2, I , 9, 3, ben commentata da Gan­ da: «Abbastanza curiosamente, il dio [= Mitra] , dopo avere ricevuto da un uomo che è da tempo ammalato un animale bianco, vuole placare Varul).a, a cui viene dato un animale nero, ma ovviamente questo atto non ne richiede uno reci­ proco: nel mentre si offre a Mitra, dice il testo, mediante Mi­ tra egli [= il prete affidante] placa (Samayati) Varul).a per lui [= il sacrificante] ; al tempo stesso si offre a Varul).a, imme• Lévi, Doctrine cit., p. 154; Gonda, M, pp. 16-17, 32-33, e DD, p. 149. Su queste parole, vedi sempre K. Ronnow, Ved. «kratu-», eine wortge­ schichtliche Untersuchung, in « Le Monde orientai », xxv ( 1932), pp. 1-90; Gonda, M, pp. 27-28, DD, p. 197, traduce kratu « inventiveness, resource­ fulness », dak�a « skill, adroitness » . Minard, Trois énigmes cit., II, § 8o9b, dà k. « énergie concentrée », d. « énergie créatrice », e, nella zona retorica del vocabolario, k. « force (d'imagination, d'inspiration) », d. (( Capacité (de réali­ sation selon les structures imposées) », citando Renou, EVP, 2, p. 58, « (kra­ tu) la faculté de comprendre qui précède l'acte créateur ». • Gonda, M, pp. 66-76, con numerosi testi citati. 7 Qui, pp. 64-65. 5 MITRA-VARUf:!A diatamente egli lo libera dal laccio di Varul).a ... » • . E Gonda aggiunge: «Ora capiamo perché la prima stanza dell'unico inno dedicato a Mitra ({{V 3 , 59, I ) dovrebbe essere recitata per espiare la pioggia che cade sul fuoco sacrificale o nel latte sacrificate » . Mitra h a un'affinità particolare con la sraddha, la fiducia tranquilla, una sorta di fides che l'uomo deve avere verso tut­ te le componenti soprannaturali della sua religione, dalla pro­ tezione volontaria degli dei bene invocati fino all'efficacia meccanica dei rituali ben compiuti '. Gonda ha segnalato che « in un'enumerazione sistematica delle " Spose di dei" (chia­ mate mantra) (TA 3 , 9, 1 sg. ; BhSS 1 2 , 3 , 23 ), in cui per lo piu i poteri divini (cfr. sakti) mostrano una certa affinità, Se­ nii, "Missile " , essendo la moglie di Indra, Pathyii, " Sentie­ ro " , la moglie di Pii�an [ . .] ecc., Sraddha è accoppiata con Mitra �> '"; nello stesso insieme, è la strana e potente Viriij che è la sposa di Varul).a. . 6 . Distinzione fra i due dei: d) le affinità cosmiche. Presi congiuntamente - non temiamo di ripeterlo - Mitra e Varul).a sono per lo piu indifferenziati nei loro rapporti col cosmo, in particolare con le divisioni binarie o i meccanismi doppi che lo compongono : governano insieme il cielo e la terra, il sole e la luna, vegliano all'alternanza del giorno e del­ la notte, e sono solidalmente attivi nell'uno e nell'altro ter­ mine. Ma si può prevedere, a partire dalle osservazioni che abbiamo fatto sulle loro nature, che, quando saranno asso­ ciati distributivamente all'uno o all'altro termine di queste coppie, a ) il termine che è piu vicino all'uomo, materialmente o moralmente (il terrestre, il visibile, il famigliare ecc.), si si­ tuerà dal lato di Mitra, il termine piu lontano (il celeste, l'in­ visibile, il misterioso ecc.) dal lato di Varul).a; b) il piu lumi' Gonda, M, p. 72. ' Su sraddhà, vedi H.-W. Kohler, « Srad-dhà» in der vedischen und alt­ buddhistischen Literatur, diss. Gottingen 1948; IR, pp. 47-59; C. Sandoz, La correspondance lat. « credo » : skr. «sraddhà» et le nom indo-européen du creur, in << Univ. Bern Inst. f. Sprachwiss. », Arbeitspapiere x ( 1 973), pp. 1-8. 10 Gonda, M, p. 85. 52 ORIENTALIA noso dipenderà da Mitra, il piu tenebroso da Varuç.a. E tali sono effettivamente le opzioni che si constatano, esplicite nei testi vedici in prosa, dichiarate allusivamente negli inni. I ) La formula estrema si trova in SB I 2 , 9 , 2 , I 2 : quando esce dal bagno che segue un certo rito sacrifìcale, il sacrifi­ cante « si stabilisce nei mondi», con offerte a Mitra e a Va­ tui)a. Perché? « Mitra è questo mondo qui, Varui)a è l'altro mondo » . Piu spesso, ciò di cui si tratta è da una parte la terra come soggiorno degli uomini, d'altra parte il resto del mon­ do, specialmente il cielo, dove si producono e si preparano i grandi fenomeni. Cosi già {{V 9 , 77, 5 , a proposito del l soma : cakrir divah pavate kftvyo raso mahdn adabdho varut;io hurug yaté asavi mitr6 V!iane!U yainiy6 'tyo na yiithé V!!ayu� kanikradat. Essa si chiarifica, la linfa del cielo [oppure: « La linfa (discende) dal cielo chiarificandosi»] , attiva, potente, (in quanto) grande Varur;ta, che non può ingannare l'uomo che esce dalla retta via; (in quanto) Mitra, il soma, degno del sacrificio, è stato spremuto negli insediamenti, nitrendo come un cavallo in fregola in mez­ zo alla mandria. Qui l'opposizione Varur:ta-Mitra si coordina evidentemen­ te con la contrapposizione di diva� ( « caeli » o « de caelo ») e vrjane�u ( « in saeptis, in sedibus humanis » : da un lato la menzione del cielo richiama l'apposizione «grande Varur:ta », dall'altro gli insediamenti terrestri degli uomini sono asso­ ciati al nome di Mitra. Altri passi, anche senza contrasto con Varui)a, confermano l'affinità particolare di Mitra con le so­ cietà umane e i loro insediamenti. Cosi .{{gVeda 3 , 5 , 3 ' : adhayy agnir mtinU!Ì!U vik!V àpdf!t garbho mitra cténa sridhan. Agni è stato installato nelle tribu umane, embrione delle acque, Mitra (dio) andando diritto allo scopo grazie al eta. Piu rituali, citati da Gonda l, si fondano su questa concor­ danza: ApSS 6 , 26, prescrive un'offerta a Mitra quando un 1 Traduzione fedele di Renou (EVP, 9, p. 26) (su vciana, propriamente « territorio chiuso », Io, p. 79; 16, p. 1 25); con una tradU2ione un po' diver­ sa, buon commento di Bergaigne, Religion védique cit., III, p. 136. 2 Renou, EVP, 12, p. 54· l Gonda, M, p. 32. MITRA-VAR�A 53 uomo ritorna a casa dopo piu di nove giorni di assenza, per­ ché «Mitra [ . . .] considera gli insediamenti degli uomini (kp{ih) con un occhio che non si socchiude » . AV 1 9 , 1 9 , è un inno di cui si avvale il cappellano quando il re si ritira per dormire. Un certo numero di dei, tra i quali non figura Va­ rul).a •, sono invocati, e portano diversi elementi del mondo, erbe, corsi d'acqua, ecc., che sono chiamati le « fortezze » che il prete assicura al suo signore. La correlazione tra il porta­ tore e la cosa portata, dice Gonda, si basa talvolta su una chiara analogia : cosi Vayu, il Vento, porta l'atmosfera, So­ ma, pianta, porta le erbe. Ora è la terra che è portata da Mi­ tra. Approvando H. Li.iders, Gonda commenta: « A Mitra è assegnato questo posto in questo sistema di correlazioni, os­ sia è associato con la terra, perché si sa che Varul).a è un abi­ tante del cielo » '. Con ogni probabilità la concordanza è an­ cora piu diretta. In una forma piu sistematica, una classificazione dei sei Aditya, che ritroveremo nei due capitoli seguenti •, è enun­ ciata in {{V 4, 3 , 5 , strofe indirizzata ad Agni : In che modo tu, o Agni, presenterai questa rimostranza (contro di noi) a Varur:ta, in che modo al Cielo? Qual è la nostra colpa? Come (ne) parlerai al liberale Mitra, alla Terra? Che cosa (dirai) ad Aryaman, a Bhaga? La simmetria del primo e del terzo verso è evidente, e im­ plica che il rapporto fra Mitra e la terra equilibri il rapporto fra Varuna e il cielo. Ridotto ai limiti e ai bisogni di una società particolare, il rapporto conserva lo stesso senso : il « vicino » è allora l'in­ terno della società e il « lontano» è l'esterno, l'estraneo. Cosi {{V 4, 5 5 , 5 (ai VisveDeva�), dove è probabile che Varul).a si celi sotto l'etichetta pati�, il « Padrone», come ha proposto Saya.!).a 7 : pdt patir janyad af!1haso no mitr6 mitriyad uta na urusyet. 4 L'assenza di VaruQa si può spiegare con la sua affinità col « potere tem­ porale », k�atra: il re che si addormenta non ha bisogno di questo potere, che fa dormire egli stesso; oppure sono, con VaruJ:�a, le parti lontane, miste­ riose dell'universo, a essere omesse? 5 Ganda, M, p. 34· 6 Qui, pp. 78 e 109. 7 Renou, EVP, 4, p. 57; Ganda, M, p. 2 (cfr. p. 89); Thieme, Mitra and Aryaman cit., p. 88, nota 61, intende patib come Aryaman. 54 ORIENTALIA Che il Padrone ci difenda dal pericolo proveniente da estranei, e che Mitra ci liberi da quello che viene dal «mitriacm> [= da uo­ mini delle nostre parti, da compatrioti] . « Ne consegue, - dice giustamente Renou, - che Varut:J.a concerne il pericolo esterno (senso conosciuto di ;anya), Mi­ tra il pericolo intestino [. ..] » . 2 ) Se è vero che Varurya e Mitra uniti presiedono all'alter­ nanza dei giorni e delle notti nel suo complesso, e se Varut:J.a, considerato da solo, è attivo di giorno come di notte, se si dice persino che è luminoso e che regna su un trono dorato, non è meno vero che, quando i poeti o i teologi vogliono di­ stinguere e ripartire le due sezioni periodiche del tempo con­ tinuo, è a Mitra, senza eccezioni, che tocca il giorno, a Varurya la notte. Questa formula è costante nei libri in prosa, ed è generalmente ricordata dagli esegeti moderni '. Mi limiterò a citare un passo del commento di Sayarya a {(V I , J 4 I , 9 : Varu�o riitryabhimimi deva/;! . . . mitro 'harabhimiini deva/;! : « Varurya è il dio che presiede alla notte, Mitra il dio che pre­ siede al giorno » . La contrapposizione assume talvolta la for­ ma Mitra-mattino � Varurya-sera ', e, nella letteratura rituale, Mitra sarà abitualmente assimilato al sole, come d'altronde l'Aditya che gli è piu vicino, Aryaman, sorte che non è mai toccata a Varurya. L'AtharvaVeda produce la stessa testimo­ nianza in due occasioni: secondo I 3 , 3 , I 3 , il dio Agni di­ venta Varurya di notte e Mitra di giorno; 9 , 3 , I 8 , chiede che Mitra apra, la mattina, la casa che è stata chiusa, evidente­ mente alla sera, da Varurya '". Ma il contrasto si trova già nel .{(gVeda: abbiamo prima letto " I , 1 1 5 , 5 , dove gli aspetti « brillante » e « nero » del sole sono ripartiti fra i due dei. Da questa rappresentazione proviene, per uno slittamento naturale, la contrapposizione piu generale fra i colori prefe­ riti dall'uno e dall'altro, specialmente in materia di vittime: 12• bianco (piu raramente rosso) per Mitra, nero per Varut:ta Ne deriva anche il rapporto sporadico di Varurya con l'ovest, che emerge dall'AtharvaVeda " e dal SatapathaBriihma�a, e ' Bibliografia in Gonda, M, p. 37, nota 5 · ' Gonda, M , pp. 40-41 , 57· 10 Renou, Varut;ta cit., p. 125. " Qui, p. 41. 12 Gonda, M, p. 37· " Renou, Varut;za cit., p. 125, nota 10; Gonda, M, p. 36. Ma vedi l'osser- MITRA-VAR�A 55 che implica u n rapporto simmetrico d i Mitra con l'est, docu­ mentato meno bene. 3 ) Il fuoco è l'elemento che cambia aspetto di piu e piu rapidamente. Ed è volentieri paragonato o assimilato dai poe­ ti del .{{gVeda agli dei piu diversi. Quando è assimilato a Mi­ tra o a Varut�a, è per esprimere due dei suoi comportamenti opposti. Ma, a causa della sua stessa multiformità, il fuoco, in uno stesso stato, può essere considerato da vari punti di vista, e dunque opposto a diversi altri suoi stati. Di qui un margine di arbitrarietà e una qualche instabilità nelle assimi­ lazioni. Ecco un caso dei meno sofisticati, {{V 5 , 3 , 1 , che Bergaigne ha commentato con la sua lucidità e la sua misura abituali ". tvam agne varUIJO iJyase yat tvam mitr6 bhavasi yat samiddhaf.J. O Agni, tu sei Varut;ta quando nasci, diventi Mitra quando sei in­ fiammato. « Pare che per Agni nascere ed essere acceso siano esatta­ mente la stessa cosa, - dice Bergaigne. - Nondimeno, e seb­ bene Agni possa essere acceso nel cielo, si converrà che, in un passo dove le parole nascere ed essere acceso sembrano contrapposte, la seconda dovrà essere riferita preferibilmen­ te all'Agni terrestre, e la prima a colui la cui nascita è miste­ riosa. O, se Mitra e Varul).a qui non sono contrapposti come il fuoco terrestre al fuoco celeste, lo sono almeno come il fuo­ co visibile, manifesto, al fuoco nascosto» . Questo esempio permette di sentire come, nel caso del fuoco e in casi analoghi, la riflessione analogica potesse la­ sciarsi andare a soluzioni sottili e discutibili : qui sarebbe al­ trettanto concepibile che la nascita del fuoco, ossia il suo pas­ saggio dall'invisibile al visibile, fosse attribuito a Mitra - se l'accento fosse posto non sul punto di partenza, ma su quello di arrivo -, e che la sua vampa, considerata nella sua violenza e non nel suo splendore, fosse attribuita a Varul).a. La stessa vazione di F. B. J. Kuiper, Il], xv ( 1973), p. 225 (l'insieme degli A.dytia associ ato all'Ovest). " Bergaigne, Religion védique cit., p. 137; il commento di Renou, EVP, 13, p. 106, è meno soddisfacente: «a) Agni ambiguo tra fumo e fuoco (Agni varuQ.iano); b) Agni solare (Mitra)»; commento piu strano di Thieme, Mitra and A.ryaman cit., pp. 83-84, che fa intervenire la nozione di Contratto e spezza la solidarietà dei due versi. ORIENTALIA osservazione vale per altre contrapposizioni nei comporta­ menti del fuoco che «cala�> e si spegne : violenza e minaccia in un caso, addolcimento e acquietamento nell'altro, posso­ no ricordare le prime Varul)a, i secondi Mitra; ma, inversa­ mente, splendore luminoso e utilità per l'uomo da una parte, ritorno nell'invisibile dall'altra, possono ricordare rispettiva­ mente Mitra e Varul)a. Certi teologi hanno deciso a favore della seconda formula, cosi AitBrahm. 3 , 4, 5 , che scrive: « In quanto egli [= il fuoco] balza su e giu, tale è la sua forma come Mitra e Varul)a» ". Altri hanno preferito)a prima, cosi SB 2 , 3 , 2 , I O e I 2 , secondo cui Varul)a è il fuoco che arde («per prendere le creature»), Mitra il fuoco che si sta spe­ gnendo. Stessa ambiguità, e di conseguenza soluzioni ugual­ mente contraddittorie, per un altro fenomeno al massimo e al minimo " : in PB 25 , Io, Io, Mitra presiede alla metà cre­ scente della lunazione e Varul)a alla metà decrescente (l'anti­ tesi qui è dunque luce � tenebre) , ma SB 2 , 4, 4, I 8 , inverte le attribuzioni (dunque l'antitesi fissata è eccitamento � ac­ quietamento). Come si vede, si tratta di una casistica dai gio­ chi imprevedibili 17, dunque poco utile per lo studio dei vec­ chi contrasti fondamentali, ai quali è ora di tornare. 7 . Distinzione fra i due dei: e) le affinità sociali e teolo­ giche. I ) Mitra e Varul)a sono spesso chiamati « te» come gli al­ tri .Aditya, come pure lndra, ma in una prospettiva diversa. Tuttavia il piu « re » dei due è Varul)a: ritualmente, è Va­ tul)a, non Mitra né Mitra-Varul)a, a costituire·il patrono e il modello del re nella cerimonia della sua consacrazione, nel rajasiiya, dove molte scene sono giustificate, nei commenti, come riproduzione di ciò che ha fatto o subito « Varul)a, quando fu consacrato » . Questa specializzazione è precisata in uno dei testi piu uti­ li per l'osservazione differenziale, vale a dire, all'inizio del quarto libro del SatapathaBrahma!Ja, il commento delle of15 16 Gonda, M, pp. 25-26; cfr. p. 68. Gonda, M, p. 43· 17 Si verifica la stessa situazione per i rapporti differenziati di Mitra e di Varul)a con certi ritmi poetici, con i tempi della respirazione, ecc. MITRA-VARU!':'A 57 ferte fatte successivamente alle coppie Indra-Agni, Mitra­ Varul)a, agli Asvin, ecc., in occasione della prima delle tre spremiture diurne del sacrificio di soma (4, r , 4, 2 e 3 ; cfr. 2, 5 , 2, 34, ecc.). Mitra vi è assimilato al brahman, principio della prima funzione, quella religiosa, realizzata in quell'epo­ ca nella classe sacerdotale, mentre Varut:�a è assimilato allo k�atrd, nozione piu complessa che è insieme il principio della seconda funzione, guerriera, realizzata nella classe degli k�a­ triya, ma anche, quando si tratta del re (normalmente egli stesso rampollo della classe degli k�atriya) , il potere nei suoi aspetti piu profani, fondati sulla forza '. Da questa riparti­ zione derivano certi rapporti ambigui fra Mitra e Varlll).a (uguali t ari? gerarchici ?), paragonabili a quelli che esistono fra il re e i brahmani (o almeno il suo cappellano). Cosi �V 7, 8 2 , 5 , che ha il vantaggio di definire inoltre la coppia so­ vrana in rapporto a Indra ': indriivaru�ii yad imani cakrathur vifvii jiitdni bhUvanasya majmanii k�éme�a mitr6 varu�a'!l duvasyati marudbhir ugra� subham anya iyate. O Indra-Varui:Ja, quando voi aveste creato tutte queste cose nate dall'universo grazie alla vostra grandezza; Mitra gratifica Varui:Ja del (loro) possesso pacifico, l 'altro [= « ln­ dra»] avanza, dio tremendo, con i Marut, per (una spedizione piena di) splendore. Lo kfema ', occupazione tranquilla del territorio e dei beni che produce, qui è dunque un dono di Mitra a Varut:�a; ma quale relazione implica questo dono, espresso dal verbo de­ nominativo duvasyati ', a sua volta ambiguo? Da superiore a inferiore («concedere »)? Da inferiore a superiore (« offrire in omaggio»)? Entrambe le precisazioni incontrano difficol­ tà. In ogni caso, il senso dell'atto è chiaro: è per l'aspetto brdhman proprio di Mitra che Varul)a, dotato in proprio del­ lo k�atrd e paragonato a un re umano, regna su un territorio tranquillo che Indra e la sua truppa di guerrieri Marut difen1 Ananda Coomaraswamy ha persino pensato ( r942) di poter mutuare dagli occidentali le loro categorie di << autorità spirituale » (Mitra) e di « po­ tere temporale » ( Varu�a). 2 Renou, EVP, 5, r9; 7, 82. 3 Qui, p. r6 e nota 9· •· Renou, EVP, 4, p. r4; ro, p. 6r ; r6, p. 22. ORIENTALIA dono d'altra parte brillantemente sulle frontiere. In questa funzione, Mitra rende al re Varul).a il servizio che il re terre­ stre riceve dal suo cappellano 5 • 2 ) Piu in generale, Varul).a presenta un'affinità con Indra della quale non partecipa Mitra. Meno numerosi degli inni a Mitra e Varul).a, gli inni a Indra e Varul).a lo sono abbastan­ za perché la statistica sia significativa, e se nel .J3gVeda, co­ me osserva Renou ', « alla dualità unitaria dell'altro gruppo (MV) si oppone la dualità contrastata di questo (IV)», vale a dire se la differenza tra i due termini della coppia è rimar­ cata piu fortemente e piu spesso per Indra-Varul).a che per Mitra-Varul).a, è perché non si trafta piu di una complemen­ tarità antitetica all'interno di una stessa funzione, ma di col­ laborazione fra due livelli funzionali, quello sovrano, e, con o senza regalità, il livello guerriero. Non è meno vero che, per esempio, il GopathaBriihm. 2 , I , 2 2, può arrivare al pun­ to di affermare Indro vai Varunah « Indra è Varuna », !ad­ dove non s'incontra l'espression� indro vai Mitra�}. Per i due poli del concetto di k�atra, inseparabili persino se dobbiamo tradurre talvolta « potere temporale », talvolta « principio della funzione guerriera », Varul).a è aperto naturalmente alle cose della guerra: «Tu, o VarUI).a, sei il dio di tutti (gli es­ seri), capo (delle popolazioni), a te piace condurre il carro di guerra », gli dice il poeta di IO, I 3 2 , 4 7 • Non si legge nulla di simile a proposito di Mitra isolatamente preso, di cui le affinità sono completamente diverse. Ne ha per esempio con i Vasu, collettività divina mal definita nella letteratura ma che ci sono motivi di collegare al terzo livello ', e che d'al­ tronde nello stesso testo di SB 6, 5 , I , 9, che identifica la loro azione con quella di Mitra, sono esplicitamente collocati sul­ la terra per contrasto con i piani superiori del mondo '. 3) Sono dichiarate altre affinità tra Varul).a e personaggi, esseri o elementi strani e inquietanti dell'universo. È il re del « popolo dei Gandharva» (SB I4, 4, 3 , 7), categoria di 5 Cfr. .B.V, 4, 50, 7-9 (FR, pp. I J I ·J 2). Renou, EVP, 7, p. 3· 7 Traduzione di Renou, EVP, 5, p. 89; commento ibid., 7, p. 64. ' Qui, pp. r8-r9, Gonda, M, pp. Sr-82. ' Gonda, M, p. ror, commentando 3, 59 , 5 : « . .. Mitra, il dio che proteg­ ge le coltivazioni » (nota I : « uomini stanziatisi come coltivatori »). 6 59 MITRA-VARU�A genì di cui le affinità animali non saranno dichiarate che piu tardi (il che non significa che non le abbiano avute da sem­ pre), ma che, dal J3.gVeda, sono sorprendenti e temibili e frui­ scono di un « mondo » loro proprio. Quanto a Mitra, sta inte­ ramente dalla parte degli uomini : non gli si conosce un altro popolo. Almeno una volta, in un inno funebre (J3.V Io, I4, 7), Va­ tul).a è associato a Yama per il fatto di regnare nel luogo dove si raccolgono i morti. Mitra non pratica che i vivi, i vriana, i kuti di questo mondo. In contrasto a Mitra cosf attaccato alla terra degli uomi­ ni, alla terraferma, Varul).a è associato all'elemento molto piu mobile e misterioso dell'acqua '", e in particolare a quelle grandi masse d'acqua av\lolgenti che sono, nell'esperienza degli uomini, l'oceano, samudra, ma anche le acque celesti cariche di mitologia che si rivelano di tanto in tanto con le piogge diluviali, e piu in generale le acque cosmiche che certe speculazioni mettono all'origine dell'universo. Quanto al fuoco, che a dire il vero è in un rapporto di affi­ nità con gli dei piu diversi, specialmente sul piano delle tre funzioni, è certo mitriaco per i servigi che rende all'uomo e alle società umane, ma è varul).iano per la forza pericolosa che cela e per le sue metamorfosi, insomma per la sua stessa es­ senza, e anche per il ruolo immenso che gli è assegnato nel­ l'universo. La quinta delle prime sei strofe di J3.V Io, 8, che sono un inno ad Agni considerato soprattutto come potenza cosmica ", definisce bene questo aspetto del dio: bhUvas cak!ur maba rtasya gopd bhUvo varUIJO yaJ [laya Vé!i. Tu sei diventato l'occhio e il guardiano del grande rta (l'ordine co­ smico e morale), tu sei diventato Varu�a (nel senso) che ti affac­ cendi per il rta. 10 Non mi è possibile seguire Liiders (Varu�a cit., I Varu�a und das Wasser) nella sua interpretazione dei rapporti di Varui:J.a con le acque. Gon­ - da, M, pp. 34-35, e DD, p. 157, mette in luce una divisione dei compiti tra Varui:J.a e Mitra: Varui:J.a ha piu affinità con le acque trattenute (dunque lon­ tane, sottratte all'uomo), Mitra le fa scorrere, specialmente nella pioggia (alla vista e al servizio dell'uomo); Liiders, Varu11a cit., II, 1959, p. 715, aveva già notato che Varui:J.a dà la pioggia solo unendosi a Mitra. " Renou, EVP, 14, pp. 7 e 69 (non credo che il primo verso si riferisca a Mitra). ORIENTALIA 6o Questa identificazione di Varut:ta e di Agni con la media­ zione del rta deve essere tenuta ben presente 12• 8 . Unità del dossier. Dal bilancio che precede deriva un'impressione di unità, di coerenza tra le formule cosf diverse che pretendono di ma­ terializzare il contrasto e la complementarità dei due dei. Non temiamo la parola « impressione » : dati i loro caratteri, si « sente» che non è possibile che cambino le loro posizioni, fuorché nelle poche circostanze particolari in cui sono abban­ donati alle sottigliezze casistiche e di cui si sono incontrati prima alcuni esempi. Il benevolo Mitra non può essere le tenebre in quanto op­ poste alla luce, né l'altro mondo in quanto opposto al nostro mondo, né il soma in quanto opposto al latte, né alcuna ope­ razione violenta rispetto a un'operazione progressiva, né può avere piu affinità con la seconda funzione che con la terza. Tutte queste applicazioni sono orientate in uno stesso senso, e colorano in modi diversi uno stesso disegno. Non capisco la correzione che Gonda ha apportato alle affermazioni di Bergaigne e alle mie, quando, dopo avere correttamente con­ statato che un commentatore indiano dichiara Mitra « ami­ chevole » e Varul).a « terribile» (krura), e che in questa occa­ sione sono inoltre identificati l'uno col giorno, l'altro con la notte, scrive: Fu questa contrapposizione a indurre Bergaigne [La religion vé­ dique, 3 , p. 1 1 5] a formulare la relazione dei due dei come relazio­ ne fra !'« amico ben disposto» e << quello severo», essendo entrambi «sovrani ». Di qui anche la formulazione di Dumézil : «Mitra è il sovrano nel suo aspetto [ ...] benevolo [ ...] ; VaruJ].a è il sovrano nel suo aspetto [ ...] cupo, violento, terribile». Secondo la mia opinione sarebbe meglio dire che la coppia di dei rappresenta in maniera complementare il duplice aspetto dell'idea che impersonano 1• In questo modo non si tiene conto che della forma, dello schema, della cornice binaria, mentre si rifiuta di riconoscere 12 Qui, p. 120 . Gonda, M, p. 40; analogamente, in DD, p. 152, il rapporto delle due divinità con la notte e il giorno non sarebbe che «una delle espressioni del carattere complementare della dualità»; ma perché la notte tocca a VaruJ].a, e il giorno a Mitra? 1 MITRA-VARU�A l'essenziale, gli orientamenti solidali dei contenuti diversi di questa cornice e l'impossibilità in cui si è di invertire le attri­ buzioni dei due termini di ognuno di tali contenuti. Ma se si coglie agevolmente, intuitivamente, questa soli­ darietà, è piu difficile definirla con una formulazione unita­ ria. Dapprima ho creduto bastasse procedere raccogliendo epiteti ognuno dei quali richiama una voce del bilancio che precede. È cosi che ho scritto, in Mitra-VarU?:za: Mitra è il sovrano nel suo aspetto razionale, chiaro, ordinato, calmo, benevolo, sacerdotale; Varu�a è il sovrano nel suo aspetto aggressivo, cupo, ispirato, violento, terribile, guerriero 2• Non è certo la formulazione migliore, sebbene sia facile giustificare, con citazioni indiane o con traduzioni e dichia­ razioni dello stesso Gonda, ognuna delle qualità che essa at­ tribuisce all'uno e all'altro dio. In seguito, rinunciando a tali accumulazioni di epiteti, ho preferito presentare in parallelo due brevi tavole descrittive 3• Ma è spesso necessario, nelle esposizioni, richiamare piu brevemente, con una parola, il tipo di ognuno degli dei; secondo le circostanze, ho dunque usato espressioni come « sovrano terribile» e « sovrano bene­ volo », « sovrano mago » e « sovrano giurista», ognuna delle quali non fa che valorizzare uno degli elementi piu significa­ tivi del bilancio, ma naturalmente non sostituisce gli altri. Tuttavia se si tiene a stabilire una prospettiva logica, una sorta di filiazione in queste formule molteplici e contrastanti, l'espressione piu comprensiva con il minor numero di parole sarà forse la seguente : «Mitra è piu vicino all'uomo, Varury.a meno vicino » - dove l'aggettivo « vicino » è investito di valo­ ri molto ampi, non solo concreti, ma anche figurati (« amiche­ vole », «preoccupato di », « accessibile », «percettibile » ... ) Ma essa dissimula ciò che è importante non meno che l'orienta­ mento comune: la varietà delle applicazioni. 9 · Sviluppi. Non si deve dimenticare che questo plesso di contrasti equipollenti ha il suo punto d'appoggio nella zona della so2 MV, r• edizione ( 1940), p. 49; 2' edizione ( 1 948), p. 85. Dumézil, Les dieux des Indo-Européens ( 1952), p. 42; ME, P, pp. �4?-49· 3 Cosi: 4 ORIENTALIA vranità, e che è nella misura in cui i due grandi dei, in virtu della loro stessa natura sovrana, sono atti a intervenire ovun­ que con il tipo d'azione loro proprio, che la formula generale della loro unione può essere applicata a oggetti cosi diversi come l'aspetto del fuoco e la topografia cosmica, dove forni­ sce classificazioni binarie alle piante, ai prodotti dell'indu­ stria umana, alle operazioni dello spirito, a certi numeri o ritmi, eccetera, insomma alla valorizzazione concettuale delle coppie che preesistono allo stato naturale nel mondo. In que­ sto si distingue dalla ripartizione che i cinesi hanno fatto di tutte le cose in yang e yin, e a cui l'ho accostata un po' fretto­ losamente nel I 940 : Marcel Granet (La pensée chinoise, pp. 1 1 5-48) ha studiato gli usi dei termini yang e yin nei testi piu antichi del quinto, del terzo secolo a. C. Da allora le loro applicazioni sono molto ampie: se ne incontrano in testi astronomici, geografici, musicali, e la specifica­ zione «maschio - femmina» è piu che indicata. (Che quest'ultima specificazione sia primaria è poco probabile, poiché i due caratteri corrispondenti sono formati con la chiave del « tumulo », mentre una nozione essenzialmente femminile in opposizione al maschio conterrebbe la chiave della «donna )); ma si è delineata molto pre­ sto, secondo Granet grazie a rappresentazioni ierogamiche quali Cielo e Terra, Fuoco e Acqua, eccetera, cosf importanti in tutte le speculazioni cinesi). Quale che sia d'altronde l'origine dei nomi e delle grafie, l'universo concreto e astratto è stato distribuito assai presto in ydng e yin; punti e porzioni del tempo e dello spazio, fun­ zioni sociali, organi, colori, suoni, grazie a corrispondenze massicce o tenui, a giochi simbolici, ad artifici di calcolo, o per analogia dia· lettica, sono stati ripartiti in diadi antitetiche ... '- La differenza è che, nell'India, queste specificazioni mol­ teplici del contrasto servono solo a illustrare la natura della coppia Mitra � Varul).a, e non pretendono di abbracciare, di spiegare esaustivamente le cose e i concetti, mentre in Cina sono le cose e i concetti, tutte e tutti, a richiamarsi alla classi­ ficazione binaria di cui la coppia yang � yin non è che l'eti­ chetta, per organizzarsi. Il paragone cinese è tuttavia sugge­ stivo. Induce specialmente a prestare attenzione alle circo­ stanze rare, ma concordanti, in cui Mitra e Varul).a sono di­ stribuiti nei sessi maschile e femminile : Il SatapathaBràhma1Ja 2, 4, 4, 19, a proposito dell'alternanza delle lune piene e delle lune nuove, dice che «Mitra eiacula il suo 1 MV, 1940, pp. 143-44; 1948 , pp. 205-6 . MITRA-VARU�A seme in Varut:J.a» (mitro varut:ta retaiJ siiicati) . Lo stesso Briihmaf}a, in 1 2 , 9, 1 , 1 7 , conferma, apponendolo questa volta al maschio Indra, che << Varut:J.a è la matrice » (yonir eva varuf}al?) . Questo pri­ mato sessuale di Mitra e questa fecondazione di Varut:J.a da parte di Mitra concordano con il primato concettuale di Mitra e la fecon­ dazione concettuale di Varut:J.a da parte di Mitra che si sviluppano per esempio nello stesso Briihmaf}a, in 4, r, 4, dove Mitra e Vatul).a sono contrapposti successivamente, tra l'altro, come il kratu che forma il progetto e il dak�a che lo esegue, come l'abhigantar, «colui che concepisce», e il kartar, « colui che fa », come il brahman e lo k�atra. Questo testo spiega come Mitra e Varut:J.a fossero dapprima distinti (agre niineviisatul?), ma come, mentre Mitra (il brahman) poteva sussistere senza Varut:J.a (lo k�atra), l'inverso fosse inconce­ pibile, e come Varut:J.a dicesse allora a Mitra : «Voltati verso di me (upa miivartasva), affinché ci uniamo (saf?Zsriiivahai), ti assegno la priorità» (puras tvii karavai: cfr. l'insediamento del purohita, cap­ pellano del re). Allora si crede di capire donde provengano certe concezioni delle filosofie ulteriori. Il sistema siif?Zkhya, che spiega l'universo con la collaborazione di un « Io» spettatore che chiama Puru�a, « il (principio) Maschio», e di una «Natura», agente fem­ minile multiforme, la Prakrti, ha sentito che questo Puru�a e que­ sta Prakrti si contrapponevano come Mitra e Varut:J.a (Mbh 12, 3 1 8, 39: mitram puru�af?Z varuf}am prakrtif?Z tathii). Nell'altra grande scuola filosofica, nel vediinta, i due principi antitetici sono Brahmii e Miiyii; anch'essi si definiscono sessualmente: da un lato la proiezione celeste, maschile, del brahman (e «Mitra è il brah­ man », dicevano i Briihmaf}a contrapponendolo a Varut:J.a, come abbiamo visto); d'altro lato l'Illusione creatrice di forme (ora nel J!..gVeda la miiyd è una tecnica di Varut:J.a) '. Si tratta di sviluppi tardi, ma conformi alla natura degli dei, messi lessicalmente al servizio di sistemi di pensiero do­ ve, come dei, non avevano nulla a che fare. 1 0 . Etimologie. In tutto ciò che precede, non è intervenuta affatto l'etimo­ logia, per parecchi motivi. Un nome di origine incerta, giustamente controversa, co­ me potrebbe garantire la natura attribuita alla divinità che lo porta? È il caso di Varu1Ja, per cui non è stato proposto nulla di sicuro e neanche di « piu probabile» - nonostante recenti tentativi -, di modo che piu radici continuano a con'·MV, 1940, pp. 1 44-45; 1 948 (sviluppato), pp. 208-ro. ORIENTALIA tendersi l'onore di averlo prodotto 1 • Di conseguenza, il solo modo oggettivo di comprenderlo sta nell'osservare il perso­ naggio mentre agisce, senza opinioni preconcette sul signifi­ cato del nome, come si fa in Grecia o a Roma per Apollon, per Athena, per Miiuors e per tanti altri. Anche se bene stabilita, se evidente, è raro che un'etimo­ logia definisca adeguatamente un dio di una qualche impor­ tanza, perché l'attività di tale dio ha necessariamente aspetti e applicazioni molto numerosi. Le mitologie sono piene di personaggi di cui il nome, senza mistero, è lungi dall'annun­ ciare la totalità del loro comportamento, o anche l'essenziale. Per esempio in Scandinavia Odinn, re degli dei Asi, inven­ tore delle rune, donatore di vittorie improvvise, albergatore di una parte dei morti, cieco di un occhio, subdolo ecc., non è, secondo il suo nome, che « il dio provvisto di 6ilr», parola che indica l'agitazione frenetica; l>6rr, il « tuono », compie imprese, aiuta i coloni d'Islanda in maniere in cui il tuono non c'entra affatto; e come prevedere che Freyr, propriamen­ te il «Signore», sia il dio di una fecondità che il suo ingens priapus upsaliano annuncia piu francamente che il suo nome? Con ogni probabilità è questo il caso di Mitra, per il quale la spiegazione ovvia resta quella che Antoine Meillet ha pro­ posto all'inizio del secolo ', e che si basa su un dato inconte­ stabile: nello Yast del dio omonimo dell'indiano Mitra, l'a­ vestico mi8ra significa come appellativo « contratto », ossia una delle specificazioni dell'azione del dio che importano di piu agli uomini, e che anche l'India ha esplicitato '. Tra le altre etimologie proposte, alcune non sono che in­ gegnosi esercizi linguistici senza rapporto con il dossier del dio. Quanto a Gonda, ne sostiene una che ha il merito di ri­ spettare la divisione naturale mi-tra, e di enucleare cosi il -tra suffisso dei nomi di strumenti; inoltre - secondo un giusto metodo - non l'ha proposta che a conclusione del suo lungo studio del dio stesso, da cui si è persuaso che deriva '; ripren­ dendo una proposta già vecchia, ammette <mna relazione fra mitra e il vedico mayas, " restaurazione, riparazione, ristoro " Vedi la voce nel dizionario etimologico sanscrito di Mayrhofer. Meillet, Le dieu indo-iranien Mitra, in ]A, I907, pp. I43-59· 3 Numerosi esempi nelle EVP di Renou, specialmente Io, p. 2I, 70 (mi­ tram dhii-, << concludere un'alleanza »; I6, p. I6I (ad �V Io, Io8, 3 ). • Ganda, M, p. 1 15 . 1 2 MITRA-VARUt:/A [restoration, redress, refreshment] » , e aggiunge: « Il signifi­ cato del suffisso (-tra-, ossia -tro-) non contraddice questa supposizione, in quanto il dio è strumentale nella diffusione di una benevola gentilezza ». Disgraziatamente, attraverso le cento pagine che preparano questa decisione, non si può che seguire con divertimento l'audacia crescente con cui le tradu­ zioni di testi vedici date dall'autore introducono il concetto di « restoration », di « redress », di « refreshment» là dove nulla suggerisce lo scaltro piccolo prefisso re-. Ciò comincia dal capitolo su «Mitra e Varut:ta » (p. 3 2 ) ; Mitra, legando la zampa destra di una vittima, ottiene il duplice risultato che questa vittima sia effettivamente legata, e che non sia confi­ scata da Varut:J.a '? Gonda interpreta : «Mitra, la " componen­ te positiva " della coppia divina, neutralizza il cattivo effetto del legare, e ripristina [restores] l'equilibrio » . Tuttavia qui non è affatto ripristinato, ristabilito un equilibrio dapprima perduto; semplicemente, è risolto un problema con due dati, con due esigenze uguali, contraddittorie e simultanee. Per giunta la « restoration » del tutto oggettiva che scivola in questa frase non avrebbe nessun rapporto - fuorché per un gioco di parole - con la « restoratiom> (il ridare ardore e gioia) che è indicata dal termine vedico mayas, come altrove da i�. Analogamente, le espressioni <� benevolent redress », « friendly adjustement» (p. 4 5 , linee 3-2 dal fondo) non si giustificano, piu di quanto non si giustifichi Mitra come « il dio che mantiene e (specialmente) ripristina l'Ordine » (p. I O I , ultima linea). Se la santi, l'acquietamento, quando è ne­ cessario, è naturalmente una faccenda di Mitra nei confronti di Varut:J.a, non è per questo l'elemento centrale, germinativo del suo dossier: l'acquietamento non è che una delle manife­ stazioni prevedibili del suo carattere benevolo e dolce. In queste condizioni, insisto dunque nel preferire partire, con Meillet, da un appellativo indoiranico *mi-tra-, che si­ gnifica « strumento (suffisso -tra) di accordo, d'intesa (radice mei- ') », e che permane nell'avestico miOra: il concetto sarà 5 Qui, pp. 46-47. Quella di sanscr. mayate, « egli scambia », lat. miinus, commiinis, got. ga-mains, « comune», si. ant. mena, « scambio », ecc. Sulle altre etimologie proposte, oltre alla voce nel dizionario etimologico di Mayrhofer, vedi Re­ nou, EVP, 4, p. 98, e la comunicazione dello stesso Mayrhofer al Convegno sugli Studi Mitraici di Teheran ( 1975, Atti in corso di stampa). 6 66 ORIENTALIA stato semplicemente personificato al genere animato 7 per in­ dicare la divinità di cui una delle funzioni piu utili in effetti era quella di promuovere l'intesa fra gli uomini. Ma ovvia­ mente questo nome non esplicitava la totalità degli uffici o delle caratteristiche del dio piu di quanto non faccia ognuno dei nomi che i cristiani dànno volentieri a Cristo - il Reden­ tore, il Figlio di Dio, il Figlio dell'uomo, il Verbo, l'Agnello, il Bambino Gesu, eccetera -, e che, mettendo in primo piano un punto importante della cristologia, sarebbe potuto diven­ tare un nome canonico. Non resta da discutere che una questione secondaria, e alla quale Gonda attribuisce un'importanza che non ha: questo « strumento d'intesa » è tradotto adeguatamente, nel suo sen­ so piu antico, dalla nostra parola « contratto » ? Sf, a condi­ zione di non immaginare dietro questo termine un atto, un documento del tipo che si pratica nelle nostre società carat­ terizzate dalla scrittura ', allo stesso modo che nel valore « amico » verso cui gli indiani hanno orientato l'appellativo mitra non bisogna mettere l'accento sugli elementi affettivi che ci sembrano essenziali. Su questo punto non avrei nulla da cambiare nella mia vecchia esposizione, nonostante Gan­ da, tranne riferimenti troppo precisi al tipo « potlach» degli scambi: L'interpretazione di Meillet è stata contestata da mitologi fe­ deli al naturalismo di Max Miiller e anche da filologi male infor­ mati sui limiti della loro giurisdizione. Tuttavia s'impone, quanto all'Iran, per poco che si legga senza prevenzione lo Yast di MiOra. Quanto all'India, che Mitra sia apparentemente, nel .(,{gVeda, una cosa del rutto diversa dal Contratto, che il senso di «amico» vi do­ mini, è un'evidenza che non si perderà tempo a contestare. Ma la differenza è illusoria: non esiste che nella misura in cui ci si fa un'idea dell'amicizia moderna e romantica, e anche, del contratto, un'immagine latina e in certo qual modo notarile. Che si conside­ rino i lavori occasionati, in Francia e altrove, dalla scoperta di un 7 Su questo punto del genere grammaticale ( inanimato - maschile), di cui si è fatto talvolta un grave problema, condivido l'opinione di Kuiper, in II], xv ( 1973), pp. 227-28: è importante per il filologo, non per lo storico delle religioni. ' Il dotto Gonda sospetta gli autori francesi di intendere *mitra- nel senso di « contratto » perché sarebbero obnubilati dal Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau. Quanto a me, posso assicurarlo che non è cosi; e certamente non era neanche il caso di Meillet: « contrat », in francese, è una parola molto comune. MITRA-VARUt:IA fenomeno molto generale che si chiama, con un nome mutuato da­ gli indigeni della Columbia britannica, il « potlatch», in particolare la memoria di Marcel Mauss, Essai sur le don, forme primitive de l'échange (<<Année Sociologique », Nuova Serie, 1, 1 9 2 5 , pp. 301 86). Si vedranno allora avvicinarsi i due fuochi semantici tra i quali l'India e l'Iran sembrano aver filato il preistorico *Mitra-... Come epigrafe della sua memoria, Mauss ha citato piu strofe dei Hfzvamfzl, carme eddico che, in forma di sentenze, descrive al­ cune istanze importanti delle antiche società scandinave. Si avverte quanto siano vicine e solidali le nozioni di « scambi regolari » e di « amicizia». 29. Non ho mai trovato uomo cosi generoso e cosi prodigo nel nu­ trire i suoi ospiti che « ricevere non fosse ricevuto », né uomo COSI [l'aggettivo manca] dei suoi beni che ricevere in compenso gli fosse sgradevole ... 4 1 . Con armi e vesti gli amici devono farsi piacere; ognuno lo sa da sé, coloro che si fanno reciprocamente doni sono amici piu a lun­ go ( viilrgefendr erusk lengst vinir), se le cose riescono a prendere una buona piega. 42. Si deve essere un amico per il proprio amico e rendere dono per dono (ok gjalda giof via giof)... 44· Tu lo sai, se hai un amico in cui hai fiducia e se vuoi ottenere un bel risultato, occorre mescolare la tua anima alla sua e scambiare doni e rendergli spesso visita ... Occorrerebbe seguire davvicino, nel settore germanico, le no­ zioni che esprimono in queste strofe i verbi trua, « avere fiducia, credere», e gjalda, « pagare in compenso ». Accontentiamoci di os­ servare che il nome scandinavo dell'amico, vinr (cfr. antico alto tedesco wini) non è solo apparentato a quello della «grande fami­ glia» irlandese, fini, di cui i limiti si definiscono per gradi diversi di responsabilità comune (donde il vecchio irlandese anfine, il « nemi­ co », formato come il vecchio scandinavo 6-vinr, con lo stesso sen­ so), ma anche, con ogni probabilità, al primo elemento del latino uin-dex (formato come iudex su ius) che esprime una nozione giu­ ridica in primo luogo: il uindex infatti è « il garante assunto dal convenuto, che si sostituisce a lui davanti al tribunale e si dichiara pronto a subire le conseguenze del processo» (A. Ernout e A. Meil­ let, Dictionnaire étymologique de la langue latine) . Cosf a giudi­ care dal suo nome l'«amico» svedese, il viin, si è enucleato nel cor­ so dei secoli a partire da un complesso economico dove l'interesse, !'« investimento» avevano una parte di cui i Hfzvamfzl testimoniano ancora per l'alto Medioevo scandinavo, e anche, con ogni probabi­ lità, da un complesso giuridico dove la vendetta doveva svolgere un ruolo molto importante, dal momento che le parole latina e ir­ landese apparentate la mettono in primo piano. Ancora, analoga­ mente, l'irlandese cairde, propriamente amicizia (cfr. latino carus eccetera), designa ogni trattato concluso tra due clans, dal semplice armistizio alle piu ampie intese (vedi il lungo studio di R. Thur­ _ neysen nel commento ai « Falsi giudizi di Caratnia», § q, in ZCPh 68 ORIENTALIA 15, 1 925, pp. 326 sgg.). Mutatis rnutandis, i rapporti del sanscrito mitra, « amico » e dell'avestico miBra, « contrattO >>, devono essere dello stesso tipo '. Ripetiamo, per concludere queste considerazioni, che se l'analisi del nome che ha fatto Meillet. è la piu soddisfacente, qui non compare come argomento: è l'esame del carattere, del comportamento e delle relazioni del dio che ha fatto ap­ parire la sua posizione esatta nella teologia vedica, e nello stesso tempo ha orientato una preferenza etimologica, che resta secondaria. Capitolo secondo I sovrani minori della teologia vedica Tali sono i due Aditya piu sostanziali, o dei di primo livel­ lo, dei sovrani. Il nome collettivo del gruppo è oscuro. Molto presto gli indiani lo hanno inteso come un derivato di a-diti, «assenza di legame», e questo appellativo di genere femmi­ nile è stato promosso al rango di dea, per servire loro da ma­ dre. Ma Aditi è una figura scialba che non li chiarisce, anche se, in alcuni complessi, li accompagna o sembra persino rap­ presentar/i. È possibile che essa non sia che una creazione eti­ mologica e che la parola Aditya debba essere intesa altrimen­ ti '. In ogni caso questi dei partecipano all'opera comune che è stata descritta sinteticamente a proposito di Mitra e di Va­ rutta, e, come loro, sono chiamati collettivamente «re». r. Configurazione del gruppo degli Aditya. Il loro numero, variabile secondo le epoche, è limitato: non è mai stato superiore a dodici '. D'altra parte, se non co­ stituiscono una gerarchia in linea di principio, esiste tra loro una disuguaglianza di fatto, a giudicare dalla frequenza con cui sono menzionati negli inni. Per non parlare che dei primi, Varurya e Mitra si staccano in testa, e Aryaman e Bhaga ven­ gono molto dietro Mitra, di cui si è potuto dire che Aryaman non era che un riflesso. 1 Come sura, << dio », proviene da una reinterpretazione di asu-ra nel sen­ so di a-sura. 1 Nell'epopea sono talvolta undici, tredici, ma Mbh 3, 134, 1 19, dice: « .:. i saggi (dhirii/;J) dicono che gli Aditya sono dodici ». ORIENTALIA Tuttavia la stessa esistenza di piu di due Aditya costitui­ sce una difficoltà. Si è visto, nel capitolo precedente, che Mi­ tra e Varut:ta sono complementari, si combinano tra loro co­ me i due termini di un contrasto multiforme, e cosi occu­ pano, un passo dopo l'altro, senza residui, tutti i settori in cui intervengono. Allora che cosa possono rappresentare, che cosa si trovano a eseguire gli altri personaggi del gruppo ? Nel tempo in cui si consideravano come primarie certe espres­ sioni naturalistiche di questa complementarità, si superava la difficoltà abbastanza facilmente : nel mondo sensibile, il con­ fine tra due metà antitetiche è raramente lineare, forma una frangia ambigua, che può essere eretta a sfera indipendente e permette di istituire almeno un terzo signore divino: se il giorno è di Mitra e la notte di Varu.r:ta, restano i crepuscoli, e di fatto SayaJ;ta insegna piu volte che Aryaman è il sovrano dei crepuscoli. Ma noi sappiamo che la formula della relazio­ ne di Mitra e di Varlll:ta ha una portata molto maggiore di queste espressioni concrete. Se Mitra è dolce e accomodante e Varut:ta violento e duro, o se governano l'uno ciò che è piu vicino all'uomo, l'altro ciò che gli è meno vicino, o se l'uno prende quello che è ben sacrificato, l'altro quello che è mal sacrificato, quali tipi di umore, quali competenze, quali pro­ prietà caratterizzeranno Aryaman e i suoi compagni ? Ancora una volta, la risposta non può risultare che dal­ l'osservazione diretta delle figure considerate, tuttavia a con­ dizione di non dimenticare, quando si osserva ciascuna di esse, come siano tutte parti di uno stesso insieme strutturato. Ora - come accade spesso - considerazioni esterne, superfi­ ciali se si vuole, ma ampie e sintetiche, rivelano le linee fon­ damentali di questo insieme. I . Gli Aditya sono di numero pari, fuorché in rari conte­ sti. Il solo passo del {{gVeda che li elenchi con l'intenzione visibile di essere esaustivo (2, 27, I ) ne nomina sei, Mitra, Varut:ta e altri quattro. I Brahma1Ja dicono che sono otto (nu­ mero che s'incontra già in AV 8 , 9 , 2 I , e persino in {{V I O , 72, 8-9), m a gli ultimi due sono evidentemente eterogenei, giustapposti; d'altronde hanno dato luogo a una tradizione molto interessante : uno dei due alla sua nascita è dapprima rigettato in forma di « uovo morto », e dopo la sua reden­ zione, sebbene Aditya, non diventa un dio come gli altri (è I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 7I Vivasvat, antenato degli uomini), di modo che in questo caso si può dire che non ci sono che sette « veri» Aditya. È quello che dice effettivamente, in un'altra prospettiva, {{V 9, I I4, 3, dove il settimo costituisce d'altronde un enigma di cui la soluzione ', molto dibattuta, sembra non essere altro che In­ dra, re degli dei. L'epopea, con nuove aggiunte parzialmente instabili, in genere conta dodici Aditya 3• I sei nomi che sono elenca ti in 2 , 2 7, I , e che, con una ri­ serva relativa all'ultimo, si ritrovano immutati in seguito, sono, secondo l'ordine decrescente delle frequenze negli inni del {{gVeda: I . Varuna 2 . Mitriz 3 · Aryaman 4· Bhaga, « Sorte », « Parte �> (« Felice») 5 · Arttsa, « Parte �>, « Porzione» 6. Dak�a, «Energia Realizzatrice ». 2 . Questo inno 2 , 2 7 ( 1 6 strofe con una diciassettesima comune ai quattro inni 26-29 ), che è dedicato agli Aditya e dove si notano nelle strofe seguenti delle regolarità probabil­ mente deliberate ' , comincia col nominarli tutti nella prima; lo fa con una distribuzione simmetrica in due versi 5 : ima gira adityébhyo ghrtflSnuf? sanad rajabhyo juhvii juhomi srt:z6tu mitr6 aryama bhago nas tuvijat6 varut;zo dak;o af!tsal}. Questi elogi carichi di burro fuso, (come una libagione), agli .Adi­ tya, ai re, io la verso dagli antichi tempi con la lingua (come cucchiaio di offerta) ; ' Leopold von Schroder, Der siebente Aditya, in IF, XXXI (1912-13 ) (nu­ mero in onore di B. Delbriick), pp. q8-93, aveva proposto, inverosimilmen­ te, Parjanya. Il {{gVeda colloca sporadicamente Siirya fra gli Aditya. Savitar, strettamente unito, o addirittura sostituito a Bhaga, costituisce un problema particolare che non sarà esaminato qui. 3 Vi�l)u vi compare regolarmente: ]. Muir, OST, 4 ( 1 863), pp. 401-7. ' In quella parte delle strofe da 2 a 8 che contiene nomi individuali (2, 5, 6, 7, 8 )L la triade Varul)a Mitra Aryaman non è piu nominata. Il nome col­ lettivo Aditya si trova in tutte le strofe da 1 a 8, fuorché nella settima (dove è sostituito da << Aditi i cui figli sono re»), poi non compare piu che nelle strofe u, 13 e 16 (e Aditi nella strofa 14). 5 Renou, EVP, 5, p. 103, costruisce sandd rdiabhayaf.J, « te di vecchia data ». Su iuhU vedi ibid., 2, pp. 105-7. ORIENTALIA Che ci ascoltino, Mitra, Aryaman, Bhaga, noi; (il dio) dalla forte natura VaruJ].a, Dak�a, Arpsa. In questo testo, l'unico dove siano tutti presenti, i sei Aditya sono dunque divisi in due serie, la prima introdotta dal nome di Mitra, la seconda da quello di Varul).a, e le due serie sono non solo ripartite in due versi, ma anche separate da due parole intercalate; la seconda di queste parole, l'epi­ teto tuvijiita, dice Renou, « è un epiteto possibile del gruppo [dei sei Aditya] , ma con una certa preferenza per Varul).a» •, al cui carattere si addice effettivamente, di modo che sotto­ linea, con la sua presenza come con il suo senso, la divisione delle due serie segnata anche dalla separazione e dalle posi­ zioni rispettive di Mitra e di Vatul).a all'inizio di ciascuna. 3 · Questa divisione in due triadi non è l'unica in uso. Non negli inni, ma nei libri liturgici e nei commenti, i nomi sono distribuiti in coppie ognuna delle quali è formata di un termine della prima e di un termine della seconda triade di 2 , 27, r. Ecco il racconto della nascita degli Aditya in Maitrii­ ymfiSa'!lhitii r , 6, 1 2 (dove Dhatar, « Creatore», sostituisce Dak�a, come accade spesso a partire dai testi vedici in prosa) : Aditi desiderava una progenitura. Fece cuocere della pappa e [dopo averla offerta in libagione] ne mangiò il resto; le nacquero Dhiitar ' e Aryaman. Ne fece cuocere una seconda volta, ne mangiò il resto; le nacquero Mitra e VaruJ].a. Ne fece cuocere ancora una volta, mangiò il resto; le nacquero Arpsa e Bhaga. Ne fece cuocere ancora una volta. Considerò: «Mangiando io il resto, mi nascono figli due per volta; certo il profitto sarà ancora maggiore se mangio la prima». Essa ne mangiò la prima, poi fece l'offerta; i due figli che erano nel suo seno dissero: « Noi due saremo come gli Aditya )). Gli Adirya cercarono qualcuno per estirparli e abbatterli. Arpsa e Bhaga li estirparono e li abbatterono. Ma lndra [uno dei due] si elevò subito nelle altezze respirando ampiamente. Per l'altro, fu un uovo morto che cadde: è questo Martii!].da a cui appartengono que­ ste creature umane. E Aditi corse verso gli Aditya : « Fatemelo vi­ vere, che non sia uscito da me invano! )) Essi dissero: « Allora, che ci parli, che non abbia orgoglio di fronte a noi ! » È Vivasvat, figlio di Aditi, da cui sono [nati] Manu Vaivasvata [il padre del genere umano] e Yama [il primo morto, il re dei Morti] ". 6 Renou, EVP, 7, p. 89, traduce « Varul)a nato per la forza )); qui non si può trattare di un settimo Aditya. 7 Uvi, Doctrine du sacrifice cit., pp. 63-64, con testi paralleli. ' Su Dhatar il « Creatore » sostituito a Dak�a, vedi qui, pp. 93-94; deve 73 I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA Questa organizzazione in coppie domina attraverso l'epo­ pea e i Purii7Ja, dove la lista degli Aditya 6 x 2 , tra i quali d'o­ ra in poi figura Vi�t:tu, talvolta comincia con le tre vecchie coppie, o comunque le comprende sempre. Cosi Mbh I 3 , I 50, I4-I5, le elenca cosi: Aqtsa-Bhaga, Mitra-Varut:ta, Dhatar­ Aryaman, Jayanta-Bhaskara, Tva�tar-Pu�an, Indra-Vi�t:tu; in Harivaf?1sa 592-93 sono Dhatar-Aryaman, Mitra-Varut:ta, Aqtsa-Bhaga, Indra-Vivasvat, Pu�an-Parjanya, Tva�tar-Vi­ �I).u; in Vi�71uPur. 1 , I 5 , 90: Vi�t:tu-Indra, Aryaman-Dhatar, Tva�tar-Pu�an, Vivasvat-Savitar, Mitra-Varut:ta, Aqtsa-Bha­ ga. Di questa struttura il Mahiibhiirata ha persino fatto la teoria (2, I I , 2 9), definendo il gruppo : adityii� siidhira;ano niimadvandvair udahrta�. Gli .Aditya, con [= ivi compresi] i re supremi [= Mitra-VaruJ?.a] , de­ signati da coppie di nomi. Questi documenti non escludono la divisione in due tria­ di di {{V 2, 2 7, I , ma stabiliscono tra i termini di uguale rango dell'una e dell'altra un'associazione, di cui quella di Mitra e di Varut:ta non è che un caso particolare : Aryaman + Bhaga Dak�a (o Dhiitar) + Amsa l l 2 . Tesi e appoggi esterni. La coesistenza di questi due modi di raggruppamento sug­ gerisce la concezione seguente, articolata in tre punti, che è stata proposta nel I 9 5 2 : a) Come era previsto, non compaiono piu d i due province nel do­ minio degli dei sovrani: simmetricamente, non c'è che la metà Mitra e la metà Varuna. ' b) Ma ognuno di questi dei, nella sua metà, ha due soci, che con ogni probabilità lo sollevano o lo assistono per una parte precisa del suo ufficio. c) Inoltre l'esistenza delle coppie Aryaman-Dak�a, Bhaga-Arpsa, suggerisce l'ipotesi che gli aiutanti di Mitra e di VaruJ?.a si corriessere questo significato di « creatore ))1 a far passare in testa la coppia Dhii­ tar-Aryaman. 