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Il controllo assembleare nell’ordinamento degli Stati Uniti:
evoluzione e prospettive
Ugo Maria Franzini1
Settembre 2014
1
Il presente documento è di esclusiva pertinenza del relativo autore ed è esclusivamente riservato per
l’uso espressamente consentito dall’autore medesimo, senza il cui preventivo espresso consenso
scritto non può essere ulteriormente distribuito, adattato, memorizzato ovvero riprodotto, in tutto o in
parte e in qualsiasi forma e tecnica.
1
Indice
Introduzione
7
1. La normativa statunitense in materia di corporate governance: considerazioni
generali
8
2. I poteri degli azionisti in sede assembleare
9
2.1. La tesi favorevole al rafforzamento dei poteri degli azionisti
10
2.2. La critica. La tesi favorevole alla centralità dell’organo amministrativo
12
3. I limiti del modello statunitense
13
4. L’intensificazione del rapporto tra management e azionisti
16
4.1. I potenziali benefici
16
4.2. Le “vittorie” dell’attivismo degli azionisti
17
4.3. Le possibili problematiche
20
4.4. I nuovi strumenti in materia di governo societario
21
5. L’evoluzione del ruolo degli amministratori indipendenti
5.1. Verso l’affermazione della figura degli amministratori indipendenti
6. L’attività della SEC nella disciplina societaria
6.1. L’evoluzione degli interventi della SEC maggiormente rilevanti
22
23
27
27
7. Cenni sulla normativa europea in materia di corporate governance
31
8. Conclusioni
38
Bibliografia
5 Abstract
A differenza che in Europa, dove la proprietà azionaria è piuttosto concentrata
e l’azione degli investitori istituzionali è meno diffusa, negli Stati Uniti la
maggior parte delle società quotate presenta una proprietà molto più diffusa
ed eterogenea. Si potrebbe pensare, dunque, che la legislazione statunitense
predisponga molti strumenti per difendere gli interessi degli azionisti diffusi,
ma in realtà questo non avviene.
Sebbene la proprietà sia saldamente in mano agli azionisti, essi non hanno
alcun potere effettivo di controllo sulla politica societaria, né a lungo né a
breve termine.
Con il loro attivismo gli azionisti sono riusciti ad acquisire maggior controllo
dell’assemblea, grazie agli amministratori indipendenti, a nuove forme di
comunicazione col board e a importanti riforme riguardanti i sistemi di voto in
assemblea e di sollecitazione delle deleghe di voto.
In Europa, invece, per effetto dell’azione congiunta e coordinata del legislatore
comunitario
con
quella
dei
legislatori
nazionali,
il
quadro
normativo
complessivo della corporate governance delle società quotate sembra aver
assunto caratteristiche se non consolidate, quantomeno articolate e al
momento ragionevolmente efficaci.
Negli Stati Uniti, vuoi per l’assenza di una legislazione federale a fronte di una
molteplicità di normative nazionali e di un maggiore peso delle discipline di
autoregolamentazione, vuoi per una mancanza di riconoscimento diffuso della
autorevolezza della SEC quale authority emanatrice di regole riconosciute e
condivise, il quadro normativo-regolamentare in tema di corporate governance
delle
società
consolidamento
quotate
e
appare
ancora
radicamento
alla
nella
6 ricerca
di
realtà
un
suo
dei
efficace
mercati.
Introduzione
Da alcuni anni è diffusa l’opinione che i meccanismi di funzionamento dei
vertici delle società quotate non siano sempre funzionali per l’efficienza e
l’efficacia delle economie in cui operano. Gli accademici da lungo tempo hanno
rimarcato come nella vita di una società per azioni sia naturale il c.d. “conflitto
di agenzia” tra manager e azionisti o anche, nella maggioranza delle società
con
proprietà
azionaria
maggiormente
concentrata,
tra
azionisti
di
maggioranza e azionisti di minoranza.
Uno dei principali temi concernenti la materia del governo societario di società
quotate riguarda l’insufficiente motivazione, per la maggior parte di azionisti e
investitori, a partecipare alla vita della società in cui investe. Spesso, in
particolare, non vi è incentivo economico a partecipare alle assemblee degli
azionisti, poiché i costi da sostenere per intervenire sarebbero superiori ai
benefici ricevuti - ammesso che la presenza e il voto riescano a essere incisivi
sul piano pratico – con la conseguenza che le più importanti decisioni delle
società quotate sono prese, di fatto, dal management e dagli azionisti di
maggioranza, i quali perseguono interessi che possono non coincidere con
quelli della massa degli altri azionisti e stakeholders.
Questa problematica è più diffusa negli Stati Uniti, dove si riscontra una
maggiore presenza di società quotate a capitale sociale disperso, nelle quali i
manager si contrappongono a una moltitudine di piccoli e piccolissimi azionisti
con assai limitati poteri.
In questo contesto si è sviluppato il concetto di “shareholder activism”, ovvero,
secondo una delle molte definizioni che si trovano nella letteratura1, “l’esercizio
e l’implementazione dei diritti da parte degli azionisti di minoranza con
l’obiettivo di incrementare lo shareholder value nel lungo periodo, svolgendo
una più intensa attività di monitoring sul management”.
Un’esigenza, questa, divenuta maggiormente pressante soprattutto negli ultimi
vent’anni circa, per effetto del crescente peso dell’intermediazione nella
gestione del risparmio e delle strategie di gestione degli investitori istituzionali,
nonché
di
taluni
sviluppi
legislativi,
che
sempre
più
frequentemente
1 Croci E., “Shareholder Activism – Azionisti, Investitori Istituzionali e Hedge Fund”, 2011, FrancoAngeli pag. 18.
7 considerano l’opportunità di condotte non meramente passive delle minoranze
organizzate e professionali rispetto alle partecipazioni detenute.
Ciò implica il tentativo (e la spinta del legislatore nei confronti) degli azionisti
di minoranza, ed in specie degli investitori istituzionali, di aumentare e/o
ampliare le loro prerogative nei confronti della società partecipata e di
acquisire maggiore influenza in assemblea e sulle decisioni sociali allo scopo di
esercitare forme di controllo più efficaci della gestione posta in essere dal
management, costringendo quest’ultimo ad una maggiore accountability nei
confronti degli investitori, così da allineare gli interessi degli uni e degli altri.
1. La
normativa
statunitense
in
materia
di
corporate
governance: considerazioni generali
Negli Stati Uniti non è presente una legislazione federale uniforme in materia
societaria, cui tutti gli Stati facciano riferimento; ogni Stato possiede una
propria legislazione statale con differenti regole e norme.
Un indirizzo significativo e un orientamento generale anche in materia di
governance sono tuttavia dati dalla SEC (Securities Exchange Commission), in
ragione dei poteri di tutela degli investitori e del mercato a essa attribuiti dal
Securities Exchange Act (1934).
Soprattutto in tempi più recenti, sono infatti andati moltiplicandosi gli
interventi regolamentari della SEC nella materia del diritto societario, al punto
che si è spesso rilevato in dottrina un processo di graduale “federalizzazione”
del diritto del governo societario.
Per un inquadramento della dottrina americana e della giurisprudenza in tema
di corporate governance è inoltre necessario fare riferimento a due elementi
ulteriori.
Il primo di essi è il Model Business Corporation Act (MBCA), redatto nel 1950 a
seguito della Seconda Guerra Mondiale, e successivamente rivisto fino
all’odierno Revised Model Business Corporation Act (RMBCA).
Questo documento funge da modello di leggi e norme che ogni singolo Stato
dovrebbe usare, o anche solo da modello cui ispirarsi. Attualmente esso è
preso a modello da ventiquattro Stati.
8 Tra le leggi societarie statali, il riferimento imprescindibile per l’inquadramento
della legislazione statunitense è la Delaware General Corporation Law.
Il Delaware infatti è la sede legale di oltre un milione di imprese e molte grandi
società. Questo piccolo Stato ha iniziato ad assumere una posizione dominante
nella materia societaria fin dagli inizi del 1900, e ad oggi è il sistema legislativo
per le società più studiato e cui si fa più riferimento.
I motivi sono molteplici: primo fra tutti, il rispetto e l’autorevolezza che le corti
del Delaware si sono guadagnate nel corso del tempo e in particolare la Corte
di Giustizia che risale al 1792.
Altro motivo è di carattere socio-economico: la maggior parte delle entrate del
Delaware sono dovute alla circostanza che nel suo territorio hanno la sede
legale le maggiori società quotate e quindi vi è una particolare attenzione sia
per il rispetto della legge che per la disponibilità generale di un sistema che
fornisca alle imprese un quadro normativo e fiscale efficiente e flessibile per lo
svolgimento dei loro affari.
L’autorevolezza guadagnata nel tempo fa dell’ordinamento societario, legale e
fiscale dello Stato del Delaware un sistema stabile e difficilmente modificabile,
in grado di creare sinergie non facilmente replicabili altrove e quindi di attrarre
società.
É di tutta evidenza che il quadro normativo nel quale gli azionisti si muovono
ha particolare importanza, dal momento che alcuni diritti possono essere un
notevole vantaggio per gli azionisti, mentre altre norme possono rappresentare
un ostacolo difficilmente valicabile per l’attivismo degli azionisti2.
Osservazione
generalmente
condivisa
è
che
l’ordinamento
statunitense
tradizionalmente non avvantaggia gli azionisti ma tende piuttosto a favorire il
management dell’impresa a discapito dei primi.
2. I poteri degli azionisti in sede assembleare
Le tematiche di corporate governance concernenti la ripartizione e il
bilanciamento dei poteri tra amministratori e azionisti sono state da sempre
oggetto di discussione negli ambienti accademici, e recenti cambiamenti
2
Croci E., cit., pag. 28-29.
9 normativi
in
materia
hanno
dato
nuova
linfa
al
dibattitto,
portando
all’espressione di pareri anche significativamente divergenti in proposito, con
visioni “filosoficamente” opposte e contrastanti, o comunque in conflitto.
Esemplare al riguardo è la discussione tra Lucian Bebchuk e Stephen
Bainbridge.
2.1. La tesi favorevole al rafforzamento dei poteri degli azionisti
É principio consolidato in materia di governo societario secondo l’ordinamento
statunitense che tutte le principali decisioni riguardanti la politica e l’attività
societaria debbano essere assunte dall’organo amministrativo collegiale,
ovvero il board o consiglio di amministrazione, e che agli azionisti non siano
concessi effettivi poteri al riguardo. L’unica possibilità per gli azionisti di
provare a introdurre o proporre una nuova politica di gestione è quella di
sostituire
gli
amministratori
in
carica
con
altri
3
.
Ma
rimuovere
gli
amministratori non è compito facile per gli azionisti, che quindi si trovano
spesso in posizione di inferiorità rispetto a quella del management, potendo in
realtà far leva esclusivamente su limitati poteri eventualmente attribuiti loro
dallo statuto.
