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Earth Science and educational activities at Mineralogical and Paleontological Museum “Sebastiano Mottura” in Caltanissetta

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Quaderni del Museo Geologico Gemmellaro
Volume 8
pp. 115-125
Anno 2005
115
Esperienze di didattica delle Scienze della Terra nel Museo
Mineralogico, Paleontologico e della Zolfara “Sebastiano Mottura”
di Caltanissetta
Earth Science and educational activities at Mineralogical and
Paleontological Museum “Sebastiano Mottura” in Caltanissetta
Enrico Curcuruto
Istituto Tecnico Industriale Minerario “ S.Mottura”, Viale della Regione, 71, 93100 Caltanissetta, e-mail: [email protected]
RIASSUNTO
Nel presente lavoro, dopo una ricostruzione della storia delle collezioni mineralogiche e paleontologiche del Museo della Scuola Mineraria
“Sebastiano Mottura” fondata a Caltanissetta nel 1862 , attraverso la significativa documentazione bibliografica raccolta, vengono descritte le attività
didattiche intraprese, imperniate sulla divulgazione delle Scienze della Terra e sulla ricostruzione e valorizzazione delle tracce dell’attività mineraria
di estrazione dello zolfo, da tempo abbandonata ma diffusa in passato in tutta la Sicilia centrale e costituente, insieme all’agricoltura, la principale
risorsa economica offerta dal territorio.
Termini chiave : Scienze della Terra, didattica delle scienze, minerali, fossili, zolfo, miniere, coltivazione mineraria.
ABSTRACT
In this paper are exposed, after a reconstruction of the history of mineralogical and paleontological collections of the Mining School “ Sebastiano
Mottura” founded in Caltanissetta in 1862, museum didattic’s activities based on Earth Science divulgation. It’s also exposed museum efforts to
conserve and restore what remains of the ancient sulphur mines of central Sicily, today abandoned, which were local most important economic
resource.
Key words : Earth science, science didattic, minerals, fossils, sulphur, mines and mining
Il museo paleontologico e mineralogico “ S. Mottura”:
storia di una collezione
La storia della collezione di minerali e fossili dell’Istituto Tecnico Industriale “S.Mottura” di Caltanissetta ha inizio
nel 1861, quando l’Unità d’Italia era da poco fatta, e si intreccia con i grandi eventi della Storia.
Filippo Cordova, siciliano d’origine e nisseno d’adozione, che si era distinto per l’impegno antiborbonico nei moti
del 1848, sotto il regno dei Savoia era diventato ministro dell’Agricoltura e Commercio, ministero dal quale dipendeva il
coordinamento delle attività minerarie.
In Sicilia l’estrazione dello zolfo era nella suo pieno splendore. Uno splendore che nascondeva nel sottosuolo
l’umiliazione e la violenza in cui vivevano i minatori e dove gli incidenti mortali erano all’ordine del giorno.
Il Cordova, al fine di portare ordine nell’arcaico mondo minerario solfifero ove regnava caos e disorganizzazione,
istituì una “giunta per il miglioramento della coltivazione delle miniere di zolfo e dell’industria sulfurifera”.
Della giunta, con sede a Palermo e sotto la presidenza di Mariano Stabile, faceva parte la migliore aristocrazia siciliana,
proprietaria degli immensi feudi e delle numerose zolfare. Fra i tecnici molti erano famosi scienziati dell’epoca e tra questi
spiccavano Gaetano Giorgio Gemmellaro e Felice Giordano.
La giunta propose al fine dell’auspicata riorganizzazione dell’attività mineraria i seguenti miglioramenti:
-la costituzione, così come già esistente nelle provincie sarda e sabauda, di un Corpo delle Miniere
-la fondazione a Caltanissetta, baricentro della zona mineraria, di una scuola per capimastro minatore
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-la realizzazione di una “carta geognostica” della formazione solforifera di Sicilia.
L’arduo compito della fondazione della scuola mineraria venne affidato ad un piemontese taciturno e profondamente
religioso, l’ingegner Sebastiano Mottura.
Fig. 1 - Busto in marmo dell’ing.