74 ORIENTALIA spondano termine a termine, assicurino servigi paragonabili l'u­ no nella metà Mitra, l'altro nella metà Varu1_1a, secondo lo spi­ rito l'uno di Mitra, l'altro di Varul).a '. Questa interpretazione rende conto di parecchi altri fatti che non sono puramente esteriori come quelli che l'hanno in­ generata. a) Nell'estensione a otto termini, i destini dei due Aditya aggiunti sono opposti : dopo la loro nascita, uno, Mar­ tary<;la-Vivasvat, cade a terra, poi, attraverso Manu eroe della sraddha, diventa l'antenato dell'umanità e fon­ da il culto, rivelando cosi piu caratteri particolarmente evidenti di Mitra (orientamento verso l'uomo, e anche verso la sraddha e il culto; affinità con la terra, « questo mondo qui»); l'altro, Indra, futuro re degli dei, si ele­ va verso il cielo, rivelando cosi piu caratteristiche va­ ruryiane (maggiore distanza dall'uomo; affinità col cielo, e anche con la regalità temporale, con lo k�atra, senza contare i rapporti personali di Varurya con Indra 2 ). b) Sei personaggi per valorizzare aspetti della Sovranità divina sono pochi. Eppure in questo piccolo numero c'è una ridondanza evidente : Bhaga, « Parte Felice», Arpsa, « Porzione », come appellativi, sono quasi sino· nimi. Ora il piano che intravvediamo giustifica questa ripetizione apparente: poiché accorrevano due nomi astratti che esprimessero due modalità, l'una mitriaca, l'altra varuryiana, di uno stesso oggetto o di una stessa azione, la soluzione piu semplice non era forse quella di associare due parole con un senso molto vicino ma orientate diversamente per l'uso, per i contesti? c) Dak�a è la personificazione dell'appellativo dak�a che abbiamo incontrato, nel capitolo precedente, in una delle definizioni antitetiche di Mitra e di Varuna: « Mi­ tra è il kratu, Varurya è il dak�a » '. Quale che � ia l'arti­ colazione dei due appellativi in questa formula, essa fa prevedere che Dak�a personificato sia collocato nella metà Varuna della sovranità in contrasto con la metà Mitra; ebb�ne, lo è. 1 Dumézil, Dieux des Indo-Européens cit., pp. 45-46. Qui, p. 57· 3 Qui, p. 50 e nota 5· 2 I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 75 Infine due considerazioni, una statistica, relativa alle affi­ nità dei diversi Aditya tra loro o con altri dei, l'altra relativa alle loro consistenze disuguali, confermano e precisano la proposta. 3 . Aryaman, Bhaga e Mitra; Dak�a, A??Zfa e Varu1Ja. La ripartizione degli Aditya fra Mitra e Varul).a, quale emerge dall'elenco bipartito di l_{V 2 , 2 2 , 1 , implica l'esi­ stenza, tra gli uni e Mitra, tra gli altri e Varul).a, di una fami­ liarità particolare che deve tradursi materialmente in una maggiore frequenza di associazione: sia nella forma di men­ zioni simultanee, sia in quella di una vicinanza immediata in liste di nomi divini. Cosi accade effettivamente, almeno sul « piano Mitra », il solo che sia rappresentato abbastanza spes­ so perché il confronto delle statistiche abbia senso. Conside­ riamo successivamente Aryaman e Bhaga. L'affinità di Aryaman con Mitra è cosi evidente che ha spesso dato luogo a formule eccessive: « doppione di Mi­ tra», diceva James Darmesteter ( 1 877); Hermann Giintert ( 1 9 2 3 ) : « Mi tra di cui egli [ Aryaman] forma una copia» ; Leopold von Schroder ( 1 92 3 ) : « Solo u n nome dell'essere sommo, una forma, una variante nel modo di intenderlo» ; persino Pau l Thieme ( 1 9 3 8 ) : « una forma particolare in cui si manifesta Mitra ». Una delle prove piu dirette in generale è tratta dal suo nome, che, come appellativo, si dice, designa una varietà di « amico » vicina a quella indicata da mitra. Di fatto, anche se non è lecito identificare i due dei, l'impres­ sione di tanti esegeti non è infondata : = r. Fra le 7 strofe del f!..gVeda che, nominando Vartll)a , Mitra e Aryaman, avvicinano nella loro struttura formale (grammatica· le, metrica) Aryaman e Mitra e li separano da Varu.t:J.a, due valo­ rizzano un carattere differenziale (J!..V r , 1 4 1 , 9, nonostante Thieme, 4, 3, 5, vedi sotto) : entrambe collocano insieme Arya­ man e Mitra nel posto che è normalmente quello di Mitra nel­ l'una o nell'altra delle forme conosciute di contrapposizione ge­ nerale di Mitra e di Varuna. 2. Sette strofe, nominando i tre dei, avvicinano Mitra e Varu.t:J.a e li separano da Aryaman; nessuna valorizza la minima caratteri­ stica differenziale tra Aryaman da una parte, l'unità ((Mitra­ Varu.t:J.a» dall'altra. ORIENTALIA 3· Non ci sono strofe che, nominando i tre dei, avvicinino piu par­ ticolarmente VarUJ].a e Aryaman. 4· Varul).a e Aryaman compaiono senza Mitra in 6 strofe, talvolta soli, talvolta associati ad altri dei; una sola, 6, 48, 14, contiene u n'indicazione differenziale, e questa indicazione applica ad Aryaman una caratteristica che si confà al dominio di Mitra '. 5· Mitra e Aryaman, senza Varul).a, compaiono tre volte in liste di dei, senza che nessuna dia indicazioni differenziali. Riassumendo, Aryaman si associa a Mitra in contrasto a Vatul).a ( r ), non a Varul).a in contrasto a Mitra (3), o si sosti­ tuisce persino a Mitra (4), ma non a Varul).a ( 5 ) nella strut­ tura bipolare di Mitra e di Vatul).a, e non è neanche in anti­ tesi con Mitra (2, 5 ) . Quanto a Bhaga, ha un'affinità particolare con Aryaman, e, attraverso Aryaman o direttamente, con Mitra; non ne ha nessuna con Varul).a: r. 2 strofe non accostano, in elenco, che Mitra, Aryaman e Bhaga, senza Vatul).a né altri Aditya, o soli (7, 66, 4), o in una lista di dei (AV 6, Io3). 2 . 7 strofe del J!.gVeda e 2 dell'AtharvaVeda contengono come no­ mi di Aditya soltanto Aryaman e Bhaga (talvolta sostituito da Savitar), o soli (J!.V 10, 3I, 4; 85, 23) o in liste divine; in que­ st'ultimo caso sono accostati direttamente 4 volte ( Io, 85, 36 AV I4, I , 50; Io, 141, 2 ; AV 14, I , I 8 ; 2, I3), 3 volte separati (4, 30, 20; 7, 30, 24; 9, SI, 5); quattro di questi testi compaiono in inni nuziali. 3 · 2 strofe non nominano che Mitra e Bhaga senza Vatul).a né altri Aditya (9, I09, r in una lista di dei; 6, I 3 , 2, Agni identificato con Bhaga e poi con Mitra) . 4· Nei due innari, una sola strofa contiene, senza altri dei, Bagha e Varul).a, ma ciò non implica nessun rapporto speciale (I, 123, 5, l'Aurora è detta << sorella di Bagha, gemella di Varul).a�> '). 5· IO strofe (compresa 3, 4, 5, su cui torneremo) nominano Vaflll].a Mitra Aryaman Bhaga senza altri Aditya, con o senza altri dei, e Varul).a compare sempre o strettamente accoppiato a Mitra (I, I36, 6; 6, 50, I ; 5 I , 3; 7, 40, 2 ; al doppio duale 9, Io8, I4), oppure in triade con Mitra e Aryaman (I, I36, 2 ; 8, I8, 3; 19, I6; Io, 93, 4), ossia in formule stereotipate. In 4 casi su 5 (re­ stando escluso 7, 40, 2), dove Aryaman non è cosi catturato dal­ la coppia Mitra-Varul).a, è direttamente a contatto con Bhaga e fa coppia con lui (essi soli in uno stesso verso, 6, 50, 1 e 5 I , 3 ; associati come Indra-Agni I , 1 36, 6; come Indra-Marut e anche piu strettamente 9, 108, I4). 1 6, 48, 14: Varui:Ja è màyin (qui, pp. 47-48) ; Aryamàn mandr!J, « allie­ tante ». 2 Renou, EVP, 3, p. 57 ( rapporti di bh!Jga, subh!Jga con l'Aurora). I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 77 È opportuno aggiungere a questo gruppo di strofe 5 , 42, I, che, a ValUI)a Mitra Bhaga Aditi nominati chiaramente (mitram bhfl­ gam, nel secondo verso, si succedono immediatamente, mentre Varul)a si trova nel primo), associa Aryaman non nominato, ma sufficientemente caratterizzato dai suoi epiteti. 6. Le altre liste di Aditya che contengono Bhaga non dicono nulla: né le 9 strofe del �gVeda dove Varut].a, Mitra, Bhaga compaiono soli (9, 7, 8) oppure inseriti (generalmente tutti e tre vicini) in liste di dei, quasi tutte molto lunghe (3, 20, 5; 5, 46, 2 e 3; 7, 4 1 , x ; 9, 6 1 , 9; xo, 35, Io; 63, 9 ; 92, 4); né il raggruppa­ mento Varul)a Mitra Bhaga Al'flsa (AV 6, 4, 2), né il raggrup­ pamento Bhaga Mitra Aditi Dak�a Aryaman Varul)a (ossia an­ cora 5 Aditya, dove Dak�a sostituisce Al'flsa) in una lunga lista (�V I , 89, 3) . Si trova cosi assicurato nella sua metà il popolamento del « lato Mitra» della Sovranità. Quanto al « lato Varut:J.a», in­ duce a un'osservazione molto diversa: esiste appena, ha un'e­ sistenza piu teorica che operativa. C'è effettivamente una sproporzione vistosa, per la frequenza e l'importanza, fra gli Aditya dell'uno e dell'altro lato. Aryam!m, Bh!zga sono nomi propri, l'uno quasi sempre, l'altro spesso accanto a bhaga («la fortunata) parte». Invece dakfa e af?Zsa funzionano qua­ si sempre come nomi comuni che indicano l'uno - secondo i contesti e gli esegeti - l'abilità realizzatrice o una forma di energia, l'altro un tipo di parte, di porzione, e sono nomi propri quasi soltanto negli elenchi completi o incompleti di Aditya. In altri termini, il loro rango divino pare artificiale e fragile, mentre Aryaman e Bhaga sono solidamente radicati nella teologia. Questa constatazione concorda con un'altra: mentre Mitra, forse Aryaman, sicuramente Bhaga sono an­ che presenti nell'Iran, i primi come dei personali, il terzo come designazione generica degli dei o di certi dei, invece dakfa è una parola puramente indiana (anche se il derivato dakfil:za è indoiranico), e l'equivalente avestico del ved. Of?ZSa non s'incontra che come appellativo, senza valore religioso. Insomma, sempre da un punto di vista esterno, tutto accade come se la tavola di J3.V 2 , 2 7 , 1 , fosse stata costruita, per la simmetria, a partire da una tavola piu semplice dove solo Mitra aveva dei compagni: Mi tra Varul)a + Aryaman o + Bhaga o ORIENTALIA È di fatto la tavola che è usata in un testo importante, 4, 3 , 5 , che inoltre illustra il contrasto generale dei due piani per il caso particolare della contrapposizione del cielo (piano Varut;ta) e della terra (piano Mitra) : kathd ha tad varU1:ziiya tvam agne kathd divé garhase kan na dgaiJ kathd mitrdya mz!hu�e Prthivyai brava!; kad aryamt;zé kad bhagiiya. In che modo tu, o Agni, presenterai questa rimostranza (contro di noi) a Varut:ta, in che modo al Cielo? Qual è la nostra colpa? Come (ne) parlerai al liberale Mitra, alla Terra? Che cosa (dirai) ad Aryaman, a Bhaga? Che ci sia qui una struttura teologica è tanto piu probabi­ le, in quanto questo gruppo di strofe interrogative ne impie­ ga altre: nelle strofe 5 e 6, i tre livelli funzionali (5, gli Adi­ tya; 6, Vata, variante di Vayu, uno dei signori del secondo livello cosmico, poi « il» Nasatya '); nella strofa 7 , l'articola­ zione (Geldner) di Vi�t;tu come creatore (al che allude rétas, « seme» ) e di Rudra come distruttore (al che allude la frec­ cia, sdru) Poiché sappiamo d'altra parte che Mitra forma effettivamente un gruppo omogeneo con Aryaman e Bhaga (e la Terra), l'assenza di figure divine accanto a Varul).a (e al Cielo) deve avere un significato ': è qui delineata la piu vec­ chia teologia della sovranità con le sue due metà disugual­ mente popolate. Avendo cosf individuato le grandi linee di questa teolo­ gia, possiamo approfondire ulteriormente la conoscenza di Aryaman e di Bhaga. Quali sono i loro contributi all'opera sovrana bipartita, dove appaiono solo come compagni di Mi­ tra? A dire il vero i nomi, abbastanza chiari, permettono di prevederne, se non tutti gli aspetti, almeno gli orientamen­ ti ': il primo è un composto che contiene come primo ter­ mine arya-, il nome piu generale degli indiani vedici, e pro•. ' Su questo singolare (hapax) vedi qui, p. 3 3 · Nota di Geldner, Rig-Veda cit., ad loc. ; sull'antichità di questa con­ trapposizione, vedi ME, II, pp. Sr-87. 5 La nota di Renou, EVP, 13, p. 93, è insufficiente: « Cielo e Terra (a grande distanza l'uno dall'altra), mescolati - come spesso" - agli Aditya ». Ora è la ripartizione dei termini che è significativa. ' Qui, pp. 63-68. Questi dei hanno un'azione abbastanza limitata perché si pensi che l'etimologia, d'altronde limpida, possa essere illuminante. 4 79 I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA babilmente già degli indoiranici; il secondo evoca la distri­ buzione dei beni fra gli uomini. 4· Aryaman: coesione e durata delle società arya. Consideriamo dapprima Aryaman. I ) Caratteri. È stato prima ricordato che il suo nome, come appellativo, designa una varietà di « amico» . Il �gVeda contiene alcune strofe dove, senza che sia impossibile intro­ durre il dio (come voleva Bergaigne, ]A, I 884, 2, pp. 462 sg.), è piu naturale ammettere un valore di nome comune; cosi I o, I I 7, 6 1 : È invano che l'insensato trattiene il cibo; ve lo dico in verità, esso è la sua perdita. Egli non si procura né un compagno né un amico (naryamaiJam pu�yati n6 sakhiiyam). Mangiando solo, è solo con la sua colpa. O ancora attraverso l'aggettivo derivato aryamyà, 5 , 85, 7, che elenca varietà di relazioni amichevoli o cordiali ': O Varul).a, u n amico come Aryaman o Mitra (aryamyàm... mitryàf?t vii), uno stesso fratello, un parente, foss'egli prossimo o lontano da noi, - quale che sia il male che abbiamo commesso nei suoi confronti, o Varul).a, liberacene! 2) Azione in questo mondo. Veglia alla solidità dei di­ versi legami che uniscono i membri delle società arya: a) i matrimoni che creano non solo una famiglia, ma l'al­ leanza di due famiglie, e assicurano la durata della società '. - A questo proposito tutto è stato detto, e molto bene, da Leopold von Schroder nella sua Arische Religion •. C'è biso1 Renou, La poésie religieuse de l'Inde, 1942, p. n; Bergaigne, Quarante hymnes du Rig-Veda cit., p. 106. 2 Renou, Poésie religieuse cit., p. 59; Id., EVP, 7, p. 19, propone arya­ myà, « amico d'origine », mitryà, « amico per ( tacito) contratto, per conven­ zione ». 3 Di qui probabilmente l'epiteto di Aryaman purujiita, « dalle nascite molteplici ». 4 « ... Aryaman ha stretti rapporti col vincolo coniugale, con la conclu­ sione del matrimonio. Nel grande inno delle nozze dell AtharvaVeda, è ono­ rato come il dio che aiuta (le ragazze) a trovare marito ( 14, 1 , 17), e lo stesso inno dice che la fidanzata deve fare il giro del "fuoco di Aryaman" (ibid., 39), ossia evidentemente del fuoco nuziale, del fuoco del dio amico che pro­ cura i mariti. Che Aryaman assicuri la felicità coniugale, che fornisca alla donna uno sposo, è ciò che questa stessa raccolta dice ancora altrove, ed egli ' ORIENTALIA Bo gno di ricordare che chiunque non sposa chiunque? Occorre comunità di religione, non fosse che per le cerimonie che si compiono vicino al fuoco di ognuna delle case che uniscono i giovani : l'unione regolare è concepibile solo fra arya, ed è naturale che Aryaman vi provveda. Tra le strofe degli inni nuziali che testimoniano di questa funzione del dio, basterà citarne qui due, tratte da AV 14, r : I 7 . aryam!lf:zaf!Z yajamahe subandhuf!Z pativédanam urvarukam iva bandhanat prét6 munctimi ndmutap Noi sacrifichiamo ad Aryaman, dio delle buone alleanze, che trova un marito. Come una zucca dal suo laccio, io ti libero di qui [= dalla casa della giovane], non di laggiu [= dalla ca­ sa coniugale] . 39· asyai briihma�Jdl? snapanir harantv aviraghnir ud acantv dpap aryam1:z6 agnim pary etu pii!an pratik!ante ivaiuro devaraica. Che i brahmani prendano per lei (dell'acqua) per bagnarsi! Che attingano le acque che non uccidono il maschio ! Che procura anche una moglie allo scapolo (cfr. 6, 6o, I sg.). Nel rituale del ma­ trimonio il suo ruolo è importante. Quando la fidanzata si mette in cammi­ no, è pregato, insieme a Bhaga, di condurre il corteo per vie diritte e senza spine, e di far si che la futura famiglia possa essere guidata facilmente: è quanto si legge nel grande inno nuziale del J3.gVeda Io, 85, 23. Quando la fidanzata arriva alla sua nuova dimora, Aryaman è pregato, insieme a Bhaga, Prajiipati e ai due Asvin, di donarle la fecondità (AV I4, 2, I 3 ). Quando il novello sposo prende ritualmente la mano della moglie, chiede di donargliela ad Aryaman, nonché ad alcuni altri dei (cfr. J3.V Io, 85, 36; AV q, I, 50). Lo si prega di proteggere la giovane sposa giorno e notte fino al tempo della sua vecchiaia (AV I4, 2, 40; J3.V IO, 85, 43). È ancora Aryaman che aiuta la madre nel momento del parto (cfr. AV I I, I, I ). Insomma, la prossimità di Aryaman al matrimonio è quanto piu netta possibile. Come Mitra, anche lui è un dio che lega gli esseri umani gli uni agli altri; semplicemente, nel suo caso questo tratto si limita ai vincoli matrimoniali. D'altronde occorre sotto­ lineare che assolve a questa funzione senza introdurvi nessun elemento fal­ lico, come potrebbe facilmente accadere. Non è un dio della procreazione, ma un dio del matrimonio, nella misura in cui il matrimonio è un accordo » (Leopold von Schrooer, Arische Religion, I, 1923, pp. 385-86). Ma non è assolutamente il caso di fare di Aryaman il modello del « paraninfo », dell'as­ sistente d'onore, come interpreta A. Hillebrandt. P. Thieme, che in Arya­ man non vede che il dio dell'ospitalità, ha voluto svalutare tutto ciò che te­ stimonia del suo rapporto col matrimonio; gli ho risposto nel saggio « ari, Aryaman », à propos de Paul Thieme, «ari, Fremder» (ZDMG, 107, pp. 96-140), in JA, CCXLVI ( I958), pp. 67-84. Su Aryaman e il matrimonio vedi Renou, En/P, I6, pp. 129, 145. l SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 8r essa vada attorno a l fuoco d i Aryaman, o Piisa.I).! Il suocero e i cognati guardano. Parole come subandhum, pativédanam, la menzione del­ la « famiglia di acquisto », precisano bene l'aspetto ufficiale, contrattuale dell'azione di Aryaman nelle operazioni del ma­ trimonio. b) I rapporti di ospitalità . Sebbene Aryaman non inter­ venga in ciò che sappiamo dei rituali di ricevimento ', sebbe­ ne non abbia nessuna connessione, in nessuna strofa o for­ mula, con la parola dtithi, «ospite », e sebbene Thieme non sia riuscito a presentare un solo testo dove fosse necessario il senso «dio dell'ospitalità», ordinato a esclusione di ogni altro per il senso «ospite » che egli impone ad arya, si am­ metterà senza difficoltà, per motivi di opportunità generale, che Aryaman s'interessava di questa forma di relazioni so­ ciali •. c) La libera circolazione per le vie. Al contrario, sono certe le testimonianze dell'interesse che Aryaman nutre per le vie. Hillebrandt le aveva raccolte ', e non hanno potuto sopprimerle né Bernhard Geiger, né Hermann Giintert, né Paul Thieme. In �V ro, 64, 5, Aryaman, tra altri epiteti, ri­ ceve (e lui solo) contemporaneamente quelli di dtiirtapanthii, «di cui la strada non può essere tagliata», e di pururdtha, «che ha numerosi carri ». In r , 1 05 , 6, la « via del grande Aryaman » è paragonata, come caratteristica del dio, con il « supporto » del rta e la « vista» (o la manifestazione) di Va­ rur:ta '. Questa signoria delle vie è stata trasportata nell'al' Per esempio lo si attenderebbe in una delle 62 strofe di AV 9, 6, inno « Che esalta l'ospitalità »; non vi compare; d'altronde vi appaiono pochi dei (alle strofe 3, I8, « the Lord of guests »); cfr. Hillebrandt, Ritualliteratur, I897, p. Bo. • Per far piacere a P. Thieme, si vorrebbe persino tradurre con lui, in 2, I , 4, o ( I938) « Du, o Agni, bist Aryaman, der Hausherr (salpati�), in des­ sen (Haus) ich speisen m&hte! », oppure ( I957) « thou becomest [Arya­ man], the master of the mansion where meal [we eat, or: thou eatest] ! » Ma la traduzione di salpati non è assicurata, non piu che il ruolo grammati­ cale, lo stesso senso preciso di sambhujam; inoltre le forti ellissi che bisogna comunque ammettere nella proposizione relativa impongono cautela. 7 Hillebrandt, Vedische Mythologie, II, I92I, pp. 7o-74: Il sentiero di Aryaman ; Dumézil, Troisième Souverain, I949, pp. I4I-49· ' Sulla base della strofa I 6 ( « via dell'Aditya o degli Aditya »), Geldner identifica questa « via del grande Aryaman » (str. 6 ) con la « via del rta » ( I, I36, 2 ), « Der Weg der ewigen Gesetzmiissigkeit in Natur und Menschenle­ ben » [La via dell'eterna giustizia nella natura e nella vita umana] . In effetti, ORIENTALIA dilà: piu testi dei Brahma�Ja parlano della « via di Aryaman», che i loro autori intendono nel senso del cammino del Sole; nell'epopea, Aryaman governa la « via del sud», rappresen­ tazione anch'essa solare {la strada invernale del Sole), che porta, come diremo tra poco, a quel prolungamento del mon­ do dei vivi che è o dovette essere dapprima il paese dei Pi­ taral_l. Ma sulla stessa terra è prevista un'offerta (TS 2 , 3 , 4, I ) , che deve compiere non solo colui « che desidera andare nel cielo », ma anche chi « desidera andare dove vuole » (e in­ fatti essa lo porta alla sua meta: sa evainaf!Z tad gamayati yatra jigami�ati), o, in altri termini, colui che desidera anda­ re « a trovare persone » ' con successo, ya� kamayeta svasti janatiim iyiim iti) . In aggiunta alle vie, l'esterno, il terreno intorno alle case, luogo delle comunicazioni umane, è speci­ ficamente sotto la protezione di Aryaman '". d) I culti comuni. La solidarietà degli arya essendo fon­ data sull'unità di civiltà e, in particolare, di religione, Arya­ man è presentato come il mallevadore dell'attività rituale resa possibile da lui nei tempi piu antichi e sempre conti­ nuata da allora. Tale è il senso di I , 1 3 9 , 7 , rivolto ad Agni in quanto porta agli dei i sacrifici degli uomini; ecco la strofa nella traduzione di L. Renou : Ascoltaci dunque, o Agni, una volta invocato, tu potrai dire agli dei degni del sacrificio, ai re degni del sacrificio: «Da quando voi avete dato questa vacca lattifera, o dei, agli Angira, Aryaman (cosi quando si parla della o delle vie di uno o di piu .Aditya nominati, o sulla quale o sulle quali uno o piu Aditya nominati guidano e proteggono l'uomo, si tratta, tranne eccezioni rarissime (5, 64, 3, << via di Mitra »; 7, 65, 3, « di Mitra VaruJ:Ia »), del solo Aryaman, oppure di Aryaman con VaruJ:Ia, o di Aryaman con Mitra e VaruJ:Ia (2, 27, 5-6; 4, 54, 4; 7, 62, 6; 8, 3 1 , 1 3 ; 83, 2-3). Nelle cerimonie nuziali, uno dei primi uffici che si chiede ad Aryaman è il seguente ( 10, 85, 23; AV 14, 1 , 34): « Senza spine, diritte, siano le vie per le quali gli amici (sakhiiya[J) vengono a noi, come pretendenti! Che Aryaman, che Bhaga ci guidino! » ' Non ci sono motivi per dare a ;anatii un senso limitativo o peggiorativo ( « Il popolo comune, la plebaglia » : Thieme). •• MiirkaiJt!eyaPur 26, 20-2 1 (- 29, 19 della traduzione di Pargiter, 1904, p. 152), a proposito dell'offerta bali: da Brahman a Dhatar e Vidhatar, tutti gli dei la ricevono in punti diversi della casa, dal centro alla porta; solo, e per ultimo, Aryaman la riceve « fuori e tutto intorno alle case » (bahi/;J... gchehhyaica samantata/;J ) Forse bisogna spiegare cosf il fatto che, in certe varianti, quando hanno luogo le offerte arcaiche piirtha del rituale della con­ sacrazione del re, il nome di Aryaman sia sostituito da k!felrasya pati/;J, k!fe­ trapati/;J, « signore del territorio • (A. Weber, Oher den « rii;asuya», 1893, p. 5 1 , cfr. p. 86). . ' I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA come) l'officiante (e altri) l'hanno munta a fondo», questo (dio) sa che essa è con me (yad dha tydm angirobhyo dhenuf!Z deva adattano vi tdf!Z duhre aryamd kartafi sacan esa tdf!Z veda me saca) I l . A questo proposito il commentatore Sayar:ta racconta un « avvenimento » preistorico che non ha certamente inferito dal testo, e che ne chiarisce il senso : I mahar�i che si chiamano gli Angira, un tempo, in vista del sa­ crificio, avendo soddisfatto gli dei con le loro lodi, chiesero (loro) delle vacche. Soddisfatti, essi diedero loro la vacca Kamadhuk (« Quella che produce tutto ciò che si desidera quando la si mun­ ge») ". Quando ebbero ricevuto questa vacca, incapaci di mungere il suo latte, sollecitarono il dio Aryaman. Questi, sollecitato, in vi­ sta dell'agnihotra e degli altri sacrifici, munse il latte (labdhiif!Z ca liif!Z dhenuf!Z k�zraf!Z dogdhum asaknuviinii aryamatJOf!Z devaf!Z priirthayan, sa ca priirthito 'gnihotriidyarthaf!Z k�zraf!Z dudoha). L'espressione pregnante dell'ultimo verso di I , I39, 7 , associa strettamente l'azione del dio, insieme originaria e in­ definitamente perpetuata, ai sacrifici presenti : egli ha creato, mantiene in vita la tradizione liturgica. e) I doni e prestazioni reciproci. Uno dei legami che uni­ scono i membri di uno stesso gruppo è la generosità sponta­ nea o obbligatoria ". Di conseguenza, Aryaman è presenta­ to come lo specialista del dono. Commentando {{V 2, 1 , 4, Sayat:J.a scrive diitrtvaf!Z ciiryam7Jo lingam, aramyeti tam iihur yo dadiitlti, «la qualità del donatore è la caratteristica di Aryaman, si chiama aryamaniano colui che dona ». Si tratta infatti di una specie di detto che ripetono i testi vedici in prosa ". In particolare TS 2, 3 , 4, 1-4, raggruppa tre offerte che devono essere fatte a dei diversi da uomini diversi e con intenti diversi : un brahmano di rango inferiore si rivolge a Brhaspati per passare alla testa dei suoi pari ; analogamente un rajanya a Indra; ma anzitutto si rivolge ad Aryaman colui che desidera che «gli uomini abbiano voglia di donargli » ; yab kiimayeta diinakiimii m e janyab syur iti, « poiché l 'Aditya 11 Renou, EVP, 5, p. 8; commento grammaticale 4, p. 33· 12 Qui, pp. 8-I I . " Cfr. l a memoria di Marcel Mauss, Essai sur le don ci t. " Cfr. i riferimenti nella nota di Geldner a {{V 2, I, 4, specialmente TB I, I, 2, 4, « Aryaman, è cosi che si chiama colui che dona »; TS 2, 3, I4, 4, lo chiama data vasiinam, << donatore di beni �>. La qualità di ahhik!ada che gli attribuisce {{V 6, 50, I, e che si intendeva nel senso di « che dona senza es­ sere sollecitato », è stata interpretata affatto diversamente da H. W. Bailey ( « the chamberlain-dispenser » ), TPhS, I96o, p. 86. ORIENTALIA Aryaman è colui che dona (cfr. TB I , I , 2 , 3-4); si rivolge dunque a lui con la sua propria specialità, svena bhiigadhe­ yena; Aryaman dispone gli uomini a fargli dono, e, di fatto, gli uomini diventano desiderosi di donargli ». Naturalmente questo patrono del dono è egli stesso un generoso: donde le numerose preghiere che gli si rivolgono per ottenere beni, e che fanno di lui, Aditya e sovrano, un dio molto occupato nella terza funzione, - orientamento che rafforza ancora il suo stretto legame con Bhaga; cosi, con Bhaga e Pu�an, nel­ l'ultima strofa di 4, 30 ": vamam-vamam ta adure dev6 dadatv aryamd vam!zm pu!d v!zmam bh!zgo vamarrz deva!; k!zru!ati. Tutte le specie di beni, o Aduri, che il dio Aryaman te le dia! Un bene, che Pii�an (te lo dia)! un bene, che Bhaga, un bene che il dio sdentato [ancora Pii�an] (te lo dia)! Aryaman è qui sollecitato per primo, da specialista del dono quale è, senza Bhaga, in 8, 8 3 , 4, per una richiesta che solo in seguito si ripercuote su Varul).a e sugli altri Aditya: vamarrz no astv aryaman vamarrz varutza farrzsyam viimarrz hy avrtzimahe. Che noi abbiamo un bene, Aryaman! Un bene che meriti lode, Va­ ruJ;�a! Poiché un bene noi scegliamo! Nell'« inno di 5tim », 7, 3 5 , dove la maggioranza delle di­ vinità e diverse astrazioni sono invitate a mostrarsi propizie (.ram astu) all'arante, la strofa 2 raggruppa, evidentemente in virtu delle loro affinità, Bhaga, Saqtsa (cfr. lat. census ), la Pienezza (Purarpdhi), le ricchezze (Rayal)), un'altra variante di Sarpsa, infine Aryaman « dalle nascite molteplici », puru­ jiita. In Io, 3 1 , 4, dopo la menzione del « propulsore » Sa­ vitar, sono nominati solo Bhaga e Aryaman, con la preghiera di fornire vacche al beneficiario dell'inno. Questa affinità con le divinità e i comportamenti di terza funzione, qui nella forma « prosperità » come altrove nelle . . . 15 In tutto il .!,{gVeda non ci sono che tre strofe in cui viima sia cosi ripe­ tuto dopo avere aperto la strofa: nelle due citate qui, Aryaman è il primo degli dei donatori; la terza ( 6, 7 r , 6) è dedicata al dio « impulsore », Savitar. I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA forme « fecondità» o «possesso tranquillo, pace », è prevedi­ bile sul piano Mitra della Sovranità. 3 ) Azione nell'altro mondo. Se i testi vedici non presta­ no quasi attenzione a ciò che segue alla morte, all'aldilà del­ l'umanità, non è cosi con le religioni successive. Anche nella letteratura epica e nei Puriù:za Aryaman si interessa della so­ cietà dei morti. In primo luogo, in virtu della sua signoria generale delle vie, è lui che la mette in rapporto con ciò che l'approvvigio­ na, con la società dei vivi : delle due vie che portano all'altro mondo, una, quella del nord, è la via degli asceti e degli yoghin (yogavatal; ), della rinuncia e dell'inazione, mentre la via del sud, la « via di Aryamam>, è quella per cui se ne van­ no i kriyiivatal;, i seguaci della religione tradizionale, ritua­ lista (cosi Mbh I 2 , 26, 9-Io). D'altra parte presiede egli stesso, nell'aldilà, una curiosa società, quella dei Pitaral;, dei « Padri ». Nella teofania della BhagavadGitii, dove Kr�t:J.a rivela di essere, per ogni catego­ ria di esseri, il capo, dice (Mbh 6, 34, 29): pit[t}iim aryamii clismi, «e, dei Pitara�, io sono Aryaman ». Il BhagavataPur 5, I 8 , 2 9 , lo definisce pitrgat}iidhipatil;, « sovrano della trup­ pa dei Pitara� ». Chi sono questi « Padri » ? Non i morti a cui ogni famiglia dedica distributivamente un culto, osserva giu­ stamente Paul Thieme all'inizio di un articolo di cui il se­ guito è poco accettabile '\ ma una massa di geni minori " asso­ ciati volentieri ai VisveDevii� (Mbh I 3, 9 I , 24: « i Visve­ Devii� che vanno sempre con i Pitara� »). Ma il loro nome non può ingannare: originariamente questi « Padri » domici· liati nell'aldilà dovettero essere una parte almeno degli ante­ nati piu o meno lontani della società sedentaria o nomade. Questa è la tavola, interamente coerente, delle attività di Aryaman. Osserviamo ora Bhaga. 5 . Bhaga: ripartizione dei beni nelle società arya. Si discute sulla sfumatura propria del sostantivo maschile bhdga, là cui appartenenza alla radice bhaj- non è dubbia. " Thieme, Aryaman in der Bhagavadgitii, in ZDMG, xcv ( 1941), p . 219. 17 Vedi la lunga nota che dedica loro E. W. Hopkins, Epic Mythology, 1915, pp. 3 1·35· 86 ORIENTALIA Louis Renou non ammette, per il nome comune, che « sorte fortunata, fortuna» ', e nella persona divina non vede che una «Fortuna maschile ». Altri preferiscono un significato piu ampio : per il nome comune, «parte, porzione assegna­ ta», in generale d'altronde «parte fortunata», e, per il nome divino, «Colui che assegna, che distribuisce». La differenza è minima. Quanto al dio, occorre comunque tenere conto degli attributi che gli sono spesso assegnati, e che commen­ tano il suo nome con composti che contengono il preverbio vi- che implica separazione, ripartizione: vidhartar, vibhak­ tar (radice bhaj- ), vidhatiir; tenere anche conto dei verbi che definiscono la sua azione, specialmente day-, « ripartire » 2 • La ricchezza in tutte le sue forme è l'argomento essenziale delle preghiere che riceve, e non solo nell'inno unico che gli è dedicato - �V 4, 7, 4 1 . Le parole che indicano la ricchez­ za, i beni materiali (rai, rayi, dhana, vasu, apnas , eccetera) , ornano le strofe dove egli compare, e una - 5 , 4 1 , r r - lo paragona persino a Rayi personificato (giustapposizione o endiadi). Al di fuori di 2 , 2 7 , r ' , sui 1 09 passi dove compare la parola, nome comune o nome proprio, esattamente la metà l'inserisce in liste generalmente lunghe e complesse di divi­ nità (in questi casi il valore di nome proprio è sicuro) ; in queste liste, a parte gli Aditya (Mitra e Vatul).a, o Mitra, Va­ tul).a, Aryaman), i suoi colleghi preferiti sono divinità del­ l'abbondanza e della fecondità poco bellicosi come Pii�an ( r 8 volte, in generale nominato accanto a Bhaga), Purarpdhi ( 8 volte); è spesso accompagnato da dee (Dhi, Aramati, U�as, Sarasvati, e anche Brhaddeva, Sunrta, che con ogni probabi­ lità sono altri nomi della dea-fiume Sarasvati); lo si incontra con le Erbe e Purarpdhi in una preghiera per la ricchezza (6, 49, J 4 ). ' Renou, EVP, 7, p. 99 (cfr. Io, p. 76) : << hhaga nome comune non si­ gnifica niente di piu che " fortuna" (come risultato di una felice ripartizio­ ne? ) �. Su questa radice vedi P. Ramat, I problemi della radice indoeuropea « *hhag-», AION, Sez. linguistica, v ( I963), pp. 33-57. Non considero qui i problemi posti dallo slavo Bogu, « dio�. e dai suoi derivati; su questo argo­ mento vedi ultimamente G. Jucquois, V. sl. « hogatu» «riche», « hogu» « dieu » et apparentés, in « Die Sprache », I965, pp. I3 I-35 (dove si contesta che la parola slava sia mutuata dall'iranico). 2 Cfr. bhagabhakta (I, 24, 5 ), che Renou traduce « ripartita da te, o Bha­ gu (EVP, 7, P- 72) . 3 Qui, p. 7L I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA In questi 55 raggruppamenti, 14 soltanto contengono In­ dra, separato e quasi sempre lontano da Bhaga nell'elenco, senza che si possa dunque trattare di un legame particolare fra Bhaga e lui. Lasciamo per il momento da parte gli I I pas­ si - la decima parte del totale delle menzioni di Bhaga o di bhaga - dove Indra ha con questo dio o questa nozione un rapporto diretto che dovrà essere precisato, ed esaminiamo le caratteristiche - oltre quella di essere generalmente « for­ tunata» - della parte chiamata bhaga, o dell'azione del dio che assegna, cosi come emergono dal �gVeda. I ) Si tratta di una parte o di un'assegnazione stabile, du­ revole. 3 , 54, 2 I , definisce cosi il risultato del favore di Bhaga sollecitato nel verso precedente : ray6 afylif!Z fadanam purukf6�. possa io ottenere una dimora [rad. sad- «essere installato », in ma­ niera fissa] di ricchezza abbondante di bestiame! �V I , 6 2, 7 , paragona Indra, in quanto ha sostenuto i due mondi nel cielo piu alto, a Bhaga che sostiene, mantiene due mogli. Negl\ inni del matrimonio, recitati nelle cerimo­ nie nuziali, Bhaga è invocato con Aryaman, e talvolta con Purarp.dhi, affinché assicuri la stabilità di tutta una famiglia, di un focolare prospero ( 1 0 , 8 5 , 2 3 e 36 = AV 14, I, 34 e 50). 2) Si tratta anche, in generale, di una parte o di un'as­ segnazione regolare, prevedibile, senza sorprese, desiderata. Cosi �V 5, I6 , 2 : vi havyam agnir anufag bhago na vdram !t;tvati. Agni distribuisce regolarmente [anufak « nel modo dovuto, in successione regolare» ; Renou : << secondo la sequenza rituale »] l'ablazione come Bhaga distribuisce i beni di prima scelta. - In 5 , 7, 8 , pare che si tratti della « parte temporale» pre­ vista, della durata normale della gravidanza; in ogni caso si tratta della nascita felice e facile di Agni, e anche, credo, del­ la sua nascita « a termine �> : Con un felice parto (sufiiM Io partod sua madre quando, col suo atto [?] . egli [o « ella»] ebbe ottenuto la sua parte (yad anasé bhagam) '. • Secondo Renou, EVP, 13, p. 1 10. Questa strofa ha dato luogo a interpretazioni diverse; adotto quella che mi sembra piu probabile; dr. la definizione della gravidanza in 5, 78, 9· 5 88 ORIENTALIA Questa nota di regolarità si ritrova in un aggettivo votato a un grande futuro, bbagavat ( 6 volte nel �gVeda); cosi l'in­ no a Bhaga, 7, 4 I , alla strofa 4, chiede un bhaga di tutte le ore: Possiamo noi essere provvisti di (buona) parte [bhagavantal; syii­ ma; o : << di Bhaga �, Renou] , e ora, e al crepuscolo, e a metà dei giorni, e, o generosi, al sorgere del sole, possiamo noi essere nel favore degli dei! Analogamente I , 1 64, 40, inno rivolto alla Vacca, chiari­ sce con lo stesso aggettivo il significato proprio del bh!zga : Sul buon pascolo possa tu essere fornito di parte (bh!zgavati), ave­ re la tua razione - e possiamo anche noi avere la nostra parte: mangia l'erba in ogni tempo (viivaddnim), vieni a bere l'acqua pura! È, crediamo, con la mediazione di questo significato che Bhaga si specializza talvolta in materia coniugale o sessuale (cfr. l'espressione italiana « la mia metà») : tale è il bhaga che desidera la figlia che invecchia nubile nella casa dei suoi genitori, IO, 3 9 , 3 ; tale è il bbaga di cui parla trionfalmente la sposa che si è sbarazzata delle sue rivali, Io, I 5 9 , I '; cosi si spiegano probabilmente, in parte, le numerose invocazioni rivolte al solo Bhaga negli inni nuziali, per esempio AV 14, I , strofe 20, 5 I , 5 3 , 54, 59, 6o 7 • 3 ) Questa regolarità della parte implica spesso ripartizio­ ne (vi-bhag-} normale, senza competizione. Cosi 5 , 46, 6 : bh!igo vibhaktd i!zvasdvasd gamad. Che Bhaga il Distributore venga con forza, con assistenza! 5, 49, I : dev!zf?Z vo ady!z savitdram é�e bhfzgaf?Z ca r!ztnaf?Z vibh!ziantam iiy61;. Ora sto per andare verso il dio Savitar e verso Bhaga, che ripartisce il tesoro di (- spettante di diritto a) (la tribU) Ayu •. 6 Qui, p. 90. Un altro aspetto qui, p. 87 (punto 1"). Su. bbaga erotico, Renou, EVP, 14, p. 7 I . 1 Renou, EVP, 4 , p . 77: « Ayu qui è il nome di una tribu privilegiata, come segno dell'Uomo �. Cfr. ibid., 2, p. 67: Bhaga « reinveste » le ricchezze assegnate agli esseri umani dalla Terra; 4, p. 73 : Bhaga « ripartisce ». 7 I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA Nell'inno a Bhaga, 7, 4 I , 2 : pratarjitam bhétgam ugraf!Z huvema vayam putram aditer yo vidhartd iidhras cid yam mrinyamiinas turas cid rdjii cid yam bhétgam bhaksity llha. Invochiamo Bhaga che presto guadagna, il forte, il figlio di Aditi, il distributore (vi-dhar-), a cui il debole stesso e colui che si cre­ de forte, il re stesso, dicono: «Possa io partecipare di Bhaga! » 4) Queste tre caratteristiche - essere stabile, essere rego­ lare, derivare da una distribuzione - sembrano comportarne un'altra: un'affinità con l'uomo calmo, maturo, in contrasto con il giovane ardente, poiché, contrariamente alla costru­ zione forzata di Renou, pare proprio che ci sia contrasto in I , 9 I , 7 (a Soma): tvaf!Z soma mahé bhétgaf!Z tvaf!Z ytina r;tayaté dakFam dadhiisi jivase. Tu, al <( senion (pio) tu conferisci il bbaga; tu allo <duuenis» pio, il dakFa, per vivere. Questo testo è tanto piu interessante in quanto il concet­ to che contrappone a bh!zga, il d!zk�a, « energia in azione», è, come nome comune, un termine varuQ.iano •, e, come nome proprio, quello dell'« Aditya varuQ.iano » opposto al « mitria­ co » Aryaman: il d!zk�a è energico, efficiente, come il yuvan, il giovane, a cui è piu volte attribuito o associato ( 3 , 5 8 , 7, degli Asvin; 6, ? I , I, di Savitar); il bh!zga, per contrasto, è proprio dell'adulto. 5 ) Il nome comune bh!zga - in questo diverso da bhiig!z ­ non è mai la « parte» di offerta dedicata agli dei dagli uomi­ ni; è sempre la parte, la sorte assegnata dagli dei agli uomini o ad altre creature: il termine del movimento è sulla terra. Questa affinità di bh!zga-Bhaga con la terra emerge da piu testi, e nessuno la smentisce ": in 3 , 55, I 7 , Parjanya, ogget­ to di un indovinello, è qualificato con una serie di nomi di cui i primi due sono k�!zpiivan e bh!zga, « protettore della ter­ raferma» e con ogni probabilità il dio Bhaga; 6, 5 I , I r , inse­ risce Bhaga in una lista interessante di divinità: « Che ci for­ tifichino, Indra, la Terra (prthivi), il Sole (k�!zma), Pii�an, 9 10 Qui, p. 50 e nota 5· In 3, 20, 4, daivya non è « celeste >>, ma « divino ». ORIENTALIA Bhaga, Aditi, le cinque razze ... »; in Io, I J 9 , I , tutta con­ tenta di avere allontanato da suo marito le spose secondarie, la sposa principale esclama: « <l sole laggiu (asau) si è levato, qui (ayam ) si è levato il mio bhaga, la mia parte » ". Questi caratteri sono contraddetti dai rapporti diretti che bhaga o Bhaga hanno con Indra in un decimo delle strofe dove compaiono ? No. In questi I I casi, 8 non fanno affatto riferimento al carattere proprio di Indra, né alla guerra, né ad alcuna violenza ": per lo piu non si tratta che della retri­ buzione che si ha il diritto di attendere da qualsiasi dio quan­ do gli si rende il culto che gli è dovuto, quali che siano i pro­ cedimenti particolari di cui si avvale per effettuare questa retribuzione; negli altri, non si tratta che di paragoni tra In­ dra e Bhaga di carattere pacifico. Restano solo 3 casi in cui si tratta direttamente di battaglia, di vittoria, di conquista. Ne incontreremo presto uno, a proposito di Arp.sa " ; un al­ tro, 3 , 49, 3 , non è che un paragone ", il che riduce la sua uti­ lità, poiché i paragoni vedici non sempre si preoccupano di essere interamente adeguati; il terzo è formato di due strofe consecutive di un grande inno a Indra, 3 , 30, che occorre analizzare. Dopo un invito banale a venire al sacrificio ( I-2), il poeta ricorda al dio le sue imprese (3- I J ), poi ( I 6-q) gli chiede in maniera pittoresca, con molti dettagli che vogliono essere spaventosi, di schiacciare il nemico. È allora ( I 8-I9) che ap­ pare il nome comune bhaga, in un contesto dal tono ben di­ verso, che continua nella strofa seguente (2o); poi le strofe 2 I-22, conclusione del carme, ravvivano la scena e ripren­ dono il tono guerriero. Ecco questa specie di sospensione del discorso violento : 18. Quando, per la fortuna (svastaye), coi tuoi corsieri (viiiibhiM, o guida, tu ti installi con grandi, numerosi alimenti, possiamo 11 Cfr. SB I2, 9, 2, 1 2 : ayaf!Z vai loko mitro 'sau varur:za[J, « i l mondo di qui è Mitra, il mondo di laggiu è Varur:ta ». . 5 ; 8, 6I, 5 e 7 ; 12 Si tratta di I , 62, 7 ; 2, I I , 2 I ; 3, 36, 5 ; 5, 33, 5; 6, 28, Io, 4 2 , 3 ; cfr. A V 7 , 12, 3 (« Che Indra mi faccia bhagin! » : l e preghiere dell'inno non hanno nessun rapporto con la battaglia; mirano al successo nelle assemblee, al talento oratorio, al discernimento). " Qui, p. 96, {{V ) , 42, 5· " « (lndra), dio da invocarsi nel momento decisivo [vedi nota seguente] dell'azione [nel senso della battaglia] come Bhaga, caro [?] come un padre, che è bene invocare, collaboratore vigoroso ». I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 91 noi [noi, i cantori? oppure : io, cantore, e chi mi impiega, il sa­ crificante?] essere pure vincitori di una grande ricchezza (ray6 vantdro brhata&J ! Per noi, o Indra, che ci sia una parte (bha­ ga&J fornita di posterità (praidvan) ! 1 9 . Apportaci, o Indra, una parte brillante (bhagam. . . dyuman­ tam), che noi possiamo mettere da parte per noi (qualche cosa) del tuo dono, nella sua sovrabbondanza! Come il mare, il no­ stro desiderio si è esteso, colmalo di beni (vasuniim), o signore dei beni (vasupate) ! 20. Questo desiderio, soddisfalo con vacche, con cavalli, con un brillante regalo, - ed estendilo ancora! Desiderosi di sole, con i loro inni, gli incantatori Kusika hanno fatto per te, Indra, un veicolo ... Questo breve passo non è certo un'oasi di pace in un car­ me bellicoso, e noi sappiamo bene che ciò che spera il poeta è una parte del bottino: le altre strofe lo dichiarano abba­ stanza apertamente. Ma il fatto è che egli vi sospende il vo­ cabolario guerresco e vi generalizza la richiesta al punto da aggiungere a bhaga il qualificativo « fornita di posterità», sebbene l'abbondanza di figli sia una forma di « parte » a cui la vittoria, i bottini di guerra non contribuiscono che indi­ rettamente. In queste circostanze, dire che bbaga Bhaga ha scarsa affi­ nità con Indra e con la battaglia è una litote: la statistica è schiacciante, con un residuo che si distingue esso stesso nel contesto per la sua moderazione ". - 6. Aryaman, Bhaga e Mitra. Queste due analisi permettono di capire perché, sul «pia­ no Mitra» della Sovranità, il dio principale è assistito da Aryaman e da Bhaga. Nell'ambito della benevolenza, del­ l'attenzione all'uomo terrestre e all'intesa fra gli uomini che 15 Beninteso, questa caratterizzazione statisticamente « civile � non impe­ disce all'uomo impegnato nella battaglia di contare anche su Bhaga, ma, per­ sino qui, si deve notare come Bhaga non sia legato lessicalmente a uno dei nomi consueti della battaglia, ma a kiira; ora kiira è propriamente il « colpo decisivo � nel gioco di dadi, poi, per estensione, la vittoria in altre circostan­ ze, nella « competizione pacifica o guerresca », come osserva Renou, EVP, 12, pp. 103-4 (a proposito di {{V r, 141, ro), citando 3, 54, 14 (bhagasyeva kiiri�;to yamani, « come nella marcia di Bhaga vincitore »), e 3, 49, 3 (vedi nota precedente): bbago na kiiré. Su kiira (e kiila) vedi bibliografia in Mi­ nard, Trois énigmes cit., II, § 254Q. ORIENTALIA colorano l'attività di Mitra, Aryaman si è assunto l'incarico della dinamica sociale, delle forme principali di rapporto, pratica dei doni, matrimonio, ospitalità, libera circolazione eccetera, mentre Bhaga presiede alla parte economica, alla distribuzione felice delle « parti » desiderate o desiderabili, e specialmente dei beni di fortuna che assicurano la prosperità degli individui e della collettività. Si tratta di una divisione naturale degli uffici, diversa ma vicina a quella che, a Roma, sotto la protezione degli dei, distingue le materie del diritto civile in personae e res. La teologia greca ha ben presto rico­ struito - a meno che non l'abbia trovata, nonostante l'uso diverso dei poemi omerici, in qualche angolo del suo retag­ gio indoeuropeo - la distinzione gerarchizzata degli esseri so­ prannaturali in tre gruppi : i}EoL, gli « dei », i]pwEç, gli «eroi » che proteggono yÉVTJ o città di cui sono spesso i fondatori o antichi capi leggendari (nel caso dell'eroe "EÀ.À.T]V, l'eponimia si estende a tutto l'ellenismo), infine OClLIJ.OVEç, i « demoni » che sono propriamente i <nipartitori », poiché il loro nome è formato sulla radice day- che abbiamo visto, in vedico, espri­ mere anche l'ufficio di Bhaga, e che - se nel mito delle Età (Erga, 1 26 ) Esiodo assegna alla loro varietà terrestre l'attri­ buto 1tÀ.wtoOé"t'etL, «donatori di ricchezza » - sono usati dal­ la tradizione greca nel suo complesso per stabilire la diffe­ renza tra chi è felice e chi è sfortunato, fra l'EùOetL!J.WV e il XClXOOClL(.lWV . Cosi inteso, Bhaga non poteva non aprire alla riflessione degli indiani l'aporia che incontra ogni teologia che affidi a una persona divina ciò che altre abbandonano a un destino in­ sondabile: di fatto in nessuna società la distribuzione delle parti o sorti ingenera il quadro idillico che dovrebbe produr­ re, ci sono innocenti infelici, meriti misconosciuti, insolenti riuscite. Questa esperienza ha dato luogo a un'immagine che non sorprende gli occidentali : come Fortuna porta una ben­ da sugli occhi, allo stesso modo Bhaga è cieco. Di questa mi­ seria, delle sue cause e delle sue conseguenze, gli inni, deci­ samente ottimisti, non parlano, ma la .saggezza popolare ne aveva fatto un proverbio, che emerge nei testi vedici in pro­ sa: evocando uno pseudomito che giustificava la mutilazione del dio, il KB 6 , I 3 , aggiunge: « È perciò che si dice: Bhaga è cieco (andha) » . Aryaman avrebbe potuto incontrare una difficoltà dello I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 93 stesso ordine: anche i rapporti sociali non sono sempre quel­ lo che dovrebbero essere. E d'altronde ari, il termine collet­ tivo che designa l'insieme degli uomini che si riconoscono arya, non riceve talvolta (se si tratta della stessa parola) il senso di « nemico», il quale soltanto sopravvivrà nella lingua ulteriore, e che ricorda le guerre fratricide che si dovevano fare tribu e famiglie che nondimeno si sentivano, si ricono­ scevano arya? Tuttavia non sembra che queste smentite della pratica, della storia, abbiano mai compromesso la « buona» teologia del dio. Cominciando questo studio ho indicato i motivi esterni che fanno pensare che Dak�a e Af!Isa, i due « Aditya varu­ l).iani » appaiati ad Aryaman e Bhaga, siano formazioni piu recenti, suscitate dal gusto dei teologi per la simmetria. Bi­ sogna ancora cercare di capire perché sono sembrati atti a svolgere questo ruolo. Il carattere varul).iano del concetto di dak�a è stato prece­ dentemente sottolineato '. Ma quale affinità lo ha fatto sce­ gliere per equilibrare Aryaman? Che cosa personificava, per essere in grado di esercitare, non piu in « questo mondo qui », nel visibile e per i mortali, ma nell'« altro mondo », nell'invi­ sibile e tra gli immortali, un ufficio paragonabile mutatis mu­ tandis a quello di Aryaman, ossia la funzione di assicurare l'esistenza e la coesione della società divina? Non si può rispondere con certezza, ma pare che sia l'ele­ mento « creatore » insito nel concetto di dak�a, « energia in azione » ', ad averlo designato : il pendant di Aryaman in una società di esseri immortali non poteva che essere il primo re­ sponsabile della loro comparsa nel mondo, il loro antenato o il loro creatore comune. È quanto suggerisce il fatto che, nelle liste successive di .Aditya, il nome di Dak�a sia spesso sostituito, talvolta doppiato da quello di Dhatar, il quale si1 Cfr. qui, p. 50 e nota 5 · ' Cfr. Mitra e Varu�a contrapposti come kratu e dak�a, « energia con­ centrata o esordiente » e « energia proiettata, efficiente, creatrice », correlati­ vamente all'antitesi fra abhigantar e kartar, « colui che concepisce » e « colui che fa » (SB 4, r, 4, r ) . ' ORIENTALIA 94 gnifica chiaramente « creatore» '. È ciò che suggerisce anche la posizione paradossale che, senza cambiamento di nome, Dak�a ha ricevuto nella celebre teogonia di _.t(V ro, 72, alle strofe 4 e 5 : pur restando uno degli Aditya, vi figura anche come il padre della propria madre Aditi, il nonno degli Adi­ tya suoi fratelli, e dunque, absurdum summum, come proprio nonno : 3 · devanii'!Z yugé prathamé 'sataJ? s!zd aiàyata tad Jfii anv a;ayanta tad uttiinapadas pari. 4· bhUr ;a;na uttànapado bhuva Jfii aiàyanta aditer dak!O a;iiyata dak!àd v aditi!? pari. 5. aditir by a;ani!!a dak!a yd dubita tava td'!Z deva anv aiiiyanta bhadrd amftabandhava�. 3 · Nella prima età degli dei, dal Non-Essere l'Essere nacque. Allo­ ra, in seguito, le Regioni del cielo nacquero, rampolli della Par­ toriente [propriamente: «di quella che ha i piedi in supinazio­ ne», come nel parto umano] . 4· Il mondo nacque dalla Partoriente, dal Mondo le Regioni nac­ quero. Da Aditi Dak!a nacque, e, da Dak!a, Aditi. 5· Poiché Aditi nacque, o Dak!a, essa che è tua figlia. Dopo di lei nacquero gli dei, i fortunati, gli immortali imparentati. Ci troviamo qui di fronte a una di quelle fatalità logiche, a uno di quegli sviluppi inevitabili che spesso precipitano i sistemi di pensiero, quando sono filosofici, nell'aporia o nel sofisma, e, quando sono teologici, nel mistero. Come, secon­ do una famosa argomentazione, nel caso privilegiato della « perfezione », la semplice esistenza del concetto obbliga a porre l'esistenza della cosa concepita, analogamente, nel si­ stema bipartito degli Aditya (« questo mondo qui », «l'altro mondo »), Aryaman, conservatore della società incessante­ mente rinnovata dei mortali arya, esigeva un procreatore per corrispondergli utilmente nella società, costituita una vol­ ta per tutte, degli dei immortali, amltabandhaval;; ma, cosi orientato, questo omologo era destinato per natura a passare ' Dio ancora indipendente - e scialbo - nel .{{gVeda, si precisa nel deci­ mo libro: Renou, EVP, 4, p. 95· I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 95 in testa alla società degli dei, e in primo luogo degli Aditya, pur conservando tra loro il posto che gli assegnava il siste­ ma, a livello di Aryaman : la contraddizione era in lui - d'al­ tronde, come tutti i misteri, ricca di grandiose prospettive • e accettata senza difficoltà per tutto il tempo in cui l'arma­ tura del sistema degli Aditya era essa stessa sentita e com­ presa. A parte questo teologema dalla forma enigmatica, con ogni probabilità i poeti del J!..gVeda ne sapevano di piu a pro­ posito di Dak�a, poiché la letteratura posteriore gli concede due interventi che sono, nel mondo degli dei, prevedibil­ mente simmetrici a due dei tipi di rapporto di cui Aryaman è il signore sul piano umano : attraverso le sue figlie, è per ec­ cellenza il dio suocero ; nella storia del « sacrificio di Dak�a », egli è l'ospite (in tedesco Wirt) di tutti gli dei, suoi invitati (Gaste). Il tema delle figlie di Dak�a è stato sviluppato in molte ma­ niere. Qui basterà ricordare Mbh 1 , 66, 1 0- 1 6 : nato dal pol­ lice destro di Brahman, Dak�a, con sua moglie nata dal polli­ ce sinistro, generò cinquanta figlie. Intraprese a sistemarle tutte (ta� sarvas. . . putrika� syapayam asa): ne diede dieci a Dharma, tredici a Kasyapa, e il lotto piu grosso, ventisette, al dio Luna: queste ultime sono le ventisette nak�atra, o sta­ zioni dello Zodiaco lunare. D'altronde fu un suocero severo, custode geloso dei diritti e della felicità delle sue figlie: al proprio genero Luna inflisse la consunzione che spiega le fasi del luminare, perché, avendo sposato ventisette sorelle, quel debole marito non le trattava tutte allo stesso modo, ma cedeva a una preferenza. Il dak�ayajizabadha, «la distruzione del sacrificio di Dak­ �a » , non è meno celebre 5 • Dak�a ha organizzato un grande sacrificio al quale ha invitato tutti gli dei. Tutti meno uno : per motivi diversi secondo le varianti, ha omesso nella lista degli invitati il nome di Rudra-Siva. Nondimeno quest'ulti­ mo si presenta, infuriato al massimo, e mutila gli dei : è allo­ ra che Bhaga perde gli occhi, Savitar le mani, Pii�an i denti; talvolta Rudra decapita lo stesso Dak�a e disperde il sacri• Si pensi alla situazione paradossale della Vergine Maria nella teologia cristiana: genuisti qui te fecit. 