Il controllo assembleare nell’ordinamento degli Stati Uniti: evoluzione e prospettive Ugo Maria Franzini1 Settembre 2014 1 Il presente documento è di esclusiva pertinenza del relativo autore ed è esclusivamente riservato per l’uso espressamente consentito dall’autore medesimo, senza il cui preventivo espresso consenso scritto non può essere ulteriormente distribuito, adattato, memorizzato ovvero riprodotto, in tutto o in parte e in qualsiasi forma e tecnica. 1 Indice Introduzione 7 1. La normativa statunitense in materia di corporate governance: considerazioni generali 8 2. I poteri degli azionisti in sede assembleare 9 2.1. La tesi favorevole al rafforzamento dei poteri degli azionisti 10 2.2. La critica. La tesi favorevole alla centralità dell’organo amministrativo 12 3. I limiti del modello statunitense 13 4. L’intensificazione del rapporto tra management e azionisti 16 4.1. I potenziali benefici 16 4.2. Le “vittorie” dell’attivismo degli azionisti 17 4.3. Le possibili problematiche 20 4.4. I nuovi strumenti in materia di governo societario 21 5. L’evoluzione del ruolo degli amministratori indipendenti 5.1. Verso l’affermazione della figura degli amministratori indipendenti 6. L’attività della SEC nella disciplina societaria 6.1. L’evoluzione degli interventi della SEC maggiormente rilevanti 22 23 27 27 7. Cenni sulla normativa europea in materia di corporate governance 31 8. Conclusioni 38 Bibliografia 5 Abstract A differenza che in Europa, dove la proprietà azionaria è piuttosto concentrata e l’azione degli investitori istituzionali è meno diffusa, negli Stati Uniti la maggior parte delle società quotate presenta una proprietà molto più diffusa ed eterogenea. Si potrebbe pensare, dunque, che la legislazione statunitense predisponga molti strumenti per difendere gli interessi degli azionisti diffusi, ma in realtà questo non avviene. Sebbene la proprietà sia saldamente in mano agli azionisti, essi non hanno alcun potere effettivo di controllo sulla politica societaria, né a lungo né a breve termine. Con il loro attivismo gli azionisti sono riusciti ad acquisire maggior controllo dell’assemblea, grazie agli amministratori indipendenti, a nuove forme di comunicazione col board e a importanti riforme riguardanti i sistemi di voto in assemblea e di sollecitazione delle deleghe di voto. In Europa, invece, per effetto dell’azione congiunta e coordinata del legislatore comunitario con quella dei legislatori nazionali, il quadro normativo complessivo della corporate governance delle società quotate sembra aver assunto caratteristiche se non consolidate, quantomeno articolate e al momento ragionevolmente efficaci. Negli Stati Uniti, vuoi per l’assenza di una legislazione federale a fronte di una molteplicità di normative nazionali e di un maggiore peso delle discipline di autoregolamentazione, vuoi per una mancanza di riconoscimento diffuso della autorevolezza della SEC quale authority emanatrice di regole riconosciute e condivise, il quadro normativo-regolamentare in tema di corporate governance delle società consolidamento quotate e appare ancora radicamento alla nella 6 ricerca di realtà un suo dei efficace mercati. Introduzione Da alcuni anni è diffusa l’opinione che i meccanismi di funzionamento dei vertici delle società quotate non siano sempre funzionali per l’efficienza e l’efficacia delle economie in cui operano. Gli accademici da lungo tempo hanno rimarcato come nella vita di una società per azioni sia naturale il c.d. “conflitto di agenzia” tra manager e azionisti o anche, nella maggioranza delle società con proprietà azionaria maggiormente concentrata, tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza. Uno dei principali temi concernenti la materia del governo societario di società quotate riguarda l’insufficiente motivazione, per la maggior parte di azionisti e investitori, a partecipare alla vita della società in cui investe. Spesso, in particolare, non vi è incentivo economico a partecipare alle assemblee degli azionisti, poiché i costi da sostenere per intervenire sarebbero superiori ai benefici ricevuti - ammesso che la presenza e il voto riescano a essere incisivi sul piano pratico – con la conseguenza che le più importanti decisioni delle società quotate sono prese, di fatto, dal management e dagli azionisti di maggioranza, i quali perseguono interessi che possono non coincidere con quelli della massa degli altri azionisti e stakeholders. Questa problematica è più diffusa negli Stati Uniti, dove si riscontra una maggiore presenza di società quotate a capitale sociale disperso, nelle quali i manager si contrappongono a una moltitudine di piccoli e piccolissimi azionisti con assai limitati poteri. In questo contesto si è sviluppato il concetto di “shareholder activism”, ovvero, secondo una delle molte definizioni che si trovano nella letteratura1, “l’esercizio e l’implementazione dei diritti da parte degli azionisti di minoranza con l’obiettivo di incrementare lo shareholder value nel lungo periodo, svolgendo una più intensa attività di monitoring sul management”. Un’esigenza, questa, divenuta maggiormente pressante soprattutto negli ultimi vent’anni circa, per effetto del crescente peso dell’intermediazione nella gestione del risparmio e delle strategie di gestione degli investitori istituzionali, nonché di taluni sviluppi legislativi, che sempre più frequentemente 1 Croci E., “Shareholder Activism – Azionisti, Investitori Istituzionali e Hedge Fund”, 2011, FrancoAngeli pag. 18. 7 considerano l’opportunità di condotte non meramente passive delle minoranze organizzate e professionali rispetto alle partecipazioni detenute. Ciò implica il tentativo (e la spinta del legislatore nei confronti) degli azionisti di minoranza, ed in specie degli investitori istituzionali, di aumentare e/o ampliare le loro prerogative nei confronti della società partecipata e di acquisire maggiore influenza in assemblea e sulle decisioni sociali allo scopo di esercitare forme di controllo più efficaci della gestione posta in essere dal management, costringendo quest’ultimo ad una maggiore accountability nei confronti degli investitori, così da allineare gli interessi degli uni e degli altri. 1. La normativa statunitense in materia di corporate governance: considerazioni generali Negli Stati Uniti non è presente una legislazione federale uniforme in materia societaria, cui tutti gli Stati facciano riferimento; ogni Stato possiede una propria legislazione statale con differenti regole e norme. Un indirizzo significativo e un orientamento generale anche in materia di governance sono tuttavia dati dalla SEC (Securities Exchange Commission), in ragione dei poteri di tutela degli investitori e del mercato a essa attribuiti dal Securities Exchange Act (1934). Soprattutto in tempi più recenti, sono infatti andati moltiplicandosi gli interventi regolamentari della SEC nella materia del diritto societario, al punto che si è spesso rilevato in dottrina un processo di graduale “federalizzazione” del diritto del governo societario. Per un inquadramento della dottrina americana e della giurisprudenza in tema di corporate governance è inoltre necessario fare riferimento a due elementi ulteriori. Il primo di essi è il Model Business Corporation Act (MBCA), redatto nel 1950 a seguito della Seconda Guerra Mondiale, e successivamente rivisto fino all’odierno Revised Model Business Corporation Act (RMBCA). Questo documento funge da modello di leggi e norme che ogni singolo Stato dovrebbe usare, o anche solo da modello cui ispirarsi. Attualmente esso è preso a modello da ventiquattro Stati. 8 Tra le leggi societarie statali, il riferimento imprescindibile per l’inquadramento della legislazione statunitense è la Delaware General Corporation Law. Il Delaware infatti è la sede legale di oltre un milione di imprese e molte grandi società. Questo piccolo Stato ha iniziato ad assumere una posizione dominante nella materia societaria fin dagli inizi del 1900, e ad oggi è il sistema legislativo per le società più studiato e cui si fa più riferimento. I motivi sono molteplici: primo fra tutti, il rispetto e l’autorevolezza che le corti del Delaware si sono guadagnate nel corso del tempo e in particolare la Corte di Giustizia che risale al 1792. Altro motivo è di carattere socio-economico: la maggior parte delle entrate del Delaware sono dovute alla circostanza che nel suo territorio hanno la sede legale le maggiori società quotate e quindi vi è una particolare attenzione sia per il rispetto della legge che per la disponibilità generale di un sistema che fornisca alle imprese un quadro normativo e fiscale efficiente e flessibile per lo svolgimento dei loro affari. L’autorevolezza guadagnata nel tempo fa dell’ordinamento societario, legale e fiscale dello Stato del Delaware un sistema stabile e difficilmente modificabile, in grado di creare sinergie non facilmente replicabili altrove e quindi di attrarre società. É di tutta evidenza che il quadro normativo nel quale gli azionisti si muovono ha particolare importanza, dal momento che alcuni diritti possono essere un notevole vantaggio per gli azionisti, mentre altre norme possono rappresentare un ostacolo difficilmente valicabile per l’attivismo degli azionisti2. Osservazione generalmente condivisa è che l’ordinamento statunitense tradizionalmente non avvantaggia gli azionisti ma tende piuttosto a favorire il management dell’impresa a discapito dei primi. 2. I poteri degli azionisti in sede assembleare Le tematiche di corporate governance concernenti la ripartizione e il bilanciamento dei poteri tra amministratori e azionisti sono state da sempre oggetto di discussione negli ambienti accademici, e recenti cambiamenti 2 Croci E., cit., pag. 28-29. 9 normativi in materia hanno dato nuova linfa al dibattitto, portando all’espressione di pareri anche significativamente divergenti in proposito, con visioni “filosoficamente” opposte e contrastanti, o comunque in conflitto. Esemplare al riguardo è la discussione tra Lucian Bebchuk e Stephen Bainbridge. 2.1. La tesi favorevole al rafforzamento dei poteri degli azionisti É principio consolidato in materia di governo societario secondo l’ordinamento statunitense che tutte le principali decisioni riguardanti la politica e l’attività societaria debbano essere assunte dall’organo amministrativo collegiale, ovvero il board o consiglio di amministrazione, e che agli azionisti non siano concessi effettivi poteri al riguardo. L’unica possibilità per gli azionisti di provare a introdurre o proporre una nuova politica di gestione è quella di sostituire gli amministratori in carica con altri 3 . Ma rimuovere gli amministratori non è compito facile per gli azionisti, che quindi si trovano spesso in posizione di inferiorità rispetto a quella del management, potendo in realtà far leva esclusivamente su limitati poteri eventualmente attribuiti loro dallo statuto. Secondo Bebchuk in ambito societario vi sono tre principali tipologie di decisioni: I. Rules-of-the-Game Decisions: esse rappresentano l’insieme delle regole nelle e con le quali la società deve “giocare” 4 . Esse derivano sostanzialmente da due fonti: (i) lo statuto e atto costitutivo, nonché (ii) la legge statale in materia societaria dello Stato in cui la società ha la propria sede legale5. Statuto e atto costitutivo possono essere modificati, ma è richiesto sempre un potere d’iniziativa del management in tale senso. Gli azionisti hanno scarso potere anche per quanto riguarda la scelta della sede legale, che spesso è il risultato di una c.d. re-incorporation (i.e. il trasferimento della sede legale) in un diverso Stato per effetto di fusione Bebchuk L. “The Case for Increasing Shareholder”, Harvard Law School, Discussion Paper No. 586. pag. 836. Bebchuk L., cit., pag. 844. 