Sebastiano Mottura
Fig. 2 - Allievi ed insegnanti della scuola
durante un esercitazione nei primi decenni del 1900
E così in una fredda e piovosa mattina del Dicembre del 1862, Mottura, dalla natia Villafranca di Piemonte, arrivò a
Caltanissetta, a bordo di una traballante carrozza a cavalli.
Che impatto dovette costituire Caltanissetta, ad un trentunenne ingegnere piemontese, fresco di due anni di
specializzazione all’Ecole des Mines di Parigi!
Ma Mottura non si perse d’animo e così dal nulla organizzò una delle migliori scuole minerarie d’Europa, che formò
per più di un secolo valenti tecnici minerari.
Insieme alla scuola nacque la “Sala N°4 di Mineralogia e Geologia”. Dai documenti risulta che già il 31 Dicembre
1866 l’istituto possedeva “campioni di minerali” che dovettero essere inizialmente in numero esiguo, ma che velocemente
aumentarono.
Lo stesso Mottura che, tra il 1868 ed il 1875, viaggiava a dorso di mulo per tutto l’entroterra dell’isola, attraverso
contrade aride e spesso malariche, per disegnare la prima carta geologica delle aree di affioramento della serie gessososolfifera, ebbe occasione di raccogliere campioni di minerali e rocce della formazione, poi donati in parte alla Scuola ed in
parte all’Università di Torino, dove si era laureato.
Fig. 3 - Direttori della Scuola dal 1862 ai primi decenni del ‘900
Il Museo possedeva inoltre una collezione di 1500 specie di fossili di tutte le parti del mondo, ordinate stratigraficamente
e sistematicamente, allestita dalla ditta Krantz di Bonn, attiva alla fine dell’Ottocento nel campo della commercializzazione
di oggetti naturalistici.
Certamente rilevanti furono le donazioni effettuate, negli anni successivi, da docenti e presidi della scuola, i quali
erano ingegneri del Regio Corpo delle Miniere per le province della Sicilia con sede a Caltanissetta, ed ancora dai direttori
delle zolfare, ex allievi della Scuola.
La collezione si arricchì inoltre con pezzi notevoli, provenienti dalle altre Scuole minerarie d’Italia.
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Un documento del 1895 riporta una spesa rilevante fatta per i “pezzi del laboratorio”, acquisto ritenuto prioritario
rispetto alle altre esigenze della Scuola.
La collezione divenne così cospicua e ricca di campioni unici e seguì la Scuola durante i suoi spostamenti da una sede
all’altra . L’attuale denominazione di “Museo Mineralogico e Paleontologico” risale ai primi anni del ‘900 ad opera di un
docente della Scuola, il Prof. ing. Aldo Bibolini, il quale negli anni ‘30 divenne il fomdatore della Scuola Mineraria del
Politecnico di Torino.
Fig. 4 - Le teche del Museo nei
primi decenni del 1900
Fig. 5 - L’attuale sede del Museo presso
l’Istituto Tecnico Industriale “S.Mottura”
Nella figura 4 è mostrato l’allestimento del Museo nei primi decenni del ‘900 .
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il 9 luglio del 1943, Caltanissetta, venne colpita duramente dal bombardamento
alleato, che fece numerose vittime tra la popolazione civile. Anche l’Istituto Minerario fu colpito e tra le macerie andarono
perduti molti campioni.
Negli anni ’70 l’Istituto si trasferì nella nuova ed attuale sede di Viale della Regione a Caltanissetta e nel 1979 il Museo
venne aperto al pubblico.
Grazie a fondi stanziati dalla Provincia Regionale di Caltanissetta vennero acquistati campioni di minerali siciliani e
di tutto il mondo.
Nel 1981 la collezione venne riordinata a cura del mineralogista prof. Bartolomeo Baldanza e del paleontologo prof.
Vincenzo Burgio.
Oggi il Museo, che può essere annoverato tra i più ricchi in Italia, è ospitato negli angusti spazi dello scantinato
dell’ Istituto Tecnico Industriale, come visibile nella figura 5. Le vetrine ove sono allocati i campioni minerali e fossili
hanno occupato praticamente tutto lo spazio disponibile così che solo la fantasia degli operatori, tutti docenti della Scuola
che volontariamente e gratuitamente operano in Museo, riesce ad individuare degli itinerari didattici tra i pezzi esposti,
scarsamente illuminati.