5 Testi epici in J. Muir, OST, 4, pp. 3 12-17. ORIENTALIA fìcio. Tuttavia finisce per calmarsi e dà agli amputati membri o organi sostitutivi (a Dak�a una testa di becco) . Questa lite a proposito di un ricevimento, questa apparizione di un in­ truso in una riunione di invitati con grande vergogna di colui che li riceve, appartengono, nell'aldilà e nel grande tem­ po mitico, a quella che è, in questo mondo, una delle « pro­ vinciae » di Aryaman, l'ospitalità. La personificazione di Arpsa è piu evanescente. Come no­ me divino, il termine - come abbiamo visto - s'incontra solo in liste che non insegnano nulla, tranne forse J3.V 5 , 42, 5 , dove, nell'elenco, è una specie di cuscinetto fra due divinità senza affinità reciproca, Bhaga che lo precede e Indra che lo segue. Come nome comune, « parte, porzione », o come nome proprio, tZf?ZSa non è impiegato, al di fuori di 2, 2 7 , r , che dieci volte nel J3.gVeda, ossia undici volte meno di Bhaga. Questo esiguo dossier permette tuttavia qualche constata. . ztone . In sei casi, la frase implica ciò che Bhaga evita: rapporti con Bhaga che, in tre, sono relativi alla battaglia o a una cor­ sa '. Un quarto implica che la « parte» detta af?Zsa sia effetto di un dono brusco, imprevedibile, violento '. Un quinto, do­ ve si tratta della coppia Indra-Agni ', chiama tZf?ZSa, al duale, la doppia posta che può guadagnare un cavallo da corsa o da combattimento. Infine un ultimo caso avvicina gli Asvin ad tZf?ZSa in un contesto bellicoso, d'altronde eccezionale per questi dei 10• Tutti questi caratteri contrappongono l 'a1?1sa, nel senso varut:tiano previsto, al mitriaco bhaga. Un'altra differenza negli usi rispettivi di tZf?ZSa e di bbaga è il seguente. Come abbiamo visto, nel commercio del culto ' Una concezione diversa dei rapporti di bhtiga e af!Zsa è stata proposta da L. R. Palmer, The Indo-European Origin of Greek ]ustice, in TPhS, 1950, p. 149· 7 x, 102, 4 (vittoria); 2, 19, 5 (mito di Etasa); -7, 32, 12 (vittoria). • 3, 45, 4: « Apportaci pronta ricchezza (rayim) come una parte (af!Zsam) al figlio non erede [secondo Saya�a] ; scuoti, o lndra, la ricchezza (vasu) sa­ lutare come un uomo munito di una pertica scuote dall'albero il frutto ma­ turo! » ' 5, 86, 5 : « Questi due dei che crescono di giorno in giorno, che sono senza inganno per il mortale, loro che ne sono degni, io li colloco davanti (a me) : questi due dei sono come due parti (af!Zseva) per il corsiero (arvale) » . 10 L'inno 1, u2, agli Asvin, allude, in ognuna delle strofe da 3 a 23, a uno o piu beneficiari leggendari dei servigi degli dei gemelli. Ma comincia I SOVRANI MINORI DELLA TEOLOGIA VEDICA 97 il beneficiario di un bhaga o il protetto di Bhaga è sempre l'uomo (o il bestiame dell'uomo, eccetera), mai il dio. Al con­ trario, in uno dei testi rgvedici che contengono af!Zsa come nome comune, questa parola indica la parte che spetta agli dei nel sacrificio, o piuttosto le parti, poiché è al plurale, il che non accade mai a bhaga " ; e lo stesso si constata in AV I I , 1 , 5 , strofa che accompagna un'offerta di riso ". Per questi aspetti diversi dell'af!Zsa - affinità con Indra, con la guerra, con quei giochi d'azzardo che sono la battaglia o la corsa; carattere inatteso e violento; capacità di essere indirizzato agli dei dagli uomini -, questo concetto diviniz­ zato ha il suo posto - opposto a quello del mitriaco Bhaga sul « piano varul).iano» della Sovranità. 8 . Conclusioni. Se i termini delle coppie Aryaman-Dak�a, Bhaga-Arp.sa, sono certamente antitetici alla maniera di Mitra e di Varuna, per alcuni punti importanti, se ne distinguono tuttavia per piu tratti. Al di fuori degli elenchi, non dànno luogo a coppie-for­ mulari; non si rivelano con doppi duali, e neanche con un'as­ sociazione frequente, di modo che non si constatano, tra loro, quei passaggi della natura e dell'attività di un termine sull'altro che sono frequenti tra Mitra e VaruQ.a, né l'attri­ buzione dei due aspetti della funzione al rappresentante del­ l'uno o dell'altro. La ragione di questa disparità sta probabil­ mente nel carattere artificiale e tardivo di Daksa e di Amsa: alle origini, Aryaman e Bhaga non erano inse;iti in coppie, con due strofe dove il beneficio è piu generale, e che formano, con la stro­ fa 3, una struttura trifunzionale (ordine delle funzioni: 2, 1, 3); af!tia com­ pare nella prima strofa, di seconda funzione. 1) « Con i soccorsi coi quali, nella battaglia (bhare), voi favorite l'azione (guerresca, kiiram) per la parte (di bottino, Of!tsiiya) ... » 2) « Con i soccorsi coi quali voi aiutate i pensieri pii (dhiya!J) ... » 3) « Con i soccorsi coi quali, o eroi, voi rendete lattifera la vacca sterile (dhenum asvàm) ... » 1 1 « La preghiera è stata presentata, le parti (af!tsiip) versate, come a un banchetto gli [dei] amici vengono verso l'abile .. . >> ({{V 10, 31, 5). 12 « Tripla è depositata la porzione (bhiigap) che è vostra da tempo: agli dei, ai Pitaral;t, ai mortali. Conoscete le parti (af!tiiin), io ve le divido... » ORIENTALIA ma si definivano interamente sul piano Mitra senza destare risonanza né suscitare repliche sul piano Varlll).a . Inoltre Aryaman e Bhaga stessi, nonostante la loro parità teorica con Mitra e Varu.l).a, nonostante i titoli regali che con­ dividono con loro, sono « sovrani minori» : né l'uno né l'al­ tro hanno l'onore di rappresentare tutta la teologia, tutta l'ideologia del primo livello. L'inno a Bhaga, {{V 7, 4 1 , è un'utile testimonianza in questo senso : solo la funzione pro­ pria del dio vi si afferma con un'energica monotonia; siamo lontani dagli inni a Varu.l).a che, senza considerare i confini che non si disegnano che quando Mitra gli è opposto, gli attri­ buiscono una sovranità davvero universale; nella sua genera­ lità, non ha bisogno dei due scialbi aiutanti che dottori ma­ niaci della simmetria gli hanno infine imposto. Capitolo terzo Riforme nell'Iran Nonostante la sua coerenza complessiva, la religione che anima gli inni del �gVeda non è, non poteva essere assolu­ tamente uniforme. Differenze piu forti che semplici sfuma­ ture separano gli autori, le famiglie, le scuole nelle loro con­ cezioni del mondo divino, e si può pensare che, negli antenati dei seguaci di Brahman, di VipJU, di Siva, fosse al primo li­ vello, nelle rappresentazioni relative agli dei sovrani, che la riflessione era già piu attiva. Al di là del famoso « enoteismo», al di là delle formule che identificavano sotto qualche aspetto un certo dio con un altro, o con tutti gli altri, si possono sco­ prire movimenti piu profondi verso il monoteismo, o verso la sottomissione di tutti gli dei a un dio piu notevole? Con ogni probabilità, e seguendo due strade, a quanto pare. 1 . Varu7Ja e Ahura Mazdii. Sebbene non sia che uno degli Aditya, Varut�a si stacca dal gruppo cosi nettamente da fare spesso la figura del « gran dio » 1 • È l'Adi tya per eccellenza, e anche, statisticamente, il 1 James G. Frazer riconosceva un'eco fraterna dei salmi biblici in �V 7, 86 { trad. L. Renou, La pensée religieuse de l'Inde antique, 1 9 4 2 , p. 6o) : « Saggia e grande i n verità è l a natura d i colui che separò sostenendoli i due vasti mondi, che spinse verso l'alto il firmamento sublime, stese al tempo stesso le stelle e la terra. - Ed ecco che mi consulto io stesso: quando sarò dunque nuovamente vicino a VaruQ.a? Gradirà senza collera la mia offerta? Quando contemplerò la sua grazia col cuore sereno? - Mi interrogo sul mio peccato, o VaruQ.a, desidero vederlo. Me ne vado a informare da coloro che sanno. Di comune accordo i saggi mi dicono: è VaruQ.a che è corrucciato con te. - Che cosa è stato questo peccato principale, o VaruQ.a, perché tu voglia perdere il cantore tuo amico? Dimmelo, o infallibile, o libero! Andrò subito a farti deprecazione col mio omaggio .. , )) I OO ORIENTALIA principale degli Asura, questa curiosa classe di esseri sopran­ naturali che contiene, accanto a demoni ( I I volte), anche dei, tra i quali parecchi di prim'ordine, Varut:ta da solo (6 volte) oppure traente seco Mitra in un doppio duale (5 volte), Agni (7 volte), Soma (3 volte), Indra (5 volte), Savitar, « il dio che mette in movimento» (3 volte), Tva�tar, l'artigiano divino (2 volte), Rudra (2 volte), e, sporadicamente, alcuni altri: dei particolarmente dinamici, alcuni persino inquietanti, non fosse che per la loro tecnica o per la loro dimora. Accade anche che Varut:J.a, nonostante il suo rango, sem­ bri essere soltanto il secondo degli Asura, non per potenza, ma per antichità. Si parla piu volte dell'« Asura Cielo » (e for­ se di un « Asura del Cielo», senza che si possa decidere, poi­ ché le due parole sono al genitivo) . In �V Io, I 24, intermez­ zo oscuro perché l'assegnazione delle battute non è chiara, il « Padre Asura », Sovrano che Indra congeda (str. 3 ), evi­ dentemente non è Varut:ta, poiché quest'ultimo nella strofa seguente è esortato ad aderire al nuovo regime in compagnia di Agni e di Soma. L'ottava e ultima strofa di �V 3, 56, inno ai VisveDeva, presenta cosi, in forma enigmatica, i primi tre Aditya: trir uttamd diinafii rocandni trayo rajanty asurasya vird!J rtdviina i#rd dii!ahhiisas trir d div6 vidathe santu devd!J. Tre volte (ripartiti?) sono i supremi mondi luminosi, difficili da raggiungersi; (vi) regnano tre uomini dell'Asura. Conformi al rta, efficaci, difficili da ingannarsi, che, tre volte al giorno, (gli) dei siano nel sacrificio! Qual è questo Asura di cui i tre grandi dei sono gli <<Uomi­ ni », ossia con ogni probabilità i « figli adulti» (Renou, EVP, 5 , p. I7), oppure gli « uomini forti» (ibid. , 4, p. 55)? Speculazioni di questo genere, che non hanno dato luogo, nel �gVeda, a strutturazioni stabili, dovevano già prodursi nei gruppi sociali degli indoiranici indivisi: i depositari della scienza sacra sicuramente non avevano atteso la « storia» per mettersi al lavoro. In ogni caso nell'Iran esse sono appro­ date a quell'autentica rivoluzione di cui i grandi momenti sono stati caratterizzati nel primo capitolo. Con il nome di Ahura e la qualifica Mazda, « Saggezza» RIFORME NELL'IRAN IOI (cfr. il vedico medha), non è un dio come altri che è stato collocato a capo e all'origine del mondo, ma Dio, il dio unico. È il punto di approdo della tendenza a porre al di sopra degli dei piu importanti un Asura denominato dal solo suo titolo ? Oppure si tratta della promozione suprema, trasfigurante, del primo dei Sovrani tradizionali, di colui che gli indiani e i paraindiani dell'Eufrate chiamavano Varut:J.a, e che forse por­ tava già questo nome presso gli indoiranici ? Le due tesi han­ no i loro fautori e la differenza è di lieve peso, poiché, se si tratta di un *Varuna sublimato, non poteva essere che un *Varuna di cui una scuola aveva già affermato la superio­ rità su *Mitra e sugli altri dei sovrani, e non del piu vecchio *Varuna, omogeneo rispetto a questi altri dei. Personalmen­ te preferisco la seconda spiegazione, per motivi che Gonda, dopo altri studiosi, ha ultimamente esposto '. Ma, condivi­ dendo la sua riserva, mi guardo bene dall'escludere l'altra prospettiva. In ogni caso, quale che sia stato il suo punto di partenza, il nuovo Ahura iranico si è trovato estratto dal per­ sonale divino tradizionale e senza comune misura con esso, e questo non solo nello zoroastrismo puro ed estremo delle Gatha, dove non è stato conservato nessuno degli antichi dei, ma anche nello zoroastrismo ritoccato, dove certi dei hanno potuto riavere una loro funzione. 2 . Ahura Mazda e MiOra nello zoroastrismo post-gathico. Consideriamo dapprima questa seconda forma della reli­ gione. Il pantheon prezoroastriano che ricompare allora par­ zialmente è stato alterato insieme in alto e in basso: da una parte, come è stato constatato nell'Introduzione, solo divi­ nità del primo livello sono rimaste in quanto divinità con i loro vecchi nomi; d'altra parte, gli abitanti canonici degli al­ tri due livelli, Indra e i Nasatya, sono stati rigettati nel mon­ do dei demoni, dove costituiscono persino un gruppo parti­ colarmente odioso '. 2 Gonda, DD, pp. 161-63, con riassunto delle discussioni; contro l e co­ struzioni di l . Gershevitch nella prefazione di Avestan Hymn cit., vedi Gon­ da, ibid., p. 161, nota 79, che rinvia a Kuiper, in II], v ( 1961), pp. 36-6o. 1 Qui, pp. 25 e 33· 1 02 ORIENTALIA Poiché questi due livelli inferiori non potevano tuttavia non essere rappresentati nella teologia, i loro dei degradati sono stati sostituiti. Nella terza funzione, i Nasatya lo sono stati, pare, da una coppia appositamente costruita, che sud­ divideva il lavoro tra i suoi termini cosi come lo faceva - a giudicare dalla trasposizione del Mahabharata ' - la coppia degli dei gemelli vedici : l'uno curava particolarmente i ca­ valli, l'altro i bovini. I nomi di queste Entità, strettamente associate in uno Yast unico dove l'autore slitta rapidamente dall'una all'altra, sono Drvaspa, « dai cavalli sani », protettri­ ce dei cavalli, e G�usurvan (masch.), propriamente l' «Anima del bovino » '. Lo « spirito » di questi due yazata correggeva probabilmente i difetti che i preti della riforma scoprivano negli allevatori tradizionali. La seconda funzione, nella sua forma indoiranica, era de­ stinata a formare uno dei bersagli presi piu energicamente di mira da Zoroastro ' : la morale libera, eroica, violenta delle bande di giovani guerrieri ' non era quella dei preti e dei sag­ gi, autori della riforma. È perciò che, nello stesso tempo che un dio indoiranico, *Sarva, nell'India, stava inversamente per diventare una delle componenti o uno degli aspetti della complessa figura del dio Rudra-Siva, Indra era espulso e ospi­ tato nella « cattiva creazione » . Da che cosa fu sostituito? Per l'essenziale, da Miera stesso • - ed è una delle caratteristiche che contrappongono piu radicalmente il politeismo vedico al politeismo restaurato, allo «yazatismo », dell'Iran postzoro­ astriano : tutto si presenta come se i teologi riformatori, ap­ partenenti essi stessi alla prima funzione, avessero giudicato piu sicuro annettere la forza guerriera al dominio proprio 2 Stig Wikander, Nakula et Sahadeva, in « Orientalia Suecana », VI ( 1957), pp. 66-96; ME, F, pp. 73-89. ' Vedi il mio saggio, Vi�!tU et les Marut à travers la réforme zoroastrien­ ne, in ]A, CCXLII ( 1953), pp. 1-3. ' IR, pp. 193-207. 5 Wikander, Der arische Miinnerbund, 1938, specialmente capp. n e IV; Dumézil, Heur et malheur du guerrier cit., p. 105. 6 Gershevitch, Avestan Hymn cit., p. 33, respinge con sdegno questa in­ terpretazione tradizionale, con uno svolgimento che prova come non abbia capito nulla della mia argomentazione. Non polemizzerò con questo autore, né con R. C. Zaehner, The Down and Twilight of Zoroastrianism. È certa­ mente a loro (e ad alcuni altri) che pensava il P. Jean de Menasce, quando diceva, a proposito di un collega: « È troppo gentile per essere un vero ira­ nista » (La porte sur le ;ardin, 1975 - postumo, edito da R. Rochefort con una bellissima introduzione -, p. 254). RIFORME NELL'IRAN 1 03 della sovranità religiosa. Vicino a questo Mi8ra arricchito di caratteri bellicosi, un'Entità subordinata è stata tratta da un epiteto tradizionale di Indra-dio, quello che è, nel .{{gVeda, vrtrahan, « uccisore del demone Vrtra » (o della Resistenza personificata) : è V;;lr;;l8ragna, astrazione animata, yazata del­ la vittoria 7 • Quanto alla prima funzione, ha ricuperato un personaggio di prim'ordine, lo stesso - Mi8ra - che, pur incaricandosi del­ la guerra santa, ha conservato la maggioranza delle caratteri­ stiche del suo prototipo, del *Mitra indoiranico, ed ha anche assunto in gran parte quelle del collega di *Mitra, di colui che nell'India è Varut:J.a : la trasfigurazione di *Varuna in Ahura Mazdii infatti squilibrava la coppia tradizionale. Il ri­ sultato è stato il Mi8ra che presenta a lungo lo Yaft r o : attra­ verso i suoi 145 versetti, nello stesso tempo che è l'avver­ sario implacabile degli eserciti nemici, santamente violento, il dio resta, nel modo piu esplicito, il protettore di tutte le forme di miOra, di accordo fra due parti, o di contratto, se non si teme di usare questa parola che ha ora acquistato un significato tecnico. Sorveglia, spia la vita sociale, è in rappor­ to con la luce del sole, specialmente con la nascita del giorno. Favorisce molto generalmente la prosperità degli uomini e delle società nell'ambito di categorie che si collegano alla terza funzione (pioggia, posterità eccetera). Vale a dire che il Mitra e il Varut:J.a vedici, contemporaneamente a un Indra corretto, incontrano nell'iranico Mi8ra parti che corrispon­ dono loro. Non è un caso che molti dei passi piu precisi, anzi « violenti », dello Yaft di Mi8ra con cui Paul Thieme ha vo­ luto spiegare il piu antico Mitra indiano siano in realtà pre­ sentati da lui stesso in connessione con passi del .{{gVeda che non concernono il solo Mitra, ma Mitra e Varut:J.a (Mitra­ varu�;tii), o gli Aditya in generale •. I rapporti personali fra Ahura Mazdii e questo Mi8ra re­ staurato non potevano essere che ambigui : da una parte solo Ahura Mazdii è veramente dio, ha tutto creato, compreso Mi8ra, il che, se si ammette che Ahura sia l'ampliamento su­ blimato di un antico *Varuna, elimina l'uguaglianza di dirit7 Dumézil, 8 Heur et malheur du guerrier cit., p. 105. Thieme, Mitra and Aryaman cit., pp. 52, 54· ORIENTALIA 104 to delle due figure. D'altra parte, anche abbassato al livello delle creature, Mi6ra conserva, del suo passato di dio sovrano, un prestigio che non hanno gli altri yazata. Ne deriva, tra i due personaggi, una forma originale di legame che è bene espressa all'inizio dello Yast I O : Ahura Mazdii dice a Spitama Zara9ustra: Quando ho creato Mi9ra dai vasti pascoli, o Spitama, l'ho anche fatto degno di ricevere culto e preghiera come me stesso, Ahura Mazdii. Cosi si spiega anche la conservazione di un dvandva miOra­ ahura attestato due volte nello Yast I O ( 1 1 3 , I45), ma che i testi liturgici dell'Avesta non gathico hanno invertito in ahura-miOra •, trasgredendo una regola ritmica che datava dal­ l'indoiranico, ma correggendo lo scandalo che stava nel no­ minare Ahura al secondo posto. Altri effetti piu notevoli di questa « rivoluzione dall'alto » sono stati l'eliminazione, nella teologia restaurata, del qua­ dro trifunzionale, e la dislocazione della struttura degli dei sovrani: MiOra ha confiscato le due funzioni superiori, solo assistito nella seconda da V;)r;)Oragna, e nessuna relazione particolare, nessun elenco l'associa alla coppia Drvaspa-G::iu­ survan menzionata prima. D'altra parte, chi fa soprattutto la figura di un grande personaggio di terza funzione è la dea trivalente At;)dvi Sura Anahita, « l'Umida, la Forte, l'Imma­ colata» ; ma persino di quest'ultima lo Yast che le è dedicato esprime con forza il carattere trivalente, onnivalente '". Se gli ultimi Achemenidi hanno messo in onore una triade « Ahura Mazda Miera Anahita», sarebbe sicuramente artificiale ri­ durvi Mi8ra ai suoi elementi militari, per riconoscervi un'e­ spressione delle tre funzioni. Quanto agli altri due termini dello stato maggiore della sovranità, quelli che compaiono nell'India, come dei, con i nomi di Aryaman e di Bhaga, sono certo sfuggiti, come tutta la popolazione di questo livello, alla scomunica, e sono ri­ masti nella buona creazione. Ma nell'antico persiano, come nell'avestico, baga (baga) ormai non è quasi altro che un nome generico che indica gli dei, sporadicamente sostituito nell'Avesta a daeva, a sua volta decaduto al senso di « demo' Non si deve certamente intendere « l'Ahura Mi9ra ». 10 Dumézil, Tarpeia cit., pp. 3 8-69; ME, I', pp. 103-13. 1 05 RIFORME NELL'IRAN ne» "; e se in certe parti dell'Iran il suo carattere mitriaco è sopravvissuto, è stato spinto all'estremo, poiché Baga non assiste Mi9ra, ma diventa il suo sinonimo o il suo sostituto. Aryaman pone un problema piu complesso. Fino agli ulti­ missimi tempi, non si contestava la rinascita postzoroastria­ na di un dio Aryaman, a cui un capitolo del Videvdat attri­ buisce un solo intervento: per richiesta di Ahura Mazdii, avrebbe fornito, contro le 99 999 malattie provocate dal Cat­ tivo Spirito, un rimedio sovrano. Questo servigio, seppure ben limitato, sarebbe naturale da parte di un protettore del corpo sociale. Ma recentemente si sono addotte ragioni per spiegare il dio - a ghost god - con un errore del redattore di questo passo tardivo dell'Avesta: non si tratterebbe che della personificazione di una delle preghiere principali del mazdeismo, di cui la prima parola sostanziale, airyama, do­ vrebbe essere intesa nel senso di « comunità di una certa estensione » (che ha nelle Gathfi). Sebbene non sia convinto dei mezzi di questa eliminazione, non impiegherà dunque Airyaman. D'altronde anche se lo si mantiene come dio re­ staurato non ha rapporto con Mi9ra, non avendo contatti che con Ahura Mazdii e col suo messaggero ordinario. Cosi nulla rimane della struttura che, nell'India, è stata in un primo tempo, prima di ogni estensione: { Varuna Mitra + (Aryaman e Bhaga) 3 · I primi due Amasa Spanta: osservazioni esterne. Non è lo stesso nello zoroastrismo puro, quello delle Ga­ thfi, dove la struttura teologica indoiranica delle tre funzioni, come abbiamo visto ', è stata conservata ed espressa nel grup­ po delle Entità, degli Am;)sa Sp;)nta, sostituiti termine a ter­ mine ai vecchi dei canonici. È quanto si verifica in particolare per il punto che interessa il tema di questo libro: la coppia dei primi due Am;)sa Sp;)nta. 11 È audace pensare che Dario intendesse designare gli Am::�sa Sp:mta, con l'espressione « Ahura Mazda... e gli altri dei (baga-) che sono » (I. Ger­ shevitch, « Journal of Near Eastern Studies », XXIII, 1 964, pp. 17-18). 1 Qui, pp. 26-3 1 . ro6 ORIENTALIA Che queste due Entità abbiano tra loro un'affinità parti­ colare e formino una coppia concettuale, emerge in primo luogo da considerazioni esterne. Sulle 179 strofe gathiche che contengono, oltre ad Ahura Mazdii, nomi di Entità: I. Vohu Manah è nominato da solo soltanto II volte, Asa da solo solamente 30 volte. 2. Vohu Manah ed Asa sono nominati in una stessa strofa, ed essi soltanto, 54 volte, contro 4 volte Vohu Manah solo con un'altra Entità, I4 volte Asa solo con un'altra Entità e 2 volte con piu. 3· Sulle 33 strofe contenenti i nomi di tre Entità, 32 contengono quelli di Vohu Manah e di Asa, mentre solo il terzo è variabile. 4· Vohu Manah e Asa sono presenti nelle 20 strofe che contengono i nomi di 4 o 5 delle sei Entità. In totale dunque Vohu Manah e Asa compaiono Io6 vol­ te riuniti in una strofa e I 9 volte separati, secondo una pro­ porzione di 5 a I , a cui bisogna probabilmente aggiungere (sebbene l'uso dell'aggettivo sia piu ampio di quello del so­ stantivo) che, in 9 delle I I strofe dove Vohu Manah è solo, compare almeno l'aggettivo asavan che indica l'uomo pio e virtuoso che vive (o, se si tratta di un morto, è vissuto) se­ condo l' asa. D'altra parte, piu inni del J3.gVeda sono interamente co­ struiti sulla coppia di Mitra e di Varurya, nel senso che ognu­ na delle strofe contiene i loro nomi : cosf 5, 69, dove Mitra e Varurya sono nominati separatamente in una metà delle strofe (senza nessuna distinzione), e, nell'altra metà, sono uniti nel composto al doppio duale Mitrdvtiru1;1a; oppure 5, 63, dove ogni strofa li contiene al doppio duale. Ora sul pic­ colo numero di Gathd che possediamo una, la prima, Yasna 2 8 , è visibilmente costruita secondo lo stesso principio, poi­ ché nomina, oltre Ahura Mazdii, Vohu Manah e Asa in ogni strofa '. In un grado minore la stessa osservazione vale per Yasna 34 ( 1 3 strofe su I 5 ) e per Yasna 50 (9 strofe su I I ). Infine non è probabilmente senza significato il fatto che, tra le designazioni canoniche delle Entità, come è stato se­ gnalato prima ', quelle due, ed esse soltanto, ricevano lo stes2 Non posso accettare il metodo usato da W. Lentz nella sua esegesi di questo testo « Yasna» 28, kommentierte Ohersetzung und Kompositions­ Analyse, in « Ak. Mainz, abh. d. Geistes- und Sozialwiss. Klasse », I954, 16, pp. 923-I009. 3 Qui, p. 30. RIFORME NELL'IRAN 1 07 so epiteto: Manah è Vohu, « buono » (eccezionalmente Vahi­ sta), Asa è Vahista, « molto buono » (o « il migliore »). Questi dati di statistica e di composizione letteraria assi­ curano la consistenza della coppia e ne orientano lo studio interno. Ma l'osservazione delle differenze tra i due termini della coppia è soggetta a condizioni: I ) Non dobbiamo aspettarci di constatare una contrappo­ sizione costante, poiché già la coppia originaria, a giudicare dal .{{gVeda, interessava i poeti piu per la sua coesione, la sua azione unitaria, quella sorta di fronte comune che faceva ri­ spetto agli dei delle altre funzioni, che per la tensione bipo­ lare che la giustificava e manteneva come coppia. È solo ecce­ zionalmente, e piu con allusioni che con enunciati, che i poeti vedici hanno provato il bisogno di segnare la parte di ciascu­ no '. Non ci stupiremo dunque d'incontrare molti passi dove Asa e Vohu Manah sono semplicemente giustapposti (tipo Yasna 2 8 , I I , « tu che custodisci Asa e Vohu Manah ») o pa­ ragonati in proposizioni simmetriche (tipo Yasna 3 I , 8 , « co­ me il padre di Vohu Manah . . . come il vero creatore di Asa»); e anche passi dove potremmo attenderci una distinzione (per esempio che i due nomi non avessero la stessa funzione nella frase, che non fossero allo stesso caso), e tuttavia non ne ap­ pare alcuna. 2 ) Questa tendenza in certo qual modo ereditata non poté che essere rafforzata dalla riforma zoroastriana: non solo le due prime Entità, ma anche le altre sono state uniformemen­ te orientate secondo lo spirito unitario, esigente della rifor­ ma, subordinate ai suoi obiettivi teologici e morali, per cosi dire attaccate al carro trionfale del Gran Dio, e invitate a ti­ rarlo nella stessa direzione, senza fantasia individuale 5 • I due dei funzionali a cui queste norme dovevano imporre le correzioni piu notevoli erano necessariamente quello della seconda funzione, *Indra, e, nella prima, *Varuna •. Il dio guerriero e il suo Mannerbund celeste - i Marut vedici - era­ no per essenza dotati di una libertà e sostenevano le loro im­ prese con una capacità di furore incompatibili con una reli4 Qui, pp. 42-43. Qui, p. 3 2 . • Dumézil, Les archanges de Zoroastre et les rois romains de Cicéron, retouches homologues de deux traditions parallèles, 19.50, ripreso in IR, pp. 193-207. 5 ! 08 ORIENTALIA gione rigorosamente omogenea, con il servizio di un dio por­ tatore di una verità e di regole di condotta universalmente valide. Cosi vediamo l'ambiguo *kSatra indoiranico produr­ re al posto di Indra un'Entità che occupa si la posizione degli k�atriya indiani, ma in cui l'accento è stato spostato dai mezzi violenti del potere sul potere stesso, sul Regno. Parallela­ mente, ciò che la « metà *Varuna » della Sovranità aveva di violento, di sorprendente, di terribile, quelle punte di male o di eccesso che sembrano talvolta attraversare la sua azione giusta ma dura, neanche queste cose non avevano posto nello stato maggiore di un Ahura Mazdii rampollo di questa stessa zona dell'ideologia, ma completamente trasfigurato, e, per la sua stessa elevatezza, dispensato dal ricorso a questi procedi­ menti oppugnabili 7 • Anche la prima impressione, piu ancora che nel �gVeda, è quella di un'equivalenza totale delle prime due Entità. Hen­ rik S. Nyberg, che tuttavia ha spinto l'analisi quanto piu lon­ tano, si rassegnava a scrivere, quarant'anni fa: « Asa [ . . ] è completamente parallelo a Vohu Manah; occupa la stessa po­ sizione nel mondo celeste e compare negli stessi gruppi [ . . .] . Asa ha la stessa attività cosmica di Vohu Manah [ . . .] . Se si studiano le formule relative ad Asa e le combinazioni dove entra, si ritrovano in tutti i punti le immagini che si formano intorno a Vohu Manah » '. L'impressione non è falsa, ma ec­ cessiva. Come è stato fatto per Mitra e Varul).a ', dobbiamo ricercare i casi, per quanto rari siano, in cui il poeta delle Gatha si è preoccupato non solo di mostrare le prime due Entità impegnate nella stessa opera, ma anche di distribuire tra loro modi o mezzi di azione. 3) Qui interviene la difficoltà propria delle Gatba. L'oscu­ rità di certe parole, la singolarità della sintassi e dello stile, l'evidente intenzione di non rendere il pensiero trasparente, fanno si che, in moltissimi casi, l'interpretazione, la costru­ zione stessa delle frasi restino incerte. Ilya Gershevitch esa­ gera appena, quando scrive : « Delle 2 3 8 stanze gathiche so­ pravvissute, appena meno di 190 sono parzialmente o total­ mente incomprensibili ». Di conseguenza dobbiamo cercare, . 7 ]. Kellens, Prestige et satisfaction dans l'Avesta cit., pp. 87-IOI. 1 Henrik S. Nyberg, Die Religionen des alten Iran, I9J8, pp. IJI·J2. ' Qui, pp. 38-39· RIFORME NELL'IRAN 1 09 nella massa di questi testi, se ce ne siano di quelli dove la contrapposizione di Asa e di Vohu Manah non si esprima solo in una strofa o in una frase isolatamente presa, ma in uno svolgimento piu lungo, logicamente organizzato, dove ciascu­ no dei termini svolga un ruolo differenziato. Per buona sorte disponiamo di due insiemi di questa specie. 4· « Yasna» 44: Asa e il cosmo, Vohu Manah e la terra. Ricordiamo come una delle espressioni dell'antitesi di Va­ ru.t:J.a e di Mitra sia che il primo mostra una maggiore affinità con l'immenso cosmo, il secondo con il « nostro » mondo, e questo talvolta con una precisazione: il nome di Varu.t:J.a evo­ ca il cielo, quello di Mitra la terra ' . Cosi .J3.V 4, 3 , 5 : In che modo tu, o Agni, presenterai questa rimostranza (contro di noi) a Varu�a, in che modo al Cielo? Qual è la nostra colpa? Come (ne) parlerai al liberale Mitra, alla Terra? Che cosa (dirai) ad Aryaman, a Bhaga? Con un movimento retorico dello stesso genere - due in­ terrogazioni simmetriche - la stessa distribuzione si ritrova in Yasna 44 ' . Questa Gdthd è una lunga serie di domande rivolte ad Ahura Mazda, domande pressanti, che concernono principalmente l'origine e il meccanismo delle cose. Ogni strofa è introdotta da un verso ritornello : « Ecco che cosa ti chiedo, dimmelo in verità, o Ahura! », vecchia forma poetica di cui Schwyzer ha notato la concordanza con quella degli Alvissmal scandinavi. La strofa 1 è una semplice introduzione (dove Asa e Vohu Manah compaiono, soli di tutte le Entità, ma semplicemente coordinati, senza sfumature). La strofa successiva pone una prima domanda, oscura, che sembra interamente metafisica, sulla retribuzione della vita migliore. Poi vengono due strofe molto chiare, relative alla cosmogonia, e di cui il parallelismo è evidente: Ecco che cosa ti chiedo, dimmelo in verità, o Ahura: chi è dunque stato per generazione il primo padre di Ab? Chi dunque ha 1 Qui, pp. 53·55· Ripeto che non si tratta che di testi che intendono con­ trapporre Mitra e Varul).a; gli altri, all'occasione, attribuiscono loro in co­ mune , o all'uno o all'altro quando è solo, i due termini dell'antitesi. 2 NA, pp. n6-24. IlO ORIENTALIA creato la via del sole e delle stelle (kasnii vang straméii dii[ adnii­ vam)? Chi è colui per cui la luna cresce, poi diminuisce (ka yii md uxJyeiti narafsaiti fJwa[)? Quelle cose, o Madzii, io desidero saperle, e altre. (Ci si è legittimamente avvalsi di questa strofa per stabilire che Asa, nelle Gdtha, non è solo il patrono dell'ordine mo­ rale, che egli conserva almeno delle tracce di quell'ordine co­ smico che è ancora una delle grandi province del suo omo­ nimo vedico, rta) . Ecco che cosa ti domando, dimmelo in verità, o Ahura : chi dunque ha fissato la terra di sotto e il nembo (kasnii daratti zqméii ada nabdséti) affinché non cadano? Chi (ha creato) le acque e le piante (apo urvardséti) ? Chi dunque ha legato velocità al vento e alle nuvole (kasnii vtitiii dvqnmaibyaséii yaoga[ iisu) ? Chi dun­ que, o Mazdii, (è stato) il creatore di Vohu Manah? Nella strofa 5 , dove non è piu menzionata nessuna Entità, il poeta chiede qual è l'autore della luce e delle tenebre (con i loro effetti naturali, il sonno e la veglia) e delle ore del gior­ no. La strofa 6 , mobilitando le quattro prime Entità, s'infor­ ma sull'origine della Vacca, cosi importante nel sistema del mondo zoroastriano. La strofa 7 s'informa sull'origine di una virtu: la pietà filiale. Si capiscono la posizione, la solidarietà e anche la sfuma­ tura particolare delle strofe 3 e 4· Si riferiscono entrambe allo scenario, alla cornice generale del mondo, e precedono naturalmente la strofa 5 relativa all'illuminazione di questo scenario, cosi come le strofe seguenti sono relative al dramma multiforme, cosmico o morale, che vi si rappresenta. Ma que­ sto scenario esse lo dividono in due metà che si spartiscono. La strofa 3 non ritiene, rispetto a noi, che lo scenario del mondo piu lontano, astronomico : il sole, le stelle, la luna con le sue fasi. Al contrario la strofa 4 non ritiene, relativamente a noi, che la scena piu prossima: la terra, con le acque e le piante; l'atmosfera bassa, con i venti e le nubi (nabah è il cie­ lo concepito come atmosferico, per contrasto col cielo-volta, col fondo duro del cielo, asman) . Il mondo è davvero suddi­ viso cosi, rispetto all'uomo, in due sfere : da una parte i gran­ di meccanismi del fondo del cielo, d'altra parte gli elementi familiari che circondano e sostengono la nostra vita. Ora queste due strofe, cosi notevolmente solidali e tutta­ via opposte, contengono ciascuna un nome di Entità che non RIFORME NELL'IRAN III può che essere in armonia con i loro contenuti rispettivi e che probabilmente esprime questi stessi contenuti con un altro linguaggio. Nella strofa 3 , relativa alle profondità del firmamento, si legge : « Chi dunque è stato per generazione il primo padre di Asa? », e nella strofa 4, relativa al << nostro » paesaggio terrestre, si legge: « Chi dunque è stato il creatore di Vohu Manah ? » Queste due domande, come le due strofe dove compaiono e che riassumono, sono parallele, si corri­ spondono, come lo proverebbe, se ce ne fosse bisogno, un altro passo delle Gatha (Y 3 1 , 8 ) , che, impiegando le stesse parole «padre » e «creatore », ma invertendone l'uso, quali­ fica Ahura come «padre di Vohu Manah» e « vero creatore di Asa». S'impone la conclusione : il poeta di Yasna 44 senti­ va Asa, «l'Ordine », come legato alle regioni e ai fenomeni cosmici meno vicini all'uomo, e viceversa Vohu Manah, « il Buon Pensiero », come legato alle regioni, agli elementi e fe­ nomeni piu vicini all'uomo: ritroviamo esattamente la for­ mula che i fatti vedici suggeriscono per la contrapposizione piu generale di VarUI:ta e di Mitra. 5· «Yasna» 29 : Asa e Vohu Manah di fronte alla lagnan­ za dell'Anima del Bove. Ma non si tratta solo di prossimità o di lontananza nello spazio in rapporto all'uomo: l'uomo in quanto tale, cosi come le creature che gli sono utili, anzitutto le mandrie che alleva, ecco la preoccupazione di Vohu Manah, specialmente quando uomo e armenti sono in pericolo : Asa è troppo lontano, me­ no accessibile. Yasna 2 9, che probabilmente utilizza una ma­ teria già indoiranica ' , è un piccolo dramma che potrebbe in­ titolarsi « La lagnanza dell'Anima del Bove» . Meillet l'aveva scelto per illustrare la teoria secondo cui le strofe delle Gatba presuppongono, nei loro intervalli, lo sviluppo di un colle­ gamento, un tessuto connettivo che è scomparso, probabil­ mente perché la tradizione ne fissava solo le linee generali e 1 Meillet, A propos de la Plainte de l'Ame du Bceuf (« Yasna » 29), in « Ac. Roy. de Belgique, Bull. CI. Lettrcs et Se. Mor. et Polit. », V serie, LI, 1965, pp. 23-5 1 . Bruce Lincoln (<< Journal of lndo-European Studies », m ( 1975), pp. 337-62), forzando il senso di piu parole, trascurandone altre, vede qui l'illustrazione di una lotta dei preti e dei guerrieri indoiranici. II2 ORIENTALIA i recitatori l'arrangiavano a modo loro, in prosa. Di fatto, in questo carme come in tutti gli altri, la successione delle idee è spesso difficoltosa, i personaggi che sembrano pronunciare certe strofe o frazioni di strofe non sono sempre designati, e l'ipotesi di una prosa mobile che avvolgesse questi versi :fissi avrebbe il vantaggio di permettere - non senza un certo qua­ le arbitrio - di chiarire le oscurità. Comunque sia, la linea, il progresso del pensiero, la concatenazione delle scene di Yasna 29 possono essere sufficientemente determinati. In compenso, si noterà che, fuorché nelle ultime due strofe ( r o e r r ) dove si tratta insieme di Asa, di Vohu Manah e di Xsaera, e che si è sospettato, senza motivo, di essere state ag­ giunte a posteriori, questo carme non menziona, in fatto di Entità, che Asa (str. 2, 3 , 6 , 7) e Vohu Manah {str. 7). I . Scena 1 (strofe r-4). Il dramma esordisce con la lagnanza dell'Anima del Bove, lagnanza rivolta a personaggi che non sono precisati: « Per­ ché mi avete formata ? Chi mi ha fabbricata? Furore, violen­ za, brutalità, tirannia mi opprimono [alla lettera: " mi hanno messa in vincoli"] . Non ho altro pastore che voi, procuratemi dunque buoni pascoli». Poi viene la strofa 2 : Allora il Fabbricatore del Bove [personaggio misterioso, che com­ pare altre due volte nelle Gatha e che deve essere un creatore ausiliario, specializzato, agente del creatore autentico] ha inter­ rogato A�a: «Come hai per il bove un ratu (genio protettore, giudice celeste) [ossia probabilmente: " Quale genio protettore hai tu previsto per il bove nell'ordine del mondo"] , affinché voi, i proprietari, gli diate con il pascolo le cure zelanti che si addicono al bove? Chi gli avete assegnato come padrone (ahura) che mette in fuga la collera con i cattivi? >> La risposta occupa le strofe 3 e 4· Sembra fatta collettiva­ mente dalle Entità, mentre Asa è sempre messo in evidenza, da solo (« secondo Asa», o «con Asa», o « in quanto Asa»). Se è particolarmente oscura nella sua parte mediana, l'inizio e la :fine, chiari, bastano ad articolare il dramma: 1 ) No, nes­ suno è stato previsto per questo ruolo di protettore (saraJan ha questo senso, nonostante Humbach) del bove; 2 ) al di là delle Entità, è allo stesso Ahura Mazda che devono essere rivolte le lagnanze: egli è informato di tutto, del passato co­ me del futuro, ed è lui che decide. I I3 RIFORME NELL'IRAN II. Scena II (strofe 5-7 ) . L'Anima del Bove, che d'ora in poi si chiama « la mia ani­ ma» e si associa all'Anima della Vacca-Madre (ma urvii gau­ scii azyJ), si rivolge dunque ad Ahura Mazdii e nella sua pre­ ghiera mette in primo piano l'allevatore, solidale con le man­ drie e vittima delle stesse angherie (str. 5 ) : Le mani tese, noi preghiamo Ahura, noi due, la mia anima e quella della Vacca-Madre, per incitare Mazdii a ordinare che non ci sia danno per l'uomo onesto, per l'allevatore, in mezzo ai cattivi che lo circondano. La risposta di Dio (str. 6-7 ) è severa. Spiegata, significa questo: Come vi è stato testé dichiarato sotto il manto del nome di Asa, il bove non è stato previsto nell'Ordine (asii[Cit baca) come persona, come possessore di diritti; non ha né si­ gnore (ahu) né patrono (ratu) soprannaturali; è stato creato non soltanto solidale con l'uomo, non dello stesso livello del­ l'uomo, ma per lui, per « il pastore e l'uomo dei pascoli » (fsu­ yantaecii viistryiiicii, ossia, col nome canonico che porteranno nell'Avesta post-gathico, i rappresentanti della terza funzio­ ne sociale), d'altronde con scambi regolari di servizi, poiché il benessere del bove è assicurato dalla [ . . ? . . ] , e gli uomini sono sfamati dal latte: . . Ecco ciò che Ahura Mazdii, il santo, ha formato col suo decreto, d'accordo con Asa. Cosi nelle due prime scene - due terzi del carme - dove si esprime, poi si limita la risposta negativa dell'aldilà, Asa è il solo a essere messo in evidenza, a essere nominato fra le Entità, ma lo è quattro volte. III. La scena m (ultimo verso della strofa 7, strofe 8 e 9) comincia con una nuova domanda dell'Anima del Bove: kas te vohu mananhii ya i diiyiit aaiivii mar<Jtaeibyo. Chi hai tu, con [o: « tramite» ; o : « in quanto »] Vohu Manah, che possa avere cura di noi due (la Vacca-Madre e me) per gli uo­ mini? Nonostante le apparenze, lo svolgimento non si arresta, ed è qui che appare evidente la differenza di ruoli, di giurisdi­ zioni, fra le due Entità Asa e Vohu Manah, l'Ordine e il Buon Pensiero. Informata nelle strofe precedenti, l'Anima del Bo- ORIENTALIA ve non si inganna: se, dal punto di vista dell'Ordine generale del mondo, il bove non è che uno strumento nelle mani del­ l'uomo, un altro aiuto o un altro aspetto di Ahura Mazda, il Buon Pensiero, è fondamentalmente volto verso l'uomo per disporlo al bene e allontanarlo dal male. Di conseguenza, l'Anima del Bove, ponendo nuovamente il suo quesito, si su­ bordina agli uomini e si riferisce a Vohu Manah. Ed ecco la risposta, pronunciata da Vohu Manah piuttosto che da Ahura Mazda (str. 8 ) : I o non conosco che costui, Zara8ustra Spitama, il quale soltanto ha sentito i nostri insegnamenti. È lui che vuole far sentire i nostri canti di lode a Mazda e quelli di Asa. Bisogna dargli la dolcezza della parola. Qui il dramma assume una tinta di commedia. La postu­ lante è delusa: si aspettava un protettore potente nell'altro mondo, e le si indica un uomo, di cui il solo vantaggio è di avere sentito gli insegnamenti di Mazda e delle Entità. Essa esprime la sua delusione (str. 9 ) : E allora l'Anima del Bove gemette: << Dire che devo accontentarmi, come tutore, del verbo impotente di un uomo senza forza, io che desidero un signore forte! Esisterà mai, colui che l'aiuterà con le sue mani? » IV. Epilogo (str. IO-I I ) . Questo ultimo verso, appello di­ sincantato alla forza secolare, fisica, la quale soltanto potreb­ be rendere efficace la protezione verbale di Zoroastro, è se­ guito da due strofe oscure. Forse è lo stesso profeta che parla, precisando specialmente l'appello che precede, indicando la potenza temporale necessaria per valorizzare la predica: lo XsaOra, la materia e lo stesso nome dell'Entità di seconda funzione. Attraverso oscurità di carattere particolare, l'intreccio è sicuramente questo. Scena I: l'Anima del Bove si lagna della sua sorte (str. I ) ; il Fabbricatore del Bove si rivolge ad Asa per sapere quale spirito protettore proprio del bove sia stato previsto nell'ordine generale del mondo (str. 2 ) ; la risposta giunge, brutale, negativa : non è stato previsto nessuno spi­ rito protettore nel piano di Asa (str. 3 ) , e per completare le sue informazioni l'Anima del Bove è rinviata allo stesso Ahu­ ra Mazda (str. 4). - Scena n : l'Anima del Bave chiede giu- RIFORME NELL'IRAN I I5 stizia ad Ahura Mazda (str. 5 ) , che conferma la risposta ne­ gativa precedente, ma inoltre la spiega: se nel piano di Asa non c'è uno spirito protettore speciale del bave, è perché il bave non ha il suo scopo in se stesso, perché è stato creato per il pastore-agricoltore, per l'uomo della terza classe (str. 6). - Scena 111: l'Anima del Bave modifica la sua domanda secondo la preziosa informazione che ha appena ricevuto, e chiede a Mazda (str. 7, fine ) : « In questa nuova prospettiva, nell'interesse degli uomini che sono il mio fine [marJtaeibyo, dativo di interesse] , chi hai tu (previsto) per accudire a noi, alla Vacca e a me ? » Soltanto aggiunge, in questa seconda for­ ma della sua domanda: « Chi hai tu (previsto), con [o : " tra­ mite " ; o : "in quanto "] Vohu Manah ? ... » E, come osserva finemente Nyberg (Le religioni dell'antico Iran cit., p. 1 02 ) , d'ora in poi la rappresentazione passa nel nostro mondo uma­ no, l'azione si svolge nel nostro mondo, intorno a Zoroastro. Tutto questo intreccio distingue dunque, tra i grandi col­ laboratori della creazione di Ahura Mazda, da una parte Asa, il responsabile dell'ordine generale, l'Entità che ha provvisto di un genio protettore o giudice celeste ogni essere (o clas­ se di esseri) autonomo, ma non gli esseri subordinati; d'altra parte Vohu Manah, incaricato specialmente di ciò che, nella creazione, riguarda l'uomo e gli serve. Da parte di Asa il Bo­ ve non ha ratu, perché il suo fine è l'uomo; ma da parte di Vohu Manah, e precisamente perché è in funzione dell'uomo, ha quaggiu, tra noi, qualcuno che si prende cura di lui, vale a dire Zoroastro. Questa distinzione viene agevolmente a concordare con quella di Yasna 44, 3-4: Asa e Vohu Manah si contrappongono qui come il piano divino nel suo insieme da un lato, e dall'altro la parte della provvidenza divina orien­ tata verso l'uomo, depositata nell'uomo: sono sempre - in sfumature diverse - «l'altro mondo » e « questo mondo qui ». Queste due grandi composizioni, l'una logica, l'altra dram­ matica, con la loro concordanza, bastano a stabilire la tesi: nella prima, Asa e Vohu Manah sono come compresi in due contesti, d'altronde chiari, di cui tutti gli altri elementi si contrappongono termine a termine; nella seconda sono le vo­ cazioni opposte di Asa e di Vohu Manah a costituire la di­ stinzione delle scene e a sostenere l'intreccio. AI che bisogna aggiungere che nessun'altra Gathd, di quelle poche che sono ORIENTALIA 1 16 anche composte con tutta esattezza, non dà, nel suo piano né nella sua azione, nessuna indicazione contraria. 6 . Sviluppi. In quale misura il resto del dossier, ossia l'esame dei rap­ porti spesso incerti di Asa e di Vohu Manah all'interno di una frase gathica, conferma o infìrma ciò che pare essere emerso? Si può riassumere la situazione dicendo che nessun passo lo invalida, e che un certo numero, sufficientemente chiaro, pare confermarlo. Ecco i casi migliori, che non sono gravati da problemi di costruzione grammaticale. 1 ) Nelle relazioni tra Dio e gli uomini, Vohu Manah pa­ trocina ciò che accade nell'uomo, il suo sforzo devoto; Asa esprime o l'oggetto trascendente di questo sforzo (tipo a), o il piano generale del mondo che tale sforzo aiuta a realizzare (tipo b). a) Y 28, 4: « lo che mi sono impegnato affinché l'anima, insieme con (haBra) Vohu Manah, sia svegliata, e che conosco le retri­ buzioni degli atti da parte di Mazda Ahura, io voglio inse­ gnare, per quanto lo posso e ne sono capace, la ricerca di Asa)). Y 3 r , 4 : «Se bisogna invocare Asa, Mazda e gli altri Ahura e Asi (la Retribuzione-ricompensa), Armaiti, io cerco per me, tramite l'ottimo Manah, Xsa9ra pieno di forza per la crescita del quale possiamo noi vincere la druJ ! )) Cosi l'uomo pio nella sua ricerca (radice iS-) del progresso religioso si sente assistito o ispirato da Vohu Manah, mentre Asa è nella trascendenza, con Ahura Mazda e l'insieme delle Potenze. E la ricerca si conclude : Y 5 r , r 6 : di kavi ViStaspa ha raggiunto ... per le vie di Vohu Manah, la dottrina che l'efficace (spanta) Mazda Ahura ... ha concepito tramite [o: " con ", o: " in quanto"] Asa)). b) Y 46, 7: << Chi, o Mazda, hai tu assegnato a un uomo come me quale protettore, se il cattivo cercasse di prendermi per nuo­ cermi, - chi altri, o Ahura, che il tuo Fuoco e Manah, dalle azioni dei quali Asa è nutrito? ... )) 2 ) Sempre nel commercio religioso, Vohu Manah è ancora associato allo sforzo o all'atteggiamento religioso dell'uomo RIFORME NELL'IRAN (pietà, virtu); Asa esprime l'origine o il mezzo, esteriori al­ l'uomo, dei doni a) o dell'insegnamento b ) di Dio. a) Y 28, 7: «Dai, o A5a, questa retribuzione: i successi (iiyaptii) di Vohu Manah ... , o Mazdii». Y 43, 2: «Che si ricevano, o Mazdii, le meraviglie [o: " le gioie " ?] di Vohu Manah che tu donerai tramite [o: " con", o : " in quanto"] Asa». b) Y 46, 2 : << (0 Mazdii), ... insegna tramite [o : " con", o: "in quan­ to"] Asa, il possesso di Vohu Manah ». Y 34, 1 2 : « (0 Mazdii), ... insegnaci tramite [o: "con", o : " in quanto"] Asa, le vie praticabili di Vohu Manah». Già nel 1 9 3 8 Henrik S. Nyberg, nel 1945 Geo Widen­ gren, senza disporre delle idee che non ho delineato che nel I 94 5, e senza considerare la solidarietà delle prime due En­ tità, avevano constatato la sollecitudine particolare di Vohu Manah per l'uomo sulla base di testi gathici, e l'avevano con­ fermata con testi pehlevi. Widengren ha insistito sull' << inti­ ma connessione tra Vohu Manah e l'uomo» ' . « Nel Denkart, - dice, - come in altri libri, si tratta spesso della " visita " (mehmii.nih) di Vohu Manah all'anima o al principio vitale » '. A questi testi Widengren accosta formule gathiche dove si esprime già il desiderio di vedere Vohu Manah « venire a noi ». Cosi: Y 44, 1 : «Ecco che cosa ti chiedo, Ahura ... : che tramite [o: " con", o: " in quanto"] Asa, egli [= un saggio come te] ci presti il suo amichevole concorso, venendo a noi tramite Vohu Manah». Y 43, 7 : « Il santo, ho saputo che eri tu, Ahura Mazdii, quando si mise a mia disposizione con Vohu Manah e chiese di me ». « Un interesse ancora maggiore, - dice ancora Widengren - per la discussione della lontananza dei tempi iranici a cui bisogna fare risalire l'idea secondo cui Vohu Manah risiede nel cuore dell'uomo, hanno alcune espressioni dove il testo parla di un vinii.risn, di un' " organizzazione " o di uno " sta­ bilire " di Vohu Manah » . Nel Denkart, per esempio, utas patis vinii.risn i Vohuman aoak xrat andar marta m, « e quan1 G. Widengren, The Great Vohu-Manah und the Apostle of God (Pub­ blicazioni Università di Uppsala, 1945, 5, pp. 46-6z). 2 Widengren, The Great Vohu-Manah cit., ricorda che ved. asu è « una designazione di un principio dell'anima » (E. Arbman, H. Oldenberg), e ag­ giunge: « Osserveremmo che proprio come nell'Iran manah e ahu sono nomi­ nati insieme, cosi in India manas e asu spesso sono presi insieme come i due principi fondamentali dell'anima ». ORIENTALIA II8 do cosi l'organizzazione di Vohu Manah (è stabilita), la sag­ gezza è all'interno dell'uomo » '. Da questa familiarità con l'uomo deriva probabilmente l'intervento benevolo di Vohu Manah dopo la morte : è lui, e non Asa, che si occupa dell'anima del giusto (Vzdevdat 1 9 , 3 1-3 2 ) ' : Vohu Manah si levò dall'aureo trono, Vohu Manah parlò : «Quan­ do sei venuto qui, o uomo giusto, dal mondo perituro al mondo imperituro? » E contento egli conduce le anime degli uomini giusti (afaonqm urviino) da Ahura Mazda, dagli Am;Jsa Sp;Jnta, all'aureo trono. Nelle sue Katrak Lectures ( 1 95 6 ), Jacques Duchesne­ Guillemin ha aggiunto alcune osservazioni importanti, dove la sintassi spiega la teologia ': Si possono discernere anche altre differenze : Un Vohu Manah dell'uomo è sul piano delle sue azioni e parole, Y 3 3 , 14· Non si parla di un «Asa dell'uomo» ; con syao8ana, «azioni» ( o con uxda), Vohu Manah è al genitivo (cosf Armaiti), laddove Asa è allo strumentale; asii[ (ablativo) compare dieci volte (con o senza la preposizione haéii), laddove abbiamo solo un caso di akii[ mananhO (Y 47, 5), vanhJUS mananhO (50, 1 ) , mainyJu'f vahi'ftii{ (33, 6), xfa8rii[ (32, 2). Tutto ciò conferma la relativa lontananza di Asa, se paragonata alla vicinanza all'uomo di Vohu Manah . Questa relativa lontananza di Asa, la sua tendenza a con­ fondersi con i grandi meccanismi dell'opera o della legge di Mazda, ha la conseguenza che - come osserva Émile Benve­ niste • - le Gathd Io presentino spesso come una nozione pas­ siva, «funzionante» piuttosto che « agente ». D'altra parte gli aspetti violenti di *Varuna, com'era previsto, si rivelano spersonalizzati in Asa: tutt'al piu abbiamo visto di passata, in due testi, che il male deve essere « consegnato nelle mani di Asa », mentre Vohu Manah si limita a compensare coloro che provvedono a questa salutare operazione (yoi asai dadan J lbid., p. 48 . • lbid. , pp. 54-55- 5 Jacques Duchesne-Guillemin, The Western Response to Zoroaster, 1958, pp. 49·50. 6 Benveniste, Les infiniti/s avestiques, 1935, pp. 78-79. L'espressione « nozione passiva » non è felice, e talvolta è stata mal compresa (per es. da Lentz) : << forza indifferente » sarebbe forse meglio. RIFORME NELL'IRAN zastayo drujim, Y 30, 8). Ma non ci sono « legami di Asa », che neppure prende, cattura all'improvviso. Asa si comporta persino da buon mazdeano, simile al dio di Bossuet che non punisce i ribelli protestanti se non con « variations », con «cambiamenti d'opinione » delle loro chiese - se si è disposti a dimenticare le dragonate, è vero (Y 44, I4): Ecco che i o t i chiedo, Signore - rispondimi bene - (Come) conse­ gnerò il male nelle mani di Asa, affinché egli l'abbatta secondo le formule della tua dottrina (8wabya mq8rais s;)nghahya), affin­ ché egli provochi tra i cattivi un forte scisma (sinqm) e apporti loro, o Mazda, cecità e odi (dvafS;)ng ... qstqsca) ? Asa conserva nondimeno tutta la sua importanza. Come i poeti menzionano piu spesso Varury.a che Mitra, cosi Asa, come si è visto, compare tre volte piu spesso di Vohu Manah (30 contro I I ) in posizione solitaria e quattro volte di piu in compagnia di una o di due altre Entità ( I 6 contro 4). Questo rapporto delle frequenze contrasta con i numeri d'ordine di Vohu Manah (1) e di Asa (n) nell'elenco canonico delle En­ tità, dove tutti gli altri termini invece si conformano al loro rango nella tavola delle frequenze. Questa anomalia, che nul­ la giustifica direttamente, si spiega con la situazione india­ na, la quale nasce da una convenzione puramente linguistica, prosodica: nei vocaboli composti di due nomi come mitrii­ varu!Ja - come ha ricordato piu volte Duchesne-Guillemin basandosi su una regola di Wackerriagel -, la parola meno lunga deve precedere la parola piu lunga 7 • Doveva già essere cosi nell'indoiranico, e, quando i teologi riformatori di Co­ rasmia hanno sostituito ai nomi tradizionali degli dei quelli di astrazioni personificate e qualificate, non hanno creduto di dover correggere l'ordine che tuttavia non aveva piu la sua giustificazione fonetica, dal momento che non si applicava che all'interno dei composti. Il sostituto di *Mitra ha cosi continuato a precedere quello di *Varuna. Una delle novità della struttura zoroastriana è lo sviluppo laterale che ha collegato un « elemento » materiale con cia­ scuna delle Entità; «zoroastriano », poiché si concorda, in generale - in base a indici sufficientemente chiari -, sul pun­ to che questo sviluppo era già acquisito quando furono re­ datte le Gatha, anche se non vi è esposto piu sistematica7 Ultimamente in [Duchesne.Guillemin] , Zoroastre, 1948, p. 89, nota I . 