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Ridere dell'arte. L'arte moderna
nella grafica satirica europea tra 800
e 900
Storia dell'arte contemporanea
Università degli Studi di Udine (UNIUD)
12 pag.
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RIDERE DELL’ARTE
Marta Sironi
Capitolo 1 – CONTRO L’ARTE E GLI ARTISTI: A SCUOLA DA FÜSSLI
Il primo scenario di una sistematica riflessione e rappresentazione “critica” dell’arte è l’Inghilterra
del 700 dove si manifesta nella grande divulgazione della grafica.
Il primo attore della nuova scena è Hogarth, che non solo si avvale dell’accentuazione caricaturale
come elemento linguistico-espressivo determinante per la sua analisi della società contemporanea,
ma ne teorizza caratteri e autonoma importanza.
La risposta di Sandby avvia una riedizione all’inglese della vecchia questione degli antichi e dei
moderni, che trova esemplare espressione del contrasto tra una rappresentazione della realtà
considerata dagli accademici deprecabilmente caricaturale nel suo realismo (quella di Hogarth) e
una prima forma di descrizione visiva della novità artistica in termini caricaturali (di Sandby).
Alla fine del secolo tocca all’incisore Gillray di “criticare” il campo dell’arte, investendo
convenzioni e intrallazzi accademici. Sempre più chiaramente si delinea l’intreccio dei modelli
aulici di volta in volta citati con una maniera “bassa”, di facile lettura per il nuovo pubblico
borghese, per il quale costituisce sia un piacevole intrattenimento, sia un’efficace visualizzazione di
idee riguardanti anche la politica e la società contemporanea.
La pittura di Füssli costituisce la più significativa fonte d’ispirazione per Gillray. Vi concorre
soprattutto il quadro più famoso di Füssli, L’incubo, le cui originarie rielaborazioni caricaturali
diventano la base di una fortuna iconografica ancora oggi attuale.
1.1. Un precedente: William Hogarth
L’Analisi della Bellezza, di Hogarth, può a buon diritto essere considerata la prima importante tappa
che segna l’ingresso della grafica satirica nel mondo dell’arte.
Nel contesto inglese di metà 700, Hogarth traduce nelle arti visive quell’intento di critica sociale
che trovava allora grande sviluppo nella letteratura.
La polemica di Hogarth era rivolta alla figura dell’artista e collezionista, che vedeva l’arte come una
formula canonizzata, le cui massime espressioni erano rappresentate dalla pittura italiana e olandese
del 500/600.
Il pittore paesaggista Sandby cercò di combattere Hogarth attraverso stampe satiriche volte a
presentare il possibile scenario conseguente alla messa in pratica di simili teorie. Rifacendosi alla
stampa burlesca in stile olandese, Sandby mostra lo studio del collega come un complesso
laboratorio di falsificazione satirica degli antichi maestri.
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Del resto, tutta l’opera di Hogarth è polemica rispetto alle consuetudini artistiche del tempo, nella
prospettiva di trovare uno spazio, nel campo dell’arte, anche per espressioni figurative meno
convenzionali, tra cui la sua pittura di “storia contemporanea”.
Con Hogarth ha inizio la tortuosa scalata del disegno satirico verso il riconoscimento di un proprio
status: un aspetto particolarmente sentito in Inghilterra, dove gran parte delle battaglie riguardano
proprio la questione del valore delle arti figurative “minori”. Non è un caso che Füssli diventi di lì a
poco il fulcro dell’interscambio tra arte e satira, tra produzione di immagini “alte” e “basse”.
1.2 James Gillray contro l’arte
Una prima tappa della migrazione di modelli visivi che vedono la pittura accademica e la grafica
satirica incointrarsi e rinnovarsi a vicenda si concretizza nel rapporto fra il disegnatore satirico
Gillray e Füssli.
Vetrina privilegiata di Gillray è il negozio di stampe di Humphrey, riferimento imprescindibile
dell’alta società londinese di allora. Così, le stampe satiriche hanno spesso riferimenti visivi e
letterari allora attuali e facilmente individuabili; con citazioni dai quadri più famosi esposti alla
Royal Academy e dei classici della letteratura, da Shakespeare a Milton.
Gombrich ha per primo sottolineato come la satira tardo settecentesca inglese fosse vicina al gusto
romantico corrente, infarcito di riferimenti letterari e visioni fantasmagoriche derivanti dagli
spettacoli popolari con lanterne da proiezioni.