Nonostante tali difficoltà, il Museo riceve ogni anno dai 5.000 agli 8.000 visitatori, in maggior parte alunni di scuole
elementari, medie e superiori, sia della provincia di Caltanissetta che di tutta la Sicilia.
L’attività divulgativa in Museo: il recupero della memoria
legata all’attività mineraria dell’estrazione dello zolfo
Negli anni ‘80 un decreto dell’Assessore Regionale all’Industria, disponendo la chiusura definitiva dei pozzi e degli
imbocchi delle ultime miniere di zolfo, metteva la parola fine ad un epopea plurisecolare: la coltivazione mineraria dello
zolfo.
Fino a pochi decenni prima, l’attività estrattiva aveva costituito una delle principali, se non la maggiore, fonte di
sostentamento per l’economia del centro Sicilia, attorno a cui era imperniata la vita sociale. In pochi decenni un velo di
oblio è calato sul mondo dello zolfo. Smantellati gli insediamenti minerari ad opera di vandali e dei ladri di ferro e rottami,
oggi i resti della secolare attività appaiono come tracce di antiche civiltà.
In museo si è iniziata un azione di recupero di attrezzature, carte, schemi e di una vasta documentazione fotografica
(figg. 7, 8, 9 e 10) connessi con l’attività mineraria, che costituiscono il supporto su cui è imperniata l’azione didattica e
divulgativa.
Gli obiettivi che ci si prefigge con la divulgazione sono:
•La conoscenza delle radici minerarie della storia delle popolazioni dell’entroterra siciliano
•La conoscenza scientifica della genesi dello zolfo e delle tecniche correlate con la sua estrazione
•Lo sviluppo ed il successivo declino socio-economico legato allo sfruttamento di una risorsa mineraria
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Fig.6 - I ruderi del pozzo Mezzena della Miniera Grottacalda in territorio di Enna
Fig.7 - Modello con una sezione di gallerie minerarie nel sottosuolo
Fig.8 - Martello pneumatico per lo scavo delle rocce e per i fori da mina
Fig. 9 - Antico esploditore per la Fig. 10 - Ceste per il trasporto a spalla dello zolfo da parte dei “carusi”
detonazione delle mine 119
Seppure con linguaggi ed approfondimento diversificato, lo schema didattico segue l’articolazione sotto sintetizzata:
I risultati ottenuti sono concreti ed hanno fatto sì che il Museo da semplice collezione di minerali, si sia trasformato in
un centro di divulgazione scientifica per scuole e in una fonte di stimolo per ricerche e studi sulla cultura mineraria.
Il Museo: una macchina del tempo
La raccolta di minerali e reperti legati ad un’attività mineraria, le cui prime tracce risalgono alla preistoria, permette di
focalizzare l’attenzione dei visitatori sul concetto di tempo, spaziando da quello correlato ai fenomeni geologici a quello
legato agli eventi storici.
Come sopra sintetizzato, il percorso didattico all’interno del Museo inizia con la descrizione e l’approfondimento
della genesi dello zolfo. Questa è molto antica e risale a circa 7 milioni di anni fa.
In quel periodo geologico conosciuto come Miocene superiore o Messiniano, il Mar Mediterraneo aveva una estensione
maggiore di quello attuale e l’Italia e la Sicilia non erano ancora emerse dalle acque.
Allora, come adesso, il Mediterraneo comunicava con le acque dell’Oceano Atlantico, attraverso lo stretto varco
conosciuto oggi con il nome di Stretto di Gibilterra.
Durante il Miocene superiore, a causa della deriva dei continenti, la costa occidentale dell’Africa venne in contatto
con l’estremità meridionale della Spagna e le comunicazioni con l’Atlantico si ridussero progressivamente sino ad
interrompersi.
Il Mar Mediterraneo si trasformò così in un grande, immenso bacino chiuso.
Sei milioni di anni fa il clima era più caldo di quello attuale e quindi le acque marine incominciarono ad evaporare con
estrema rapidità.
La quantità d’acqua di mare che evaporava non era compensata dalle scarse piogge e così il livello del mare iniziò ad
abbassarsi.
I sali disciolti nell’acqua marina cominciarono a concentrarsi sempre più sino a precipitare sui fondali, in ordine inverso
alla loro solubilità; iniziarono così a formarsi minerali e dalla loro aggregazione le rocce.
Tali rocce sedimentarie di origine chimica sono conosciute in geologia come evaporiti e la loro successione è stata
definita “Serie Gessoso-Solfifera”, definizione coniata da Mottura che approfonditamente la studiò durante i suoi anni in
Sicilia.
Tale serie di rocce affiora diffusamente in tutta la parte centro meridionale dell’isola.
Nella tabella 1 sono riassunti i principali minerali e le corrispondenti rocce monomineraliche della Serie GessosoSolfifera.
Come si evidenzia lo zolfo non figura tra i minerali precipitati dalle acque marine.
La sua formazione è infatti secondaria. Sulla sua origine, fin dai secoli scorsi, si è a lungo dibattuto. Oggi la teoria più
accreditata vede lo zolfo formarsi per trasformazione chimica (riduzione) del solfato che costituisce la roccia gessosa, con
formazione intermedia di solfuri e successiva ossidazione di quest’ultimi da parte di acque ricche in CO2.
Tali fluidi circolanti hanno costituito il giusto supporto per lo sviluppo di colonie di batteri di tipo anaerobico con
capacità di ridurre i solfati a Zolfo.
Minerale
Calcite
Dolomite
Gesso
Anidrite
Halite
Kainite
Carnallite
Silvite
Kieserite
Esaedrite
Epsomite
Formula Chimica
CaCO3
CaMgCO3
CaSO4 2H2O
CaSO4
NaCl
KCl MgSO4 3H2O
KCl MgCl2 6H2O
KCl
MgSO4H2O
MgSO4 6 H2O
MgSO4 7 H2O
Roccia
Calcare
Dolomia
Gesso
Anidrite
Salgemma
Sali Potassici
“
“
“
Sali Magnesiaci
“
Tab.1 - Principali minerali e rocce della Serie “Gessoso-Solfifera”
La presenza dello zolfo, quando lo stesso non affiora, è segnalata dalla scaturigine di sorgenti di acqua sulfurea (acqua
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“mintina” in siciliano), facilmente riconoscibile per il caratteristico odore di uova marce e per il colore biancastro dei suoi
depositi.
Nel Museo sono raccolti splendidi esemplari dei minerali e campioni di rocce della Serie “Gessoso-solfifera” (figg.
11-16)
Le stratificazioni della Serie Gessoso Solfifera, dopo la formazione, sono stati intensamente deformati nel tempo
geologico, cosicchè i giacimenti di zolfo si presentano molto discontinui e frammentati e dislocati in strati inclinati o con
giaciture contorte o verticali.
Fig. 11 - aggregato di cristalli di zolfo
Fig. 12 - zolfo talamone
Fig.13 - aggregato di cristalli di gesso
Fig.14 - gesso geminato a ferro di lancia
Fig. 15 - aggregato di cristalli di aragonite
Fig.16 - aggregato di cristalli di celestina
Gli affioramenti di zolfo nelle aree centro meridionali della Sicilia dovettero essere notati fin da tempi remoti. Seppure
non esistono tracce scritte, recenti scavi archeologici in contrada Montegrande tra Agrigento e Palma di Montechiaro,
sembrano aver individuato le prime testimonianze concrete di una certa attività mineraria, risalenti al periodo greco.
In epoca romana l’attività estrattiva del minerale solfifero in Sicilia , è documentata da reperti come le “tabulae
sulphuris”, conservate nei musei di Palermo ed Agrigento, che dimostrano come già alla fine del II secolo d.C. esistevano
miniere imperiali, dove lavoravano schiavi e delinquenti comuni.
Le “tabulae” sono delle lastre di terracotta che recano iscrizioni a lettere rilevate e rovesciate che corrono da destra
verso sinistra; esse costituivano il fondo dei contenitori che contenevano il minerale fuso, affinchè rimanesse impresso sui
pani di zolfo il nome della miniera o del proprietario.