1 20 ORIENTALIA mente che la stessa gerarchia delle Entità. Gli elementi ac­ coppiati alle ultime quattro Entità (metalli - specialmente delle armi; terra, acque, piante) non pongono alcun proble­ ma: la loro posizione in questi ordini della gerarchia è natu­ rale (seconda funzione; tre aspetti della terza, uno generale, gli altri piu particolari) . Invece il collegamento del fuoco con Asa e quello dei bovini con Vohu Manah, senza essere sor­ prendenti, inducono a qualche osservazione. Non parlo delle speculazioni, alimentate dalla teoria di Heinrich Liiders, che, nell'India, pretendono di fare dell'ac­ qua il dominio proprio di Varut:ta e del fuoco quello di Mi­ tra: nessuna strofa suggerisce una ripartizione siffatta. L'ac­ qua in massa e di riserva, disponibile, l'acqua atmosferica appartengono si preferibilmente a Varul)a, ma la pioggia è piuttosto cosa di Mitra. Quanto al fuoco non è sicuramente proprietà di Mitra : Agni, dio, è troppo fuggevole, troppo multiforme per prestarsi a tali legami, e il fuoco materiale, «elemento », è anche bene inserito, secondo i suoi aspetti e secondo le circostanze, nell'una e nell'altra metà della prima funzione 8 • Similmente il fuoco poteva essere attribuito al­ l'una e all'altra delle Entità sostituite ai due grandi dei so­ vrani. Il fatto è che lo è stato al sostituto di *Varuna. Forse la scelta è stata orientata da condizioni proprie dell'Iran, do­ ve il fuoco ha ricevuto ruoli cosi importanti che il nome dei mazdeani talvolta è stato spiegato dai loro vicini nel senso di « adoratori del fuoco ». Forse è anche un tratto specificamente iranico, prezoro­ astriano, che ha fatto affidare a Vohu Manah la signoria del grosso bestiame. Infatti se a partire dal �gVeda la vacca, figura essenziale dell'economia come del culto, forma ricer­ cata di proprietà e di bottino e luogo geometrico di ricchi simbolismi, è altamente stimata, le prove che si sono propo­ ste a favore di un legame particolare tra di essa e Mitra non sono molto solide. La migliore è che, nella miscela soma­ latte, è il latte - spesso chiamato « vacca �> negli inni - che è mitriaco, mentre il soma è varul)iano. Però non bisogna di­ menticare che, quando il latte è considerato da solo, senza l'e­ lemento contrastante, Varul)a e Mitra lo patrocinano ugual­ mente. Un'altra ragione sulla quale si è troppo insistito, che 8 Qui, pp. 55-56. RIFORME NELL'IRAN 121 è stata persino messa i n relazione con il taurobolio mitria­ co, è che, quando Mitra, dopo essersi fatto pregare per pren­ dere parte al sacrificio animale, finisce per cedere, l'animale­ vittima lo rimprovera: « Mitra» non è forse l'« amico » ? Ora questa protesta non allude a un rapporto speciale del dio col bestiame, ma a una qualità piu generale del dio, alla sua dol­ cezza. In compenso nell'Iran Mi9ra ha conservato nel suo equilibrio riformato .un epiteto rivelatore, « Miera dai vasti pascoli-di-bovini », sicuramente antico, e che è usato una vol­ ta in vedico, ma a beneficio del dio Soma e in un contesto che non è mitriaco. È dunque probabile che, prima di Zoroastro, il piu vecchio Miera iranico avesse accentuato il suo rapporto ben naturale con un mezzo eminente insieme della « terza funzione» e della prima, e che sia lui ad averlo trasmesso al suo sostituto Vohu Manah nella distribuzione degli « ele­ menti ». 7 . I nomi dei primi due Amasa Spanta. Quanto alla scelta dei nomi delle due prime Entità, alcu­ ne riflessioni aiuteranno a comprendere la loro intenzione. In vedico, e probabilmente già in indoiranico, rta, l'Or­ dine cosmico, rituale, morale, sociale, corrisponde a tutto il campo della prima funzione : tutti gli dei di questo livello, specialmente Mitra, come pure Varut:ta, sono per eccellenza i conservatori del rta che portano in sé, mentre i rappresen­ tanti delle altre funzioni sono loro aiutanti 1 • Di conseguenza i teologi riformatori avrebbero potuto, in linea di principio, chiamare Asa sia il sostituto dato a *Mitra che il sostituto dato a *Varuna. Di fatto è stato notato da tempo che, nello stesso {<gVeda, il legame tra rta e Varut:ta è, se non piu stret­ to, almeno piu accentuato. Ma soprattutto l'altro concetto impiegato, Manah, non poteva essere attribuito al sostituto di *Varuna. Infatti se si considera l'insieme dei nomi delle Entità, Asa, l'Ordine molto buono (che comprende la veri­ tà) , è il solo che non faccia implicitamente riferimento a un'attività o a una qualità umane, o almeno di cui l'uomo possa partecipare; persino in materia morale o sociale, a magl Qui, pp. 4I·43· 122 ORIENTALIA gior ragione in materia cosmica, asa, come rta, è un assoluto che si impone; invece il « Buon Pensiero », la « Potenza desi­ derabile», l'«Effìcace Pensiero Pio », la « Salute» , la «Vita», si applicano necessariamente o si possono applicare alle cose umane, e manah in particolare è propriamente un termine psicologico, come, nella maggioranza dei suoi usi, il vedico manas è lo spirito, o un'attività intellettuale o volontaria dello spirito. Questa differenza è rispettata nella traduzione greca che il De Iside et Osiride riceve da Teopompo: solo àÀ:i)�ELa, « verità », è obiettivo, assoluto, indipendente dal­ l'uomo, rispetto ai relativi e umani EuvoLa (Vohu Manah), EtJVOIJ.ta (Xsaera) , a-ocpta (Armaiti), 1tÀ.ou'to<; (Haurvatii!), 'twv É7tL 'toi:c; xaÀ.oi:c; i}òÉwv ÒTJIJ.Loupyéc; (Am;)r;)tat) . 8 . Sraosa, Asi e i Sovrani minori del « f!.gVeda». Poiché, con le limitazioni imposte dalle linee generali del­ la riforma, la teoria delle prime due Entità si conforma a quella dei due grandi dei sovrani che esse hanno sostituito, è naturale cercare se, accanto a queste Entità e al di fuori della lista degli Am;)sa Sp;)nta, altre non siano state prodotte con la sublimazione dei « sovrani minori �> che conosce anco­ ra l'India vedica, piu precisamente di Aryaman e di Bhaga, i due aiutanti di Mitra, dal momento che non pare che Va­ ru.!_la abbia avuto collaboratori del genere in epoca antica • . La risposta è immediata: a parte Sp;)nta Mainyu, «lo Spirito Efficace » che, opposto ad Aì'ira Mainyu (Ahriman) e meno vivo di lui, richiede una spiegazione differente ', la teologia delle Gatha dà vita solo a due Entità, d'altronde cosf vicine agli Am;)sa Sp;)nta che talvolta la loro presenza è stata usata come argomento per sostenere che il numero di questi ulti­ mi, che successivamente sarebbe stato fissato canonicamente a sei, era meno strettamente limitato nell'epoca della redazio­ ne dei carmi : sono Sraosa, propriamente l'Ubbidienza (e per certi aspetti la Disciplina rigorosa) e Asi, la Retribuzione o Ricompensa. La vicinanza semantica del secondo di questi 1 Qui, pp. 75-79 e 91-93. Lascio da parte questo problema: la sostanza della mia opinione è sta­ ta pubblicata in Tarpeia cit., pp. 76-94. 2 RIFORME NELL'IRAN 12 3 nomi con quello del vedico Bhaga, « Sorte Fortunata, Distri­ buzione Giusta», è evidente, ed è facile vedere che Sraosa svolge nella società degli uomini mazdei un ruolo analogo a quello di Aryaman nella società degli uomini arya. Ma veri­ fichiamo dapprima, con un'osservazione esterna, che queste due Entità hanno una stretta affinità con Vohu Manah cosi come con Miera, e anche l'una con l'altra, e che viceversa esse non hanno che pochissimi rapporti con Asa. In primo luogo nelle Gdthd, dove Sraosa s'incontra 7 vol­ te, e Asi I 8 , e dove i due termini sono sia impiegati come nomi comuni, sia personificati - Sraosa piu spesso di Asi. Nel 7 casi in cui compare Sraosa, è associato tre volte ad Asi: oltreché in Y 43, I 2 (« prima che arrivi Sraosa accom­ pagnato da Asi dalle grandi ricchezze, mqzii.rayii »), in Y 2 8 , 4 e 5. e i n y 3 3 . I 3 e I 4 , dove l'asi o le aszs degli atti sono menzionati in una strofa e Sraosa in quella seguente, la con­ secuzione delle due strofe avendo valore logico. Se non ci sono esempi gàthici chiari di un legame partico­ lare di Sraosa con Vohu Manah, d'altronde non altrimenti che con Asa ', l'associazione di Asi (o asi) con Vohu Manah è sensibile in 6 o 7 passi: 28, 7 : «da', tramite Asa, questa ricompensa (asi) : il successo di Vohu Manah [o: " del buon pensiero "] »; 3 3 , 13 (cfr. qui sotto): «l beni incomparabili del vostro Regno (xsaBra) che sono la ricompensa (asi) di Vohu Manah [o: " del buon pensiero"] »; con ogni probabilità c'è la stessa situazione in 3 1 , 4; 43, 1 ; e il paraiielismo deile due parti (una con Asi, l'altra con Vohu Manah) di 34, 1 2 , di 43 , 4, e di 48, 9, è un'indicazione neilo stesso senso. Viceversa, un'associazione fra Asa e asi non s'incontra - tranne il caso speciale di 2 8 , 7 che in 5 I , I o («Io chiamo a me Asa affinché apporti la buona aSi » ) . Se, nelle Gdthd, il raggruppamento ternario Vohu Manah, Sraosa, Asi, non è che virtuale, diventa attuale nell'Avesta post-gàthico, e con questo ordine, che corrisponde all'ordine vedico Mitra-Aryaman-Bhaga di {{V 2 , 27, I (cfr. 4, 3 , 5 ). Infine la formula si è talmente stabilizzata che Datastiin-i - 3 E poco fuori delle Gathd : Y 57 nell'introduzione di ogni strofa (dove è detto ratu di Asa) e nella strofa 17 (dove è chiamato « guardiano del mon­ do di Asa »). I 24 ORIENTALIA Denzk 3, I 3 , potrà « applicarla» a un'altra triade, usuale da sempre, collocando Vohuman nel pensiero, Sros nelle parole (paroles}, Ard ( avest. Asi) nelle azioni. Con MiGra che ricompare nel suo posto prezoroastriano, ossia in quello di Vohu Manah, una triade equivalente s'in­ contra già nello Yast I 7 (Yast d'Asi), I 6 , che fa di Asi la sorella di Sraosa e di MiGra, quest'ultimo accompagnato da uno dei suoi fedeli aiutanti, Rasnu, la Rettitudine, la Giu­ stizia. Due testi dello Yasna postgathico, I o, I e 6o, 4 e 5, asso­ ciano Sraosa e Asi in preghiere destinate ad attirare la bene­ dizione divina sulle case, come fanno certe preghiere vedi­ che dove Aryaman e Bhaga sono associati, specialmente in inni nuziali. Altri raggruppamenti s'incontrano, sempre all'interno di questo personale mitriaco. Le credenze e i rituali funebri riuniscono Vohu Manah, Sraosa, MiGra, Rasnu (Datastan-i Denzk I 4 , I ; 3 1 , n ) . MiGra, Sraosa e Rasnu, i tre giudici dell'anima dopo la morte, sono uniti nel calendario (xv, XVI, xvn giorno) e in piu invocazioni (Yasna 65, 1 2 ; 70, 3; Yast I o, 4 1 ; I I , I6 ; I 3 , 85-86; 2 3 , 6-7 ; Bahman Yast 3 , 3 2 ; cfr. Denkart 8 , 44, I 6 ) Sraosa e Vohu Manah hanno miracolo­ samente protetto Zoroastro nelle persecuzioni che hanno se­ guito la sua nascita (Denkart 7, 3 , I 7 ; Zat-spram I6, 9-I I ); e sono stati Vohu Manah, Miera « e gli altri Am�sa Sp�nta», nonché Sraosa, ad aiutarlo a riformare le cattive leggi del­ l'Iran (Denkart 9, 2 8 , 3 ) . Tali sono le indicazioni convergenti che dànno, dall'ester­ no, le associazioni di Asi e di Sraosa, senza che nessun testo le contraddica • . = . 9 · Da Aryaman a Sraosa. Quanto al fondo, Sraosa si rivela un sostituto zoroastria­ no di Aryaman per le caratteristiche seguenti: 4 asya, epiteto normale di Sraosa, deriva da aSi, non da aia. Su Sraosa e Asi vedi Gershevitch, Avesta Hymn cit., pp. 193-94 (p. 193, il contagio - specialmente clava - di Mi9ra su Sraosa). Si tratta di indicazioni post­ gathiche, ma non c'è motivo di pensare che alterino la figura gathica di Srao­ sa, che i poeti si sono poco curati di esplicitare. RIFORME NELL'IRAN I25 I ) Anche se non si può seguire completamente H. S. Ny­ berg quando vede in Sraosa la personificazione della comu­ nità pia, « die fromme Gemeinde » ', ne è in ogni caso il pro­ tettore: traslazione, normale nella prospettiva di una rifor­ ma essenzialmente religiosa, a profitto della chiesa, ossia del corpo dei fedeli, di quello che era il ruolo di Aryaman ri­ spetto alla comunità etnica (e che permane nel concetto ira­ nico di airyaman). 2 ) Esistono tuttavia tracce di un antico rapporto di Sraosa con gli arya in quanto tali. Gli zoroastriani sapevano che i loro antenati erano venuti da un paese dove la vita era bella, chiamato, in Videvdiit I , 3 , Airyanam vaejah (pehl. Eriin vez), che É. Benveniste traduce la « distesa iranica », e che è certamente un'idealizzazione della Corasmia '. Il Menok-i xrat 44, 1 7-35 , descrive questa terra, nonostante i suoi dieci mesi invernali e i suoi due mesi di un'estate del tutto rela­ tiva, come un Eden dove non si hanno vizi né, quasi, malat­ tie, dove la religione è uno zoroastrismo prima di Zoroastro, e donde si va dritto in paradiso, quando si muore. Conclude: « Il loro signore spirituale è Gopatsah e il loro padrone e re è Sros » : re della patria « iranica» per eccellenza, nulla si addiceva meglio a un sostituto di Aryaman. L'associazione di Sros con Gopatsah non è meno interes­ sante (Menok-i xrat 62, 3 I-36). Quest'ultimo è un taucocen­ tauro che resta permanentemente in riva al mare, offrendovi il sacrificio e versandovi l'acqua benedetta (zohr). Grazie a questo servigio, muoiono innumerevoli bestie nocive. Se non lo compisse, innumerevoli bestie nocive cadrebbero dal cielo con la pioggia. Questo compagno di Sros nell'amministra­ zione dell'Eriin vez, questo semi-toro che, col sacrificio per­ petuo che celebra e con l'acqua santa che versa continua­ mente, purifica e salva il mondo dalle bestie nocive, ricorda l'Aryaman vedico che, dai tempi dei favolosi Angira, «mun­ ge» la vacca mistica della liturgia arya con ogni officiante e permette cosi, con la vita religiosa, la vita normale della società arya. Nello stesso ordine d'idee, uno degli Yast di Sraosa, Yasna 5 7 , dice che Sraosa è la prima delle creature 1 Nyberg, Religionen des alten Iran cit., p. 67. 2 Benveniste, L'Eran-vei et l'origine légendaire des Iraniens, in BSOS, VII ( 1934), pp. 265-74. 6 ! 26 ORIENTALIA che, avendo legato i fasci di barasman, rese un culto ad Ahura Mazda, agli Am;;lsa Sp;;lnta, eccetera (2); il primo che cantò le Gdtha di Zoroastro, con i versi, le strofe, il senso, eccetera ( 8 ) . Tutto l'inizio dell'altro suo Yast ( r r , r -7), che fa l'elogio delle preghiere ed esalta la loro potenza, si spiega con questo carattere. Infine nell'escatologia, per l'elimina­ zione definitiva del Male, è lui che servirà da prete-assistente, raeOwiskara (pehl. raspt) nel sacrificio dove Ahura Mazda stesso sarà l'officiante, zaotar '. 3 ) Nel nostro mondo è Sraosa che, giorno e notte, condu­ ce la lotta contro tutte le specie di cattivi demoni· (Y 5 7 , 15-1 7), d à la salute ai corpi (ibid. 26) e, i n maniera generale, « come Ohrmazd è capo, sardar, nel mondo spirituale, cosi Sros è il capo nel mondo materiale ... Ohrmazd protegge l'a­ nima, che è del mondo spirituale, e Sros protegge il corpo, che è del mondo materiale. Da quando essi [= " i due creatori antagonisti "] hanno creato il mondo, egli non ha piu dor­ mito bene, al fine di proteggerlo (Bundahisn iranien cit., 26, 47-49). Sraosa continua cosi ad assicurare al mondo corpo­ reo, ovviamente mazdeano, la protezione che Aryaman ac­ cordava all'etnia arya. 4) Come l'Aryaman vedico, Sraosa protegge quel grande mezzo per collegare uomini o gruppi di uomini che è l'ospita­ lità, quando è data, ovviamente, all'uomo dabbene, al fedele della vera religione (Y 5 7, I4 e 34) : 1 4 . [Lungi dalla casa, dal borgo, dal distretto, dal paese se ne van­ no le cattive calamità, le inondazioni,] là dove sono stati ben trattati e bene ricevuti il vittorioso Sraosa e l'uomo conforme all'Ordine ... 34· Noi rendiamo un culto a tutte le case protette da Sraosa e dove sono ricevuti con amicizia e benedizioni il santo Sraosa e l'uo­ mo conforme all'Ordine. 5 ) Una delle funzioni dell'Aryaman vedico è quella di as­ sicurare la libera circolazione. Sraosa fa lo stesso, ma la sua azione è trasposta sul piano cosmico e i suoi beneficiari sono esseri soprannaturali ( Y 57, 23-34) : Noi rendiamo un culto a Sraosa ... per la forza, la potenza vittoriosa [ecc.] del quale gli Amasa Spanta sono discesi sulla terra dai ' Bundahiin iranien cit., pp. 34, 27. Yait I I , 18, che ha messo in diffi­ coltà i traduttori pehlevi, probabilmente significa semplicemente che Sraosa è presente in ogni sacrificio, quali che ne siano la data e la na tura. 127 RIFORME NELL'IRAN sette kar5var ... ; che cammina con libera potenza (vaso.xsaOro) attraverso il mondo corporeo ' . . . Anche il suo dominio è coestensivo al mondo : di lui si dice che la sua dimora è soprattutto il karsvar dell'ovest, poi quello dell'est; ma si aggiunge subito : « e il mondo intero» (Menok-i xrat 62, 2 5 ) . 6) Sraosa non s i occupa, come Aryaman, delle nozze, stru­ mento delle alleanze durevoli tra le famiglie, ma patrocina la grande virtu che assicura la coesione morale nelle società, religiose o di altro tipo : la moderazione, la giusta misura. Zatspram 34, 44 dice: « <l santo Sros è misurato (patmiin'ik) , è modello spirituale della misura (patman) ; l'eccesso e il di­ fetto, e Az (la concupiscenza) sono suoi nemici ». Con ogni probabilità è con questa caratteristica che si deve spiegare come egli sia opposto personalmente al demone Aesma, « Fu­ rore, Tirannia », a cui dà la caccia ogni giorno e che ucciderà alla fìne del mondo, nello stesso tempo che ognuno degli Am;}sa Sp;}nta ucciderà parimenti il « suo » arcidemone. Ve­ rosimilmente è anche questo carattere che permette di capire il ruolo di Sraosa come garante del grande contratto cosmico, del contratto fondamentale intercorso tra un essere maschile e un essere femminile : è lui, dice Yast I I , 1 4 , «che tiene d'occhio le clausole e i trattati della druJ [= l'aspetto femmi­ nile dello Spirito Cattivo] e del Santissimo [Spirito] ». Si trat­ ta del patto concluso fra i due poteri, il buono e il cattivo, per regolare la successione e la durata dei loro periodi di su­ premazia. Come è stato notato, Sraosa svolge cosi un ruolo paragonabile a quello che altrove è attribuito a Mi9ra (Pseu­ do-Plutarco, De Iside et Osiride, 46 ), ruolo di mediatore, di arbitro, nel grande incontro in tre riprese che contrappo­ ne il Bene e il Male; piu esattamente è il sorvegliante, lo spas dell'accordo, con quella sfumatura spionistica che ha gene­ ralmente la radice spas- in avestico. 7) Nell'epopea indiana, Aryaman è il capo dei Pitara�, dei «Padri », geni che dapprima dovettero essere i morti o una parte degli antichi morti della società; la via mitica che con­ duce al mondo dei Padri, quella che prendono dopo la morte gli uomini che hanno praticato la religione tradizionale degli arya e non le tecniche degli yoghin, è chiamata «via di Arya' Cfr. Aryaman che dà la possibilità di andare dove si vuole, qui, p. 82. !28 ORIENTALIA man». Similmente Sraosa ha una parte essenziale nelle ore che seguono la morte. Il principale rituale che gli è dedicato si applica alle prime tre notti, nelle quali l'anima non è stata ancora presentata ai suoi giudici '. Per tutto questo tempo - e tanto meglio quanto piu vivamente è sollecitato con il culto funebre - Sraosa, dice Darmesteter (Le Zend Avesta, I, p. 3 5 8 ), «protegge contro i demoni che vogliono trasci­ narla nell'inferno l'anima che dapprima resta al capezzale del proprio cadavere, poi attraverso l'atmosfera per passare da questo mondo nell'altro». È per il suo soccorso, associato a quello del Buon Vayu e di V;}r;}Sragna, che essa raggiunge il ponte Cinvat, dove corre i rischi e subisce le prove che si conoscono. Infine partecipa, con MiSra e Rasnu e talvolta con Vohu Manah, alla valutazione del bilancio della vita che si è conclusa e al giudizio che ne deriva (Diitastiin-i Denik, tutto il capitolo I4; 3 I , u ; Menok-i xrat 2 , u 8-22 ; Den­ kart 8, 44, I 6 ) . 8) Esiste una specie d i formula che stabilisce un'equazio­ ne fra airyaman, usato come nome comune, e Sraosa. E. Ben­ veniste ha mostrato, nel I932 •, che l'elenco che si trova in due forme - nelle Gatha xvaetu, varJZena, airyaman; nel­ l'Avesta non gathico nmiina, vis, zantu - raggruppa tre desi­ gnazioni collettive di cui l'estensione, sociale in un caso, lo­ cale nell'altro, è crescente : famiglia (o casa), clan (o borgo), tribu (o distretto) - per l'ultima parola, nella variante ga­ thica, diciamo arcaicamente, persino anacronisticamente, ma etimologicamente, « insieme arya piu o meno esteso». Ora un passo di Videvdiit I 8, I 4-2 8, spiega come il genio del fuo­ co, Atar, per tre volte durante la notte cerchi di dare l'allar­ me agli uomini contro l'azione demoniaca di Azi, la concupi­ scenza. La prima volta, nel primo terzo della notte, chiama in aiuto il padrone di casa, nmiinahe nmiino.patim ( 1 8-I 9 ) . Nel secondo terzo della notte, chiama il contadino-allevatore, vastrim fsuyantam (20-2 I ), - designazione tecnica di tutta 5 Capp. II e m , pp. 9-27 (L'anima del Giusto - o del Malvagio - nelle prime tre notti dopo la morte) di Jal D. C. Pavry, The Zoroastrian Doctrine of a Future Life from Death to the Individuai ]udgment, 1929; vedi special­ mente tutto il cap. XXVIII del Diitastiin-i Denik. 6 Benveniste, Les classes sociales dans la tradition avestique, in ]A, ccxxr, pp. 121-30; su questa classificazione nell'India vedica, cfr. FR, 1975, pp. I28-J2. 1 29 RIFORME NELL'IRAN una classe sociale, la terza, quella di cui il J3.gVeda, dalle sue parti piu antiche, indica l'essenza col nome viS, parola iden­ tica all'avestica vls, secondo termine dell'elenco postgathico nmiina, vzs, zantu. Dopo questi due insuccessi, nel terzo ter­ zo della notte, Atar chiama Sraosa, il quale in effetti l'aiuta destando l'uccello sonoro, il gallo. A sua volta il gallo sveglia gli uomini e li esorta alla vigilanza e alle sante azioni. Si vede cosi l'Entità Sraosa funzionare come terzo termine di una se­ rie di cui i primi due designano tipi di gruppi sociali: Atar si rivolge dapprima ai padroni di casa, ai focolari isolati; poi ai raggruppamenti elementari di famiglie; infine al dio che, come faceva un tempo Aryaman per là società etnicamente o politicamente definita, protegge e forse incarna il comples­ so della società religiosamente definita. Tutte queste proprietà, di cui la maggioranza ha un equi­ valente preciso nella posizione di Aryaman, contribuiscono, come si vede, a caratterizzare Sraosa come protettore della società spirituale e temporale dei mazdei, - concetto che, nel­ la riforma, ha corretto, sostituito il concetto di ari, di so­ cietà degli arya. I o . Da Bhaga ad Asi. Che, parallelamente, Asi sia la correzione - morale, reli­ giosa - di un equivalente proto-iranico del vedico Bhaga 1 , risulta dai fatti seguenti : A partire dalle Gathd, nome comune o Entità, Asi (asi) è la giusta retribuzione, l'assegnazione della parte, della sorte meritata dall'uomo, parte buona o cattiva, sorte in questo mondo o nell'altro. L'accento è posto sullo stato post mortem (giudizio individuale e giudizio universale; « Regno» equiva­ le a paradiso), di cui il J3..gVeda non si è quasi interessato, e 1 Gray, The foundations of the Iranian Religion cit., p. 64, nota 4, ha ben visto questa figliazione, citando Yast 15, I : « Io voglio sacrificare al­ l'Acqua, a(l) Baya, alla Pace, alla Forza trionfante »; però pensa che Asi sia stata piuttosto « sostituita alla divinità Baxta "Fato", che è menzionata tre volte nell Avesta (YaJt 8, 23, parallela a sodra "dolore, e urvistra " distru­ zione", Videvdiit, 5, 8, dove determina la morte dell'uomo, e 2 1 , 50, dove è garantita da esseri divini) », e che è sopravvissuta in persiano (Baxt, « For­ tuna», è frequente nello ShiihNàmeh; pers. mod. badbaxt, « disgraziato », ecc.). ' · ORIENTALIA sull'escatologia, che esso ha scelto di ignorare. Nonostante questa diversità di obiettivo e di portata, i verbi abitualmen­ te usati con asi, Asi, sono quelli che vengono solitamente im­ piegati in vedico a proposito di bhaga, Bhaga : day-, « riparti-­ re », vi.day-, « distribuire », da-, «collocare, attribuire », xsay-, «essere padrone di »; e le espressioni che associano asi e ray, « ricchezza » (rayo asis, « a. di ricchezza », Y 4 3 , I ; Asi m4za. raya, «A. dalle grandi ricchezze », ibid. , I 2), ricordano i nu­ merosi testi vedici che associano bhaga e rayi, « ricchezza» . Piu strofe delle Gathd traspongono in u n linguaggio mo­ rale, ma in parte con un vocabolario tradizionale, il mecca­ nismo vedico, sicuramente indoiranico, del do (o laudo) ut des: allo stesso modo che, nell'India, il sacrificio e la lode, yajiia e stut (stuti), valgono all'uomo il bhaga, la sua buona parte, cosf il culto epurato e le lodi, yasna e stiit, valgono al mazdeo la buona retribuzione, la ricompensa, asi. Cosf y 34. 1 2 : Che cosa ordini? Che cosa vuoi: che cosa in fatto di lodi, che cosa in fatto di culto (ka[ va stiiti,i ka[ va yasnahya)? Affinché lo si senta, o Mazda, proclama come si ripartiranno le ricompense do­ vute all'ubbidienza alle tue direttive (ya vzdaya[ aliS raJnqm) ... Nello stesso ordine d'idee, l'Avesta post-gathico e i libri pehlevi associano volentieri Asi e Piir;}ndi, «Bounty» (Gene­ rosità, Dono} (Y I 3 , I ; Yast 8, 3 8 ; Io, 66; 23, 9 . . ) , come Bhaga è frequentemente associato a Pural'fldhi (�V 2, 3 8 , 4 ; J , 6 2 , I I ; 5 , 42, 5 ; 6, 4 9 , I4; 7 > 35, 2 ; 3 6 , 8 ; 39, 4 ; IO, 85, 3 6 ). A partire dalle Gathd (Y 31, 4; 43 , I 6) tra Asi e Armaiti c'è un'associazione che ricorda quella, frequente, di Bhaga con dee, Sarasvati (e Brhaddevii, Sunrta), Dhi, U�as, e Ara­ mati (�V 7 , 36, 8 ; Aramati, PG�an, Bhaga, Pural'fldhi). Piu tardi, si troverà Asi accoppiata col genio del dono, della libe­ ralità, Riitii (Yast 24, 8 ; Dénkart 9, 24, 3 ; 30, I4; 43, 6 , - tre testi che riassumono brani dello stesso trattato perdu­ to), allo stesso modo che, in �V IO, 66, I O e A V I , 26, 2 , Bhaga è accompagnato da Riiti; sarà anche unita alle Acque (Yast 24, 8 ) , come lo è Bhaga (�V 7 , 44, 1 ) . Asi resta dunque, nell'Avesta postgathico e piu tardi, ciò che era nelle Gatha, arricchendo l'uomo pio in questo mon­ do, e, nell'altro, vegliando sul tesoro dei suoi meriti. Sempli­ cemente, a differenza dei vecchi inni, è « questo mondo qui », la ricchezza terrena accumulata nella casa del giusto, che as. RIFORME NELL'IRAN sume maggiore importanza, preparando la divinità a ricevere la figura che si vede, col nome AP.6.0XPO, sulle monete in­ doscitiche ': una TvxTJ , una donna con nimbus e modius, che porta chiton e himation, e regge un corno dell'abbondanza; o assisa, di fronte, su un tesoro, con una ghirlanda e un corno dell'abbondanza; o, ancora seduta, il volto girato a destra, con il costume greco, un corno dell'abbondanza in entrambe le mani. I I . Zoroastro offeso? Cosi l'équipe indoiranica degli dei sovrani, maggiori e mi­ nori, è stata interamente conservata nella riforma zoroastria­ na, con i rapporti fra i suoi termini, ogni termine presen­ tando, al posto del dio, un'Astrazione che esprime un ele­ mento essenziale della sua definizione o della sua funzione. Questa spiegazione semplice e unitaria ha il privilegio di suscitare, in piu iranisti, quello che dobbiamo chiamare un santo corruccio: sarebbe persino una mancanza di rispetto nei confronti di Zoroastro. A proposito della sostituzione di Vohu Manah al *Mitra indoiranico, Ilya Gershevitch non cela la sua impazienza 1 • Naturalmente il profeta era troppo onesto per introdurre Mi6ra per l;1 porta di servizio, per esempio sostituendolo a uno degli Am;;,sa Sp;;,nta, o aggiungendolo al loro numero. Tali << sostituzio­ ni» o « accomodamenti» che certi storici della religione hanno tal­ volta presupposto sono forse avvenuti, in misura limitata, nello zoroastrismo rifuso a livello della religione popolare [= nello zoro­ astrismo ritoccato, postgathico] ; come parte del metodo di lavoro di un profeta della statura e integrità di Zarathustra, sono impen­ sabili. Non si tratta, nella spiegazione che propongo, di « reintro­ durre » Mi9ra, individualmente, vergognosamente, dalla por­ ta di servizio, all'interno di un sistema che lo esclude. BanIdentificata da Aurei Stein nel 1 887; sulle monete vedi bibliografia in Duchesne-Guillemin, Religion de l'Iran ancien cit., pp. 239·4 1 . 1 Gershevitch, Avestan Hymn cit . , p . 48. Mentre fa d i Zoroastro u n por­ tavoce di Dio secondo il tipo dei profeti d'Israele, nello stesso tempo non ha alcuna considera2ione per i preti che hanno reintrodotto nel secondo zo­ roastrismo, per opportunismo, delle specie di Baal: Voltaire non li avrebbe trattati meglio di quanto faccia il romanzo delle pp. 13-22. 2 ORIENTALIA dendo tutti i vecchi dei funzionali a vantaggio del dio unico, Zoroastro non ha voluto privarsi di una filosofia di cui con­ tinuava ad apprezzare il valore, quella che esprimeva la loro molteplicità e i loro rapporti. Dunque ha loro sostituito, so­ lidalmente, come aspetti o collaboratori di Dio, Entità defi­ nite anch'esse secondo le tre funzioni, di numero uguale a quello delle divinità e conservando la loro gerarchia. L'in­ sieme, coerente, dove lo stesso principio ha presieduto a tut­ te le sostituzioni, assomiglia al contenuto di un melting-pot, di un crogiolo ? Quanto a me, non riesco a scoprire nulla di spiacevole, intellettualmente o moralmente, nel duplice dise­ gno del prete Zoroastro : I ) esaltare il Dio unico, 2 ) restituir­ gli, con la mediazione delle Entità emananti da lui, l'onore di un'organizzazione del mondo che il politeismo tradizio­ nale esprimeva con dei multipli, certamente solidali, ma fa­ cilmente eccessivi e rivali. Una volta ricondotta interamente al suo unico autore e signore, e cosf purificata delle sue debo­ lezze, l'analisi tradizionale del reale diventava non rischiosa e conservava la sua utilità. L'integrità di Zoroastro non è col­ pita, la sua statura non è diminuita e il suo « metodo di lavo­ ro » continua a meritare stima e ammirazione. È un'opposizione dello stesso genere, sebbene meno liri­ ca, che ha espresso Alessandro Bausani in un articolo che non è il caso di discutere qui nel suo complesso 2 • A propo­ sito del «working method �> che spiega discretamente il pa­ rallelismo della tavola degli dei funzionali vedici e della tavo­ la degli Am;)sa Sp;)nta, egli mi rimprovera di attribuire <mn troppo preciso lavoro " di tavolino " alla problema tica figura di Zarathushtra» : A questo proposito sono illuminanti queste dichiarazioni del Dumézil in Naissance d'Archanges (p. 186): «C'est que le réforma­ teur a consciemment, attentivement et intelligemment imité jus­ que dans le détail la théologie polythéiste dont il condamnait l'es­ prit mais qu'il appréciait en tant que cadre et moyen pour l'analyse à la fois du concret et du sacré». È ben difficile che un profeta ri­ formatore antico che giunse a relegare fra i demoni entità care al­ l 'antico politeismo potesse aver cosi chiaramente distinto fra lo 2 Alessandro Bausani, Può l'antica religione iranica contribuire a una ri­ costruzione della « religione indo-europea»?, in SMSR, XXXVI ( 1965), pp. 179-92. Smonterò altrove l'argomentazione sofistica di A. Bausani, nonché quella dell'articolo che segue al suo (L'Iran e l'ideologia /ripartita, pp. 19321o delia stessa rivista). RIFORME NELL'IRAN spirito del politeismo e i suoi << quadri » funzionali, che poi, in fon­ do, per il Dumézil stesso, ne sono proprio lo spirito. A. Bausani fa certamente finta di non capire. I quadri di ogni teologia, quale che sia, sono l'inventario dei diversi ele­ menti o forze riconosciuti come costitutivi dell'universo visi­ bile ; lo spirito delle teologie politeistiche consiste nel distri­ buire tra divinità diverse, aventi temperamenti e obiettivi divergenti, la signoria di tali elementi o di tali forze. La teo­ logia prezoroastriana (o premazdaica) I ) si sviluppava secon­ do la struttura gerarchizzata delle tre funzioni (sovranità magico- e giuridico-religiosa; forza; prosperità) ; 2) affidava ciascuna di tali funzioni (o le sue suddivisioni ) a uno o piu dei specialisti e indipendenti. Attraverso la concezione degli Am�sa Sp�nta, la riforma è riuscita I ) a conservare la strut­ tura delle tre funzioni; 2 ) ad affidare le funzioni non piu a personalità autonome, ma ad Astrazioni personificate, a cui è stato conservato - probabilmente volontariamente - un carattere di ambiguità, poiché sono sia modi d'azione del Dio unico, sia le sue prime creature e i suoi piu prossimi col­ laboratori . Ogni riformatore è dapprima colto da un'intui­ zione, alla luce della quale misura piu o meno rapidamente che cosa deve assolutamente rigettare e che rigetta con entu­ siasmo, e che cosa può conservare, soddisfacendo a un vec­ chio legame della ragione e del cuore. Dopo aver fatto questa cernita, reiquilibra, riorienta secondo l'intuizione fondamen­ tale le parti di tradizione cosi salvate. Non lo può fare che in piena coscienza, con serietà, precisione, immaginazione. Poi­ ché i grandi mistici sono spesso buoni dialettici, l'operazione finale non è sovrumana, e Zoroastro (o, se A. Bausani prefe­ risce, la scuola coperta dal suo nome) merita ammirazione meno per questo « lavoro di tavolino », per quanto abile sia, che per l'intuizione ardita che lo ha reso necessario. Seconda parte Occidentalia Capitolo quarto Iupiter e il suo entourage La teologia delle tre funzioni non è una creazione degli indoiranici. Tra gli indoeuropei occidentali, i romani piu an­ tichi e gli umbri ne conservano una variante ben strutturata, come fanno anche, con innovazioni piu notevoli, i popoli germanici e i popoli celtici, specialmente quelli meglio cono­ sciuti, gli scandinavi e gli irlandesi. Critici e inventori, situati sulla frangia delle gr-mdi civiltà del Mediterraneo orientale, i greci ne presentano certo applicazioni importanti e variate, ma essa non è piu, in nessuno di loro, il quadro generale del­ la riflessione '. Quanto ai baltici e agli slavi, nell'epoca in cui entrano nella storia pongono problemi particolari che non possono essere esaminati qui '. Per gli italici e per i germani, ho pubblicato altrove le di­ mostrazioni: la prima parte della Religione romana arcaica (2a ed. I974) 3, i primi tre capitoli degli Dei dei germani ' sono dedicati a questo argomento. L'essenziale si riassume 1 Bibliografia (specialmente Francis Vian e Atsuhiko Yoshida) in ME, 1', p. 496, nota r, e alla nota 7 (pp. 456-57) dell'eccellente saggio di Richard Bodéiis, Société athénienne, sagesse grecque et idéal indo-européen, in « L'Antiquité Classique » , XLI ( 1972), pp. 455·86. Bernard Sergent ha ora pubblicato un importante studio sui due re di Sparta, in RHR, CLXXXIX ( 1 976), pp. 4•52. 2 ME, 1', pp. 624-28. Gli scienziati di Los Angeles hanno intrapreso que­ sta ricerca. Oltre a lavori ancora inediti di Marija Gimbutas (basati su uno spoglio degli archivi folkloristici di Kaunas), si vedano : Robert L. Fischer jr, Indo-European Elements in Baltic and Slavic Chronicles, in Myth and Law among the Indo-Europeans, I970, pp. I47·58; Jaan Puhvel, Indo-Euro­ pean Structure of the Baltic Pantheon, in Myth in Indo-European Antiquity, I974, pp. 75-85. Le pubblicazioni comparative di Roman Jakobson sulla mi­ tologia slava applicano un altro metodo. 3 Trad. inglese della prima edizione, migliorata, Archaic Roman Religion (ARR) cit. • Trad. inglese migliorata, Gods of Ancient Northmen (GAN) cit. J38 OCCIDENTALIA in raggruppamenti gerarchici di divinità, che corrispondono alla lista canonica degli indoiranici: a Roma, è la triade pre­ etrusca lupiter Mars Quirinus (con varianti minori nel terzo termine) ', confermata come preromana dalla triade degli dei detti Grabouio- dell ' lguvium umbro, luu, Mart- Vofìono- •; in Germania, sono raggruppamenti come quello che i con­ temporanei di Adamo di Brema vedevano ancora presiede­ re alle feste del santuario dell'antica Uppsala: Oilinn, P6rr, Freyr (o, altrove, Njorilr e Freyr) '. Per la prima funzione come per le altre due, l'interpretazione di questa triade è giu­ stificata negli studi ora menzionati, a cui rimando il gentile lettore. Io mi limiterò ad alcune osservazioni che sottolinee­ ranno insieme il carattere conservatore e l'originalità di que­ ste teologie occidentali, e anzitutto di quella che ha dominato nei primi secoli di Roma. 1 . Iupiter. In Italia come in Grecia, la sovranità appartiene al dio omonimo del vedico Div- (nom. Dyaul;, gen. Diva!;), che è il Cielo personificato. Ma mentre Div- è rimasto limitato alla sua natura di cielo e a un ruolo molto generale di paternità, esterno alla struttura trifunzionale e senza una grande in­ fluenza sugli avvenimenti, ZEvc; (gen. AtF6c;) e Iupiter (gen. Iouis) sono veramente dei sovrani, il primo carico di una lus­ sureggiante mitologia regale, il secondo ridotto, alla maniera romana, ai suoi maestosi connotati teologici e al patronato di importanti rituali '. Al disopra di Mars e degli «dei di Tito Tazio » 2 (dove Quirinus è unus inter pares ) , Iupiter occupa dunque il primo livello. In questa religione strettamente nazionale, che si interessa poco delle lontananze spaziali e temporali e concentra la sua immaginazione e riflessione su 5 RRA', pp. 18J·86; IR, 1969, pp. 209·2J . IR, pp. 167-68. 7 Qui, pp. 170-72. 1 Su questo ruolo ridotto dell'etimologia del nome, vedi RRA2, pp. 187188, e qui, pp. 63-64. 2 Sul senso che do a questa espressione, vedi RRA2, p. 181, nota 2, e p. 277· 6 IUPITER E IL S UO ENTOURAGE 1 39 Roma stessa e soprattutto sul presente di Roma, lupiter, dio celeste, è anzitutto il rex, un rex invisibile che, quale che sia il regime politico (reges, consules o loro sostituti), garantisce l'esistenza della Città fondata in virtu dei suoi segni origi­ nali, e ne dirige la politica con i suoi segni circostanziali. Il flamen Dialis ', costantemente in servizio, attaccato al suolo romano da molteplici obblighi e divieti simbolici, assicura quasi passivamente, col suo essere e la sua presenza non me­ no che con la sua attività rituale, tra la società romana e la zona superiore del sacro, un legame che altri preti piu attivi e piu liberi, anzitutto il ponti/ex maximus, utilizzano secon­ do i bisogni del momento. Celeste, ma di un cielo vicino, atmosferico piuttosto che cosmico, e di conseguenza, come Zeus, signore della folgore che, nell'India e in Scandinavia, appartiene al dio del secondo livello (Indra, 1>6rr), egli è il sorvegliante del diritto, e, piu in generale, dell'esattezza ne­ gli impegni tra mortali o nel commercio tra i mortali e gli dei. Appare cosf, tra Roma e gli indoiranici, una differenza no­ tevole nella tavola teologica della prima funzione: l'unicità essenziale del dio romano che l'esercita. Non già unicità di­ vorante, non già monoteismo come nella riforma zoroastria­ na, poiché gli dei delle altre funzioni permangono con i loro onori, ma unicità nella sovranità. La stessa semplificazione si osserva d'altronde al terzo livello, che gli indiani vedici come i mazdei affidano, nella loro principale lista canonica, a due figure gemelle e uguali : una delle interpretazioni di Quirinus farà sf di lui un gemello ' , ma persino allora, attraverso di lui, solo Romolo, non Remo, prenderà posto nel pantheon. Questa unicità del sovrano è sempre esistita? La triade di Iguvium induce a pensarlo: Iuu- è altrettanto solo quanto il suo omonimo romano, senza nulla che ricordi il doppio dua­ le Mitravarury.a di Mitanni e del {{gVeda e l'adattamento di Vohu Manah e di Asa Vahista nelle Gatba. Tuttavia altri fatti provano che l'unicità che ci colpisce è almeno complessa. ' RRA', pp. 163-72, 574-75. ' RRA', PP- 26o-66. OCCIDENTALIA 2. Iupiter, Dius Fidius, Fides. Dopo Iupiter e talvolta confuso con lui, Roma onora un dio che lo sostituisce in qualcuna delle sue funzioni e che contiene nel suo nome la fides, insieme lealtà e fiducia, fon­ damento del diritto : Dius Fidius. Nell'epoca di cui siamo informati non si sapeva piu molto della sua teologia, ma è notevole il fatto che il flamine di lupiter, il primo nella ge­ rarchia dei maiores come Iupiter è il primo della triade, non si chiami flamen Iouialis, come i suoi confratelli sono Mar­ tialis e Quirinalis, ma flamen Dialis. D'altra parte i romani sottolineavano volentieri le affermazioni o prestavano giura­ mento con la formula medius (Fidius), « che Dius Fidius mi [?] », o, piu esplicitamente, per Dium Fidium (Plauto, Asi­ naria, 23 , ecc.). Si collegava cosi a lupiter - o emanava da lui - in un'altra provincia, con un'istruttiva limitazione: il lanciatore di lampi e folgore, in ogni momento e in ogni cir­ costanza ', resta ovviamente lupiter, ma quando è il caso di specificare (ciò che è importante nella teoria dei segni divini) che il fulmine considerato è un lampo notturno, esattamente della seconda parte della notte, esso è attribuito a un'entità mal conosciuta, Summanus, il quale pure forse è soltanto un aspetto di lupiter, e di cui il nome (sub, mane) indica chia­ ramente il tempo della sua azione 2 • Si è cosi indotti a sup­ porre, per simmetria, che quel Dius Fidius che porta la luce nel suo nome prenda interesse al fulmine diurno, il quale è chiamato tecnicamente Dium fulgur perché, secondo la te­ stimonianza di Verrio Fiacco (Paul, p. 66 L' = p. 1 87 V), « putabant Iouis, ut nocturnum Summani ». Di questi due caratteri, soli relitti di una teologia probabilmente piu ricca, il primo è sia varut:tiano che mitriaco, poiché entrambi gli dei vedici garantiscono gli impegni, ma il secondo, che oppo­ ne il diurno al notturno, è nettamente mitriaco. Due consi­ derazioni rafforzano questa interpretazione: 1 Su Iupiter e la folgore, vedi la messa a punto di R. Schilling, Iuppiter Fulgur, à propos de deux lois archa'iques, in Mélanges Pierre Boyancé (Col­ lection de l'École Française de Rome, 22), 1974, pp. 681-89. 2 RRA', pp. 209-10 ; ME, III, pp. 14?-50. IUPITER E IL S UO ENTOURAGE I ) Mentre Iupiter è sempre stato il dio piu grande, senza confusione né osmosi con l'umanità, Dius Fidius si è visto assimilato da certi teologi a una sorta di semidio che essi di­ cevano, probabilmente a torto, sabino, a sua volta identifi­ cato col semidio greco-italico Ercole '; questa differenza di posizione, di affinità, ricorda, mutatis mutandis, la piu gene­ rale antitesi di Varut:Ia e di Mitra, « piu lontano dall'uomo », « piu vicino all'uomo». 2 ) Mentre il tempio di Iupiter O. M. è sul Campidoglio, il santuario di Dius Fidius è sulla collina vicina, sul Quirina­ le, aedes Dii Fidii in colle (fondato, si diceva, nel 466, con il 5 giugno come dies natalis), ossia sulla collina dove, con for­ me diverse, specialmente teologiche, si era radicata la terza funzione, quella di fecondità, di prosperità, di massa popola­ re, e di cui il patrono, Quirinus, è stato anch'egli deportato verso l'umanità, per altre ragioni. Si può dunque pensare che, senza formare con Iupiter una coppia equilibrata, Dius Fidius dapprima sia stato, ac­ canto a uno Iupiter ben piu ampio, l'espressione propria del­ la metà mitriaca della sovranità, - pur conservando la possi­ bilità, meno plausibile, che egli sia sempre stato un aspetto dello Iupiter totale, Iupiter in quanto erede di questa metà come dell'altra. Comunque sia, Dius Fidius è stato rimosso dal primo piano, pare molto presto, da un'astrazione perso­ nificata, di cui il nome esprime il settore del suo principale servigio, Fides. L'antichità del culto di Fides pare assicurata dalla cerimonia annuale in cui i tre flamini di Iupiter, di Mars e di Quirinus ' , riuniti in uno stesso carro, andavano al suo tempio a offrire un sacrificio congiunto, chiaro simbolo del­ l'armonia - cfr. Mitra yatayajjana - che deve regnare fra i tre livelli funzionali affinché la società viva correttamente. Non si conoscono, nei secoli storici, casi in cui uno dei grandi fla­ mini fosse incaricato di un ufficio, di un rituale nuovo; a maggior ragione, questa cerimonia arcaica (rituale della mano destra velata ') che mobilitava non uno, ma, eccezionalmente e nella forma di una manifesta solidarietà, i tre flamini mag3 .T. Poucet, Semo Sancus Dius Fidius, une première mise au point, in Recherches de philologie et de linguistique, Louvain 1972, pp. 33·68. • RRA', pp. 156-58, contro un'esegesi sofistica di Kurt Latte. ' ME, III, pp. 276-78. OCCIDENTALIA giori, come avrebbe mai potuto essere aggiunta al loro stato originario ? Si intravvede cosi, agli inizi della religione romana, una bipartizione della sovranità di tipo vedico, che sarà stata qua­ si cancellata prima della storia, uniformata a partire e a van­ taggio del rappresentante della sua parte piu prestigiosa e piu dinamica, lupiter. 3 · Storia e mitologia. Nei secoli illuminati, i romani non hanno una mitologia nazionale e Dionigi di Alicarnasso li elogia per questa sobrie­ tà d'immaginazione che li mette al riparo dai sacrilegi e per­ mette loro di legare i loro rituali a una teologia pura e spo­ glia. Ma oggi sappiamo che la situazione originaria non era questa, e che bisogna dire che i romani «classici » non hanno piu mitologia '. Esattamente, non hanno piu una mitologia divina, poiché gli antenati avevano conservato una serie di bei racconti con l'aiuto dei quali, verso la metà del secolo IV a . C., eruditi preoccupati di dare alla città un glorioso pas­ sato si sono messi a comporre la « storia delle origini », rac­ conti che corrispondono spesso, nel registro umano, a ciò che l'India e la Scandinavia narrano dei loro dei. Insomma, la « storia romana delle origini » ha tenuto luogo di mitologia per questi uomini per cui tutti i valori si definivano in rap­ porto alla città, senza molto interesse per il mondo che la circondava né per i tempi che l'avevano preceduta: la nozio­ ne che, nell'equilibrio del pensiero romano, occupa il posto del rta, dell'asa indoiranico 2 , non è forse ius ? Orbene, men­ tre rta è l'Ordine, cosmico, sociale, rituale, morale, fondato sull'adattamento delle parti dell'insieme, ius definisce sol­ tanto delle competenze '. Una lunga serie di studi infatti ha mostrato che molti dei grandi avvenimenti che la tradizione riferisce da Romolo fino a M. Furio Camillo non sono stati semplicemente abbel' RRA2 , pp. 63-96. 2 Qui, p. 42. J IR, pp. J I-45· IUPITER E IL SUO ENTOURAGE 1 43 liti, come si dice talvolta, sono stati completamente ripensati, in parte creati, per rendere a Roma i due servizi che ogni po­ polo chiede ai suoi miti, spiegazione ed esempio, e ripensati o creati con l'aiuto di racconti mitici preromani, indoeuropei. In particolare la successione dei quattro primi re, in cui gli spiriti filosofici, Cicerone o Floro, riconoscono il segno di una provvidenza preoccupata di costruire progressivamen­ te una città perfetta, non è certamente della storia registrata, è « mitologia terrena » storicizzata; rivela, ìn calcoli, atti e avventure, ciò di cui la teologia faceva la teoria, ossia l'in­ stallazione nell'ordine gerarchico dei grandi meccanismi fun­ zionali: Romolo e Numa creano le istituzioni politiche e i culti, Tullio Ostilio addestra i romani alla scienza della guer­ ra; Anco Marzio aggiunge a questo retaggio l'arricchimento commerciale e la crescita demografica '; dopo di lui Roma, completa, è pronta a servire da strumento ai grandi disegni dei re etruschi. Qui non dobbiamo considerare che i due rappresentanti della prima funzione, i due fondatori. È facile vedere I ) che i loro caratteri e i loro comportamenti sono costruiti in ma­ niera tale da formare un'antitesi, ogni tratto dell'uno incon­ trando nell'altro il tratto contrario e i tratti di entrambi es­ sendo ugualmente necessari all'opera comune di creazione; 2 ) che la loro antitesi, secondo le linee proprie dell'ideologia romana, si conforma a quella che sostiene, presso i piu anti­ chi indiani, la coppia di Varur�a e di Mitra, con la clausola che, essendo uomini, sono necessariamente soggetti a due condizioni : da un lato non possono piu essere contempora­ nei, collaborare, come i due dei vedici, assicurare simulta­ neamente servigi complementari nei loro fini ma opposti nei mezzi; d'altra parte non possono piu rappresentare, incarna­ re i due aspetti della Sovranità se non attraverso intenzioni e sentimenti umani; ciò è particolarmente sensibile nell'omo­ logo di Varut:ta : persino nei suoi rapporti con lupiter, Ro­ molo non pensa che a se stesso e alla sua opera. ' Dumézil, Tarpeia cit., pp. 159-204; IR, pp. 193-207. I44 OCCIDENTALIA 4· Romolo e Numa. Procederò a confrontare le due figure 1 , per quanto è pos­ sibile, nel quadro che è servito a caratterizzare differenziai­ mente Varw:ta e Mitra 2• I . I caratteri . Romolo è tutto ambizione e i suoi atti, senza eccezioni, tendono a stabilire il suo potere assoluto. Nato per coman­ dare e non per ubbidire (Plutarco, Rom 6, 3 ) >, ha lasciato Alba con suo fratello perché non accettavano di vivervi sen­ za regnare (ibid. 9 , I ), perché c'era in loro l'auitum malum, regni cupido, «la sete di potere, male ereditario» (Tito Li­ vio, I , 6, 4). Da allora il bene, il male per lui si definiscono in rapporto alla sua maestà, in rapporto all'interesse di Roma cosi come egli lo determina. Per ottenere un bene politico, non esita • a organizzare un ratto in massa, un à.8,X1)1J.OC (Rom 14, 2 ), servendosi di una festa-trappola (ibid. 6, 5-6) che, organizzata da un altro, sarebbe sacrilega e susciterebbe la collera degli dei. Celebra con fasto piu trionfi, e, dopo la sua vittoria su Camerini, mette la propria statua sul Vulcanale (ibid. 24, 5 ) . Allarga il territorio di Roma con le sue annes­ sioni, ne aumenta la popolazione con il trasferimento di ne­ mici vinti (ibid. I 6 , 3 ; I 7 , r-2 ; 2 3 , 7 ; 24, 3 ; 25, 5 ) . La tra­ dizione vuole che la sua ambizione e la sua durata, dapprima sopportabili, siano evolute dando luogo a una tirannia che, d'altronde, non fa che accentuare tratti già manifesti (ibid. 2 6-27). Esibisce un tale disprezzo per i senatori, che, quan­ do scompare misteriosamente, essi sono almeno sospettati di averlo ucciso e fatto a pezzi (ibid. 27, 2-6 ). Numa è fondamentalmente un saggio, che le narrazioni greche presentano come un filosofo e la tradizione romana 1 Contro l'esistenza storica di Numa, volentieri ammessa (Gjerstadt, Heurgon), vedi ME, III, p. 198. 2 Qui, pp. 43-60. ' I riferimenti sono stati ridotti al minimo : rimando a uno o due autori solo per alcuni punti particolari, mentre evito i riferimenti per i tratti piu generali. • Ovviamente questo indicativo presente, come ogni altro, non implica affatto che io consideri l'azione come autentica, storica. I 45 IUPITER E IL SUO ENTOURAGE come uir grauis. È privo di passione, persino delle passioni nobili che i barbari stimano, come la violenza e l'ambizione (Plutarco, Numa 3 , 6 ) . Sposa la figlia del re Tito Tazio che era stato collega di Romolo, tuttavia continua a vivere come un semplice privato finché la voce del popolo non lo chiama a regnare; allora resiste, discute, argomenta, e non si rasse­ gna che per dedizione allo Stato, quando gli si fa osservare che questo rango gli permetterà di servire lo Stato stesso e gli uomini (ibid. 5-6 ); gli importa che la promozione si fac­ cia regolarmente, ritualmente (ibid. 7 , 3-7 ) La sua dolcezza, la sua giustizia sono tali che egli ispira un amore senza ri­ serve. La sua morte è un lutto nazionale, e i senatori portano sulle spalle la sua bara (ibid. 2 2 , r ) . . 2 . I mezzi d ' azione . a) Romolo è violento e rapido, se non repentino. Questi due caratteri sono stati espressi sensibilmente da due istitu­ zioni dello stesso stile. Intorno a sé ha sempre dei giovani che si chiamano Celeres a causa della velocità con cui lo ser­ vono (Plutarco, Rom 26, 2 ), e altri giovani camminano da­ vanti a lui, scartando la folla con bastoni, e, con le cinghie che portano alla cintola, legano H per H quelli che Romolo indica loro, ÌntESWO"J.l.ÉVOL o 'LJ.l.OCV't(X.ç WO"'tE O"UVOELV EMùc; ovc; 1tpoO"-.ci!;ELE (ibid. 26, 2-3 ). Lo stesso gusto per la sorpresa si rivela d'altronde in guerra: una delle versioni della presa di Fidene lo mostra nell'atto di inviare dapprima Él;a.!.q>vYJc;, re­ pentinamente, i suoi cavalieri a tagliare i cardini delle porte, dopodiché appare egli stesso all'improvviso, Eh ' Émcpa.vi)c; a.u'tÒc; à1tpOO"OOXTJ'twc; (ibid. 2 3 , 6 ) . Il primo atto di Numa re, secondo Plutarco (N 7 , 8 ), sarà lo scioglimento del corpo dei Celeres ', «poiché non riteneva di dover diffidare di coloro che si affidavano a lui, né regnare su uomini che diffidassero di lui» . b) Romolo e Numa hanno aperto ognuno una delle due vie della religione: Romolo ha fondato gli auspicia, e Numa i sacra (Cicerone, De natura deorum 3 , 2 ) . L'arte degli auspi5 Altri autori non gli attribuiscono questa soppressione. Quando, alla fine della repubblica, le leggende fanno di Bruto un (( tribunus Celerum », proba­ bilmente si tratta di altri Celeres : dei cavalieri dell'esercito. 146 OCCIDENTALIA eia consiste talvolta nel sollecitare, sempre nel ricevere e in­ terpretare, eventualmente nel respingere i segni che il gran dio invia agli uomini '; l'arte dei sacra è il culto assunto dagli uomini, con le sue preghiere, le sue trattative, le sue offerte '. Nel commercio religioso, auspicia e sacra· definiscono dun­ que i due sensi, i due punti di partenza, e anche i due stili: gli uni vengono dall'altro mondo in questo, i secondi si fan­ no sulla terra e vanno agli dei; davanti agli uni l'uomo è ri­ cettore, mentre dei secondi è emittente - se non si temono le immagini moderne; gli uni sono misteriosi, spesso inquie­ tanti o imprevedibili, gli altri si svolgono secondo una tec­ nica interamente chiara. 