Progetto Beethoven: Le sonate per pianoforte di Beethoven di Giorgio Sanguinetti Giorgio Sanguinetti, Professore di Teoria e analisi della musica presso l’Università di Roma-Tor Vergata è autore del volume “Le sonate per pianoforte di Beethoven” del 2020. Il lavoro è parte del “Progetto Beethoven” un ambizioso programma della Società Italiana di Musicologia che ha celebrato con 5 volumi i 250 anni dalla nascita del grande compositore tedesco. Il lavoro di Sanguinetti rappresenta il necessario fondamento di tipo storico-sociale e teorico su cui si innestano i volumi successivi e fa scoprire al lettore, non necessariamente esperto del settore, aspetti spesso ignorati del metodo compositivo, del genere, della forma, dell’interpretazione e della prassi esecutiva delle sonate per pianoforte di Beethoven. La tesi centrale del libro è “che Beethoven appartenga, per formazione e convinzione, a una cultura musicale settecentesca, ma che la sua immensa figura abbia provocato un completo cambio di paradigma nella percezione del fenomeno musicale, una rivoluzione che in parte è avvenuta durante la sua vita e che ha trasformato il contesto in cui operava attraverso un complesso, e talvolta contraddittorio effetto retroattivo” (p.34) Sanguinetti argomenta il suo punto di vista attraverso una ricca serie di casi esemplari che riguardano il modo di concepire il fenomeno musicale tout court, dalla composizione alla prassi esecutiva, dimostrando quanto grandi e duraturi siano stati i cambiamenti apportati, a volte inconsapevolmente, dalla musica beethoveniana. I concerti, ad esempio, fino almeno agli anni venti dell’Ottocento erano eventi spesso organizzati in case private, in palazzi dell’aristocrazia, il concertista suonava pezzi nuovi, non esisteva infatti l’idea di repertorio, non si suonava mai a memoria, si improvvisava, e ci si esibiva a volte in duelli musicali. Il pubblico seguiva di frequente in modo distratto le esecuzioni, le luci della sala erano sempre accese. Durante la vita di Beethoven il modo di ascoltare musica non cambia, ma pochi anni dopo la sua morte, grazie allo stile che pervade tutta la sua opera e all’immediata importanza che le viene universalmente attribuita, inizia quella che Sven Oliver Müller definisce la “politica del silenzio”: “Il pubblico imparò a tenere sotto controllo i rumori, ad applaudire alla fine di una composizione e a rimandare commenti e conversazione alle pause nel foyer”. (p.34) Muta perciò in modo sostanziale, proprio grazie alla produzione beethoveniana, il modo di ascoltare una pubblica esecuzione musicale. Altro cambio di paradigma dovuto a Beethoven riguarda il genere della sonata pianistica che non era mai eseguita in pubblico, infatti, si trattava di composizioni Für Kenner und Liebhaber, per conoscitori e amatori e spesso “à l’usage des dames”. Dunque le sonate dovevano essere accessibili da un punto di vista tecnico e privilegiare l’aspetto intimo della composizione poiché esecutore ed ascoltatore erano nella maggior parte dei casi la stessa persona. Anche questo si trasforma con Beethoven e si tratta di un cambiamento fortemente voluto dal compositore il quale scrive molte sonate che tecnicamente superano, anche notevolmente, le capacità medie di un dilettante amatore, precludendogliene di fatto l’accesso esecutivo che diventa quindi di appannaggio esclusivo dei professionisti. Ma libro di Sanguinetti non affronta solo l’incidenza dell’opera beethoveniana sul nostro attuale modo di fruire della musica, altro punto focale presente è l’analisi delle sonate per pianoforte secondo diverse teorie della forma musicale, uno sforzo considerevole da parte dell’autore che con linearità e precisione illustra le varie metodologie di approccio analitico rendendo chiaro, anche a un lettore non specialistico, ogni passaggio metodologico. Di Beethoven, in sostanza, non si parla mai abbastanza e il contributo di Sanguinetti risulta di notevole importanza per chi ama la musica e desidera approfondire alcuni aspetti del mondo musicale a cavallo tra ‘700 e ‘800 spesso negletti o trattati con estrema superficialità. Anna Wanda Folliero