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Nel periodo che va dal IX al XI secolo, durante la dominazione araba in Sicilia, come riportato da Michele Amari nelle
sue traduzioni di testi di geografi arabi, si evince che si effettuava estrazione di zolfo.
In ogni caso, si può affermare con certezza che lo sfruttamento sistematico dello zolfo in territorio siciliano non
sia iniziato prima del 1580-1600. Infatti, a quell’epoca, le borgate siciliane, vicine alle aree interessate da affioramenti
mineralizzati a zolfo, nel giro di pochissimo tempo, si trasformarono in veri e propri paesi, a causa dell’arrivo di persone
occupate nel lavoro minerario.
Ma è a partire dal ‘700 che, con la nascita della civiltà industriale in Europa, aumenta la richiesta di zolfo.
Inizialmente il minerale veniva utilizzato essenzialmente per la fabbricazione della polvere pirica e per la preparazione
dei fiammiferi (zolfanelli). Con la scoperta nel 1736 di un nuovo metodo di preparazione dell’acido solforico, di cui
si faceva ampio uso nell’industria tessile, la richiesta di zolfo cominciò a crescere. Tale richiesta era destinata a crescere
ulteriormente nel 1787, con i nuovo metodi di produzione di soda artificiale, che facevano largo uso dell’acido solforico.
Imbarcato nei porti di Porto Empedocle, Licata e Catania, lo zolfo veniva spedito in Francia ed in Inghilterra.
Dal XVIII secolo si rileva in Sicilia la presenza di miniere di zolfo coltivate secondo le regole dell’arte mineraria. Da
quel momento in poi l’estrazione dello zolfo divenne una delle attività economiche principali del centro Sicilia.
All’inizio del XIX secolo, le coltivazioni minerarie iniziarono a diffondersi su tutto il territorio e da una richiesta di
poche migliaia di tonnellate annue di zolfo si passò a milioni di tonnellate estratte, nel giro di pochi decenni.
L’industria chimica europea e quella americana, in quel preciso periodo storico, dipendevano esclusivamente dallo
zolfo siciliano: Caltanissetta ed Agrigento erano il cardine del mercato chimico mondiale.
Con l’avvento delle macchine a vapore venne rivoluzionata la tecnologia applicata all’estrazione mineraria.
La produzione di zolfo aumentò così rapidamente che si originò una prima crisi di sovrapproduzione. Per tutto il
secolo, nonostante alti e bassi della produzione dovuti sia alla concorrenza della pirite (Solfuro di ferro: altro minerale
contenente zolfo) che alla trasformazione del metodo di produzione della soda artificiale, la Sicilia mantenne il monopolio
mondiale.
L’inizio del secolo XX costituisce l’apice ad allo stesso tempo l’inizio del declino dell’attività mineraria siciliana.
Fino al 1904 lo zolfo siciliano costituiva il 91% della produzione mondiale, ma nel 1906 la situazione cambia
radicalmente. Vengono scoperti infatti negli Stati Uniti, in Louisiana e nel Texas, grossi giacimenti di zolfo ai quali viene
applicato un nuovo metodo di estrazione del minerale dal sottosuolo, denominato Frasch, dal nome del chimico tedesco
Hermann Frasch.
Con questo metodo il minerale caratterizzato, al contrario di quello siciliano, da una stratificazione continua ed
uniforme, veniva estratto attraverso una semplice perforazione del suolo e la contemporanea fusione per mezzo di vapore
iniettato nel sottosuolo, unitamente ad aria compressa.
Il minerale fuso risaliva in superficie con una purezza del 99,5 %.
La concorrenza crebbe enormemente, togliendo alla Sicilia il monopolio fino ad allora detenuto e facendo precipitare
il settore in una crisi che si rivelò irreversibile.
Solo le continue sovvenzioni dello Stato, unitamente allo sfruttamento ed i bassi salari delle maestranze che lavoravano
in miniera ed ancora l’assoluta mancanza di norme di sicurezza, determinavano una grossa economia sulle spese di
estrazione del minerale, e permettevano ai proprietari delle miniere siciliane di sopravvivre alla concorrenza dello zolfo
americano.
L’attività mineraria, grazie anche alle due guerre mondiali che stimolarono lo sfruttamento autarchico delle risorse
nazionali, continuò tra alti e bassi durante la prima metà del ‘900.
Durante gli anni ’50 la vendita dello zolfo siciliano ebbe l’ultimo rialzo, grazie ad un embargo della vendita di zolfo
americano, dovuto alla guerra di Corea.
Fu l’ultimo vero momento di grande attività estrattiva, quasi il canto del cigno delle miniere siciliane. L’adozione
di un giusto salario per i minatori e le maestranze, l’utilizzo di norme minime di sicurezza nello scavo in sottosuolo e
l’approfondimento dei giacimenti siciliani, portarono ad un rapido aumento del costo dello zolfo che rese antieconomica
l’estrazione del minerale, decretando la chiusura di tutte le miniere, via via fino agli anni ‘80, nonstante il settore estrattivo
fosse stato demanializzato nel 1963 con la creazione dell’Ente Minerario Siciliano.
Oggi lo zolfo si ottiene dalla raffinazione del greggio estratto dai pozzi petroliferi.
I reperti e la strumentazione raccolta in Museo, permettono di approfondire insieme ai visitatori lo sviluppo della
tecnologia estrattiva. Tra il ‘700 ed il ‘900 le tecniche minerarie di estrazione dello zolfo in Sicilia hanno subìto grosse
modifiche, ponendosi al passo con l’evoluzione che avvenne in tutta Europa, fatto questo sorprendente per un’area così
isolata come il centro Sicilia.
L’estrazione mineraria dello zolfo dal sottosuolo era così diffusa nel territorio del centro Sicilia che non è sbagliato
affermare che l’altopiano zolfifero è stato traforato come un formaggio gruviera.
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Le miniere da semplici buche o grotte quali erano agli inizi del ‘700 si trasformarono con il passare del tempo in vere
e proprie città sotterranee, nelle quali lavoravano sino a 300 minatori per turno.
La presenza di aree minerarie abbandonate, risalenti a periodi storici differenti, permette di avere un quadro d’insieme
abbastanza dettagliato delle tecniche e delle tecnologie applicata all’arte mineraria.
Per riflettere su tale evoluzione basti pensare che nel 1850 la profondità media delle zolfare era calcolata in 19 metri;
dopo vent’anni sarebbe stata di 50 metri e nel 1890 di 80 metri. Agli inizi del ‘900 i lavori in sottosuolo raggiungevano
una profondità media di 150 m e tale profondità aumentò rapidamente sino a superare i 500 metri.
Durante il ‘700 le coltivazioni minerarie prendevano inizio dalla zona di affioramento del minerale solfifero (“vriscale”) e
seguivano lo strato mineralizzato in profondità, mediante gallerie inclinate verso il basso, dette “calature” o discenderie.
Fig. 17 - Ingresso di una discenderia nell’area della Miniera Floristella
Tali gallerie, scavate a mano, con picconi e pale (“pala e pico”) avevano sezione molto ristretta, generalmente pochi
metri quadri. Spesso in tali discenderie per superare l’eccessiva pendenza e permettere la discesa e la risalita dei minatori
venivano ricavati dei gradini sfalsati. Le discenderie si interrompevano per mancanza di minerale o per la presenza di falda
acquifera.
Raggiunta l’area con maggiore presenza di zolfo venivano scavate ampie cavità (“campanari”), alte sino a 2,50-4 m,
sostenute da pilastri di roccia mineralizzata.
I minatori (“picconieri”), che lavoravano su incarico di imprenditori minerari, generalmente venivano pagati in
percentuale dello zolfo estratto. Ciò assicurava all’imprenditore il massimo impegno delle maestranze. Tale contratto
faceva si che le gallerie di accesso, che generalmente non interessavano la roccia mineralizzata e il cui scavo quindi non
produceva reddito, fossero di piccolissime dimensioni mentre le aree di scavo del minerale di zolfo erano di dimensioni
tali da provocarne spesso il crollo. Poiché le vie di accesso e di fuga dal sotterraneo erano scavate nella stessa area interessata
dalla coltivazione, il crollo, se non uccideva i minatori, spesso li bloccava sottoterra.
Il trasporto del materiale estratto veniva effettuato a spalla da ragazzi o bambini detti “carusi”. I “carusi”, che venivano
praticamente venduti dalle famiglie ai picconieri, conducevano una vita disumana sia per il lavoro massacrante sia per
il clima di violenza e sopraffazione che regnava in miniera. Per il trasporto venivano utilizzate ceste in vimini chiamate
“stirraturi”. La cesta conteneva un carico di minerale variabile tra 10 e 30 Kg.
Il peso delle ceste colme di minerale, sul corpo tenero di bambini, infliggeva gravi deformità. L’unica speranza di
riscatto per il caruso consisteva nel risalire la scala gerarchica della miniera diventando un “picconiere”, trasformandosi
così da vittima in carnefice.
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Fig. 18 - Carusi e minatori all’ingresso di una discenderia
Per ottenere dalla roccia scavata in sottosuolo il minerale puro si ricorreva alla fusione. La roccia mineralizzata a zolfo
veniva raccolta in grossi cumuli in fornaci circolari chiamate“calcarelle” .
Lo zolfo, per le sue peculiari caratteristiche fisiche, fondeva facilmente colando , aiutato dall’inclinazione del fondo
della fornace, dalla parte bassa del cumolo.
Tale liquido veniva raccolto in contenitori di legno chiamati “gavite”. Una volta raffreddato, lo zolfo, modellato ad
assumere la forma di un grosso mattone (balata) era pronto per il trasporto.
Con questo metodo di fusione gran parte dello zolfo veniva bruciato, trasformandosi in anidride solforosa, un gas
fortemente inquinante e dannoso per l’ambiente.
Con l’acquisizione di maggiore sapienza sia nell’estrarre il minerale che nel sostenere i vuoti creati, le discenderie si
trasformarono via via in strutture minerarie sempre più complesse articolate su più livelli, il cui sviluppo era essenzialmente
determinato dall’andamento degli strati mineralizzati.
Le profondità raggiunte dagli scavi minerari erano limitate sia dal rinvenimento dell’acqua in sottosuolo che dalla
impossibilità di aerare naturalmente i cantieri di lavoro.
La necessità di quantità sempre maggiori di zolfo fece si che si aprissero sempre più grandi e profonde miniere, gestite
non più da singoli ma da gruppi di imprenditori o da società minerarie straniere che investivano grossi capitali.
Tali grandi miniere venivano coltivate con tecniche e tecnologie razionali e non con criteri di rapina.
Le innovazioni maggiori nell’800 furono l’introduzione dell’esplosivo per l’abbattimento delle rocce in sotterraneo e
l’utilizzo di pompe per l’eduzione dell’acqua dal sottosuolo.
Nella seconda metà dell’Ottocento si iniziarono a realizzare dei pozzi verticali per l’estrazione del minerale ed il
transito delle maestranze; da questi si dipartivano gallerie articolate su più livelli. Le gallerie erano collegate da discenderie,
rampe, rimonte e piani inclinati per la circolazione interna del personale e del minerale.
I pozzi venivano attrezzati con rudimentali montacarichi azionati da cavalli o asini; nel seguito vennero impiegati
argani azionati da motori a vapore.
Nel paesaggio delle aree minerarie iniziano a spuntare come funghi i castelletti, realizzati in legno o muratura, necessari
per la movimentazione del materiale dai pozzi di miniera. All’interno delle gallerie il trasporto dal sottosuolo della roccia
mineralizzata veniva effettuato con vagoncini trainati a mano o da asini, anche se ancora affiancato al trasporto a spalla
del minerale.
L’aerazione veniva assicurata tramite la realizzazione di fornelli, gallerie verticali o molto inclinate, che collegando
l’interno della miniera con l’esterno, ne permetteva la ventilazione.
L’acqua dal sottosuolo veniva allontanata tramite gallerie di scolo e con pompe azionate prima a mano e poi a vapore.
Nel tempo anche le tecniche di estrazione del minerale dalla roccia subirono innovazioni. Venne migliorata la fusione
dello zolfo coprendo i cumoli di roccia mineralizzata da fondere con terra, che assicurava al contempo l’aumento di calore
necessario per la fusione dello zolfo e la diminuzione di minerale bruciato e trasformato in anidride solforosa.