3 · I modi d ' azione . a) Romolo opera mediante guerre vittoriose e condizioni imposte: tale è l'origine dei suoi ingrandimenti territoriali, delle colonie che invia attraverso il Lazio. Persino all'inizio della guerra sabina, rifiuta di ascoltare le proposte « giuste e moderate» dei sabini, che non chiedono che il ritorno delle donne rapite e la riparazione dei danni, e si dicono pronti a stabilire in seguito, con Roma, un rapporto di amicizia e al­ leanza, con una negoziazione regolare, 'ltELi)oi: xa.t '.lé!J.ctl (Plu­ tarco, Rom r 6 , r ) . Al contrario Numa tratta, negozia. Offre un buon accordo ai fidenati che fanno scorrerie sulle terre romane e istituisce in questa occasione, secondo una variante, i preti fetiales, che hanno il compito di vigilare affinché siano rispettate le forme che impediscono o limitano la violenza (Dionigi di Ali­ carnasso, 2 , 7 2 ; cfr. Plutarco, N 1 2 , 4-8 ) . b ) Entrambi intendono difendere il diritto, con l a riserva prima esposta che Romolo comincia spesso col definire egli stesso questo diritto, mentre Numa lo rispetta come un va­ lore assoluto e si limita a codificarlo. Ma Romolo anzitutto punisce, si fa temere dagli stranieri come dai suoi sudditi . Fin dall'infanzia scaccia i briganti, cattura i ladri, protegge le vittime della violenza, e, insieme a Remo, castiga i bovari di Numitore che hanno rubato bestie a quelli di Amulio (Plu' RRA', pp. 584-99. ' RRA', pp. 545 ·66. IUPITER E IL S UO ENTOURAGE 1 47 tarco, Rom 7, I ). Re, le leggi che promulga sono leggi pe­ nali, rigorose (contro il ripudio abusivo della moglie, contro l'omicidio, ibid. 2 2 , 3-5 ) . Invece Numa conta sulla dolcezza, sulla persuasione, sul­ l'esempio, per assicurare il regno della virtu: « La Musa di Numa, - dice Plutarco (N 2 3, 9 ), - fu dolce e umanitaria, poiché è alla pace e alla giustizia che egli convertiva i suoi concittadini temperando la loro natura violenta e collerica». Il contagio di questo yiitayajjana 8 supera i confini che egli colloca intorno all 'ager Romanus. Dice ancora Plutarco (N 20, 4-5 , 8 ) : « Non fu solo il popolo romano che si trovò ad­ dolcito, incantato, dalla giustizia e dalla dolcezza del re; le città circostanti, come sotto l'influenza di un vento salubre spirante da Roma, cominciarono a cambiare, provando un vivo desiderio di vivere sotto buone leggi, nella pace, colti­ vando la terra, allevando tranquillamente i loro figli e ono­ rando gli dei. Feste, banchetti avevano luogo in Italia. Vi si circolava senza timore, vi si riceveva e testimoniava amicizia. La saggezza di Numa, come una fonte, versava in tutti gli uomini la virtu e la giustizia, comunicando loro la sua sere­ nità ... Da un capo all'altro del suo regno, il timore degli dei che sembravano proteggerlo, oppure il rispetto che ispirava la sua virtu, o ancora qualche fortuna soprannaturale conser­ varono la vita pura, al riparo da tutte le forme del male . . . » Si pensa al regno del dharmariija Yudhi�thira, e, dietro di lui, a Mitra, aiutato da Aryaman '. c) Romolo certo è religioso. Non prefigura il terzo re, Tul­ lo, per il quale gli dei non importeranno quasi. Plutarco dice esplicitamente che egli era qnÀ.oìlv'tl]c;, « fervente sacrificato­ re» (N 7, 2 ) , OtacpEpov'twc; ìlEoC"E�T)c; « eminentemente pio » ( 2 2 , 1 ) . Tuttavia la sua pietà è quella di un uomo impegnato nell'azione, e si riassume, a giudicare dalla sua condotta, in una fiera fiducia in Iupiter, suo protettore. La vita di Numa è tutta pervasa non solo di pietà, ma di religione. È l'eroe della precisione rituale, come l'indiano Manu, il re-antenato « che aveva la sraddha-deva '" ; testimo­ nia l'aneddoto riferito da Plutarco (N 1 5 , 1 2 ): « Si dice che 8 Qui, p. 48 e nota 4· ' ME, 1', pp. r58-6o, 174-75. 10 Vedi i testi raccolti da Lévi, Doctrine du sacrifice cit., pp. I I 5-2I . OCCIDENTALIA aveva affidato le sue speranze al divino in un modo cosf esclu­ sivo che un giorno, quando erano venuti ad annunciargli che i nemici si avvicinavano, egli sorrise e rispose: Io sacrifico, Éyw oÈ 1)-uw » . 4· L e n a t u re . Varul)a e Mitra sono ugualmente dei, ed è con elementi o meccanismi dell'universo sensibile (meno vicino, piu vicino all'uomo, eccetera), che possono avere, che hanno effettiva­ mente rapporti differenziati. Entrambi uomini, Romolo e Numa non si definiscono cosf; almeno si contrappongono come meno umano, o anzi sovrumano, e piu umano. Di fatto Romolo appartiene per una parte notevole all'al­ tro mondo. È il figlio di un dio, e, secondo una variante della teologia di Quirinus, dopo la morte diventa a sua volta un dio, atto a ricevere un culto non solo funebre, ma divino. È persino la certezza di quest'origine che sta alla base della fiducia che nutre e in se stesso e nel re degli dei. Il suo lato esteriore - bellezza, nobiltà, forza - rivela, fin dall'inizio, l'ambiguità della sua natura (Plutarco, Rom 6 , 3 ), che si ma­ nifesterà pienamente nell'apoteosi finale (ibid. 2 8 , r ). Al contrario Numa è un uomo simile agli altri, e, in quanto tale, non desidera affatto succedere a un semidio : « Si attribuisce a Romolo», gli fa dire Plutarco quando gli è offerto il regno (N 5 , 6), « la gloria di essere nato da un dio; non si cessa di dire che egli è stato nutrito e salvato nella sua infanzia per una protezione particolare della divinità; invece io sono di una razza mortale, sono stato nutrito e allevato da uomini che voi conoscete». Un'altra contrapposizione ha lo stesso senso. O Romolo non ha preso moglie al tempo del ratto delle sabine e non ha avuto figli, oppure, se ne ha avuto, non è la fonte di nessuna gens, dunque non si è prolungato col sangue nella storia del­ la città che ha creato. Quanto a Numa, si è sposato due volte ed è rivendicato come avo da almeno quattro gentes che sono fiorite in secoli diversi della grandezza romana; queste pre­ tese sono state persino avanzate da una gens plebea " . 1 1 Raoul Verdière, Calpus, fils de Numa, e t la tripartition fonctionnelle dans la société indo-européenne, in « L'Antiquité Classique », XXXIV ( 1965), pp. 425-31 . IUPITER E IL S UO ENTOURAGE 1 49 Infine gli apparentamenti mitico-rituali dei due personag­ gi si contrappongono nella stessa maniera. Romolo e suo fra­ tello sono i prototipi dei due gruppi di Luperci, questo soda­ lizio della macchia, quasi anteriore alle leggi e all'umanità (Cicerone, Pro Caelio 2 6 ), che una volta all'anno, un po' pri­ ma della fine dell'inverno, prende possesso dei dintorni del Palatino, purifica la città o almeno il quartiere in senso lato, feconda le donne a colpi di strisce di pelle di becco ", even­ tualmente corona un re ", poi scompare per i dodici mesi suc­ cessivi. In effetti si ritiene che i Lupercali ricordino ritual­ mente un episodio dell'infanzia eroica di Romolo - a cui non si richiama nessun collegio, tranne gli auguri, nessun sodali­ zio. Al contrario Numa è il fondatore di tutti i sacerdozi « re­ golari », a cominciare dal piu augusto, dal flamonium, e dal piu attivo, dal pontificato, che sono al servizio di Roma e vi governano la vita religiosa per tutto il corso dell'anno, eccet­ to il giorno dell'irruzione dei Luperci, a quanto pare. Questa antitesi ricorda quella che si constata nell'India: da una par­ te ì Gandharva, che ci sono motivi per considerare come gli eredi mitizzati di un sodalizio « selvaggio», sono chiamati « il popolo di Varul).a» "; d'altra parte, in quanto opposto allo k�atra (varuJ].iano), il brahman, principio della religione, è assimilato a Mitra 15 • 5 · Le a f f i n i t à socia l i . Senza essere uno specialista dell'arte militare come sarà Tullo Ostilio, Romolo è un guerriero per eredità, per gusto e per politica: combattimenti fortunati, trionfi si succedono lungo la sua vita. Ovidio mostra Marte mentre eccita suo figlio a provocare la guerra sabina (Fasti 3 , 197-9 8 ) : . . . patriamque dedi tibi, Romule, mentem: tolle preces, dixi, quod petis arma dabunt. " Persino Plutarco (Rom 2 r , r r-I2), che dice che i Luperci colpivano « quelli che trovavano sul loro cammino », 't"bv Ej..mo!'iwv, dunque uomini e donne, precisa che l'effetto benefico dei colpi si produceva sulle donne (gravidanza e parto felice). Il FR, I975. pp. I57-60. 14 Qui, pp. 58-59. 15 Qui, p. 57· OCCIDENTALIA IJO ... lo ti ho ispirato, o Romolo, una risoluzione conforme alla na­ tura di tuo padre: Basta con le preghiere, ho detto; ciò che desi­ deri, te lo daranno le armi. Nel momento della sua apoteosi, ciò che Romolo racco­ manda ai romani con l'autorità dell'antenato dei Giuli, è di coltivare rem militarem (Tito Livio, I , I 6 , 7 ) Numa si propone il compito di disassuefare i romani dalla guerra, e la pace non è turbata in nessun momento del suo regno (Plutarco, N 8 , I-3 ; 20, 3 ) . Al contrario vuole vol­ gerli verso la « terza funzione » nella sua forma piu utile, l'a­ gricoltura. « Infatti non c'è un'altra occupazione che ispiri un amore della pace cosi imperioso e sollecito come la vita legata alla terra : dell'audacia guerriera, non lascia sussistere che ciò che è necessario per difendere i propri beni, e ne sop­ prime ciò che porta all'ingiustizia e agli eccessi della conqui­ sta. È perciò che, dopo avere fatto assimilare l'agricoltura dai suoi concittadini come un filtro di pace, apprezzando que­ st'arte per la sua capacità di formare i caratteri piuttosto che per quella di procurare beni, egli suddivise il territorio in parti che chiamò pagi, e stabili in ognuno sorveglianti e com­ missari. Accadeva persino che li ispezionasse, e, giudicando dei costumi dei cittadini sulla base dei loro lavori, elevava gli uni agli onori e ai posti di fiducia, e richiamava al dovere i pigri e i negligenti con biasimi e sanzioni » (ibid. r 6, 5-7 ; cfr. Dionigi di Alicarnasso, 2, 76, r ) . . 5 . Romolo e Numa, Varu1Ja e Mitra. Tutte queste formulazioni dell'antitesi complementare che costituiscono Romolo e Numa corrispondono ad aspetti dell'opposizione collaborante di Varul).a e di Mitra, con le differenze, le riduzioni che imponevano e la condizione uma­ na dei personaggi, anche del semidio, e il loro inserimento nel tempo e nello spazio romani, nella « storia» romana. Ciò che manca nell'analogia con l'India, sono per esempio i rap­ porti differenziati di Romolo e di Numa con la notte e, ri­ spettivamente, col giorno ' . Quelle che si aggiungono sono, per esempio, precisazioni di classi d'età per Romolo, tipo di 1 Qui, p. 54· IUPITER E IL SUO ENTOURAGE I5I iuuenis, e per Numa, chiamato a regnare i n età già matura e morto di malattia piu che ottuagenario. Ma il principio e le espressioni principali della complementarità restano, com­ preso l'aspetto « modificatore» di Numa, che corregge le « du­ rezze» di Romolo 2 • Quanto al fatto che i due aspetti della Sovranità siano presentati in successione, mentre nella teologia di Varul).a e di Mitra, e anche in quella di Iupiter e di Dius Fidius, si richiamano e si presuppongono l'un l'altro come le due facce di uno stesso oggetto, è anche - ripetiamo - il risultato delle istanze del racconto storico: se Romolo per un certo tempo può dividere il potere con Tito Tazio, è perché quest'ultimo resta nella sua ombra e non compie opera personale. Ma che due re ugualmente importanti e antitetici siano contempora­ nei in uno stesso dominio è quasi inconcepibile: la loro anti­ tesi, per esprimersi, darebbe luogo a leggende di conflitto che non sarebbero opportune, poiché i due termini opposti sono parimenti buoni, parimenti necessari. Cosi le tavole che si pretendono storiche presentano i due tipi di sovrano come un primo e un secondo, a Roma e fuori di Roma: nella basi­ leogonia degli dei greci, Zeus il regolatore sostituisce, dopo l'intermezzo di Crono, il creatore esuberante Urano; nell'e­ popea indiana, il dharmaraja Yudhi�thira è il figlio putativo e l'erede dello strano Piil).çlu ' ; a Roma, Numa non accede al rango supremo che quando Romolo è scomparso. In altri ter­ mini, la logica dei concetti implica una simultaneità che la teologia accetta ed esprime senza difficoltà, ma che la storia non può che trasformare in una successione. 6 . Iupiter e Fides. Il collegamento fra questa tavola bipartita delle leggende della Sovranità e la tavola della teologia corrispondente è attuato in maniera vistosa da quelli che si possono chiamare gli dei prediletti di Romolo e di Numa, Iupiter da un lato, Fides dall'altro. Sebbene figlio di Marte, non è con questo padre che Ro2 J Qui, p. 50. ME, 1', pp. 53-55. I5 I-57· 152 OCCIDENTALIA molo intrattiene un complesso di rapporti religiosi, ma con Iupiter, che gli ha dato i segni fondamentali. In tutto e per tutto, il primo re non fonda che due culti, per due specifica­ zioni, violente, guerriere, del dio sovrano ': Iupiter Feretrius riceve le prime spoglie opime, le armi del re Acrone di Cae­ nina ucciso in singolar tenzone dal re romano; Iupiter è ono­ rato come « Stator» per aver donato la vittoria al re romano nella battaglia del Foro; e, nel secondo caso, l'atto cultuale deriva da un voto fatto dal re romano in ipso discrimine. La seconda vittoria, d'altronde, è caratteristica della maniera in cui Iupiter interviene nello svolgimento degli affari militari: nelle anime piu che nei corpi, opera una specie di prestigi­ tazione sovrana che fa dell'esercito quasi vinto una truppa d'élite, e demoralizza, paralizza l'esercito quasi vittorioso '. Quanto a Numa, ha certamente rapporti, e buoni rappor­ ti, con Iupiter, dapprima quando è inaugurato il suo regno, poi nella scena della discesa dell'ancile, ma sono rapporti pa­ cifici, giuridici e persino cavillosi (Plutarco, N I 6, 8-Io). La devozione particolare del secondo re - lo sottolineano tutti gli autori - è riservata alla dea Fides, che, come abbiamo vi­ sto, esprime l'essenza dell'aspetto «Dius Fidius» della So­ vranità. Dionigi di Alicarnasso scrive (2, 7 5 ) : «Non c'è sen­ timento piu elevato, piu sacro che la fede, sia negli affari degli Stati che nei rapporti tra gli individui; essendosi ben persuaso di questa verità, Numa, il primo tra gli uomini, fon­ dò un santuario della Fides Publica e istitui in suo onore sacrifici altrettanto ufficiali quanto quelli delle altre divini­ tà». Plutarco (N I 6, I ) dice anche che egli fu il primo a in­ nalzare un tempio a Fides, e che insegnò ai romani il piu grande giuramento, il giuramento per Fides - ossia l'equi­ valente del giuramento per Dium Fidium. Tito Livio ( I , 2 I , 4 ) precisa che egli stabili u n sacrificio annuale a Fides, e che in questa occasione i flamini maggiori erano trasportati su uno stesso carro e celebravano congiuntamente, compiendo i riti con la mano destra - quella della fides interamente velata. La Vita di Numa associa, con lo stesso significato, Terminus a Fides ( I 6, I-3 ) : Romolo non aveva voluto che - 1 Sulla « variante » del De ciuitate Dei di Sant'Agostino, vedi RRA', p. r81, nota 2, e p. 210, nota 2. 2 I n ultimo luogo, RRA', pp. 197·98. IUPITER E IL S UO ENTOURAGE 15 3 ci fossero confini sul tracciato dell 'ager Romanus, « per non confessare, delimitando ciò che gli apparteneva, le rapine che faceva delle terre altrui. Numa non solo stabili il culto di Terminus come dio, ma procedette egli stesso alla deter­ minazione completa dei confini ». Riassumiamo questo paragone ricordando le due immagi­ ni che Anchise dà dell'opera futura dei re fondatori, mentre accompagna Enea nella sua visita agli Inferi: esse sintetiz­ zano in poche parole i loro connotati essenziali. Dapprima Romolo (Eneide 6 , 78 1-84) : En huius, nate, auspiciis illa inclita Roma imperium terris animos aequabit Olympo septemque una sibi muro circumdabit arces felix prole uirum... Ecco, o figlio, ecco colui per i cui auspici l'inclita Roma uguaglierà il suo impero al mondo terrestre, eleverà i cuori fino al cielo e circonderà con una cerchia di mura i suoi sette colli, città fecon­ da di eroi... Poi il re prete e legislatore ( 8o8-1 2 ) : Quis procul ille autem ramis insignis oliuae sacra ferens? Nosco crines incanaque menta regis Romani, primam qui legibus urbem fundabit, Curibus paruis et paupere terra missus in imperium magnum ... Ma chi è quell'altro laggiu, coronato di rami d'ulivo, portatore di oggetti sacri? Riconosco i capelli e il mento canuto del re ro­ mano che darà alla città nascente un fondamento di leggi,- ram­ pollo della piccola città di Curi e di una povera terra, e di Ii portato a un grande potere ... 7 · Iupiter e i suoi ospiti ostinati. Lo Iupiter primitivo, quelle scialbe entità che sono Dius Fidius e Fides, non sono i soli a occupare il primo livello del­ la religione. Parlando della devozione di Numa nei confronti di Fides , Plutarco associa alla dea il dio Terminus, come si è visto, il dio che, limite egli stesso, fa rispettare i confini dei beni - che non è che una forma di fides abituale tra vicini sedentari. D'altra parte, una tradizione promettente spiega come e perché questo Terminus, in coppia con un'altra enti- I 54 OCCIDENTALIA tà, Iuuentas, si trova, ad avere un sacello nello stesso tempio di Iupiter capitolino. Si tratta in effetti di una coppia di collaboratori, anche se accade che gli autori che ne parlano menzionino solo uno dei due termini, secondo l'opportunità del contesto oppure per brevità. Ecco la leggenda (Dionigi di Alicarnasso, 3 , 69, 5-6 ; Floro, r , 7, 9 ; ecc.). Quando Tarquinio decise di installare Iupiter sul Campidoglio, si chiese agli dei che possedevano sul colle fana o sacella se accondiscendevano a cedere il posto alla divinità piu grande di loro. Tutti accettarono, con la voce degli auguri, tranne Iuuentas e Terminus . Gli interpreti dei pensieri divini dichiararono che bisognava rallegrarsi di que­ sta contumacia : gli dei ostinati avrebbero garantito a Roma, con sfumature diverse secondo le varianti, proprio quello che esprimevano i loro nomi, una giovinezza eterna, la per­ manenza stabile nel proprio sito. Dunque i romani si ralle­ grarono e Iupiter albergò per sempre questi ospiti, soprav­ vissuti da un'altra epoca, nella casa dove, Ottimo e Massi­ mo, dichiarava la sua supremazia su tutte le cose. Esiste la prova che la leggenda è antica, preromana, per quanto concerne Iuuentas, poiché l'Irlanda precristiana ne conosceva una versione che, semplicemente, finiva meno be­ ne per il dio sovrano, Dagda ' . Il racconto storicizzato mostra dapprima Dagda mentre distribuisce ai Tuatha Dé Danann - agli antichi dei - i side, i colli della valle della Boyne dove continueranno a vivere, normalmente invisibili, tra gli uomi­ ni che hanno invaso l'isola, e assegna a se stesso una di que­ ste colline. Nella distribuzione ha dimenticato il dio chiama­ to In Mac Oc, il figlio giovane ', suo proprio figlio. Questi si presenta a lui e gli chiede di dargli ospitalità (letteralmente: « il prestito» - della sua casa) « giorno e notte », iasacht la ocus aidche. Dagda capisce « l'ospitalità per il giorno presen­ te e la notte seguente », e lo accoglie a casa sua. Ma, trascorsi i termini, quando vuole congedare il Giovane, costui replica ' ZCPh, XIX, p. 55; cfr. Tochmarc Etaine (ed. O. Bergin e R. I. Best, 1938), 15, dove si tratta del sid di Elcmar. Numerose varianti, per esempio il carme di Cinaid us Hartacain : L. Gwynn, in « Ériu », vn ( 1914), pp. 2Io212. Cfr. il mio vecchio articolo ]eunesse, éternité, aube, in << Annales d'his­ toire économique et sociale », x ( 1938), pp. 289-301 (specialmente pp. 293295), e A. e B. Rees, Celtic Heritage, 1961, pp. 88-89. 2 Oc da *iuu1J-ko-; il nome è spesso alterato in Mac ind Oc, « Figlio dei Giovani ». IUPITER E IL S UO ENTOURAGE I 55 che ha ricevuto « giorno e notte », ossia la totalità del tempo. Dagda deve abbandonare i luoghi. Sotto il nome di « Palazzo (o Casa) del Mac Oc», questo monticello è famoso nella leg­ genda: è una delle rappresentazioni, o almeno uno degli accessi dell'Altro Mondo dove i morti conducono una vita felice. Il Mac Oc non si occupa meno dei vivi, però non di tutti. Conforme al suo nome, nei conflitti che oppongono « giovani » e « vecchi » egli interviene a favore dei primi. Avendo i druidi annunciato a Dare che morrà quando sua figlia partorirà, l'interessato prende tutte le precauzioni per impedire che sua figlia incontri un uomo? Il Mac dc si inca­ rica di renderla incinta, e il figlio temuto nascerà - con una barba ricciuta, è vero, e capelli lunghi il doppio delle brac­ cia, perché i druidi saranno riusciti a «legare » il corpo della madre per nove anni '. La celebre storia di Diarmaid e di Grainne, comunicata da piu testi antichi e da piu ballate, è essenzialmente una rivalità del « giovane» e del « vecchio » ' : il vecchio Finn ha sposato la bella Grainne, ma quest'ultima si fa rapire dal nipote di Finn, Diarmaid, di cui Oengus (al­ tro nome del Mac Oc) è il balia; di qui caccia, conflitto, nel corso del quale entrambe le parti trovano i loro alleati natu­ rali; il testo pubblicato da Kuno Meyer è tipico in questo sen­ so: una vecchia, spinta da Finn che le promette di prenderla come sua unica sposa, tradisce Diarmaid e tende un'insidia agli amanti in fuga, ma, nel momento in cui Finn sta per prenderli, un salvatore provvidenziale compare vicino alla costa con una barca e li raccoglie; quest'uomo, vestito di un bel mantello color oro, è Oengus, il Mac dc. Il politeismo irlandese non è sopravvissuto che in racconti romanzeschi dove si diluisce l'antica teologia dei personaggi. Ma, qui come in tanti altri casi, la dottrina si lascia tuttavia intravvedere. Dagda, il dio sovrano, è stato il capo dei Tua­ tha Dé Danann finché questi dei sono stati « attuali» . Il Mac dc, dio della generazione successiva e protettore dei giovani, si installa a casa sua in misura estrema, poiché l'obbliga a par­ tire. A questo proposito la trama è inversa rispetto all'aned3 Per esempio RC, xxxviii ( 192o-21 ), pp. 238-39 ( testo del Book of Lein­ ster p. 319 a.b., citato da J. Vendryes). J Per esempio RC, XI ( 1 890), pp. 125-34 ( testo del secolo x , pubblicato da Kuno Meyer); vedi A. Krappe, in « Folklore », XLVII ( 1936), p. 348, no­ ta 3 (bibliografia ); Rees, Celtic Heritage cit., pp. 28 1-84- OCCIDENTALIA doto romano: Dagda, il Dio Buono, è anteriore, nel monti­ cello, al Figlio Giovane, e il Figlio Giovane lo scaccia di H per sempre, laddove Iupiter è posteriore, sul Campidoglio, alla dea Giovinezza, ed è semplicemente obbligato a conser­ varla per sempre nel suo nuovo santuario, a cui tuttavia non rinuncia. Questa invenzione forse è legata al fatto che l'avve­ nimento irlandese ha luogo nel momento in cui gli dei, com­ preso il loro capo Dagda, cessano di occupare visibilmente l'Irlanda e non vi restano che allo stato di geni, di «fati» [fés] , mentre l'evento romano si verifica nel momento in cui la costruzione del tempio capitolino consacra, accresce, ren­ de sensibile la maestà del dio piu grande. Nonostante questa inversione, i due racconti, che contrappongono entrambi il dio sovrano e la divinità protettrice della giovinezza, e dànno entrambi l'ultima parola alla seconda, sono troppo analo­ ghi per essere indipendenti. L'antichità della contumacia di luuentas è dunque assicurata. Ma qual è il suo senso, o piut­ tosto, dal momento che i due personaggi non possiedono che un'unica leggenda che giustifica una stessa dimora ecceziona­ le, qual è il senso della contumacia di Iuuentas e di Termi­ nus, e del loro collegamento con lupiter? Qual è il rapporto di questa astrazione e di questo oggetto con il dominio del dio sovrano? 8 . Terminus. Per Terminus l'interpretazione è immediata. È il dio del confine, della divisione tra proprietà (Ovidio, Fasti 2 , 642 : separat indicio qui deus arua suo) , o, sul piano internazio­ nale, fra l'ager Romanus e i suoi vicini. Di conseguenza è il garante della felice pace interna ed esterna che deriva dal ri­ spetto dei confini. Nel giorno dei Terminalia (23 febbraio), un rito esprime il beneficio di questa divisione regolare, sta­ bile, pacifica, di quei beni per eccellenza che sono le terre per i contadini latini (ibid. 645-4 6 ) : Te duo diuersa domini pro parte coronant binaque serta tibi binaque liba ferunt. I due padroni (di due terreni contigui) ti incoronano ciascuno dalla sua parte, ti offrono ognuno la sua ghirlanda, ognuno la sua fo­ caccia sacra. IUPITER E IL S UO ENTOURAGE 157 Ciò che Terminus evita a chi l'onora, è la rapina, l'usurpazione, il processo ( 6 5 9-60 ) : Tu populos urbesque e t regna ingentia finis, omnis erit sine te litigiosus ager. Tu segni i confini dei popoli, delle città, dei regni immensi. Senza di te qualsiasi campo sarà oggetto di lite. Si sono lette prima le considerazioni che si crede induces­ sero Numa a stabilire il culto di Terminus contemporanea­ mente a quello di Fides : il contrasto fra Romolo e Numa che vi emerge è quello dell'avidità aggressiva e della pace leale, o, come dice Plutarco, della ouva�Lç e della OLXCILocrVVT). Si ri­ conosce, in questa concezione del bene posseduto, la prospet­ tiva del concetto vedico di bhaga. Semplicemente, nel �g­ Veda la parte, bhaga, cosi come il bottino, la posta indicata da drttia, concerne principalmente i « beni animati », una ric­ chezza di bestiame, mentre Terminus assegna i terreni, prin­ cipale oggetto di possesso in una società sedentarizzata. 9· Iuuentas. Iuuentas (-ta, -tus) è piu complessa. Anzitutto, come il Mac Oc, essa protegge i giovani, ma non nelle loro passioni e imprese romanzesche come fa il Mac Oc della letteratura; piuttosto nel complesso di doveri e di diritti che sarà il loro finché saranno contati tra gli iuuenes : i ragazzi diciassettenni che lasciano la toga pretesta per la toga virile le sacrificano, ciò che permette a Tertulliano (Ad nationes 2, I I ) di defi­ nirla dea nouorum togatorum, formula confermata da Cice­ rone (Ad Atticum 1 , I 8 , 3 ) che parla di anniuersaria sacra Iuuentatis e da Verrio Fiacco (Paul, p. 92 L' = p. 2 2 6 L') che parla di Iuuentatis sacra pro iuuenibus instituta; e anche dal fatto che il I 8 ottobre, giorno in cui Augusto prese la toga virile, comporti su un calendario (Cumes) una supplicatio spei et Iuuentati. Ma Iuuentas non è solo la protettrice, in ordine sparso, a caso, delle nascite, degli innumerevoli iuuenes di Roma, lo è degli iuuenes in quanto classe di età, e, in primo luogo, in quanto costituiscono la parte piu utilmente mobilitabile del­ la popolazione. 7 OCCIDENTALIA L'annalista Pisone ha attribuito a Servio Tullio una forma arcaica di censimento di cui Dionigi di Alicarnasso (4, r 5 ) ha conservato la tavola, e di cui gli storici moderni si sbarazzano un po' in fretta. Dionigi ha appena detto (4) che, per cono­ scere annualmente il numero dei uiri, delle mulieres e degli impuberes che compongono il popolo romano, il re aveva or­ dinato agli abitanti di ogni pagus, raccolti nel giorno dei Pa­ ganalia, di versare (bell'anacronismo) tre specie di monete secondo queste tre categorie. Aggiunge - ed è questo che ri­ sale a Pisone - che Servio prescrisse anche che si versasse una moneta al tesoro di Giunone Lucina per ogni nascita; per ogni decesso, a quello di Venere in luco (Libitina o Lubi­ tina, antica dea dei morti di cui il nome è stato accostato al verbo etrusco lupu, « egli è morto [?] » ); e, per ogni giovane che indossasse la toga virile, a quello di Iuuentas, certamen­ te la Iuuentas ospitata in un sacello del tempio di Iupiter O. M. E conclude: « <l re poteva cosi sapere ogni anno il nu­ mero totale dei romani, e quanti di loro avevano l'età per par­ tecipare alle campagne », xat "rL"IIE� È!; au-rW"V "rÌl"\1 a--rpa-rEUC"LIJ..O"II TJÀ.LXL!I"\1 ELX0"\1. Si vede come Iuuentas si occupi della società in ciò che le assicura forza e durata, nell'insieme incessantemente rinno­ vato degli iuuenes. Le nozioni di censimento di popolazione mobilitabile, di mobilitazione virtualmente permanente in quadri tenuti aggiornati, sono proprie della civiltà romana, almeno nelle forme elaborate che rivestono nella letteratu­ ra. Iuuentas assicura nondimeno un servigio vicino, sebbene con una base sociale piu ristretta, a quello che Aryaman, pro­ tettore della società arya, assume nel �gVeda. Aryaman assi­ cura la coesione e la durata di una società che non è certa­ mente pacifica, ma che non è rinserrata, fin nello strato « bor­ ghese», dall'armatura perfezionata delle centurie. Come si è visto, i suoi mezzi sono le alleanze matrimoniali, l'ospitalità, le forme di generosità, tutti i legami potenti ma flessibili della fratellanza obbligatoria '. Con luuentas, Roma conta, per la sua coesione, su un'organizzazione militare che è an­ che, nei principali comizi, l'organizzazione politica. Gli iuuenes non costituiscono solo l'essenziale della popo­ lazione mobilitabile. Sono anche la parte germinativa della 1 Qui, pp. 79-85. IUPITER E IL S UO ENTOURAGE 15 9 popolazione, e in tal modo ne assicurano l'indefinito rinno­ vamento. Tra l'impubere e l'impotente, tra il puer e il senex, o anche il senior, è lo iuuenis che, di generazione in genera­ zione, prolunga Roma, le dà non solo l'à.xJ-Ln del momento, l'attuale vitalità, ma, con la procreazione a cui è atto, quella successione di à.xwtL che costituisce l'aeternitas ' ; lo iuuenis può procreare come è mobilitabile, si batte ma prolifera, è miles �d è genitor. Alla fine del suo quinto libro, quando descrive le ore di angoscia in cui romani si preparano all'ar­ rivo dei galli di Brenno ', Tito Livio dice come amputino essi stessi la loro società, conservando solo quanto occorre per­ ché essa sopravviva e nuovamente si sviluppi (5, 39, 1 2 ; 40, I ) : Poiché non c'era nessuna speranza che la città potesse essere difesa, dato che non restav�no che poche truppe, si decise che la gioventu militare ( iuuentatem militarem) con mogli e figli, cosi co­ me la parte ancora vigorosa del senato (senatusque robur), si sareb· be ritirata sulla cittadella e sul Campidoglio, dove si sarebbero raccolti armi e viveri, e che, da questo luogo fortificato, essa avreb­ be difeso gli dei, gli uomini, il nome romano ... Poi essi [= i ve­ gliardi abbandonati] rivolgono le loro esortazioni alla colonna dei giovani (ad agmen iuuenum), che accompagnano al Campidoglio e alla cittadella, affidando al loro coraggio e al loro giovane vigore ( uirtuti eorum iuuentaeque) tutte le speranze che restavano alla loro città, vittoriosa in tutte le guerre durante trecentosessant'anni. Questa iuuentus militaris, questi iuuenes con la loro uirtus e la loro iuuenta, sono qualcosa di piu che un esercito: in compagnia delle coniuges, dei liberi e dei senatori ancora vi­ gorosi, sono la società romana ridotta all'essenziale, il pegno e lo strumento dell'avvenire. Paesaggio romano, paesaggio eroico e patriottico, dove si riconoscono le principali funzio­ ni di Aryaman, compresa quella di fare durare la società arya conservando non solo gli uomini, ma anche le spose, deposi­ tarie delle fecondità legittime. La iuuentus romana ha man­ tenuto, in questa circostanza, la promessa che la contumacia della « sua» dea aveva fatto ai suoi antenati. Non è caso, ma armonia, se il Camillo di Tito Livio termina cosi il discorso 2 Sulla parentela etimologica di aeuum e iuuen-, vedi Benveniste, Expres­ sion indo-européenne de l'éternité, in BSL, XXXVIII ( 1 937), pp. 103-12; e Dumézil, Le plus vieux nom arménien du jeune homme, ivi, XXXIX ( 1938), pp. 185-92. 3 ME, III, pp. 222-28. ! 60 OCCIDENTALIA con cui dissuade i suoi concittadini dall'abbandonare le ro­ vine di Roma per le case intatte di Veio (5, 54, 7 ) : È qui che c'è i l Campidoglio dove un tempo, quando v i fu sco­ perta una testa umana, gli interpreti dichiararono che la testa del mondo, la sommità dell'impero, sarebbero stati in questo luogo. È qui, quando si trassero gli auspici per liberare il Campidoglio dai suoi vecchi abitanti divini, che Iuuentas e Terminus, con gran· dissima gioia dei vostri padri, non permisero che li si spostassero. È qui che ci sono i fuochi di Vesta, qui gli scudi inviati dal cielo, qui tutti gli dei che vi favoriranno se restate ... Bel testo, che associa le due divinità minori a tutto ciò che vi è di piu alto nella religione: Iupiter stesso col suo tempio capitolino e il prodigio della testa, lo scudo che egli ha fatto cadere su Roma e che i Sali di Marte e di Quirino ammini­ strano con le copie che lo proteggono, infine Vesta nel suo focolare perpetuo. Come ' Aryaman e Bhaga, luogotenenti di Mitra nelle due sfere che corrispondono alle loro - la con­ servazione della società degli uomini arya, la distribuzione dei beni in questa società - sono insieme minori in rapporto al gran dio e sovrani con lui in rapporto agli altri dei, cosi Iuuentas e Terminus sono minori in rapporto al dio rex che li ospita, ma partecipano della sua maestà, al punto che si è arrivati a incidere iscrizioni dedicate a Iupiter Iuuentas ed a Iupiter Terminus. Ovidio (Fasti 2 , 667-72), a proposito dei Terminalia, ha ragione di contrapporre il dio-confine alla deorum cuncta turba, alla massa, alla maggioranza degli dei: ... et magno cum Ioue tempia tenet: Nunc quoque, se supra ne quid nisi sidera cernat, exiguum templi tecta foramen habent. Egli occupa lo stesso tempio del grande Iupiter. Anche oggi, affin­ ché egli non veda sopra di sé null'altro che gli astri, il tetto del suo sacello porta una stretta apertura ... 10. Sviluppi. Il radicamento di Roma nel suo sito ha orientato i due col­ leghi di Iupiter in un senso diverso da quello in cui il �gVeda ' Che non mi si voglia far dire che Iuuentas « è » Aryaman: essa occupa la posizione che corrisponde alla sua nel gruppo sovrano, assolve ad alcune delle sue funzioni, ma anche ad altre, propriamente romane, in rapporto col suo nome. IUPITER E IL S UO ENTOURAGE r6r ha orientato Aryaman e Bhaga, e l'Avesta Sraosa e Asi. L'ar­ ticolazione « uomini - beni» è quasi scomparsa davanti a un'altra, « durata - stabilità », e, per finire, « tempo - spazio ». Questa evoluzione, che d'altronde non è mai approdata a una costruzione filosofica, probabilmente è cominciata quando la terza divinità del gruppo ha rivestito la natura e il nome del confine, del termine, ossia ha avuto il compito di protegge­ re lotti di terreno anziché proprietà mobili. Nell'India, nel­ l'Iran, né Bhaga né Asi potevano evocare lo spazio, e sono piuttosto Aryaman, dio patrono dei popoli arya, e Sraosa, spirito che protegge le comunità mazdaiche, a garantire, in­ sieme a una lunga durata nel tempo, anche un minimo di sta­ bilità nello spazio. La specificazione « terminus», forse effet­ to di un'influenza etrusca 1 , ha meglio distinto, meglio ripar­ tito teologicamente i due quadri principali della percezione e dell'attività umana. Lo sviluppo della vocazione imperiale di Roma (tu regere imperio populo romane memt;nto ) ha provocato un cambia­ mento piu grande, un'autentica inversione, almeno per quan­ to concerne Terminus : un' « estensione all'universo » parago­ nabile a ciò che l'imperialismo mazdaico ha prodotto, non nella realtà politica, ma nell'ideologia, per Sraosa e per Asi: per le retribuzioni buone e cattive che seguono la morte de­ gli individui, Asi ha una portata quasi infinita, sbocca nel­ l'eternità; Sraosa, in linea di principio patrono della società fedele in contrasto con le altre, diventa il signore di tutto il mondo corporeo : tutto ciò che non è fedele di fatto è con­ dannato, respinto, e tutto ciò che è buono è fedele, almeno virtualmente. A Roma queste concatenazioni sono tempora­ li: Iuuentas, piu generosa dei dodici uccelli di Iupiter, pro­ mette a Roma firma omnia et aeterna (Floro r , 7 ) ; Terminus scompare come confine nella celebre formula con cui Ovidio orna la descrizione dei riti della sua festa (Fasti 2 , 679-84 ) : Est uia quae populum Laurentes ducit in agros quondam Dardanio regna petita duci: illa lanigeri pecoris tibi, Termine, fibris sacra uidet fieri sextus ab urbe lapis. 1 Vedi l'interessante memoria di Giulia Piccaluga, Vegoia, alle pp. 1 33-50 di Minuta!, saggi di storia delle religioni, 1974. Della stessa autrice, Tenni­ nus, i segni di confine nella religione romana, 1974. OCCIDENTALIA Gentibus est aliis tellus data limite certo, Romanae spatium est urbi et orbi idem. C'è una strada che conduce verso le terre dei Laurenti, verso il re­ gno un tempo cercato dal capo troiano. È su di essa che il sesto termine a partire da Roma ti vede offrire, Terminus, le viscere di una vittima lanosa. Alle altre genti è stata data una terra con limiti fissi; lo spazio della città romana è lo spazio del mondo. Nella rivelazione che fa a Venere sulle prospettive future del popolo del suo disgraziato figlio, lo stesso Iupiter evoca, con una doppia negazione, questo stadio ultimo delle spe­ ranze romane (Eneide I , 275-79): Inde lupae fuluo nutricis tegmine laetus Romulus suscipiet gentem et mauortia condet moenia Romanosque suo de nomine dicet. His ego nec metas rerum nec tempora pono imperium sine fine dedi... Cosi nato, felicemente nutrito del latte della fulva lupa, Romolo rileverà la gente troiana, fonderà le mura di Marte e chiamerà i romani secondo il suo nome. Al loro potere io non fisso alcun limite, alcuna durata: ho dato loro un potere senza limiti ... La specificazione del dio che sorveglia la ripartizione dei beni entro confini fissi faceva si che Roma non potesse con­ servare, in questo frammento di teologia, ciò che costituisce l'inseparabile rovescio del dio della «parte », ciò che gli in­ diani dell'epoca dei Brahma1Ja esprimevano con la sentenza «Bhaga è cieco» . Terminus rischia di essere violato, di essere spostato dalla mano dell'uomo, ma non ha fantasia, non si pianta a caso e non danza di notte come gli spiriti folletti. Questo aspetto di Bhaga è Fortuna a incarnarlo, sollevando l'oscuro problema della propria origine: dea nazionale o dea presa a prestito ? In ogni caso dea latina, di cui gli stretti rapporti con Iupiter sono testimoniati presso altri latini. Il caso piu rilevante è quello della Fortuna di Preneste ', per la quale è ricostruito lo stesso mistero, lo stesso enunciato enig­ matico che �V Io, 7 2 , 3-5 , applica non a Bhaga, ma a un al­ tro sovrano minore, uno di quelli che sono stati collegati alla « metà Varul).a» della sovranità per equilibrare quelli del­ la « metà Mitra», Dak�a '. Personifìcazione dell'energia in 2 Dumézil, Déesses latines et mythes védiques, 1956, pp. 71-98; FR, 1975. pp. 238·49· 1 Qui, pp. 77, 93· IUPITER E IL S UO ENTOURAGE azione, Dak�a è infatti uno degli Aditya, uno dei figli di Adi­ ti, la «non-legata » ; ma il potere insito nel concetto di tale energia fa si che egli sia pure situato all'origine di tutto, com­ preso Aditi. I poeti vedici accettano tale contraddizione, me­ ditano su di essa ': D a Aditi nacque Dak�a, e da Dak�a Aditi. Poiché Aditi nacque, o Dak�a, essa che è tua figlia. Dopo di lei nacquero gli dei, i beati, gli immortali apparentati... Cosi l'energia maschile creatrice e la forza femminile inde­ terminata non si sono divisa l'origine delle cose: è reso loro omaggio in un condominio enigmatico dove il prima e il do­ po, la prima procreazione e la prima nascita appartengono agli dei. È quasi in uno stesso dittico che si articolano, a Pre­ neste, da una parte la Fortuna primigenia, « primordiale», datrice di sorti, con lo Iupiter puer che allatta, d'altra parte Iupiter con Fortuna sua figlia, Iouis puer, o, come dice la piu vecchia iscrizione, Diouo fileia. Ma questo enigma non ha un equivalente a Roma, e i romani che volevano consultare le sorti della primigenia dovevano recarsi a Preneste. 1r. Quirinus visto sotto un'altra luce. Con la sua specificazione come Iuuentas, la divinità che protegge la collettività ha un dominio piu ristretto dell'Arya­ man indiano : non tutti i cittadini, ma i cittadini piu interes­ santi per lo Stato, quelli che sono capaci di combattere e di procreare. Forse questa limitazione è una conseguenza, un contraccolpo della rappresentazione che i romani hanno im­ posto alla terza funzione nella triade originaria Iupiter Mars Quirinus. Alla fine di quelle liste canoniche che devono rias­ sumere in alcuni nomi divini la struttura delle tre funzioni, il terzo livello, multiforme per natura e molto spezzettato, non è mai rappresentato completamente: gli autori delle li' Qui, p. 94· OCCIDENTALIA ste hanno dovuto ritenere un solo suo aspetto e lasciare gli altri nell'ombra, salvo poi rimetterli in luce in varianti circo­ stanziali. I romani e gli umbri di Iguvium non hanno eletto per questo ufficio nessuna delle divinità legate immediata­ mente a un aspetto della fecondità; hanno preferito il dio della totalità sociale organizzata, *Couirino-, *Vofiono-, no­ zione che appartiene, in un certo senso, alla terza funzione: il gran numero di uomini - che nelle tavole vediche è messo spesso in parallelo con il gran numero di cavalli e di vacche ­ era una testimonianza e uno strumento della prosperità, il risultato di una buona fecondità e anche di una pace stabile, tutti vantaggi che sono essenziali in questa terza funzione e di cui alcuni sono espressi piu direttamente in varianti occa­ sionali della lista canonica (Iupiter Mars Ops nella Regia; Iupiter Mars *Flora > Venus come patroni dei carri in gara) . Certamente i rituali collegano fortemente Quirinus alle stes­ se cure: il flamen Quirinalis non ha uffici conosciuti che non siano al servizio dei grani e in feste consacrate non al suo dio, ma a divinità agricole (Robigalia, Consualia), e gli stes­ si Quirinalia « coincidono con » la festa di chiusura della tor­ refazione dei grani. E tuttavia il nome di Quirinus si riferi­ sce a una cosa diversa: la collettività dei uiri organizzati nel­ le curiae (*couiria-) ; è il re dei romani in quanto Quirites ( *couirit- ), insieme coerente di questi Virites, « individua­ lità» (cfr. uiritim) che la scienza pontifìcale associava a Qui­ rinus cosi come associava a Mars le Moles, « masse indiffe­ renziate » agenti nel modo di una forza. Il risultato è che il coricetto divino che dovrebbe essere, per il suo nome, equi­ valente ad Aryaman nella maniera piu esatta, si è trovato coinvolto nella terza funzione e non ha lasciato disponibile per la prima, come collaboratore di Iupiter nella protezione delle persone, che una divinità che esprime e patrocina l'età elitaria e non la massa, gli iuuenes, di tutti i Quirites. L'unità di tutto questo insieme d'altronde è ristabilita in parte, sul piano della « storia », dall'ideologia di Romolo, dal rapporto di questo iuuenis per eccellenza insieme con Iupiter in quan­ to re e con Quirinus in quanto antenato divinizzato. Nell'India, Aryaman ha conservato al primo livello, ac­ canto a Mitra, la totalità delle sue greggi, tutti gli arya. Certo nella sua zona d'azione piu settori (protezione del dono, del- IUPITER E IL S UO ENTOURAGE le unioni coniugali, della libera circolazione) confinano con l'abbondanza e la fecondità, e la pace che egli stabilisce nei rapporti sociali favorisce la prosperità. Ma non è lui, sono i Nasatya illimitatamente compiacenti, o sostituti circostan­ ziali dei Nasatya (Pii�an, dio del bestiame; Sarasvati, dea delle acque e dei fiumi...), che occupano il terzo posto nei raggruppamenti rappresentativi delle tre funzioni. Tuttavia l'ampiezza del corpus vedico permette di reperire passi che mostrano come avrebbe potuto, in questi gruppi, svolgere il ruolo di Quirinus. È il caso di AV 3 , 1 4 , che è impiegato per ottenere la prosperità del bestiame. Delle cinque strofe del­ l'inno, solo la seconda invoca degli dei, che si distribuiscono nelle tre funzioni (nell'ordine 3 , r , 2 ) : sono Aryaman con Pu�an (dio delle mandrie), Brhaspati (dio dei preti), Indra (il dio guerriero in quanto dhanaf!1jaya, « conquistatore di ricchezze »). 12. Terminus e Numa, «iuuenes» e Romolo. A nostro avviso si può rendere brevemente conto di un'im­ portante differenza tra i luogotenenti di Mitra e gli ospiti capitolini di Iupiter ricordando come Iupiter, - fin dove ri­ sale la conoscenza che ne abbiamo - confischi i due aspetti, varul).iano e mitriaco, della Sovranità, non lasciando allo scial­ bo Dius Fidius che un riflesso del secondo. Mentre Aryaman e Bhaga sono entrambi fortemente legati a Mitra, e non han­ no quasi rapporti con Varul).a se non con la mediazione di Mitra, Terminus e Iuuentas si sono piuttosto sistemati il pri­ mo nell'aspetto « pompiliano », diale della Sovranità, la se­ conda nel suo aspetto « romuleo », o piu propriamente gio­ viano. Da un lato Terminus, prima del tempo delle grandi con­ quiste, è rimasto conforme alla sua funzione pacifica di pro­ tettore dei confini che tanto irritava Romolo, impaziente di estendere i suoi possedimenti, e che al contrario Numa avreb­ be onorato nella stessa misura della fides. D'altra parte in Romolo si rivela lo iuuenis per eccellen­ za, e i suoi Celeres sono, in costume storico, paragonabili ai giovani guerrieri celesti del .J3.gVeda , ai Marut, nei quali Stig 1 66 OCCIDENTALIA Wikander ha riconosciuto la proiezione mitica di un «Miin­ nerbund» arya. Il principale sodalizio che si crede abbia tra­ smesso alla posterità è quello dei Luperci, che pretende di imitare una iuuentus selvaggia ancora piu antica. La restau­ razione dell'avo albano, il ratto delle sabine, il duello contro Acrone sono atti di iunior, mentre il fondo del carattere e dell'opera di Numa è la grauitas, e il primo sacerdozio che egli istituisce dopo aver soppresso i Celeres è il flamonium dei tre grandi flamini, autorevole al punto che, nella grande epoca, la collazione del primo dei tre basterà a trasformare in un degno senatore uno iuuenis fino allora molto occupato nelle sue prime follie giovanili (Tito Livio 2 7 , 8 ). Dunque tutto si presenta come se, a Roma, i connotati piu completi di un dio analogo ad Aryaman, protettore della nazionalità arya, fossero passati a Quirinus, protettore del popolo dei quiriti, e nello stesso tempo avessero lasciato la zona della Sovranità per rappresentare, in maniera incompleta ma legit­ tima, il terzo livello nella lista canonica degli dei delle tre funzioni; non sarebbe rimasta, al primo livello, che la parte dei suoi quiriti piu utili alla difesa, allo sviluppo e alla durata di Roma, gli iuuenes, vale a dire quei romani che, in ogni generazione, sono sotto il controllo e la tutela di Iuuentas, e costituiscono il grosso delle legioni ' . L a riorganizzazione della teologia della Sovranità che si è fatta a Roma può essere rappresentata facilmente con uno schema (cfr. p. a fronte). Cosi si arricchiscono i connotati del complesso Quirinus. In tal modo si scopre anche l'originalità di una teologia ro­ mana della Sovranità che non si modificherà che negli ultimi secoli della Repubblica con la divinizzazione di Roma stessa, poi con l'ascesa delle divinità care ai primi signori - Venere, Apollo -, infine, sotto il principato, con l'organizzazione dei nuovi culti imperiali. ' L'India, nella sua mitologia, ha certamente estratto dalla collettività ge­ nerale i « giovani », in quanto sono « l'insieme o l'élite dei combattenti pos· sibili », ma a livello della seconda funzione : sono i Marut, che non hanno rapporti particolari con Aryaman (non piu che con i VisveDeva�) ; il loro nome pare affine a quello dei marya indoiranici, «giovani che eccedono facil· mente » (dr. gr. (J.E�pa!;, ecc.) : Wikander, Der arischer Mannerbund cit. IUPITER E IL SUO ENTOURAGE Dei vedici Dei romani Eroi romani l IVPITER liVVENT-::S--1-;:�o/o come fondatore DIV S FIDIVS, FIDES TERMINVS Numa + I Mars II i gemelli Niisatya divinità III della fecondità, del!'abbondanza, ecc . ( Sarasvati, Pii�an ... ) divinit ella fecondità, dell'abba anza, ecc. III (Ops, Flora ... [i Visvedeviib] QVIRINVS Roma/o con Remo Romolo divinizzato I, II, III: le tre funzioni . Maiuscolo: principali dei sovrani. Maiuscoletto: divinità collaboratrici dei grandi dei sovrani. Minuscolo tondo: divinità delle altre due funzioni senza rapporto diretto con la Sovranità. Minuscolo corsivo: uomini, re di Roma caratterizzati funzionalmente. Linea continua: analogia funzionale parziale fra divinità di livelli diversi. Linea tratteggiata: analogia funzionale parziale fra un dio e un uomo. Capitolo quinto Gli dei sovrani degli scandinavi Marcel Grane!, che amava le sintesi di effetto, diceva che, dalle coste dell'Irlanda alle coste della Manduria, non esiste­ va che una civiltà. Con queste parole esprimeva il concetto che nessun ostacolo naturale, dopo la preistoria, aveva impe­ dito le comunicazioni, eruttive o osmotiche, da un capo all'al­ tro della lunga pianura dell'Eurasia del nord, che è tagliata solo dalla catena degli Urali, facilmente valicabile. Quanto agli indoeuropei, è un fatto che i rami settentrionali della fa­ miglia presentano, rispetto ai meridionali, piu tratti originali che ricordano quanto si osserva dagli ugro-finnici fino ai tun­ gusi. Colpisce soprattutto l'importanza assunta da forme piu o meno pure di sciamanismo: gli stessi druidi, cosi conserva­ tori per altri aspetti, disponevano di tecniche che i brahmani non immaginavano, e Oainn, appeso a un albero per nove giorni, il tempo di evocare le rune, avrebbe sorpreso Varu1Ja. Ma occorre considerare le cose piu davvicino. Come è pre­ vedibile, sono i celti quelli che partecipano meno di questo continuum nord-eurasiano. Il posto che ha conservato pres­ so di loro il rix, l'ampiezza e il potere del corpo sacerdotale, la conservazione di un vocabolario religioso, giuridico, mo­ rale, imparentato con quello degli italici e degli indoiranici, fanno di loro i testimoni di quello che si chiama talvolta il fondo periferico indoeuropeo. Al contrario i germani, i bal­ tici, gli slavi, persino gli sciti schierano una specie di fronte comune: là i poteri politici sono meno certi e non funziona un grande corpo sacerdotale; la religione pubblica è essen­ zialmente di competenza del capo del gruppo, padre di fami­ glia o capo di tribu; la stessa società forma un insieme dove le distinzioni, cosi forti nella maggioranza degli altri indo­ europei, sono attenuate. Tutto ciò non poteva mancare di in- GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI fluire sull'organizzazione dell'ideologia. È cosi che, nella tra­ dizione russa, quello dei tre eroi «di prima della storia» che rappresenta la prima funzione, Volx o Vol'ga, è insieme scia­ mano e principe guerriero; a capo della sua drui.ina, compie imprese prodigiose, ma meno per il suo valore che per la sua magia, la sua astuzia, la sua capacità di metamorfosi, insom­ ma per quelli che H. M. Chadwick e N. Kershaw Chadwick chiamano «le sue doti intellettuali e il suo carattere protei­ co » 1• E questi termini potrebbero essere applicati all' Oainn degli scandinavi. In questo libro mi limiterò a osservare la teologia dei ger­ mani, di cui le caratteristiche generali - oltre all'intrusione dello sciamanismo - sono le seguenti. I . Tre caratteristiche delle religioni germaniche. I ) Anzitutto la seconda funzione, i bisogni e la morale del­ la guerra, sono penetrati profondamente nella prima, sovra­ na. Non l'hanno né soppressa né annessa, nonostante la con­ correnza che il « dux», secondo Tacito, faceva al « rex », ma l'hanno permeata e deviata nella loro propria direzione. Que­ sto sviluppo è già sensibile nei germani continentali che ha conosciuto Cesare, ai bordi dei paesi celtici; là si è persino aggravato per una degradazione della terza funzione, almeno nella sua forma piu perentoria, l'agricoltura 1 • I germani set­ tentrionali non hanno condiviso questo disprezzo delle atti­ vità contadine, ma anche da loro la guerra, le virtu e le tecni­ che che essa comporta hanno profondamente segnato la fun­ zione sovrana. 2 ) Forse per un effetto di questa esaltazione della violenza eroica, con ciò che la prepara e che la segue, l'insieme della religione, a giudicare dalla sua forma scandinava, ha un ca­ rattere inquieto, tragico, pessimistico, di cui non presentano l'equivalente né i celti né gli italici, né gli indiani vedici (non parlo degli indiani dell'età successiva) . Certo il Varul).a degli inni non è rassicurante, e gli uomini hanno buoni motivi per 1 ME, F, pp. 624-28. 1 Cesare, De bello gallico 6, 21-22. OCCIDENTALIA temerlo; ma almeno possono prevedere, capire e dunque, con una vigile rettitudine, evitare il suo rigore. Quanto a Odinn, ama ingannare, rovescia quelli che potevano ritener­ si suoi favoriti, e nei suoi comportamenti capricciosi, talvolta crudeli, non si riferisce visibilmente a nessun sistema di re­ gole percettibile per gli uomini. Piu in generale le divinità scandinave, e probabilmente anche quelle dei germani del continente, sono molto vicine, moralmente parlando, all'u­ manità turbolenta che le onora. Restano prigioniere di pas­ sioni erette a valori, di cui le conseguenze si sviluppano in una mitologia che forse deve a questo interesse romanzesco il fatto di essere letterariamente sopravvissuta alla grande conversione. 3 ) Infine la teologia scandinava, come l 'i ranica, comporta una dimensione che non compare né a Roma né nei Veda, ma che era già indoeuropea, a giudicare dalle religioni celti­ che, dal mazdeismo e dalla mitologia para-vedica che si svi­ luppa, trasformata in « storia », sotto l'intreccio del Mahabha­ rata: l'escatologia. La storia del mondo tende a una scissione, a una distruzione seguita da una rinascita, e, da una parte e dall'altra di questa crisi, gli dei, due generazioni di dei, sono in contrasto : da un lato lotta contro quegli anti-dei che sono i giganti e i mostri, ma anche caratteri mediocri, ideali deboli; d'altro lato pace cosmica, purezza, virtu. Che cos'è diventata, su questo sfondo, la tavola teologica delle tre funzioni ? Quale orientamento vi ha ricevuto la pri­ ma ? Da oltre quarant'anni parecchi studi hanno cercato di rispondere a queste domande fondamentali. Inizialmente il lavoro si è trovato appesantito dalla necessità di condurre frontalmente l'esplorazione, l'esposizione, e da controversie talvolta molto vivaci. Oggi l'essenziale sembra acquisito. Qui posso soltanto riassumerlo, rinviando ad alcuni libri dove tali interpretazioni sono state giustificate contro i sostenitori di altre concezioni, e progressivamente migliorate: i miei scritti Loki ( 1 948 ), prima parte; Les Dieux des Germains, 1 959 cit. (edizione inglese corretta e con appendici Gods of Ancient Northmen cit.) ; Du mythe au roman, la Saga de Ha­ dingus cit. (ed. inglese From Myth to Fiction cit.) ; e le pre­ sentazioni d'insieme che hanno dato Jan de Vries, Altger­ manische Religionsgeschichte, I-II, 1956-5 7', Werner Betz, GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI Die Altegermanische Religion, in Deutsche Philologie im Aufriss, 1 96 1', coli. 1547-1 646, e M. Renault-Krantz, Struc­ tures de la mythologie nordique, 1 97 2 . 