Gillray si era formato alla Royal Academy come incosore: dunque conosceva bene e frequentava gli
artisti dell’Accademia, con i quali però sarebbe entrato in contrasto per la scarsa considerazione di
cui godevano l’incisione e le forme di espressione artistica considerate “meccaniche”.
Gillray mette in scena un teatro barocco che riuscì a muovere a tal punto l’opinione pubblica da
impedire la presenza di opere in “stile veneto” nell’esposizione del 1798.
Gillray denunciava soprattutto il gioco di affari e la pochezza di allievi buffoni e truffatori, vogliosi
solo di facili successi. Era soprattutto l’editore Boydell la pecora nera di Gillray.
1.3 Füssli e Gillray, dalla pittura alla satira
Se le citazioni dell’opera di Füssli erano frequenti nella grafica satirica di Gillray e dei
contemporanei, Gillray traduce un suo quadro (le Tre streghe), in termini di satira, per rappresentare
la profonda crisi politica seguita alla malattia di re Giorgio III.
Stupisce la maturità formale con cui il modello viene assorbito e ricreato in modo autonomo
sottolineando gli aspetti più caratteristici del dipinto: la gestualità nervosa delle mani, la reiterazione
dei profili dei tre cospiratori politici, fino alla ricreazione di un’atmosfera “nera”, resa con nubi
marroni che ricordano le escrescenze della gotta.
Gillray rappresenta l’espressione più nota di una ben più sfaccettata influenza della pittura sulla
grafica e viceversa.
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Grazie alla sua notorietà e alla massiccia circolazione delle sue stampe, Gillray diventa il principale
veicolo di diffusione del coevo gusto inglese per la complessa elaborazione visiva di fonti “alte”; ed
è anche per suo tramite che la pittura di Füssli esce dai confini nazionali, affermandosi come icona e
modello di una sempre più popolare maniera di rappresentare la politica.
DOSSIER – L’incubo della politica
L’opera di Füssli che avrà maggiore popolarità è l’Incubo. Dopo il successo del dipinto, esposto alla
Royal Academy nel 1782, si moltiplicano le versioni satiriche.
Se in queste stampe il dipinto viene quasi letteralmente citato, la sua fortuna nella satira politica
cresce nel tempo dilagando a livello europeo, soprattutto dagli anni quaranta dell’800.
Il catalogo ragionato delle incisioni di Füssli ne restituisce una prima importante mappatura
soprattutto rispetto alla cultura inglese fino a quasi la metà dell’800.
L’immediata circolazione del dipinto definisce presto un’iconografica sovranazionale che,
distaccandosi in gran parte dal modello originale, costituisce invece un riferimento autonomo per la
grafica politica. Per trovare una simile proliferazione di modelli iconografici bisognerà attendere la
stagione rivoluzionaria del 1848.
Del resto, in Italia, solo a tale data si assiste ad un vero e proprio “diluvio di giornali” con relative
illustrazioni.
In un primo censimento delle immagini satiriche del biennio rivoluzionario in Italia si sono
riscontrate almeno 4 citazioni dal dipinto. La prima è evidentemente tratta da una stampa del dipinto
di cui si cita letteralmente la struttura, soprattutto la testa di cavallo dietro la tenda; la seconda è
invece un’interpretazione più mediata, con alle spalle precedenti versioni satiriche.
Ricordare il caso italiano è utile sia per incrementare il catalogo delle versioni caricaturali
dell’Incubo sia perché è emblematico di una circolazione europea così importante da raggiungere
una zona periferica rispetto a Inghilterra e Francia.
Nel 1896, con la disfatta di Adua, l’incubo torna attuale e Teja utilizza il riferimento contingente
alla politica estera in Africa, raffigurando una figura “nera” e aumentando così il senso oltraggioso
dell’immagine.
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Capitolo 2 – UN SISTEMA ESPOSITIVO PARALLELO
2.1 Les Salons caricaturaux da Baudelaire a Gill
Dagli anni Trenta dell’800 la grafica satirica europea, lasciandosi alle spalle gli esordi inglesi, trova
la propria culla ideale a Parigi, tra le pagine delle riviste illustrate in crescente espansione. Non si
tratta più di stampe sciolte, oggetti riproducibili venduti ancora nella loro qualità di “pezzi unici”,
ma di numerose e varie illustrazioni a corredo dei fogli periodici.
L’impatto di tale editoria illustrata è in parte limitato dalle leggi censorie che favorivano lo sviluppo
della satira di costume.