Secondo Bebchuk in ambito societario vi sono tre principali tipologie di
decisioni:
I.
Rules-of-the-Game Decisions: esse rappresentano l’insieme delle regole
nelle e con le quali la società deve “giocare”
4
. Esse derivano
sostanzialmente da due fonti: (i) lo statuto e atto costitutivo, nonché (ii)
la legge statale in materia societaria dello Stato in cui la società ha la
propria sede legale5.
Statuto e atto costitutivo possono essere modificati, ma è richiesto
sempre un potere d’iniziativa del management in tale senso. Gli azionisti
hanno scarso potere anche per quanto riguarda la scelta della sede
legale, che spesso è il risultato di una c.d. re-incorporation (i.e. il
trasferimento della sede legale) in un diverso Stato per effetto di fusione
Bebchuk L. “The Case for Increasing Shareholder”, Harvard Law School, Discussion Paper No. 586. pag. 836.
Bebchuk L., cit., pag. 844.
5
Come già osservato, la legge statale del Delaware è quella di riferimento.
3
4
10 della società, ed anche la proposta riguardante una fusione societaria è
di pertinenza del management6.
Secondo Bebchuk i benefici derivanti dal coinvolgimento degli azionisti in
questo tipo di decisioni possono essere pienamente realizzati solo se agli
stessi azionisti sia consentito di promuovere modifiche allo statuto e ai
progetti di re-incorporation7.
II.
Specific
Business
Decisions,
a
loro
volta
distinguibili
in
due
sottocategorie:
•
Game-Ending Decisions: sono le decisioni di fusione, vendita di asset
rilevati e/o di scioglimento regolate dal Codice del Delaware e dal MBCA8,
che richiedono l’approvazione della maggioranza delle azioni.
Per queste decisioni gli azionisti hanno solo un potere di veto ma non
possono promuovere autonomamente il voto sulle relative proposte9, in
quanto tale facoltà è riservata al board, che solo può proporre di votare
una proposta presentata dagli azionisti10.
•
Scaling-Down Decisions: le decisioni di distribuzione di utili e attività
sono ancora una volta di competenza del management 11, cui è riservata
la facoltà di determinare tali distribuzioni, sia in denaro sia in natura12,
senza il consenso degli azionisti. A differenza delle Game-Ending
Decisions, in questo caso non è previsto per gli azionisti neppure il
potere di veto13.
Anche se gli azionisti hanno il potere di veto sulle modifiche dell’atto costitutivo
e sui trasferimenti di sede legale proposti dal management ciò non significa –
secondo Bebchuk – che essi possano effettivamente cambiare le regole del
gioco. Il potere di veto è utilizzato dagli azionisti per prevenire cambiamenti
ritenuti peggiorativi della loro condizione rispetto allo status quo: si tratta
dunque di un potere negativo, che non fornisce la possibilità di un risultato che
massimizzi lo shareholder value14.
6
Bebchuk L., cit., pag. 844-845.
Bebchuk L., cit., pag. 846. 8
Delaware Cod. titolo 8 §251(c) (fusione e consolidazione); §271(a)(vendita di asset); §275(b) (scioglimento); Mod.
Bus. Corpag. Act §11.04(e) (fusione); §12.02(e) (vendita di asset); §14.02(e) (scioglimento).
9
Bebchuk L., cit., pag. 847.
10
Vedi Mod. Bus. Corpag. Act §11.04 (a) “Il piano di fusione o scambio di azioni deve essere adottato dal consiglio di
amministrazione”.
11
Mod. Bus. Corpag. Act §6.40.
12
Ad esempio in azioni di una controllata nel caso di uno spin-off.
13
Bebchuk L., cit., pag. 847.
14
Bebchuk L., cit., pag. 862.
7
11 Secondo Bebchuck agli azionisti si dovrebbe invece garantire la possibilità di
portare effettivamente in delibera decisioni del primo tipo (Rules-of-the-Game
Decisions) e quindi di cambiare lo statuto nonché la sede legale della società.15
Il controllo del management sulle modifiche dell’atto costitutivo e sul
trasferimento della sede sociale ne pregiudica la possibilità di adozione se
ritenute dal board peggiorative delle sue prerogative e benefici, sicché
modifiche che pur aumenterebbero lo shareholder value potrebbero non essere
adottate per la semplice opposizione del management16.
Secondo Bebchuk, dunque, aumentare le prerogative per gli azionisti migliora
la corporate governance in generale, riduce i “costi d’agenzia” 17 e produce
benefici: questi ultimi derivano soprattutto dal fatto di porre dei limiti e delle
linee guida al management e alla sua azione, in modo tale da frenare le non
sempre positive tendenze che si sviluppano naturalmente all’interno dei
consigli di amministrazione.18
2.2. La
critica.
La
tesi
favorevole
alla
centralità
dell’organo
amministrativo
In un noto suo paper 19 , Bainbridge critica duramente le tesi e le idee di
Bebchuk, con una serie di argomentazioni opposte.
Il primo punto di critica del professore polacco da parte del professore di
Harvard poggia sulla ritenuta prevalente antistoricità delle sue argomentazioni.
Bainbridge ricorda che secondo il General Corporation Code del Delaware
“L’impresa e le altre attività devono essere condotte dai manager e dal
consiglio di amministrazione”20 e, secondo il professore americano, quello del
Delaware è il modello di riferimento per la corporate governance, dotato della
autorevolezza
comprovata
dal
suo
successo
nella
pratica
societaria
statunitense. Le argomentazioni sostenute da Bebchuk per superare quel
modello – e la connessa dottrina societaria del Delaware –
15
e cercare di
Bebchuk L., cit., pag. 865.
Bebchuk L., cit., pag. 865.
17
Per i costi d’agenzia s’intendono soprattutto i costi di sorveglianza e di incentivazione necessari per orientare il
comportamento dell’agente (management).
18
Bebchuk L., cit., pag. 913.
19
Bainbridge S. “Bebchuk’s “ The Case for Increasing Shareholder Power”: an Opposition”, Harvard Law School, pag. 2
e ss.
20
Delaware Code, titolo 8 §141(a).
16
12 affermare il primato di una sorta di democrazia degli azionisti sono ritenute
poco persuasive21.
In un secondo luogo, Bainbridge critica le tesi di Bebchuk che denuncerebbero
– a suo dire – una visione distorta degli amministratori, quasi che essi non
tengano conto degli interessi degli azionisti e che ogni loro azione sia mirata
esclusivamente ad accrescere il proprio beneficio privato a scapito di questi
ultimi22. Al contrario, Bainbridge ritiene che, nella realtà pratica, i manager
siano ben consapevoli dei loro doveri verso gli azionisti, incluse le loro legittime
aspettative in tema di shareholder value, tanto da arrivare ad osservare che
“Nessuno che sia mai stato in un consiglio di amministrazione di una delle
maggiori società quotate statunitensi può affermare che i manager non siano
concentrati sugli interessi degli azionisti”23.
Baninbridge non condivide e ritiene immotivate le preoccupazioni di Bebchuk
per i c.d. “costi d’agenzia” e ritiene che, normalmente, chi viene nominato al
ruolo di management abbia conseguito successi lavorativi e possegga requisiti
di rispettabilità tali da garantire di svolgere il proprio compito in maniera
diligente e nel rispetto dei suoi doveri anche nei confronti degli azionisti24.
Da ultimo Bainbridge fa notare che come i manager possono perseguire
obiettivi privati, così anche gli azionisti possono essere mossi dalla ricerca della
massimizzazione
del
proprio
interesse
personale,
che
non
coincide
necessariamente e aprioristicamente con l’interesse sociale, inteso come
interesse collettivo della moltitudine degli azionisti e della società in generale25.
3. I limiti del modello statunitense
Le criticità maggiori per gli azionisti nel sistema societario statunitense sono
riconducibili ad alcune caratteristiche peculiari del modello stesso. Infatti, la
maggior parte delle società quotate negli Stati Uniti è caratterizzata dalla
separazione tra proprietà e controllo: gli azionisti, che sono i veri proprietari
della società, non hanno effettivamente alcun potere, né sulle decisioni di
21
22
23
24
25
Bainbridge
Bainbridge
Bainbridge
Bainbridge
Bainbridge
S.M.,
S.M.,
S.M.,
S.M.,
S.M.,
cit.,
cit.,
cit.,
cit.,
cit.,
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
2-3.
4.
4.
5.
6.
13 gestione ordinaria, né sulle politiche strategiche di più ampio respiro 26 .
Entrambe le decisioni sono di pertinenza del management, che, di fatto, le
controlla. Il modello standard di corporate governance è quello in cui il board
agisce, mentre gli azionisti, al massimo reagiscono27.
Le
principali
problematiche
di
governo
societario
che
si
presentano
nell’ordinamento statunitense sono le seguenti:
I.
gli azionisti non possono presentare direttamente proposte di modifica
dello statuto della società; tali modifiche devono essere approvate dal
board28;
II.
utilizzo ancora diffuso del sistema di elezione del board sulla base del
c.d. “plurality voting”: viene eletto amministratore il candidato che
riceve il numero più alto di voti, qualunque esso sia: senza, dunque,
che sia necessaria una elezione a maggioranza. In più, si deve
considerare che l’unico modo che gli azionisti hanno per esprimere il
loro dissenso rispetto ai candidati è l’astensione dal voto o il voto per
un candidato diverso, non essendo ammessa la votazione contro i
candidati. La situazione è peraltro in evoluzione: in accoglimento di
pressioni di mercato, soprattutto da parte degli investitori istituzionali,
a partire dal 2006 è stata modificata la legge societaria del Delaware,
con l’introduzione per la nomina al board del c.d. “majority voting”29.
Nel 2010 due terzi delle società incluse nell’indice S&P 500 avevano
adottato il voto a maggioranza30.
Nonostante questo, rimane comunque difficile per la moltitudine di
azionisti che detengono una partecipazione relativamente piccola
identificare i candidati e coordinarsi per far convergere i loro voti su di
essi31;
III.
a differenza di quanto avviene nelle società europee, la possibilità di
richiedere agli amministratori la convocazione di un’assemblea non è
prevista, salvo che non siano presenti disposizioni specifiche nello
statuto della società;
26
Bainbridge S.M., “Corporate Law”, Foundation Press, 2009, pag. 74
Bainbridge S.M., ult. cit., pag. 74
28
Croci E., cit., pag. 29
29
Croci E., cit., pag. 29.
30
Fairfax L.M., “Mandating Board-Shareholder Engagement?”, Un. of Illinois Law Review, 2013, p .826.
31
Ventoruzzo M., “Empowering Shareholders in Directors’ Elections: A Revolution in the Making”, ECFR, 2011, pag.
108.
27
14 IV.
la rimozione dei consiglieri è particolarmente difficile nei c.d.