2 . La triade degli dei di Uppsala. In Scandinavia, nel sistema teologico che opera prima del­ la catastrofe e del rinnovamento cosmici, le tre funzioni sono rappresentate dal gruppo dei tre grandi dei che dominano nel complesso dei miti e delle leggende, e che compaiono, come gruppo, in diverse formule. Inoltre questi dei possedevano a Uppsala, in Svezia, fino alla fine del paganesimo, un tempio comune, che è stato visitato da viaggiatori tedeschi, e quin­ di descritto da Adamo di Brema, insieme a certe cerimonie che vi si svolgevano. Questo testo, denso e preciso, si studia di definire differenzialmente Odinn, l>6rr e Freyr, mettendo in luce l'originalità di ognuno, ma, nello stesso tempo, senza rendere giustizia alla loro ampia complessità '. I l popolo dei sueoni ha un tempio celeberrimo, chiamato Ubso­ Ia, situato non lontano dalla città di Sictona. In questo tempio, tutto adorno d'oro, il popolo venera le statue di tre dei, di modo che il piu potente, Thor, ha il suo seggio nel mezzo, tra Wodan e Friccone. I significati di questi dei sono i seguenti: Thor, dicono, è il signore dell'atmosfera, e governa il tuono e la folgore, i venti e le piogge, il bel tempo e le messi; il secondo, Wodan, ossia il fu­ rore, dirige le guerre e dona all'uomo il coraggio contro i nemici; il terzo, Friccone, elargisce ai mortali la pace e il piacere, e il suo ' Adamo di Brema, Gesta Hammaburgensis ecclesiae pontificum 4, 2527; testo citato in F.-R. Schri:ider, Quellenbuch zur germanischen Religions­ geschichte (Triibners philol. Bibliothek, 14), 1933, pp. 103-4: « 25. [ ...] Nune de supersticione Sueonum pauca dicemus. - 26. Nobilissimum illa gens tem­ plum habet, quod Ubsola dicitur, non longe positum ab Sictona civitate. In hoc tempio, quod totum ex auro paratum est, statuas trium deorum venera­ tur populus, ita ut potentissimus eorum Thor in medio solium habeat tricli­ nio ; hinc et inde locum possident Wodan et Fricco. Quorum significationes eiusmodi sunt: « Thor, inquiunt, praesidet in aere, qui tonitrus et fulmina, ventos ymbresque, serena et fruges gubernat. Alter Wodan, id est furor, bella gerit hominique ministrat virtutem contra inimicos. Tercius est Fricco, pacem voluptatemque largiens mortalibus ». Cuius etiam simulacrum fingunt cum ingenti priapo. Wodanem vero sculpunt armatum, sicut nostri Martem solent; Thor autem cum sceptro Jovem simulare videtur [ ... ] - 27. Omnibus itaque diis suis attributos habent sacerdotes, qui sacrificia populi offerant. Si pestis et fames imminet, Thor ydolo lybatur, si bellum, Wodani, si nup­ tiae celebrandae sunt, Fricconi ». OCCIDENTALIA simulacro è rappresentato con un fallo enorme. Invece scolpiscono Wodan armato, come il nostro Marte, mentre Thor, munito di uno scettro, pare imitare Giove. A tutti i loro dei sono assegnati sacerdoti, per offrire i sacrifici del popolo. Se minacciano peste e carestia, si offre all'idolo Thor; per la guerra, a Wodan; se devono essere celebrate nozze, a Fric­ cone. È stato certamente commesso un errore d'interpretazione, nella gerarchia dei personaggi. Abituati alla disposizione clas­ sica dove quello centrale è il principale, i viaggiatori ansea­ tici hanno fatto di Thor il potentissimus, e hanno inteso il suo martello come un scettro ', lo scettro di Iupiter, nondi­ meno estraneo alla simbologia scandinava. Certo anche altri testimoni hanno equiparato Thor a Iupiter, ma solo in quan­ to dio della tempesta, non come capo degli dei : il martello che impugna simboleggia la folgore e il tuono, tonitrus et ful­ mina, non il potere supremo. In realtà la gerarchia di Uppsala è lineare: Odinn, l>orr, Freyr. D'altro lato, di ciascuno degli dei sono presi in considera­ zione solo un ufficio o due, effettivamente importanti: è ben vero che Odinn governa la vittoria; con la sua signoria delle tempeste, dei venti, delle piogge, l>orr dà certo l'abbondanza agricola e la salute; col suo fallo enorme, Freyr controlla cer­ tamente tutto il macchinario del sesso e la fecondità delle coppie. Tuttavia per l>orr e per Freyr alcune parole dell'au­ tore allargano il campo d'azione : il primo è pregato d'inter­ venire si pestis et fames imminet, ciò che gli conferisce una missione di difesa contro certi flagelli, e Freyr si oppone di­ rettamente a Odinn, dio del bellum, facendo in tal modo dono agli uomini della pace. Ma queste indicazioni comple­ mentari, conformi a ciò che insegna la letteratura indigena, non ricoprono ancora tutta la sfera né tutti i mezzi di ciascu­ no dei personaggi. Certo Freyr è tale quale lo definisce Adamo, ma la sua teologia non separa ciò che, in ogni paese, è facilmente asso­ ciato, la fecondità umana e quella della natura; persino nel­ l'Upland è anzitutto il garante dell'abbondanza, principal­ mente alimentare, e, nelle leggende dove interviene come un 2 Gli informatori di Cesare l'avevano preso per il martello del fabbro, poiché *Punraz è interpretato nel senso di «Vulcano » (De bello gallico 6, 21, 2). GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI 1 73 sovrano dei tempi piu antichi, il suo regno è caratterizzato non solo dalla pace, ma da belle messi e da una ricchezza che è diventata proverbiale '. 1>6rr, specialmente nella religione contadina, apporta cer­ to a questa prosperità il rinforzo di un'opportuna meteoro­ logia, e impedisce le disgrazie che comporterebbe un tempo privo di ordine e regolarità. Ma l'essenziale della sua natura è espresso dal martello che gli informatori di Adamo di Bre­ ma hanno male interpretato, e che rende un servizio che non si limita al dramma della tempesta : è un'arma. Il dio apporta la fertilità ai campi solo per una felice conseguenza dei suoi duelli contro certi giganti. Ora ne sostiene ben altri, episodi della lotta perpetua che, senza riferimento alla pioggia né alla tempesta, gli dei conducono contro questi rivali. l>6rr è anzitutto un combattente forte e solitario - Tacito lo chiama Hercules -, che è quasi sempre impegnato in qualche spedi­ zione contro il nemico, ma di cui basta pronunciare il nome perché sorga là dove si desidera la sua protezione '. Se Odinn è il « furor», 6ilr, l>6rr compie le sue prodezze in accessi di altro tipo, di m6ilr, piu specificamente collerico. È Odinn che Adamo di Brema ha soprattutto impoverito : nessuna parola evoca le altre sue attività. Certo il testo dice il vero, Odinn decide del risultato della guerra, anima i com­ battenti, accoglie nel suo Valholl coloro che sono morti nel campo di battaglia, ma si tratta di applicazioni particolari, frequenti e spettacolari, di una potenza piu generale. In real­ tà decide di tutto, e lo strumento d'azione che lo contraddi­ stingue, nella battaglia come altrove, è la grande magia. Inol­ tre nel complesso dei testi scandinavi è riconosciuto come il re degli dei. Se la presentazione che Adamo di Brema fa della triade è cosf incompleta, e quindi squilibrata, il solo fatto che abbia potuto, lui o i suoi informatori, operare queste riduzioni e questi slittamenti, prova tuttavia che, nella coscienza dei cre­ denti, l'economia interna di ciascuna delle funzioni non era piu quella che il paragone con gli indoiranici e con Roma induce a considerare come originaria: persino quando, se­ condo l'insieme dei documenti, si è restituita a ogni divinità 3 Yuglingasaga 9 e 10; Gylfaginning I I e 13. ' Per esempio alla fine della Lokasenna. 174 OCCIDENTALIA tutta l'ampiezza della sua sfera, resta che i centri di gravità di queste diverse sfere sembrano, a testimoni non prevenuti, situarsi in quelle che sappiamo che furono dapprima esten­ sioni o conseguenze di altri elementi piu essenziali: Dei funzionali secondo Adamo di Brema Odi nn { P6rr l Freyr guerra - nell'insieme della mitologia { � Funzioni I magia guerra �bott;mrod singoli contro i giganti f"tili'' "'m;" il temporale fertilità tramite il temporale pace, piacere e fecondità umana abbondanza generale nella pace e fecondità umana l II III Lasciando da parte l>6rr, questo Vii.yu scandinavo incari­ cato della funzione tonitruante di Indra, e Freyr, o piuttosto Njordr e Freyr, che occupano insieme una buona parte del livello funzionale dei Nii.satya (ma sostituendo al gemellag­ gio una filiazione con stretta solidarietà), qui non dobbiamo considerare che Odinn e il suo entourage. 3 . Oilinn re e mago. Le due caratteristiche che abbiamo segnalato dominano e spiegano le numerose attività di *Wodanaz 1 • Da una parte è dio sovrano, è il primo per dignità, ciò che ha contribuito, secondo l'analogia del pantheon gallo-romano 1 Non moltiplico i riferimenti; si potranno trovare o nel mio DG, o nelle pagine dell'Altgermanische Religionsgeschichte, IF, di Jan de Vries, a cui rimando. GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI 17 5 che aveva a capo Lugus-Mercurius, a farlo interpretare come Mercurio da Tacito nonché dai responsabili dei nomi germa­ nici dei giorni della settimana. Nonostante altre proposte, è certamente lui che Tacito, parlando del massimo dio dei Se­ noni, indica con la perifrasi regnator omnium deus 2 • In effet­ ti è in primo luogo il re degli dei, e, in genere, il loro padre, il «padre universale », Alfaair '. Ma ha stretti rapporti con la regalità terrestre. Per esempio, se è ghiotto di sacrifici umani, sono i re suoi confratelli che sembra preferire come vittime • . Re, è all'origine di dinastie o di serie reali in Scandinavia, tra gli anglosassoni e anche, col nome di Gapt (cfr. antico scand. Gautr, uno dei nomi di Odino) , presso i goti che ha descritto Giordane 5• In particolare, nell'Ynglingasaga, è il primo re, un re intraprendente, guerriero, conquistatore, fondatore. Per estensione, nelle epoche in cui lo osserviamo protegge anche l'aristocrazia di corte, gli ufficiali reali •. Questo lega­ me sociale, brillante ma ristretto, ha il risultato che, nella toponimia, il suo nome si trova utilizzato molto meno che, per esempio, quelli di Njordr o di Freyr, famigliari a gruppi umani piu estesi e piu vicini ai dettagli del terreno 7; e anche quella che i lapponi, grandi imitatori, ignorano l'essenziale di Odino ', mentre hanno fatto degli equivalenti di l>orr, di Njordr e di Freyr i loro principali dei. D'altro lato è mago, padrone delle grandi forme della ma­ gia, in contrasto a forme minori e disprezzate che sono inve­ ce proprie delle divinità della terza funzione, dei Vani •. Na­ turalmente questo carattere si è espresso, secondo le epoche, i contatti e i prestiti, con tecniche e gusti diversi, ma, per quanto lontano si risalga, pratiche e pretese sciamaniche so­ no importanti nel corredo dei suoi attributi, accanto a ciò che pare piu propriamente indoeuropeo, ossia a poteri intel­ lettuali - calcolo, invenzione, chiaroveggenza, arte poetica ecc. - che sono meravigliosi solo perché portano all'estremo 2 De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte cit., pp. 33·34· ' Ibid., pp. 84-85. Ibid., pp. 49, 78. Ibid., p. 4 1 . • Ibid., p. 49· Ibid., pp. 50-54 (cfr., per i nomi di persona, pp. 54-55). 8 O lo hanno ridotto al ruolo di dio della morte, dei morti. Dumézil, Du mythe au roman cit., cap. 5 · • 5 7 • OCCIDENTALIA la peculiarità degli uomini istruiti. Questi elementi diversi sono mescolati nel lungo elenco dei talenti del « te» Odinn che Snorri presenta nei capitoli 6 e 7 dell'Ynglingasaga: Quando l'Odinn degli Asi venne con i Diar nei paesi del nord, è certo che sono loro che vi introdussero e insegnarono le arti che gli uomini esercitarono in seguito. Odinn era il piu distinto di tut­ ti, ed è certo che è da lui che essi appresero tutte le arti e i mestieri, poiché era il primo che li conobbe, e piu di tutti gli altri. Occorre anche dire che, se era onorato cosi altamente, è per la ragione se­ guen�e : era cosi bello, con un volto cosi nobile quando sedeva tra i suoi amici, che il cuore di tutti ne rideva nel loro corpo. Ma se faceva una spedizione militare, allora appariva terribile ai suoi ne­ mici. Il fatto è che aveva l 'arte di cambiare il suo aspetto e la sua forma a volontà. Inoltre parlava cosi bene e leggiadramente che tutti quelli che lo ascoltavano pensavano che solo la sua parola fos­ se vera. Esprimeva tutto in versi, come si fa ancora oggi nell'arte che si chiama poesia ... Odinn aveva il potere di rendere i suoi nemici ciechi e sordi nella battaglia, o come paralizzati dal terrore, e le loro armi non tagliavano piu dei bastoni. Invece i suoi uomini andavano senza corazza, selvaggi come lupi o cani. Mordevano i loro scudi ed erano forti come orsi o tori. Uccidevano gli uomini e né il fuoco né l'ac­ ciaio potevano fare loro nulla. Si chiamava tale cosa «Berserks­ gangn >. Quando Odinn voleva cambiare aspetto, lasciava il suo corpo a terra, come addormentato o morto, e lui stesso diventava un uc­ cello o un animale selvaggio, un pesce o un serpente. Per le sue faccende o quelle degli altri poteva recarsi nei paesi lontani in un batter d'occhio. Inoltre esclusivamente con la sua parola poteva spegnere il fuoco e calmare il mare e fare soffiare i venti dalla parte che voleva. Aveva un battello, chiamato Skidbladnir, sul quale sol­ cava il vasto mare, e che poteva piegare come un fazzoletto. Aveva sempre accanto a sé la testa di Mimir, che gli comunicava molte notizie degli altri mondi. Talvolta evocava morti dal seno della terra, o si sedeva sotto persone impiccate. È perciò che era chiamato il capo degli Spiriti e il capo degli Impiccati. Aveva due corvi a cui aveva insegnato a parlare. Volavano lontano sui paesi e gli portavano molte informazioni. Grazie a tutto ciò, divenne straordinariamente saggio. Tutte queste arti, egli le insegnò con le rune o con i canti che oggi si chia­ mano galdrar, (canti magici). Per tale motivo gli Asi erano chiamati « fabbri di galdrar» . Odinn era esperto d i un'arte che dava l a massima potenza, e che si chiama seiilr. L'esercitava egli stesso, e ciò gli permetteva di pro­ fetizzare il destino degli uomini e gli eventi futuri, nonché di in­ fliggere agli uomini morte, sventura o malattia. Infine grazie ad essa poteva togliere a un uomo la sua intelligenza e la sua forza, e GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI darle a un altro. Ma questa forma di magia si accompagna a una tale effeminatezza che gli uomini [uiri, Manner] si vergognavano di praticarla. La si insegnava alle sacerdotesse. Odinn sapeva dove erano nascosti tutti i tesori. Conosceva can­ ti per i quali si aprivano davanti a lui la terra, le montagne, le roc­ ce, i tumuli funebri, e, esclusivamente con formule, sapeva bandire tutto ciò che vi abita dentro; allora vi entrava e prendeva quello che voleva. Questo bilancio pittoresco non esaurisce ciò che gli scan­ dinavi sapevano di Odinn, non piu superuomo del passato, ma dio sovrano sempre in carica. Racconti sostanziali spie­ gano come fosse preparato e poi conservato l'idromele di poesia, e come Odinn se ne fosse impadronito ••. Nella cupa storia di Starkadr, il cui intreccio sembra risalire ai tempi indoeuropei, è per un dono speciale del dio che è conferito all'eroe il potere di comporre le poesie che, dopo tre vite uma­ ne, lo immortaleranno " . Altri testi - e questa volta domina lo sciamanismo, quasi siberiano - raccontano in che modo, con quale dura iniziazione, con quale sacrificio di se stesso a se stesso egli abbia acquisito una parte importante della sua scienza. « lo so», dice nei Havamal (str. 1 3 8-4o), I o s o che sono stato appeso all'albero battuto dai venti nove notti intere, ferito dalla spada e sacrificato a 6dinn, io stesso a me stesso. Non mi si donarono pane né idromele, io spiavo sotto di me. Io feci salire le rune, lo feci chiamandole, e allora caddi dall'albero... Presi nove canti potenti. In qualsiasi epoca le rune abbiano fatto la loro comparsa in Germania, Odinn era evidentemente designato, era il solo 12• designato a riceverle in deposito e in uso Ma altri racconti spiegano altrimenti l'onniscienza del dio, e probabilmente ci mettono a contatto con l'elaborazione germanica di una rappresentazione indoeuropea: Odinn è 10 cit., pp. 66-71 (Kvasir), De Vries, 72 (Odrcerir). 11 ME, II, prima parte, specialmente pp. 27-30. 12 Sull'età delle rune, cfr. De Vries, cit., pp. 74-75; su Odinn appeso p. 49 ; sul soprannome Hr6ptr, p . 73; sul monocolismo, p. 8 1 . Altgermanische Religionsgeschichte , Altgermanische Religionsgeschichte OCCIDENTALIA monocolo, avendo pagato la chiaroveggenza con la perdita, piu esattamente con l'impegno di uno dei suoi occhi. « <o so», dice la strega della Voluspéi (str. 2 8-29 ), Io so che l'occhio di 6dinn è nascosto nella famosa fon tana di Mimir. Mimir beve l'idromele, ogni mattina, sul pegno di 6dinn. Cosf il dio sovrano onnisciente deve il suo privilegio ai consigli dello strano Mfmir, maestro di saggezza, ma eviden­ temente senza un'attività diretta. Sarebbe naturalmente artificiale voler distinguere rigoro­ samente, in Odinn, che cosa è intelligenza e che cosa magia, che cosa appartiene all'eccellenza dello spirito e che cosa si manifesta negli « stati anormali » : attraverso il mondo indo­ europeo e altrove, magia, sapere, ragione non si dissociano. E questa fusione è probabilmente espressa dallo stesso nome del dio, derivato in -na di un tema germanico *W oda- (an t. scand. 6ilr), che, come sostantivo, significa « spirito » (e an­ che « ispirazione», persino «poesia»), e, come aggettivo, « ec­ citato, furioso, wiitend, rasend », e che è imparentato col nome italico e celtico dell'indovino (e del poeta), latino uiites, celtico oÙa't'ELc;, eccetera 13• Il furor con cui Adamo di Brema definisce Odinn e che egli sembra limitare all'eccita­ zione guerriera deve essere inteso nel significato completo, religioso, di 6ilr. Non si ripeterà mai abbastanza che questo sovrano-mago è stato, presso tutti i germani, orientato verso la guerra. Se partecipa raramente alla mischia come combattente, è dona­ tore di vittoria e d'invulnerabilità, e insegna ai suoi protetti irresistibili schieramenti che sono come la firma dei suoi in­ terventi. Gli accade di aiutare una truppa, ma di lontano, con l'impiego di una sorta di artiglieria a lunga portata. Pri­ ma si sono visti i sortilegi che lancia contro il nemico; uno di essi, notevolmente « varul).iano », ricorda i paia�, i legami del sovrano vedico : Odinn lega il nemico, lo colpisce con lo her-fjoturr, col « legame d'esercito », che lo incanta e lo paralizza; questa forma d'azione ha persino prodotto il nome di una Valchiria, di una di queste «elettrici » (kj6sa « sce= IJ Ibid., p . 87; sul furor, pp . 94-95 · GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI 1 79 gliere») «di morti » (valr) , sue delegate sui campi di batta­ glia: i Grimnismal, alla strofa 3 6 , nominano una di loro, de­ clinando al femminile il maschile fioturr, Herfiotur ". Infatti per essere i favoriti di Odinn non basta battersi bene, occorre essere eletti. È questo un carattere costante degli eroi odinici, sia di quelli del tipo di Starkadr, cupo e duro, che di quelli di tipo elegante, umano, di un Sigurdr. E si tratta anche della spiegazione di uno dei tratti piu scon­ certanti di questo sovrano : tutto si presenta come se le bat­ taglie terrene fossero prove iniziatiche dove egli preleva la « scelta» di morti (valr, cfr. ted. Wahl) a cui apre l'altra vita, quella della « sala dei morti scelti » (Valholl, ossia Walballa) ; in questo luogo i festini si interrompono solo per consentire nuovi combattimenti, interamente lieti e senza esiti fatali ". Il nome degli eletti del Valhi:.lll è interessante: gli einherjar, «guerrieri delle singolari tenzoni » ( * aina-harja-) , sono pro­ babilmente la mitizzazione di qualche società di guerrieri co­ me quella degli Harii descritti da Tacito (Germ. 43); del re­ sto uno dei numerosi soprannomi di Odinn è Herjan, «capo di esercito», corrispondente etimologico, ma piu strettamen­ te militare, del xoipa'll oc; dei greci ••. Tale è l'orientamento, la limitazione che l'imperialismo della funzione guerriera ha dato a una caratteristica verosimilmente antica del dio so­ vrano : un inno funebre dell'India ({{V 10, 14, 7) invia pari­ menti il morto arya (ma non solo il guerriero morto) dai «due re», Yama, specialista dei morti, e Varut:J.a, dio delle grandi lontananze. Un altro tratto varut:J.iano, spinto all'estremo, è espresso da uno dei nomi abituali di Odinn che propriamente non è che un epiteto, Yggr, il « Terribile » ". Ma le manifestazio­ ni che giustificano questo nome sono ben germaniche: meta­ morfosi in animali temibili e, nel folklore moderno, La Cac­ cia Fantastica. Tuttavia in un punto capitale una profonda differenza se­ para Varul).a da Odinn. Il rigore, la durezza del primo, come l'insieme della sua azione, è al servizio del eta, dell'Ordine " Ibid., pp. 34·35· 15 Ibid. , pp. 377-79. 16 Ibid., pp. 58-59. 17 Ibid., p. 6o; sulle metamorfosi animali, p. 64, sulla Caccia Fantastica, p. 76. 1 80 OCCIDENTALIA giusto in tutti i sensi della parola, rituale e morale, cosmico e sociale : con il complesso degli dei sovrani mantiene il rta, che, da questo punto di vista, appare come l'unico valore assoluto dell'ideologia. Odinn, d'altronde soggetto come tut­ ti gli esseri a oscuri destini personali, non ha nulla di simile al di sopra di sé, per condizionare la sua libera azione. I va­ lori speciali, guerreschi o altri, che onoravano i germani, la­ sciavano al loro dio principale una grande libertà e gli impe­ divano una certa elevatezza. Di fatto egli tradisce i suoi favo­ riti, fa si che i genitori si battano, e, piu in generale, inganna, senza parlare delle debolezze diverse, delle relazioni deplo­ revoli che rivelano i sarcasmi del demoniaco Loki ". Cosi Jan de Vries ha ragione di pensare, con Rudolf Otto ( 1 9 3 2 ), che Odinn, omologo di Varut:J.a al vertice della strut­ tura trifunzionale, nello stesso tempo corrisponda all'inquie­ tante Rudra " nella struttura escatologica che contrappone Rudra (Siva) e Visnu : un lavoro recente non dà forse motivo di pensare che qu�� ta antitesi, cosi sviluppata nell'induismo, fosse già prevedica, e, con altri nomi, indoeuropea '"? Essen­ do dio, Rudra non è «cattivm>, ma ha, nella sua definizione, un'indeterminatezza che lo situa al di fuori del bene e del male, permettendogli, specialmente durante i cambiamenti di Età del mondo, di assumere il male che condiziona un bene. Jan de Vries ha elencato i tratti comuni alle due figure, tratti specialmente esteriori, ma che rivelano nature profon­ de : anche Rudra è ekanetra, « einaugig», si metamorfosa vo­ lentieri in animale o si dissimula e rende irriconoscibile, è cacciatore, protegge bande di adoratori che fanno pensare sia agli Einherjar, sia ai Berserkir. Forse i germani hanno asso­ ciato, fuso due strutture, e l'elemento « rudriano » introdotto nel dio di rango e di stile « varut:�-iani» avrà accentuato gli aspetti incresciosi che comporta sempre l'esercizio rigido, du­ ro della Sovranità. " Ibid., pp. 56-57· " Ibid., pp. 95-97· 20 ME, I', pp. 208-37 ; III, pp. 64-66, 87-95. GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI 4· Tyr, la battaglia e il Ping. Una delle circostanze che hanno favorito a lungo le teorie che fanno di Odinn-Wotan, in tutte le forme in cui lo cono­ sciamo, un « dio recente», è che non s'immaginavano altre soluzioni per un problema che pareva porsi soltanto in ter­ mini di cronologia, di successione : esiste, sul continente co­ me in Scandinavia, un altro dio chiamato Ziu in antico-alto tedesco, Tyr (< *Ti:waR) in antico islandese, e di cui il nome - che lo si spieghi con i.e. *dyu- o con i.e. *deiwo- 1 - appar­ tiene evidentemente al fondo linguistico piu antico, e sem­ bra provare che il dio che lo porta è stato originariamente un dio del cielo, e probabilmente, come lo Zeus greco (< *Dyeu-), un dio sovrano. Se questo dio non ha il rango atteso e, spe­ cialmente in Scandinavia, è una scialba figura accanto al so­ stanziale *Woilanaz-Oilinn, ciò accade - si è concluso da tempo - perché la storia lo sorprende quando sta regreden­ do, ed è già stato cancellato in gran parte da un rivale. Al contrario, l'insegnamento degli indiani vedici e dei ro­ mani piu antichi ci fa attendere una coppia di dei sovrani, e una coppia che, sebbene ugualitaria in linea di principio, di fatto sia piu o meno squilibrata a vantaggio di uno dei due termini (Varut:J.a, Iupiter) e a spese dell'altro (Mitra, Dius Fidius) . Ora *Wodanaz e *Ti:waz si combinano bene secon­ do questa formula. Semplicemente, piu ancora che per il pri­ mo occorre tenere conto per il secondo dei nuovi orienta­ menti propri del mondo germanico: là dove ci prepariamo a riconoscere un dio del diritto e degli accordi, i vicini dei germani hanno riconosciuto, a prima vista, un Marte, ed è appunto la sfera del Marte romano che Snorri, nel suo trat­ tato di mitologia, mette dapprima in rilievo per definire Tyr (Gylfaginning, 1 3 ) : C'è ancora un Asa che si chiama Tyr. È molto intrepido e molto coraggioso e ha un grande potere sulla vittoria nelle battaglie. Per questo è bene che gli uomini valorosi lo invochino. Ma allora si tratta di un doppione di Odinn? No. Nel poco che si sa di lui, nulla ricorda i poteri magici che costituiscono 1 Germ. *Tiuz, piuttosto *Tiwaz. OCCIDENTALIA il principale settore degli interventi di Odinn. Non c'è né Berserkir né Einherjar. Non si trasforma. Sembra persino che, quando distribuisce i premi per la vittoria, non agisca capricciosamente come fa Odinn: gli « uomini valorosi » che lo invocano ricevono l'effetto naturale del loro valore, il che, in un tipo di società dove il primo posto è assegnato ai valori guerreschi, è una forma importante della giustizia, del diritto. Una caratteristica lo contrappone a *W oiianaz-Mer curio persino strutturalmente : secondo i germani occidentali che hanno informato Tacito (Germ. 9 ), solo Mercurio riceve vittime umane, mentre Marte, e anche Ercole, ossia *Tzwaz e * Punraz, sono soddisfatti da vittime animali (tranne ecce­ zioni): l'assassinio per l'assassinio dunque non piace a questi dei propriamente guerrieri. Di fatto pare che *Ttwaz sia stato il patrono di una forma o di un sostituto del diritto, di un diritto non assoluto, ma ottenuto o riconosciuto con mezzi di cui alcuni sono si giu­ ridici, secondo le nostre concezioni, ma gli altri rientrano nell'ambito della forza, del prestigio, o dell'intimidazione '. Il l>ing che decide nei conflitti interni e la battaglia che de­ cide nei conflitti esterni sono varietà di uno stesso genere. La natura guerresca del l>ing è descritta da Tacito (Germ. r r - 1 3 ) per i germani continentali : consident armati. . . nihil neque publicae n eque priuatae rei nisi armati agunt. . . Per approvare scuotono le loro framee, e il segno principale di assenso è armis laudare. La Scandinavia medievale, l'Islanda offrono lo stesso spettacolo: nonostante la « pace del I>ing», nonostante lo sviluppo di un diritto quasi moderno e la pre­ senza di grandi giuristi, gli uomini vi si riuniscono parimenti armati, e, per approvare, brandiscono la spada o la scure op­ pure colpiscono lo scudo con la spada. Tanto che le esposi­ zioni di processi, che, nelle saghe, occupano altrettanto spa­ zio quanto i racconti di singolari tenzoni nell'Iliade, hanno spesso conclusioni drammatiche. Simmetricamente, la batta­ glia è intesa come un giudizio - vapnd6mr, « il giudizio delle armi », dice una perifrasi abituale. Inoltre se i guerrieri, una volta lanciati, si scatenano, i capi rispettano certe forme pri­ ma e dopo il combattimento: Boiorige, provocando Mario, - ­ 2 Su tutta la parte che segue vedi De Vries, Altgermanische Religionsge­ schichte cit., pp. ro-26. GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI gli permette di scegliere il luogo e il giorno in cui si affronte­ ranno i loro eserciti, e accade che una singolar tenzone, vera ordalia con regole strette, sia sostituita, con le stesse conse­ guenze di diritto, alla battaglia collettiva. Questa interpenetrazione del diritto e della forza, questo trasferimento dell'arbitrato umano al giudizio degli dei, fa si che il Mitra dei germani non sia piu rassicurante del loro Varuç.a. Mentre dovrebbe fare si che gli uomini « si inten­ dessero », accordare le loro azioni, presiedere ad accordi e conciliazioni, Tyr è proprio il contrario di uno yatayajjana. Nella Lokasenna, Io schernitore chiude cosi la bocca a Tyr che pretendeva di intervenire a favore di un altro dio : Taci, Tyr! Tu non hai mai saputo ristabilire la pace tra due avversari. .. E Snorri conclude la storia del lupacchiotto Fenrir incate­ nato con queste parole : «Dopo di allora Tyr non è chiamato sa?ttir manna, pacificatore, conciliatore di uomini» . Queste espressioni, che enunciano in forma negativa il carattere del dio, lasciano apparire come il rimpianto di un Diritto piu esatto, constatano un fallimento sia di Tyr che degli uomini che si affidano a lui. 5 . Il monco e il monocolo. La storia del lupo incatenato rivela bene la natura di que­ sto diritto dove tutte le procedure, persino quelle piu sacre, sono atti di guerra (Gylfaginning, capp. 1 3 e 2 1 ) '. Quando nacque Fenrir, gli dei, che sapevano che era destinato a divo­ rarli, decisero di neutralizzarlo prima che crescesse. Odino, il dio mago, fece fabbricare da specialisti un legame sottile come un filo di seta, ma di una solidità a tutta prova, e gli dei proposero al piccolo lupo di lasciarsi attaccare a questo filo inoffensivo, a guisa di gioco, per vedere come se ne sarebbe sbarazzato. Diffidente, il lupo accettò solo a condizione che uno degli dei, come garanzia (at vedi) della sincerità del gio­ co, gli mettesse una mano nella gola. Si trovò un unico vo1 Sul Monocolo e sul Monco, vedi MV', pp. 163-86; ME, III, pp. 268- 283. OCCIDENTALIA lontario, e fu Tyr. Il lupo si lasciò attaccare e non poté libe­ rarsi : resterà cosi, impotente, fino alla fine del nostro tempo, fino al giorno in cui le potenze demoniache liberate attacche­ ranno battaglia contro gli dei e distruggeranno il mondo. Quando capi di essere stato ingannato, il lupo morse e la ma­ no destra di Tyr, la mano-garanzia, fu staccata. Da allora è einhendr, ridotto ad avere una sola mano, ma gli dei hanno ottenuto il lungo rinvio che desideravano. Come si vede, la scena si sviluppa nella sfera del diritto, ma, se il piccolo lupo segue le regole del gioco, esige e riceve una garanzia di cui in seguito dispone senza riguardi, i suoi compagni divini non usano la procedura che per ingannarlo, ed è nella persona, nel corpo mutilato di Tyr che si esprime, conseguenza e simbolo, questa concezione oppugnabile del­ l'uso di una garanzia. Questo mito non definisce solo Tyr in se stesso. Lo defi­ nisce doppiamente in rapporto a Oainn: in primo luogo nel­ l'azione, dove è Oainn, il mago, che fa fabbricare il legame meraviglioso che Tyr, giurista o sostituto-giurista, ha unica­ mente il ruolo di fare accettare; poi nelle mutilazioni, poi­ ché Oainn ha rinunciato a un occhio per acquisire il suo sa­ pere e il suo potere magici, e Tyr sacrifica la sua mano in un atto giuridico. In altri lavori ho sottolineato il parallelismo di questa coppia del Monocolo e del Monco con quella che formano, nella leggenda romana della prima guerra della repubblica, i due salvatori, il monocolo Coelite («il Ciclo­ pe ») e il monco Scevola («il Mancino »). O per nascita, o per un'antica ferita, Orazio Coclite non ha che un occhio, che contribuisce a terrorizzare i nemici, a tenerli a distanza; per indurre il re nemico a credere a una menzogna che salverà Roma, Muzio Scevola mette la mano destra sul fuoco e la fa bruciare. Il dio monco scandinavo è stato anche accostato all'eroe irlandese Nuadu « dalla mano d'argento», a Nodons, dio del passato, che perde parimenti un braccio. Ma Nuadu non fa coppia con un monocolo e le circostanze della sua mu­ tilazione non sono chiaramente funzionali ', di modo che il parallelismo completo si riduce, a tutt'oggi, all'Edda e alla « storia» romana, con differenze nell'intreccio che escludono 2 Nonostante tentativi diversi in MV prima e seconda edizione ( 1940, 1948). GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI l'imitazione e dunque raccomandano la spiegazione sulla ba­ se di un retaggio comune. Inoltre a Roma le mutilazioni non sono applicate alle due figure epiche a cui si penserebbe in primo luogo, ossia al « varut:J.iano » Romolo e al « mitriaco » Numa, ma ad altri due personaggi di cui il rapporto con la prima funzione è almeno poco stretto. Non poteva essere al­ trimenti: nella mitologia, una mutilazione simbolica degli dei è atta a conferire paradossalmente la funzione di cui sop­ prime l'organo; nella « storia» romana, una volta mutilati, i piu grandi personaggi non sono piu qualificati per una ma­ gistratura, e, di fatto, dopo le loro prodezze Orazio Coclite e Muzio Scevola hanno soltanto dignità onorarie, e scom­ paiono dai racconti. L'India, che non contrappone in questo modo un sovrano monocolo e un sovrano monco, d'altro lato ha ampiamente utilizzato il tema delle mutilazioni qualifi­ canti; in particolare s'incontrano un Savitar senza mani (ed è lui a dare !'« impulso» per il sacrificio), e un Pii�an sden­ tato, ridotto alle pappette (ed è lui che protegge la «carne in piedi», il bestiame). 6. Gli usurpatori. Lungi dal costituire un problema e dal richiedere un'in­ terpretazione evoluzionistica, la coesistenza di Odinn e di Tyr è dunque la forma che la bipartizione essenziale della Sovranità assume presso i germani. Un problema accessorio è posto da due racconti di Saxo Germanicus - due varian­ ti? -, dove si vede Othinus detronizzato temporaneamente e sostituito durante questa assenza da un personaggio di ca­ libro ben minore, chiamato una volta «Ollerus», una volta «Mitothyn». Questa relazione di antagonismo e di elimina­ zione reciproca è fondamentalmente diversa dal rapporto di complementarità, di antitesi non conflittuale, che è quello che sussiste tra VaruJ?.a e Mitra, e, naturalmente, tra Romolo e Numa. Tuttavia non è escluso che ci sia stata contamina­ zione di uno dei due tipi da parte dall'altro. « Ollerus » è il dio Ullr ', per il quale è stato notato da tempo come, nella toponimia, escluda Tyr, o quasi: Tyr figu1 De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte cit., pp. 153-63. r 86 OCCIDENTALIA ra in numerosi nomi di luoghi danesi, e in pochissimi topo­ nimi della Svezia e della Norvegia, mentre, viceversa, Ullr non s'incontra nei paesaggi danesi, laddove appare, con nu­ clei isolati di grande densità, in Norvegia e nella Svezia cen­ trale. Di conseguenza si è talvolta pensato che Ullr e Tyr non fossero che due specificazioni di uno stesso funzionario divino. Di fatto accanto a tratti guerreschi testimoniati so­ prattutto nelle perifrasi poetiche e che possono spiegarsi nel­ lo stesso modo del rapporto di Tyr con la guerra, Ullr (Atlak­ viaa 30) ha il privilegio di vedere pronunciare i giuramenti solenni in nome del suo anello (at hringi Ullar) , e indicazioni disgraziatamente brevissime fanno credere che egli si inte­ ressi piu che altri dei dei dettagli della vita, dell'industria umane: secondo Grimnism!zl 4 2 , «colui che tocca il fuoco per primo ottiene il favore di Ullr e degli altri dei �> ; Ullr è l'« Ase [forse l'inventore?] delle racchette da neve » (Ondu­ r!zs), lo « sciatore » (skiafterr) ; e l'esame della toponimia mo­ stra come sia stato spesso associato, sul terreno, a divinità della terza funzione : tutti caratteri mitriaci. In ogni caso il suo nome *wuljJU- bilancia bene, nella prospettiva della So­ vranità bipartita, quello di Odinn, e questo tanto meglio in quanto esiste una forma accessoria di Ullr, Ullinn, costitui­ to con lo stesso suffisso che, a partire da 6ar, ha prodotto Odinn; in gotico, per esempio, wulj:JUs (la stessa parola del latino uultus, « volto») è la gloria maestosa, oé!;a, mentre l'aggettivo wops rende oaLIJ.O'II LséiJ.E'II oc;, allo stesso modo che il sostantivo scandinavo 6ar indica tutte le varietà materiali e morali dell'agitazione frenetica - movimento rapido e fu­ rioso del mare, del fuoco, della tempesta -, e significa anche, per estensione, «ebbrezza, eccitazione, genio poetico ». Quanto all'altro usurpatore, Mitothyn ', il suo nome si spiega nel modo migliore col sostantivo antico-scandinavo mjotuar, propriamente il « misuratore», che indica il destino (-inn è allora l'articolo determinato suffisso), vale a dire qual­ cosa di molto vicino al vedico Bhaga, egli stesso associato cosi strettamente a Mitra. In ogni caso, la sola cosa precisa che Saxo dica di questo Mitothyn è che, durante il suo effi­ mero governo, egli cambierà il regime dei sacrifici: ' Durnézil, Du Mythe au roman cit., cap. vu (cfr. MV', pp. 155-59); De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte cit., pp. 103-4· GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI Egli affermava che la collera e il risentimento degli dei non po­ tevano essere placati con sacrifici uniti e misti; cosi vietò di rivol­ gere loro preghiere collettivamente (communiter), stabilendo per ognuno degli dei libagioni separate (discreta superum cuique liba­ menta), - riforma che Othinus, non appena restaurato, si affrettò ad abolire. Questo mito definisce, riconducendoli alla grande preoc­ cupazione degli dei, i sacrifici, due tipi d'ideale - se non di comportamento - economico : Mitothyn vuole proprietà pri­ vate, separate, dei patrimoni : Othinus è il patrono di un comunismo fondato sulla proprietà collettiva. Il sistema di Mitothyn è quello che la Scandinavia conosce a partire dal­ l'alto Medioevo, e di cui Magnus Olsen ha studiato le impli­ cazioni sacre nel libro Attegard og Helligdom ( 1 9 3 0 ), men­ tre il sistema di Othinus è quello che Cesare aveva descritto nell'excursus del De bello Gallico (6, 2 2 ) dedicato ai germa­ ni continentali ': E nessuno ha una quantità di terra fissa o possedimenti che gli appartengano in proprio (neque quisquam agri modum certum aut fines habet proprios) . Ogni anno i magistrati e i capi distribuiscono terre alle gentes e ai gruppi di uomini imparentati e che vivono insieme, in quantità e in luoghi tali che li giudicano opportuni. L'anno successivo Ii obbligano a trasferirsi altrove (anno post alio transire cogunt). Di questo regime (qui poco importa se teorico o reale, ri­ gido o attenuato) i germani indicavano, secondo Cesare, cin­ que ragioni di cui piu di una sono chiaramente «odiniche» : temono r ) di perdere il gusto della guerra, con u n uso pro­ lungato dell'agricoltura; 2 ) di cedere all'avidità contadina, con le ingiustizie che comporta; 3 ) di diventare esigenti in materia di comfort; 4) che si formino nella loro società fa­ zioni e discordie, per desiderio di ricchezze; 5 ) infine, argo­ mento positivo, il regime comunistico è atto - dicono - a soddisfare e a contenere la plebe, « poiché ognuno constata che le sue ricchezze sono uguali a quelle del piu potente». Cosi né Ullr né «Mitothyn » mancano di tratti mitriaci, ma il fatto che il rapporto di queste figure con Odinn sia di ostilità e non di complementarità, che ci sia usurpazione tem- OCCIDENTALIA r88 poranea e non collaborazione o successione, anche il fatto che Saxo sia il solo a comunicare questi miti romanzeschi, non permettono una conclusione sicura. 7. I sovrani di riserva. La coppia, ben disuguale, che formano Odino e Tyr non riceve il rinforzo di nessun sovrano minore : Odino domina da solo la prima parte, cupa, della storia del mondo, Tyr non è meno solo nella parte di dominio che gli resta, ed entrambi, come quasi tutti gli dei, attendono di sparire per sempre nel­ la catastrofe donde sorgerà un mondo migliore, e persino eccellente, presieduto da un'altra generazione di dei ' : i figli di l>6rr ritroveranno il martello del loro padre, la figlia della dea Sole sostituirà sua madre, e due figli di Odino, Baldr e Hoor, si assumeranno la funzione di loro padre. D'altronde sarà per loro la conclusione di un grave dramma personale, poiché Baldr e Hodr dapprima hanno fatto parte del mondo di Odino, ma colpiti entrambi da ùna fatalità : Hodr era cie­ co, e una delle clausole dello stato di Baldr, del luminoso, puro e giusto Baldr, era che i suoi giudizi non si realizzava­ no. Peggio ancora: il demoniaco Loki ha montato una mac­ chinazione che li ha spediti nel paese di Hel, ossia di quei morti che non hanno avuto il privilegio di morire in combat­ timento, ed è là che attendono anch'essi la battaglia escato­ logica, alla quale non parteciperanno, ma che permetterà la loro ricomparsa e quello che pare proprio essere il loro regno congiunto. Altrove 2 ho indicato ragioni per interpretare questi due personaggi - il giovane e il cieco - come l'approdo dei so­ vrani minori, trasformati nelle loro nature, nei loro posti, nelle loro destinazioni dall'intervento dell'escatologia : una coppia di categorie non utilizzate a Roma e nei Veda, il prov­ visorio e il definitivo, il « prima» mal regolato e il « dopo » riuscito, ha comportato un'altra ripartizione dei sovrani. Si sarebbe tentati di vedere in questo cambiamento un tratto 1 Gylfaginning 37-38, 6r. 2 DG GAN, cap. m, It dramma del mondo: Balder, Hoder, Loki; ME, P, pp. - 222-37. GLI DEI SOVRANI DEGLI SCANDINAVI originale della teologia scandinava, se, in Irlanda, il Figlio Giovane non si sostituisse per l'eternità a suo padre, al dio sovrano Dagda, come abbiamo visto, e soprattutto se il Ma­ habharata, considerato come la trasposizione epica di una mi­ tologia molto antica, vicina ma diversa da quella dei Veda e dominata, come la scandinava, da una prospettiva escatolo­ gica, non presentasse una configurazione di re e di quasi-re - i primi concepiti a imitazione di Varut:ta e di Mitra, i se­ condi di Aryaman e di Bhaga - molto vicina a quella che con­ ferisce ai racconti dell'Edda tanta potenza drammatica. Ma il disegno del presente libro termina sulle soglie del Campo dei Kuru, al di qua del Crepuscolo degli Dei. 8 Nota finale Tali sono i dati primari da cui sono partite esplorazioni molto diverse, teologiche, filosofiche, liturgiche, letterarie, specialmente quelle di cui la Prefazione ha presentato l'elen­ co. Dati gli uni centrali, quelli che concernono l'articolazione delle tre funzioni; gli altri interni alla prima funzione, la sola, pare, per cui i f�i vedici, i riformatori iranici, e già i dottori indoeuropei, si siano preoccupati di disegnare una tavola coe­ rente, fatta di concetti piu che di immagini. È nel settore indoiranico che la ricerca ha trovato i mate­ riali nelle condizioni piu favorevoli, grazie alla natura pro­ priamente religiosa, all'antichità e all'abbondanza delle te­ stimonianze accessibili. Tra i popoli occidentali, nonostante la presentazione attenta e relativamente strutturata dei trat­ tati mitologici del cristiano Snorri, i germani sono stati lungi dal fornire l'equivalente, - e non parlo della nostra igno­ ranza di quasi tutti i rituali scandinavi. Quanto alla religione romana piu antica, il conservatorismo e lo spirito giuridico dei suoi fedeli permettono si di osservare l'anatomia e la fisiologia dei due frammenti di teologia qui considerati, ma, poiché sono andati distrutti tutti i trattati degli specialisti, essa deve essere ricostruita a partire da numerose indicazioni generalmente brevi, sparse in testi eterogenei, ma fortunata­ mente convergenti. Questi bilanci « provinciali» mettono in evidenza corri­ spondenze e divergenze, dove le ultime derivano sia da una diversità già acquisita prima della dispersione, sia da evolu­ zioni separate dei « campi ideologici» dopo la dispersione. Ovunque permane lo schema delle tre funzioni, espresso in liste canoniche di dei. Ovunque permane la bipartizione del­ la funzione sovrana, con gradi disuguali di avanzamento nel processo di diminuzione del « lato Mitra». Ma, intorno a que- NOTA FINALE ste costanti, hanno avuto luogo riorganizzazioni già prima dei primi documenti: cosi, come terzo termine della lista canonica, ciò che a Roma è messo in evidenza da « Quirinus» non è né quello che gli indoiranici esplicitavano nei gemelli Nasatya, né ciò che rivelava, nel tempio di Uppsala, l'ingens priapus di Freyr. Le differenze piu notevoli si situano, all'interno della pri­ ma funzione, nella relazione della coppia dei sovrani minori con la coppia dei grandi dei. Relazione senza cronologia nella teologia vedica, ma altrove sempre rapporto di generazioni, o almeno di « prima e dopo », con varie specificazioni: nel Mahabharata, gli eroi concepiti a imitazione di Aryaman e di Bhaga, zii dell'eroe ispirato al modello di Mitra e dapprima arruolati nel partito dei suoi avversari, si alleano a lui con un'intera efficacia funzionale solo dopo la grande battaglia, che è anch'essa la trasposizione di una crisi escatologica. Nel­ l'Iran di Zoroastro, le Entità sostituite agli stessi Aryaman e Bhaga, Sraosa e Asi, certamente sono e resteranno attive, e dalla «buona » parte, fìno alla crisi escatologica, ma è solo in seguito che daranno interamente prova del loro valore accanto ad Ahura Mazda. A Roma dove la crisi, tradotta in termini storici, è spostata nel passato (fine del regnum e ini­ zio della libertas), le divinità che corrispondono agli stessi Aryaman e Bhaga, Iuuentas e Terminus, sono topografìca­ mente, nel sito capitolino, « anteriori » a Iupiter, di cui « di­ ventano » successivamente i collaboratori, grazie alla loro ostinazione. Gli scandinavi hanno conservato l'escatologia nel futuro, ma hanno messo da parte per questo avvenire gli eredi dei sovrani minori indoeuropei, affinché vi sostitui­ scano gli dei sovrani attuali, che saranno periti: finché sono vissuti nel mediocre mondo divino che precede la crisi, le decisioni del giovane conciliatore sono state condannate al­ l'impotenza, e l'altro, colui che avrebbe dovuto essere il giu­ sto distributore dei beni e delle sorti, non ha conservato del Bhaga vedico che il suo lato cattivo, la sua cecità, e ha com­ piuto, d'altronde senza saperlo, il piu grande misfatto di tutti i tempi; è solo dopo la crisi che presiederanno entrambi, fra­ ternamente, alla vita di una società divina rinnovata, puri­ ficata. Poiché gli annientamenti e le rinascite del mondo interfe­ riscono cosi con la teologia della Sovranità, si vorrebbe poter NOTA FINALE 1 93 osservare simmetricamente e paragonare gli dei sovrani dei popoli indoeuropei nei loro rapporti con l'altra estremità della storia, con l'inizio, la cosmogonia. Piu cosmogonie so­ no oggi presentate al pubblico : quella, strettamente vedica, di N. Norman Brown, The Creation Myth of the Rig Veda (in ]AOS, LXII, 1 942 , pp. 85-9 8 ), e quella che F. B . J. Kuiper ha messo a punto da tempo e di cui ha dato ora un riassunto, The basic concept of the Vedic religion (in «History of Re­ ligions », xv, 1 975, pp. ro r-2o); quella, recentissima, di Bru­ ce Lincoln, The Indo-European Myth of Creation (ivi, pp. 1 2 1 -45) ; quella di Boris L. Ogibenin, Structure d'un mythe védique, le mythe cosmogonique du J3.gVeda (Mouton, La Haye 1 973 ). Preparate da punti di vista e con procedimenti diversi, queste quattro proposte non concordano. Personal­ mente, non vedo ancora il modo di affrontare tale argomento con quel minimo di sicurezza che è necessario; per restare al punto di vista del comparatista, persino i miti scandinavi, iranici, indiani di sacrificio o di assassinio primordiale (del Bave, dell'Uomo), che sono stati messi spesso in parallelo, sono organizzati troppo diversamente perché se ne possa estrarre l'abbozzo di un prototipo comune. Quanto al metodo, nel corso del libro mi sono sforzato di fare emergere le articolazioni delle analisi e dei ragionamenti. Circa i mezzi e la portata del lavoro qui mi limiterò a sotto­ lineare quattro punti che ho potuto menzionare solo inciden­ talmente. r ) In ogni circostanza lo studio è partito dalla considera­ zione dei fatti piu esterni: raggruppamenti di divinità, sim­ metrie, gerarchie, frequenze relative, affinità, antagonismi; lo studio interno di ogni tipo divino ha avuto luogo solo in seguito. Si capisce facilmente la necessità di questo procedi­ mento: in un politeismo, un dio, foss'anche il piu importan­ te, in genere non si definisce chiaramente che nei suoi rap­ porti con un certo numero di altri dei, per la posizione che occupa in un insieme ordinato, per il ruolo che svolge in uno o piu meccanismi di cui non è che un elemento. Se in primo luogo non si riconoscono, nelle loro grandi linee o nella loro motivazione fondamentale, questo insieme e questo mecca­ nismo, salvo ritoccarne piu tardi il disegno, si rischia di non poter reperire né il contorno né il centro della zona di atti- 1 94 NOTA FINALE vità del personaggio : cosi sono nati sia il « Marte agrario» di Mannhardt e di Domaszewski che il Mitra confuso e de­ viato di Ganda. In realtà, come in tutte le scienze d'osserva­ zione, la ricerca del piano e l'attenzione al dettaglio proce­ dono di conserva, l'una controllando l'altra in un continuo andirivieni; ma la primissima veduta della materia deve av­ venire dall'alto abbastanza perché la provincia teologica che si considera appaia subito con i tratti piu forti della sua orga­ nizzazione. 2 ) Anche se evidente, l'etimologia di un nome divino for­ nisce raramente un buon punto di partei').Za. Ogni dio di una qualche importanza sfugge alla schiavitu del suo nome. Ac­ cade che uno stesso nome designi, in due parti del settore indoeuropeo, divinità che sono procedute in sensi talmente diversi che non appartengono piu allo stesso insieme. Il caso tipico è quello degli eredi di *Dyeu- (*Div-), etimologica­ mente <� Cielo Luminoso ». Nell'India, Dyau� (Div-) è resta­ to confinato in questa definizione naturalistica, con l'ampia paternità e la quasi-passività che ne derivano normalmente. Al contrario lo ZEuç (atF-) greco, lo Iupiter (Iou-) romano si sono inseriti cosi bene nel sistema delle tre funzioni, che, a prima vista, vi assicurano, da soli, tutti gli uffici del livello superiore. Inversamente, fra l'unità indoeuropea e l'emer­ genza delle società indiana, romana, germanica ecc., gli acci­ denti delle storie separate hanno fatto si che, nella struttura trifunzionale ben conservata, gli dei della stessa funzione portino quasi sempre nomi di origini diverse; per esempio Iupiter corrisponde a Varut:Ja, come gli corrisponde anche, con maggiore originalità, l'Odinn scandinavo. Conseguenza: l'etimologia del nome di Varul).a, conteso da radici diverse che significano «coprire », «dichiarare», « scegliere», resta piu che incerta, senza che la cosa turbi minimamente lo stu­ dio diretto e comparato del suo comportamento; quella del nome Mitra, «Contratto », è piu che probabile, ma il concet­ to che valorizza non è che uno degli aspetti di una compe­ tenza di cui solo l'osservazione scopre tutta l'estensione. 3 ) Il procedimento comparativo non rivela nulla sugli av­ venimenti della preistoria, migrazioni, soggiorni, soste, con­ tatti, imperi effimeri o prolungati, trionfi e catastrofi con le loro conseguenze etniche e sociali. Non meno di prima siamo incapaci di ricostruire, di intravvedere le cronache che, in NOTA FINALE 1 95 mille anni, in duemila o tremila, hanno prodotto, a partire da un prototipo comune o da prototipi simili, le tavole teo­ logiche e i corpora mitologici attestati nei primi documenti. Il riconoscimento del procedimento con cui il o i riforma­ tori iranici hanno creato la lista delle Entità con una reinter­ pretazione della lista degli dei delle tre funzioni non permet­ te di decidere in quale tempo visse Zoroastro : se altri motivi fanno sempre preferire gli inizi del secolo VI, la nostra ana­ lisi si adatterebbe altrettanto bene a quel secolo x che Mary Boyce intraprende a mettere di moda. Ciò che consente la comparazione ha un valore sufficiente perché non si aggiun­ gano anche soddisfazioni illusorie. Analogamente, oggi certi archeologi pensano di poter etichettare sul terreno le tracce di tappe, di soste relativamente lunghe durante gli sposta­ menti degli indoeuropei «orientali » . Forse hanno ragione, ma si tratta di una ricerca completamente diversa di cui non si vede ancora se sia destinata a confluire, per rinforzi e cor­ rezioni reciproci, con l'indagine ideologica qui condotta. 