L’appuntamento d’arte più mondano della capitale francese, il salon annuale, divenne un
riferimento obblicato per la stampa illustrata, il cui pubblico privilegiato era lo stesso: quella
borghesia ormai decisiva per le sorti e il mercato dell’arte contemporanea.
Dagli anni Quaranta, le principali riviste illustrate francesi escono con inserti speciali e intere
pagine dedicati all’esposizione: nasce il genere satirico dei Salons caricaturaux.
Il salon parigino aveva allora una storia già consolidata: vi si privilegiavano i generi tradizionali (la
pittura, la storia, la mitologia…) con parziali e caute aperture a generi “minori” e a una schiera
sempre più ampia di artisti.
Mentre a Parigi si assiste ad una sempre maggiore diversificazione delle occasioni espositive, il
modello dei salon, inteso come mostra ufficiale periodica, si diffonde in Europa portandosi dietro le
rassegne comiche illustrate sulle riviste dei diversi paesi.
In linea con l’evoluzione successiva di questo genere satirico, il libretto del giovane Bartall allegato
all’”Omnibus” per il salon del 1843 presenta le situazioni più tipiche: l’artista che porta la sua
opera, le reazioni del pubblico, una selezionata rassegna dei quadri in mostra.
Tra i primi esempi di pubblicazioni con autorevoli commenti critici delle opere, c’è il libretto della
libreria Charpentier, pubblicato in occasione del Salon del 1846, con testi di Baudelaire.
La narrazione procede presentando i protagonisti, artisti e pubblico; si passa quindi alle opere
esposte i cui autori sono facilmente identificabili grazie ai titoli e ai riferimenti scherzosi in
didascalia.
Baudelaire dimostra fin da questo esempio di salon caricaturale come tale genere potesse essere un
mezzo di comunicazione appropriato per restituire una visione critica immediata dell’arte e degli
artisti contemporanei.
Da quel momento i salon caricaturali acquisiscono uno schema costante, all’inizio portato avanti
principalmente dai periodici di Philipon con tavole in bianco e nero su “le Charivari”.
Su “Le Journal pour Rire” dagli anni Cinquanta sino alla fine del decennio successivo, sono Bertall
e Nadar a disputarsi il commento dei salon. In una struttura visiva ricorrente, i due disegnatori sono
lo specchio di opposte prospettive critiche: il primo, d’origine aristocratica, è il portavoce del gusto
più conservatore, mentre Nadar si dimostra un più attento sostenitore della pittura moderna.
I salon caricaturali sono ancora oggi utili per contestualizzare le opere, riequilibrando a volte i pesi
distribuiti tra gli artisti allora maggiormente considerati e le prime espressioni di alcuni dei pittori
poi divenuti star delle avanguardie.
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Il primo Salon de Refusés è pure rappresentato su “La Vie Parisienne” dove una figura “ufficiale” è
investita del compito divino di cacciare indietro l’ammasso dei rifiutati, i cui quadri sono fatti
scendere dalle pareti per essere trattati come roba indistinta da buttare.
“La Vie Parisienne” esordiva quell’anno rivolgendosi ad un pubblico nuovo, soprattutto maschile,
ed era alla ricerca di notizie accattivanti da rendere con illustrazioni divertenti. Non è un caso che
proprio questa testata avrebbe riproposto, tra gli anni Sessanta e gli Ottanta, le soluzioni meno
convenzionali, rendendo conto dei salon in ambientazioni di carattere narrativo.
La crisi dell’istituzione artistica, di cui le Salon des Refusés segna un passaggio decisivo, è intesa
anche sulle pagine satiriche come stimolo per superare l’impasse della ripetitività, in nome di
soluzioni nuove.
2.2 Crisi e reinvenzioni del salon ufficiale: da Robida a Vallotton
All’inizio degli anni Ottanta dell’Ottocento le riviste storiche, che erano state la culla dei saloni
caricaturali, passano il testimone a testate più giovani, in particolare “La Caricature”, un foglio
settimanale diretto e disegnato da Albert Robida.
Le innovative soluzioni grafiche delle “Caricature” sono ancora una volta emblematiche di alcune
riforme del salon ufficiale. Con la caduta del Secondo Impero e il ritorno alla Repubblica, il salon si
apre a una maggiore democraticità.
Le illustrazioni grondanti particolari tipiche di Robida rendono perfettamente l’idea di un salon
sempre più commerciale, un bazar pieno di opere ‘da vedere e da vendere’.
Con la definitiva messa in crisi, durante gli anni Ottanta, dei salon ufficiali, anche il corrispettivo
satirico perde la sua pregnanza comunicativa diminuendo la sua presenza sulle pagine dei periodici.
Contemporaneamente si assiste a un generalizzato rifiuto di luoghi e istituzioni artistiche ufficiali,
cui talvolta si accompagna una concreta attuazione in spazi reali.
Il fenomeno si manifesta nei luoghi di aggregazione tipicamente urbani come i caffè e i nuovi
cabaret, dove si formano gruppi artistici e si progettano esposizioni di carattere alternativo: gli
Hydropathes e gli Incohérent di Parigi, l’Indisposizione artistica di Milano.
Tra le fila degli Incoerenti si trovano scrittori, musicisti, disegnatori attivi sulle maggiori testate
dell’epoca come “Le rire”, “Le Chat Noir”. Le opere incoerenti rispecchiavano soggetti e temi
allora diffusi nella grafica satirica: caricature di personaggi in voga, aspetti della moderna vita
urbana, una velata satira politica e anticlericale, la parodia dell’arte.
Dal punto di vista storico-artistico, la libertà critica e l’appropriazione culturale che si trova nelle
‘opere incoerenti’ sarebbe stata portata alle estreme conseguenze da dadaisti e surrealisti.
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DOSSIER – Il caso Courbet: un pittore da baraccone
Nella tradizione dei saloni caricaturali l’artista d’avanguardia più rappresentato è Courbet, il pittore
sinonimo per eccellenza di modernità. Courbet è anche il primo artista alla cui valutazione storicocritica ha spesso concorso la considerazione delle numerosissime caricature dell’opera dipinta: già
nel 1920 pubblicava una raccolta delle principali vignette apparse sulla stampa periodica francese
durante circa un ventennio.
Anche in seguito le caricature dei dipinti di Courbet si presteranno a esemplari letture critiche
tendenti a restituire il contesto storico e sociale della sua opera.
La centralità di Courbet sulla stampa periodica dell’epoca è altresì spiegabile con la maggior
coscienza, da parte sua, sia della propria ‘posizione’ artistica e sociale, sia del ruolo che le riviste
potevano giocare nella divulgazione della sua pittura e della sua immagine; egli impersonava per
eccellenza la figura dell’artista moderno e ‘partecipativo’, vicino ai colleghi scrittori, spesso famosi
anche per le loro uscite a puntate sui periodici.
Le vignette riferite ai suoi dipinti vanno comunque inquadrate all’interno delle rassegne comiche
dei salon, dove soprattutto nelle illustrazioni di Bertall, disegnatori di origini aristocratiche e vedute
conservatrici, si stabilisce l’associazione tra realismo e caricatura.
Davanti alla pittura realista il pubblico, pur incredulo e perplesso, sembra incassare il colpo;
reagiscono peggio i membri della giuria. La novità del realismo si avverte in modo particolare
all’interno di un’istituzione come il salon, basato su una canonizzazione di generi ormai consolidati.
L’anomalia della pittura realista nel sistema dei generi da salon è messa in evidenza da Bartall che
nei suoi saloni caricaturali distingue nettamente la pittura di Courbet, intesa come sostanziale sintesi
del realismo.
Bartall sembra tradurre graficamente gli aspetti definiti ‘caricaturali’ dalla stessa critica
contemporanea. Le vignette di Bartall hanno il loro fondamento nel sentire più comune, secondo cui
soggetti e modi pittorici di Courbet risultano scandalosamente ‘nuovi’.
Negli stessi anni e sulle testate per cui disegnava Bartall, anche Nadar tratta Courbet recuperando
un immaginario del genere.
DOSSIER – Un modello da esportazione
Il fenomeno prettamente parigino dei saloni caricaturali viene presto importato negli altri paesi
d’Europa diventando il modello più diffuso di recensione artistica sulle riviste. Il caso italiano può
essere esemplificativo della diffusione capillare dell’esempio francese, indistintamente presente
tanto nelle riviste satiriche più importanti quanto negli innumerevoli fogli minori pubblicati in
provincia.
La prima testata illustrata moderna italiana, “Il Mondo Illustrato”, è pubblicata a Torino dai Fratelli
Pomba dal 1847 con l’intento di fare “opera civile, italiana ed artistica al tempo stesso”,
diffondendo informazioni relative ai diversi stati in cui era ancora divisa la penisola.
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Si tratta di un foglio improntato sul modello francese da cui trae, dopo un’iniziale riluttanza, l’uso
di pubblicare caricature sia per incontrare il favore del pubblico, sia soprattutto per la loro ‘utilità
sociale’ di ‘critiche figurate’.
I saloni caricaturali diventano una ‘norma’ sui fogli nazionali solo dalla fine del decennio
successivo: dopo l’esplosiva stagione del 1848 bisogna infatti attendere l’unità nazionale perché la
pubblicistica periodica satirica italiana riprenda vigore, con testate quali il “Pasquino” e “Lo Spirito
Folletto”. Entrambi aperti al modello francese, pubblicano sistematicamente le rassegne comiche
delle esposizioni.
Nella seconda metà degli anni Settanta è Don Sancio a disegnare alcune tra le pagine di tema
artistico più significative per “Lo Spirito Folletto”: lo spazio del foglio è completamente saturo di
colore, con i soggetti dei quadri che escono dalla tela per impressionare il lettore.
Fino a tutti gli anni Ottanta dell’Ottocento è evidente che la stampa satirica italiana è debitrice della
‘scuola’ francese, senza però aver disegnatori e testate che permettano una varietà paragonabile. Il
modello trova una più libera interpretazione in seguito, quando si adatta all’originalità di singoli
disegnatori e situazioni particolari.
DOSSIER – The Artistic Joke di Harry Furniss
Il salone caricaturale ‘alla francese’ diventa usuale pure in Inghilterra dove però, grazie alla
tradizione satirica locale mantiene una certa indipendenza. L’originalità dei saloni caricaturali
inglesi può essere ben rappresentata dalla mostra di 87 opere in bianco e nero realizzate nel 1887 da
Harry Furniss, star del “Punch” per cui disegnava i resoconti annuali della Royal Academy.
La mostra fece scalpore grazie alla sapiente campagna di stampa organizzata dalla stessa rivista.
L’intera operazione è organizzata e presentata al pubblico come una comune mostra d’arte con
l’ausilio di diversi prodotti editoriali atti a esaltare l’evento: due libretti tascabili e un numero
speciale dedicato all’esposizione. La guida della mostra si pone come strumento necessario al
visitatore per permettergli l’identificazione del ‘maestro’ preso in giro, mentre il numero speciale
intende imitare gli inserti allegati alle riviste in occasione delle principali esposizioni.
La complessa operazione di Furniss tiene di certo conto della tradizione dei saloni caricaturali, ma
anche delle contemporanee mostre satiriche degli Incoerenti: da entrambe si differenzia, però, per la
maturità critica con cui guarda non solo al sistema dell’arte contemporaneo ma anche al business
editoriale a esso collegato.
L’idea della mostra nasce da una visita da amici dove il padrone di casa mostra inorgoglito il ritratto
della moglie realizzato da un noto pittore della Royal Academy: il carattere scadente dell’opera
convince Furniss a riflettere sui maestri del passato e sulla mancanza di qualità della produzione
artistica contemporanea.
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I ritratti in mostra sono ben undici, tutti con il soggetto di schiena: l’intenzione beffarda è di
cogliere aspetti solitamente trascurati, utilizzòando allo scopo anche un proprio ritratto fotografico.
Lo scherno verso il ritratto è sottolineato anche dalla scelta dei soggetto, che mettono sullo stesso
piano il cane e il soldato, il gentleman e la signora della moda…
Grazie alla complessa rete costruita da Furniss questa esposizione è ampiamente documentata e
costituisce un esempio di originale elaborazione del modello del salone caricaturale: la sola
esperienza di disegnatore satirico, con labilità tecnica e la capacità inventiva di Furniss, rendono il
suo Artistic Joke una tappa imprescindibile dell’intreccio tra arte e satira.
Capitolo 3 – MODERN STYLE DALL’ARTE ALLA VITA
Se già la novità della pittura realista di Courbet è messa in evidenzia nei samoni caricaturali con
uno stile satorico volutamente infantile, a maggior ragione i movimenti nazionali d’avanguardia
all’inizio del nuovo secolo – espressionismo in Germania, cubismo in Francia e futurismo in Italia –
trovano immediato riscontro nella grafica satirica, sopratutto in coincidenza delle loro principali
mostre.
La capillare diffusioni di uno stile nuovo e moderno è registrata e commentata sistematicamente
della grafica satirica, che gioca altresì un ruolo centrale di ‘mediazione’ e avvicinamento a forme
elitarie d’arte per un pubblico di non addetti ai lavori.
3.1 “Please Ring Bell”
La nuova ventata di modernità che investe l’Europa dalla metà degli anni Venti trova un’Inghilterra
che non ha ancora superato lo choc della moda estetizzante, tanto da considerarla un elemento di
confronto ancora attuale: non è un caso che nel 1921 ventitré disegni di Beerbohm ispirati alla
confraternita fondata nel 1848 da Dante Gabriele Rossetti siano esposti alla Leicester Galleries
accanto a opere preraffaellite. Il confronto di dipinti e vignette fa emergere quei caratteri che
avevano suscitato scalpore fin dal loro primo apparire, lasciando fortemente perplessa la critica di
metà Ottocento di fronte a uno stile e soggetti inediti.
Al di là dello scalpore provocato dalla singole opere, era l’intero sistema promosso dalla
confraternita preraffaellita a suscitare una fiera opposizione.
Del resto gli stessi Rossetti e Millais non disdegnavano di ironizzare sui loro ‘confratelli’
restituendo aspetti curiosi delle intrecciate vicende della confraternita.
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Una prima importante mostra di quadri preraffaelliti era la stata la Art Treasures Exhibition di
Manchester del 1857, dove Millais espose Sogno del passato.
Il sogno del titolo diventa un Incubo dove il cavaliere Millais, in groppa a un grosso mulo marchiato
con le iniziali di John Ruskin. Lo stesso dipinto diventerà una sorta d’icona della pittura
preraffaellita.
Per una più generale presa di posizione ‘figurata’ sulla pittura preraffeallita bisogna aspettare un
grottesco dipinto di Claxton esposto alla Portland Gallery, Dietro lo schermo del classico Giudizio
di Paride si ironizza sul modello di bellezza preraffaellita.
Una sorta di canonizzazione dell’immagine caricaturale della pittura preraffaellita approderà al
“Punch” alla fine degli anni Settanta, diventando diffuso sinonimo di moda estetizzante attraverso le
numerose illustrazioni di George du Maurier, il quale adatta la leggenda popolare all’avventura
‘infantile’ del preraffaellita Tennyson.
3.2 Ars nova
In tutta Europa, dalla metà degli anni Novanta dell’Ottocento si assiste a una progressiva e capillare
diffusione del gusto moderno, attraverso i manifesti, l’architettura e il design.
In generale, le riviste illustrate europee del periodo aggiornano la propria grafica con illustrazioni in
‘stile’ che ironizzano sul nuovo linguaggio visivo sfruttandone al contempo le potenzialità
comunicative, segnando un momento decisivo della modernizzazione del gusto europeo con
l’allargamento a nuovi centri creativi: Monaco fa concorrenza con riviste come “Jugend” e
“Simplicissimus”.
Bruno Paulo, per “Simplicissimus” dà l’esatta definizione del momento: a Monaco, in una moderna
fontana della giovinezza non entrano dei vecchi avvizziti, ma giovani donne intenzionate a
svecchiare il gusto borghese consolidato.
Non è un caso che “Jugend”, non solo richiami nel titolo il nome che diventerà sinonimo del
movimento modernista in Germania, ma adotti pure un sottotitolo, ‘arte e vita’, esplicitamente
riferito all’irruzione della giovane scuola di artisti e grafici nella ridefinizione ideale del mondo.
La rivista si avvale di copertine sempre diverse, considerate occasioni per innovative
sperimentazioni grafiche e attraverso le sue allusioni ironiche riesce ad avvicinare il pubblico anche
più popolare ai capricci delle mode nei testi e nelle illustrazioni.
A Bologna, il pittore e disegnatore Majani crea una sorta di “Jugend” nazionale: “Italia ride”. In
copertina, al secondo fascicolo, la personificazione dell’Ars Nova disegnata da Sezanne.
Sezanne e Majanni sono più che mai attenti modelli d’Oltralpe.
L’ironia e la sperimentazione grafica di “Italia ride” sono da intendersi come originali, pur se
scanzonate, prese di posizioni estetiche; atteggiamento che si ritrova anche in alcuni giocosi
componimenti letterari ironicamente ispirati al gusto estetizzante, così come nelle frequenti
caricature di D’Annunzio.
In “Italia ride” sono gli stessi artisti protagonisti della contemporanea rivoluzione della forma a
prendere posizione su un certo modo standardizzato del fare alla moda.
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3.3 Dall’arte alla vita
Sempre alla metà degli anni Novanta, anche in Francia il gusto estetizzante si diffonde nella grafica
e nelle illustrazioni satiriche, trovando una sintesi colta in un libretto di lusso disegnato da Jossot.
L’illustratore si distingueva per una cospicua produzione, diffusa tra l’altro da riviste quali “Le
Rire”, contraddistinta da una figurazione essenziale fatta di colori puri e marcati contorni neri a
serpentina. Jossot evidenzia con tono satirico l’impatto delle tendenze estetiche contemporanee
sulle tradizioni borghesi più consolidate.
La colta riflessione d’artista di Jossot e l’immediata reazione di una testata satirica popolare come il
“Punch” sono ugualmente rivelatori della veloce circolazione e rielaborazione formale di un gusto
che trova nei periodici illustrati un primo veicolo di diffusione.
CAPITOLO 4 – UNA QUESTIONE (ANCHE) POLITICA: 800 VS 900
Sul finire degli anni Venti in Europa si assiste a una nuova ondata modernista che, al pari della
stagione Liberty, interessa in particolare l’architettura e le arti applicate, così come la grafica e la
moda. Anche il ‘ritorno all’ordine’ in pittura e in scultura distingue un momento particolarmente
controverso del confronto tra tradizione e modernità. In paesi guidati da regimi autoritari come
Italia e Germania, la questione assume toni particolarmente vivaci.
Il caso italiano è in tal senso un utile modelli di lettura. Testate popolari rivolgono in quegli anni
una costante attrazione alle novità di una produzione artistica che vede svilupparsi le variegate
problematiche legate a una nascente società di massa, cui si correlano necessità di comunicazione e
di controllo ideologico parimenti standardizzate.
Non a caso il nuovo sistema delle arti italiano è guardato con speciale attenzione sia dal governo
centrale, fra produzione artistica e sua ricezione a diversi livelli, aiutando a chiarire aspetti non
secondari delle querelle di tradizione e modernità.
Le invenzioni grafiche di disegnatori e illustratori, ma anche di artisti di primo piano: dal ‘Signor
Novecento’, sagomato con una certa voluta grossolanità da Giovanni Manca sul “Guerin Meschino”
per dar forma agli orrori della modernità.
4.1 Il Novecento
Con le prime due mostre del ‘Novecento italiano’ alla Permanente di Milano, nel 1926 e nel 1929, il
gruppo di artisti sostenuto da Margherita Sarfatti si era già allargato a gran parte degli artisti italiani
contemporanei. Nonostante le dichiarazioni di Mussolini di non interferenza dello Stato nelle
questioni artistiche, la costituzione di un movimento come il Novecento rispondeva alle esigenze
estetiche del fascismo di un linguaggio moderno ma saldamente radicato nella tradizione.
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Si può in generale osservare come l’espressione programmatica del ‘Novecento’ si contrapponesse
volentieri l’’Ottocento’ quale elemento dialettico di confronto e opposizione.
Il confronto fra i due secoli diventa argomento ricorrente nella stampa periodica, anche attraverso la
grafica e le vignette e in una quantità di articoli in quotidiani e riviste.
Nel 1929, subito dopo l’inaugurazione della seconda mostra di Novecento, i modi tipici del
movimento sono ridicolizzati in un’illustrazione di Manca nel “Guerin Meschino”. Il disegnatore
non propone però la solita panoramica della mostra, ma ne descrive i caratteri dominanti.
Il messaggio era però evidente a chi avesse visitato la mostra. Infatti le fisionomie dei personaggi
ritratti sono ispirate a diversi stili delle principali opere esposte.
Aver composto la vignetta come una scena di vita contemporanea è un segno sia dell’attualità di
‘Novecento’, sia una certa difficoltà di apprezzarne quel linguaggio, il cui denominatore comune era
il ricorso a fisionomie ‘strane’: sembrava che il movimento promosso dalla Sarfatti volesse portare
una nuova ‘bruttezza’.
Dall’autunno 1930 le vignette sono affidate a Scipione che prende subito una posizione
programmatica contraria alla pittura del ‘Novecento’.
Con la prima Quadriennale di Roma (1931) e poi la V Triennale di Milano (1933) gli intrecci di arte
e politica si fanno più stretti ed espliciti; adesso è sui giornali che si combatte la battaglia di
opinioni. Al commento critico della coeva produzione artistica concorrono i diversi registri
comunicativi e gli stili dei singoli artisti-illustratori che, a loro volta, si giocano il primato per il
rinnovamento della grafica satirica.