“staggered boards”. Questi consigli di amministrazione sono particolari
perché composti da amministratori che ricevono mandati di durata
differente32, con il risultato che non tutto il board viene rinnovato nello
stesso momento e divenendo così difficoltoso l’ottenimento di una
rapida sostituzione della maggioranza dei suoi componenti33;
V.
a determinate condizioni e con una serie di eccezioni, gli azionisti
possono avanzare proposte di delibera da votare in assemblea.
Questa possibilità è regolata dalla Rule 14(a)-8 della SEC, che
prevede che ogni azionista che, per un periodo di almeno un anno,
abbia detenuto azioni per un controvalore di almeno $2.000, possa
includere una e una sola proposta nel materiale distribuito dalla
società per l’assemblea annuale (c.d. proxy materials).
Solitamente la proposta richiede voto a favore o contro uno specifico
argomento, e deve essere presentata almeno 120 giorni prima che il
materiale sia spedito a tutti gli azionisti.
Va tuttavia rilevato che, anche se la proposta ottiene la maggioranza,
essa non è vincolante per il consiglio di amministrazione, il quale può
ignorarla legittimamente. Le proposte degli azionisti hanno, infatti,
valenza di mera raccomandazione non vincolante (c.d. “precatory
recommendations”).
Inoltre, secondo la disciplina della SEC, alcune di queste proposte
possono essere ritenute improprie34, e possono dunque essere escluse
dalla
votazione;
le
società
–
tramite
soprattutto
il
proprio
management - possono chiedere alla SEC di escluderne alcune se
32
Alle società statunitensi è permesso di adottare questo modello di board tramite statuto. Secondo il modello, il board
può essere diviso in due o tre classi di mandato, a seconda che il mandato sia rispettivamente di due o tre anni. Se il
board è diviso in due classi di amministratori, solo metà di essi sono soggetti a rielezione, mentre se sono presenti tre
classi solo un terzo del board è annualmente soggetto a scadenza del mandato. 33
A differenza di diversi ordinamenti europei – tra cui anche l’italiano - l’utilizzo di clausole c.d. “simul stabunt, simul
cadent” non risulta diffuso nel sistema societario statunitense.
34
La Rule 14(a)-8 determina i seguenti casi in cui le proposte possono essere ritenute improprie:
- se violano la legge statale;
- se violano la legge federale;
- se violano delle proxy rules;
- se vi è un reclamo personale o un interesse personale;
- se sono di argomento rilevante;
- se sono presentate nonostante l’assenza di potere/ autorità;
- se fanno riferimento a funzioni spettanti al management o all’elezioni del board;
- se sono in conflitto con le proposte della società;
- se sono sostanzialmente già state implementate;
- se rappresentano duplicati o riproposizioni di proposte già presentate.
15 violano determinate condizioni.
Risulta dunque molto facile l’esclusione.
La
legislazione
statunitense
appare,
dunque,
sbilanciata
a
favore
del
management, a discapito degli azionisti, i quali hanno pochi strumenti per
poter difendere efficacemente, sul piano civilistico-societario, i propri interessi:
ciò ha portato ad una continua ricerca ed elaborazione da parte degli azionisti
della disponibilità di strumenti di maggior influenza e potere all’interno
dell’assemblea.
4. L’intensificazione del rapporto tra management e azionisti
Negli anni più recenti gli investitori istituzionali hanno iniziato ad acquisire
crescente autorità in merito alle elezioni degli amministratori e a materie di
governance, mostrando propensione a usare le loro prerogative in maniera più
attiva; è cresciuta la domanda di una sempre maggiore comunicazione con la
società in generale
35
e di una maggior interazione con il consiglio di
amministrazione in particolare. Questo potrebbe, in effetti, aiutare a limare le
frizioni tra azionisti e management, facendo sentire i primi una parte
importante della società e non solo un elemento secondario ed accrescendo
anche il senso di accountability del management verso i medesimi.
4.1. I potenziali benefici
I potenziali vantaggi offerti da una maggiore partecipazione degli azionisti alla
vita sociale sembrano di gran lunga superare gli svantaggi.
I primi sono riassunti nello studio di Lisa M. Fairfax dell’Università di Illinois36.
Una miglior comprensione delle istanze degli azionisti permette alla società (e
per essa agli amministratori) di considerare ed eventualmente di tener conto di
tali istanze all’interno delle politiche di gestione, in modo tale da essere meglio
preparata a rispondere in maniera adeguata alle loro esigenze.
Un forte impegno attivo degli azionisti accresce, del resto, la capacità della
35
36
Fairfax L.M., cit., pag. 821.
Fairfax L.M., cit., pag. 821 e ss.
16 società di “educare” la propria base degli stessi azionisti, nel senso che è data
così la possibilità al board di illustrare le politiche societarie adottate, le
motivazioni considerate e le prospettive valutate, riducendo il rischio di
incomprensioni tra management e azionariato37.
Un più stretto rapporto tra azionisti e board permette di costruire un più solido
supporto da parte degli azionisti alle politiche del board e rendere più sicuri gli
amministratori, che così non devono temere immotivatamente per la loro
carica e le loro funzioni gestionali.
Possono inoltre venirsi a creare alleanze tra management e shareholders che
aiutano a evitare takeover ostili, oppure combattere chi minaccia la società o la
sua attività38.
Da ultimo la società risulta più coesa e compatta sulle decisioni future e meglio
preparata
a
rispondere
ai
potenziali
problemi,
riducendosi
anche
la
conflittualità interna tra azionisti e board ed i costi relativamente connessi, non
solo in termini puramente monetari diretti ma anche di focalizzazione e di
risorse dedicate.
4.2. Le “vittorie” dell’attivismo degli azionisti
Tutte le conquiste ottenute dagli azionisti sono ascrivibili a battaglie condotte
per guadagnare maggior influenza, in modo tale da avere un ruolo più
importante.
Tra le prime vittorie vi è sicuramente la possibilità di utilizzare il sistema del
“majority voting” in luogo del “plurality voting”; quest’ultimo infatti penalizza
gli azionisti rendendo il loro potere di voto scarsamente significativo39.
Ancora, nel 2009 il NYSE (New York Stock Exchange) ha abolito la facoltà dei
broker di votare (in assenza d’istruzioni al riguardo) su determinate materie in
modo discrezionale per conto della clientela. In generale, la maggior parte
degli azionisti detiene le proprie azioni attraverso un broker in “street name”,
cioè le azioni sono registrate a nome del broker stesso.40 Ciò implica che la
37
Fairfax L.M., cit., pag. 833.
Fairfax L.M., cit., pag. 833.
39
Ventoruzzo M., cit., pag.109.
40
Yermack D.,“Shareholder Voting and Corporate Governance”, 2010, Forthcoming, Annual Review of Financial
Economics, pag. 6.
38
17 società non conosce il nome dell’azionista, ma solo la percentuale delle azioni
complessivamente detenuta da un broker41, e riceve l’esercizio del voto da
parte dell’intestatario formale delle azioni.
Prima della suddetta abolizione, i broker - se non ricevevano istruzioni di voto
entro i dieci giorni precedenti all’assemblea e se le materie su cui votare erano
di “routine”, cioè se i voti non erano su questioni che potessero cambiare i
diritti e i privilegi assegnati alle azioni - potevano votare discrezionalmente.42
Statisticamente i broker hanno sempre per lo più votato a favore delle
proposte formulate dal management, dunque i loro voti sono andati spesso
nella direzione di favorire il board43.
Alcuni attenti studi hanno messo in luce che, in alcune occasioni, se il voto
discrezionale non fosse stato consentito, i risultati delle votazioni sarebbero
stati rovesciati a favore di proposte degli azionisti44.
Come già osservato45, generalmente i consigli di amministrazione delle listed
companies americane sono a scadenza “scaglionata” (“staggered”), cioè gli
amministratori ricevono mandati di durata differente: ciò ne rende molto
complessa la rimozione.
Per anni gli azionisti attivisti hanno combattuto questa caratteristica, ma solo
recentemente
i
loro
sforzi
si
sono
dimostrati
produttivi
di
effetti;
“declassificare” il board permette, infatti, di sostituire anche la totalità degli
amministratori in un solo “ciclo”, e ciò rafforza il potere degli azionisti stessi sul
consiglio di amministrazione46.
Altra vittoria molto importante riguarda la c.d. “proxy access rule”.
In generale, negli Stati Uniti d’America, gli amministratori delle società quotate
sono eletti mediante adesione alle sollecitazione di deleghe di voto (“proxy
voting”); i nomi dei candidati individuati dal board sono indicati nei c.d. “proxy
materials”, i quali sono messi a disposizione, generalmente per via elettronica,
agli azionisti sollecitati all’adesione della raccolta di deleghe, i quali possiedono
generalmente un voto per ogni azione posseduta.
Con il termine “proxy access” ci si riferisce di norma alla possibilità data agli
41
42
43
44
45
46
Croci E., cit., pag. 32.
Yermack D., cit., pag. 8.
Croci E., cit., pag. 32.
Fairfax L.M., cit., pag. 827.
Vedi supra, capitolo 3, paragrafo IV, pag. 12.
Fairfax L.M., cit., pag.828.
18 azionisti di far includere un loro candidato tra tutti gli altri, e di avere in tal
modo accesso alle sollecitazioni di deleghe promosse dall’emittente.
Nell’agosto del 2010, dopo forti pressioni, la SEC ha approvato la Rule 14(a)11, che mette a disposizione due vie alternative per la gestione del “proxy
access”.
La prima possibilità prevede l’introduzione del diritto di porre un candidato di
propria scelta all’interno del c.d. “proxy statement”, documento contenente
informazioni importanti sui candidati47, fornito agli aventi diritto al voto: tale
diritto è riservato a coloro che hanno detenuto per almeno 3 anni il 3% delle
azioni della società48.
Come alternativa, la Rule in questione prevede la possibilità per gli azionisti di
poter avanzare proposte di modifica dello statuto concernenti l’adozione su
base statutaria di forme di “proxy access”49.
Nel 2011, tuttavia, la D.C. Circuit (cioè la Corte di Appello Federale), spesso
intervenuta anche in passato annullando o mettendo in discussione i
provvedimenti della SEC, ha annullato le disposizioni relative alla prima
possibilità sopra illustrata50, mentre, fortunatamente per gli azionisti, non è
intervenuta sulla possibilità di avanzare proposte di modifiche allo statuto51.
I dati più recenti su questa problematica mostrano come gli azionisti abbiano
tratto grande vantaggio da questo sistema di “proxy access proposals”52, e
come esso sia in generale uno strumento di vitale importanza per influenzare
gli esiti delle deliberazioni e le prassi delle società.
Infine, sempre nel 2010, con il c.d. Dodd-Frank Act53, il Congresso ha imposto
l’introduzione del meccanismo del c.d. “say on pay”, prevedendo l’obbligo,
nelle società quotate, di sottoporre periodicamente a voto assembleare
consultivo le politiche di remunerazione, soprattutto degli amministratori
esecutivi,
introducendo
una
maggior
forma
di
controllo,
oltre
che
di
trasparenza, sull’entità e sulle forme di retribuzione54.
47
L’elezione di un amministratore o candidati fino al 25% del board.
Fisch E. J., (2012) “The Destructive Ambiguity of Federal Proxy Access” Emory Law Journal, 2012, pag. 447.
49
Fairfax L.M., cit. pag. 828.
50
Fisch E.J., cit., pag. 452.
51
Fairfax L.M., cit., pag.828.
52
Fairfax L.M., cit., pag.829.
53
Si tratta di un complesso intervento voluto dall’Amministrazione Obama per regolare in maniera più stretta e
completa la finanza, incentivando al tempo stesso la tutela dei consumatori e dell’economia in generale.
54
Fairfax L.M., cit., pag. 829-30.
48
19 4.3. Le possibili problematiche
Sebbene dal punto di vista degli azionisti un legame più stretto con le società
non presenti particolari svantaggi, se non considerando i costi che si devono
sostenere per l’esercizio delle prerogative loro riconosciute, dal punto di vista
del board sono state sollevate diverse obiezioni e problematiche su cui è utile
riflettere.
La prima di esse è di carattere pratico: i manager, infatti, potrebbero non
avere sufficiente tempo e risorse per dedicarsi in maniera adeguata ed
efficiente al dialogo con gli azionisti55. Si calcola, infatti, che creare e coltivare
un legame stretto può richiedere un lasso di tempo che varia da una settimana
a un mese56, e non sempre è opportuno imporre ulteriori oneri a carico degli
amministratori.
D’altra parte, è stato anche osservato che un adeguato legame managementazionisti, riducendo la conflittualità interna, può al contrario determinare
risparmi di tempo e risorse.
Alcuni commentatori, in merito al tema del “dialogo”, sostengono anche
l’importanza
dell’esistenza
di
una
voce
unificata
e
non
frammentata,
espressione di un impegno condiviso verso gli obiettivi societari nonché di
solidità interna57.
Altri, invece, sostengono che in realtà gli azionisti attivi non abbiano sempre
un vero e proprio interesse verso una condivisione d’idee con la società,
mentre spesso siano intenzionati ad usare le prerogative degli azionisti per
interessi puramente personali.
Alcuni studi hanno messo in luce come diversa sia, per il management e per gli
azionisti, la percezione di cosa costituisca realmente una collaborazione di
successo e questa differenza di percezione, talvolta anche significativa, può
portare a risultati negativi 58 : una relazione di dialogo insoddisfacente può
aumentare il malcontento tra gli shareholders, in particolare verso i manager,
55
Fairfax L.M., cit., pag. 838.
Fairfax L.M., cit., pag. 838.
57
Fairfax L.M., cit., pag. 839-40.
58
Gli azionisti possono divenire “frustrati” se il dialogo non si muove oltre quello che è il semplice parlare, mentre il
board può vedere il dialogo stesso solo come un successo, senza la necessità di prendere decisioni pratiche.
56
20 e può anche portare a strumentalizzazioni soprattutto quando gli azionisti
stessi siano maggiormente interessati allo sfruttamento delle loro prerogative
per perseguire propri interessi personali59.
4.4. I nuovi strumenti in materia di governo societario
Nell’ordinamento giuridico americano le forme tradizionali di comunicazione tra
azionisti e società sono: (i) l’assemblea annuale, (ii) il “proxy statement”
nell’ambito di una “proxy solicitation”, e (iii) il processo di “shareholder
proposal”.
Tali istituti, di per sé soli, sembrano però inadatti, o almeno non totalmente
soddisfacenti, per creare quella relazione di dialogo virtuoso cui si è accennato
sopra60. Recentemente si sono dunque sviluppati o sono stati proposti alcuni
strumenti alternativi per tentare di ovviare al problema.
Il primo di questi è la c.d. “Fifth Analyst Call”, cioè una teleconferenza tra gli
azionisti e la società che si concentra esclusivamente su problemi di corporate
governance.
Secondo
il
lavoro
di
Krajeski,
questa
teleconferenza
-
della
durata
approssimativa di 60-90 minuti - dovrebbe utilizzare i diritti e le responsabilità
fornite dal Dodd-Frank Act per incoraggiare il buon governo societario, aiutare
gli investitori a comprendere le strategie societarie, promuovere il dialogo sui
“proxy statement” ed essere utilizzata come piattaforma comune per risolvere
determinate problematiche61.
Vi è poi la possibilità di organizzare incontri tra gli amministratori della società
e gli azionisti al di fuori dell’assemblea annuale: da un lato, questi incontri
migliorano la qualità della comunicazione e rafforzano i rapporti reciproci,
dall’altro, però, rappresentano un nuovo costo e perdono la loro utilità se
diventano meccanici e seguono un copione già predefinito62.
Altri autori hanno invece proposto cambiamenti strutturali come, per esempio,
la creazione di una funzione vicina al board che si occupi esclusivamente del
59
Fairfax L.M., cit., pag. 838.
Fairfax L.M., cit., pag. 843.
61
Krajeski A., “Request for Investor Dialogue: Fifth Analyst Call on Corporate Governance and the Proxy Statement”,
2010, disponibile presso http://www.shareholderforum.com/e-mtg/Library/20101201_FifthAnalyst.pdf, pag. 1 e ss.
62
Fairfax L.M., cit., pag. 851.
60
21 rapporto con gli azionisti. Certamente la sua utilità sarebbe apprezzabile per la
focalizzazione del dialogo tra società e azionisti, senza dispersione di energie e
risorse invece da mantenere focalizzate sulla gestione imprenditoriale63. Questi
ulteriori incontri hanno tuttavia posto la questione della loro natura, cioè se
essi debbano essere considerati incontri pubblici (ufficiali) o privati: da una
parte la natura privata permetterebbe una comunicazione più veloce, spigliata
e costruttiva, ma potrebbe sorgere un problema di trasparenza con il mercato
che a tali incontri non parteciperebbe, dall’altra, più persone vi partecipano –
quindi più se ne accentua il carattere pubblico o ufficiale - meno proficui essi
rischiano di diventare64.
Nel complesso, l’opinione maggioritaria ritiene che i costi e i rischi di un
rapporto stretto tra consiglio di amministrazione e azionisti siano stati in larga
parte sovrastimati, e comunque i benefici da esso derivanti dovrebbero essere
maggiori rispetto a tali costi e rischi.65.
5. L’evoluzione del ruolo degli amministratori indipendenti
Lo strumento forse più forte di cui gli azionisti delle società quotate americane
dispongono per fare sentire la propria voce all’interno della società, è la
presenza di amministratori indipendenti nel consiglio d’amministrazione66.
La definizione italiana migliore di amministratore indipendente, simile a quella
statunitense67, è data dal Codice di Autodisciplina delle società quotate (art.
3): si definisce amministratore indipendente chi non intrattiene né ha di
recente intrattenuto, neppure indirettamente, con l’emittente o con soggetti
legati all’emittente, relazioni tali da condizionarne nel presente l’autonomia di
giudizio.
Ad oggi il New York Stock Exchange68 rende obbligatoria per le società quotate
la composizione del board a maggioranza di amministratori indipendenti, a
63
Fairfax L.M., cit., pag. 852.
Fairfax L.M., cit., pag. 852.
65
Fairfax L.M., cit., pag. 856.
66
Ventoruzzo M., cit., pag. 108-109.
67
Una delle definizioni fornite dalla NYSE è” nessun amministratore può essere qualificato come 'indipendente' a meno
che il consiglio di amministrazione determina affermativamente che egli non ha 'alcuna relazione materiale' con la
società quotata, né direttamente né come socio, azionista o funzionario di un'organizzazione che ha un rapporto con la
società”
68
Nel novembre del 2003 la SEC approva tutta una serie di norme specifiche per le società quotate riguardo agli
amministratori indipendenti, proposte dal Nasdaq e NYSE (sezione 3 del NYSE Manual).
64
22 meno che un azionista non detenga oltre il 50% delle azioni totali.
La
presenza
di
manager
indipendenti
garantisce
la
ricerca
della
massimizzazione del shareholder value, e interviene su due problematiche69.
In primo luogo gli amministratori indipendenti rappresentano uno strumento di
controllo della fedeltà degli altri amministratori verso gli obiettivi degli
azionisti, evitando che i primi perseguano solo i propri interessi.
Inoltre, essi incrementano l’affidabilità delle comunicazioni fornite dalla società
al mercato, contribuendo così a fare dei prezzi delle azioni un strumento
maggiormente credibile per l’allocazione degli investimenti e una misura
migliore della performance dell’azienda70.
Negli Stati Uniti, nell’ultimo mezzo secolo si è verificato un cambiamento
importante nella composizione del board, con una sempre minor presenza di
manager affiliati alla società, come mostrato nella tabella seguente71.
Nonostante ciò, gli amministratori indipendenti non hanno sempre avuto il
ruolo
che
ricoprono
oggi;
esso
è
cambiato
con
gli
anni
assumendo
caratteristiche anche particolari.
5.1. Verso
l’affermazione
della
figura
degli
amministratori
indipendenti
Gli anni ‘50 furono gli anni del “managerialismo” nei sistemi di governo
69
Gordon J.N., “The Rise of Independent Directors in the United States, 1950-2005: of Shareholder Value and Market
Prices”, 2007, pag. 1469.
70
Gordon J.N., cit., pag. 1469.
71
La tabella che utilizza dati di Lehn ed altri; il cambiamento percentuale è calcolato da Gordon J.N. stesso.
23 societario statunitense: la figura dominante era quella del CEO (Chief
Executive Officer), il quale nominava il board e lo utilizzava in realtà solo come
uno strumento passivo di consultazione. Le politiche societarie erano decise
esclusivamente dal CEO e le sue decisioni erano difficilmente contestabili72.
Oltre alla ricerca del profitto societario, le altre due caratteristiche delle società
erano il tentato bilanciamento tra gli obiettivi degli azionisti e la centralità del
management come pianificatore.
In questo periodo si parla dunque di “advisory board” piuttosto che
“monitoring board” 73 : la differenza consiste nel fatto che, nel primo, la
crucialità risiede nella fiducia del CEO nel consiglio di amministrazione, nel
secondo, le posizioni sono invece invertite74.
Di seguito, negli anni ‘70 ci furono due scandali che contribuirono a cambiare
la concezione di corporate governance e a virare più verso un modello di
“monitoring board”: il collasso della Penn Central Railroad 75 e lo scandalo
Watergate76.
Partendo da questi elementi si riesce a capire cosa spinse le varie riforme degli
anni ’70: come già detto il modello di board prevalente divenne rapidamente
quello di “monitoring” e si iniziarono a creare i primi comitati di controllo
interni al consiglio di amministrazione77. Nel 1976 la SEC richiese al NYSE di
correggere i requisiti di listing per le società quotate, introducendo la presenza
di un comitato di controllo, formato da amministratori indipendenti, che avesse
accesso anche alle informazioni di bilancio78.
Gli anni ‘80 furono cruciali per l’interconnessione tra la presenza di
amministratori indipendenti e l’obiettivo della crescita di valore per gli azionisti
(“shareholder value”), che in tali anni si affermò quale teoria dominante per il
successo della società.
Questo decennio è anche conosciuto con nome di “Deal Decade”, poiché
72
Gordon J.N., cit., pag. 1511.
Gordon J.N., cit., pag. 1511.
74
Gordon J.N., cit., , pag. 1511. Questa concezione managerialista derivava anche da idee politiche che si erano
sviluppate negli Stati Uniti a seguito della seconda guerra mondiale e la contrapposizione al Comunismo. Il
management s’identificava nella contesa ideologica contro quest’ultimo riguardo il sistema produttivo (Gordon J.N.,
cit., pag. 1511), ed anzi, in generale, era considerata poco etica l’attività dei manager che agivano solo nell’interesse
degli azionisti tralasciando quello degli impiegati e dei consumatori. (Baumhart R.C., “How Ethical are Businessmen?”
1961, Harvard Business Review pag. 9-10).
75
La bancarotta della Penn Central Railroad può essere paragonata al più recente caso Enron; la società infatti era
considerata una delle più promettenti e redditizie blue chip, e il suo collasso fu uno shock per il mercato.
76
Lo scandalo dei pagamenti illeciti nella vicenda Watergate fece invece risaltare all’opinione pubblica quanto poco i
board potessero sapere delle politiche di bilancio societarie.
77
Gordon J.N., cit., pag. 1518.
78
Gordon J.N., cit., pag. 1519.
73
24 sebbene le “scalate amichevoli” siano state numericamente superiori alle
offerte pubbliche di acquisto ostili, queste ultime furono la vera minaccia
concreta di quel periodo79.
Gli anni ‘80 furono anche gli anni in cui gli investitori istituzionali iniziarono a
investire massicciamente nelle società quotate, arrivando a detenere quote
anche del 40% dell’intero mercato azionario.
Gli amministratori indipendenti acquisirono importanza, anche agli occhi del
management, perché rappresentavano la miglior difesa possibile contro
acquisizioni ostili80: i manager indipendenti, infatti, erano chiamati a valutare
l’offerta in maniera imparziale, decidendo se essa fosse conforme al valore
intrinseco della società81.
In questa prospettiva il ruolo degli amministratori indipendenti divenne cruciale
per preservare l’autonomia del management dal controllo esterno del mercato;
il management stesso incoraggiava anzi la presenza al suo interno di soggetti
indipendenti82.
Anche il ruolo del CEO negli ultimi anni del ventesimo secolo subì cambiamenti
importanti: in particolare, si alzarono in maniera spropositata i compensi e
diminuì di molto la durata del mandato. La ricerca della massimizzazione dello
“shareholder value” fu riconosciuta come scopo ultimo societario e, in questa
maniera, il valore per gli azionisti divenne la principale linea guida per
l’articolazione degli strumenti di corporate governance83.
Rispetto alle idee degli anni ‘50, a mutare fu peraltro anche la concezione del
mercato: se prima si riteneva che fosse l’azienda a creare e a controllare il
mercato, negli anni ‘90 si tende invece a riconoscere nei segnali provenienti dal
mercato un’importante indice di orientamento della gestione sociale84.
Negli anni 2000 i disastri di Enron, WorldCom e altri mostrarono la debolezza
del sistema che si era venuto ad affermare negli anni ’90 e s’iniziò a cercare
nuovi ruoli per gli amministratori indipendenti e nuovi standard per definire
79
Si calcola, infatti che un quarto delle maggiori società statunitensi furono oggetto di offerte non gradite e spesso
molte scalate amichevoli si svolsero con alle spalle la possibile minaccia di un takeover (in molte occasioni la differenza
tra scalata ostile e amichevole dipende solo dalle tempistiche nelle quali l’offerta è resa pubblica) - Mitchell L.M. &
Mulherin J.H., “The Impact of Industry Shocks on Takeover and Restructuring Activity”, 1996, J. Fin. Econ, pag. 193.
80
Gordon J.N., cit., pag. 1522.
81
Lipton M. (1979), “Takeover Bids in the Target’s Boardroom”, 1979, Bus. Law 101, pag. 119-22.
82
Gordon J.N., cit., pag. 1526.
83
Gordon J.N., cit., pag. 1526.
84
Gordon J.N., cit., pag. 1535.
25 l’indipendenza85.
Il sistema precedente si concentrava sulla negoziazione del board indipendente
con i manager per determinare sia compensi sia durata del mandato,
utilizzando misure relative al valore delle azioni. I board avevano, tuttavia,
dato prova fallimentare nell’arginare i problemi c.d. di “moral hazard”, in
particolare modo per quanto riguarda la manipolazione dei risultati finanziari86,
legati a piani di compensi basati per la maggior parte su azioni.
In realtà, i fallimenti e le manipolazioni mostrarono non tanto la responsabilità
degli amministratori indipendenti, quanto la colpa di chi professionalmente
avrebbe dovuto controllare, come le authorities, in primis, nonché revisori,
consulenti, analisti e agenzie di rating87.
In risposta a questi scandali, a seguito dell’approvazione del Sarbanes-Oxley
Act88, il Congresso e la SEC hanno affidato il compito di riforma dei consigli di
amministrazione principalmente all’autoregolamentazione, ovvero alle società
di gestione delle borse.89 Il NYSE, il NASDAQ (National Association of Securities
Dealers Automated Quotation) e l’AMEX (American Stock Exchange) hanno
reagito correggendo i loro listing standards per le società quotate, definendo in
maniera chiara la figura degli amministratori indipendenti 90 , aumentando i
poteri e i doveri dei comitati di audit91, così come quelli degli amministratori
indipendenti.
85
Gordon J.N., “Governance Failures of the Enron Board and the New Information Order of Sarbanes-Oxley”, 2003,
Conn. L. Rev. pag. 1125.
86
Gordon J.N., cit. pag. 1536.
87
Gordon J.N., cit., pag. 1536.
88
Il Sarbanes-Oxley Act è una legge federale approvata dal governo statunitense nel 2002, in risposta ai diversi
scandali finanziari di quel periodo (Enron, WorldCom, Tyco International). Questa legge mira a colmare lacune nella
legislazione statunitense, al fine di migliorare la corporate governance e garantire maggior trasparenza delle scritture
contabili, agendo anche in ambito penale incrementando la pena nei casi di falso in bilancio e simili.
89
Bainbridge S.M., ult. cit., pag. 80.
90
Il NYSE Listed Company Manual §303A.02 per esempio, fornisce i seguenti casi per verificare se un amministratore
si possa definire indipendente o meno:
(a) Nessun amministratore si qualifica come “indipendente” a meno che il consiglio di amministrazione non
determina che il soggetto in questione non ha nessuna relazione materiale con il board.
(b) Inoltre un amministratore non è indipendente se:
(i)
L’amministratore è, o è stato nei tre anni precedenti, un impiegato della società, o un parente stretto
è, o è stato nei tre anni precedenti, amministratore delegato della società.
(ii)
L’amministratore, o un parente stretto, ha ricevuto, in un periodo che va dai dodici mesi ai tre anni
precedenti, compensi diretti per più di $100.000.
(iii)
L’amministratore o un parente stretto è ora partner di una società che è il revisore della società
quotata.
(iv)
L’amministratore o un parente stretto è, o è stato negli ultimi tre anni, amministratore delegato di
un’altra società dove almeno uno degli amministratori delegati della stessa allo stesso tempo è, o è
stato, membro del comitato dei compensi.
(v)
L’amministratore è impiegato, o un parente stretto è amministratore delegato , di una società che ha
fatto, o ha ricevuto pagamenti per servizi dalla società quotata per somme che eccedano $1 milione
o 2% del fatturato.
91
I comitati audit sono composti da amministratori indipendenti che discutono i risultati finanziari della società, senza
la supervisione del management; devono quindi assicurarsi che il bilancio rappresenti in maniera chiara e veritiera la
situazione finanziaria della società.
26 Oggi i board e in particolar modo i comitati di audit, hanno lo specifico compito
di sorvegliare i rapporti tra società e revisori, nonché sorvegliare l’andamento
finanziario e la sua comunicazione all’esterno.
6. L’attività della SEC nella disciplina societaria
In merito al governo societario statunitense e alle sue caratteristiche, non si
può evitare di soffermarsi sulla SEC e sul ruolo da essa svolto nella formazione
della normativa in materia. Come già osservato, non esiste negli Stati Uniti una
legislazione federale uniforme in materia societaria, bensì ogni Stato adotta
una propria legge nazionale.
Nonostante ciò, spetta alla SEC, in ragione di provvedimenti federali dalla
stessa emanati in base alle previsioni del Securities Act (1933), del Securities
Exchange Act (1934) e dell’Investment Company Act (1940), dettare, per la
maggior tutela degli investitori e del mercato, regole e principi rilevanti anche
nella materia della corporate governance.
6.1. L’evoluzione degli interventi della SEC maggiormente rilevanti
La legislazione federale riguardante gli strumenti finanziari venne stabilita per
la prima volta con il Securities Act del 1933, negli anni del c.d. “New Deal”.
L’anno successivo venne emanato il Securities Exchange Act (SEA) per
regolare la disciplina dello scambio di titoli nei mercati secondari 92 . In
quest’ultimo testo normativo, in particolar modo nella Section 14, sono
conferiti poteri regolamentari alla SEC in merito alla disciplina della raccolta di
deleghe di voto e per assicurare un “adeguato suffragio societario”. Prima degli
anni del “New Deal” la raccolta di deleghe pur essendo ampliamente diffusa,
non riusciva a scalfire i processi di auto-selezione degli amministratori o la
nomina da parte dei gruppi dominanti 93 . Spesso, infatti, le deleghe erano
acquisite dagli azionisti senza un’adeguata informativa preliminare sugli
argomenti oggetto di voto ed erano in realtà composte solo da una cartolina
92
Murphy E. M., “The Nominating Process of Corporate Boards of Directors: a Decision-Making Analysis”, 2008,
Berkeley Business Law Journal, pag. 133.
93
Murphy E.M., cit., pag. 133-134.
27 sulla
quale
l’azionista
era
sollecitato
ad
apporre
la
propria
firma
e
ritrasmetterla al mittente, così conferendo la delega.
Sempre la Section 14 del SEA definiva i principi generali che sono alla base
della disciplina anche delle deleghe odierne: le sollecitazioni di deleghe ancora
oggi devono essere accompagnate dal c.d. “proxy statement”, che a sua volta
deve essere depositato alla SEC prima di essere distribuito al pubblico94.
Nel 1942 la SEC considerò l’introduzione di alcune riforme riguardanti la
possibilità per gli azionisti di presentare proprie candidature per la carica di
amministratore: questa riforma però non andò mai definitivamente in porto95.
La proposta iniziale prevedeva che se un azionista avesse notificato al
management la volontà di nominare un candidato amministratore durante
l’assemblea annuale, il management stesso avrebbe dovuto includere tale
candidato nella lista fornita dalla società. Cinque anni dopo la SEC,
apparentemente considerando che i tempi non fossero ancora maturi per una
riforma di una tale portata, chiuse la strada all’introduzione delle nuove
norme96.
Nel 1977 la SEC annunciò la volontà di condurre un riesame dell’impatto della
c.d. “proxy rule” sulla corporate governance97.
In quello stesso periodo fu pubblicato un articolo del professor Seligman98, nel
quale l’autore invitava la SEC a dare la possibilità agli azionisti di nominare i
propri candidati. Lo stesso Seligman dava atto dei problemi relativi alla
definizione di un sistema di proxy societaria che consentisse agli shareholder
di nominare dei propri candidati ma che allo stesso tempo non appesantisse il
processo di elezione a causa dell’elevato numero di candidati stessi99.
Prendendo spunto da queste argomentazioni, la Commissione si limitò a
disciplinare le dichiarazioni informative100, ma pospose la regolamentazione su
“materie più complesse” dopo la preparazione di un report in argomento più
completo101.
Tale report, pubblicato nel 1980, suggerì ulteriori studi approfonditi prima di
94
Murphy E.M., cit., pag. 135.
Murphy E.M., cit., pag. 136.
96
Murphy E.M., cit., pag. 136.
97
Re-examination of Proxy Rules, Exchange Act Release No. 13,428, Fed. Sec. L. Repag., 1977.
98
Seligman J. , “The Securities and Exchange Commission and Corporate Democracy”, 1978, Univ. Dayton Law
Review, pag. 9-10.
99
Murphy E.M., cit., pag. 135.
100
Proxy Amendments, Exchange Act Release No. 15 384, Fed. Sec. L. Repag., 1978.
101
Murphy E.M., cit. pag. 135.
95
28 qualunque altra iniziativa concreta. Nello stesso anno però, con l’avvento
dell’amministrazione repubblicana, l’attività della SEC in questa materia si
arrestò102.
A seguito degli scandali finanziari che hanno visto coinvolte Enron e altre
società nei primi anni duemila, la Commissione intraprese la revisione delle
proxy rules sull’elezione degli amministratori.
A esito del processo di consultazione avviato, la divisione di Corporate Finance
della SEC propose una norma piuttosto complessa, chiamata Rule 14(a)-11,
sulla base della quale il diritto di accesso ai “proxy materials” societari sarebbe
stato garantito agli azionisti solo a seguito del verificarsi di uno dei “triggering
events103” espressamente previsti104.
Questa proposta di modifica fu di grande impatto e suscitò molte critiche.
In
particolare
Business
Roundtable
105
dichiarò
che
il
consiglio
di
amministrazione “deve funzionare come una squadra, in un clima di fiducia
reciproca, affinché sia efficace”106. Temeva, infatti, che l’elezione di candidati
voluti dagli azionisti avrebbe influito sulle dinamiche del board, impedendo allo
stesso di funzionare a dovere.
A seguito delle preoccupazioni espresse dalla comunità, la SEC non attuò mai
la versione Rule 14(a)-11 del 2003.
Nell’agosto del 2009 divennero peraltro efficaci gli emendamenti alla legge del
Delaware, precedentemente approvati dal Governatore dello Stato nell’aprile
del medesimo anno. Secondo le modifiche del Titolo 8, la nuova Sezione 112
del Codice del Delaware consente alle società la possibilità di adottare
disposizioni statutarie per garantire agli azionisti accesso al “corporate proxy
statement”, in modo tale da nominare candidati amministratori di propria
scelta107.
A seguito di questo cambiamento normativo, nel giugno del 2009 la SEC
102
Murphy E.M., cit., pag. 135.
Gli “eventi scatenanti” previsti erano 2:
-­‐
se nella votazione su un candidato del management nella precedente assemblea annuale si registrava
un’astensione maggiore del 35%.
-­‐
se una proposta promossa da un gruppo azionario con più del 1% dei voti totali che prevedeva che la società
fosse soggetta alla nuova rule 14(a)-11 riceveva più del 50% all’assemblea degli azionisti.
104
Murphy E.M., cit., pag. 141.
105
É un gruppo di CEO (generalmente di stampo conservativo) provenienti dalla maggiori società americane.
106
Murphy E.M., cit., pag. 142.
107
An Act to Amend Title 8 of the Delaware Code Relating to the General Corporation Law, H.R. 145th Gen. Assemb.,
Reg. Sess. (Del. 2009).
103
29 propose una nuova versione della Rule 14(a)-11108, nonché di correggere la
Rule 14(a)-8(i)(8) per fare sì che le società potessero includere nei loro “proxy
statement” indicazioni sulle procedure di nomina, a condizione che le stesse
non fossero in conflitto con la nuova Rule 14(a)-11109.
Nel 2010 la SEC ha approvato sia la Rule 14(a)-11 sia la correzione della Rule
14(a)-8(i)(8)
110
. La prima era molto simile a quella proposta l’anno
precedente: i cambiamenti riguardarono principalmente la percentuale di azioni
necessaria e il c.d. holding period111.
Nell’ottobre del 2010 Business Roundtable e la Camera di Commercio degli
Stati Uniti contestarono tuttavia la legittimità della Rule appena approvata112,
in quanto ritenuta arbitraria e in violazione dell’Administrative Procedure Act
(APA)113; si imputava inoltre
alla SEC di avere fallito nell’analisi sull’impatto
della Rule 14(a)-11 in tema di “efficiency, competition and capital formation”,
come richiesto dal Securities Exchange Act del 1934114.
Alla fine il D.C. Circuit (Corte di Appello Federale), annullò la Rule 14(a)-11,
riconoscendo la fondatezza delle argomentazioni di Business Roundtable115,
ed in particolare la mancata considerazione da parte della SEC degli impatti
della Rule.
Sin dalla crisi economica del 2008 la Securities Exchange Commission è stata
oggetto di forti critiche e di numerosi attacchi per incompetenza, inaffidabilità e
incapacità di formulare regole adeguate 116 . L’inefficacia della stessa azione
della SEC a tutela delle norme da essa proposte e le conseguenti abrogazioni di
tali norme proposte hanno minato in certa misura l’autorevolezza e l’efficacia
del processo di regolamentazione condotto dalla SEC determinando una falla
nel processo di formazione di regole condivise anche a seguito del confronto
con gli operatori del mercato e di metodi analitici costi/benefici che possano
108
Fairfax L.M., “Delaware’s New Proxy Access: Much Ado About Nothing?” , 2009,Tennessee Jour. of Bus. Law pag.
95.
109
Fairfax L.M., ult. cit., pag. 96.
110
Fisch E.J., cit., pag. 447.
111
Si è passati da una percentuale necessaria dell’1%-5% (a seconda della dimensione della società) e holding period
di un anno, ad una percentuale del 3% con holding period di 3 anni.
112
Fisch E.J., The Destructive, pag. 451.
113
Atto che determina le regole entro le quali le agenzie amministrative del governo possono proporre e stabilire
regole.
114
Fisch E.J., “The Long Road Back: Business Roundtable and the Future of SEC Rulemaking”, 2012, Uni. Of
Pennsylvania Law Sch. pag. 7
115
Fisch E.J., ult. cit., pag. 7.
116
Fisch E.J., ult. cit. pag. 12.
30 essere considerati benchmark di settore117.
7. Cenni sulla normativa europea e italiana in materia di
corporate governance
Per comprendere meglio quali siano i problemi di corporate governance
inerenti al modello statunitense, può risultare utile confrontarne la normativa
di governo societario con quella corrispondente europea, e in particolar modo
italiana, in modo tale che meglio si evidenzino le differenze e le peculiarità dei
diritti degli azionisti statunitensi.
Esistono notevoli differenze tra gli ordinamenti europei e quello statunitense.
Ad esempio nella legislazione della Gran Bretagna è obbligatorio concedere agli
azionisti la possibilità di proporre modifiche allo statuto societario, senza
necessità di approvazione preventiva del consiglio di amministrazione, oppure,
in ragione della presenza del c.d. ”cumulative majority voting”, dove ogni
consigliere deve ricevere la maggioranza dei voti a favore per essere eletto, è
possibile
rimuovere
un
consigliere
anche
senza
che
sia
presentata
un’alternativa per il suo sostituto.
Per converso, le regole per sottoporre proposte da votare in assemblea sono
più stringenti rispetto agli Stati Uniti: solo azionisti con non meno del 5% del
capitale possono presentare proposte da votare in assemblea, vincolanti poi
per la società in caso di successo118.
Le regole sono meno rigide in Francia, dove la titolarità di una partecipazione
del 5% è sufficiente sia per presentare proposte da votare, sia per richiedere la
convocazione dell’assemblea ordinaria; allo stesso modo accade in Norvegia e
Germania. In Olanda la percentuale per richiedere l’assemblea ordinaria è del
10%, mentre in Austria basta solo l’1%.
Di fondamentale importanza per la legislazione europea in materia di corporate
governance è la Direttiva 2007/36/CE, c.d. “Shareholders’ Right Directive”,
relativa all’esercizio dei diritti degli azionisti di emittenti quotati, recepita in
117
118
Fisch E.J., ult.cit. pag. 14.
Croci E., cit., pag. 66.
31 Italia con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27 e successive modificazioni.
Questa Direttiva mira ad ampliare i poteri degli azionisti, in particolar modo
quelli di minoranza e a stimolarne l’effettiva partecipazione alla vita societaria.
Nelle società italiane si riscontra la presenza massiccia di azionisti di controllo:
spesso sono famiglie che detengono la maggioranza dei voti nelle società
quotate. I fondi pensione solo in tempi più recenti sono stati introdotti
nell’ordinamento italiano e non hanno ancora assunto un ruolo paragonabile119
a quello che hanno negli Stati Uniti.
Gli ultimi vent’anni sono stati di fondamentale importanza per l’Italia in
materia di governo societario.
Nel 1998 è stato introdotto il Testo Unico della Finanza (“TUF”) o “legge
Draghi”120, che ha mitigato il peso preponderante degli azionisti di controllo e
reso il contesto normativo più favorevole121 agli azionisti di minoranza.
Altre innovazioni legislative sono state introdotte nel 2003, nel 2005 e nel
2010.
Nel 2003 vi è stata una vera e propria riforma del diritto societario con i d.lgs.
del 17 gennaio 2003, n. 5 e n. 6: entrata in vigore nel 2004, la riforma del
diritto societario, con la modifica del Codice Civile, ha aperto la possibilità per
le società italiane di adottare uno fra tre modelli alternativi di governo
societario.
122
Oltre al sistema tradizionale italiano, che prevede la presenza di
due organi di nomina assembleare123, sono stati introdotti il sistema dualistico,
di ispirazione tedesca, e quello monistico, di stampo anglosassone. Il primo
prevede un consiglio di sorveglianza di nomina assembleare e un consiglio di
gestione nominato dal consiglio di sorveglianza; il sistema monistico prevede,
invece, il consiglio di amministrazione e un comitato per il controllo sulla
gestione, costituito al suo interno124.
Obiettivo sostanziale di questa riforma è stato quello di semplificare la
disciplina delle società di capitali e di ampliare lo spazio riconosciuto
all’autonomia statutaria con lo scopo di promuovere la nascita, lo sviluppo e la
119
120
121
122
123
124
Croci E., cit., pag. 186.
D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
Croci E., cit., pag. 187.
Croci E., cit., pag. 188.
Organo amministrativo (amministratore unico o consiglio di amministrazione) e collegio sindacale o sindaco unico.
Campobasso G.F., “Diritto Commerciale – Diritto delle Società”, 2012, UTET Giuridica, pag. 361.
32 competitività delle imprese italiane125.
Nel 2005 è stata approvata la legge n. 262 del 28 dicembre per la tutela del
risparmio e la disciplina dei mercati finanziari: questa legge ha introdotto il
cambiamento più rilevante per gli azionisti126 consistente nella estensione della
procedura del voto di lista, già prevista per il collegio sindacale, anche per
l’elezione degli amministratori e nell’obbligo di presenza di un amministratore
eletto dagli azionisti di minoranza per tutte le società quotate su mercati
regolamentati italiani o in paesi dell’Unione Europea127. In Italia il voto di lista
per l’elezione del consiglio d’amministrazione era già previsto per le società
controllate dallo Stato o da enti pubblici dalla legge n. 474/1994 sulle
privatizzazioni: per questi tipi di società era Assogestioni128, l’associazione di
categoria
del
risparmio
gestito,
tramite
il
suo
comitato
di
corporate
governance, a presentare le liste per l’elezione dei consiglieri129.
Attualmente la Consob è l’autorità di vigilanza preposta per la fissazione delle
soglie minime azionarie da soddisfare per la presentazione delle liste nelle
società quotate ai sensi dell’art 147-ter del TUF.
Queste soglie, che variano secondo le dimensioni della società, sono decise
dallo statuto entro i limiti stabiliti appunto dalla Consob (art. 144-quater Reg.
Emittenti) e che, in ogni caso, non possono essere superiori al 4,5% del
capitale sociale e, nel caso di società di grandi dimensioni130, inferiori allo 0,5%
del capitale sociale131. Questa possibilità data agli investitori di minoranza è
difficilmente riscontrabile in altre legislazioni132.
Il voto di lista non è comunque esente da problemi: in Italia esistono coalizioni
di controllo basate su intrecci azionari e i c.d. interlocking directorates, cioè la
pratica per cui un amministratore ha più incarichi nei board di più società.
125
Campobasso G.F., cit., pag. 148.
Croci E., cit., pag. 188.
127
In particolare, col voto di lista sono presentate due o più liste di candidati e ogni azionista può votare per una sola
lista; i posti in consiglio di amministrazione sono distribuiti in proporzione ai voti riportati da ciascuna lista, secondo
l’ordine di preferenza dei candidati-Campobasso G.F., Diritto commerciale, pag. 369.
128
Assogestioni è stata una delle prime associazioni di categoria attive nel campo della corporate governance fin dal
1994, con interventi mirati all’adozione del codice di autodisciplina, all’introduzione del voto di lista per le minoranze e
alla nomina di un sindaco delle minoranze come presidente del collegio sindacale, nonché spesso spiegazioni su
compensi dei manager e altri aspetti legati alla corporate governance.
129
Assogestioni individuava le società quotate con CdA e collegi sindacali in scadenza, e tra queste sceglieva l’insieme
delle società su cui concentrarsi per predisporre le liste. I criteri di scelta erano diversi come per esempio le rilevanza
della società, la sua governance, la presenza di investitori istituzionali internazionali ecc. Fatta la scelta, una societa
c.d. di head hunting, indipendente da Assogestioni, proponeva una rosa di candidati, in base alla quale poi
Assogestioni sceglieva i nuovi consiglieri e i sindaci.
130
Società la cui capitalizzazione di mercato è maggiore di euro 15 miliardi.
131
Campobasso G.F., cit., pag. 369.
132
Croci E., cit., pag. 189.
126
33 Nel caso della mancanza di un’adeguata verifica sull’indipendenza tra gli
azionisti che presentano diverse liste, il voto di lista può diventare occasione
per rafforzare le coalizioni informali di controllo133.
In materia di corporate governance le innovazioni più importanti sono state
quelle introdotte con la Direttiva 2007/36/CE sopra citata, recepita in Italia con
il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 27, entrato in vigore il 27 marzo dello stesso
anno. Nel 2012 il legislatore italiano ha ritenuto opportuno completare
definitivamente il recepimento della c.d. direttiva “Shareholders’ Rights”, con
l’emanazione del d.lgs. 18 giugno 2012 n. 91. Tale decreto, detto “Correttivo”,
ha inteso migliorare sotto il profilo formale e sostanziale la disciplina
dell’esercizio dei diritti sociali introdotta dal d.lgs. n. 27/10.134
Attraverso l’emanazione di questi decreti, il legislatore italiano, così come
quello europeo con la Direttiva, ha inteso creare condizioni sia legali sia
tecniche perché le assemblee si svolgano in modo tale da poter realizzare un
efficace confronto tra azionisti e il management, che tradizionalmente è
istituzionalizzato dal diritto societario al momento dell’assemblea.135
Le novità introdotte dal d.lgs. n. 27/2010 sono diverse e notevoli.
Vi è stata (art. 2367 cod.civ.) la riduzione della quota di partecipazione
necessaria per chiedere la convocazione dell’assemblea ordinaria: dal 10% al
5% per quanto riguarda le società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio, mentre per le altre la percentuale richiesta è del 10%, ma lo statuto
può derogare prevedendo percentuali ancora più basse. Gli amministratori, o i
sindaci in loro vece, devono obbligatoriamente convocare l’assemblea, e
qualora non lo facciano, la convocazione dell’assemblea è ordinata con un
decreto dal tribunale, il quale designa anche la persona che deve presiederla
(art. 2367 cod. civ.). Per evitare abusi da parte dei soci di minoranza, il
tribunale deve però preventivamente sentire l’organo di amministrazione o di
controllo, e verificare che il rifiuto sia ingiustificato.136
Sono stati modificati per le società con azioni quotate i termini per esercitare il
diritto a integrare l’ordine del giorno dell’assemblea: il diritto di chiedere
133
Ad esempio nell’assemblea di Generali del 2008, Benetton presentò una lista di minoranza pur essendo azionista
presente nel patto di Sindacato di Mediobanca, primo azionista di Generali.
134
Nocella S., “Diritti dei Soci, Informazione Societaria e Ruolo dell’Assemblea: le Correzioni”, 2014, Nuove Leggi Civili
Commentate-CEDAM, pag. 74.
135
Nocella S., cit., pag. 74.
136
Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 317.
34 l’integrazione dell’ordine del giorno è riconosciuto ai soci che detengono
almeno un quarantesimo del capitale, i quali devono far pervenire domanda
scritta entro dieci giorni dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione
dell’assemblea (art. 126-bis TUF).
Gli azionisti delle società con azioni quotate hanno inoltre il diritto di far
pervenire alla società domande sulle materie all’ordine del giorno prima dello
svolgimento dell’assemblea (art. 127-ter TUF).
La convocazione e l’integrazione dell’ordine del giorno non sono però ammesse
per gli argomenti sui quali l’assemblea deve deliberare su proposta degli
amministratori, cioè sulla base di un progetto o di una relazione da essi
predisposta (ad esempio l’approvazione del bilancio, fusione, scissione)137.
Una delle più importanti novità introdotte dal d.lgs. n. 27/10 è stata la
determinazione di una c.d. record date138 per determinare chi ha diritto di voto
in assemblea: nelle società non quotate la condizione che legittima l’intervento
in assemblea, cioè la titolarità e l’esercizio del diritto di voto, deve sussistere il
giorno stesso dell’adunanza139. Con il c.d. sistema della data di registrazione,
nelle società con azioni negoziate su mercati di strumenti finanziari, la
legittimazione
ad
intervenire
in
assemblea
si
determina
in
maniera
immodificabile in riferimento alla situazione esistente il settimo giorno di
mercato aperto precedente la data fissata per l’assemblea (art. 83-sexies
TUF).
Questa soluzione è frutto del tentativo del legislatore di unire due esigenze
contrapposte: da un lato, l’interesse a evitare manovre speculative e cambi
repentini di maggioranza nonché a consentire un’adeguata organizzazione per
tempo delle operazioni assembleari (per esempio identificazione, ammissione
dei soci, aggiornamento del libro soci); dall’altro, l’interesse a favorire gli
investitori istituzionali consentendo loro di operare sulle azioni prima e durante
l’assemblea140. Prima dell’introduzione della c.d. record date, infatti, in Italia
era
previsto
il
blocco
delle
azioni
antecedente
all’assemblea;
questo
disincentivava molto l’azione degli investitori istituzionali, che - in generale non sono interessati ad intervenire e votare in assemblea, bensì più
137
Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 318.
Momento durante il quale l’azionista deve registrare, tramite l’intermediario che gestisce i titoli, la propria
partecipazione.
139
Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 333.
140
Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 333.
138
35 semplicemente sono interessati alla possibilità di continuare a negoziare i titoli
a mercato. Con la nuova disciplina, le azioni restano alienabili anche dopo la
data assunta come riferimento per le certificazioni e lo statuto non può
prevedere altrimenti.
Per facilitare la presenza degli azionisti e combatterne l’astensionismo
assembleare, la statuto può permettere l’intervento in assemblea mediante
mezzi di telecomunicazione o l’espressione del voto per corrispondenza o in via
elettronica (art. 2370, 4° comma cod. civ.).
Sempre il d.lgs. n. 27/2010 ha riformato la disciplina della rappresentanza in
assemblea per le società quotate. Si è prevista la possibilità di conferimento
della delega anche per via elettronica secondo le modalità stabilite dallo
statuto (art. 135-novies, 6° comma, TUF) e se esso non dispone diversamente,
la società deve designare per ogni assemblea un delegato al quale gli azionisti
possono conferire, senza spese, una delega con istruzioni di voto su tutte o
alcune proposte all’ordine del giorno (art. 135-undecies, 1° comma, TUF). É
data così la possibilità di avvalersi gratuitamente di un rappresentante
“istituzionale” agli azionisti che non possono, o che non vogliono, incaricare un
delegato di fiducia141, rispondendo in tal modo ad un’esigenza nota anche sul
mercato statunitense con il termine – come abbiamo visto – di “costi di
agenzia”.
A differenza della disciplina che si applica alle società non quotate, per le
società quotate sono stati soppressi i limiti quantitativi al cumulo delle deleghe
da parte del medesimo rappresentante e non sono previsti dei divieti soggettivi
(art. 2372, 5°, 6° e 8° comma, cod. civ.).
Con la riforma del 2010 è stata semplificata la pratica della sollecitazione delle
deleghe di voto nelle società quotate, con la rimozione (i) del requisito del
possesso azionario di almeno l’1% del capitale con diritto di voto in capo al
promotore; (ii) della necessità dell’intervento di un intermediario, e (iii)
dell’obbligo di rivolgersi alla generalità degli azionisti142. La sollecitazione è la
richiesta di conferimento di deleghe rivolta da uno o più soggetti (cc.dd.
“promotori”) a più di duecento azionisti su specifiche proposte di voto ovvero
accompagnata da raccomandazioni, dichiarazioni o altre indicazioni idonee a
141
142
Campobasso G.F., Diritto Commerciale, pag. 338.
Croci E., cit., pag. 191.
36 influenzarne il voto (art. 136, lett. b, TUF). Il promotore effettua la
sollecitazione mediante la diffusione di un modulo di delega, secondo le
modalità stabilite dalla Consob, il cui contenuto è determinato dalla Consob
stessa143.
Il promotore è responsabile dell’idoneità e della completezza delle informazioni
rese (art. 143, 2° comma, TUF) e comunque la delega non può essere
rilasciata in bianco: deve indicare il nome del delegato, le istruzioni di voto, la
data e recare la sottoscrizione del delegante (art. 142, 1° comma, TUF).
É stata inoltre concessa la possibilità di adottare negli statuti sociali delle
quotate la cosiddetta clausola “opt-out”, cioè è stato reso possibile derogare in
tutto o in parte alla “passivity rule”.144 Le deroghe statutarie alla “passivity
rule” devono comunque essere comunicate alla Consob ed al pubblico.
In seguito alla riforma del 2010, nelle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio, lo statuto può stabilire che l’assemblea si celebri in un’unica
convocazione, invece di aversi più convocazioni con quorum ridotti (art. 2369
cod. civ.). Le maggioranze richieste sono quelle previste per l’assemblea
ordinaria di seconda convocazione e per quella straordinaria quelle delle
convocazioni successive alla seconda145.
Con questa possibilità, pensata in particolar modo per le società caratterizzate
da forte assenteismo, non è più necessario attendere le inutili convocazioni
iniziali, determinando così risparmi di tempo e costi146.
Ultima innovazione del d.lgs. n. 27/2010 è stata l’introduzione di una
regolamentazione delle operazioni con parti correlate per le società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio, che impone procedure decisionali che
coinvolgono gli amministratori indipendenti e assemblea dei soci.
Tali operazioni (realizzate anche tramite società controllate) sono operazioni
che hanno come controparte soggetti particolarmente “vicini” alla società147 e
143
Secondo l’art. 136 Reg. Emittenti, il promotore trasmette un avviso contenente i dati essenziali della sollecitazione
alla società emittente , che lo pubblica sul proprio sito, nonché alla Consob, alla società di gestione del mercato ed alla
società di gestione accentrata delle azioni. A tali soggetti viene anche trasmesso il prospetto ed il modulo di delega.
144
Regola che impone a management e azionisti di una società sottoposta a OPA (offerta pubblica di acquisto) di non
intraprendere azioni che possano minare la riuscita della stessa senza prima il placito dell’assemblea degli azionisti –
Art. 104 TUF.
145
Sono applicati i quorum previsti per la seconda convocazione dell’assemblea ordinaria (nessun quorum) e quelli
previsti per la terza convocazione nel caso di assemblea straordinaria (20% capitale).
146
Campobasso G.F., cit., pag. 325.
147
La Consob identifica le parti correlate in particolare come: il socio di controllo, o che esercita un’influenza notevole
sulla società; dirigenti con responsabilità strategiche; le società controllanti, controllate, collegate, o sorelle.
37 perciò maggiormente a rischio di essere condotte in conflitto di interessi148.
In quest’ambito l’organo di amministrazione è tenuto ad adottare, nel rispetto
dei principi generali fissati dalla Consob, procedure che assicurino la
trasparenza e la correttezza delle decisioni (art. 2391-bis cod. civ. e Reg.
Consob. 17221/2010).
A più di quattro anni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 27/2010, sembra
possibile sostenere che il fine del legislatore italiano di rivitalizzare il rito
assembleare, perlomeno per le società quotate, sia stato raggiunto 149 , in
quanto si registra una maggiore attività di tutte le categorie di azionisti
durante i lavori assembleari e una maggior partecipazione alla vita societaria.
Inoltre con i suddetti provvedimenti, sembra che si sia intrapresa la giusta
strada per “rafforzare i diritti degli azionisti delle società quotate” e porre
rimedio ai “problemi relativi all’esercizio transfrontaliero del diritto di voto”.150
8. Conclusioni
A differenza che in Europa dove la proprietà azionaria è piuttosto concentrata e
l’azione degli investitori istituzionali è meno diffusa, negli Stati Uniti la maggior
parte delle società quotate presenta una proprietà molto più diffusa ed
eterogenea. Si potrebbe pensare, dunque, che la legislazione statunitense
disponga molti strumenti per difendere gli interessi della grande moltitudine
degli azionisti; in realtà, come si è mostrato in precedenza, questo non
avviene.
Sebbene la proprietà sia saldamente in mano agli azionisti, essi non hanno
virtualmente alcun potere di controllo sulla politica societaria, né a lungo né a
breve termine. Il modello statutario di corporate governance è un modello in
cui il board agisce, e gli shareholders reagiscono; inoltre, a causa della
dispersione azionaria, forte astensionismo e scarsa partecipazione degli stessi
azionisti sono una costante della vita delle società quotate.
Negli ultimi anni in particolare si è però sviluppata negli azionisti la
consapevolezza che questo modello non sempre riesce a difendere i loro
148
149
150
Campobasso G.F., cit. pag. 382.
Nocella S., cit., pag.71.
Direttiva europea 2007/36/CE, Primo Considerando.
38 interessi, né quelli della società stessa.
Gli azionisti sono riusciti ad acquisire maggior controllo dell’assemblea, grazie
agli amministratori indipendenti, a nuove forme di comunicazione col board, e
a importanti riforme riguardanti i sistemi di voto in assemblea e di
sollecitazione delle deleghe di voto.
Agli inizi degli anni 2000 William Allen, giudice capo della Corte di Giustizia del
Delaware, suggeriva due motivi per i quali era necessario interessarsi dei
problemi di corporate governance.
Il primo è l’alta probabilità che un miglioramento del governo societario si
traduca in un sistema economico più efficiente, il secondo motivo, politico più
che economico, è che un sistema efficiente di corporate governance aiuta a
legittimare il potere sopra gli altri (dipendenti, clienti, investitori e altri membri
della comunità) in merito alle decisioni riguardanti la distribuzione degli
asset151.
In quest’ottica pare utile, se non addirittura necessario, un maggior controllo
assembleare degli azionisti nell’ordinamento degli Stati Uniti.
Gli autori che si sono occupati della tematica dell’analisi e del miglioramento
degli strumenti di corporate governance hanno tuttavia evidenziato spesso
approcci ideologici opposti: si è visto sopra, ad esempio, come il professor
Bebchuk152 muova da una sorta di riconoscimento del primato ideologico della
c.d. “democrazia assembleare” mentre, all’opposto, il professor Bainbridge153
sembra riconoscere in assoluto il primato, altrettanto ideologico, del buon
funzionamento del codice societario dello Stato del Delaware e delle qualità
morali e professionali del management.
Portate alle loro estreme e più radicali conclusioni entrambe le correnti di
pensiero sembrano condurre a risultati negativi, o comunque a rischi potenziali
non trascurabili. In effetti, una “democrazia assembleare totale” porta ad una
gestione aziendale comunitaria che mal si concilia con l’esigenza, ancor più
evidente in certe fasi della vita d’impresa – non solo tipicamente quelle di crisi
o tensione finanziaria ma anche quelle delle decisioni strategiche così come
della
gestione
ordinaria
corrente
–
di
capacità
decisionale
rapida
e
professionale. Altrettanto, un assoluto “governo dei migliori o degli eletti” porta
151
152
153
Murphy E.M., cit., pag. 191.
Vedi supra, paragrafo 2.1 pag. 6.
Vedi supra, paragrafo 2.2 pag. 8. 39 evidentemente il rischio di gestioni imprenditoriali oligarchiche, se non
totalitarie, con il prevalere dell’interesse di pochi su quello comune (inteso
nella sua migliore accezione, nel caso di specie, di “interesse sociale”).
Una linea mediana tra le due posizioni, con la conciliazione tra controllo
assembleare degli azionisti – da una parte – e poteri di gestione coordinata e
diretta da parte del management – dall’altra parte – appare non solo
pragmaticamente preferibile ma probabilmente anche più efficace per il
migliore
perseguimento
dell’interesse
sociale
e
il
bilanciamento
tra
maggioranza di controllo (talvolta risultante da una moltitudine di minoranze)
e minoranza di gestione.
La sfida al riguardo è dove porre esattamente questa linea di bilanciamento:
un dibattito questo che, nella cultura giuridico-amministrativa, soprattutto
europea, tiene luogo sin dalla prima elaborazione del principio della divisione
dei poteri: probabilmente – fermo restando tale principio – anche in tema di
corporate governance d’impresa, la coniugazione preferibile risiede nella
declinazione del principio di responsabilità, o accountability sia di chi gestisce
che di controlla.
Abbiamo comunque anche visto che, mentre in Europa, per effetto dell’azione
congiunta e coordinata del legislatore comunitario con quella dei legislatori
nazionali, il quadro normativo complessivo della corporate governance delle
società quotate sembra aver assunto caratteristiche se non consolidate,
quantomeno articolate e al momento ragionevolmente efficaci, negli Stati Uniti,
vuoi per l’assenza di una legislazione federale a fronte di una molteplicità di
normative
nazionali
e
di
un
maggiore
peso
delle
discipline
di
autoregolamentazione, vuoi per una mancanza di riconoscimento diffuso della
autorevolezza della SEC quale authority emanatrice di regole riconosciute e
condivise, il quadro normativo-regolamentare in tema di corporate governance
delle
società
quotate
appare
ancora
alla
ricerca
consolidamento e radicamento nella realtà dei mercati.
40 di
un
suo
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