4) Quanto a quella che resta la Terra promessa di ogni studio ideologico, specialmente di ogni « mitologia compa­ rata», vale a dire la scoperta di leggi relative al funziona­ mento dello spirito umano, lasciamo ad altri la speranza che sia alla nostra portata, se non in nostro possesso. Insensibili al miraggio dei grappoli che già portano i primi esploratori, sappiamo bene che la marcia - anche se nessuna catastrofe la condanna ad arrestarsi o a regredire in attesa di una nuova partenza - sarà comunque faticosa, lunga, secolare. Occorre­ ranno, in campi diversi da quello indoeuropeo, in tutte le « famiglie» culturali dai membri geograficamente lontani, comparazioni genetiche dello stesso tipo delle nostre, che consentano a loro volta di indicare, a grandi linee, evoluzioni divergenti, a ventaglio, a partire da prototipi comuni; accor­ reranno anche raffronti tipologici innumerevoli, che rivelino specie di solchi di evoluzione; saranno soprattutto necessari enormi progressi, oggi inimmaginabili, nella fisiologia, nella dinamica delle cellule e delle strutture cerebrali di cui gli spiritualisti sanno bene che condizionano la realizzazione di ogni pensiero discorsivo. Ciò significa forse che i nostri risul­ tati, limitati e provvisori, hic et nunc, non interessano coloro che amano le idee ? Certamente no, ma, in questo stadio, han­ no un interesse estetico piuttosto che scientifico, e quello che NOTA FINALE propongono alla meraviglia del lettore è anzitutto la libera, l'infinita fecondità dello spirito umano. In questo senso gli spettacoli scelti non mancano. Presso i germani della Scandi­ navia e di altrove, tutto il gradiente delle tre funzioni sotto i nostri occhi è sceso di una semifunzione per il fatto che la seconda trabocca nella prima, al punto che il dio del diritto è sentito come un Marte dagli informatori di Tacito. Ovun­ que, sono diversi i due rappresentanti canonici della terza funzione: due gemelli nei Veda e a Boghazkéiy; in Zoroastro, due Entità che, semplicemente, hanno nomi con terminazioni simili; a Roma un Quirinus, anch'egli gemello, ma che si sba­ razza ben presto di Remo e non lo comprende nel proprio culto; in Scandinavia un padre e un figlio, Njéirdr e Freyr, ma strettamente associati nelle leggende e in attività quasi si­ mili. La conservazione, nonostante la sua relativa debolezza, del dio sovrano del «lato Mitra », assume forme ben diverse: se i due grandi sovrani sono ancora pressoché equilibrati sia nei Veda che nella trasposizione zoroastriana, Dius Fidius si è quasi fuso in Iupiter, e Tyr - che d'altronde tradisce la sua vocazione diventando il contrario di un conciliatore - si è subordinato a Odinn, come il complesso degli dei. E quali insegnamenti in campo ideologico a Roma, nell'evoluzione dei sovrani minori che, accanto ai grandi sovrani, da sempre proteggevano l'uno la coesione e la durata della società o del­ la nazionalità; l'altro la giusta distribuzione dei beni e delle sorti - con i colpi imprevisti del destino, sullo sfondo, dove l'esperienza smentiva l'ideale! Nel posto che occupano, in India, Aryaman e Bhaga, Roma colloca, nello stesso tempio di Iupiter, una Iuuentas che stacca, privilegia la parte piu uti­ le della società, militarmente e germinativamente parlando, e un Terminus che, sorvegliando anzitutto il rispetto dei con­ fini, ha ceduto il governo del capriccio a una divinità origi­ nale, Fortuna; poi, in piena storia, catturati dall'imperiali­ smo romano, Terminus nega se stesso assicurando alla Città un dominio senza limiti, e Iuuentas, dimenticando gli iuuenes di Roma, veglia sulla sopravvivenza di un impero snaziona­ lizzato . . . Certo queste trasformazioni e queste deviazioni si possono spiegare, ma dobbiamo dire che, nelle stesse condi­ zioni di tempo e di spazio, altre si sarebbero potute verificare e non si sono verificate. Lo spirito umano sceglie incessante­ mente tra le sue ricchezze latenti. Perché ? Come ? Appendici In questa traduzione italiana non è compresa la seconda Appendice del libro originale. Appendice prima Le tre funzioni nel �gVeda e gli dei indiani di Mitanni Nell'Introduzione sono state studiate nei particolari due delle testimonianze del raggruppamento degli «dei di Boghazkoy» che contengono gli innari vedici e i rituali. Un bilancio piu ampio era stato presentato nel I 96 I col titolo Les « trois fonctions » dans le �gVeda et les dieux indiens de Mitani, in « Académie Royale de Belgique, Bulletin de la Classe des Lettres et des Sciences Mora­ les et Politiques», V serie, 47, pp. 265-98. Questo articolo era in contrasto con quello che Paul Thieme aveva pubblicato l'anno precedente, The « Aryan» Gods of the Mitanni Treaties, in JAOS, LXXX, pp. J O I - I J . È sempre attuale. Ne riproduco qui i paragrafi I-I J, migliorati in alcuni punti. 1 . La ricerca, attraverso i testi vedici, di testimonianze a fa­ vore dell'« ideologia tripartita », nel senso preciso in cui uso l'e­ spressione, verte su piu serie di nozioni. Le principali sono: la serie dei tre gruppi umani che compongono, idealmente almeno, tutta la società (preti; guerrieri; allevatori-agricoltori), con quella dei principi corrispondenti (brahman, k�atra, vii) ; serie di no­ zioni che, senza fare direttamente riferimento a queste tre atti­ vità, si distribuiscono negli stessi settori ( sacro e potere; forza e vittoria; ricchezza, fecondità, salute, ecc.); infine la serie delle di­ vinità ugualmente documentate, nel secolo XIV a. C., nel trattato mitannico-ittita delle tavolette di Boghazkoy (Mitra-Varul).a, ln­ dra, i due Niisatya). In pratica, poiché, nei casi piu istruttivi, uno stesso testo fornisce materiale per due di queste rubriche, e tal­ volta per tre, non è né comodo né prudente trattarle separata­ mente. 2. Si può tuttavia notare che, abbondantemente utilizzata nei libri in prosa con i nomi classici dei vart:ta (briihma1Ja, riiianyà o ksatriya, vaiiya), la prima serie è presente solo in pochissimi passi 200 APPENDICE PRIMA degli inni. Tranne una strofa del puru�asukta (.{{V I O , 90, 12 = AV I 9 , 6, 6) 1 e alcuni testi dell'AtharvaVeda (cosi 5, q, 9, una delle strofe che questo inno aggiunge a .{{V Io, I 09 ; I 9 , 3 2 , 8, dove arya sostituisce o significa specificamente vaiiya 2), un solo testo è incontestabile: in .{{V 8 , 35, tre strofe consecutive, dove il re­ sto è identico, cominciano con vePSi simmetrici 3 : r6. Favorite il brahma!J, favorite le preghiere (dhlyaiJ) ... k!atra, favorite gli uomini (nfn) ... I 8 . Favorite le vacche (dhenul?), favorite i viiaiJ .. . 1 7 . Favorite il •. E inoltre si vede che, al di sopra degli uomini di guerra e dei viia�, la funzione sacra non è presentata nei suoi agenti, ma solo nel suo principio e nei suoi mezzi. Gli altri passi che sono stati prodotti o che lo potrebbero es­ sere non mostrano questa struttura simmetrica la quale soltanto assicura l'intenzione classificatoria del poeta 5• Uno dei piu proba- 1 Questa strofa s'incontra in altre raccolte vediche con lievi varianti che non concernono i nomi delle classi. e Qui opposto piu 2 In due coppie, specificamente a designa probabilmente l'insieme degli uomini iirya, ma, poiché gli uomini delle prime due funzioni dapprima sono stati estratti dalla massa, è comunque al resto di questa massa, ai vaifya, che pensa il let­ tore vedendo successivamente Nei due testi citati, l'uomo di seconda non funzione è chiamato « in REL, XXXI 3 Dumézil, « ( pp. migliorato in IR, pp. dove sono contrap­ posti i significati di (III funzione) e di (II e I funzione) in formule vediche. • La nozione di è ambigua, o piuttosto questa nozione unitaria in­ diana ha due poli che non è affatto possibile riunire in un solo vocabolo ita­ liano: « Herrschaft », « potere », se si vuole, ma talvolta nel senso di sovra­ nità costituita, generale, che governa ( « potere temporale », accanto a « potere spirituale », diceva A. Coomaraswamy con un anacronismo de­ liberato), talvolta considerato in quella che è spesso la sua origine e sempre il suo sostegno, la sua manifestazione piu vistosa, la sua tentazione : la forza fisica, e soprattutto quella dei guerrieri. Nella terminologia qui usata, ciò equivale a dire che lo è equilibrato o sul suo polo di prima funzione, op­ mentre i suoi aspetti violenti si attenuano (per esempio pure sul suo polo di seconda funzione, dove si attenua il suo aspetto ammi­ Il contesto permette rara­ nistrativo (per esempio, al plurale, mente di decidere. La parola s'incontrerà due volte nelle strofe citate nel ed en­ corso della presente relazione, entrambe le volte opposta a trambe associata ad altri termini che provano come appartenga alla seconda funzione: in è chiarita dal plurale di che, nelle formule antitetiche, indica l'uomo eroico (vedi nota precedente); in le due coppie di nozioni parallele e « burro sacrifi­ « battaglia », sono disposte in un chiasmo dove asso­ cale », rientra nell'ambito dello e lo ca­ ciato paradossalmente al ratterizza, mentre il strumento di culto, associato paradossalmente allo è unito al • 5 Penso soprattutto ad Apte, W brahma-riijanyà, iudra 4rya. iudra, I953), 4rya, 4rya. riijanyà, k!atriya. ner·» et uiro·» dans les langues italiques, I75-76, I969, 225-4I, vira nar k!atra man, k!atra {{V 8, 35. Ila, {{V 8, 37, 7). brah­ {{V 7, 6o, II), brahman nar, {{V I, I57, 2bc, brahman - k!atra ghrta, pftanii, prtanii, brahman, ksatra ghrta, ksatra, brahman. ere castes formulated in tbe age of the LE TRE FUNZIONI NEL l}GVEDA 201 bili è, in .!,<V ro, 8o ( ad Agni), il gruppo delle strofe 4 e 5 , che sembrano alludere agli stessi « tre stati », distinguendo nei loro significati arcaici vira, « l'uomo produttore » o « l'uomo ricchezza » (figli, aiutanti, massa) e nar, « l'uomo eroico », prendendo il f�i come tipo dell'<womo sacro », e raggruppando i tre a due a due in espressioni simmetriche: 4· Agni dona la ricchezza (dravil:zam), che ha per ornamento i vira (virapefiil;) ' dona un f�i che guadagna migliaia (r!il?1 yal; sa­ hasrii san6ti) , Agni ha portato il sacrificio fino al cielo. Le forme di Agni sono distribuite in molti luoghi. 5 . È Agni che i f!i invocano da ogni parte con inni (ukthair f�ayo vi hvayante), Agni (che invocano) gli uomini che si affrettano nella marcia verso il combattimento (naro ydmani bhiiditdsa!;) ... , La fine della strofa completa questo elenco dei tre tipi di uomi­ ni, come accade altrove, con la menzione di animali (gli uccelli del cielo, i bovini) 7 • 3· In termini generali, per questa serie di uomini come per le altre, si constata senza sorpresa che i testi che si propongono sono inni o frammenti di inni indirizzati a divinità che o la loro teo­ logia fondamentale o un'intenzione occasionale induce il poeta a celebrare o a pregare in quanto trivalenti, o in quanto onnivalenti, dove questa onnivalenza si enuncia volentieri, con o senza termi­ ni generalizzanti, attraverso le tre funzioni. Il tipo della divinità fondamentalmente onnivalente e triva­ lente è Agni. In ogni luogo, in ogni cosa Agni si trova a casa pro­ pria, e un inno intero (.!,<V 2, r } ha il compito di identificarlo con la maggioranza degli dei. Ma è piu specificamente triplice, in rap­ porto per esempio con i tre livelli dell'universo e con gli dei di tali livelli. Ed è anche nei suoi inni che si raccoglie il maggior numero di formule trifunzionali (il quale non è peraltro molto Rig Veda?, in « Bulletin of the Deccan College, Research Institute», 2, pp. 34-46. A causa dell'ambiguità di rajan (paragonabile a quella di k�atra: vedi « Kratylos », IV ( 1959), p. I I I , nota I ), e sebbene gli inni preferiscano riija­ nyà al secondo livello, la�cio da parte il testo che compone viSaf?, brahman e rdjan (�V 4, 50, 8). I tre titoli di Agni paiono trifunzionali : kavi (I fun­ zione), grbapati o viipati ( III funzione), yuvan (II funzione, tenuto conto del valore della parola determinato da Benveniste, in BSL, XXXVIII ( I937), pp. I03·12; cfr. Dumézil, ivi, XXXIX ( 1938), pp. 185-93. al neutro in questo tipo raro di aggettivo vedi ' Sull'estensione di A. A. Macdonell, I91o, p. 228 ( 1 2 esempi, di cui 6 nel e Wackernagel-Debrunner, III, 1929, p. 288. 7 Cfr. qui, p. IO. Che queste strofe siano strutturate, in quanto riunisco­ no intenzionalmente i tre tipi di uomini, induce a crederlo la strofa 3, che è strutturata in un altro modo, poiché riunisce quattro servigi personali resi da Agni a uomini che sono nominati. -iif? Vedic Grommar, Altindianische Grammatik, S.V), 202 APPENDICE PRIMA alto). Ne ho appena citata una, che concerne i tre tipi di uomini (�V Io, Bo, 4- 5 ) •. Nel I938, E. Benveniste ha commentato in questo senso �V 8, 7 I , I 2 •, reso cosi da Louis Renou : Agni in vista del sacrificio divino (devaya;yayii) , quando la cerimo­ nia è in corso, Agni in primo luogo nelle pregh ie re (dhip;); Agni nel combattimento (arvflti); Agni per la prosperità del campo (k�aitriiya sadhase) 10 ! Si può discutere sul valore preciso di arvat (opposto piu volte, nell'innario, al plurale di dhi, come in gathico, aurvat è contrap­ posto a vahma, « preghiera », in Yasna 5 0 , 7) ", ma è certo che in questa strofa si tratta successivamente del culto della vittoria guerresca o sportiva, e del successo agricolo. 4· Dopo aver detto, alla strofa 5 cd, che il clan, la vii di cui Agni è l'ospite, prevarrà, col sacrificio, sugli (altri) mortali, il poeta di .{{V 5 , 3 , distribuisce nella strofa 6 cd una triplice pre­ ghiera al dio, prevedendo, pare, le tre occasioni principali di que­ sta superiorità: (Possiamo noi , o Agni, prevalere sui mortali) noi, nella battaglia (samaryé), negli atti cultuali dei giorni (vidathe�v ahniim), noi con la ricchezza (riiya) ". ' Cfr. qui, p. 201 . • Benveniste, Traditions indo-iraniennes sur le classes sociales, in ]A, ccxxx ( 1938), pp. 545-49. Benveniste pensa che questa divisione funzionale si irradi su tutto l'inno. 10 La traduzione di Geldner è molto inverosimile. Nelle sue note testuali ed esegetiche, H. Oldenberg mirava a correggere kFaitriiya in kFétriiya, a causa dell'accento; il senso non sarebbe cambiato (Abhandlungen di Gottin­ gen, 13, 3, 1913, p. 1 33). 1 1 In Yaina I I , 2, aurvaf è inserito nella tripartizione funzionale come l'animale che corrisponde al basar (cavaliere), giustapposto allo zaotar (pre­ te; animale: il bove) e allo x•aiar (coltivatore; pianta: lo haoma); cfr. Ben­ veniste, Traditions indo-iraniennes cit., p. 538. 12 Geldner riunisce arbitrariamente i primi due termini : (( nella competi­ zione nei sacrifici quotidiani ». Per vidatha, L. Renou, Études védiques et pii1Jinéennes, III, 1957, p. 36 (ad �V I, 92, 5c): (( Thieme Unters., p. 35, parte giudiziosamente da " ripartizione" (rad. vi-dhii- modificata in vid[h]-, poi vid-), per approdare a sfumature diverse, abitualm. a "sacrificio" ; qui "per i riti " ». In seguito Renou ha tradotto spesso (( ripartizione dei beni, rip. donativa » - come onorari di sacrifici. Se si accetta l'etimologia di P. Thieme, comunque, atti rituali o retribuzioni di tali atti, la presente espres­ sione non può fare praticamente riferimento che alle articolazioni regolari dei giorni, del calendario. L'interpretazione delle Untersuchungen, 1949, p. 38 - << distribuzione del bottino di guerra dopo la battaglia» - è esclusa da ahniim : le battaglie non si fanno a (( giorni » fissi; Thieme ritiene che (( nelle distribuzioni dei giorni » sia un'espressione che equivale a (( nelle di­ stribuzioni del bottino del giorno »; io non vedo come si possa passare da questo plurale a questo singolare, da questa generalità regolare a questa pre- LE TRE FUNZIONI NEL �GVEDA 203 5· I Marut non sono dichiarati esplicitamente « triplici », tri­ funzionali, come lo è Agni. Ma tale è invero la loro natura. Se appartengono fondamentalmente alla seconda funzione (giovani guerrieri atmosferici, armati, truppa di Indra), hanno rapporti spesso esaltati con l'acqua e la fecondità, in quanto facitori di pioggia, e, d'altra parte, testi numerosi li presentano come can­ tori, incantatori dalle parole, dagli inni, dalle preghiere efficaci, e persino come preti (5, 2 9 , 3 , al vocativo, brahmiit:zo marutaf?) ; cfr. i primi paragoni che ne sono fatti all'inizio di ro, 78, prima di quello del rdjan e di quello dei marya : vipriiso na manmabhi� . . . deviivyò n a yajiiai� " . Cosf non siamo sorpresi di leggere l a pre­ ghiera con cui {{V 5, 54, 1 4 , chiede loro tutto, - un tutto analiz­ zato secondo le tre funzioni e completato, coronato dalla menzio­ ne di un buon rajan : yuy!zf!l rayim Maruta spiirh!zvzraf!1 yuy!zm f�im avatha sdmavipram yuy!zm !zrvantam Bharatdya vdjaf!1 yuy!zf!l dhattha rdjiina'!l Jru�{im!zntam. Siete voi, Marut, che (donate) la ricchezza che consiste di vira desi­ derabili; siete voi che aiutate il f#, cantore di melodie; siete voi che donate a Bharata corsiero (arvantam) e vittoria [o: « botti­ no, posta», vdjam] ; siete voi che procurate un re che si fa ubbi­ dire! 6. Diversamente da Agni, ma anch'essi in modo stabile, i tre �bhu sono divinità trivalenti. I loro tre capolavori e gli dei che ne sono i beneficiari li mettono in rapporto, distintamente o col­ lettivamente, con le tre funzioni ". Si spiega cosf come uno degli cisione accidentale (3, 8, 5ab non è un argomento: ahniim non vi compare che nell'espressione sudinatvé ahniim di a - che d'altronde è arbitrario in­ tendere « se i giorni di lotta cominciano favorevolmente » -, espressione mol­ to generale, giustapposta, ma senza rapporto, a samaryé e a vidathe di b : Agni (il già) nato, nasce « nella bellezza dei giorni », ossia, con ogni proba­ bilità, in quella che i Mabinogion gallesi chiamano << la giovinezza del gior­ no », che si tratti di giorni di lotta o di giorni di sacrificio (per questo senso, cfr. le espressioni raccolte nelle Untersuchungen, p. 45 ); nel medesimo inno, alla strofa ro, le due stesse nozioni sono riprese dai locativi vihavé e Prta­ na;ye�u). Quanto a samarya, la parola designa o una vera battaglia, o una competizione, specialmente tra preti officianti, paragonata esplicitamente o no a una battaglia (ciò che è possibile in 3, 8, 5b, ma non in 5, 3, 6c, data la strofa precedente che prova che « noi » non sta a indicare specificamente i preti, ma il popolo, la vii in nome della quale essi parlano e officiano). 13 Cfr. il mio confronto dei Marut con i Fravasi dello zoroastrismo, in ]A, CCXLII ( 1953), pp. r B-24; Kaj Barr, Avesta, 1954, p. 199. " Vedi le analisi e i paragoni (germanico, romano) in Dumézil, Tarpeia cit., pp. 207-14. La spiega2ione di �V I , I I I , è stata fatta in un corso del APPENDICE PRIMA inni che sono loro rivolti sia quasi interamente trifunzionale. Nel­ la prima strofa .{{V I , I I I , celebra (completandoli, nel terzo ver­ so, con un quarto e ultimo miracolo, col ringiovanimento dei loro vecchi genitori) quei tre capolavori la cui esecuzione è stata la gloria e ha persino assicurato il rango divino dei tre artigiani tau­ maturghi ": il carro rapido che permette agli Asvin i loro viaggi di beneficenza, i due cavalli del combattente Indra, la vacca ma­ gica del dio-prete Brhaspati. Con la strofa due cominciano le pre­ ghiere. 2. d no yajndya tak!ata r;bhumad vayaf? kratve dak!iiya suprajtivatim i!am yathii k!ayiima sarvavirayii vifri tan naf? sardhiiya dhiisathii sv ìndriyam. Formateci, per il sacrificio (yajndya) , una forza vitale [o: «una bevanda da offrire» ?] della natura dei �bhu, per l'energia [in due forme, kratu e dak!a] una forza bene generatrice ; affin­ ché noi abitiamo tranquillamente con una viS composta di uomini (vira) al completo [o « sani»], vogliate conferire alla nostra truppa guerriera (fardhiiya) il vigore di Indra. Con un secondo verso riempitivo, che non fa che ripetere il primo (le due varietà di forza indicate da i� e vaya/;J sono vicinis­ sime; kratu e dak�a appartengono, almeno parzialmente, alla stes­ sa zona semantica che yajiia ") , la strofa chiede, nelle altre tre: I ) i mezzi di un potente sacrificio; 2) una vita tranquilla e pro­ spera (k!i-) della massa (vii, che è anche sostanza della terza clas­ se sociale), e di una massa sarva-vira, senza lacune o senza ma­ lattie "; 3) infine, per assicurare (yathii) questa vita tranquilla, le qualità eroiche, « indriache », necessarie agli specialisti del com­ battimento, a quello sardha(s) in cui Stig Wikander ha ricono­ sciuto la società dei giovani guerrieri ". Come si può vedere, le preghiere appartengono rispettivamente alla prima, alla terza e alla seconda funzione. Dopo una strofa che, per intero, sviluppa la preghiera di vit­ toria (ji-, sah-), con il suo oggetto e la sua conseguenza econo­ mici, « l'acquisizione, il guadagno » (siiti), viene una quarta strofa, molto notevole : I 0 in tre versi, dapprima invita a bere il soma, Collège de France, 1'8 gennaio 1953, come quella della maggioranza dei testi qui presentati che concernono Agni. 15 Cfr. specialmente {{V r, r6r, 6. 16 Su kratu e dak�a vedi qui, p. 50 e nota 5· 1 7 Vedi qui, p. 2 14, nota 40. Siiya':Ja: sarvair v'iraip putriidibhir upetayii visii prajayii saha. Cfr. a Roma, con una sfumatura simile, i Quirites ( civil i, per opposizione ai milites) e Qt1irinus (dio che rappresenta il terzo livello nella triade precapitolina): da *co-uiro. 18 Wikander, Der arische Miinnerbund cit., pp. 45-50. LE TRE FUNZIONI NEL 'GVEDA 205 uniti ai �bhu destinatari dell'inno (chiamati essi stessi al plurale, dopo due di loro, <d » �bhu, « i » Viija), gli stessi dei del trattato di Boghazkoy - e lndra, data la circostanza, è detto «capo dei �bhu » (J!..bhuk�an), poi, in un verso che ripete ancora quello precedente, è rafforzato dai suoi compagni consueti, dallo iardha di cui è il capo, dai Marut; 2° infine nel quarto verso, in tre da­ tivi, chiede a tali dei riuniti ( té) tre benefici: 4· rbhuk�a!Jam 1ndram d huva utaya J.!..bhun V djiin Maruta& s6mapitaye ubhd Mitrdvarunii nunam Afvinii: té no hinvantu siitaye dhiyé ji�é. Io chiamo in aiuto Indra c apo dei �bhu, i Vaja, i Maru t, a bere il soma, la coppia Mitra-Varu!Ja, ora, i due Afvin : che ci fa­ voriscano per l'acquisizione, per la preghiera [o « il pensiero pio»], per la vittoria. Nonostante Karl Geldner ", non c'è nessun motivo per co­ struire i tre dativi del verso 4 altrimenti che come un elenco di termini omogenei, né di intendere alcuno di questi tre termini in un senso diverso da quello abituale 20 : corrispondono alle tre pre­ ghiere della strofa 2, e, come queste, si distribuiscono nelle tre funzioni, che si trovano cosi a costituire il tema dominante del­ l'inno. Constatiamo come concludano una strofa che comincia elencando - con l'appesantimento di lndra spiegato prima - gli dei del trattato di Boghazkoy ". 7 · È qui che trova il suo posto naturale la spiegazione di f!..V ro, 125 AV 4 , 30 (a Viic) sviluppata nell'Introduzione, alle pp. r r- 1 6 del presente libro. = 8. Accade che un poeta del f!..gVeda, probabilmente per una devozione particolare, o forse perché indotto da una circostanza che non conosceremo mai, voglia attribuire l'onnivalenza a una " Qui Geldner combina ancora arbitrariamente i tre dativi, benché ri­ mandi a r, 27, r rc, dove non ce ne sono che due (dhiyé vdiiiya), e dove tra­ duce meglio « ZU (frommen) Gedanken und Sieg » [<< per pensieri (pii) e vit­ toria »]. Grassman, qui: « Zu Gewinn, zu Mut [improprio] und Sieg �> [« per acquisto, per coraggio e vittoria »]. 20 Siiya!)a traduce sf siitaye (sambha;aniyiiya dhaniiya) e ii!é (ielUf!Z satru­ t;tiif!Z ;ayiirthaf!Zca), ma orienta senza motivo dhiyé secondo siitaye (dhana­ siidhyiiya karmat;te). Il significato religioso (preghiera, pensiero pio) di dhi prevale nettamente nel f!.gVeda (Renou, Études védiques cit., traduce sem­ pre nella forma laica di « ispirazione (poetica) »). 21 La quinta e ultima strofa, nei primi due versi (gli ultimi due sono una clausola comune a quasi tutto questo gruppo di inni) riprende sotto forma di preghiera due dei dativi precedenti (nelle forme siitim e samarya;it). 206 APPENDICE PRIMA divinità che, normalmente, non ha che una competenza limitata. Casi del genere non sono numerosi come potremmo aspettarci in una religione già sensibile a quella che sarà la grande tentazione dell'India classica, alla tendenza a fondere insieme dei molteplici a vantaggio della Divinità, rappresentata essenzialmente da uno di loro. Ma ce n'è di incontestabili, e allora l'onnivalenza si può esprimere - come nei casi prima segnalati - con un riferimento alle tre funzioni, con o senza propaggini. È quanto è accaduto almeno una volta agli Asvin nell'inno .{{V 8, 35 , che è loro dedicato, e donde ho estratto, all'inizio, i tre versi simmetrici che chiedono ai gemelli divini di favorire il brahman e le preghiere, lo k�atra e i guerrieri, le vacche e i viiab ( 2 ) . Nella stragrande maggioranza dei testi in cui sono invocati o menzionati, gli Asvin non hanno tante preoccupazioni. In cen­ tinaia di versi, se se ne trovano alcuni che dànno loro un epiteto o rivolgono loro una richiesta che concerne la guerra " (quale dio 22 La spiegazione completa di {{V 8, 35, è stata data in piu corsi tenuti alla :Beole des hautes Études, nel febbraio I949· 23 Inoltre occorre, in ogni caso, controllare le apparenze; P. Thieme, nel­ l'articolo The « Aryan » Gods of the Mitanni Treaties, in ]AOS, LXXX ( I 96o), pp. 30I-17, propone quest'esempio (p. 3 I5a): « Il cavallo che essi [- gli Asvin] hanno dato è ahihfm in I, u8, 9, ossia a uccisore di drago ", come lo stesso lndra ». In effetti hanno dato, portato a Pedu un eccellente cavallo bianco, essenzialmente rapido (non ci sono altri epiteti in 7, 7I, 5), ma che riceve naturalmente ogni specie di epiteti elogiativi e iperbolici, che dunque vince nelle corse come nella guerra ( I , 1 19, Io), e cosi è una vera fortuna - Bhaga - per i suoi padroni ( IO, 39, IO), « che uccide tutto quanto si chiama ahi » (9, 88, 4); da nessuna parte si dice che glielo abbiano dato per la guerra: l'unico testo che suggerisca una ragione per questo dono dice che Pedu finora era stato un cattivo cavallo ( I , n6, 6, aghilsviiya); questo dono rientra cosi nel tipo ordinario dei loro servigi, e, se l'eccellenza del cavallo che donano è descritta in termini di corsa e di guerra, è perché tale forma è necessariamente la forma in cui eccelle il cavallo, cosi come la vacca eccelle nella produzione del latte (donde l'altro loro miracolo della vacca ste­ rile che rendono lattifera): la cosa non li caratterizza in se stessi come guer­ rieri o patroni dei guerrieri. - Thieme dice ancora: « L'attributo rudravar­ tanl, {{V I , 3, 3, con la massima probabilità non allude alla loro natura paci­ fica, ma al loro carattere di lottatori (contro il male), se traduciamo "di ter­ ribile corsa di (carro)", o " della corsa di Rudra " » . Questo epiteto, riservato agli Asvin, si trova in contesti ( I, 3, 3 ; 8, 22, I e I4; Io, 29, 1 1 ) che non contengono nessun'idea di combattimento, e probabilmente Geldner ha ra­ gione di spiegarlo con l'unico carattere che gli Asvin abbiano in comune con Rudra, l'arte di guarire (come pure B. Schlerath, Das Konigtum im Rig­ und Atharvaveda, I96o, p. u ); d'altronde sono invocati piu volte come « due Rudra » (o rudrii?) in strofe per nulla guerresche ( I , I58, I : « buoni sono i due Rudra, dai molteplici consigli ... »; 5, 73, 8: « Voi due Rudra, che amate il madhu»; 5, 75, 3 : « venite da noi, o Asvin, apportando tesori, voi due Rudra dalle piste d'oro, voi dai doni generosi », ecc.; persino in 8, 26, 5, dove si tratta delle ostilità, dvi�ah, non si chiede ai << due Rudra » che di fare passare attraverso, par-Oti, di farvi scappare, che è una cosa ben diversa dal combattere e vincere; stessa osservazione per il dvéfo bhflvatal!l sacii- LE TRE FUNZIONI NEL 1!-GVEDA 207 importante di un politeismo, quale santo della devozione popo­ lare, non eccede i limiti della sua definizione, un giorno o l'al­ tro?), queste rare eccezioni non possono prevalere sull'immagine coerente che presentano tutta la loro mitologia, senza eccezioni, e il loro culto; nessuno dei numerosi servigi che hanno reso a uomini e ad alcuni animali non ha carattere guerresco: ringiova­ niscono i vecchi, guariscono malati e mutilati, accoppiano, arric­ chiscono, liberano, riuniscono, salvano dal naufragio e dalla per­ secuzione, donano bestie meravigliose, rinfrescano nei bracieri, fanno zampillare il latte o l'idromele, ecc.: si cercherebbe invano un duello, una battaglia. Per un motivo ignoto ", un poeta della famiglia Kiil).va, SyabhUvii di I, I57, 4d). - In 8, Io, 2, la traduzione dell'hapax iisuhé�asii con « di cui l'arma è rapida » non è assicurata: da una parte altrove non si parla di un'arma degli Asvin, d'altra parte uno dei caratteri delle loro corse è di essere estremamente rapide, piu del pensiero ( I , I I7, 2 ), piu del battito di ciglio (8, 73, 2): dunque è forse a una « velocità di freccia » che allude l'epiteto, - a meno, come pensa Geldner ( « Rossentreiber » ) che qui hé�ah non abbia il senso di « arma », ma sia un astratto derivato da bi- nel senso di « fare avanzare (in fretta) un carro, dei cavalli » (dr. iisuhéman). Quanto al fatto che, in questo passo, siano « chiamati dal lato di Indra-VigJ.U », non prova l'esistenza di un carattere indriano, ma piuttosto un carattere diffe­ renziato di terza funzione, poiché la frase completa è: « Io invoco Brhaspati (il dio-prete) e tutti gli dei, Indra-Vi��u, gli Asvin aiuhé�asii » (vedi qui, p. 2 10, nota 30, e 213, nota 37). - Per vftrahantamii applicato agli Asvin in 8, 8, 9 e 22, vedi qui, p. 210. - Leggende conosciute dei BriihmaiJa (Lévi, Doctrine du sacri/ice cit., pp. 71-72) mostrano gli Asvin vincitori in corse, specialmente, col loro carro tirato da asini, in una corsa che ha luogo in occasione del matrimonio di Soma e di Siirya; alcuni inni alludono a tali prestazioni (8, 22, I-2); evidentemente non li qualificano come dèi guerrieri, non piu che l'aggettivo puroratha, « di cui il carro è avanti », in ro, 39, I I , nonostante l a sollecitazione del testo che fa Schlerath, Konigtum cit.; que­ sto autore (p. 124) trascura anche di surrogare con una citazione la sua af­ fermazione: « nel momento critico della battaglia compaiono improvvisa­ mente sul loro carro, con l'aspetto di combattenti, gli Asvin ... » Per vf�a1Jam ... ratham, in I, 157, 2, vedi la nota seguente. 24 Si può arrischiare un'ipotesi. Questo poeta, o questa famiglia di poeti, avrebbe fatto fruttificare un germe trifunzionale che esisteva nello stesso servigio degli Asvin. Ragioni convergenti, fornite da Stig Wikander (i loro figli e corrispondenti epici Nakula e Sahadeva) e da me stesso (l'analogia della coppia avestica G;ius Urvan e Drviispa), fanno pensare che i due dei gemelli, in una maniera solidale ma distributiva, favorissero l'allevamento e dei bovini, e dei cavalli. Con il latte necessario alla preparazione del soma, con il ghr;ta, burro fuso, uno degli elementi essenziali delle offerte, la loro coppia forniva dunque la materia del culto, mentre, con l'arvat, con il cor­ siero, condizionavano la vittoria sia guerresca che sportiva. Cosi da un certo punto di vista erano i supporti attivi delle altre due funzioni, e, passando al limite, gli agenti primi di tali funzioni. Almeno un testo sembra rivelare una dottrina di questo genere. {{V r, 157, 2, chiede agli Asvin, destinatari 208 APPENDICE PRIMA vasva, in questo inno 35 del libro ottavo (otto gruppi di tre stro­ fe), ha voluto ampliare la teologia degli Asvin. Lo ha fatto: 1 ) da un lato associandoli a ogni specie di dei (dalla prima triade di strofe e nelle variazioni del ritornello ") e in particolare (lndra essendo sostituito solo dai suoi compagni, dalla banda dei guerrieri atmosferici, dai Marut) alle divinità che collega loro an­ che la lista di Boghazkoy, di modo che, prima delle estensioni dell'inno: << ghrténa no madhunii ksatram uksatam l asmiikam brahma prta­ nasu jinvatam [Aspergete di burro fuso e di idromele il nostro k!alra, favo­ rite il nostro brahman nei combattimenti] ». Questi due versi - una delle rare articolazioni di brahman e di k!alra nel .l,{gVeda - poggiano, mi pare, su due idee: I ) quella dei servigi reciproci che si rendono le due funzioni superiori, in quanto la prima unge, consacra la seconda, mentre la seconda rafforza, difende vittoriosamente la prima; 2 ) l'idea che questi due servigi non siano possibili che grazie ai mezzi messi a disposizione delle funzioni superiori dalla terza, dalla vacca lattifera e dal cavallo veloce; infatti la vac­ ca, con il ghrta che fornisce, è esplicitamente in onon: nella prima preghiera (accanto al madhu, specialità alimentare degli Asvin) ; quanto al cavallo, strumento della vittoria nei combattimenti, se non è presente nella seconda che implicitamente, con le battaglie (pftaniisu) che fa vincere, l'inno men­ ziona almeno con insistenza, in quattro strofe su sei, compresa l'ultima, il ca"o degli stessi Asvin (d'altronde senza orientare la loro immagine verso una cosa diversa dalla velocità in generale: I ) « gli Asvin hanno attaccato il loro carro ydtave, per la corsa »; 2) « quando, o Asvin, voi attaccate il vo­ stro carro forte, vfsanam... ratham », espressione che è applicata anche agli Asvin in 5. n. I, i n u n contesto per nulla guerresco, dove non si parla che della prontezza dei loro servigi; l'intera strofa 3 concerne il carro, ancora in quanto è rapido; 6: « voi siete medici con i rimedi, conduttori di carro con le tecniche del carro... ». In altri termini, in un bello scorcio, il poeta mostra gli Asvin mentre svolgono essi stessi, a profitto dello k!atra, l'ufficio sacerdotale, con il latte e l'idromele che, a rigore, si limitano a fornire, poi, a profitto del brahman, l'ufficio del combattente (cfr. Indra « che aiuta» il brahman nelle battaglie: 8, 37, I ), certamente, sebbene la cosa non sia espli­ citata, con i cavalli che, a rigore, si limitano pure ad attaccare al suo carro. In espressioni come questa (e la strofa 6 ritorna sullo ksatra, qualificando i due Asvin come ugra, « forti », termine di seconda fu nzione), s'imposta il tema degli Asvin trivalenti, trifunzionali, sviluppato nell'ottavo libro da Syii.­ vii.Sva e anche, come vedremo, da Vatsa. - Se la loro qualificazione come « aivin », che indica un rapporto essenziale con i cavalli, dava certamente ai Gemelli un'apertura sulla seconda funzione, un altro modo di raccordo con la prima era il loro rapporto particolare, difficile da interpretarsi, con un concetto che ha la sua specificazione piu frequente, religiosa, in questa fun­ zione: dht (dhiya�, << pensieri pii, preghiere ... »), di cui il senso proprio pare essere «vista, visione (interiore) ». " Nei diversi ritornelli delle triadi di strofe, compare regolarmente l'e­ spressione sai6!asa U!asii Surye�;�a, « associati all'Aurora e al Sole )). Nella prima triade, gli dei e le entità associati (allo strumentale) sono: I ) Agni, lndra, Varu�a, Vi��u, gli .Aditya, i Rudra, i Vasu ; 2) tutti i dhiya�, il Mon­ do, il Cielo e la Terra; 3) tutti gli dei contati 3 x I I (cfr. ]MQ, IV, pp. I 57· I59), le Acque, i Marut, i Bhrgu. L'idea direttiva è evidentemente l'anni­ valenza. LE TRE FUNZIONI NEL �GVEDA 20 9 delle strofe 1 4 e 1 5 ", la strofa 1 3 , a prescindere dal ritornello, ricostruisce questa lista: mitravarunavanta uta dbarmavanta marutvania jaritur gachatho bavam. . . Aivina. Venite al richiamo del cantore, accompagnati [propriamente: << provvisti»] di Mitra-Varurya e del dbarman [una delle forme dell'ordine, che caratterizza gli dei sovrani] ", accompagnati dai Marut, . . . o Asvin. 2) D'altra parte attribuisce loro una competenza universale, e specificamente trifunzionale : a) quanto agli « stati sociali », i cui principi sono il brahman, lo k!atra, la vii (strofe 16, q, 1 8 : vedi sopra, n. 2 ) ; b) quanto a i benefici che sono loro chiesti (strofe 10, 1 1 , 1 2 ) , specialmente nella strofa 1 2 : hataf!Z ca fatrun yatataf!Z ca mitril:za& prajdf!Z ca dhattaf!Z dravù:zaf!Z ca dhattam... Uccidete i nemici, fate s i che si intendano 28 i contraenti, fornite posterità, fornite ricchezza ... La prima e le ultime preghiere rientrano chiaramente nella funzione guerriera e in quella economica ; la seconda, giuridica, con mitril:zaf? allude evidentemente al dio sovrano Mitra, al voca­ bolario del quale appartiene anche la radice yat- (sono gli Ad.itya, e in particolare Mitra, che sono chiamati yatayajjana). È possibile che questa « trifunzionalizzazione » degli Asvin sia stata una caratteristica propria dei Karyva, poiché l'unica altra te­ stimonianza probabile che ne abbiamo proviene da un altro mem­ bro di questa famiglia, Vatsa ( �V 8, 8, 9 ) : d viif!Z vipra ihdvasé 'hvat st6mebhir Afvina, " In questa triade di strofe, il ritornello congiunge gli li.ditya all'Aurora e al Sole. Inoltre nella strofa 14 gli dei associati (con aggettivi in -mant, -vant) sono gli Angira, Vi�ryu e nuovamente i Marut; nella strofa 15, (i?) l}bhu, (i?) Viija e ancora i Marut. 27 Anche dharman personificato? Sarebbe la sola volta in tutto l'innario. In ogni caso, dharman è una delle buone espressioni del primo livello : si ricorderà che, nel « fondo mitico del Mahiibhiirata » (Stig Wikander), Dhar­ ma personificato è, in quanto padre di YudhiHhira, un ringiovanimento di Mitra. 28 Per semplificare, scelgo senza discutere la traduzione di Pau! Thieme « array (- keep in agreement) » ( « Aryan » Gods cit.); sul senso piu probabile di yat-, vedi qui, p. 48, nota 4· 2 10 APPENDICE PRIMA ariprii vftrahantamii td no bhutam mayobhUvii. Il cantore vi ha chiamati qui in aiuto con i suoi elogi: o immaco­ lati, o voi i piu vittoriosi (vrtraban), siate dunque per noi di essenza rinfrescante 29• vrtrahfm è tipicamente « indriaco », di seconda funzione, e a-ripra, « senza sporcizia», indica, in tutti gli altri suoi usi, la purezza rituale, morale o divina, che rientra nella sfera sacra; mayobhu, statisticamente, appartiene alla terza funzione, in quan­ to si applica - su 37 usi - 7 volte agli Asvin (due volte in quanto medici), 3 volte alla medicina, I volta alle pietre che esprimono l'elixir di vita, 8 volte a dei o ad elementi in rapporto con le ac­ que (Parjanya; le piogge, le acque stesse, i fiumi), 2 volte alla ricchezza, 2 volte alle vacche, I volta a Pitu, che è l'alimento per­ sonificato, I volta al seno che nutre, I volta alla goccia di soma in quanto <( conquistante per noi bovi, carri, oro, sole, acque » 30• Di modo che questa triplice qualificazione ricorda curiosamente il nome triplo della grande dea iranica Ar�dvi Sura Anahita, <d'Umida, la Forte, l'Immacolata». 9 · Talvolta le tre funzioni compaiono senza rapporto con di­ vinità particolari e senza menzione di uomini specializzati. Oltre all'esempio incontrato prima, si può citare �V I , I 62, 22, che ana­ lizza cosi i benefici attesi dal Sacrificio del Cavallo: sugavyaf!Z no viiji svafvyam puf!Zsaf?. putrdn utt. vifviipu!af!Z rayim aniigiistvaf!Z no aditi!J krt:totu k!alrtlf!Z no QSVO vanatiif!Z bavi!miin. Che il corsiero ci procuri buoni bovi, buoni cavalli, figli maschi e la ricchezza che nutre pienamente! Che Aditi faccia per noi in,. Se non c'è simmetria sintattica (vedi qui, p. 2 1 1 ), due degli aggettivi essendo al vocativo e l'altro, attributo, al nominativo, c'è tuttavia omoge­ neità logica: le tre qualità sono attribuite allo stesso essere e non si condi­ zionano tra loro; nonostante la differenza dei casi, non si tratta che di un elenco. 30 Solo due di questi aggettivi sono ripresi nella parte successiva dell'in­ no: vrtrahantamà alla strofa 22 (in due versi del tutto simmetrici di 9cd, ma dove i tre aggettivi sono di seconda funzione), mayobhuvà alla strofa 19 (unito a sambhuvà). Un altro dei tre inni agli Asvin attribuiti allo stesso poeta, Vatsa, 8, 9, contiene una strofa 12 che li associa a lndra o Vayu, agli Aditya, ai �bhu; essa è incorniciata da altre due, I I e 13, che chiedono loro servigi rispettivamente di terza e di seconda funzione; non ci sono richieste di prima funzione. - È nell'ultimo di questi tre inni di Vatsa agli Asvin che si trova il gruppo « Brhaspati, tutti gli dei, Indra-Vi�çu, i due Asvin » (vedi qui, p. zo6, nota 23, e p. 213, nota 37), ma non contiene preghiere, né di prima, né di seconda, né di terza funzione: le sue sei strofe sono soltanto d'invito. LE TRE FUNZIONI NEL �GVEDA 2II nocenza da peccato! Che il cavallo guarnito di offerte guadagni per noi lo kfatra! Si può anche citare la classificazione dei flagelli, che prolunga una concezione indoiranica e persino indoeuropea, probabilmen­ te (ME, I', pp. 6 I 3-23 : « l tre flagelli dell'isola di Bretagna »); 11 : cosf {{V 8, I 8 , I O, dove il poeta prega gli Aditya Tenete lontana la malattia (amivam), lontano il fallimento rituale (sridham), lontana l'ostilità (durmatim) ". Cfr. la variante di {{V Io, 63, I 2 , dove i VisveDeva]:l sono pre­ gati di allontanare la malattia (amivam), ogni mancanza o colpa nell'offerta (anahutim), e diverse forme di aggressione o di osti­ lità (aratim . . . aghayataf?; dvé!af?) . L'esplorazione trifunzionale degli inni non è finita, m a occorre condurla con rigore. Due regole di buon senso s'impongono: I ) Perché si abbia il diritto di riconoscere l'intenzione di una classificazione trifunzionale, occorre che i tre termini, insieme distinti e solidali, siano inoltre omogenei nella sintassi e ancor piu nel pensiero (tre doni o qualità o poteri di un dio, tre preghiere degli uomini, ecc.). Dunque si scarterà ogni passo del tipo: « lo ti offro un sacrificio, donami la vittoria, o dio signore delle ric­ chezze)> (schema di {{V 5, 4, I , ad Agni), o del tipo: «Voi siete i migliori distributori di ricchezze e i piu vittoriosi, dunque vi offro un sacrificio » ( schema di I, I09, 5 , a Indra e ad Agni), op­ pure del tipo : « 0 generosi di beni, venite per le vie del rta per le quali voi fate accedere X allo k!atra )> (schema di 8, 22, 7, agli Asvin), o infine di qualsiasi tipo diverso ma altrettanto squili­ brato. In piu casi dove c'è simmetria grammaticale (generalmen­ te con tre strumentali), si ha il diritto di esaminare se respingere o accettare l'omogeneità logica del termine di prima funzione e degli altri due. In 6, 6o, 3 ( a Indra e Agni), è possibile che il secondo strumentale (prima funzione) sia omogeneo con gli al­ tri due: Venite verso di noi, o vittoriosi, con forze vittoriose (vrtrahabhil; fu!mail;), o Indra, o Agni, con adorazioni [namobhil; : <dspi­ randoci nei nostri atti cultuali »?] ; o voi, con doni non avari, estremi (rddhobhir akavebhif;. . . uttamébhil;), o lndra, o Agni, siateci (presenti) ! Analogamente, in 6, 59, la strofa r o (prima funzione), se si traduce come V. Henry (vedi la nota di K. Geldner), sarebbe 11 È stato É. Benveniste a segnalare questo uso deprecatorio delle tre funzioni, Traditions indo-iraniennes cit., pp. 543-45. 32 L11 strofa è completata da una formula generalizzante, con la parola imprecisa a1?Jhal;, « miseria » : « .Aditya, proteggeteci dall 'af!Ihal; )). 2I2 APPENDICE PRIMA omogenea con le strofe 7-8 (seconda funzione) e con la strofa 9 (terza funzione). 2) Occorre scartare ogni esegesi che, per una delle funzioni (e a maggior ragione per due) si fondi sull'interpretazione solle­ citata di termini equivoci o imprecisi ". È perciò che pare diffi­ cile accettare la maggior parte-delle allusioni alle tre funzioni che, negli ultimi anni della sùa vita, Renou ha creduto di poter rico­ noscere, specialmente negli inni rgvedici a Varm:ta e agli Aditya ( EVP, 7, I96o) e negli inni a Soma (ibid. , 8, I 9 6 I ) "'. L'interpre­ tazione è chiara e netta solo per 9, 23, 5 be, a condizione di dare a vini, in suvira, il suo significato stretto « di uomo di terza fun­ zione » 35• Ma in 2, 2 7, 2 d, quale parola segnala la terza funzione? In 2, 28, 3 ab (dove, per giunta, le menzioni non sarebbero omo­ genee), uruf!u?Zsa non è chiaramente di prima funzione, e sarman, «protezione », è troppo generale per designare la seconda. In 7, 82, 7 ab, af!thaf?, « Situazione difficile », non è specificamente di terza funzione, né è di seconda, in 8, 59. 7 ab, adr;pta, « non folle, non stordito », né è di prima funzione, in 9, I , 3 ab, varivodha­ tama, «colui che mette piu a suo agio [l'uomo imbarazzato] ». La prima funzione non è rappresentata in 9, 2, I O ab, né in 9, 3, 5 abc (dove vagvanu non può quasi designare qualcosa di diverso da una varietà di grido o chiasso) ". In 9, 4, I-3, la strofa I non rientra differenziatamente nella terza funzione, poiché vasyasal; vi compare solo nel ritornello comune alle tre strofe; la strofa 2 non è chiaramente di prima funzione, né, nella strofa 3, dak!a e kratu sono tipicamente di seconda. In 9, 9, 9 abc, mahi sraval;, « grande gloria », non è necessariamente una gloria guerresca. In 9, 55, I abc, pu!tam non è certamente di seconda funzione. In 9, 6 1 , 26 abc, viravad yasal; non può praticamente riferirsi alla pri­ ma, e neanche SUVtryam in 9, 63, I abc (dove, inoltre, sraViif!tsi, « le glorie», non si riferisce necessariamente alla seconda fun­ zione) . In 9, 65, 3 ab, suHuti non è di seconda funzione. E co­ si via. Dunque il pensiero vedico non mi pare affatto dominato dalle categorie delle tre funzioni, anzi, è la rarità delle allusioni che vi sono fatte al di fuori del sistema teologico che, a mio avviso, ca­ ratterizza gli inni, in contrasto e coi trattati vedici in prosa e con " Si confronterà la mia discussione delle parodie bibliche di Brough qui, p. 219 e nota 46. "' In EVP, 8, p. 75, Renou dà un buon esempio di critica di un'interpre­ tazione trifunzionale che sarebbe abusiva ({{V 9, 30, 3). 35 Cfr. il saggio Dumézil, «ner-» et «uiro-» cit. 36 Oldenberg, Textkritische und exegetische Noten, in Abhandlungen di Gottingen, 13, 3, 1913, p. 154: « S'intende qualcosa di diverso da vagnum iyarti [9] 14, 6; 30, 2, cfr. anche 97, 13? » LE TRE FUNZIONI NEL J.!.GVEDA 213 tutta la letteratura posteriore, e anche con l'Avesta, che ritengo piu conservatore su questo punto. I O . Nei paragrafi 6, 7 e 8 abbiamo visto come tre inni che svi­ luppano chiaramente il tema delle tre funzioni associno, in una delle loro strofe, le menzioni di Mitra-Varur:ta, di Indra (o di In­ dra e di Agni; o di Indra e dei Marut; o dei Marut), dei due Asvin, ossia gli stessi dei che il re mitannico chiama a testimoniare nel trattato di Boghazkoy. Il fatto è tanto piu rilevante, in quanto tale raggruppamento di dei non è frequente nel .(,{gVeda . Forse si trova soltanto in altre due strofe 37• I ) Questi dei occupano la prima metà di 7, 4 I I (preghiera del mattino), preceduti solo da Agni 38 e seguiti, nella seconda metà, da altri cinque dei ": , priitar Agnim priitar 1ndram haviimahe priitar MitrJvarut;zii priitar Aivinii. . . A l mattino, noi invochiamo Agni, al mattino Indr a, al mattino Mi­ tra-Varul).a, al mattino i due Asvin ... 2) Nelle strofe r , 3 , 4 , 5 , 6, 7, di 5 , 26 (ad Agni), Agni sol­ tanto è stato menzionato; nella strofa 8 (senza nome divino), sono stati annunciati i preparativi del sacrificio, specialmente la sistemazione del barhf.s, tappeto d'erba dove si assideranno gli dei invitati; infine la strofa nona e ultima rivolge un invito all'in­ sieme degli dei, limitandosi a staccare alcuni nomi individuali prima di un'espressione collettiva ed esaustiva. Ora, se si consi37 In realtà, con varianti facilmente spiegabili, si trova in parecchi altri passi del f3.gVeda come dell'AtharvaVeda. Cosi {<:.V 4, 2, 4 (ad Agni) elenca Varurya-Mltra accompagnati dal terzo .Aditya Aryaman, poi Indra rafforzato da Vi�ryu e dai Marut, poi i due Asvin. In 8, r o, 2 (agli Asvin, come abbia­ mo visto), sono invocati il dio-prete Brhaspati, tutti gli dei, Indra-Vi�ryu, i due Asvin. La strofa 4, 25, 3 (a Indra) raggruppa gli Aditya e la loro madre Aditi, i due Asvin, Indra e Agni. AV 19, r6, chiede protezione da ogni par­ te agli .Aditya rafforzati da <� gli Agni », poi a Indra-Agni, poi ai due Asvin, ancora con una varietà di Agni, Jatavedas. AV r r, 8, 5, per descrivere il nul­ la primordiale, dice che allora non esistevano né Dhiitar e Brhaspati (il dio creatore e il dio-prete), né Indra-Agni, né i due Asvin. Si vede come le mo­ dificazioni consistessero o nel dare al dio tipico di un livello colleghi dello stesso livello (Aryaman è omogeneo con Mitra e Varurya, Vi�ryu e i Marut sono omogenei con Indra), o nell'inserire in uno o piu livelli Agni che, in realtà, è al suo posto in rutti (vedi il paragrafo 4 di questo lavoro), o ancora nel ringiovanire i rappresentanti del primo livello (Brhaspati, proiezione di­ vina del cappellano; Dhiitar, « creatore » : vedi qui, pp. 93, 94). 38 Su Agni iniziale, vedi Dumézil, Quaestiunculae Indo-Italicae, I 2: Ve­ sta extrema, in REL, xxxrx ( r96r), pp. 25o-57. •• Bhaga, Pii�an, Brahmaryaspati; Soma, Rudra. 214 APPENDICE PRIMA dera che i Marut stanno al posto del loro capo Indra come in 8, 3 5 , 1 3 , tali nomi sono quelli degli dei del trattato di Boghazkoy: édam Maruto Afvfna Mitrah sidantu Varunah devdsalp sarvaya vfsd." o Su questa (erba) che si assidano i Marut, i due Asvin, Mitra, Va­ rui:Ja - gli dei, al gran completo '". Cosf tre delle cinque testimonianze rgvediche di questa lista si trovano in inni con intenzione trifunzionale, che le situano ac­ canto a triadi di nozioni o di preghiere associate alle tre funzioni. Questo uso prova un'affinità, fa pensare che la lista fosse sentita dagli autori come espressione teologica della struttura che le tria­ di esprimevano altrimenti, e questa interpretazione pare confor­ me a quella che è, statisticamente, la caratteristica piu evidente di ogni termine: Mitra e Varul).a sono patroni dell'eta, dell'« or­ dine», della « verità » ", e di tutto ciò che gli si collega; Indra e la sua truppa di Marut sono armati e vittoriosi; gli Asvin prodi­ gano numerosi benefici individuali dove predominano le guari­ gioni, i matrimoni, i doni di animali e di ricchezze, ecc. .,. r r . Non conosciamo direttamente le liturgie contemporanee alla composizione degli innari, e le menzioni o allusioni rituali che essi contengono non permettono di ricostruirle. Tuttavia que­ ste liturgie esistevano, ed è pericoloso pretendere di interpretare le poesie come se fossero state autosufficienti. In una certa misu­ ra quelle che sono ampiamente testimoniate piu tardi colmano questa lacuna: se le prescrizioni si sono moltiplicate, se la stessa teologia si è affinata, tuttavia è probabile a priori che l'essenziale sia antico, e vari studi comparativi lo hanno confermato. L'anti­ chità è particolarmente probabile quando le prescrizioni, le for­ mule onorano dei, per esempio Mitra-Varul).a, che anche gli inni esaltano, ma che le forme posteriori di religione hanno trascura­ to e ridotto. Il raggruppamento « Mitra-Varul).a, lndra, i due Asvin », che abbiamo visto testimoniato e, in certo qual modo, commentato in piu inni, ma che nessuna delle religioni post-ve- .. Poiché si tratta di dei, il senso « Sano, intatto, integro » di sarva pare escluso: deve invece trattarsi del « numero completo »; cfr. il secondo orien­ tamento della parola Quirites ( *co-uirit-), che non si oppone piu funzional­ mente a milites (qui, p. 204, nota q), ma designa la totalità dei romani. 41 La differenza non è grande come hanno detto piu autori, specialmente H. Liiders: in questo pensiero arcaico, « ordine » e « verità » si definiscono reciprocamente, e, al limite, coincidono (come « contratto » e « amicizia »: qui, p. 66; cfr. ]A, CCXLVI ( 1958), p. 83, nota 38). 4 2 Vedi il paragrafo 8 di questo saggio, pp. 205-6. LE TRE FUNZIONI NEL �GVEDA 2I5 diche conoscerà piu, compare cosi in rituali che ho piu volte segna­ lato e analizzato, e di cui mi limito a ricordare quelli piu immedia­ tamente utilizzabili. I ) L'invocazione che accompagna l'apertura del solco sacro che delimiterà il luogo del fuoco sacrificale (VS 12, 72) è stato commentato nell'Introduzione, a p. 3 · 2 ) I n u n sacrificio offerto a tutti gli dei per ottenere certe for­ me di prosperità (TS 2, 3 , IO, I , b), il prete dice: Afvino� priit;zo 'si... Indrasya priit;zo 'si... Mitriivarut;zayo� priit;zo 'si... vifve!iif!Z deviiniirp priit;zo 'si... Tu sei il soffio dei due Asvin ... Tu sei il soffio di Indra ... Tu sei il soffio di Mitra-Varul).a ... Tu sei il soffio di tutti gli dei ... Qui la lista è data nell'ordine ascendente, completata dalla menzione collettiva ed esaustiva di « tutti gli dei » (cfr. prima, punto I O, .!,{V 5, 26, 9). 3) I trattati rituali domestici (SiinkhGS I, I 7, 9 ; PiiraskGS 1 , 9, 5 ) indirizzano colui che vuole avere un figlio maschio a Mi­ tra-Varul).a, agli Asvin, a Indra, quest'ultimo associato ad Agni in una variante, a Surya nell'altra, probabilmente per stabilire una formula binaria ai tre livelli (cfr. il punto 7, .!,{V I O, I25, r ) . Gli ultimi due termini sono invertiti (forse per mettere in evidenza Indra, il maschio per eccellenza?) C'è analogia con la tradizione zoroastriana brillantemente interpretata da Kaj Barr nel 1 9 5 2 , secondo cui l a nascita dell'uomo perfetto, Zarathustra, fu accura­ tamente preparata con le combinazioni di tre principi, il primo sovrano, il secondo guerriero, il terzo carnale ". 4) Quando ha luogo il sacrificio-tipo del soma, la spremitura mattutina, l'affidante presenta coppe a una serie di divinità ac­ coppiate; le prime tre coppie, che probabilmente hanno funto da modello a quelle che seguono, sono Indra e Vii.yu, poi Mitra e VaruQa, poi gli Asvin. Sono ancora gli « dei di Boghazkoy», con due modifiche: a) Vii.yu è unito a Indra, o per generalizzare il sistema binario, o per arcaismo - e infatti Vii.yu sembra essere un vecchio dio della funzione guerriera (cfr. la lista dei padri dei Pii.Qçlava nel Mahiibhiirata) ; b) la coppia Indra-Vayu è collocata in capo all'elenco, o perché Indra è il principale destinatario nel­ l'insieme delle offerte (a mezzogiorno, gli è riservato il soma), oppure per influenza di Vii.yu, il quale, nella sua qualità di Verito, è un dio iniziale, esploratore, intraduttore. " Barr, Irans profet som "tÉÀE�oc; &v&pw1toc;, in Festschrift Hammerich cit., pp. 26-J6. 216 APPENDICE PRIMA Questa struttura è antica, poiché sono costruiti su di essa piu inni del �gVeda, molto prima della redazione dei libri rituali che la manifestano apertamente. Cosi 1 , 1 3 9 : La strofa 1 , dopo un'invocazione ad Agni, f a l'elogio della cop­ pia Indra-Vayu (IndraviiyU) che la prossimità del termine tecnico i!lrdha�, « truppa combattente», associa alla funzione guerriera. La strofa 2 invoca la coppia Mitra-Varur;ta (Mitravarur;tau), e vi emer­ ge la parola rta, l'Ordine cosmico e sociale che caratterizza effetti­ vamente la loro funzione, la prima. Le strofe 3 , 4 e 5 sono dedicate agli Asvin (Asvinii), che la strofa 3 invoca specificamente in quanto dei di tutte le forme di prosperità e di vitalità che indicano le pa­ role iriya� e pfk�a�. E anche 2, 4 1 : La prima triade di strofe, dopo un appello introduttivo che con­ cerne solo Vayu dai carri molteplici (str. 1 e 2), invoca (str. 3 ) lndra e Vayu (fndravayii), che sono chiamati narii, ossia <miri, eroi ». La seconda triade è dedicata agli dei-re (rtijiinau) che fanno crescere l'Ordine, assisi senza inganno sul loro alto seggio stabile, ai « due re universali » (samrtijii) Mitra e Varur;ta (Mitriivarut:tii). La terza triade invoca i due Nasatya-Asvin (Ndsatyii. .. Asvinii) che cammi­ nano accompagnati da bovi e da cavalli (str. 7) e che sono donatori di ricchezza (rayi, str. 9). Si presenta la stessa situazione in I , 2, e, con cambiamenti facilmente spiegabili, in 1 , 2 3 . Già gli inni portavano a concludere che i l raggruppamento che consideriamo era inteso come comprensivo delle tre funzioni, e quindi, a livello divino, come rappresentativo delle principali at­ tività necessarie per il buon andamento degli affari del mondo e della società. Gli usi rituali permettono un'altra constatazione: se questo gruppo interviene in quanto tale in circostanze cosi di­ verse come l'apertura di un solco che delimita l'altare del fuoco, una preghiera per la prosperità, una preghiera per ottenere un figlio maschio, la spremitura mattutina nel sacrificio di soma, non è perché ognuno degli dei menzionati si trovi ad avere di prefe­ renza, rispetto al resto del pantheon, un rapporto speciale e di­ retto con ognuna di queste operazioni o intenzioni, in modo che la loro équipe si riformerebbe ogni volta per caso; è perché il gruppo in quanto tale è interessato a ogni operazione che intende essere benefica ai tre livelli o con i tre mezzi che rappresentano e proteggono - dove <( tre» vale <( tutto », all'occorrenza e per mag­ giore sicurezza con un complemento esaustivo. I 2. Le considerazioni che precedono - e che sviluppano il pri­ mo capitolo della Nascita degli Arcangeli ( I 945) - rendono su­ perflua una discussione dettagliata del tentativo che ha fatto Paul LE TRE FUNZIONI NEL �GVEDA 2!7 Thieme "' per ripristinare, contro l'interpretazione trifunzionale degli dei del trattato di Boghazkoy, l'interpretazione di Sten Ko­ now ( I9 2 I ). Secondo lui, Mitra-Varur:J.a, Indra, i Nasatya, inter­ verrebbero qui perché ognuno per proprio conto avrebbe interes­ se alla conclusione o al rispetto dei trattati. Si basa principalmente (pp. 3 14-I 5 ) su un passo di �V 8, 3 5, rivolto agli Asvin (qui, punti 2 e 8), di cui fa un uso insieme abu­ sivo e incompleto. Lo prende come testimone della teologia nor­ male degli Asvin, mentre ne è un'alterazione, un'estensione unica nell'innario e dovuta a qualche circostanza o devozione partico­ lare del poeta o del suo gruppo famigliare. D'altra parte, proba­ bilmente per evitare di dovere riconoscere nella sua forma piu viva !'