Si passò così dal sistema della “calcarella” a quello del “calcarone”, migliorando la resa in zolfo.
Negli anni ottanta dell’Ottocento venne sperimentato con grossa fortuna il forno Gill, dal nome dell’ingegnere
inglese che lo inventò. Il forno permetteva la fusione dello zolfo come nei calcaroni ma la resa veniva migliorata con
il raggruppamento di più fornaci e con la circolazione dell’aria calda prodotta nei forni raggruppati tramite apposite
condutture. Tale preriscaldamento aumentava la quantità di zolfo estratto dalla roccia.
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Fig. 19 - Castelletto d’estrazione all’ingresso del pozzo della miniera Trabonella a Caltanissetta
Agli inizi del ‘900 i lavori in sottosuolo raggiunsero una profondità media di 150 m.
Per raggiungere tali profondità vennero scavati pozzi verticali sempre più profondi, dai quali si dipartivano gallerie
orizzontali( livelli) che conducevano alle aree (cantieri) dove il minerale veniva estratto.
I castelletti in legno e muratura vennero sostituiti con altri realizzati prima in ferro e poi in acciaio. Nel dopoguerra
venne utilizzato anche il cemento armato.
Lungo il pozzo viaggiavano come ascensori le ” gabbie” che servivano per il trasporto dei minatori e degli strumenti e
gli “skips” , contenitori per il minerale estratto.
All’esterno della miniera, per il trasporto del minerale, nel dopoguerra si diffusero i nastri trasportatori che partivano
dall’area del pozzo e arrivavano sino a dove avveniva la separazione del minerale dalla roccia.
Si diffusero per lo scavo in sottosuolo i martelli pneumatici che potenziarono le possibilità di scavo delle rocce. Venne
introdotto come esplosivo per lo scavo la dinamite.
Per la separazione del minerale si affermarono sempre più i forni Gill, modificati sino a raggruppare sei fornaci
(sestiglia) .
Solo dopo il 1950 venne introdotto il metodo di separazione del minerale dalla roccia per “flottazione”.
Tale metodo consisteva nel macinare finemente la roccia contenente il minerale. Tale polvere veniva versata in grandi
silos – celle di flottazione- riempite di acqua a cui veniva aggiunto olio di pino.
L’agitazione a mezzo di pale di tale liquido produceva una densa schiuma; veniva inoltre insufflata aria dal basso del
silos mediante degli iniettori.
Le particelle di minerale, più leggere di quelle della roccia sterile, venivano ricoperte dalla schiuma, che spinta dall’aria
si addensava sulla parte superiore del silos.
La schiuma contenente il minerale veniva, tramite pale meccaniche,versata fuori dal silos. Per successivo essiccamento
si otteneva il minerale puro al 99,50 %.
Nonostante il miglioramento e l’innovazione delle tecniche, l’estrazione mineraria dello zolfo restò antieconomica,
sino a portare alla chiusura delle miniere.
Toccare prego
Oltre a focalizzarsi sull’attività mineraria, la continua richiesta da parte delle scuole di collaborare con il Museo nello
svolgimento della didattica, ed in particolare nello studio delle Scienze della Terra, ha portato i curatori ad ampliare e
curare sempre più le raccolte di minerali, rocce e fossili con i quali svolgere l’attività di laboratorio.
Sono stati preparati così campioni che i visitatori possono toccare con mano, confrontandoli con quelli chiusi nelle
vetrine.
Ciò ha garantito il successo dell’attività divulgativa, in special modo con gli alunni delle scuole elementari e medie.
L’attivazione a breve di un book-shop nel Museo, gestito dagli allievi della Scuola “S.Mottura”, permetterà di soddisfare
la richiesta dei visitatori di portare a casa campioni di minerali e fossili da collezionare.
Ringraziamenti
L’autore ringrazia il Dirigente Scolastico dell’ I.T.I. “S. Mottura” di Caltanissetta, Salvatore Vizzini per
l’incoraggiamento, la disponibilità e la fiducia ricevuta nello svolgimento dell’attività didattica al Museo.
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bibliografia
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