5 Come già osservato, la legge statale del Delaware è quella di riferimento. 3 4 10 della società, ed anche la proposta riguardante una fusione societaria è di pertinenza del management6. Secondo Bebchuk i benefici derivanti dal coinvolgimento degli azionisti in questo tipo di decisioni possono essere pienamente realizzati solo se agli stessi azionisti sia consentito di promuovere modifiche allo statuto e ai progetti di re-incorporation7. II. Specific Business Decisions, a loro volta distinguibili in due sottocategorie: • Game-Ending Decisions: sono le decisioni di fusione, vendita di asset rilevati e/o di scioglimento regolate dal Codice del Delaware e dal MBCA8, che richiedono l’approvazione della maggioranza delle azioni. Per queste decisioni gli azionisti hanno solo un potere di veto ma non possono promuovere autonomamente il voto sulle relative proposte9, in quanto tale facoltà è riservata al board, che solo può proporre di votare una proposta presentata dagli azionisti10. • Scaling-Down Decisions: le decisioni di distribuzione di utili e attività sono ancora una volta di competenza del management 11, cui è riservata la facoltà di determinare tali distribuzioni, sia in denaro sia in natura12, senza il consenso degli azionisti. A differenza delle Game-Ending Decisions, in questo caso non è previsto per gli azionisti neppure il potere di veto13. Anche se gli azionisti hanno il potere di veto sulle modifiche dell’atto costitutivo e sui trasferimenti di sede legale proposti dal management ciò non significa – secondo Bebchuk – che essi possano effettivamente cambiare le regole del gioco. Il potere di veto è utilizzato dagli azionisti per prevenire cambiamenti ritenuti peggiorativi della loro condizione rispetto allo status quo: si tratta dunque di un potere negativo, che non fornisce la possibilità di un risultato che massimizzi lo shareholder value14. 6 Bebchuk L., cit., pag. 844-845. Bebchuk L., cit., pag. 846. 8 Delaware Cod. titolo 8 §251(c) (fusione e consolidazione); §271(a)(vendita di asset); §275(b) (scioglimento); Mod. Bus. Corpag. Act §11.04(e) (fusione); §12.02(e) (vendita di asset); §14.02(e) (scioglimento). 9 Bebchuk L., cit., pag. 847. 10 Vedi Mod. Bus. Corpag. Act §11.04 (a) “Il piano di fusione o scambio di azioni deve essere adottato dal consiglio di amministrazione”. 11 Mod. Bus. Corpag. Act §6.40. 12 Ad esempio in azioni di una controllata nel caso di uno spin-off. 13 Bebchuk L., cit., pag. 847. 14 Bebchuk L., cit., pag. 862. 7 11 Secondo Bebchuck agli azionisti si dovrebbe invece garantire la possibilità di portare effettivamente in delibera decisioni del primo tipo (Rules-of-the-Game Decisions) e quindi di cambiare lo statuto nonché la sede legale della società.15 Il controllo del management sulle modifiche dell’atto costitutivo e sul trasferimento della sede sociale ne pregiudica la possibilità di adozione se ritenute dal board peggiorative delle sue prerogative e benefici, sicché modifiche che pur aumenterebbero lo shareholder value potrebbero non essere adottate per la semplice opposizione del management16. Secondo Bebchuk, dunque, aumentare le prerogative per gli azionisti migliora la corporate governance in generale, riduce i “costi d’agenzia” 17 e produce benefici: questi ultimi derivano soprattutto dal fatto di porre dei limiti e delle linee guida al management e alla sua azione, in modo tale da frenare le non sempre positive tendenze che si sviluppano naturalmente all’interno dei consigli di amministrazione.18 2.2. La critica. La tesi favorevole alla centralità dell’organo amministrativo In un noto suo paper 19 , Bainbridge critica duramente le tesi e le idee di Bebchuk, con una serie di argomentazioni opposte. Il primo punto di critica del professore polacco da parte del professore di Harvard poggia sulla ritenuta prevalente antistoricità delle sue argomentazioni. Bainbridge ricorda che secondo il General Corporation Code del Delaware “L’impresa e le altre attività devono essere condotte dai manager e dal consiglio di amministrazione”20 e, secondo il professore americano, quello del Delaware è il modello di riferimento per la corporate governance, dotato della autorevolezza comprovata dal suo successo nella pratica societaria statunitense. Le argomentazioni sostenute da Bebchuk per superare quel modello – e la connessa dottrina societaria del Delaware – 15 e cercare di Bebchuk L., cit., pag. 865. Bebchuk L., cit., pag. 865. 17 Per i costi d’agenzia s’intendono soprattutto i costi di sorveglianza e di incentivazione necessari per orientare il comportamento dell’agente (management). 18 Bebchuk L., cit., pag. 913. 19 Bainbridge S. “Bebchuk’s “ The Case for Increasing Shareholder Power”: an Opposition”, Harvard Law School, pag. 2 e ss. 20 Delaware Code, titolo 8 §141(a). 16 12 affermare il primato di una sorta di democrazia degli azionisti sono ritenute poco persuasive21. In un secondo luogo, Bainbridge critica le tesi di Bebchuk che denuncerebbero – a suo dire – una visione distorta degli amministratori, quasi che essi non tengano conto degli interessi degli azionisti e che ogni loro azione sia mirata esclusivamente ad accrescere il proprio beneficio privato a scapito di questi ultimi22. Al contrario, Bainbridge ritiene che, nella realtà pratica, i manager siano ben consapevoli dei loro doveri verso gli azionisti, incluse le loro legittime aspettative in tema di shareholder value, tanto da arrivare ad osservare che “Nessuno che sia mai stato in un consiglio di amministrazione di una delle maggiori società quotate statunitensi può affermare che i manager non siano concentrati sugli interessi degli azionisti”23. Baninbridge non condivide e ritiene immotivate le preoccupazioni di Bebchuk per i c.d. “costi d’agenzia” e ritiene che, normalmente, chi viene nominato al ruolo di management abbia conseguito successi lavorativi e possegga requisiti di rispettabilità tali da garantire di svolgere il proprio compito in maniera diligente e nel rispetto dei suoi doveri anche nei confronti degli azionisti24. Da ultimo Bainbridge fa notare che come i manager possono perseguire obiettivi privati, così anche gli azionisti possono essere mossi dalla ricerca della massimizzazione del proprio interesse personale, che non coincide necessariamente e aprioristicamente con l’interesse sociale, inteso come interesse collettivo della moltitudine degli azionisti e della società in generale25. 3. I limiti del modello statunitense Le criticità maggiori per gli azionisti nel sistema societario statunitense sono riconducibili ad alcune caratteristiche peculiari del modello stesso. Infatti, la maggior parte delle società quotate negli Stati Uniti è caratterizzata dalla separazione tra proprietà e controllo: gli azionisti, che sono i veri proprietari della società, non hanno effettivamente alcun potere, né sulle decisioni di 21 22 23 24 25 Bainbridge Bainbridge Bainbridge Bainbridge Bainbridge S.M., S.M., S.M., S.M., S.M., cit., cit., cit., cit., cit., pag. pag. pag. pag. pag. 2-3. 4. 4. 5. 6. 13 gestione ordinaria, né sulle politiche strategiche di più ampio respiro 26 . Entrambe le decisioni sono di pertinenza del management, che, di fatto, le controlla. Il modello standard di corporate governance è quello in cui il board agisce, mentre gli azionisti, al massimo reagiscono27. Le principali problematiche di governo societario che si presentano nell’ordinamento statunitense sono le seguenti: I. gli azionisti non possono presentare direttamente proposte di modifica dello statuto della società; tali modifiche devono essere approvate dal board28; II. utilizzo ancora diffuso del sistema di elezione del board sulla base del c.d. “plurality voting”: viene eletto amministratore il candidato che riceve il numero più alto di voti, qualunque esso sia: senza, dunque, che sia necessaria una elezione a maggioranza. In più, si deve considerare che l’unico modo che gli azionisti hanno per esprimere il loro dissenso rispetto ai candidati è l’astensione dal voto o il voto per un candidato diverso, non essendo ammessa la votazione contro i candidati. La situazione è peraltro in evoluzione: in accoglimento di pressioni di mercato, soprattutto da parte degli investitori istituzionali, a partire dal 2006 è stata modificata la legge societaria del Delaware, con l’introduzione per la nomina al board del c.d. “majority voting”29. Nel 2010 due terzi delle società incluse nell’indice S&P 500 avevano adottato il voto a maggioranza30. Nonostante questo, rimane comunque difficile per la moltitudine di azionisti che detengono una partecipazione relativamente piccola identificare i candidati e coordinarsi per far convergere i loro voti su di essi31; III. a differenza di quanto avviene nelle società europee, la possibilità di richiedere agli amministratori la convocazione di un’assemblea non è prevista, salvo che non siano presenti disposizioni specifiche nello statuto della società; 26 Bainbridge S.M., “Corporate Law”, Foundation Press, 2009, pag. 74 Bainbridge S.M., ult. cit., pag. 74 28 Croci E., cit., pag. 29 29 Croci E., cit., pag. 29. 30 Fairfax L.M., “Mandating Board-Shareholder Engagement?”, Un. of Illinois Law Review, 2013, p .826. 31 Ventoruzzo M., “Empowering Shareholders in Directors’ Elections: A Revolution in the Making”, ECFR, 2011, pag. 108. 27 14 IV. la rimozione dei consiglieri è particolarmente difficile nei c.d. “staggered boards”. Questi consigli di amministrazione sono particolari perché composti da amministratori che ricevono mandati di durata differente32, con il risultato che non tutto il board viene rinnovato nello stesso momento e divenendo così difficoltoso l’ottenimento di una rapida sostituzione della maggioranza dei suoi componenti33; V. a determinate condizioni e con una serie di eccezioni, gli azionisti possono avanzare proposte di delibera da votare in assemblea. Questa possibilità è regolata dalla Rule 14(a)-8 della SEC, che prevede che ogni azionista che, per un periodo di almeno un anno, abbia detenuto azioni per un controvalore di almeno $2.000, possa includere una e una sola proposta nel materiale distribuito dalla società per l’assemblea annuale (c.d. proxy materials). Solitamente la proposta richiede voto a favore o contro uno specifico argomento, e deve essere presentata almeno 120 giorni prima che il materiale sia spedito a tutti gli azionisti. Va tuttavia rilevato che, anche se la proposta ottiene la maggioranza, essa non è vincolante per il consiglio di amministrazione, il quale può ignorarla legittimamente. Le proposte degli azionisti hanno, infatti, valenza di mera raccomandazione non vincolante (c.d. “precatory recommendations”). Inoltre, secondo la disciplina della SEC, alcune di queste proposte possono essere ritenute improprie34, e possono dunque essere escluse dalla votazione; le società – tramite soprattutto il proprio management - possono chiedere alla SEC di escluderne alcune se 32 Alle società statunitensi è permesso di adottare questo modello di board tramite statuto. Secondo il modello, il board può essere diviso in due o tre classi di mandato, a seconda che il mandato sia rispettivamente di due o tre anni. Se il board è diviso in due classi di amministratori, solo metà di essi sono soggetti a rielezione, mentre se sono presenti tre classi solo un terzo del board è annualmente soggetto a scadenza del mandato. 33 A differenza di diversi ordinamenti europei – tra cui anche l’italiano - l’utilizzo di clausole c.d. “simul stabunt, simul cadent” non risulta diffuso nel sistema societario statunitense. 34 La Rule 14(a)-8 determina i seguenti casi in cui le proposte possono essere ritenute improprie: - se violano la legge statale; - se violano la legge federale; - se violano delle proxy rules; - se vi è un reclamo personale o un interesse personale; - se sono di argomento rilevante; - se sono presentate nonostante l’assenza di potere/ autorità; - se fanno riferimento a funzioni spettanti al management o all’elezioni del board; - se sono in conflitto con le proposte della società; - se sono sostanzialmente già state implementate; - se rappresentano duplicati o riproposizioni di proposte già presentate. 15 violano determinate condizioni. Risulta dunque molto facile l’esclusione. La legislazione statunitense appare, dunque, sbilanciata a favore del management, a discapito degli azionisti, i quali hanno pochi strumenti per poter difendere efficacemente, sul piano civilistico-societario, i propri interessi: ciò ha portato ad una continua ricerca ed elaborazione da parte degli azionisti della disponibilità di strumenti di maggior influenza e potere all’interno dell’assemblea. 4. L’intensificazione del rapporto tra management e azionisti Negli anni più recenti gli investitori istituzionali hanno iniziato ad acquisire crescente autorità in merito alle elezioni degli amministratori e a materie di governance, mostrando propensione a usare le loro prerogative in maniera più attiva; è cresciuta la domanda di una sempre maggiore comunicazione con la società in generale 35 e di una maggior interazione con il consiglio di amministrazione in particolare. Questo potrebbe, in effetti, aiutare a limare le frizioni tra azionisti e management, facendo sentire i primi una parte importante della società e non solo un elemento secondario ed accrescendo anche il senso di accountability del management verso i medesimi. 4.1. I potenziali benefici I potenziali vantaggi offerti da una maggiore partecipazione degli azionisti alla vita sociale sembrano di gran lunga superare gli svantaggi. I primi sono riassunti nello studio di Lisa M. Fairfax dell’Università di Illinois36. Una miglior comprensione delle istanze degli azionisti permette alla società (e per essa agli amministratori) di considerare ed eventualmente di tener conto di tali istanze all’interno delle politiche di gestione, in modo tale da essere meglio preparata a rispondere in maniera adeguata alle loro esigenze. Un forte impegno attivo degli azionisti accresce, del resto, la capacità della 35 36 Fairfax L.M., cit., pag. 821. Fairfax L.M., cit., pag. 821 e ss. 16 società di “educare” la propria base degli stessi azionisti, nel senso che è data così la possibilità al board di illustrare le politiche societarie adottate, le motivazioni considerate e le prospettive valutate, riducendo il rischio di incomprensioni tra management e azionariato37. Un più stretto rapporto tra azionisti e board permette di costruire un più solido supporto da parte degli azionisti alle politiche del board e rendere più sicuri gli amministratori, che così non devono temere immotivatamente per la loro carica e le loro funzioni gestionali. Possono inoltre venirsi a creare alleanze tra management e shareholders che aiutano a evitare takeover ostili, oppure combattere chi minaccia la società o la sua attività38. Da ultimo la società risulta più coesa e compatta sulle decisioni future e meglio preparata a rispondere ai potenziali problemi, riducendosi anche la conflittualità interna tra azionisti e board ed i costi relativamente connessi, non solo in termini puramente monetari diretti ma anche di focalizzazione e di risorse dedicate. 4.2. Le “vittorie” dell’attivismo degli azionisti Tutte le conquiste ottenute dagli azionisti sono ascrivibili a battaglie condotte per guadagnare maggior influenza, in modo tale da avere un ruolo più importante. Tra le prime vittorie vi è sicuramente la possibilità di utilizzare il sistema del “majority voting” in luogo del “plurality voting”; quest’ultimo infatti penalizza gli azionisti rendendo il loro potere di voto scarsamente significativo39. Ancora, nel 2009 il NYSE (New York Stock Exchange) ha abolito la facoltà dei broker di votare (in assenza d’istruzioni al riguardo) su determinate materie in modo discrezionale per conto della clientela. In generale, la maggior parte degli azionisti detiene le proprie azioni attraverso un broker in “street name”, cioè le azioni sono registrate a nome del broker stesso.40 Ciò implica che la 37 Fairfax L.M., cit., pag. 833. Fairfax L.M., cit., pag. 833. 39 Ventoruzzo M., cit., pag.109. 40 Yermack D.,“Shareholder Voting and Corporate Governance”, 2010, Forthcoming, Annual Review of Financial Economics, pag. 6. 38 17 società non conosce il nome dell’azionista, ma solo la percentuale delle azioni complessivamente detenuta da un broker41, e riceve l’esercizio del voto da parte dell’intestatario formale delle azioni. Prima della suddetta abolizione, i broker - se non ricevevano istruzioni di voto entro i dieci giorni precedenti all’assemblea e se le materie su cui votare erano di “routine”, cioè se i voti non erano su questioni che potessero cambiare i diritti e i privilegi assegnati alle azioni - potevano votare discrezionalmente.42 Statisticamente i broker hanno sempre per lo più votato a favore delle proposte formulate dal management, dunque i loro voti sono andati spesso nella direzione di favorire il board43. Alcuni attenti studi hanno messo in luce che, in alcune occasioni, se il voto discrezionale non fosse stato consentito, i risultati delle votazioni sarebbero stati rovesciati a favore di proposte degli azionisti44. Come già osservato45, generalmente i consigli di amministrazione delle listed companies americane sono a scadenza “scaglionata” (“staggered”), cioè gli amministratori ricevono mandati di durata differente: ciò ne rende molto complessa la rimozione. Per anni gli azionisti attivisti hanno combattuto questa caratteristica, ma solo recentemente i loro sforzi si sono dimostrati produttivi di effetti; “declassificare” il board permette, infatti, di sostituire anche la totalità degli amministratori in un solo “ciclo”, e ciò rafforza il potere degli azionisti stessi sul consiglio di amministrazione46. Altra vittoria molto importante riguarda la c.d. “proxy access rule”. In generale, negli Stati Uniti d’America, gli amministratori delle società quotate sono eletti mediante adesione alle sollecitazione di deleghe di voto (“proxy voting”); i nomi dei candidati individuati dal board sono indicati nei c.d. “proxy materials”, i quali sono messi a disposizione, generalmente per via elettronica, agli azionisti sollecitati all’adesione della raccolta di deleghe, i quali possiedono generalmente un voto per ogni azione posseduta. Con il termine “proxy access” ci si riferisce di norma alla possibilità data agli 41 42 43 44 45 46 Croci E., cit., pag. 32. Yermack D., cit., pag. 8. Croci E., cit., pag. 32. Fairfax L.M., cit., pag. 827. Vedi supra, capitolo 3, paragrafo IV, pag. 12. Fairfax L.M., cit., pag.828. 18 azionisti di far includere un loro candidato tra tutti gli altri, e di avere in tal modo accesso alle sollecitazioni di deleghe promosse dall’emittente. Nell’agosto del 2010, dopo forti pressioni, la SEC ha approvato la Rule 14(a)11, che mette a disposizione due vie alternative per la gestione del “proxy access”. La prima possibilità prevede l’introduzione del diritto di porre un candidato di propria scelta all’interno del c.d. “proxy statement”, documento contenente informazioni importanti sui candidati47, fornito agli aventi diritto al voto: tale diritto è riservato a coloro che hanno detenuto per almeno 3 anni il 3% delle azioni della società48. Come alternativa, la Rule in questione prevede la possibilità per gli azionisti di poter avanzare proposte di modifica dello statuto concernenti l’adozione su base statutaria di forme di “proxy access”49. Nel 2011, tuttavia, la D.C. Circuit (cioè la Corte di Appello Federale), spesso intervenuta anche in passato annullando o mettendo in discussione i provvedimenti della SEC, ha annullato le disposizioni relative alla prima possibilità sopra illustrata50, mentre, fortunatamente per gli azionisti, non è intervenuta sulla possibilità di avanzare proposte di modifiche allo statuto51. I dati più recenti su questa problematica mostrano come gli azionisti abbiano tratto grande vantaggio da questo sistema di “proxy access proposals”52, e come esso sia in generale uno strumento di vitale importanza per influenzare gli esiti delle deliberazioni e le prassi delle società. Infine, sempre nel 2010, con il c.d. Dodd-Frank Act53, il Congresso ha imposto l’introduzione del meccanismo del c.d. “say on pay”, prevedendo l’obbligo, nelle società quotate, di sottoporre periodicamente a voto assembleare consultivo le politiche di remunerazione, soprattutto degli amministratori esecutivi, introducendo una maggior forma di controllo, oltre che di trasparenza, sull’entità e sulle forme di retribuzione54. 47 L’elezione di un amministratore o candidati fino al 25% del board. Fisch E. J., (2012) “The Destructive Ambiguity of Federal Proxy Access” Emory Law Journal, 2012, pag. 447. 49 Fairfax L.M., cit. pag. 828. 50 Fisch E.J., cit., pag. 452. 51 Fairfax L.M., cit., pag.828. 52 Fairfax L.M., cit., pag.829. 53 Si tratta di un complesso intervento voluto dall’Amministrazione Obama per regolare in maniera più stretta e completa la finanza, incentivando al tempo stesso la tutela dei consumatori e dell’economia in generale. 54 Fairfax L.M., cit., pag. 829-30. 48 19 4.3. Le possibili problematiche Sebbene dal punto di vista degli azionisti un legame più stretto con le società non presenti particolari svantaggi, se non considerando i costi che si devono sostenere per l’esercizio delle prerogative loro riconosciute, dal punto di vista del board sono state sollevate diverse obiezioni e problematiche su cui è utile riflettere. La prima di esse è di carattere pratico: i manager, infatti, potrebbero non avere sufficiente tempo e risorse per dedicarsi in maniera adeguata ed efficiente al dialogo con gli azionisti55. Si calcola, infatti, che creare e coltivare un legame stretto può richiedere un lasso di tempo che varia da una settimana a un mese56, e non sempre è opportuno imporre ulteriori oneri a carico degli amministratori. D’altra parte, è stato anche osservato che un adeguato legame managementazionisti, riducendo la conflittualità interna, può al contrario determinare risparmi di tempo e risorse. Alcuni commentatori, in merito al tema del “dialogo”, sostengono anche l’importanza dell’esistenza di una voce unificata e non frammentata, espressione di un impegno condiviso verso gli obiettivi societari nonché di solidità interna57. Altri, invece, sostengono che in realtà gli azionisti attivi non abbiano sempre un vero e proprio interesse verso una condivisione d’idee con la società, mentre spesso siano intenzionati ad usare le prerogative degli azionisti per interessi puramente personali. Alcuni studi hanno messo in luce come diversa sia, per il management e per gli azionisti, la percezione di cosa costituisca realmente una collaborazione di successo e questa differenza di percezione, talvolta anche significativa, può portare a risultati negativi 58 : una relazione di dialogo insoddisfacente può aumentare il malcontento tra gli shareholders, in particolare verso i manager, 55 Fairfax L.M., cit., pag. 838. Fairfax L.M., cit., pag. 838. 57 Fairfax L.M., cit., pag. 839-40. 58 Gli azionisti possono divenire “frustrati” se il dialogo non si muove oltre quello che è il semplice parlare, mentre il board può vedere il dialogo stesso solo come un successo, senza la necessità di prendere decisioni pratiche. 56 20 e può anche portare a strumentalizzazioni soprattutto quando gli azionisti stessi siano maggiormente interessati allo sfruttamento delle loro prerogative per perseguire propri interessi personali59. 4.4. I nuovi strumenti in materia di governo societario Nell’ordinamento giuridico americano le forme tradizionali di comunicazione tra azionisti e società sono: (i) l’assemblea annuale, (ii) il “proxy statement” nell’ambito di una “proxy solicitation”, e (iii) il processo di “shareholder proposal”. Tali istituti, di per sé soli, sembrano però inadatti, o almeno non totalmente soddisfacenti, per creare quella relazione di dialogo virtuoso cui si è accennato sopra60. Recentemente si sono dunque sviluppati o sono stati proposti alcuni strumenti alternativi per tentare di ovviare al problema. Il primo di questi è la c.d. “Fifth Analyst Call”, cioè una teleconferenza tra gli azionisti e la società che si concentra esclusivamente su problemi di corporate governance. Secondo il lavoro di Krajeski, questa teleconferenza - della durata approssimativa di 60-90 minuti - dovrebbe utilizzare i diritti e le responsabilità fornite dal Dodd-Frank Act per incoraggiare il buon governo societario, aiutare gli investitori a comprendere le strategie societarie, promuovere il dialogo sui “proxy statement” ed essere utilizzata come piattaforma comune per risolvere determinate problematiche61. Vi è poi la possibilità di organizzare incontri tra gli amministratori della società e gli azionisti al di fuori dell’assemblea annuale: da un lato, questi incontri migliorano la qualità della comunicazione e rafforzano i rapporti reciproci, dall’altro, però, rappresentano un nuovo costo e perdono la loro utilità se diventano meccanici e seguono un copione già predefinito62. Altri autori hanno invece proposto cambiamenti strutturali come, per esempio, la creazione di una funzione vicina al board che si occupi esclusivamente del 59 Fairfax L.M., cit., pag. 838. Fairfax L.M., cit., pag. 843. 61 Krajeski A., “Request for Investor Dialogue: Fifth Analyst Call on Corporate Governance and the Proxy Statement”, 2010, disponibile presso http://www.shareholderforum.com/e-mtg/Library/20101201_FifthAnalyst.pdf, pag. 1 e ss. 62 Fairfax L.M., cit., pag. 851. 60 21 rapporto con gli azionisti. Certamente la sua utilità sarebbe apprezzabile per la focalizzazione del dialogo tra società e azionisti, senza dispersione di energie e risorse invece da mantenere focalizzate sulla gestione imprenditoriale63. Questi ulteriori incontri hanno tuttavia posto la questione della loro natura, cioè se essi debbano essere considerati incontri pubblici (ufficiali) o privati: da una parte la natura privata permetterebbe una comunicazione più veloce, spigliata e costruttiva, ma potrebbe sorgere un problema di trasparenza con il mercato che a tali incontri non parteciperebbe, dall’altra, più persone vi partecipano – quindi più se ne accentua il carattere pubblico o ufficiale - meno proficui essi rischiano di diventare64. Nel complesso, l’opinione maggioritaria ritiene che i costi e i rischi di un rapporto stretto tra consiglio di amministrazione e azionisti siano stati in larga parte sovrastimati, e comunque i benefici da esso derivanti dovrebbero essere maggiori rispetto a tali costi e rischi.65. 5. L’evoluzione del ruolo degli amministratori indipendenti Lo strumento forse più forte di cui gli azionisti delle società quotate americane dispongono per fare sentire la propria voce all’interno della società, è la presenza di amministratori indipendenti nel consiglio d’amministrazione66. La definizione italiana migliore di amministratore indipendente, simile a quella statunitense67, è data dal Codice di Autodisciplina delle società quotate (art. 3): si definisce amministratore indipendente chi non intrattiene né ha di recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti legati all’emittente, relazioni tali da condizionarne nel presente l’autonomia di giudizio. Ad oggi il New York Stock Exchange68 rende obbligatoria per le società quotate la composizione del board a maggioranza di amministratori indipendenti, a 63 Fairfax L.M., cit., pag. 852. Fairfax L.M., cit., pag. 852. 65 Fairfax L.M., cit., pag. 856. 66 Ventoruzzo M., cit., pag. 108-109. 67 Una delle definizioni fornite dalla NYSE è” nessun amministratore può essere qualificato come 'indipendente' a meno che il consiglio di amministrazione determina affermativamente che egli non ha 'alcuna relazione materiale' con la società quotata, né direttamente né come socio, azionista o funzionario di un'organizzazione che ha un rapporto con la società” 68 Nel novembre del 2003 la SEC approva tutta una serie di norme specifiche per le società quotate riguardo agli amministratori indipendenti, proposte dal Nasdaq e NYSE (sezione 3 del NYSE Manual). 64 22 meno che un azionista non detenga oltre il 50% delle azioni totali. La presenza di manager indipendenti garantisce la ricerca della massimizzazione del shareholder value, e interviene su due problematiche69. In primo luogo gli amministratori indipendenti rappresentano uno strumento di controllo della fedeltà degli altri amministratori verso gli obiettivi degli azionisti, evitando che i primi perseguano solo i propri interessi. Inoltre, essi incrementano l’affidabilità delle comunicazioni fornite dalla società al mercato, contribuendo così a fare dei prezzi delle azioni un strumento maggiormente credibile per l’allocazione degli investimenti e una misura migliore della performance dell’azienda70. Negli Stati Uniti, nell’ultimo mezzo secolo si è verificato un cambiamento importante nella composizione del board, con una sempre minor presenza di manager affiliati alla società, come mostrato nella tabella seguente71. Nonostante ciò, gli amministratori indipendenti non hanno sempre avuto il ruolo che ricoprono oggi; esso è cambiato con gli anni assumendo caratteristiche anche particolari. 5.1. Verso l’affermazione della figura degli amministratori indipendenti Gli anni ‘50 furono gli anni del “managerialismo” nei sistemi di governo 69 Gordon J.N., “The Rise of Independent Directors in the United States, 1950-2005: of Shareholder Value and Market Prices”, 2007, pag. 1469. 70 Gordon J.N., cit., pag. 1469. 71 La tabella che utilizza dati di Lehn ed altri; il cambiamento percentuale è calcolato da Gordon J.N. stesso. 23 societario statunitense: la figura dominante era quella del CEO (Chief Executive Officer), il quale nominava il board e lo utilizzava in realtà solo come uno strumento passivo di consultazione. Le politiche societarie erano decise esclusivamente dal CEO e le sue decisioni erano difficilmente contestabili72. Oltre alla ricerca del profitto societario, le altre due caratteristiche delle società erano il tentato bilanciamento tra gli obiettivi degli azionisti e la centralità del management come pianificatore. In questo periodo si parla dunque di “advisory board” piuttosto che “monitoring board” 73 : la differenza consiste nel fatto che, nel primo, la crucialità risiede nella fiducia del CEO nel consiglio di amministrazione, nel secondo, le posizioni sono invece invertite74. Di seguito, negli anni ‘70 ci furono due scandali che contribuirono a cambiare la concezione di corporate governance e a virare più verso un modello di “monitoring board”: il collasso della Penn Central Railroad 75 e lo scandalo Watergate76. Partendo da questi elementi si riesce a capire cosa spinse le varie riforme degli anni ’70: come già detto il modello di board prevalente divenne rapidamente quello di “monitoring” e si iniziarono a creare i primi comitati di controllo interni al consiglio di amministrazione77. Nel 1976 la SEC richiese al NYSE di correggere i requisiti di listing per le società quotate, introducendo la presenza di un comitato di controllo, formato da amministratori indipendenti, che avesse accesso anche alle informazioni di bilancio78. Gli anni ‘80 furono cruciali per l’interconnessione tra la presenza di amministratori indipendenti e l’obiettivo della crescita di valore per gli azionisti (“shareholder value”), che in tali anni si affermò quale teoria dominante per il successo della società. Questo decennio è anche conosciuto con nome di “Deal Decade”, poiché 72 Gordon J.N., cit., pag. 1511. Gordon J.N., cit., pag. 1511. 74 Gordon J.N., cit., , pag. 1511. Questa concezione managerialista derivava anche da idee politiche che si erano sviluppate negli Stati Uniti a seguito della seconda guerra mondiale e la contrapposizione al Comunismo. Il management s’identificava nella contesa ideologica contro quest’ultimo riguardo il sistema produttivo (Gordon J.N., cit., pag. 1511), ed anzi, in generale, era considerata poco etica l’attività dei manager che agivano solo nell’interesse degli azionisti tralasciando quello degli impiegati e dei consumatori. (Baumhart R.C., “How Ethical are Businessmen?” 1961, Harvard Business Review pag. 9-10). 75 La bancarotta della Penn Central Railroad può essere paragonata al più recente caso Enron; la società infatti era considerata una delle più promettenti e redditizie blue chip, e il suo collasso fu uno shock per il mercato. 76 Lo scandalo dei pagamenti illeciti nella vicenda Watergate fece invece risaltare all’opinione pubblica quanto poco i board potessero sapere delle politiche di bilancio societarie. 77 Gordon J.N., cit., pag. 1518. 78 Gordon J.N., cit., pag. 1519. 73 24 sebbene le “scalate amichevoli” siano state numericamente superiori alle offerte pubbliche di acquisto ostili, queste ultime furono la vera minaccia concreta di quel periodo79. Gli anni ‘80 furono anche gli anni in cui gli investitori istituzionali iniziarono a investire massicciamente nelle società quotate, arrivando a detenere quote anche del 40% dell’intero mercato azionario. Gli amministratori indipendenti acquisirono importanza, anche agli occhi del management, perché rappresentavano la miglior difesa possibile contro acquisizioni ostili80: i manager indipendenti, infatti, erano chiamati a valutare l’offerta in maniera imparziale, decidendo se essa fosse conforme al valore intrinseco della società81. In questa prospettiva il ruolo degli amministratori indipendenti divenne cruciale per preservare l’autonomia del management dal controllo esterno del mercato; il management stesso incoraggiava anzi la presenza al suo interno di soggetti indipendenti82. Anche il ruolo del CEO negli ultimi anni del ventesimo secolo subì cambiamenti importanti: in particolare, si alzarono in maniera spropositata i compensi e diminuì di molto la durata del mandato. La ricerca della massimizzazione dello “shareholder value” fu riconosciuta come scopo ultimo societario e, in questa maniera, il valore per gli azionisti divenne la principale linea guida per l’articolazione degli strumenti di corporate governance83. Rispetto alle idee degli anni ‘50, a mutare fu peraltro anche la concezione del mercato: se prima si riteneva che fosse l’azienda a creare e a controllare il mercato, negli anni ‘90 si tende invece a riconoscere nei segnali provenienti dal mercato un’importante indice di orientamento della gestione sociale84. Negli anni 2000 i disastri di Enron, WorldCom e altri mostrarono la debolezza del sistema che si era venuto ad affermare negli anni ’90 e s’iniziò a cercare nuovi ruoli per gli amministratori indipendenti e nuovi standard per definire 79 Si calcola, infatti che un quarto delle maggiori società statunitensi furono oggetto di offerte non gradite e spesso molte scalate amichevoli si svolsero con alle spalle la possibile minaccia di un takeover (in molte occasioni la differenza tra scalata ostile e amichevole dipende solo dalle tempistiche nelle quali l’offerta è resa pubblica) - Mitchell L.M. & Mulherin J.H., “The Impact of Industry Shocks on Takeover and Restructuring Activity”, 1996, J. Fin. Econ, pag. 193. 80 Gordon J.N., cit., pag. 1522. 81 Lipton M. (1979), “Takeover Bids in the Target’s Boardroom”, 1979, Bus. Law 101, pag. 119-22. 82 Gordon J.N., cit., pag. 1526. 83 Gordon J.N., cit., pag. 1526. 84 Gordon J.N., cit., pag. 1535. 25 l’indipendenza85. Il sistema precedente si concentrava sulla negoziazione del board indipendente con i manager per determinare sia compensi sia durata del mandato, utilizzando misure relative al valore delle azioni. I board avevano, tuttavia, dato prova fallimentare nell’arginare i problemi c.d. di “moral hazard”, in particolare modo per quanto riguarda la manipolazione dei risultati finanziari86, legati a piani di compensi basati per la maggior parte su azioni. In realtà, i fallimenti e le manipolazioni mostrarono non tanto la responsabilità degli amministratori indipendenti, quanto la colpa di chi professionalmente avrebbe dovuto controllare, come le authorities, in primis, nonché revisori, consulenti, analisti e agenzie di rating87. In risposta a questi scandali, a seguito dell’approvazione del Sarbanes-Oxley Act88, il Congresso e la SEC hanno affidato il compito di riforma dei consigli di amministrazione principalmente all’autoregolamentazione, ovvero alle società di gestione delle borse.89 Il NYSE, il NASDAQ (National Association of Securities Dealers Automated Quotation) e l’AMEX (American Stock Exchange) hanno reagito correggendo i loro listing standards per le società quotate, definendo in maniera chiara la figura degli amministratori indipendenti 90 , aumentando i poteri e i doveri dei comitati di audit91, così come quelli degli amministratori indipendenti. 85 Gordon J.N., “Governance Failures of the Enron Board and the New Information Order of Sarbanes-Oxley”, 2003, Conn. L. Rev. pag. 1125. 86 Gordon J.N., cit. pag. 1536. 87 Gordon J.N., cit., pag. 1536. 88 Il Sarbanes-Oxley Act è una legge federale approvata dal governo statunitense nel 2002, in risposta ai diversi scandali finanziari di quel periodo (Enron, WorldCom, Tyco International). Questa legge mira a colmare lacune nella legislazione statunitense, al fine di migliorare la corporate governance e garantire maggior trasparenza delle scritture contabili, agendo anche in ambito penale incrementando la pena nei casi di falso in bilancio e simili. 89 Bainbridge S.M., ult. cit., pag. 80. 90 Il NYSE Listed Company Manual §303A.02 per esempio, fornisce i seguenti casi per verificare se un amministratore si possa definire indipendente o meno: (a) Nessun amministratore si qualifica come “indipendente” a meno che il consiglio di amministrazione non determina che il soggetto in questione non ha nessuna relazione materiale con il board. (b) Inoltre un amministratore non è indipendente se: (i) L’amministratore è, o è stato nei tre anni precedenti, un impiegato della società, o un parente stretto è, o è stato nei tre anni precedenti, amministratore delegato della società. (ii) L’amministratore, o un parente stretto, ha ricevuto, in un periodo che va dai dodici mesi ai tre anni precedenti, compensi diretti per più di $100.000. (iii) L’amministratore o un parente stretto è ora partner di una società che è il revisore della società quotata. (iv) L’amministratore o un parente stretto è, o è stato negli ultimi tre anni, amministratore delegato di un’altra società dove almeno uno degli amministratori delegati della stessa allo stesso tempo è, o è stato, membro del comitato dei compensi. (v) L’amministratore è impiegato, o un parente stretto è amministratore delegato , di una società che ha fatto, o ha ricevuto pagamenti per servizi dalla società quotata per somme che eccedano $1 milione o 2% del fatturato. 91 I comitati audit sono composti da amministratori indipendenti che discutono i risultati finanziari della società, senza la supervisione del management; devono quindi assicurarsi che il bilancio rappresenti in maniera chiara e veritiera la situazione finanziaria della società. 26 Oggi i board e in particolar modo i comitati di audit, hanno lo specifico compito di sorvegliare i rapporti tra società e revisori, nonché sorvegliare l’andamento finanziario e la sua comunicazione all’esterno. 6. L’attività della SEC nella disciplina societaria In merito al governo societario statunitense e alle sue caratteristiche, non si può evitare di soffermarsi sulla SEC e sul ruolo da essa svolto nella formazione della normativa in materia. Come già osservato, non esiste negli Stati Uniti una legislazione federale uniforme in materia societaria, bensì ogni Stato adotta una propria legge nazionale. Nonostante ciò, spetta alla SEC, in ragione di provvedimenti federali dalla stessa emanati in base alle previsioni del Securities Act (1933), del Securities Exchange Act (1934) e dell’Investment Company Act (1940), dettare, per la maggior tutela degli investitori e del mercato, regole e principi rilevanti anche nella materia della corporate governance. 6.1. L’evoluzione degli interventi della SEC maggiormente rilevanti La legislazione federale riguardante gli strumenti finanziari venne stabilita per la prima volta con il Securities Act del 1933, negli anni del c.d. “New Deal”. L’anno successivo venne emanato il Securities Exchange Act (SEA) per regolare la disciplina dello scambio di titoli nei mercati secondari 92 . In quest’ultimo testo normativo, in particolar modo nella Section 14, sono conferiti poteri regolamentari alla SEC in merito alla disciplina della raccolta di deleghe di voto e per assicurare un “adeguato suffragio societario”. Prima degli anni del “New Deal” la raccolta di deleghe pur essendo ampliamente diffusa, non riusciva a scalfire i processi di auto-selezione degli amministratori o la nomina da parte dei gruppi dominanti 93 . Spesso, infatti, le deleghe erano acquisite dagli azionisti senza un’adeguata informativa preliminare sugli argomenti oggetto di voto ed erano in realtà composte solo da una cartolina 92 Murphy E. M., “The Nominating Process of Corporate Boards of Directors: a Decision-Making Analysis”, 2008, Berkeley Business Law Journal, pag. 133. 93 Murphy E.M., cit., pag. 133-134. 27 sulla quale l’azionista era sollecitato ad apporre la propria firma e ritrasmetterla al mittente, così conferendo la delega. Sempre la Section 14 del SEA definiva i principi generali che sono alla base della disciplina anche delle deleghe odierne: le sollecitazioni di deleghe ancora oggi devono essere accompagnate dal c.d. “proxy statement”, che a sua volta deve essere depositato alla SEC prima di essere distribuito al pubblico94. Nel 1942 la SEC considerò l’introduzione di alcune riforme riguardanti la possibilità per gli azionisti di presentare proprie candidature per la carica di amministratore: questa riforma però non andò mai definitivamente in porto95. La proposta iniziale prevedeva che se un azionista avesse notificato al management la volontà di nominare un candidato amministratore durante l’assemblea annuale, il management stesso avrebbe dovuto includere tale candidato nella lista fornita dalla società. Cinque anni dopo la SEC, apparentemente considerando che i tempi non fossero ancora maturi per una riforma di una tale portata, chiuse la strada all’introduzione delle nuove norme96. Nel 1977 la SEC annunciò la volontà di condurre un riesame dell’impatto della c.d. “proxy rule” sulla corporate governance97. In quello stesso periodo fu pubblicato un articolo del professor Seligman98, nel quale l’autore invitava la SEC a dare la possibilità agli azionisti di nominare i propri candidati. Lo stesso Seligman dava atto dei problemi relativi alla definizione di un sistema di proxy societaria che consentisse agli shareholder di nominare dei propri candidati ma che allo stesso tempo non appesantisse il processo di elezione a causa dell’elevato numero di candidati stessi99. Prendendo spunto da queste argomentazioni, la Commissione si limitò a disciplinare le dichiarazioni informative100, ma pospose la regolamentazione su “materie più complesse” dopo la preparazione di un report in argomento più completo101. Tale report, pubblicato nel 1980, suggerì ulteriori studi approfonditi prima di 94 Murphy E.M., cit., pag. 135. Murphy E.M., cit., pag. 136. 96 Murphy E.M., cit., pag. 136. 97 Re-examination of Proxy Rules, Exchange Act Release No. 13,428, Fed. Sec. L. Repag., 1977. 98 Seligman J. , “The Securities and Exchange Commission and Corporate Democracy”, 1978, Univ. Dayton Law Review, pag. 9-10. 99 Murphy E.M., cit., pag. 135. 100 Proxy Amendments, Exchange Act Release No. 15 384, Fed. Sec. L. Repag., 1978. 101 Murphy E.M., cit. pag. 135. 95 28 qualunque altra iniziativa concreta. Nello stesso anno però, con l’avvento dell’amministrazione repubblicana, l’attività della SEC in questa materia si arrestò102. A seguito degli scandali finanziari che hanno visto coinvolte Enron e altre società nei primi anni duemila, la Commissione intraprese la revisione delle proxy rules sull’elezione degli amministratori. A esito del processo di consultazione avviato, la divisione di Corporate Finance della SEC propose una norma piuttosto complessa, chiamata Rule 14(a)-11, sulla base della quale il diritto di accesso ai “proxy materials” societari sarebbe stato garantito agli azionisti solo a seguito del verificarsi di uno dei “triggering events103” espressamente previsti104. Questa proposta di modifica fu di grande impatto e suscitò molte critiche. In particolare Business Roundtable 105 dichiarò che il consiglio di amministrazione “deve funzionare come una squadra, in un clima di fiducia reciproca, affinché sia efficace”106. Temeva, infatti, che l’elezione di candidati voluti dagli azionisti avrebbe influito sulle dinamiche del board, impedendo allo stesso di funzionare a dovere. A seguito delle preoccupazioni espresse dalla comunità, la SEC non attuò mai la versione Rule 14(a)-11 del 2003. Nell’agosto del 2009 divennero peraltro efficaci gli emendamenti alla legge del Delaware, precedentemente approvati dal Governatore dello Stato nell’aprile del medesimo anno. Secondo le modifiche del Titolo 8, la nuova Sezione 112 del Codice del Delaware consente alle società la possibilità di adottare disposizioni statutarie per garantire agli azionisti accesso al “corporate proxy statement”, in modo tale da nominare candidati amministratori di propria scelta107. A seguito di questo cambiamento normativo, nel giugno del 2009 la SEC 102 Murphy E.M., cit., pag. 135. Gli “eventi scatenanti” previsti erano 2: -­‐ se nella votazione su un candidato del management nella precedente assemblea annuale si registrava un’astensione maggiore del 35%. -­‐ se una proposta promossa da un gruppo azionario con più del 1% dei voti totali che prevedeva che la società fosse soggetta alla nuova rule 14(a)-11 riceveva più del 50% all’assemblea degli azionisti. 104 Murphy E.M., cit., pag. 141. 105 É un gruppo di CEO (generalmente di stampo conservativo) provenienti dalla maggiori società americane. 106 Murphy E.M., cit., pag. 142. 107 An Act to Amend Title 8 of the Delaware Code Relating to the General Corporation Law, H.R. 145th Gen. Assemb., Reg. Sess. (Del. 2009). 103 29 propose una nuova versione della Rule 14(a)-11108, nonché di correggere la Rule 14(a)-8(i)(8) per fare sì che le società potessero includere nei loro “proxy statement” indicazioni sulle procedure di nomina, a condizione che le stesse non fossero in conflitto con la nuova Rule 14(a)-11109. Nel 2010 la SEC ha approvato sia la Rule 14(a)-11 sia la correzione della Rule 14(a)-8(i)(8) 110 . La prima era molto simile a quella proposta l’anno precedente: i cambiamenti riguardarono principalmente la percentuale di azioni necessaria e il c.d. holding period111. Nell’ottobre del 2010 Business Roundtable e la Camera di Commercio degli Stati Uniti contestarono tuttavia la legittimità della Rule appena approvata112, in quanto ritenuta arbitraria e in violazione dell’Administrative Procedure Act (APA)113; si imputava inoltre alla SEC di avere fallito nell’analisi sull’impatto della Rule 14(a)-11 in tema di “efficiency, competition and capital formation”, come richiesto dal Securities Exchange Act del 1934114. Alla fine il D.C. Circuit (Corte di Appello Federale), annullò la Rule 14(a)-11, riconoscendo la fondatezza delle argomentazioni di Business Roundtable115, ed in particolare la mancata considerazione da parte della SEC degli impatti della Rule. Sin dalla crisi economica del 2008 la Securities Exchange Commission è stata oggetto di forti critiche e di numerosi attacchi per incompetenza, inaffidabilità e incapacità di formulare regole adeguate 116 . L’inefficacia della stessa azione della SEC a tutela delle norme da essa proposte e le conseguenti abrogazioni di tali norme proposte hanno minato in certa misura l’autorevolezza e l’efficacia del processo di regolamentazione condotto dalla SEC determinando una falla nel processo di formazione di regole condivise anche a seguito del confronto con gli operatori del mercato e di metodi analitici costi/benefici che possano 108 Fairfax L.M., “Delaware’s New Proxy Access: Much Ado About Nothing?” , 2009,Tennessee Jour. of Bus. Law pag. 95. 109 Fairfax L.M., ult. cit., pag. 96. 110 Fisch E.J., cit., pag. 447. 111 Si è passati da una percentuale necessaria dell’1%-5% (a seconda della dimensione della società) e holding period di un anno, ad una percentuale del 3% con holding period di 3 anni. 112 Fisch E.J., The Destructive, pag. 451. 113 Atto che determina le regole entro le quali le agenzie amministrative del governo possono proporre e stabilire regole. 114 Fisch E.J., “The Long Road Back: Business Roundtable and the Future of SEC Rulemaking”, 2012, Uni. Of Pennsylvania Law Sch. pag. 7 115 Fisch E.J., ult. cit., pag. 7. 116 Fisch E.J., ult. cit. pag. 12. 30 essere considerati benchmark di settore117. 7. Cenni sulla normativa europea e italiana in materia di corporate governance Per comprendere meglio quali siano i problemi di corporate governance inerenti al modello statunitense, può risultare utile confrontarne la normativa di governo societario con quella corrispondente europea, e in particolar modo italiana, in modo tale che meglio si evidenzino le differenze e le peculiarità dei diritti degli azionisti statunitensi. Esistono notevoli differenze tra gli ordinamenti europei e quello statunitense. Ad esempio nella legislazione della Gran Bretagna è obbligatorio concedere agli azionisti la possibilità di proporre modifiche allo statuto societario, senza necessità di approvazione preventiva del consiglio di amministrazione, oppure, in ragione della presenza del c.d. ”cumulative majority voting”, dove ogni consigliere deve ricevere la maggioranza dei voti a favore per essere eletto, è possibile rimuovere un consigliere anche senza che sia presentata un’alternativa per il suo sostituto. Per converso, le regole per sottoporre proposte da votare in assemblea sono più stringenti rispetto agli Stati Uniti: solo azionisti con non meno del 5% del capitale possono presentare proposte da votare in assemblea, vincolanti poi per la società in caso di successo118. Le regole sono meno rigide in Francia, dove la titolarità di una partecipazione del 5% è sufficiente sia per presentare proposte da votare, sia per richiedere la convocazione dell’assemblea ordinaria; allo stesso modo accade in Norvegia e Germania. In Olanda la percentuale per richiedere l’assemblea ordinaria è del 10%, mentre in Austria basta solo l’1%. Di fondamentale importanza per la legislazione europea in materia di corporate governance è la Direttiva 2007/36/CE, c.d. “Shareholders’ Right Directive”, relativa all’esercizio dei diritti degli azionisti di emittenti quotati, recepita in 117 118 Fisch E.J., ult.cit. pag. 14. Croci E., cit., pag. 66. 31 Italia con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27 e successive modificazioni. Questa Direttiva mira ad ampliare i poteri degli azionisti, in particolar modo quelli di minoranza e a stimolarne l’effettiva partecipazione alla vita societaria. Nelle società italiane si riscontra la presenza massiccia di azionisti di controllo: spesso sono famiglie che detengono la maggioranza dei voti nelle società quotate. I fondi pensione solo in tempi più recenti sono stati introdotti nell’ordinamento italiano e non hanno ancora assunto un ruolo paragonabile119 a quello che hanno negli Stati Uniti. Gli ultimi vent’anni sono stati di fondamentale importanza per l’Italia in materia di governo societario. Nel 1998 è stato introdotto il Testo Unico della Finanza (“TUF”) o “legge Draghi”120, che ha mitigato il peso preponderante degli azionisti di controllo e reso il contesto normativo più favorevole121 agli azionisti di minoranza. Altre innovazioni legislative sono state introdotte nel 2003, nel 2005 e nel 2010. Nel 2003 vi è stata una vera e propria riforma del diritto societario con i d.lgs. del 17 gennaio 2003, n. 5 e n. 6: entrata in vigore nel 2004, la riforma del diritto societario, con la modifica del Codice Civile, ha aperto la possibilità per le società italiane di adottare uno fra tre modelli alternativi di governo societario. 122 Oltre al sistema tradizionale italiano, che prevede la presenza di due organi di nomina assembleare123, sono stati introdotti il sistema dualistico, di ispirazione tedesca, e quello monistico, di stampo anglosassone. Il primo prevede un consiglio di sorveglianza di nomina assembleare e un consiglio di gestione nominato dal consiglio di sorveglianza; il sistema monistico prevede, invece, il consiglio di amministrazione e un comitato per il controllo sulla gestione, costituito al suo interno124. Obiettivo sostanziale di questa riforma è stato quello di semplificare la disciplina delle società di capitali e di ampliare lo spazio riconosciuto all’autonomia statutaria con lo scopo di promuovere la nascita, lo sviluppo e la 119 120 121 122 123 124 Croci E., cit., pag. 186. D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. Croci E., cit., pag. 187. Croci E., cit., pag. 188. Organo amministrativo (amministratore unico o consiglio di amministrazione) e collegio sindacale o sindaco unico. Campobasso G.F., “Diritto Commerciale – Diritto delle Società”, 2012, UTET Giuridica, pag. 361. 32 competitività delle imprese italiane125. Nel 2005 è stata approvata la legge n. 262 del 28 dicembre per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari: questa legge ha introdotto il cambiamento più rilevante per gli azionisti126 consistente nella estensione della procedura del voto di lista, già prevista per il collegio sindacale, anche per l’elezione degli amministratori e nell’obbligo di presenza di un amministratore eletto dagli azionisti di minoranza per tutte le società quotate su mercati regolamentati italiani o in paesi dell’Unione Europea127. In Italia il voto di lista per l’elezione del consiglio d’amministrazione era già previsto per le società controllate dallo Stato o da enti pubblici dalla legge n. 474/1994 sulle privatizzazioni: per questi tipi di società era Assogestioni128, l’associazione di categoria del risparmio gestito, tramite il suo comitato di corporate governance, a presentare le liste per l’elezione dei consiglieri129. Attualmente la Consob è l’autorità di vigilanza preposta per la fissazione delle soglie minime azionarie da soddisfare per la presentazione delle liste nelle società quotate ai sensi dell’art 147-ter del TUF. Queste soglie, che variano secondo le dimensioni della società, sono decise dallo statuto entro i limiti stabiliti appunto dalla Consob (art. 144-quater Reg. Emittenti) e che, in ogni caso, non possono essere superiori al 4,5% del capitale sociale e, nel caso di società di grandi dimensioni130, inferiori allo 0,5% del capitale sociale131. Questa possibilità data agli investitori di minoranza è difficilmente riscontrabile in altre legislazioni132. Il voto di lista non è comunque esente da problemi: in Italia esistono coalizioni di controllo basate su intrecci azionari e i c.d. interlocking directorates, cioè la pratica per cui un amministratore ha più incarichi nei board di più società. 125 Campobasso G.F., cit., pag. 148. Croci E., cit., pag. 188. 127 In particolare, col voto di lista sono presentate due o più liste di candidati e ogni azionista può votare per una sola lista; i posti in consiglio di amministrazione sono distribuiti in proporzione ai voti riportati da ciascuna lista, secondo l’ordine di preferenza dei candidati-Campobasso G.F., Diritto commerciale, pag. 369. 128 Assogestioni è stata una delle prime associazioni di categoria attive nel campo della corporate governance fin dal 1994, con interventi mirati all’adozione del codice di autodisciplina, all’introduzione del voto di lista per le minoranze e alla nomina di un sindaco delle minoranze come presidente del collegio sindacale, nonché spesso spiegazioni su compensi dei manager e altri aspetti legati alla corporate governance. 129 Assogestioni individuava le società quotate con CdA e collegi sindacali in scadenza, e tra queste sceglieva l’insieme delle società su cui concentrarsi per predisporre le liste. I criteri di scelta erano diversi come per esempio le rilevanza della società, la sua governance, la presenza di investitori istituzionali internazionali ecc. Fatta la scelta, una societa c.d. di head hunting, indipendente da Assogestioni, proponeva una rosa di candidati, in base alla quale poi Assogestioni sceglieva i nuovi consiglieri e i sindaci. 130 Società la cui capitalizzazione di mercato è maggiore di euro 15 miliardi. 131 Campobasso G.F., cit., pag. 369. 132 Croci E., cit., pag. 189. 126 33 Nel caso della mancanza di un’adeguata verifica sull’indipendenza tra gli azionisti che presentano diverse liste, il voto di lista può diventare occasione per rafforzare le coalizioni informali di controllo133. In materia di corporate governance le innovazioni più importanti sono state quelle introdotte con la Direttiva 2007/36/CE sopra citata, recepita in Italia con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, entrato in vigore il 27 marzo dello stesso anno. Nel 2012 il legislatore italiano ha ritenuto opportuno completare definitivamente il recepimento della c.d. direttiva “Shareholders’ Rights”, con l’emanazione del d.lgs. 18 giugno 2012 n. 91. Tale decreto, detto “Correttivo”, ha inteso migliorare sotto il profilo formale e sostanziale la disciplina dell’esercizio dei diritti sociali introdotta dal d.lgs. n. 27/10.134 Attraverso l’emanazione di questi decreti, il legislatore italiano, così come quello europeo con la Direttiva, ha inteso creare condizioni sia legali sia tecniche perché le assemblee si svolgano in modo tale da poter realizzare un efficace confronto tra azionisti e il management, che tradizionalmente è istituzionalizzato dal diritto societario al momento dell’assemblea.135 Le novità introdotte dal d.lgs. n. 27/2010 sono diverse e notevoli. Vi è stata (art. 2367 cod.civ.) la riduzione della quota di partecipazione necessaria per chiedere la convocazione dell’assemblea ordinaria: dal 10% al 5% per quanto riguarda le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, mentre per le altre la percentuale richiesta è del 10%, ma lo statuto può derogare prevedendo percentuali ancora più basse. Gli amministratori, o i sindaci in loro vece, devono obbligatoriamente convocare l’assemblea, e qualora non lo facciano, la convocazione dell’assemblea è ordinata con un decreto dal tribunale, il quale designa anche la persona che deve presiederla (art. 2367 cod. civ.). Per evitare abusi da parte dei soci di minoranza, il tribunale deve però preventivamente sentire l’organo di amministrazione o di controllo, e verificare che il rifiuto sia ingiustificato.136 Sono stati modificati per le società con azioni quotate i termini per esercitare il diritto a integrare l’ordine del giorno dell’assemblea: il diritto di chiedere 133 Ad esempio nell’assemblea di Generali del 2008, Benetton presentò una lista di minoranza pur essendo azionista presente nel patto di Sindacato di Mediobanca, primo azionista di Generali. 134 Nocella S., “Diritti dei Soci, Informazione Societaria e Ruolo dell’Assemblea: le Correzioni”, 2014, Nuove Leggi Civili Commentate-CEDAM, pag. 74. 135 Nocella S., cit., pag. 74. 136 Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 317. 34 l’integrazione dell’ordine del giorno è riconosciuto ai soci che detengono almeno un quarantesimo del capitale, i quali devono far pervenire domanda scritta entro dieci giorni dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea (art. 126-bis TUF). Gli azionisti delle società con azioni quotate hanno inoltre il diritto di far pervenire alla società domande sulle materie all’ordine del giorno prima dello svolgimento dell’assemblea (art. 127-ter TUF). La convocazione e l’integrazione dell’ordine del giorno non sono però ammesse per gli argomenti sui quali l’assemblea deve deliberare su proposta degli amministratori, cioè sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta (ad esempio l’approvazione del bilancio, fusione, scissione)137. Una delle più importanti novità introdotte dal d.lgs. n. 27/10 è stata la determinazione di una c.d. record date138 per determinare chi ha diritto di voto in assemblea: nelle società non quotate la condizione che legittima l’intervento in assemblea, cioè la titolarità e l’esercizio del diritto di voto, deve sussistere il giorno stesso dell’adunanza139. Con il c.d. sistema della data di registrazione, nelle società con azioni negoziate su mercati di strumenti finanziari, la legittimazione ad intervenire in assemblea si determina in maniera immodificabile in riferimento alla situazione esistente il settimo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l’assemblea (art. 83-sexies TUF). Questa soluzione è frutto del tentativo del legislatore di unire due esigenze contrapposte: da un lato, l’interesse a evitare manovre speculative e cambi repentini di maggioranza nonché a consentire un’adeguata organizzazione per tempo delle operazioni assembleari (per esempio identificazione, ammissione dei soci, aggiornamento del libro soci); dall’altro, l’interesse a favorire gli investitori istituzionali consentendo loro di operare sulle azioni prima e durante l’assemblea140. Prima dell’introduzione della c.d. record date, infatti, in Italia era previsto il blocco delle azioni antecedente all’assemblea; questo disincentivava molto l’azione degli investitori istituzionali, che - in generale non sono interessati ad intervenire e votare in assemblea, bensì più 137 Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 318. Momento durante il quale l’azionista deve registrare, tramite l’intermediario che gestisce i titoli, la propria partecipazione. 139 Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 333. 140 Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 333. 138 35 semplicemente sono interessati alla possibilità di continuare a negoziare i titoli a mercato. Con la nuova disciplina, le azioni restano alienabili anche dopo la data assunta come riferimento per le certificazioni e lo statuto non può prevedere altrimenti. Per facilitare la presenza degli azionisti e combatterne l’astensionismo assembleare, la statuto può permettere l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione o l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica (art. 2370, 4° comma cod. civ.). Sempre il d.lgs. n. 27/2010 ha riformato la disciplina della rappresentanza in assemblea per le società quotate. Si è prevista la possibilità di conferimento della delega anche per via elettronica secondo le modalità stabilite dallo statuto (art. 135-novies, 6° comma, TUF) e se esso non dispone diversamente, la società deve designare per ogni assemblea un delegato al quale gli azionisti possono conferire, senza spese, una delega con istruzioni di voto su tutte o alcune proposte all’ordine del giorno (art. 135-undecies, 1° comma, TUF). É data così la possibilità di avvalersi gratuitamente di un rappresentante “istituzionale” agli azionisti che non possono, o che non vogliono, incaricare un delegato di fiducia141, rispondendo in tal modo ad un’esigenza nota anche sul mercato statunitense con il termine – come abbiamo visto – di “costi di agenzia”. A differenza della disciplina che si applica alle società non quotate, per le società quotate sono stati soppressi i limiti quantitativi al cumulo delle deleghe da parte del medesimo rappresentante e non sono previsti dei divieti soggettivi (art. 2372, 5°, 6° e 8° comma, cod. civ.). Con la riforma del 2010 è stata semplificata la pratica della sollecitazione delle deleghe di voto nelle società quotate, con la rimozione (i) del requisito del possesso azionario di almeno l’1% del capitale con diritto di voto in capo al promotore; (ii) della necessità dell’intervento di un intermediario, e (iii) dell’obbligo di rivolgersi alla generalità degli azionisti142. La sollecitazione è la richiesta di conferimento di deleghe rivolta da uno o più soggetti (cc.dd. “promotori”) a più di duecento azionisti su specifiche proposte di voto ovvero accompagnata da raccomandazioni, dichiarazioni o altre indicazioni idonee a 141 142 Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 338. Croci E., cit., pag. 191. 36 influenzarne il voto (art. 136, lett. b, TUF). Il promotore effettua la sollecitazione mediante la diffusione di un modulo di delega, secondo le modalità stabilite dalla Consob, il cui contenuto è determinato dalla Consob stessa143. Il promotore è responsabile dell’idoneità e della completezza delle informazioni rese (art. 143, 2° comma, TUF) e comunque la delega non può essere rilasciata in bianco: deve indicare il nome del delegato, le istruzioni di voto, la data e recare la sottoscrizione del delegante (art. 142, 1° comma, TUF). É stata inoltre concessa la possibilità di adottare negli statuti sociali delle quotate la cosiddetta clausola “opt-out”, cioè è stato reso possibile derogare in tutto o in parte alla “passivity rule”.144 Le deroghe statutarie alla “passivity rule” devono comunque essere comunicate alla Consob ed al pubblico. In seguito alla riforma del 2010, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto può stabilire che l’assemblea si celebri in un’unica convocazione, invece di aversi più convocazioni con quorum ridotti (art. 2369 cod. civ.). Le maggioranze richieste sono quelle previste per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione e per quella straordinaria quelle delle convocazioni successive alla seconda145. Con questa possibilità, pensata in particolar modo per le società caratterizzate da forte assenteismo, non è più necessario attendere le inutili convocazioni iniziali, determinando così risparmi di tempo e costi146. Ultima innovazione del d.lgs. n. 27/2010 è stata l’introduzione di una regolamentazione delle operazioni con parti correlate per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, che impone procedure decisionali che coinvolgono gli amministratori indipendenti e assemblea dei soci. Tali operazioni (realizzate anche tramite società controllate) sono operazioni che hanno come controparte soggetti particolarmente “vicini” alla società147 e 143 Secondo l’art. 136 Reg. Emittenti, il promotore trasmette un avviso contenente i dati essenziali della sollecitazione alla società emittente , che lo pubblica sul proprio sito, nonché alla Consob, alla società di gestione del mercato ed alla società di gestione accentrata delle azioni. A tali soggetti viene anche trasmesso il prospetto ed il modulo di delega. 144 Regola che impone a management e azionisti di una società sottoposta a OPA (offerta pubblica di acquisto) di non intraprendere azioni che possano minare la riuscita della stessa senza prima il placito dell’assemblea degli azionisti – Art. 104 TUF. 145 Sono applicati i quorum previsti per la seconda convocazione dell’assemblea ordinaria (nessun quorum) e quelli previsti per la terza convocazione nel caso di assemblea straordinaria (20% capitale). 146 Campobasso G.F., cit., pag. 325. 147 La Consob identifica le parti correlate in particolare come: il socio di controllo, o che esercita un’influenza notevole sulla società; dirigenti con responsabilità strategiche; le società controllanti, controllate, collegate, o sorelle. 37 perciò maggiormente a rischio di essere condotte in conflitto di interessi148. In quest’ambito l’organo di amministrazione è tenuto ad adottare, nel rispetto dei principi generali fissati dalla Consob, procedure che assicurino la trasparenza e la correttezza delle decisioni (art. 2391-bis cod. civ. e Reg. Consob. 17221/2010). A più di quattro anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 27/2010, sembra possibile sostenere che il fine del legislatore italiano di rivitalizzare il rito assembleare, perlomeno per le società quotate, sia stato raggiunto 149 , in quanto si registra una maggiore attività di tutte le categorie di azionisti durante i lavori assembleari e una maggior partecipazione alla vita societaria. Inoltre con i suddetti provvedimenti, sembra che si sia intrapresa la giusta strada per “rafforzare i diritti degli azionisti delle società quotate” e porre rimedio ai “problemi relativi all’esercizio transfrontaliero del diritto di voto”.150 8. Conclusioni A differenza che in Europa dove la proprietà azionaria è piuttosto concentrata e l’azione degli investitori istituzionali è meno diffusa, negli Stati Uniti la maggior parte delle società quotate presenta una proprietà molto più diffusa ed eterogenea. Si potrebbe pensare, dunque, che la legislazione statunitense disponga molti strumenti per difendere gli interessi della grande moltitudine degli azionisti; in realtà, come si è mostrato in precedenza, questo non avviene. Sebbene la proprietà sia saldamente in mano agli azionisti, essi non hanno virtualmente alcun potere di controllo sulla politica societaria, né a lungo né a breve termine. Il modello statutario di corporate governance è un modello in cui il board agisce, e gli shareholders reagiscono; inoltre, a causa della dispersione azionaria, forte astensionismo e scarsa partecipazione degli stessi azionisti sono una costante della vita delle società quotate. Negli ultimi anni in particolare si è però sviluppata negli azionisti la consapevolezza che questo modello non sempre riesce a difendere i loro 148 149 150 Campobasso G.F., cit. pag. 382. Nocella S., cit., pag.71. Direttiva europea 2007/36/CE, Primo Considerando. 38 interessi, né quelli della società stessa. Gli azionisti sono riusciti ad acquisire maggior controllo dell’assemblea, grazie agli amministratori indipendenti, a nuove forme di comunicazione col board, e a importanti riforme riguardanti i sistemi di voto in assemblea e di sollecitazione delle deleghe di voto. Agli inizi degli anni 2000 William Allen, giudice capo della Corte di Giustizia del Delaware, suggeriva due motivi per i quali era necessario interessarsi dei problemi di corporate governance. Il primo è l’alta probabilità che un miglioramento del governo societario si traduca in un sistema economico più efficiente, il secondo motivo, politico più che economico, è che un sistema efficiente di corporate governance aiuta a legittimare il potere sopra gli altri (dipendenti, clienti, investitori e altri membri della comunità) in merito alle decisioni riguardanti la distribuzione degli asset151. In quest’ottica pare utile, se non addirittura necessario, un maggior controllo assembleare degli azionisti nell’ordinamento degli Stati Uniti. Gli autori che si sono occupati della tematica dell’analisi e del miglioramento degli strumenti di corporate governance hanno tuttavia evidenziato spesso approcci ideologici opposti: si è visto sopra, ad esempio, come il professor Bebchuk152 muova da una sorta di riconoscimento del primato ideologico della c.d. “democrazia assembleare” mentre, all’opposto, il professor Bainbridge153 sembra riconoscere in assoluto il primato, altrettanto ideologico, del buon funzionamento del codice societario dello Stato del Delaware e delle qualità morali e professionali del management. Portate alle loro estreme e più radicali conclusioni entrambe le correnti di pensiero sembrano condurre a risultati negativi, o comunque a rischi potenziali non trascurabili. In effetti, una “democrazia assembleare totale” porta ad una gestione aziendale comunitaria che mal si concilia con l’esigenza, ancor più evidente in certe fasi della vita d’impresa – non solo tipicamente quelle di crisi o tensione finanziaria ma anche quelle delle decisioni strategiche così come della gestione ordinaria corrente – di capacità decisionale rapida e professionale. Altrettanto, un assoluto “governo dei migliori o degli eletti” porta 151 152 153 Murphy E.M., cit., pag. 191. Vedi supra, paragrafo 2.1 pag. 6. Vedi supra, paragrafo 2.2 pag. 8. 39 evidentemente il rischio di gestioni imprenditoriali oligarchiche, se non totalitarie, con il prevalere dell’interesse di pochi su quello comune (inteso nella sua migliore accezione, nel caso di specie, di “interesse sociale”). Una linea mediana tra le due posizioni, con la conciliazione tra controllo assembleare degli azionisti – da una parte – e poteri di gestione coordinata e diretta da parte del management – dall’altra parte – appare non solo pragmaticamente preferibile ma probabilmente anche più efficace per il migliore perseguimento dell’interesse sociale e il bilanciamento tra maggioranza di controllo (talvolta risultante da una moltitudine di minoranze) e minoranza di gestione. La sfida al riguardo è dove porre esattamente questa linea di bilanciamento: un dibattito questo che, nella cultura giuridico-amministrativa, soprattutto europea, tiene luogo sin dalla prima elaborazione del principio della divisione dei poteri: probabilmente – fermo restando tale principio – anche in tema di corporate governance d’impresa, la coniugazione preferibile risiede nella declinazione del principio di responsabilità, o accountability sia di chi gestisce che di controlla. Abbiamo comunque anche visto che, mentre in Europa, per effetto dell’azione congiunta e coordinata del legislatore comunitario con quella dei legislatori nazionali, il quadro normativo complessivo della corporate governance delle società quotate sembra aver assunto caratteristiche se non consolidate, quantomeno articolate e al momento ragionevolmente efficaci, negli Stati Uniti, vuoi per l’assenza di una legislazione federale a fronte di una molteplicità di normative nazionali e di un maggiore peso delle discipline di autoregolamentazione, vuoi per una mancanza di riconoscimento diffuso della autorevolezza della SEC quale authority emanatrice di regole riconosciute e condivise, il quadro normativo-regolamentare in tema di corporate governance delle società quotate appare ancora alla ricerca consolidamento e radicamento nella realtà dei mercati. 40 di un suo efficace Bibliografia -­‐ Baumhart R.C., “How Ethical are Businessmen?”, 39 Harvard Business Review, 1961, p. 6 ss. -­‐ Bainbridge S.M. (2002), “A Critique of the NYSE’s Directors Independence Listing standards”, UCLA School of Law Research, Paper Series No. 02-15, disponibile presso http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=317121 -­‐ Bainbridge S.M., “Bebchuk’s The Case for Increasing Shareholder Power: an Opposition”, Harvard Law School, Discussion Paper No. 586, 2007, disponibile presso http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=990057 -­‐ Bainbridge S.M., “Corporate Law”, Foundation Press, 2009 -­‐ Bebchuk L.,“The Case for Increasing Shareholder Power”, Harvard Law School, Discussion Paper No. 500, 118 Harvard Law Review, p. 833 ss. -­‐ Campobasso G.F., “Diritto Commerciale – Diritto delle Società”, UTET Giuridica, 2010 -­‐ Croci E., “Shareholder Activism – Azionisti, Investitori Istituzionali e Hedge Fund”, FrancoAngeli, 2011 -­‐ Fairfax L.M., “Delaware’s New Proxy Access: Much Ado About Nothing?”, 11 The Tennessee Journal of Business Law, 2009, p. 87 ss. -­‐ Fairfax L.M., “Mandating Board-Shareholder Engagement?”, 821 University of Illinois Review, 2013, p. 823 ss. -­‐ Fisch E.J., “The Destructive Ambiguity of Federal Proxy Access”, 61 Emory Law Journal, 2012, p. 435 ss. -­‐ Fisch E.J., “The Long Road Back: Business Roundtable and the Future of SEC Rulemaking”, Research Paper 2012, University No. of 12-34, Pennsylvania Law disponibile School, presso http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2164423 -­‐ Gordon J.N., “Governance Failures of the Enron Board and the New Information Order of Sarbanes-Oxley”, 2003, Columbia Law School, Working Paper No. 216, - Harvard Law School, Discussion Paper No. 416, disponibile presso 41 http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=391363 -­‐ Gordon J.N., “The Rise of Independent Directors in the United States, 1950-2005: of Shareholder Value and Market Price”, Columbia Law and Economics, Working Paper No. 323, in 59 Stanford Law Review, 2007, p 1465 ss. -­‐ Krajeski A., “Request for Investor Dialogue: Fifth Analyst Call on Corporate Governance and the Proxy Statement”, 2010, disponibile presso http://www.shareholderforum.com/e- mtg/Library/20101201_FifthAnalyst.pdf -­‐ Lipton M., “Takeover Bids in the Target’s Boardroom”, 35 The Business Lawyer, 1979, p. 100 ss. -­‐ Mitchell L.M. & Mulherin J.H., “The Impact of Industry Shocks on Takeover and Restructuring Activity”, 41 Journal of Financial Economics, 1996, pag. 193 ss. -­‐ Murphy E.M., “The Nominating Process od Corporate Boards of Directors: a Decision-making Analysis”, 5 Berkeley Businesss Law Journal, 2008, p. 131 ss. -­‐ Nocella S., “Diritti dei Soci, Informazione Societaria e Ruolo dell’Assemblea: le Correzioni”, Le Nuove Leggi Civili Commentate, 2014, pag. 70 ss. -­‐ Seligman J., “The Securities and Exchange Commission and Corporate Democracy”, 1 University of Dayton Law Review, 1978, p. 9 ss. -­‐ Ventoruzzo M., “Empowering Shareholders in Directors’ Election: a Revolution in the Making”, ECFR, 2011 p. 105 ss. -­‐ Yermack D., “Shareholder Voting and Corporate Governance”, 2 Annual Review of Financial Economics, 2010, p. 103 ss. 42