« ideologia delle tre funzioni », oggetto dei suoi scherni, omette di citare le strofe 1 5 , I 6 , I 7, nelle quali la parte trifun­ zionale di questa estensione culmina con la menzione dei tre prin­ cipi, brahman, k�atrti, viSa�. La strofa I 2 non può essere staccata da questo insieme : se vi è scritto hataf!l ca satrun, yatataf!1 ca mitri1:za�, non è perché gli Asvin abbiano normalmente, di per se stessi, la natura di lndra o dei Marut, né la natura e il vocabo­ lario di Mitra, ma perché, eccezionalmente ed esplicitamente, al poeta di 8, 3 5 è piaciuto attribuire loro ampi poteri, dichiaran­ doli associati (-vanta) a diversi dei che comunicano loro la loro specialità, in particolare e in maniera strutturata (str. I 3) agli dei delle altre due funzioni, Mitra-Varur:J.a e i Marut. È verosimile che KURtivaza, re « para-indiano » di Mitanni, abbia fatto, per la sua devozione personale, la stessa riforma della teologia degli Asvin effettuata da due cantori della famiglia Kar:J.va? D'altronde la formulazione di Boghazkoy non presenta i Nasatya in posizio­ ne d'onore, come fa �V 8, 3 .5 . dove sono semplicemente «accom­ pagnati )> (-vanta) dagli altri dei indiani e, con questo artificio, sono chiamati ad agire nella sfera ordinaria di tali dei; presenta gli dei, solidali ma separati, in una lista omogenea dove è ben piu probabile che, come nei rituali vedici, diversissimi, analizzati pri­ ma ( I r ), ognuno sia stato citato in virtu del suo significato piu consueto e piu generale, e tutti insieme lo siano stati a causa della « totalità organizzata » che significava, in quale circostanza che fosse, la loro associazione. Pau! Thieme (p. 303 a) mi attribuisce gentilmente il merito di avere segnalato, negli ultimi due versi della prima strofa di �V Io, I 2 5 , il raggruppamento quasi identico Mitra-Varur:J.a, lndra­ Agni, i due Asvin, ma evidentemente non ha letto ciò che ho scritto in proposito, poiché omette di citare l'analisi dell'inno che "' Thieme, « Aryan » Gods cit., pp. JOI·I7· 2I8 APPENDICE PRIMA ho fatto (e ripreso qui sopra), e persino di considerare, nelle otto strofe, null'altro che questi due versi. Analogamente ignora le circostanze rituali diverse in cui inter­ viene lo stesso gruppo, che sono tuttavia segnalate una fin dal I94I (e spesso ripetuta), le altre nel I 947 e nel I958. Egli imma­ gina (p. 3 I 6 a) che la presenza di Mitra-Varul).a, di Indra e dei Niisatya come testimoni del trattato di Boghazkoy si giustifichi in quanto non sono solo « del che proteggono il trattato », ma « anche figli o dipendenti - a seconda che intendiamo bibharmi nel senso di " lo porto (nel mio grembo) " oppure, semplicemente, " Io mantengo " - della dea Parola (Vac) in .{{V IO, I25, I cd ». Questa seconda ragione potrebbe reggere se la lista non s'incon­ trasse che in due circostanze, nel trattato e nell'inno panteista a Viic. Ma non è cosi. Se si seguisse questo metodo fino in fondo, si dovrebbe anche dire, a causa della formula dei rituali domestici ( 1 1 , 3 ), che questi dei sono presenti perché sono loro che, riuniti, potranno dare un figlio maschio alla principessa il cui matrimonio accompagna il trattato ... Queste semplificazioni e mutilazioni del dossier permettono a Paul Thieme di scrivere tranquillamente (p. 3 I 0 a) : << Se consi­ deriamo il perfetto agio con cui quasi ogni serie di uomini o dei divisibile per tre " può essere spiegata con i termini della teoria di Dumézil, come ha stabilito sperimentalmente J. Brough appli­ candola a dati del Vecchio Testamento (BSO(A)S, xxu, pp. 6985), possiamo rinunciare a esaminare questo approccio. Fortuna­ tamente, per il nostro scopo attuale non abbiamo a che fare con ciò che dice Dumézil, ma con quello che dice il poeta vedico ». I lettori della presente relazione giudicheranno se questa caratte­ rizzazione del mio lavoro è esatta, e se Paul Thieme, nella sua lettura dei poeti vedici, ha fatto bene a << rinunciare a esaminare " A queste parole, Pau! Thieme aggiunge in nota: « Per non parlare di quei casi, troppo numerosi, dove una serie in realtà non è divisibile cosi, ma deve essere aggiustata con gli espedienti di aggiungere, sottrarre, spezzet­ tare o combinare ». Suppongo che egli veda il mio lavoro attraverso le cari­ cature di Brough. Quanto all'<< adding », mi accade effettivamente di consi­ derare casi come « Mitra-VaruJ:ta, Indra-Agni , gli Asvin » (cosi come « Mitra­ VaruJ:ta - Aryaman, Indra-Vi��u - i Marut, gli Asvin ,. , ecc. ; vedi qui, p. 213, nota 37) come testimonianze allargate della formula di Boghazkoy; ma, su questo punto, Pau! Thieme mi dà il suo consenso (p. 3020, dove riproduce, senza dirlo, la mia giustificazione della presenza di Agni ). Per il << comhi­ ning », mi accade anche di ammettere che uno dei nomi divini ordinari possa essere sostituito da un nome divino dello stesso livello: lndra dai Marut, Mitra-VaruJ:ta dal dio-prete Brhaspati; ma, anche su questo punto, Pau! Thieme la pensa come me (a p. 3 14b, in fondo, ammette che Indra sia sosti­ tuito dai Marut). Quanto al « subtracting » e allo << splitting », non vedo a che cosa possa alludere: si renderà utile se indicherà il numero approssima­ tivo e gli esempi piu gravi di questi << exceedingly numerous cases ». LE TRE FUNZIONI NEL l}GVEDA 219 questo approccio». M i limito a notare che egli trascura anche di menzionare la risposta ( « Kratylos », IV, 1 959, pp. 97- r r 8 : L'idéo­ logie tripartie des Indo-Européens et la Bible •. , dove ho mostra­ to che le parodie bibliche di J. Brough, senza alcuna eccezione, riposano su procedimenti che io mi vieto; probabilmente non è auspicabile che i suoi lettori americani siano informati dello spia­ cevole risultato di questo « experiment in method ». 1 3 . Non ho la possibilità di discutere qui (e non ho l'impres­ sione che la cosa sia molto necessaria) tutto ciò che Paul Thieme ha scritto separatamente a proposito di Mitra, di VaruJ;�a, di ln­ dra e dei Nasatya, né le speculazioni visibilmente improvvisate che ha moltiplicato sui pantheon prezoroastriani e indoiranici. Mi limito ad alcune rettifiche che mi concernono direttamente. Per la relazione di lndra col suo titolo di Vrtrahan, si riferi­ sce (pp. 3I I·J4) al libro di L. Renou ed E. Benveniste, Vrtra et Vr8ragna, 1 934, senza menzionare la mia discussione Vahagn ( RHR, cxvu, 1 9 3 8 , pp. 152-70), completata dal P. J. de Mena­ sce, La promotion de Vahram (ivi, cxxxrn, 1947, pp. 5-1 8) ". L'eliminazione (p. 3 1 5 b) della forma <( coppia �> per i prototipi indoiranici dei Nasatya-Asvin, col pretesto che Niisatya dovette essere dapprima (è poco probabile) il nome di uno solo dei due gemelli indiani, e che l'Avesta non ha che un arcidemone, Nal]­ haitlya, non tiene conto né dell'analogia notata da tempo (H. Moulton, Primo Zoroastrismo cit., 1 9 1 3 , p. 1 14; cfr. L. H. Gray, I fondamenti della religione iranica cit., 1929, p. 53 ) fra gli Asvin e la coppia degli ultimi Am;)sa Sp;)nta, Haurvatiit e Am;)r;)tat, né della corrispondenza mitica precisa che ho aggiunto a questo ac­ costamento (NA, 1 945, pp. 159-70), e che il P. de Menasce ha felicemente arricchito ••. Della contrapposizione dell'Indra avestico come arcidemone all'arcangelo Asa VahiSta (Thieme, p. 3 1 1 a, in fondo), ho propo­ sto un'altra giustificazione (NA, p. 93, e qui sopra, p. 3 3 , nota 3 ) . L a contraddizione che Paul Thieme m i imputa (pp. 309 b 3 r o a) a proposito del vedico Indra come garante eventuale dei trattati non esiste: ho contestato tale interpretazione (NA, pp. 29 e 3 1 -32) nella forma che le aveva dato Sten Konow e che Paul Thieme (p. 309 b) respinge a sua volta (al che si riferisce, in maniera necessariamente brevissima, il sommario della p. 15), poi l'ho dichiarata possibile (pp. 3 3-34) in una forma corretta, 46 Ripresa sostanzialmente in ME, III, Appendice 111. Questo dossier è stato messo a punto in Dumézil, Heur et malbeur du guerrier cit., pp. 104-25. 48 Vedi qui, p. 29, nota 4, con i riferimenti. 47 220 APPENDICE PRIMA quella che Paul Thieme adotta oggi; ma subito dopo (p. 34) ho notato come qui essa non possa servire a spiegare la presenza di lndra, poiché, se cosi fosse, il significato di « garante dei trattati » dovrebbe essere applicabile anche al terzo termine divino, ai Na­ satya, mentre non lo è - come spero di avere confermato qui. Infine Paul Thieme ignora gli studi di Stig Wikander sul fon­ do mitico del Mahabharata (dal 1 947), che, rivelando nell'India arcaica una mitologia paravedica, hanno modificato profondamen­ te la formulazione di piu problemi della mitologia vedica ". " Paul Thieme, a p. 316 ab, non ammette praticamente che un'obiezione grave alla sua costruzione: « l'obiezione piu importante contro l'ipotesi che gli dei vedici dei trattati di Mitanni fossero scelti a causa della loro connes­ sione specifica con la conclusione e il rispetto dei trattati si può basare sul fatto che le numerose divinità mitanniche e ittite invocate insieme a loro certamente non potevano essere tutte divinità con questa speciale funzio­ ne ». Ci sono altre difficoltà, ancora piu gravi, come abbiamo visto, ma que­ sta è effettivamente notevole, e non è minimamente attenuata dalla consi­ . derazione che Paul Thieme svolge a proposito della differenza essenziale che sussiste tra il pantheon mesopotamico e anatolico da un lato e quello vedico dall'altro. Appendice seconda Le tre funzioni viste da Jan Ganda Questo lavoro era ultimato quando usciva un nuovo libro di ]an Gonda, Triads in the Veda (Verhandelingen dell'Accademia olandese, N.S. 91, 1976), dove sono redarguito, ancora piu ab­ bondantemente del solito. Non avendo né il tempo né il gusto di scrivere la memoria che occorrerebbe per mettere le cose a posto, mi limiterò ad alcune osservazioni. I. « IL FATTORE DETERMINANTE CHE HA PRODOTTO » ... Occorre segnalare anzitutto un errore di mira che fa si che una buona parte dei tiri che mi sono destinati vada a vuoto. Per tutto il suo libro, ]. Gonda combatte contro una tesi, effettivamente indifendibile, che non è la mia: le triadi che in ogni epoca abbon­ dano nel pensiero dell'India sarebbero state formate a partire dalla triade delle funzioni, considerata come l'unica originaria. Ora quello che ho sostenuto, o piuttosto constatato, e fin dal 1 941 (]MQ, I, pp. 63-64), e senza variazioni, è che alla triade delle funzioni nelle sue diverse forme (principi; teoria o pratica sociali) si accompagnano termine a termine molte altre triadi di origine diversa (non tutte, beninteso), naturali o artificiali, come i tre piani dell'universo, i tre fuochi del sacrificio, tre numeri, tre lunghezze, tre alberi, tre tipi di offerta, ecc. Di questa constata­ zione ]. Gonda ha ritenuto un enunciato già vecchio in cui oggi non cambierei nulla (L'idéologie tripartie, 1958, pp. 19-20); cer­ to sarebbe stato meglio citarlo all'inizio delle discussioni, e non verso la fine (p. 206), poiché le chiarisce; almeno è citato: L'India ha messo le tre classi della società, con i loro tre prin­ cipi, in rapporto con numerose triadi di nozioni, sia preesistenti, 9 222 APPENDICE SECONDA sia create per la circostanza. Queste armonie, queste correlazioni, importanti per l'azione simpatica a cui tende il culto, talvolta han­ no un senso profondo, talvolta sono artificiali e puerili. Per esem­ pio, se le tre «funzioni » sono collegate distributivamente ai tre gul}a (propriamente «figli ») o qualità - Bontà, Passione, Oscuri­ tà - di cui la filosofia siirpkhya dice che gli intrecci variabili formano la trama di tutto ciò che esiste, o ancora ai tre piani sovrapposti dell'universo, nondimeno appaiono collegate non meno imperiosa­ mente ai diversi metri e melodie dei Veda, alle diverse specie di bestiame, e comandano minuziosamente la scelta dei diversi legni con cui saranno fatte le scodelle o i bastoni. Disgraziatamente, Gonda ha fatto precedere questo testo chia­ ro da un commento che lo deforma: Come si è già segnalato, Dumézil sostiene che la triade del­ le classi sociali sia stata il fattore determinante che ha prodotto (brought about) numerose altre triadi, l'esempio imitato dagli in­ diani nel creare una varietà di raggruppamenti triadici. [Segue la citazione. Poi : ] Questa opinione, mi spiace dirlo, è errata. Questa presentazione, mi spiace dirlo, è assurda: il francese « ètre mis en relation avec » ( 1 94 1 ), «en rapport avec �> ( 1 958), non ha nulla a che fare con l'inglese « to bring about » , che, salvo errore, significa «causare », «produrre » come una causa produce il suo effetto. Capisco tanto meno questo disprezzo, in quanto l'espressione francese, che io sappia, si traduce in inglese parola per parola. Munito di armi cosi a buon prezzo, J. Gonda non ha difficoltà a farmi la lezione su una quantità di casi particolari. Un esempio. Scrive, a p. 2 1 0 : L'origine della dottrina dei tre gut:ta [sattva, rajas, tamas : Bon­ tà, Passione, Oscurità] non ha nulla a che fare con le tre classi della società arya, con le tre funzioni di Dumézil. Non è dell'origine che si tratta, e lo stesso J. Gonda cita in nota, introducendolo con un divertente « ma vedi anche �>, un ver­ so del Mahiibhiirata dove evidente non è l origine , ma la triplice correlazione ( i siidra sono solo sostituiti ai vaisya, come accade spesso a questo livello di letteratura, nella parte spregiativa della relazione) : ' Il tamas è ciò che vi è di principale nel siidra, il rajas nello k!a­ tra, il sattva nel brahmano. J. Gonda non se la prende solo con le correlazioni che ho se­ gnalato. Carica la dose, come Brenno: Un'altra triade - scrive alla stessa pagina - che, per quanto pos­ so vedere, non ha nulla a che fare con la classificazione sociale, è LE TRE FUNZIONI VISTE DA ]AN GONDA 223 la dottrina delle entità morbifere [vento, bile, flegma] nella medi­ cina antica. Dove ho mai detto questa sciocchezza? Alla pagina seguente si legge, perla della collezione : Non posso evitare di chiedermi se Dumézil ci vorrebbe far cre­ dere che il Buddha, il quale non riconobbe gli ordini e le distin­ zioni sociali delle autorità brahmane, quando st abili la norma che i suoi seguaci avrebbero dovuto interpellare e rispettare lui stesso, la dottrina e la comunità dei monaci - la cosiddetta Tre Tesori (triratna), la Trinità Buddhista -, segui l'esempio della società arya tripartita. J. Gonda ha tuttavia la generosità di limitare la sua vittoria: non pretende che io abbia preteso che la triade induista Brahma­ Vigm-Siva « abbia la sua origine » nella triade delle funzioni. II. PARTICOLARI DIVERSI. Passerò ora in rassegna alcune discussioni o asserzioni conte­ nute nei due capitoli che mi riguardano (pp. 1 2 6-2 1 1 ) . pp. 128-35. Jan Gonda sostiene che i varQa dell'India non formano una struttura ternaria omogenea. Ci sarebbe dapprima, oppost:J alla massa, un'élite unitaria, che in un secondo tempo si scinderebbe in brahmani e guerrieri. Ora ciò significa invertire l'ordine delle operazioni. Ho ricordato spesso che, dati i tre varQa, i primi due in genere fanno fronte comune al di sopra del terzo, e costituiscono quelle che gli indiani chiamano, al doppio duale, ubhe virye, « le due forze » ; ma non sono per questo un'unità, il primo termine di una bipartizione, e nessun vocabolo comune li riunisce: la pretesa élite originaria non ha nome. Inoltre altre organizzazioni compaiono in situazioni particolari: nella sautra­ maQI, VaruQa ( I funzione) non interviene, e i tre animali del sa­ crificio sono ripartiti fra Indra (n), gli Asvin (m) e la « dea-medi­ chessa » Sarasvati: (qui, m); nell'epopea, uno dei Pa.t:J.9ava gemelli (m funzione) ha un rapporto di affinità con il Pa.t:J.9ava sovrano, l'altro con uno dei due PaQ9ava guerrieri. pp. 1 30-3 1 . « Non solleverò obiezioni contro un'interpreta­ zione duméziliana » della preghiera che fa l'ofliciante nei prelimi­ nari del Sacrificio del Cavallo per chiedere la nasci ta di un brah- 224 APPENDICE SECONDA ma�a eminente, di un riijanya grande guerriero, di una vacca prodiga di latte, ecc. (P.-E. Dumont, L'asvamedha, 1 927, pp. 6566). Non obiezioni, ma alcune <wsservazioni » : I) la preghiera, dice Ganda, mira alla prosperità non delle classi sociali, ma del re, capo della società; II) le classi e le funzioni non sono speci­ ficate come tali; III) non ci sono numeri d'ordine « o altre indi­ cazioni della triade »; IV) solo i desideri delle funzioni piu alte sono caratterizzati da aggettivi di eminenza; v) i termini, a par­ tire dal terzo (vacche, bovi, cavalli, figli e donne) si riferiscono si « alla terza funzione, ma non esclusivamente al terzo stato ». In che senso una qualunque di queste osservazioni impedisce di riconoscere l'intenzione ovvia di elencare, in ordine decrescente di dignità, i rappresentanti delle tre funzioni? Poiché ]. Ganda sembra ammettere un'« interpretazione duméziliana», apprende­ rà con piacere che essa esiste da quindici anni: può consultare la mia nota in « Latomus», xx ( 1 96 1 ) , pp. 257-62 : Un parallèle vé­ dique a l'énumération d'Iguvium, «nerf arsmo », etc. , dove trove­ rà specificamente (p. 2 6 2 ) di che correggere quanto dice piu avanti (pp. 142-44) della parola rajanya e (pp. 1 64-67) della discordan­ za fra i nomi canonici indiano e iranico dell'uomo della seconda classe. p. 1 35. Mi si rimprovera di non avere esposto la formazione progressiva della teoria dei var�a. Non mi sono mai proposto di comporre una storia della società indiana, ma di reperire le so­ pravvivenze che contribuiscono a determinare lo stato indiano piu antico, e persino quello indoiranico. pp. 1 3 5-40. Il confronto che J. Gonda fa delle classi sociali nell'India e nell'Iran è viziato dall'illusione che le differenze nei nomi che le designano provino che le concezioni non si corrispon­ dono; non esiste una siffatta solidarietà fra le parole e le cose, e non si deve dimenticare che il vocabolario religioso e istituzio­ nale dell'Iran è in gran parte riformato. pp. 1 40-41 . Le discussioni sui diversi sensi di vif e di k�atra rivelano fatti ben noti, di cui ho parlato spesso. Per il terzo li­ vello, non solo nell'India ( vif: cfr. i due significati dei Visve­ devii):I nella società divina), ma a Roma ( Quirinus e Quirites) e altrove, c'è un'ambiguità facilmente spiegabile fra « totalità » (comprese le aristocrazie) e « massa » (che completa le aristocra­ zie dall'esterno); al secondo livello, k�atra è una nozione bipolare, a cavallo tra la prima e la seconda funzione: potere ( temporale, reale) e forza (militare); nulla permette di svuotare k�atriya del suo contenuto militare, come l'autore intraprende a fare a p. 1 4 1 . LE TRE FUNZIONI VISTE DA }AN GONDA 225 p. 147. Che ci sia, in certi uffici, non solo collaborazione, ma anche sovrapposizione tra i rappresentanti di piu funzioni - che cosa potrebbe essere piu naturale? Vedi già L'ideologia /ripartita cit., pp. 46-47. p. 1 50. Sono redarguito per avere menzionato con approva­ zione, nel r 9 58, la collezione di passi del J!..gVeda con la quale uno scienziato indiano, il sig. Apte, nel 1 940 aveva voluto mo­ strare che il sistema dei tre vart:J.a esisteva fin dal tempo degli inni. Di fatto la mia approvazione andava soprattutto a J!..V 8, 35, r 6-r8, e da quel momento sottolineavo che la sola cosa provata era che i poeti vedici «pensavano » idealmente la società come formata di tre componenti funzionali, ma che era impossibile sa­ pere in quale misura la pratica sociale si conformasse a questa teoria (Ideologia !ripartita cit., pp. 7-8 ). Naturalmente J. Gonda trascura questa riserva. Ma c'è di peggio. Nel 1961, nell'introdu­ zione di un articolo che egli conosce bene perché lo discute per pagine intere, ho rinunciato - avendone visto il rischio - alla cor­ tesia fatta tre anni prima al sig. Apte. Nel « Bulletin de l'Acadé­ mie beige, Lettres », v serie, 47, pp. 266-67, si può leggere, nel testo (riprodotto nella prima appendice di questo libro, a p. 200) : « Gli altri passi [= diversi da 8, 35, r 6- 1 8] che sono stati prodotti o che lo potrebbero essere non mostrano questa struttura sim­ metrica la quale soltanto assicura l'intenzione classificatoria del poeta ». E, in nota: <( Penso soprattutto ad Ap te, Were castes for­ mulated in the age of the RigVeda? [Segue il riferimento] ». pp. 1 53-55. Quale difficoltà rappresenta il fatto che, in ma­ niere diverse, parecchi popoli indoeuropei abbiano aggiunto, nel corso della storia, una quarta classe ( artigiani, o scribi, o si.idra) alla suddivisione sociale secondo le tre funzioni? J. Gonda non conosce il mio saggio Métiers et classes fonctionnelles chez divers peuples indo-européens, in <( Annales (Economies, Sociétés, Civi­ lisations) », 1 958, pp. 7 1 6-24. pp. 1 6 1-63. Su XsaOra nella riforma zoroastriana, J. Gonda ignora parimenti il mio articolo Gli arcangeli di Zoroastro e i re romani di Cicerone, ritocchi omologhi a due tradizioni parallele cit., di cui l'essenziale è stato ripreso nella raccolta IR, 1 969, pp. 1 9 1-207 (specialmente p. 2 0 1 , nota 2). pp. 1 6 1-62. I fatti ossetici sono particolarmente maltrattati: non è vero che tutto si spieghi con l'etimologia dei nomi (del re- 226 APPENDICE SECONDA sto /Exseerteegkatee deriva incontestabilmente da eexsart(t), che significa incontestabilmente [Dizion. d' Abaev] « valore, intrepi­ dezza, eroismo »); la divisione funzionale appartiene in primo luogo alla leggenda dell'origine degli sciti (Erodoto 4, 5 ) e a spe­ cializzazioni estremamente nette e precise di ciascuna delle tre grandi famiglie narte eertee Narty. Perché ]. Ganda non rinvia al mio articolo La société scythique avait-elle des classes fonction­ nelles? (II], v, 1 962, pp. 1 87-202), né a ME, I, 1 968 ( 1 974), II parte, pp. 4 39-575 ? Infine i significati indiano, avestico del suffisso -ka non possono essere trasferiti (p. 1 6 1 ) sul suffisso osse­ tico, -(ee)g- banalizzato, « buono per tutti gli usi ». = p. 1 63. Per 6jas -aojah, ]. Ganda si basa sulla sua monografia del 1 952. Io non ne ammetto i risultati, e ho sviluppato nel 1 9 5 7 un'altra interpretazione, che è stata migliorata in IR, 1 969, pp. 79-102. pp. 1 7 1-72. La discussione dei tre « stati » sociali dei celti si basa su un'informazione insufficiente. Perché non citare la prin­ cipale testimonianza, la suddivisione della società irlandese in druidi, in flaith o nobiltà militare e in b6 airig o uomini liberi definiti dal possesso di bovi? Alle pp. 1 73-77, stessa insufficienza a proposito dell'Italia, della Grecia. pp. 1 79-8 1 . La discussione di Yasna 9, 22, e di Yast 5 , 87, è debole. Come sottrarre alla terza funzione (per contrasto con i guerrieri e i preti che precedono) le ragazze in età da marito e le donne che partoriscono (cfr. IR, p. 3 5 ) ? E quale obiezione trarre dal fatto che preghiere per la fecondità o le nozze delle donne s'incontrino anche senza contesto trifunzionale, o dalla circostan­ za che Yasna 9, 22, contenga anche altri gruppi triplici non fun­ zionali (« ladro, brigante, lupo», per esempio)? Debole anche (pp. 1 8o-8 r ) il tentativo di togliere alla prima funzione, in una lista di tre mali, il peccato piu grave del mazdeismo, il drauga, insieme menzogna e rivolta contro il sovrano. pp. 1 8 1-85 . Debole ancora la contestazione del carattere tri­ funzionale dei tre titoli di Agni, « kavi ( "veggente"), padrone del­ la vii (o della casa), yuvan (cfr. qui, pp. 200- 1 , nota J ) » , coi pre­ testi: I) che altri testi non contengono che due di queste qualifi­ cazioni; n) che, in altri testi e con un altro orientamento, Agni è detto, al superlativo, yiiviHha, <( il piu giovane ». p. 1 8 5 , nota 33· Per l'uso differenziato (indoiranico, italico) dei due nomi dell'uomo (niir e vira, ecc.), piuttosto che il mio LE TRE FUNZIONI VISTE DA JAN GONDA 227 articolo del 1953 che è citato da J. Gonda, si considererà il ri­ maneggiamento che ne ho fatto in IR, pp. 226-30, specialmente p. 230 e nota 3 (dove adotto l'opinione di Renou : ved. nar ap­ partiene al vocabolario delle prime due funzioni). III. LE TRE FUNZIONI E GLI «DEI DI MITANNI » NELL'INDIA VEDICA. Ecco ora le reazioni di J. Gonda alle analisi di testi riprodotte o sviluppate qui nell'Introduzione e nell'Appendice prima, le une per mostrare che il raggruppamento degli « dei di Mitanni» era conosciuto, con il suo significato trifunzionale, dai poeti vedici e dai liturgisti, le altre per segnalare diverse applicazioni vediche dell'ideologia delle tre funzioni. Prendiamo dapprima i due testi studiati nell'Introduzione. J. Gonda non ne contesta l'interpretazione, di cui omette solo di misurare le conseguenze. p. I 95, a proposito della formula che accompagna l'apertura del solco sacro (qui, p. 9 ) : « L'interpretazione di VS 1 2 , 72 (SB 7, 2, 2, I 2 ) proposta da Dumézil è abbastanza plausibile: è pos­ sibile ritenere che la sequenza mitrdya varu!Zaya ca indrayasvi­ bhyaf!Z PU!!Zé. . rappresenti le tre funzioni (arya) e la quarta clas­ se non arya - anche se si considerano SB 14, 4, 2, 2 5 ; BAU I , 4 , I 3 , dove i siidra sono coordinati col dio Pii�an ». Seguono due osservazioni di cui si verificherà facilmente l'inconsistenza: in che modo è possibile contrapporre le speculazioni upani�adiche sulla nobiltà (i personaggi individuali) e la vii (gli dei in gruppi) del mondo divino, alla struttura sicuramente molto piu arcaica e quasi fossile di cui ci occupiamo? Analogamente non comporta difficoltà il fatto che, in una teologia ulteriore, i <( patroni » dei tre varQ.a indiani siano stati ( tra altre liste! ) Agni, Indra, i Visve­ devaJ:t. . p. I93, a proposito dell'inno di Vac (qui, pp. 1 1-20) : <( Può essere facilmente ammesso che le stanze 4-6 di �V IO, I25 (AVS 4, 30, 4, 3, 5 ) - che è tradizionalmente scritto in onore della dea Vac - contenga chiari riferimenti alle " tre funzioni " �>. Natural­ mente non è prestata la minima attenzione al piano dell'inno né alle due liste divine (l'una collettiva, l'altra individuale) della strofa d'apertura, liste di cui la seconda è la stessa degli <(dei di Mitanni ». pp. I 33 e 1 9 8 : la riflessione sullo Indragni di questa 228 APPENDICE SECONDA seconda lista è vana: quali obiezioni trarre dal fatto che Agni, qui unito a lndra, sia per natura trivalente, o da quello che le divinità congiunte nel doppio duale, Indra e Agni, siano inter­ pretate in altre circostanze, al di fuori di questa lista, nel senso che rappresentino l'una lo k�atra, l'altra il brahman? Passiamo ai testi dell'Appendice, nell'ordine in cui sono stu­ diati nel presente libro. �V ro, 8o, 4-5 (qui, p. 2o r ) . J. Gonda (p. r87) come sempre contesta la mia interpretazione di vira, << Uomo, dal punto di vista della terza funzione » (cfr. qui, p. 200), dimenticando che essa è qui confermata dalla forma stessa dell'espressione, « Agni dona la ricchezza (dravil:zam) che ha per ornamento i vira (virapdab) », dove i vira sono menzionati solo in quanto costituiscono la com­ ponente piu pregevole della ricchezza. Cerco vanamente una struttura « quadripartita» nella strofa 4 · Al contrario le strofe 4 e 5 sono costruite come le due seguenti (e ultime): in ciascuna la prima metà (due versi) e la seconda (due versi) non hanno un rapporto logico tra loro, mentre, al­ l'interno di ogni prima metà, i due versi sono strettamente soli­ dali. Inoltre dopo la strofa 3, che in ognuno dei suoi quattro ver­ si menziona un servigio reso a un uomo particolare, nominato e probabilmente celebre, le strofe 4 e 5, nelle loro prime metà, men­ zionano tipi umani: la 4 i vira come elemento di ricchezza, un f�i eminente; la 5 i f�i, i guerrieri; e la strofa 6, nella sua prima metà, menziona la totalità degli uomini o degli arya. C'è dunque, in quattro strofe, una classificazione. Cosi si giustifica l'uso con­ giunto che abbiamo fatto delle strofe 4 e 5 ; si completa cosi la mia nota 7 a p. 2or , che J. Gonda cita con un errore di francese che la rende incomprensibile. �V 5 , 3, 5-6 (qui, p. 202). J. Gonda (p. r 87) trascura la fine della mia nota r 2 (dove vii è tradotto con « il popolo », che effet­ tivamente qui va meglio che « il clam> usato poco prima), che sconsiglia dal limitare il senso di samarya alla «competizione ri­ tuale ». �V 5, 54, I4 (qui, p. 203). J. Gonda scrive (p. 1 93) : « A pri­ ma vista sembra difficile negare che 5 , 54, 14, dedicato ai Marut, sia " un tutto analizzato secondo le tre funzioni e completato con la menzione di un buon re". Tuttavia i miei dubbi non sono com­ pletamente dissolti ». Che guardi meglio: se gli sembra che la terza funzione sia insufficientemente caratterizzata da vira, è per­ ché altera il testo; i Marut non sono pregati di donare « an emi- LE TRE FUNZIONI VISTE DA JAN GONDA 229 nent vira », ma una « ricchezza (rayim) che consiste di [o accom­ pagnata da] vira desiderabili» (qui, p. 202, da {{V I O, 8o, 4). {{V I, II I, 2 (qui, p. 204). ]. Gonda scrive (pp. I 87-88) : << La stanza contiene, è vero, riferimenti a tutti e tre gli elementi tri­ funzionali, ma si tratta di vedere se ci sono tre preghiere ». Se ]. Gonda preferisce, diciamo « tre desideri », la realizzazione del desiderio di seconda funzione condizionando quella del desiderio di terza. {{V I , I I I , 4 (qui, p. 205 ). ]. Gonda scrive (p. I 88) : « A pri­ ma vista {{V I , I I I , 4 d è inequivocabilmente tripartita, e - an­ che a causa della comparsa nella stessa stanza delle divinità del trattato di Boghazkoy - trifunzionale ». (Salutiamo, tra parentesi, questa vistosa adesione alle mie dimostrazioni: distrugge, da sola, la strategia di ]. Conda). Le obiezioni che seguono sono senza forza. È specialmente arbitrario decidere che il poeta non invoca lndra (rafforzato dai �bhu e dai Marut), Mitra-Varur;ta e gli Asvin « al fine di compiere le tre funzioni o di fare si che siano compiu­ te )> : diciamo che questi dei sono invocati affinché il loro favore ( hinvantu) procuri un vantaggio in ciascuna delle tre funzioni : tanto basta. Quanto alla costruzione proposta per i tre dativi (do­ ve quello di dht è caricato di un valore di soggetto! ) , gli esempi allegati, che Gonda pretende paralleli, non l'autorizzano. E per­ ché torturare cosi questi tre dativi quando, interpretati per quel­ lo che sono grammaticalmente, come tre forme omogenee giu­ stapposte, dànno un senso soddisfacente, in rapporto con gli dei funzionali elencati appunto nei tre versi che precedono? {{V I , I 6 I , 6 (qui, pp. 203, 204, note I4 e I 5 ) , discusso da J. Gonda (pp. I 9 I -92). Questa strofa e 4, 3 3 , 9, sono di fatto due varianti della tradizione, e non è il caso né di ridurle all'unità né di considerarle l'una come deformazione dell'altra; 4, 3 3 , 9 assegna distributivamente i servigi dei tre �bhu : quelli di due dei �bhu agli dei canonici dei primi due livelli funzionali, lndra e Varur;ta, i servigi del terzo �bhu « agli dei in generale » (cfr. il concetto di Visvedevii� ricordato in questo libro a p. I 8 , nota I I ), ossia pro­ babilmente alla « massa » divina in contrasto con gli dei sovrani e guerrieri; I , I 6 I , 6 fa pensare che i tre �bhu abbiano fabbri­ cato insieme (come gli Elfi della leggenda scandinava) tre oggetti assegnati gli ultimi due ai due dei canonici degli ultimi due livelli funzionali, agli Asvin e a lndra, e il primo a un dio-prete, Brha­ spati (al posto del dio sovrano Varur;ta). Nel I 945 (NA, pp. 4850) ho avuto torto di trarre, dall'accostamento di questi due te­ sti, la conclusione che gli oggetti meravigliosi erano fabbricati 230 APPENDICE SECONDA distributivamente, ciascuno da uno dei tre �bhu, ma ciò non com­ promette minimamente l'interpretazione trifunzionale delle due varianti; sarebbe stato leale dire che, nel I947 ( Tarpeia, p. 208), ho corretto questa esagerazione. �V 8 , 35, I 3 (qui, p. 209). La principale obiezione di ]. Gan­ da (p. I 9o) non regge. In questo inno formato di terne di strofe, il fatto che, nelle altre due strofe della terna ( s tr. I 4 e I 5), gli Asvin, nominati nel ritornello, siano associati ad altri dei, non impedisce che la prima associazione (str. I 3 ) con << Mitra-Varut:ta e Dharman >> (o « il dharman »), con « i Marut», sia significativa. In ogni terna dell'inno, l'unità di pensiero è forte. La terna 1 3 , 14, I5 essendo destinata a mostrare che gli Asvin collabo­ rano con dei diversi, e non solo con U�as e Siirya (che compaiono con loro nella parte del ritornello comune a tutte le strofe dell'in­ no), non era naturale dare come primo esempio, alla strofa I 3 , con una lieve variante ( i Marut sostituiscono il loro capo Indra), gli dei che, uniti di fatto agli Asvin, costituivano una formula conosciuta dai tempi piu antichi (gli « dei di Mitanni »), e questo persino se le associazioni stabilite nelle altre due strofe della ter­ n a ( 14 e I5) non si spiegano cosf semplicemente ( I 4 : gli Angiras, Vi�9u, i Marut; I 5 : i �bhu, Vaja (= uno dei �bhu ! ) , i Marut). D'altronde non è certo che l'insieme degli dei nominati in questa terna di strofe non abbia un significato unitario: i Marut, com­ pagni di Indra (e, in 1 3 , suoi sostituti), sono presenti nei tre grup­ pi; nel secondo ( 14), Vi�9u è un altro dei compagni normali di Indra di cui sono anche certi i rapporti particolari con gli Angi­ ras, e, nel terzo ( 1 5), lo strano raddoppiamento « i �bhu + uno dei �bhu )) mette in evidenza, tra questi dei artigiani, quello che è piu specificamente <dl �bhu di Indra », Vaja; di modo che In­ dra, il cui nome è evitato in questa terna come in tutto l'inno, è tuttavia presente per allusione, e occupa persino, per interposte persone, tutto lo spazio disponibile, dopo Mitra-Varu9a e Dhar­ man (dharman), in ogni strofa della terna. Le altre obiezioni non reggono meglio: r ) Dove sta la mancanza di omogeneità nell'invocazione agli « Asvin accompagnati da Mitra-Varu9a, da Dharman [o « dal dharman »] , dai Marut >>? Tutto è al vocativo, e, se il :solo Asvinii si stacca come sostantivo, mentre gli altri nomi divini compaiono in aggettivi che ne fanno i compagni de­ gli Asvin, è perché soltanto gli Asvin sono i destinatari dell'inno. 2 ) Se Mitra-Varut:ta e i Marut (donatori di pioggia, tra altri uffici) compaiono insieme senza gli Asvin in altri contesti, LE TRE FUNZIONI VISTE DA JAN GONDA 231 specialmente in u n inno per l a pioggia (5, 6 3 , 5 e 6; i n 6 inoltre con Parjanya, specialista della pioggia), questa cir­ costanza impedisce forse che la loro unione con gli Asvin in 8, 35, abbia un altro senso? Infine J. Gonda si guarda bene dal ricordare che la terna che segue immediatamente (str. r6, 17 , r 8) è la piu chiara testimo­ nianza della struttura sociale trifunzionale del J!.gVeda. IV. ]. GONDA E GLI DEI DI MITANNI. Aspettavo con curiosità che J. Gonda, strappandosi alla mis­ sione rieducativa che si assume nei miei confronti con tanta abne­ gazione, esponesse infine il suo pensiero personale: in che modo spiega l'esistenza del raggruppamento degli dei di Mitanni, di cui non nega assolutamente la presenza nei testi vedici e che talvolta accetta di interpretare, nei Veda, con le tre funzioni? Due rispo­ ste, poco conciliabili, mi sembrano coesistere, l'una diffusa per tutto il corso delle discussioni, l'altra, ben strutturata, alla fine del capitolo IV. r) La dottrina predominante priva di ogni interesse il conte­ nuto proprio delle triadi di cui mi sono occupato. « Le tre fun­ zioni » non sarebbero che una specificazione di ciò che soltanto sarebbe essenziale, del numero Tre, ed è questo stesso numero­ quadro che si sarebbe secreto un assortimento indefinito di con­ tenuti, compreso quello. L'espressione piu chiara si trova alla fine del terzo capitolo (p. 1 77), in occasione di una mia frase di cui è curiosamente stravolto il senso: Dal momento che Io scienziato francese osserva incidentalmen­ te che « l'organizzazione tripartita, realizzata o auspicata, non sem­ bra piu essere altro che un'espressione tra altre (dell'ideologia) » [chiedo scusa, occorre precisare : (dell'ideologia delle tre funzioni, che è anche espressa, eventualmente, nel sistema teologico, nel di­ ritto, nella psicologia, ecc.): vedi la mia frase completa nell'Ideo­ logia !ripartita cit ., p. 1 8] , può sorgere la questione perché non sia andato un poco piu in là, e non abbia detto che era lo stesso modo di pensare triadico, a costituire il principio fondamentale. Se avesse rinunciato a credere nel dogma dell'importanza fondamentale di una classificazione sociale come fattore determinante [sempre la stessa deformazione della mia tesi, vedi qui, p. 221] giudicando fe- 232 APPENDICE SECONDA nomeni mitologici e religiosi, mi sarei potuto risparmiare il distur­ bo di scrivere questo lungo capitolo. Affido le ultime righe al sorriso dei nostri comuni lettori, e non mi soffermo che sulla tesi. Si serve dello stesso fantasma nu­ merico che abbiamo già dovuto esorcizzare nel primo capitolo, a proposito di Mitra-Varury.a e del numero Due. Secondo J. Gonda, il « principio fondamentale » dell'associazione antitetica di Mitra e di Varury.a non deve essere cercato nei contenuti equipollenti delle sue diverse manifestazioni, ma nel prestigio del concetto di coppia, del numero Due (qui, p. 6o). Questa volta è il numero Tre - « holy, typical, favourite » (p. 1 96) - che avrebbe prodot­ to, in mezzo a molte altre classificazioni, quella delle tre funzioni cosmiche e sociali. Dubito che un lungo futuro sia destinato a questa spiegazione ipernominalistica, a questa confusione tra il quadro, la cornice puramente formale, ricettiva, e i settori, varia­ bili all'infinito, delle organizzazioni ternarie che ospita. 2 ) La seconda dottrina, quella delle pp. 1 96-99, è ben diversa. Devo ammettere che dopo la lettura di queste pagine sono diviso fra l'entusiasmo e l'irritazione. Da un lato, nel momento in cui la condanna a morte sembra definitiva, J. Gonda mi resuscita, di­ venta mio discepolo, lucido ed eloquente, compone uno dei mi­ gliori riassunti che conosca dei motivi per cui ho articolato gli « dei di Mitanni » secondo le funzioni della sovranità, magica e giuridica, della forza vittoriosa, della prosperità, e mostra anche con grande chiarezza come queste tre funzioni e i loro dei si di­ stribuiscano naturalmente nei tre piani sovrapposti dell'universo (secondo il mio insegnamento costante a partire da ]MQ, I, 1 94 1 , pp. 65-67, 94-96). D'altro lato, espone tutto ciò come se dovesse scoprirlo, come se lo scoprisse, a furia di riferimenti e di citazioni di Macdonell, di Heiler, di Eliade, di Van der Leeuw, di J. ]. Meyer e di se stesso, gloriosa coorte dove io non figuro che per due dettagli. Perché questo esercizio abbastanza straordinario, che in seguito gli consentirà di appropriarsi, con un semplice ri­ ferimento, di ciò che respinge sotto il mio nome, ma che, nel frattempo, contraddice a quanto ha appena sostenuto per due capitoli interi? A quanto pare, per introdurre una nuova ipotesi, dove la triade dei piani dell'universo e la triade degli dei funzio­ nali non sono piu due sorelle, due prodotti tra mille del prolifico dio Tre, ma una madre e una figlia: la triade cosmica fornita dalla natura diventa la triade per eccellenza, originaria, che avrebbe prodotto, in virtu delle affinità precedentemente enunciate, la triade delle funzioni e dei loro dei (p. 199). LE TRE FUNZIONI VISTE DA JAN GONDA 233 Mi parrebbe che il breve argomento prima esposto, e che po­ trebbe essere facilmente ampliato [Credo bene! Basta copiare i miei libri] , potrebbe, da solo, suggerire che le divinità Varu.t:�a­ Mitra, lndra, gli Asvin - o i loro compagni o sostituti come «dei funzionali » [credo di sognare. . .] - talvolta siano combinati cosi da costituire una triade, non a causa della loro stretta associazione con le tre classi funzionali della società [questa volta correggiamo, poi­ ché si tratta delle mie tesi: (... con le tre funzioni cosmiche e so­ ciali)] , ma principalmente perché ognuno di loro potrebbe essere naturalmente associato con una delle zone dell'universo. O, per esprimermi un po' piu cautamente : i caratteri di queste divinità non mostrano certi tratti che potrebbero, sotto l'influenza del mo­ do di pensare triadico, diventare punti di partenza di questo parti­ colare raggruppamento secondo analogia con la triade cosmica? L'ultima frase cerca maldestramente di conciliare questa seconda dottrina, della « filiazione », con la prima, quella della <( ge­ nerazione spontanea » delle triadi. Ma la seconda non è piu soste­ nibile della prima. Le innumerevoli triadi, di origini diverse, che circolano nel mondo, sono poste facilmente dal pensiero, da ogni pensiero, in rapporti armonici delle une con le altre, e, per i mo­ tivi che ho spesso ripetuto dal 194 1 e che J. Ganda ha appena scoperto, nell'India, la triade degli dei funzionali e quella dei pia­ ni, dei livelli dell'universo erano naturalmente adattissime a tale accostamento termine a termine. Ma il loro rapporto non è per questo fondamentale, primario, come ama dire J. Ganda. La pro­ va è che, all'occasione, la combinazione si fa diversamente: quan­ do Mitra e Varul).a sono a tu per tu, accade che si distinguano come il cielo e la terra (qui, p. 53), e uno degli Asvin, per con­ trasto con l'altro, è <( figlio del cielo » ({{V I , 1 8 1 , 4). In conclusione, J. Ganda non può eludere il grande proble­ ma: perché mai il re di Mitanni ha preso come testimoni della sua parola gli dei arya Mitra-Varul).a, Indra, i due Asvin, e loro soli, e in quest'ordine? Nonostante il suo brillante <( alla maniera di » delle pagine 1 96-99, non gli è lecito spiegare questo raggrup­ pamento ricorrendo alle tre funzioni o alla divisione della società secondo tali funzioni: significherebbe darmi ragione fino in fon­ do. Gli è anche difficile ammettere che sono il Cielo, l'Atmosfera, la Terra a dissimularsi sotto questa formula: se si trattasse di essi, il re non li avrebbe certamente mascherati, avrebbe scelto divinità piu immediatamente naturalistiche, come Siirya, il Sole, Viiyu, il Vento, Prthivl o qualche altro nome della Terra. Dun­ que J. Gonda ripiega sulle virtu generali del numero Tre: racco­ glie, specialmente in Grecia, formule diverse di giuramento dove sono invocate tre divinità. Ma neanche questo lo toglie dai pa­ sticci: è evidente che se il re arya, o il modello tradizionale a cui 234 APPENDICE SECONDA si è conformato, fossero stati ispirati dal fervore triadico di J. Gonda, non avrebbero, all'insegna del Tre, impegnato nell'affa­ re cinque divinità, raddoppiato il numero 1 che era tuttavia facile attribuire al solo Varul).a, e preferito, per il numero 3, una coppia di gemelli. Inoltre questa spiegazione zoppicante ignora un dato essenziale, lo stesso che era stato trascurato dopo la scoperta del trattato di Boghazkoy e fino al mio libro del 1 94 1 , e di cui ho ricordato l'importanza all'inizio di quello presente: non sono il re di Mitanni, non sono i suoi preti ad avere inventato questo raggruppamento; esso è anteriore alla separazione degli indiani dell'Est e dei para-indiani dell'Ovest, e il {{gVeda, i rituali ve­ dici se ne avvalgono in circostanze troppo dissimili perché sia ragionevole derivarlo, in ogni caso particolare, dai bisogni e sug­ gerimenti del momento: deve avere, per i suoi termini e per la loro riunione, un valore suo proprio, che lo rende atto a servigi diversi. J. Gonda non è dunque arrivato alla sua meta, e gli dei di Mi­ tanni gli restano sulle braccia, come si suoi dire. Concluderò con alcune osservazioni piu personali. Dopo aver letto tante discussioni sorprendenti, mi sono chie­ sto se tutto non si spiegasse con un equivoco di vocabolario - rimpolpato da una forte dose di animosità. Il mio bilancio prov­ visorio del 1 958 è stato intitolato L'idéologie tripartie des Indo­ Européens dove « tripartita » aveva naturalmente il senso di « fondata sulla struttura delle tre funzioni » : in quel momento esitavo ancora a usare correntemente, specialmente in un titolo, l'aggettivo barbarico « trifunzionale » [« trifonctionnel »] , e pen­ savo che fin dalle prime pagine il lettore avrebbe visto che cosa signifìcava, a che cosa si limitava la « partizione ternaria » annun­ ciata, e non avrebbe immaginato che gli avrei proposto una lec­ cornia triadica, per metà seria per metà scherzosa, come quella che ha servito recentemente ai suoi compatrioti Alan Dundes, The Number Three in American Culture , in Every man bis way (Prentice-Hall, Englewood Cliffs (N.J.) 1968). Prima di J. Gon­ da nessuno si era ingannato, ma devo riconoscere che il rischio c'era, la trappola era involontariamente preparata. Se le cose stan­ no cosi, prego J. Gonda di perdonarmi la sua sgradevole disav­ ventura. ]. Gonda si lagna spesso del fatto che io non abbia messo un indice degli argomenti alla fine della maggior parte dei miei libri ( almeno nelle edizioni francesi, poiché gli editori americani esi­ gono sempre e comunque l'indice degli argomenti) - piu esatta­ mente in nessuno, tranne La religion romaine archazque e Mythe et épopée I che sono casi particolari, sono simili a manuali. Non - LE TRE FUNZIONI VISTE DA ]AN GONDA 235 si tratta di pigrizia, ma di uno scopo deliberato. Volevo cosi otte­ nere il risultato che i lettori prendessero questi libri per quello che sono, non repertori di dati suscettibili di essere ridotti a get­ toni, per altri bisogni, ma dimostrazioni dove ogni elemento trae il suo interesse solo dalla sua posizione e dalle sue connessioni di breve o lunga gittata. Di conseguenza ho moltiplicato i rimandi all'interno dei singoli libri, ma non ho compilato il catalogo finale che avrebbe permesso di utilizzare il libro senza conoscere la te­ si che sostiene. ]. Gonda mi fa altri rimproveri, piu delicati, perché toccano la deontologia del nostro mestiere. Mi potrei giustificare facilmente, ma a che scopo? L'astio che anima questo collega nei miei con­ fronti e che di anno in anno diventa piu forte o audace non può essere guarito con la discussione: sopporto dunque con pazienza il suo malanno '. Non risponderò che su un punto (Triadi cit., p. 1 90, fine della nota 74), poiché concerne i miei rapporti con un uomo, oggi ridotto al silenzio, a cui devo molto. Un'altra peculiarità dei libri di Dumézil è di trascurare le opi­ nioni critiche espresse sulle opere di altri studiosi citati per surro­ gate le proprie idee (vedi per esempio Heur et malheur du guer­ rier, Paris 1 969, p. 104, su L. Renou ed É. Benveniste, Vr;tra et Vr;6ragna, Paris 1934). Vedi anche il mio articolo sull'ideologia tripartita di Dumézil, in «Journal of Asian Studies », 1 974, p. 1 3 9 . II passo di Heur ecc. a cui si riferisce J. Gonda è il seguente: Il primo problema che s'impone all'attenzione è quello dei rap­ porti dell'lndra Vrtrahan vedico con il dio iranico VdldBragna. Del libro importante che gli hanno dedicato Émile Benveniste e il com­ pianto Louis Renou, un terzo di secolo fa, la prova del tempo ha confermato le analisi linguistiche e filologiche. Ha anche mostrato che, per la comprensione delle realtà religiose che stanno dietro ai testi e che li sostengono, occorre aggiungere altri osservatori e altri mezzi a quelli ai quali, per principio, si sono limitati gli autori. La parte della mia approvazione è definita: linguistica e filo­ logia, effettivamente impeccabili in Vrtra et VrfJragna. Ma non ho dato il mio consenso né al metodo delle « mitologie separa te» (ve­ di l'ultima frase del libro), né alla concezione dei fatti religiosi che domina in questo studio. L'ho dato tanto meno, in quanto poco dopo la pubblicazione del libro avevo spiegato a lungo le ragioni e la portata della nostra divergenza in un articolo della RHR (cxvn, 1 938, pp. 1 52-70). Nel 1 969, dopo la dichiarazione 1 Tuttavia ho ora confutato una critica irriflessa di questo autore (Gon­ da, The Vedic Mitra and the Epic Dharma, in ]RAS, 1971, pp. 12o-33 ) nel primo numero del nuovo « Journal of Mithraic Studies », 1976, pp. 32-35. APPENDICE SECONDA che ho appena citato, non ho riprodotto dell'articolo del 1 938 che la parte costruttiva, senza la parte critica, di cui Benveniste del resto aveva ben presto accettato l'essenziale: a questo proposito mi scrisse una lettera molto bella che lascerò alla Bibliothèque du Collège de France, con altre carte interessanti. Che cosa vuole da me J. Gonda, in definitiva? Le « criticai opinions » di cui parla sono evidentemente le sue: in che modo avrebbero cambiato il testo di Heur ecc., che non si basa sul libro incriminato? Note del I 980 Sebbene mi richiami esplicitamente ad Abel Bergaigne, inventore del­ l'espressione (qui, p. 18, linee 25-3 1), un critico almeno ha creduto che « dei sovrani » significasse « dei del re», e mi ha rimproverato di avere parlato cosi poco della regalità. La sovranità di Varui:ta e di Mitra, sorveglianti del­ l 'Ordine cosmico come di quello morale, non corrisponde a quella dei re ter­ restri, che sono parimenti in rapporto con Indra. Sulla regalità, la sua ideo­ logia e i suoi rituali, vedi specialmente Dumézil, Mythe et épopée II cit., terza parte (pp. 239-374), e FR, pp. 1 1 2-73. p. XII, linee 5-6: Nuove edizioni di Mythe et épopée I, II e III sono state pubblicate ri­ spettivamente nel 1979, nel 1977 e nel 1978, wrrette e fornite di note finali. pp. 25-26: Ahura Mazdii, « Il Signore Saggezza, Saggio »? Ultimamente vedi Kuiper, «Ahura Mazdii » « Lord Wisdom »?, in II]. XVIII ( 1976), pp. 25·42, con buone risposte a critiche di Paul Thieme. p. 28, nota 2 : Idee diverse i n Jean Haudry, La religion de la vérité, École Normale Su­ périeure, Atti della sessione di linguistica di Bourg-Saint-Maurice, 4-8 settembre 1977. (Pubblicazione della Sorbonne Nouvelle, Paris III), 1979. pp. 146-53 · p. 2 9 nota 6 : Aggiungere alla fine ( p . 30) : S u xJa8ra, vedi Elio A. Provasi, Avestico «xsa8ra- », Studi in onore di Giuseppe Tucci (1st. Univ. Orient., Napoli), 1974, pp. 59-99; Kellens, L'Avesta comme source historique: la liste des Kayanides, in « Acta Antiqua Acad. Scientiarum Hungaricae », XXIV (1976), pp. 37-49, e un articolo di prossima pubblicazione. L'essenziale per la mia dimostrazione è che kfatra- sia servito tre volte in modo indi­ pendente per caratterizzare in liste trifunzionali la seconda funzione in rapporto alle altre due (sanscr. k�atriya, ossetico /ExsiErtaiEgkatiE, gath. X1a8ra nella posizione di Indra). pp. 37-68: Vedi ora due lavori di Jaan Puhvel, Devatii-dvandva in Hittite, Greek, and Latin, in « American Journal of Philology », LXXXXVIII (1977), pp. 396-405, e Mitra as an Indo-European divinity, in « Études mithriaques (Acta !ranica, Textes et Mémoires »), IV ( 1978), pp. 335-43. L'ultimo libro di F. B. ]. Kuiper, Varu!Za and Vidu�aka, 1979, contiene molte idee NOTE DEL 1 980 utilissime, facilmente conciliabili con la tesi qui sviluppata, ma trascura quanto mi pare fondamentale (qui, pp. 8-18 ; 199-220; 227-34): la con­ cordama di testi vedici (inni, riruali) con la lista degli dei arya di Boghaz­ koy. Non memiona questa lista che due volte, incidentalmente (pp. 19 e 68), e solo per constatare che contiene « Varul).a », astraendo dagli altri nomi. Tutto il mio lavoro naturalmente è ignorato. p. 72 nota 6 : Renou, EVP, r o , p . 102, 1inea 8 : « *jatii- semisuffisso? » p. 8o, linea 1 7 : D'Armand Minard : « Nel secondo verso della strofa 39, Whitney ritiene che la correzione di ajantu in acantu si impong11, e SB. upa-ac-, 'attingere (acqua)' induce a intendere AV. ud-ac- 'che essi attingano' ». Dunque adotto questa correzione. p. 94, 1inee 22-2 3 : Io avevo tradotto « i piedi stesi »; d'Armand Minard: « Credo piuttosto, con Geldner, '(la) pianta dei piedi in supinazione, nella posizione oste­ trica, cosce sollevate, gambe flesse, piante dei piedi volti verso il sof­ fitto' ». p. 99, nota L. Renou si è occupato piu volte di questo inno: Anthologie {1947), p. 18; Hymnes speculatifs cit., p. 43; EVP. cit., 5 , p. 70, e 7 ( 1960), p. 20. pp. 105·2 2: Sulla parentela particolare dei primi due Amasa Spanta, dr. l'uccello mi­ tico che porta l'Avesta sulla sua lingua e che fa fuggire i demoni quando parla: si chiama indifferentemente morii-i AsO-xiiit e morii-i xor-bara Vohuman, Grande Bundahiin 24, 28-30 (ed. Anklesaria cit., p. 199). p. 1 8 1 , linee 2-17 : Una conce2ione a priori del secolo XIX ricompare oggi, senza basi e senza futuro : in origine ci sarebbe stata una religione che si limitava al Cielo e alla Terra, a Tyr e ai Vani. p. 193, linea 2 1 : Jean Varenne h a appena sostenuto (dicembre 1979) una tesi eccellente, Cosmogonies védiques che sarà pubblicata nelle edizioni delle Belles Let­ tres (Guillaume Budé). Kuiper, nel libro Varur.za and VidiiFaka cit. (pp. 55-65), fa un ampio uso delle proprie idee relative alla cosmogonia vedica. 1: