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MACROECONOMIA

MACROECONOMIA
Il metodo della macroeconomia: osservare i dati, formulare ipotesi di comportamento e modelli
matematici, verificare con la statistica e l’econometria se le previsioni dei modelli sono corrette
VARIABILI MACROECONOMICHE
Le tre variabili macroeconomiche principali sono:
1. PIL (Y) = il PIL è la misura della produzione aggregata nella contabilità nazionale.
esso può essere definito in tre modi diversi:
 Il valore dei beni finali prodotti in un dato periodo di tempo. In questa prima
tipologia non si vanno includere nel calcolo i ricavi delle imprese intermedie
(cioè quelle imprese che forniscono materie prime ecc. per la produzione di un
prodotto finale) bensì si prendono in considerazione solo i ricavi registrati
dall’impresa che colloca il bene sul mercato per i consumatori, quindi del
prodotto finito.
 Il valore aggiunto nell’economia in un dato periodo. Il valore aggiunto di ogni
impresa è il valore della sua produzione meno il valore di beni intermedi
necessari alla produzione. In questa definizione si calcola per ogni impresa il
valore aggiunto e si sommano per ottenere il pil.
 Somma dei redditi in un dato periodo. Si sommano tutti i redditi dei singoli
fattori produttivi + i profitti di impresa (ricavi – costi). Il valore della produzione
è sempre uguale alla somma dei redditi perché il profitto è un “residuo”.
Tali definizioni sono equivalenti fra loro.
Il PIL si può classificare in nominale e reale. Il PIL nominale è il valore totale dei beni
e servizi finali prodotti nell'anno t valutati al loro prezzo corrente. esso tiene conto
delle variazioni delle quantità prodotte e dei prezzi: Il PIL nominale aumenta (o si
riduce) sia perché aumenta (si riduce) la produzione, sia perché cambiano i prezzi. il
PIL reale è il valore totale dei beni e servizi fnali prodotti nell'anno t valutati a prezzi
costanti (invece che correnti). Esso tiene conto solo delle variazioni delle quantità
quindi si dice “a prezzi costanti”: Il PIL reale aumenta (o si riduce) solo perché
aumentano (si riducono) le quantità prodotte. Nel calcolo del pil reale si stabilisce un
“anno base” e si calcola il pil moltiplicando le quantità dei vari anni per i prezzi
dell’anno base, ignorando le variazioni di prezzo. Per sapere se un aumento del
valore della produzione equivale a un aumento delle quantità prodotte bisogna
osservare il pil reale perché quello nominale può indicare un aumento del valore
della produzione anche se aumenta il prezzo e le quantità prodotte sono le stesse.
Il pil (interno) è quello prodotto in Italia mentre il prodotto nazionale lordo è quello
prodotto dai cittadini italiani (quindi sommando al PIL i redditi degli italiani all’estero
e sottraendo il reddito prodotto dagli stranieri in Italia).
Pil dal lato della produzione: valore di mercato dei beni fnali, nuovi, prodotti
all'interno dell'economia in un dato periodo di tempo;
Pil dal lato del reddito: reddito totale dell'economia del paese in un dato periodo di
tempo;
Pil dal lato della spesa: spesa totale in beni e servizi fnali prodotti nel paese in un
dato periodo di tempo. Dentro la spesa troviamo
Il reddito disponibile è il reddito a disposizione delle famiglie che è dato dal reddito
della famiglia meno le imposte. Questo reddito residuo può essere consumato o non
consumato e destinato a usi futuri (risparmio). Il risparmio ovviamente è maggiore di
zero se non consumo tutto il reddito, uguale a zero se lo consumo tutto e minore di
zero se consumo più del reddito a disposizione. Le imposte considerate sopra sono
al netto dei trasferimenti cioè si tolgono tutte le “imposte negative” (sussidi, assegni
familiari ecc.) che vengono appunto definite “trasferimenti”.
il profitto è definito come la retribuzione del fattore capitale mentre il salario è la
retribuzione del fattore lavoro
2. Inflazione (p greco) = è il tasso di crescita del livello dei prezzi. Il livello generale
dei prezzi misura il costo di un paniere di beni e servizi. Esso è la somma dei singoli
prezzi ponderati per le quantità acquistate di ciascun bene. Per vedere di quanto è
aumentato il livello dei prezzi si moltiplicano le quantità iniziali per i nuovi prezzi (i
prezzi dopo il cambiamento dei prezzi). La differenza tra il livello di spesa iniziale e
finale/la spesa iniziale ci da il tasso. Nel calcolo dell’inflazione principalmente
bisogna definire quello che è il paniere da analizzare e nel calcolo generalmente si
fa riferimento all’indice dei prezzi del consumo (IPC. Indice a pesi fissi: il peso è un
paniere specifico di beni riferito all’anno base). I panieri presi in esame ovviamente
necessitano di essere aggiornati sulla base di cambiamenti nel consumo dei beni
dovuto alla presenza di nuovi beni sul mercato. I panieri presi in considerazioni sono
paniere che vengono consumati mediamente da famiglia rappresentative (che
riassume le caratteristiche delle famiglie italiane). Una particolare forma di inflazione
può essere calcolata attraverso l’indice dei prezzi alla produzione.
il tasso di inflazione può essere calcolato anche osservando il rapporto tra il PIL
nominale e il PIL reale (deflatore del PIL che è un indice a pesi variabili) (esso è una
misura dell’inflazione) anche se non fornisce esattamente lo stesso risultato. In
questo caso in deflatore del pil dell’anno base, per definizione, è pari a 1 perché il
PIL nominale è uguale al PIL reale. È defnito anche indice di Paasche o indice di
prezzo ponderato all'anno corrente o indice a paniere variabile. È molto importante
perchè conoscendo tale indice possiamo ricavare il PIL nominale: €Yt = PtYt
Vantaggi: utilizzo il paniere più aggiornato Svantaggi: la variazione nel tempo del
paniere rifette anche la variazione nel tempo dei gusti che determina una diversa
composizione del paniere e non solo quella dei prezzi. Quindi avrò sì il paniere più
aggiornato ma il paniere sarà diverso perchè potrebbero essere cambiati i gusti, o i
prezzi determinando una sostituzione all'interno del paniere, questo viene poi rifesso
nella produzione dell'impresa. Avendo un paniere diverso non confronta gli stessi
beni. Inoltre il defatore del Pil contiene informazioni in merito al prezzo dei beni fnali
prodotti nell'economia. Tuttavia, i consumatori sono interessati al prezzo medio dei
beni che consumano. Questi due prezzi medi possono differire perché i beni prodotti
nell'economia non coincidono necessariamente con i beni acquistati dai
consumatori.
L’inflazione non va a modificare tutti i prezzi e tutti i salari in modo proporzionale (i
prezzi di un settore possono aumentare mentre quelli di un altro settore diminuisco. i
salari, prezzo dei servizi lavorati, possono aumentare, diminuire o rimanere costanti
al variare dei prezzi ma non nello stesso modo per tutti e questo implica che
l’inflazione va a modificare la distribuzione del reddito). L’inflazione inoltre genera
delle distorsioni economiche soprattutto nel sistema fiscale (fiscal drag o drenaggio
fiscale: le tasse vengono calcolate in modo proporzionale al reddito per cui se i
salari e i prezzi aumentano, il potere di acquisto del soggetto è lo stesso ma
aumentano le tasse perché il redito risulta maggiore anche se in realtà non lo è).
Infine, l’inflazione va a favorire chi ha preso a prestito e sfavorire chi ha dato a
prestito perché l’importo che il soggetto restituirà, in termini di valore reale, sarà
minore. In conclusione, l’inflazione impatta negativamente sulla redistribuzione del
reddito perché non aumentano tutti i prezzi e tutti i salari della stessa percentuale,
se così fosse l’inflazione sarebbe neutrale.
La deflazione si verifica quando i prezzi e i salari si riducono e la domanda dei
prezzi cala perché si spera che i prezzi diminuiscano ancora. Chi ha contratto debiti
in termini nominali vedrà aumentare, in termini reali, il proprio debito quindi la
deflazione danneggia i debitori e favorisce i creditori.
Il fenomeno dell’illusione monetaria si riferisce alla convinzione che un aumento di
salario dovuto all’inflazione sia un aumento del potere di acquisto, senza accorgersi
che anche i prezzi dei beni aumentano.
3. disoccupazione (u) = per definire il tasso di disoccupazione si effettua un rapporto
tra il numero di disoccupato (U)/ il numero di occupati (N) + (U). N+U= forza lavoro
(L) che indica chi partecipa al mercato del lavoro attivamente, cioè lavorando o
cercando lavoro. Il tasso di disoccupazione indica la quota della forza lavoro in
cerca di occupazione. Per ridurre tale tasso bisogna aumentare il numero di
occupati o si riduce il numero di persone in cerca di lavoro (questo accade quando
si sta vivendo una fase di recessione perché chi ricerca lavoro smette di cercarlo per
il fenomeno del lavoratore scoraggiato). Generalmente il tasso di disoccupazione
aumenta nelle fasi di recessione ma può anche diminuire. Viceversa, nelle fasi di
espansione normalmente diminuisce ma può anche aumentare perché le persone
sono stimolate nella ricerca di un lavoro. Ovviamente il tasso di disoccupazione
rappresenta una perdita di PIL per tutta l’economia perché lo stato deve riservare
parte di esso per assistere i disoccupati. Il tasso di disoccupazione colpisce le varie
categorie di soggetti in modo diverso colpendo di più determinate categorie come
donne e giovani. Una bassa disoccupazione è generalmente associata ad inflazione
elevata. Viceversa, una disoccupazione elevata è in genere associata ad inflazione
bassa o negativa.
una variabile espressa in termini reali non risente delle variazioni dei prezzi.
Le quantità possono distinguersi in stock, se la quantità misurata fa riferimento a un
determinato istante temporale, o flusso, se la quantità viene misurata facendo riferimento
a un arco temporale. Di conseguenza classifichiamo la ricchezza di un individuo/la
quantità di capitale/il numero di disoccupati/il debito pubblico come una grandezza stock e
il suo reddito/l’investimento/il numero di licenziati/il disavanzo pubblico come un flusso.
Legge di oknu: all’aumentare della produzione aggregata (Y), la disoccupazione di riduce.
L'economista Okun osservò che un aumento del Pil porta a una diminuzione della
disoccupazione. Ciò viene confermato dal grafco che mette in relazione la variazione del
tasso di disoccupazione e la crescita della produzione per gli Stati Uniti dal 1960 al 2014.
Curva di Phillips: quando la disoccupazione si riduce (u), l’inflazione aumenta (p greco).
Phillips mette in relazione disoccupazione e infazione e osservò che, quando la
disoccupazione è ridotta, l'economia si trova in una fase di surriscaldamento, e questo
spinge l'infazione ad aumentare (relazione negative). Se cerco di contenere l'infazione
può scaturire una maggiore disoccupazione.
La produzione aggregata Y è determinata da:
 Nel breve periodo, cioè nell'arco di qualche anno, le variazioni annuali della
produzione sono dovute soprattutto a variazioni della domanda.
 Nel medio periodo, cioè nell'arco di un decennio, il livello di produzione è
determinato da fattori relativi all'offerta: lo stock del capitale, il livello della
tecnologia, la dimensione delle forze di lavoro.
 Nel lungo periodo, cioè nell'arco di qualche decennio o più, le vere determinanti
della produzione sono fattori come il sistema scolastico, il tasso di risparmio e la
qualità del governo che influenzano le determinanti di medio periodo: le capacità
dei lavoratori, lo stock del capitale e l'efficienza delle imprese.
La domanda aggregata
Il circuito reddito-spesa vede in azione fondamentalmente due attori: gli individui e le
imprese. Nel fusso reale gli individui forniscono alle imprese i mezzi di produzione sotto
forma di lavoro e capitale e le imprese attraverso la produzione forniscono beni e servizi
agli individui. Nel fusso monetario a fronte di quei beni e servizi gli individui pagheranno
qualcosa alle imprese e tale spesa può essere effettuata perchè allo stesso tempo le
imprese li avranno retribuiti dei fattori produttivi che gli hanno fornito. Mettendo insieme i
due fussi otteniamo il circuito reddito-spesa.
REDDITO AGGREGATO = SPESA AGGREGATA
Nei modelli economici troviamo due tipi di variabili: le variabili endogene, cioè spiegate
all'interno del modello, e le variabili esogene, cioè prese come date. Non compare
l'investimento in scorte perchè non fa parte della domanda.
Z = C + I + G + X - IM
• Consumo (C): beni non durevoli, servizi e beni durevoli acquistati dai consumatori;
• Investimento (I): investimento in macchinari, attrezzature, abitazioni. Investimento in
scorte: differenza tra beni prodotti e beni venduti in un anno – cioè differenza tra
produzione e vendite; Produzione e vendite non coincidono sempre: non tutto ciò che
viene prodotto quest’anno è venduto quest’anno. Convenzione contabile: le scorte sono
una spesa delle imprese. Se si includono le scorte non programmate tra le componenti
della domanda, il PIL è sempre uguale alla domanda aggregata: PIL=C+I+G+NX+
investimenti in scorte
• Spesa pubblica (G): beni e servizi acquistati dallo stato e dagli enti pubblici. Non
include i trasferimenti (ad esempio le pensioni) e gli interessi sul debito pubblico.
• Esportazioni (X): acquisti di beni e servizi nazionali da parte del resto del mondo.
• Importazioni (IM): acquisti di beni e servizi dall’estero effettuati dai residenti
(consumatori, imprese, governo).
• Esportazioni nette (NX) = X – IM, o saldo commerciale, è la differenza tra esportazioni
e importazioni
– se X>IM: avanzo commerciale
– se X<IM: disavanzo commerciale
Durante la recessione i consumi sono diminuiti molto meno degli investimenti. In genere
durante le recessioni il risparmio si riduce per mantenere stabili i consumi. Gli investimenti
sono la componente più variabile della domanda aggregata. In genere durante le recessioni
il consumo cade meno del reddito e il risparmio si riduce.
La domanda aggregata è la somma delle spese di tutti i settori economici. Essa si forma di
due componenti: una componente programmata data dalla quantità complessiva di beni e
servizi richiesti dai vari settori economici (Z=C+I+G+NX) e una componente non
programmata data dagli investimenti in scorte.
Nel momento in cui il valore del pil (y) è maggiore del valore della domanda aggregata(Z),
tramite la differenza tra i due valori possiamo ottenere la componente non programmata
cioè le scorte. Se Y è minore di Z, le imprese riducono le scorte (componente non
programmata). La condizione di equilibrio quindi si definisce come Y=Z cioè la situazione in
cui la componente non programmata è nulla e di conseguenza la produzione coincide con
le vendite. Graficamente l’equilibrio è dato dall’intersezione tra la retta che rappresenta la
produzione e la curva di domanda.
Nel punto di equilibrio A: Domanda aggregata = Produzione (Z = Y)
• Consumatori e imprese acquistano le quantità programmate di C e I
e non vi sono forze che modificano l'equilibrio
Eccesso di domanda (ED)
• A sinistra del punto A:
• Domanda aggregata > Produzione: Y aumenta
Eccesso di offerta (ES)
• A destra del punto A:
• Domanda aggregata < Produzione: Y si riduce.
FUNZIONE DI CONSUMO
Il consumo da parte degli agenti economici dipende dal reddito che essi hanno a
disposizione. Tale reddito si compone del C0 (a spesa autonoma di consumo è
indipendente dal reddito ma è influenzato da alcuni fattori come il clima di fiducia degli
individui o il cambiamento delle preferenze di consumo) e C1 (propensione marginale
consumo ovvero ci dice quanto aumenta il consumo quando aumenta il reddito disponibile
di un euro) che sono parametri e Yd (reddito disponibile dato dal reddito Y- le tasse T).
L’inclinazione di tale funzione è data da C1. Il consumo è una funzione del reddito
disponibile.
 IL MOLTIPLICATORE: La produzione di equilibrio è uguale al moltiplicatore × la
domanda autonoma:
Tanto maggiore il moltiplicatore, tanto maggiore il livello di equilibrio
della produzione. tanto maggiore la domanda autonoma (c0+I) tanto maggiore Y. Il
moltiplicatore indica di quanto aumenta la produzione di equilibrio in seguito ad un
aumento della domanda autonoma. Tanto maggiore c1, tanto maggiore il
moltiplicatore e la produzione di equilibrio. La produzione di equilibrio è proporzionale
alla componente autonoma della domanda aggregata. Il moltiplicatore è la derivata
della produzione di equilibrio rispetto alla componente autonoma della domanda
aggregata. Il governo può influenzare la produzione scegliendo il livello di spesa (G) e
il gettito fiscale (T). Cambiare la spesa pubblica e le imposte richiede un lungo
processo politico. Il ruolo delle aspettative: è importante anche considerare se le
variazioni delle imposte sono transitorie o permanenti. Ridurre le imposte ed
aumentare la spesa pubblica potrebbe generare elevati disavanzi di bilancio e portare
ad un aumento di debito pubblico. Quest’ultimo può avere effetti negativi
sull’economia nel lungo periodo.
L’INVESTIMENTO
L’investimento considerato nella condizione di equilibrio (Y=C (Y – T) +I+G) non è costante
(come considerato fino ad ora) bensì dipende da due fattori:
I = I (Y, i)
(+,-)
1. Il livello delle vendite → Dipendenza positiva: un'impresa che vuole aumentare le vendite
e deve aumentare la produzione dovrà investire e acquistare nuovi macchinari.
2. Il tasso di interesse → dipendenza negativa: un'impresa deve decidere se acquistare un
nuovo macchinario, prendendo a prestito del denaro, o non acquistarlo. Quanto più alto è il
tasso di interesse, tanto meno conveniente sarà la prospettiva di indebitarsi per realizzare il
nuovo investimento in quanto i profitti addizionali non basteranno a coprire il pagamento
degli interessi sul prestito.
Un aumento della produzione provoca un aumento del reddito disponibile (e di
conseguenza dei consumi) e quindi un aumento dell’investimento. Viceversa, un aumento
del tasso di interesse provoca una diminuzione dell’investimento. In sintesi, un aumento
della produzione fa aumentare la domanda di beni: questa relazione tra domanda e
produzione è rappresentata dalla curva ZZ inclinata positivamente. La curva ZZ ha due
caratteristiche:
• Le equazioni del consumo e dell’investimento non sono necessariamente lineari;
quindi, in generale la ZZ è una curva e non una retta.
• Poiché abbiamo supposto che un aumento della produzione conduce a un incremento
meno che proporzionale della domanda, la ZZ è più piatta della retta a 45°
Nel momento in cui il tasso di interesse si modifica, si modifica di conseguenza anche la
curva ZZ: un aumento del tasso di interesse riduce la domanda di beni e porta a una
riduzione della produzione di equilibrio. Qualora invece la produzione fosse una funzione
decrescente del tasso di interesse, la curva IS (investment-saving che rappresenta la
condizione di equilibrio sul mercato dei beni) sarebbe inclinata negativamente. La curva IS
rappresenta le combinazioni di Y e i per cui vi è equilibrio nel mercato dei beni. Il consumo
è funzione del reddito disponibile. Investimenti e spesa pubblica sono esogeni. Essa è
inclinata negativamente: un aumento del tasso di interesse è associato a una riduzione
della produzione. Ogni fattore che diminuisce la domanda di beni, dato il tasso di interesse,
sposta la IS verso sinistra (es. aumento delle imposte). Ogni fattore che aumenta la
domanda di beni, dato il tasso di interesse, sposta la IS verso destra (es aumento della
spesa pubblica). La curva IS rappresenta la relazione inversa tra produzione e tasso di
interesse. L’equilibrio del mercato dei beni richiede che un aumento del tasso di interesse
sia associato ad una riduzione della produzione. Ogni punto della curva IS corrisponde a
un possibile. Sommario: la curva IS
1. L’equilibrio del mercato dei beni richiede che un aumento del
tasso di interesse sia associato ad una riduzione della
produzione.
2. La curva IS rappresenta la relazione inversa tra produzione e
tasso di interesse.
3. Ogni circostanza che riduce la domanda di beni, dato il tasso di
interesse, sposta la IS verso sinistra.
4. Ogni circostanza che aumenta la domanda di beni, dato il tasso
di interesse, sposta la IS verso destra.
equilibrio nel mercato dei beni. Curva IS: � = � (� – ��) + � (�, �) + G.
La curva LM è una retta orizzontale in corrispondenza del tasso di interesse stabilito dalla
banca centrale. La BC sceglie il tasso di interesse e aggiusta l’offerta di moneta attraverso
operazioni di mercato aperto per raggiungere il tasso di interesse obiettivo. La LM
rappresenta le combinazioni di i e Y tali per cui si ha equilibrio nel mercato della moneta.
La curva LM è orizzontale. La BC ha per obiettivo un certo tasso di interesse. Se il tasso di
mercato supera l’obiettivo, l’offerta di moneta aumenta. Se il tasso di mercato è inferiore
all’obiettivo, l’offerta di moneta si riduce. A volte la BC modifica il proprio obiettivo. Questa
decisione sposta la curva LM:
- Se la BC decide di aumentare il tasso di interesse (una contrazione
monetaria) la LM si sposta verso l’alto.
- Se la BC decide di ridurre il tasso di interesse (una contrazione
monetaria) la LM si sposta verso il basso.
Nel modello IS-LM, nel breve periodo, una riduzione della spesa pubblica combinato con
una politica monetaria espansiva Produce un effetto ambiguo sul PIL e un decremento del
tasso di interesse.
La moneta
La moneta è la quantità di valori immediatamente disponibili per le transazioni. Ha tre
funzioni:
• Unità di conto: unità di misura con cui si misurano i prezzi dei beni e servizi
• Riserva di valore: un mezzo per trasferire potere d’acquisto dal presente al futuro
• Mezzo di scambio: si utilizza per acquistare beni e servizi
– La facilità con cui la moneta può essere convertita in beni e servizi è detta liquidità.
Nel passato la moneta utilizzata era spesso una merce con un suo valore intrinseco (per
es. l’oro): moneta merce. Con l’andare del tempo e per limitare i costi di transazione l’oro è
stato sostituito da certificati aurei (ossia immediatamente convertibili in oro). La moneta
utilizzata oggi è moneta a corso legale, ossia moneta non più convertibile ma il cui valore è
riconosciuto ufficialmente dal legislatore (cosiddetta moneta fiat).
 Quantità di moneta = circolante + depositi bancari
 Circolante = somma di tutte le banconote e monete metalliche in circolazione
 Depositi bancari = fondi che gli individui detengono in forma liquida sui conti correnti
bancari (ed ai quali possono accedere attraverso assegni o bancomat).
il circolante è una piccola percentuale della quantità totale di moneta; nell’area dell’euro
circa il 15%.
Gli individui possono detenere due tipi di attività finanziarie:
• Moneta: per le transazioni (circolante e depositi bancari); non paga interessi. La
moneta è il metodo più comodo per effettuare transazioni (in quanto attività
perfettamente liquida) ma è una riserva di valore imperfetta, in quanto dominata dai titoli
finanziari che, pur essendo meno liquidi, garantiscono un tasso di interesse positivo,
i>0.
• Titoli: non possono essere utilizzati per le transazioni e pagano un interesse i (ad
esempio titoli di stato, come BOT e BTP).
La decisione di detenere moneta dipende da:
• livello delle transazioni;
• tasso d'interesse sui titoli
La domanda di moneta di un'economia nel suo insieme, Md , dipende quindi dal livello
totale delle transazioni nell'economia e dal tasso di interesse che pagano i titoli. Il livello
totale delle transazioni è difficile da misurare, ma possiamo assumere che sia più o meno
proporzionale al reddito nominale. Possiamo quindi scrivere la relazione tra domanda di
moneta, reddito nominale e tasso di interesse come:
Md = €Y L(i)(-)
L(i) indica una funzione decrescente del tasso di interesse i. Il segno meno sotto i indica
che il tasso di interesse ha un effetto negativo sulla domanda di moneta: un aumento del
tasso di interesse riduce la domanda di moneta. Quindi riassumendo, la domanda di
moneta: - aumenta proporzionalmente al reddito nominale; - dipende negativamente dal
tasso di interesse. La curva Md è inclinata negativamente: minore è il tasso di interesse,
maggiore sarà la quantità di moneta che le persone vogliono detenere. Fissato un certo
tasso di interesse, un aumento del reddito nominale fa aumentare la domanda di moneta.
Ovvero, un aumento del reddito nominale (variabile esogena) sposta la domanda di
moneta verso destra.
La moneta viene emessa dalla BC per soddisfare la domanda di moneta da parte degli
individui. Il punto di equilibrio in questa circostanza è il punto in cui la domanda di moneta
emessa dalla banca centrale eguaglia la domanda di circolante da parte degli individui più
la domanda di riserve da parte delle banche commerciali. L’offerta di moneta emessa dalla
BC è sotto il suo controllo diretto. Il tasso di interesse di equilibrio è quello per cui la
domanda e l’offerta di moneta emessa dalla banca centrale sono uguali. Si possono
definire due casi:
- La moneta include solo i depositi
Vedi dal riassunto
- La moneta include depositi e circolante
- trappola di liquidità
Il moltiplicatore monetario è il rapporto tra l'offerta di moneta e la base monetaria
esistenti in un determinato momento nel sistema economico. L'offerta di moneta, intesa
come quantità di moneta esistente in un determinato momento nel sistema economico, è
pari alla moneta legale in circolazione detenuta dal pubblico (il circolante), più i depositi del
pubblico presso le banche, mentre la base monetaria è pari al circolante più le riserve delle
banche. Il tasso di interesse di equilibrio è tale che l’offerta di moneta emessa dalla banca
centrale è uguale alla domanda di moneta emessa dalla banca centrale. Se c=1 torniamo
al caso in cui non vi sono le banche Se c=0 torniamo al caso in cui vi sono solo depositi. In
conclusione il moltiplicatore è:
La quantità di moneta emessa dalla BC (H) si chiama moneta ad alto potenziale, o base
monetaria, perché variazioni di H determinano variazioni più che proporzionali di M (cioè,
m>1). L’effetto moltiplicatore dipende dal ruolo cruciale dei depositi e dal fatto che le riserve
sono una funzione dei depositi. Se la moneta fosse costituita solo da circolante (c=1) e/o
se le banche fossero costrette a detenere interamente i depositi come riserve (θ=1), il
moltiplicatore sarebbe uguale a 1.
Il tasso di interesse nominale è il rendimento di un euro dato a prestito quindi il tasso di
interesse indica quanto occorre pagare per avere subito disponibile un euro. Esistono molti
tassi di interesse. Essi si distinguono per durata (breve o lunga scadenza) o per strumento
finanziario di riferimento (prestiti alle imprese, titoli di stato etc.) o per mercato di riferimento
(per esempio, mercato interbancario). A parità di durata e mercato di riferimento, il livello
dei tassi di interesse può dipendere da variazioni nelle aspettative di inflazione o nel grado
di affidabilità del debitore. Il tasso d’interesse nominale indica quanti euro dovremmo
ripagare in futuro in cambio di una somma presa a prestito oggi. Il tasso d’interesse reale
invece indica quanto dovremo pagare in termini di beni in futuro per un prestito oggi. La
relazione tra tasso di interesse nominale e tasso di interesse reale ha tre implicazioni:
• quando l’inflazione attesa è nulla, tasso nominale e tasso reale coincidono;
• dato che l’inflazione è quasi sempre positiva, il tasso reale è generalmente inferiore al
tasso nominale;
• fissato il tasso nominale, maggiore è l’inflazione attesa, minore è il tasso reale.
Anche se la BC sceglie il tasso di interesse nominale, è il tasso di interesse reale che
influenza le decisioni di spesa di imprese e famiglie. Per raggiungere il tasso reale
desiderato, la banca centrale deve tenere conto delle aspettative di inflazione.
La banca centrale può influenzare il tasso di interesse provocando una variazione
nell’offerta di moneta attraverso le operazioni di mercato aperto le quali comportano
variazioni di pari importo nell’attivo e nel passivo del bilancio della Banca Centrale:
• Operazione di mercato aperta espansiva: la Banca Centrale emette nuova liquidità
acquistando titoli. La moneta in circolazione nell’economia aumenta di pari importo.
L’incremento di domanda di titoli fa aumentare il loro prezzo e quindi esercita una
pressione al ribasso del tasso di interesse.
• Operazione di mercato aperto restrittiva: la Banca Centrale ritira liquidità vendendo
titoli. La moneta in circolazione diminuisce di pari importo. L’incremento di offerta di titoli
fa diminuire il loro prezzo e quindi esercita una pressione al rialzo del tasso di interesse.
Il bilancio della BC è composto dai titoli che sessa detiene come attivo e dallo stock di
moneta in circolazione nell’economia e le riserve come passivo rappresentato il totale della
moneta emessa. Il bilancio delle banche invece è composto dai depositi come passività e
dai prestiti, riserve e titoli acquistati come attività. Parte dei depositi è tenuta come riserva
per far fronte ad eventuali rimborsi (correntisti che ritirano contante) e per far fronte a
transazioni interbancarie. La BC impone un coefficiente (minimo) di riserva obbligatoria
(1% nell'area euro) e, oltre alle riserve obbligatorie, le banche tengono riserve libere presso
la BC.
Gran parte dei prestiti avviene attraverso il finanziamento indiretto, cioè attraverso
intermediari finanziari che ricevono fondi dai risparmiatori e li prestano ad altri. Una delle
decisioni più importanti di una banca è la scelta della leva finanziaria che è il rapporto tra le
attività della banca (i prestiti che la banca ha erogato) e il suo capitale. Nella scelta della
leva finanziaria ottimale la banca bilancia due considerazioni: Una maggior leva finanziaria
implica un più elevato tasso di
profitto per unità di capitale investito dagli azionisti: a parità di capitale, la banca può
acquistare maggiori attività; Una maggior leva finanziaria implica una probabilità più elevata
di insolvenza della banca stessa: una perdita di valore dal lato delle attività rende la banca
incapace di rimborsare quanto preso a prestito. Tanto maggiore la leva finanziaria, tanto
più rischiosa è la banca.
Supponiamo che gli investitori comincino a dubitare (più o meno ragionevolmente) della
solvibilità di una banca. Essi tenteranno di prelevare i propri fondi dalla banca e
quest’ultima sarà costretta a vendere le proprie attività per rimborsare gli investitori. Questo
è possibile perché le passività di una banca sono liquide. Se le attività della banca sono
illiquide, la banca dovrà ridurre il loro prezzo per poterle vendere. In questo modo, la banca
subisce una forte riduzione dell’attivo e rischia di diventare insolvente. Anche in assenza di
riduzioni dell’attivo, il diverso grado di liquidità di attivo e passivo può rendere la banca
insolvente.
POLITICA FISCALE
La politica fiscale è uno strumento utilizzato dai governi al fine di influenzare il livello di
spesa in consumi e investimenti da parte delle famiglie, delle imprese e del settore
pubblico. Il livello desiderato viene raggiunto attraverso variazioni della spesa pubblica e
del gettito fiscale. La politica fiscale può essere espansiva o restrittiva.
Se restrittiva, attraverso una riduzione della spesa pubblica o un aumento delle imposte,
riduce il reddito aggregato. (consolidamento fiscale). Immaginiamo di ridurre il disavanzo
pubblico aumentando le imposte, e mantenendo invariata la spesa pubblica. Una politica di
questo tipo si chiama stretta o contrazione fiscale. L’aumento delle imposte influenza
l’equilibrio sul mercato dei beni. La curva IS si sposta verso sinistra. Poiché le imposte non
compaiono nell’equazione della LM, le imposte non influenzano la condizione di equilibrio
monetario. Quindi la LM non si sposta.
Se espansiva, attraverso un incremento della spesa pubblica o una riduzione delle
imposte, provoca un aumento del reddito aggregato. Può essere utilizzata durante fasi di
recessione economica, in genere caratterizzati da una diminuzione della produzione e un
aumento della disoccupazione, al fine di incentivare l’attività economica.
POLITICA MONETARIA
La politica monetaria è l’insieme degli strumenti, degli obiettivi e degli interventi adottati da
uno Stato in modo tale modificare e orientare la moneta, il credito e la finanza, con lo scopo
di raggiungere obiettivi prefissati di politica economica, di cui la politica monetaria fa parte.
Gli obiettivi della politica monetaria sono gli stessi della politica economica, ovvero prezzi,
occupazione, sviluppo. Per raggiungere questi obiettivi le banche centrali hanno a
disposizione due strumenti: il tasso d’interesse e la base monetaria.
In particolare è possibile distinguere la politica monetaria in espansiva e restrittiva. Se è
espansiva, la politica monetaria vede la riduzione dei tassi d’interesse al fine di stimolare
l’offerta di moneta delle banche alle imprese e di conseguenza gli investimenti e la
produzione di beni e servizi. Al contrario viene definita politica monetaria restrittiva se vede
l’aumento dei tassi d’interesse, riducendo l’offerta di moneta e di conseguenze rendendo
meno conveniente investire e produrre. L’obiettivo della politica monetaria restrittiva è
quello di ridurre l’inflazione oppure far calare il disavanzo pubblico, facendo di
conseguenza rallentare la crescita economica.
Come si modifica la curva IS se la sensibilità dell'investimento al tasso di interesse
aumenta? La curva IS diventa meno ripida. La politica monetaria sarà più efficace perché
la riduzione del tasso d'interesse, indotta per esempio da una politica monetaria espansiva,
comporterà ora un maggiore aumento degli investimenti e quindi del reddito d'equilibrio.
MIX DI POLITICA fiscale e monetaria
Il policy-mix è la combinazione di politica monetaria e politica fiscale di un paese. Questi
due canali incidono sulla crescita e l'occupazione e sono generalmente determinate dalla
banca centrale e dal Governo, rispettivamente. La politica monetaria è compiuta dalla
banca centrale che, mediante il controllo del tasso di interesse e dell'offerta di moneta, ha il
fine di evitare l'inflazione. Il governo sceglie il livello di tassazione e la redistribuzione, di
determinare gli investimenti pubblici e la spesa pubblica.
Ci sono pertanto quattro casi possibili:
I) PF espansiva e PM espansiva (“accomodante”) la IS si sposta a destra e la LM si sposta
a destra
II) PF restrittiva e PM espansiva la IS si sposta a sinistra e la LM si sposta a destra
III) PF restrittiva e PM restrittiva la IS si sposta a sinistra e la LM si sposta a sinistra
IV) PF espansiva e PM restrittiva la IS si sposta in alto a destra e la LM si sposta in alto a
sinistra
Per alcune di queste combinazioni, l’effetto finale su Y ed i potrà essere ambiguo come nel
III caso in cui l’effetto su Y è chiaro ma non quello su i oppure nel IV caso in cui vi è la
situazione apposta.
RISCHIO E PREMIO DI RISCHIO
Finora abbiamo immaginato che vi sia un solo titolo. In realtà esistono molti tipi di titoli, che
differiscono per scadenza e rischiosità. Il debitore potrebbe non rimborsare l’ammontare
preso a prestito. Quindi coloro che comprano titoli (i creditori) chiedono un premio per
assumersi
questo rischio, detto premio per il rischio. Il rischio di un titolo dipende dalle caratteristiche
del debitore. Il premio per il rischio è determinato principalmente da due elementi: la
probabilità di fallimento del debitore (p) e l’avversione al rischio del creditore (colui che
acquista il titolo). Il creditore preferisce il rimborso atteso piuttosto che prestare una somma
che dia in media lo stesso rimborso. L’avversione al rischio fa sì che anche se il rendimento
atteso del titolo rischioso fosse uguale a quello del titolo privo di rischio, il rischio stesso
renderebbe i creditori riluttanti a detenere il titolo rischioso. Per convincerli ad acquistare il
titolo, il premio per il rischio dovrebbe aumentare ulteriormente.
PREMESSA MODELLO IS-LM ESTESO
Fino adesso abbiamo immaginato che l'economia si muovesse istantaneamente da un
punto di equilibrio all'altro. Tutto ciò non è realistico poiché l'aggiustamento della
produzione richiede tempo. Per tenere conto di ciò dobbiamo reintrodurre la dinamica:
1. Ai consumatori servirà del tempo per aggiustare il loro consumo in seguito a una
variazione del reddito disponibile;
2. Alle imprese servirà del tempo per aggiustare la spesa per investimento in seguito a una
variazione delle vendite/tasso di interesse;
3. Alle imprese servirà del tempo per aggiustare la produzione in seguito a una variazione
della domanda.
Dobbiamo ora estendere il modello di partenza, prima di tutto, distinguendo tra il tasso
nominale e quello reale, e successivamente, distinguendo tra il tasso di interesse stabilito
dalla BC e i tassi a cui i debitori possono prendere a prestito che dipendono, come
abbiamo visto, dal rischio associato ai singoli debitori e dallo stato di salute degli
intermediari finanziari.
Il tasso nella relazione LM è chiamato tasso di policy (poichè stabilito dai policy-maker),
mentre il tasso nella relazione IS è chiamato tasso sui prestiti (poichè è il tasso a cui gli
individui e le imprese possono prendere a prestito). Ipotesi semplifcatrice: la BC stabilisce il
tasso di policy reale, r. Tuttavia è il tasso reale sui prestiti, r + x, che determina le decisioni
di spesa. La curva IS ha pendenza negativa: un aumento del tasso di policy reale riduce la
spesa e, a sua volta, la produzione. La curva LM è semplicemente una retta orizzontale in
corrispondenza del tasso di policy.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------LA CRISI FINANZIARIA DEL 2008
Dal modello “Originate to Hold” caratterizzato da prestiti erogati dalle banche e detenuti fino
alla scadenza e rischio di credito con fondamentali screening e monitoring dei debitori. Al
modello “Originate to Distribuite” caratterizzato da prestiti erogati e poi venduti ad altri
investitori attraverso i Veicoli di investimento (Vis), presenza nuovi strumenti di finanza
“strutturata” (MBS, CDO) e vaglio delle agenzie di rating. Il nuovo modello di
intermediazione presenza, in qualità di vantaggi, un uso più efficiente del capitale delle
banche, minore esposizione al rischio di credito. Tuttavia, i prodotti di finanza strutturata
sono opachi, complessi e difficili da valutare. Manca l’incentivo per le banche ad effettuare
“screening” e “monitoring” dei debitori. Inoltre, si generano Conflitti di interesse delle
agenzie di rating ed emergono, dal legame più stretto tra banche e mercati, nuovi rischi. Il
rischio di liquidità viene sottovalutato.
Il prezzo degli immobili in USA aumentò fino al 2006, e poi si ridusse rapidamente.
L’aumento dei prezzi era l’effetto di un lungo periodo in cui la FED aveva mantenuto i tassi
di interesse molto bassi. Era conveniente prendere a prestito per comprare una casa,
soprattutto se si credeva, come allora, che la bolla potesse continuare. Nel 2006 i prezzi
delle abitazioni negli Stati Uniti cominciarono a scendere. La maggior parte degli
economisti predisse una diminuzione della domanda aggregata e un rallentamento della
crescita. Tuttavia, pochi economisti anticiparono che questo avrebbe condotto a una
gravissima crisi economica. Quello che la maggior parte degli economisti non riuscì a
prevedere fu l’effetto del crollo dei prezzi delle case sul sistema finanziario e, a sua volta,
l’effetto della crisi finanziaria sull’economia reale. Se le banche non sono abbastanza
attente quando erogano un mutuo, quando i prezzi delle case iniziano a calare, alcune
famiglie vanno “in rosso”, perché quanto hanno preso in prestito dalla banca supera il
valore di mercato della casa. Può succedere quindi che la famiglia abbandoni la casa o
smetta di pagare il mutuo. Alla banca resta la possibilità di riscattare la proprietà della casa.
Poiché il valore della casa è inferiore al valore del prestito che è stato inizialmente
concesso, la banca registra una perdita. Il crollo dei prezzi, tuttavia, si è amplificato: la
“cartolarizzazione” (securitization) ha consentito alle banche di espandere ulteriormente il
credito impacchettando i prestiti in altri titoli e rivendendo questi titoli per raccogliere altri
fondi da prestare. La cartolarizzazione ha ridotto anche la qualità dell’attivo: minore cautela
nell’analisi del merito di credito (ex ante) e minori incentivi al monitoraggio (ex post). La
trasmissione all’economia reale avvenne attraverso l’aumento dei tassi di interesse e il
crollo delle aspettative. I principali canali attraverso cui la crisi finanziaria ha colpito
l’economia reale sono la contrazione del credito che ha colpito gli investimenti, il calo del
mercato azionario (che si aggiunge al calo dei prezzi delle abitazioni) che ha ridotto il
valore della ricchezza delle famiglie e quindi dei consumi. Inoltre, paesi meno esposti alla
crisi finanziaria hanno subito lo shock attraverso una contrazione delle esportazioni.
I policy-maker risposero alla crisi con tre tipi di strumenti:
• politiche finanziarie, per salvare e rafforzare il sistema finanziario;
• politiche monetarie, per ridurre i tassi di interesse;
• politiche fiscali, per sostenere la domanda aggregata.
Tuttavia, i salvataggi bancari effettuati, come il ricorso ad aiuti pubblici, provocarono un
aumento del debito pubblico. Alcuni esempi di questi salvataggi sono l’acquisto da parte
del governo USA di azioni delle banche di investimento; la nazionalizzazione totale o
parziale di molte banche inglesi; attività di ricapitalizzazione delle banche operate in molti
paesi europei.
MERCATO DEL LAVORO
Come già sappiamo, la forza lavoro è data dal numero di occupati e il numero di soggetti in
cerca di occupazione. Ancora il tasso di disoccupazione è il rapporto tra il numero di
disoccupati e la forza lavoro: Il tasso di disoccupazione si riduce se aumenta la forza lavoro
e si riduce se si riduce il n. di persone in cerca di lavoro. Possiamo definire il tasso di
partecipazione come il rapporto tra la forza lavoro e la popolazione civile in età lavorativa.
Le rilevazioni sul mercato del lavoro hanno cadenza trimestrale e riguardano le consistenze
degli occupati e dei disoccupati; i dati annuali sono medie di quelli trimestrali. Gli occupati
comprendono tutte le persone dai 15 anni che nella settimana di riferimento della
rilevazione hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un
corrispettivo monetario o in natura. Le persone in cerca di occupazione comprendono le
persone non occupate di 15 -75+ che hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di
lavoro nei 30 giorni che precedono l’intervista e che sono disponibili a lavorare qualora
venga loro offerto un lavoro.
Il tasso di attività misura il grado di partecipazione al mercato del lavoro. In un’economia in
cui poche donne lavorano o in cui vi sono molti pensionati il tasso di attività è basso. Il
tasso di attività è influenzato, oltre che dalle caratteristiche del mercato del lavoro, da
modifiche sociali e culturali, ad es. l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne, e dai
fenomeni migratori.
Il tasso di occupazione misura il grado di utilizzo della forza lavoro di un sistema
economico. Un rallentamento dell’attività economica porta ad una riduzione del numero di
occupati e del tasso di occupazione. Il tasso naturale di disoccupazione è quel tasso di
disoccupazione per cui il salario reale contrattato da imprese e lavoratori è uguale al salario
reale che scaturisce dalla determinazione dei prezzi.
Occupazione e disoccupazione sono misurate in un istante del tempo (variabili di stock).
Ogni anno, molti lavoratori entrano o escono dallo stock di occupati e disoccupati (variabili
di flusso). L’insieme dei disoccupati si modifica continuamente per l’ingresso di nuovi
disoccupati e l’uscita dalla situazione di disoccupazione. I flussi in entrata nella
disoccupazione dipendono da riallocazione tra settori o imprese, sostituzione di lavoratori,
trasferimenti volontari. I flussi in uscita dalla disoccupazione dipendono dal fatto che in ogni
periodo alcuni trovano lavoro, altri decidono di uscire dalla forza lavoro. Il tasso di
disoccupazione è costante se i flussi in ingresso bilanciano i flussi in uscita. Aumenta (si
riduce) se i flussi in ingresso sono maggiori (minori) dei flussi in uscita. Lo stesso tasso di
disoccupazione può indicare situazioni diverse: un mercato del lavoro vivace (molti
licenziamenti, molte assunzioni) o un mercato del lavoro con una disoccupazione di lungo
periodo (pochi licenziamenti, ma anche poche assunzioni). Durante una recessione, le
imprese riducono le assunzioni di nuovi lavoratori e licenziano i lavoratori attualmente
occupati.
I lavoratori percepiscono solitamente un salario superiore al loro salario di riserva, cioè il
salario che li rende indifferenti tra lavorare e non lavorare. I salari dipendono dalle
condizioni prevalenti sul mercato del lavoro: quanto più basso è il tasso di disoccupazione,
tanto maggiori sono i salari. Anche in assenza di contrattazioni collettive (tra sindacati e
imprese), i lavoratori hanno una certa forza contrattuale che usano per ottenere salari più
elevati. Inoltre, le imprese stesse, per varie ragioni, possono voler pagare salari superiori al
salario di riserva (teoria dei salari di efficienza). La forza contrattuale di un lavoratore
dipende dal costo, in caso di dimissioni, che l’impresa paga per sostituirlo, la difficoltà a
trovare un nuovo lavoro, dalla natura del lavoro, dalle condizioni prevalenti nel mercato del
lavoro (durante una recessione è più difficile trovare un lavoro). A prescindere dalla forza
contrattuale dei lavoratori, le imprese possono voler pagare un salario superiore a quello di
riserva per avere lavoratori più produttivi, incentivati da una maggiore remunerazione; per
diminuire il turnover dei lavoratori: in molte imprese ridurre il turnover può aumentare la
produttività. Pagare un salario più elevato è quindi uno strumento per incentivare i
lavoratori. Le teorie che legano la produttività o l’efficienza dei lavoratori al salario si
chiamano teorie dei salari di efficienza. Queste teorie suggeriscono che i salari dipendono
dalla natura del lavoro e dalle condizioni del mercato del lavoro. Anche il salario di
efficienza è influenzato dalle condizioni del mercato del lavoro: durante un’espansione vi è
un numero elevato di posti di lavoro vacanti, ciò aumenta la convenienza dei lavoratori a
dare le dimissioni; per evitare le dimissioni le imprese concedono salari più elevati.
Il salario reale che risulta dall’equazione di determinazione dei salari è una funzione
decrescente del tasso di disoccupazione. Il salario reale che risulta dall’equazione della
determinazione dei prezzi è costante (rispetto al tasso di disoccupazione).
L’equilibrio sul mercato del lavoro richiede che il salario reale che risulta dall’equazione dei
salari sia uguale al salario reale che risulta dall’equazione dei prezzi. Ciò determina il tasso
di disoccupazione di equilibrio, che abbiamo indicato come tasso naturale di
disoccupazione. Al tasso naturale di disoccupazione è associato il livello naturale di
occupazione e di produzione.
La disoccupazione non è sempre uguale alla disoccupazione naturale. Vedremo che in una
recessione il tasso di disoccupazione effettivo è maggiore di quello naturale.
CURVA DI PHILLIPS
Secondo la formulazione originaria della curva di Phillips, sembrerebbe che i policy-maker
possano sempre utilizzare il trade-off tra inflazione e disoccupazione. Sembrerebbe cioè
che se i policy-maker fossero disposti ad accettare maggiore inflazione, avrebbero potuto
automaticamente ridurre la disoccupazione. Negli anni ‘60, la politica economica cercò di
ridurre gradualmente la disoccupazione, accettando una maggiore inflazione. Tuttavia, dal
1970 in poi la relazione tra tasso di inflazione e tasso di disoccupazione venne meno. La
ragione principale è che i lavoratori modificarono il loro modo di formare le aspettative. La
svolta fu causata da un cambiamento del processo stesso dell’inflazione che divenne:
- costantemente positiva (�� > 0);
- persistente (�� dipende da ��−1)
Il cambiamento nel meccanismo di formazione delle aspettative modificò la natura della
relazione tra disoccupazione e inflazione.
Secondo la curva di Phillipps corretta per le aspettative, l'inflazione è necessariamente
superiore al suo livello atteso, πt>πetπt>πte, se Il tasso di disoccupazione effettiva è
minore del tasso di disoccupazione naturale.
La relazione tra variazione dell’inflazione e differenza tra tasso di disoccupazione e tasso di
disoccupazione naturale suggerisce che la relazione: può essere differente in diversi paesi;
può variare nel tempo. Alcuni paesi europei registrano tassi di disoccupazione più bassi
della media: Olanda e Svezia. Altri invece registrano una disoccupazione elevata: Francia
e Italia. Possibile spiegazione: un elevato tasso di disoccupazione riflette un altrettanto
elevato tasso naturale di disoccupazione, e non uno scostamento del tasso di
disoccupazione da quello naturale. Infatti, il potere monopolistico delle imprese (m) e il
sistema di sussidi di disoccupazione (z) potrebbero variare tra paesi e, con essi, il tasso
naturale.
La disoccupazione in Europa si può spiegare come risultato della rigidità del mercato. Gli
economisti quando parlano di rigidità del mercato del lavoro di solito si riferiscono: a un
sistema di sussidi di disoccupazione generoso; a un livello elevato di tutela del lavoro; ad
un salario minimo elevato; alle regole della contrattazione tra lavoratori e imprese.
Abbiamo implicitamente trattato sia z sia m come costanti, ma non vi è alcuna ragione per
ritenere che essi siano costanti nel tempo: il grado di potere monopolistico delle imprese
(m); la struttura della contrattazione salariale; il sistema di sussidi di disoccupazione (z),
ecc. cambiano nel tempo, facendo variare il tasso naturale di disoccupazione.
Riassumendo, Una bassa disoccupazione fa aumentare l’inflazione, ma questa relazione
dipende molto da come lavoratori e imprese formulano le proprie aspettative. La
formulazione originaria della curva di Phillips è una relazione negativa tra tasso di
disoccupazione e tasso di inflazione. La formulazione moderna della curva di Phillips è una
relazione negativa tra tasso di disoccupazione e variazioni del tasso di inflazione.
EQUILIBRIO DI MEDIO PERIODO
Gli effetti delle politiche economiche sono diversi nel breve e nel medio periodo.
L’importanza del breve periodo rispetto al medio periodo dipende dalla velocità del
processo di aggiustamento dell’economia (se il processo è lento, conta molto l’analisi di
breve periodo). I cicli economici sono determinati da variazioni inattese di alcune variabili o
da cambiamenti nelle politiche economiche (shock). Gli shock hanno effetti dinamici e
attraverso un meccanismo di propagazione influenzano la produzione e le componenti
della domanda aggregata. Gli shock sono di diversa entità, e possono manifestarsi nel
breve periodo, oppure influenzare l’economia in modo persistente anche nel medio
periodo.
Il modello IS-LM-PC collega il breve periodo al medio periodo. L’equilibrio di medio periodo
si raggiunge con r = rn. Questo tasso di interesse è detto tasso di interesse naturale o di
Wicksell in corrispondenza del quale: la produzione Y = alla produzione potenziale, il tasso
di disoccupazione= tasso di disoccupazione naturale, l’inflazione= inflazione attesa.
Nel medio periodo, il tasso di interesse nominale è uguale al tasso reale più il tasso di
crescita nominale della moneta ��. Quindi nel medio periodo le variabili reali sono
indipendenti dalla politica monetaria. Questa è la definizione di neutralità della moneta.
EFFETTI DEL LOCKDOWN
Alcuni shock sono causati da ragioni indipendenti dall’economia. Per arginare la diffusione
del Covid-19, nel 2020 sono state adottate misure di distanziamento sociale. Per
permettere il distanziamento molte imprese hanno interrotto le attività. Ciò ha avuto forti
effetti economici sia sulle imprese sia sui lavoratori.
Durante il lockdown, la regola con cui le imprese fissano i prezzi (PS) è verticale, perché
l’occupazione viene presa come un dato (le imprese non possono variare l’occupazione, e
devono anche rinunciare al markup desiderato). Il numero dei lavoratori che possono
effettivamente lavorare è molto più basso, limitato ai settori considerati essenziali. Questo
si traduce in un tasso di disoccupazione naturale più elevato, e in conseguenza in una
produzione potenziale ridotta. La relazione WS diventa orizzontale a un livello salariale
1/(1+m), dove m è il markup prima del blocco, in quanto: durante il blocco le imprese non
possono assumere più lavoratori; i salari sono stati congelati con provvedimenti di
sostegno ai redditi.
Nel breve periodo, un lockdown riduce la produzione. La domanda crolla, e la curva IS si
sposta verso sinistra. La produzione diminuisce sia nel breve che nel medio periodo.
Con l’inizio del blocco, assistiamo a una diminuzione di ��. La domanda diminuisce (molti
lavoratori non lavorano e non hanno reddito), e la IS si sposta verso sinistra. A ciò si
aggiunge la caduta degli investimenti delle imprese dei settori più colpiti, come turismo,
ristorazione, trasporto aereo, ecc. Il governo potrebbe optare per misure di politica fiscale
espansiva, cercando di spostare IS verso destra (IS’’). Le banche centrali possono
diminuire il tasso di policy, spostando la LM verso il basso. Con questi provvedimenti, la
produzione potrebbe tornare al nuovo livello potenziale, che però potrebbe essere inferiore
rispetto a prima
TENORE DI VITA
La crescita economica è importante perché determina il tenore di vita. Le determinanti della
produzione nel lungo periodo:
- Lavoro: aumenta se aumenta il tasso di attività, o se si riduce il tasso di disoccupazione
naturale
- Capitale: aumenta se aumentano gli investimenti
- Tecnologia: migliora con il progresso tecnico
Ci concentriamo sul prodotto o reddito pro capite (Y/N), invece che sulla produzione
aggregata. Per confrontare il valore Y/N tra i vari paesi non basta utilizzare il tasso di
cambio perché essi possono cambiare nel tempo ed esserci differenza sistematiche tra i
paesi, quindi, bisogna tenere conto di tali differenze e modifiche. In genere, quanto più
basso è Y/N in un paese, tanto più bassi sono i prezzi dei beni alimentari e dei servizi
essenziali.
Tradizionalmente, la misura che viene utilizzata più spesso è Y/N o, ancora meglio, Y per
ora lavorata. Tuttavia, ciò che davvero conta per il benessere delle persone è il loro livello
di consumo e non tanto il loro reddito.
Fino al 1500 non vi fu quasi per nulla crescita di Y/N (trappola malthusiana). Dopo la
rivoluzione industriale, i tassi di crescita sono aumentati fino a 1,5% annuo. Tassi di
crescita più elevati sono stati osservati solo dopo il 1950. I paesi che nel 1950 avevano un
minor livello di Y/N sono cresciuti più rapidamente nei decenni successivi. esiste una
relazione chiara tra tasso di crescita di Y/N e livello di Y/N nel 1960 per molti paesi asiatici.
A partire dal 1960, Singapore, Taiwan, Hong Kong e Corea del Sud hanno iniziato a
crescere molto velocemente. Tuttavia, in Africa la convergenza non si è verificata.
Gli aumenti del prodotto per occupato (Y/N) derivano da aumenti del capitale per occupato
(K/N). Gli aumenti del prodotto per occupato (Y/N) possono derivare anche da
miglioramenti dello stato della tecnologia, che spostano la funzione di produzione F e
permettono di ottenere una maggiore quantità di prodotto per occupato con lo stesso
capitale per occupato (K/N). L’accumulazione di capitale da sola non sostiene la crescita.
La crescita deriva soprattutto dal progresso tecnologico.
Il PIL mette in conto le serrature blindate per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro
che cercano di forzarle Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità
della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago Misura tutto, in poche parole,
eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta: La qualità del nostro
ambiente sociale e fisico, come la nostra rete di amicizie e l’aria pulita; Il tempo libero che
abbiamo a disposizione per riposarci e godere della compagnia degli amici e dei familiari
non possono essere misurati dal pil. Dal 2013 l’Istat pubblica gli indicatori che vanno a
formare il Benessere equo e sostenibile (BES). Sono stati individuate 12 dimensioni del
benessere considerate di maggior rilievo: reddito medio disponibile, indice di
disuguaglianza del reddito disponibile, indice di povertà assoluta, speranza di vita in buona
salute alla nascita, eccesso di peso, uscita precoce dal sistema di istruzione, tasso di
mancata partecipazione al lavoro, rapporto tra il tasso di partecipazione di donne con figli e
senza figli, indice di criminalità, indice di efficienza della giustizia civile, emissioni nocive,
indice di abusivismo edilizi.
EQILIBRIO DI LUNGO PERIODO
Al centro della determinazione della produzione nel lungo periodo troviamo due relazioni
importanti:
1. l’ammontare di capitale nell’economia determina il livello della produzione;
2. il livello di produzione determina a sua volta il livello di risparmio e di investimento e
quindi il capitale accumulato nel tempo.
CAPITALE UMANO: La qualità del lavoro che ciascuna persona fornisce varia
enormemente. il capitale umano riguarda qualità che sono anche produttive e che possono
essere prodotte, o accumulate. Proprio come il capitale reale, il capitale umano ha un suo
rendimento e si deprezza con il passare del tempo. Il capitale umano riguarda sia la salute
che l’istruzione. Nelle economie sviluppate l’istruzione e la formazione professionale sono
le forme più importanti di investimento in capitale umano (EX: Competenze linguistiche,
analisi quantitativa, capacità di operare con particolari tecnologie). Per risolvere i problemi
dello sviluppo economico è importante investire in istruzione e ricerca. Un aumento del
capitale umano comporta una crescita del prodotto per addetto. Il risparmio può finanziare
sia l’investimento in capitale fisico sia l’investimento in capitale umano, e quindi il prodotto
per addetto. Nel lungo periodo, Y/N dipende anche da quanto una società investe in
l’istruzione. Quindi un paese che risparmia di più e/o investe di più in istruzione raggiunge
un maggior livello di prodotto per lavoratore in stato stazionario. Invece nei modelli con
crescita endogena, la crescita, nel lungo periodo, dipende da variabili quali il tasso di
risparmio e il tasso di investimento in istruzione. In questi modelli si abbandona l’ipotesi che
la produttività marginale del capitale nella funzione di produzione aggregata sia
decrescente.
PROGRESSO TECNOLOGICO
Il progresso tecnologico genera più produzione a parità di capitale e lavoro, migliora la
qualità dei prodotti, realizza nuovi prodotti, amplia la gamma dei prodotti disponibili.
Possiamo quindi pensare al progresso tecnologico in due modi equivalenti:
• il progresso tecnologico riduce il numero di lavoratori necessari per ottenere una data
quantità di prodotto;
• il progresso tecnologico aumenta il prodotto ottenibile con un dato numero di lavoratori.
La maggior parte del progresso tecnologico è il risultato dell’attività di ricerca e sviluppo
(R&S) svolta dalle imprese. I livelli di spesa in R&S dipendono dalla fertilità del processo di
ricerca e dall’appropriabilità dei risultati della ricerca. La fertilità del processo di ricerca
indica la misura in cui la spesa in ricerca e sviluppo si traduce in nuove idee e nuovi
prodotti. Essa dipende dall’interazione tra ricerca di base e ricerca applicata. Il sistema
dell’istruzione ha un ruolo importante nello sviluppo e nel successo della ricerca di base. Le
potenzialità di una scoperta si realizzano pienamente solo dopo un certo periodo di tempo.
L’appropriabilità dei risultati della ricerca esprime invece la capacità di trattenere i profitti
generati dall’attività di ricerca. Essa dipende dalla natura del processo di ricerca, dal grado
di protezione accordata ai nuovi prodotti dalla legislazione dei brevetti.
La crescita economica è determinata anche dalle istituzioni. Quando gli economisti parlano
di istituzioni, si riferiscono principalmente alla protezione dei diritti di proprietà. “Protezione
dei diritti di proprietà” significa: un buon sistema politico, un buon sistema giudiziario, leggi
contro l’insider trading, leggi che proteggono i brevetti, leggi antitrust… Se i diritti di
proprietà sono ben tutelati, gli individui sono più incentivati a investire in capitale e
tecnologia.
Il progresso tecnologico mette in evidenza che il Pil non è sempre un indicatore adeguato
di sviluppo. Economisti di MIT hanno proposto di ricalcolare il PIL tenendo conto, di quanto
le persone sono disposte a pagare per certi beni e servizi, anche nel caso in cui il loro
prezzo di mercato è molto basso, oppure anche nullo. È uno dei tanti campi di applicazione
dell’Economia Sperimentale. Al fine dell’analisi del progresso tecnologico consideriamo
momentaneamente la funzione di produzione come Y=AN, quindi producendo utilizzando
solo il fattore lavoro e ciascun lavoratore produce A unità di prodotto. Con N costante,
aumenti di A rappresentano il progresso tecnologico. Dall’equazione precedente otteniamo
che N = Y/A cioè che l’occupazione è uguale alla produzione divisa per la produttività. Non
è possibile determinare in modo univoco quali sono gli effetti sull’occupazione di un
aumento della produttività (ΔN = ΔY - ΔA) perché quanto succede a N dipende dal fatto
che Y cresca più o meno che proporzionalmente alla produttività A. La conclusione dei
ricercatori che hanno studiato gli effetti di variazioni della produttività sulla produzione è
che i dati forniscono una risposta ambigua:
✓ in alcuni casi, un aumento della produttività porta a un aumento della produzione
sufficiente a mantenere invariato o addirittura aumentare il livello dell’occupazione nel
breve periodo;
✓in altri casi, si verifica la situazione opposta e la disoccupazione aumenta nel breve
periodo.
Durante il processo di crescita: - nuovi beni vengono sviluppati, rendendone altri obsoleti. nuove tecniche vengono implementate, rendendo alcune abilità meno utili. Molti lavori
scompaiono, altri si sviluppano (creative distruction). Per gli occupati in settori in crisi, il
progresso tecnologico può significare la perdita del posto di lavoro, disoccupazione e salari
futuri più bassi. Inoltre si è generato una disuguaglianza salariale tra coloro che hanno
ricevuto una solida istruzione e chi no. Questo accade perché la domanda di lavoratori
qualificati è in costante aumento rispetto alla domanda di lavoratori poco qualificati. Alla
base di questo cambiamento della domanda relativa troviamo il commercio internazionale e
il progresso tecnologico orientato verso il lavoro qualificato. La disuguaglianza tuttavia non
dipende solo dalle differenze di istruzione ma anche dal reddito degli imprenditori e dei
manager e a cattive pratiche societarie. Uno dei modi per evitare che le disuguaglianze
crescano nel tempo è il sistema di welfare (con supporto alle fasce povere) e il sistema
fiscale (per redistribuire parte delle ricchezze). Un'ulteriore forma di disuguaglianza
salariale è il gender pay gap cioè la differenza salariale tra lavoratori e lavoratrici.
Uno degli effetti della crescita economica e del progresso tecnologico è l’emissione dei gas
serra, di cui il più importante è il CO2, la cui quantità nell’atmosfera determina la forza
dell’effetto serra. Questo effetto comporta l’aumento generale della temperatura, causando
il riscaldamento globale. Dalla rivoluzione industriale in poi l’uso di combustibili fossili ha
portato a un forte aumento di CO2 nell’aria. Gli accordi di Parigi puntano a ridurre la
temperatura globale di 2 gradi, cioè sotto i livelo della prima rivoluzione industriale dal 2015
al 2100. I rischi derivanti dal riscaldamento globale li possiamo definire in due modi:
 Rischio fisico: impatto finanziario dei cambiamenti climatici compresi eventi
metereologici estremi più frequenti (acuto), mutamenti graduali del clima e degrado
ambientale (cronico).
 Rischio di transizione: perdita finanziaria in cui può incorrere un ente, direttamente o
indirettamente, a seguito del progresso di aggiustamento verso un’economia a basse
emissioni e più sostenibile.
TITOLI E VALUTAZIONE DEI TITOLI SULLA BASE DEL RISCHIO
I titoli differiscono tra loro per due aspetti principali:
1. Maturità (detta anche scadenza), cioè il periodo di tempo durante il quale il titolo
promette di effettuare pagamenti al suo possessore.
2. Rischio
1. di insolvenza: il rischio che l’emittente del titolo non rimborsi l’intero ammontare
promesso dal titolo stesso;
2. di prezzo: legato all’incertezza del prezzo a cui sarà possibile vendere il titolo prima
della scadenza
I rendimenti dei titoli a maturità breve sono chiamati tassi di interesse a breve termine.
I rendimenti dei titoli con maturità più lunga sono detti tassi di interesse a lungo termine.
La curva dei rendimenti (detta anche struttura a termine dei tassi di interesse) è la
relazione tra il rendimento di un titolo e la sua maturità. Generalmente, la curva dei
rendimenti è inclinata positivamente, ma ci sono delle eccezioni. Se assumiamo che il
premio per il rischio sia pari a zero:
• La curva dei rendimenti è crescente quando i mercati finanziari si aspettano maggiori
tassi di interesse a breve in futuro.
• La curva dei rendimenti è decrescente quando i mercati finanziari si aspettano minori
tassi di interesse a breve in futuro.
Quando i mercati finanziari si aspettano che i tassi di interesse rimangano costanti nel
tempo, la curva dei rendimenti è inclinata positivamente, poiché il premio per il rischio
aumenta con la maturità del titolo.
La condizione di assenza di arbitraggio afferma che i rendimenti attesi di due attività
devono essere uguali.
Le imprese si possono finanziare in quattro modi:
• Il finanziamento interno consiste nell’utilizzo degli utili;
• Il ricorso al prestito bancario;
• Il finanziamento con debito, può assumere la forma di obbligazioni e di prestiti nonbancari;
• Il prestito azionario avviene attraverso l’emissione di azioni: invece di pagare importi
predeterminati, le azioni pagano dividendi di ammontare decisi discrezionalmente dalla
società.
Nel caso delle azioni, il premio per il rischio prende il nome di premio per il rischio
azionario.
In generale, il modo in cui il prezzo delle azioni reagisce alla produzione dipende:
1. dalle aspettative iniziali del mercato;
2. dalla fonte dello shock;
3. dalle aspettative del mercato circa la risposta della banca centrale.
Le fluttuazioni del prezzo delle azioni sono causate anche dalle variazioni nella percezione
del rischio e da deviazioni dei prezzi delle attività finanziarie dal loro valore fondamentale.
Le bolle speculative sono episodi in cui gli investitori finanziari acquistano un’azione a un
prezzo più alto del suo valore fondamentale.
Un’ondata di ottimismo ingiustificato è un periodo in cui, per un eccesso di ottimismo, gli
investitori finanziari sono disposti a pagare più del valore fondamentale dell’azione.
Il dividendo in economia è quella parte di utile che viene consegnato da una società ai
suoi azionisti. Per gli investitori, i dividendi rappresentano una fonte di reddito. Per la
società emittente, invece, rappresentano un modo per ridistribuire i profitti agli azionisti per
“ringraziarli” del loro sostegno e per incoraggiare ulteriori investimenti. Il dividendo è
denominato normale o straordinario. Questo è deciso dall'assemblea. Se il dividendo è
"normale" l'azionista si aspetta che negli anni a venire venga distribuito regolarmente il
dividendo. Il dividendo "straordinario" invece non ha alcuna regolarità.
LE ASPETTATIVE
Le aspettative sono ipotesi formulate dagli operatori economici sulla previsione futura dei
fenomeni economici. Un modello previsionale semplice prende in considerazione soltanto
l'andamento del fenomeno economico nel passato. Altri modelli previsionali possono
essere basati sull'esperienza e sulle decisioni prese in passato dagli operatori economici
(errori previsionali), sulle facoltà di adattamento degli operatori economici, sulla razionalità
o meno del calcolo, sulla disponibilità o meno delle informazioni sui fenomeni economici.
Le aspettative sulla domanda modificano il comportamento di acquisto di un consumatore o
di un'impresa, sulla base di un evento futuro atteso. Ad esempio, quando un consumatore
prevede la crescita futura del prezzo di un bene, tende ad aumentare l'approvvigionamento
corrente dello stesso, in modo tale da consumare una parte della quantità acquistata nel
periodo t anche nel periodo futuro e di evitare di dover pagare un prezzo di acquisto più
alto. Le variabili attese future influiscono in modo diverso sul consumo corrente degli agenti
economici: un aumento del consumo corrente si può verificare con un aumento del reddito
da lavoro futuro, con una diminuzione dei tassi di interesse reali e/o nominali futuri, con un
aumento dei dividendi reali futuri (e viceversa ovviamente). Queste variabili influenzano
anche gli investimenti provocando, con un aumento dei profitti futuri o una riduzione dei
tassi di interesse reali futuri, un aumento del valore atteso dei profitti e quindi un aumento
degli investimenti correnti (e viceversa ovviamente).
La curva IS può essere riformulata, tenendo conto delle aspettative, in questo modo: Y=
A(Y,T,r,) + G con A che indica la spesa privata. Essa dipende positivamente dal reddito
corrente - negativamente dalle imposte - negativamente dal tasso di interesse reale.
Sintetizzando:
1. Aumenti del reddito corrente o futuro atteso fanno aumentare la spesa privata
2. Aumenti delle imposte correnti o attese riducono la spesa privata
3. Aumenti del tasso di interesse reale corrente o atteso riducono la spesa privata
La curva IS con aspettative è più ripida della curva IS senza aspettative. Infatti, date le
aspettative, una riduzione del tasso di interesse reale gli investimenti e, quindi, la
produzione. Aumenti della spesa pubblica o del livello di produzione futuro atteso spostano
la curva verso destra. Aumenti delle imposte correnti, future attese o nel tasso di interesse
futuro atteso, spostano la curva verso sinistra.
La prima distinzione riguarda il tasso di interesse reale e quello monetario. Il primo
influenza investimenti e IS, il secondo la domanda di moneta e la LM.
Gli effetti di una politica monetaria sul livello di produzione dipendono in modo consistente
dall’eventualità e dalla misura in cui tale politica influenzi le aspettative. Date le aspettative,
un aumento dell’offerta di moneta provoca uno spostamento della curva LM e un
movimento lungo la curva IS ripida. Il risultato è un consistente decremento del tasso r e un
ridotto aumento di Y (ci spostiamo da A a B). Se, invece, consideriamo le aspettative,
l’aumento dell’offerta di moneta conduce a un incremento di Y’e e a una riduzione di r’e, la
curva IS si sposta verso destra, provocando un aumento maggiore di Y.
In presenza di una politica fiscale restrittiva otteniamo il risultato tradizionale: la riduzione
della spesa pubblica nel periodo corrente provoca uno spostamento della curva IS verso
sinistra e quindi una riduzione della produzione di equilibrio. Tuttavia se gli agenti
dell’economia formulano aspettative razionali in seguito all’annuncio di una riduzione del
disavanzo, si attenderanno sviluppi nel futuro quindi, unito all’effetto tradizionale, avremo
che la riduzione dei tassi a breve può comportare una revisione delle aspettative sui tassi
attesi e quindi sugli investimenti correnti. La IS si sposta verso destra ed il reddito tende ad
aumentare, per cui si determina un effetto finale indeterminato ed ambiguo.
IMPARA
Illustra graficamente gli effetti di una riduzione del risparmio nel periodo corrente.
Answer: Troviamo il grafico in questione alla slide 9 della Lezione 11. Diciamo che a
seguito della riduzione, s1 passa al valore s2, con s2 < s1. La riduzione di s fa spostare la
curva sf(K/N) verso il basso e di conseguenza l’equilibrio di stato stazionario si spostera
verso un livello pi ` u` basso di K/N. Nel grafico seguente, questo meccanismo e
rappresentato dalle curve ` s1f(Kt, N) (prima della riduzione) e s2f(Kt, N):
Inizialmente, l’equilibrio e nel punto ` A. A seguito della riduzione di s, il capitale per
lavoratore investito (s2f(Kt/N)) e insufficiente rispetto al deprezzamento ( ` δKt/N): questo
determinera` una progressiva erosione del capitale per lavoratore fino al nuovo punto di
equilibrio, il punto B.
2. Spiega cosa accade nel periodo corrente a K/N, Y /N, S/N e C/N per effetto della
riduzione del tasso di risparmio.
Answer: La riduzione di s causa una riduzione di S/N (risparmio per lavoratore) e un
incremento di C/N (consumo per lavoratore) nel periodo corrente; questa variazione e
immediata ` dal momento che il tasso di risparmio s si modifica. Al contrario, K/N e Y /N
(capitale per lavoratore e prodotto per lavoratore, rispettivamente) non variano nel periodo
corrente: e nec- ` essario infatti un periodo affinche il cambiamento nel
risparmio/investimento abbia effetto sul ´ capitale. La successiva dinamica di
aggiustamento al nuovo equilibrio continua nei periodi successivi come descritto alla
risposta precedente. (NOTA: la variazione di S/N e C/N analizzata in questa risposta
riguarda il periodo corrente, e non il valore di queste quantita a seguito del raggiungimento
del nuovo equilibrio. Nel lungo ` periodo, infatti, il valore finale di C/N dipende anche dal
valore in stato stazionario di Y/N e K/N. Per determinare se il consumo cresca o si riduca
nel lungo periodo, dobbiamo confrontare il tasso s con il tasso di risparmio della regola
aurea (vedi slide 19 Lezione 11).)
3. Spiega cosa accade a K/N e Y /N nel tempo.
Answer: Come descritto nella prima risposta, al livello iniziale di K/N (cioe nel punto ` A)
l’investimento e minore del deprezzamento a seguito della riduzione ` s1 → s2. Questo fa
s`ı che K/N si riduca nel tempo e, di conseguenza, anche Y /N, fino al raggiungimento del
nuovo equilibrio nel punto B.
4. Quali sono gli effetti di breve periodo e di lungo periodo di questa riduzione del
tasso di risparmio (s) sul tasso di crescita di Y /N?
Answer: 2 • Nel breve periodo la riduzione di s causa una riduzione di Y /N per cui il tasso
di crescita di Y /N e negativo. Infatti, come abbiamo gi ` a notato, esso si riduce nel tempo
(fino al ` raggiungimento del nuovo equilibrio in B). • Nel lungo periodo, una volta raggiunto
lo stato stazionario, Y /N rimane costante. Infatti, nel punto B, il deprezzamento del capitale
per lavoratore e perfettamente compensato ` dall’investimento di capitale per lavoratore.
Raggiunto questo punto, K/N non varia nel tempo e, con esso, anche Y /N rimane costante.
Pertanto, nel lungo periodo la riduzione di s non ha alcun effetto sul tasso di crescita di Y
/N (pari a 0 in entrambi gli scenari s1 e s2).