4.2 La bellezza
Il fascista Sironi, tra i fondatori del ‘Novecento italiano’ e anima più originale del gruppo, negli
anni Trenta diventa il perno di un complesso sistema visivo di supporto al regime. Ha intanto
maturato una radicale avversione alla ‘borghese’ pittura da cavalletto e da salotto, convinto che
l’arte vada restituita a più ampie necessità sociali e di comunicazione anche propagandistica,
attraverso una nuova arte ‘pubblica’ e la comunicazione di massa, cioè i giornali.
In pittura Sironi non si preoccupa di rispettare i classici canoni artistici armonici di restituzione
della figura e delle cose, inseguendo un progetto di monumentalismo fortemente espressivo e
cromaticamente antinaturalistico; e nella grafica satirica non si preoccupa di celebrare Mussolini.
La sua pittura aveva subito suscitato opposizioni e critiche di matrice tradizionalista, ma dalla metà
degli anni Trenta, scatena un vero e proprio caso politico interno alle gerarchie fasciste, tanto da
condurre Mussolini a far sospendere le sue collaborazioni come disegnatore alle pubblicazioni di
partito.
La polemica contro di lui viene condotta con toni particolarmente violenti da Roberto Farinacci sul
quotidiano di Cremona “Il Regime Fascista”. Molto spregiativamente si volevano evidenziare gli
aspetti spiacevoli, enigmatici e addirittura ‘degenerati’ della sua pittura.
Sulla stessa posizione si colloca la rivista “Perseo”, dove il pittore Aldo Mazza sferra attacchi
contro il ‘Novecento’, spinto dal personale rifiuto della moda delle “brutte figure”.
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Mazza usa tutto il suo ‘senso della caricatura’ rendendo esplicito il pericolo delle ‘brutte figure’.
Disegna una serie di personificazioni dell’Italia alla maniera di De Chirico, Campigli e Modigliani.
Per la sua supposta grossolanità, Sironi è l’obiettivo maggiore contro cui scagliarsi, sia per il suo
ruolo di leader, sia per il carattere della sua pittura, coraggiosamente lontana da ogni canonicità.
4.3 La politica
Tra la pubblicistica umoristica popolare e i fogli politici più radicali, in quegli stessi anni c’è anche
chi tenta una strada autonoma, capace di segnare una terza via alternativa alle sterili polemiche fra
tradizione e modernità. È il caso di quella particolare stagione del disegno satirico italiano
attraversata, dalla metà degli anni Venti, dalle due testate di Mino Maccari e Leo Longanesi: “Il
Selvaggio” e “L’Italiano”. La loro via propone un’originale forma di modernità che affonda le
proprie radici nella più genuina tradizione nazionale di quegli artigiani-incisori, spesso autonomi,
autori nell’Ottocento di xilografie per lunari e fogli volanti.
Si prende posizione contro l’avanguardia, ma si annuncia allo stesso tempo la volontà di un
rinnovamento che non guardi semplicemente indietro verso un indistinto e patetico Ottocento,
considerato altrettanto nocivo.
4.4 ‘800 e ‘900 tra sperimentazione e umorismo popolare
Le pagine di Maccari e Longanesi diventano presto occasioni di sperimentazione moderna:
soprattutto quando Longanesi porta a maturazione un tipo d’impaginazione tutto giocato sul
rapporto fra immagine e testo e adatto al nuovo rotocalco che Rizzoli voleva allora lanciare.
Nel 1937 esce “Omnibus”, dove la comunicazione è affidata alla fotografia, affiancata da
illustrazioni di Maccari e Bartoli e titoli composti da una miscellanea di caratteri tipografici. Tale
recupero della tipografia ottocentesca in un contesto visivo moderno viene coraggiosamente messo
alla prova sul rotocalco, la cui spregiudicatezza viene però in breve messa a tacere.
La contesa tra 800 e 900 godeva ormai di una prolungata popolarità, ospitata com’era da tempo in
riviste di ogni genere dove titoli e illustrazioni evocavano di continuo l’idea e l’immagine della lotta
fra i due secoli. Soprattutto grazie ad architetti, grafici e illustratori la querelle avrebbe trovato un
possibile ‘luogo’ di soluzione sia in forme di comunicazione di massa nuove, ma memori dei saperi
artigianali caratteristici della tradizione artistica nazionale, sia nella progettazione di nuovi spazi di
vita e di lavoro. Proprio in tali ambiti, infatti si sarebbero manifestati gli esiti modernisti del 900 più
immediati e sotto gli occhi di tutti.
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