Che cosa si intende per empatia 1.1 Origini, storia e definizioni 1.1.1 Etimologia Il termine empatia deriva dalla parola greca empateia che significa sperimentare attivamente il modo in cui un’altra persona vive un’esperienza. Nel 1873 Visher parla di Einfuhlung che tradotto significa “sentirsi dentro l’altro”. Esiste cioè un sentimento, un sentimento di, o un sentimento con nel caso dell’empatia c’è il “sentire dentro”. Lipps nel 1903 adotta la definizione di Visher e parla di una partecipazione profonda all’esperienza di un altro essere, egli sostiene che questa esperienza è completa quando non c’è distinzione tra la persona stessa e l’altro da sé, si crea cioè un unico Io, la prospettiva è identica. Questa esperienza fu chiamata da Titchener (1910) empatia. Nel 1934 Mead si riferisce alla “capacità di comprendere” e così introduce una componente cognitiva ad un significato che era stato soprattutto attribuito agli aspetti emotivi. Oggi in psicologia generale per empatia si intende la capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale (Dal Vocabolario della lingua italiana Treccani). E, in senso ancor più generale, l’empatia “... concerne una specifica modalità e qualità di pensiero riflesso, calato nel nostro esperire vivente rivolto verso altri da noi, specie persone umane, ma anche animali e piante, ma anche verso il nostro corpo. Sono atti che ciascuno di noi esercita di continuo, con anche possibilità di illusioni, di correzioni, di consuetudini, mediante i quali cerchiamo di comprendere – dalla percezione esterna corporea – l’interno degli altri, le loro sensazioni, i loro sentimenti, le loro motivazioni... Gli atti di empatia... sono l’essenza della capacità di istituire comunicazioni intersoggettive sino a mettersi nei panni dell’altro” (Ardigò, A., 1992, pp. 11-12). Dopo questa brevissima introduzione etimologica e dopo qualche accenno ad una prima definizione del termine ci sembra importante approfondire la sua storia (Giusti, Proietti, 1995) perché il linguaggio influenza i pensieri ed i pensieri influenzano le azioni e qualche volta questa reciproca influenza scorre in direzioni diverse; quando una parola viene tradotta da una lingua all’altra rischia di perdere il suo significato originario e di subire delle contaminazioni che la possono rendere più astratta, questo è quanto è accaduto al termine empatia. 1 1.1.2 Origine e storia dell’uso del termine. Chi si è occupato dell’empatia? Come già accennato il termine empatia è stato introdotto verso la fine dell’800 da Robert Vischer che era uno studioso di arti figurative e di problematiche estetiche, la sua nascita si inserisce quindi nel campo della riflessione estetica dove il termine è utilizzato per definire la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura. Visher parlava di “sentir dentro” (Hineinfuhlen) di “con-sentire” (Zusam-menfuhlen), è il cogliere la vita della natura che è esterna come fosse vita della natura interna cioè del proprio corpo. È il proiettare spontaneamente i sentimenti sugli altri e sulle cose che vengono percepite. Il termine empatia era stato utilizzato occasionalmente nella letteratura romantica da Herder e Novalis, ma mentre per i romantici l’empatia era l’immedesimazione totale nella vita della natura, qui è la fantasia umana che “sente” nella natura, che le dà vita e sentimento. Lipps all’inizio del secolo utilizzerà l’empatia come centro della sua concezione estetica e filosofica, per lui l’empatia è il sentirsi in sintonia con l’oggetto, il cogliere che esso sente ciò che noi sentiamo. Nella sua concezione troverà spazio anche l’aspetto psicologico, l’empatia può definire infatti anche la conoscenza degli altri soggetti e la comunicazione tra loro, è una “partecipazione interiore” alle esperienze vissute dagli altri. Egli sostiene che le persone conoscono e rispondono le une alle altre attraverso l’empatia che è preceduta dalla proiezione e dall’imitazione e che l’aumentare dell’imitazione del sentimento fa aumentare l’Einfuhlung. Si dischiude dunque il tema dell’alterità, del rapporto con l’altro da sé che verrà ripreso dalla scuola fenomenologia e da Husserl. Come già accennato Titchener nel 1909 conia il termine empatia che definisce come un “process of humanizing objects, of reading or feeling ourselves into them” (Titchener, 1924, p. 417). Le teorie sull’empatia in psicologia furono influenzate largamente dal punto di vista di Titchener fino a quando Mead (1934) riconobbe la differenziazione che nell’empatia esiste tra “sé” e “l’altro da sé” ed aggiunse una componente cognitiva all’empatia cioè l’abilità di capire e comprendere (Deutsch, Madle, 1975). 1.1.3 Definizioni del termine empatia 2 Che cosa si intende oggi per empatia? Nell’uso odierno il termine empatia ha acquisito una serie di significati. L’aggettivo empatico è usato frequentemente soprattutto nella cultura americana per descrivere “un individuo che è sensibile ai sentimenti e ai bisogni degli altri”. Comportamenti altruistici simpatici o indulgenti sono spesso definiti empatici. Più precisamente per empatia si intende “la capacità di entrare all’interno dell’esperienza di un altro o di comprendere oggetti o emozioni al di fuori di noi stessi” (Oxford English Dictionary) e “la capacità di partecipare ai sentimenti o alle idee degli altri” (New Merriam-Webster Dictionary). L’empatia può essere definita come un’interazione tra due persone, con una che sperimenta e condivide i sentimenti dell’altra. Questa condivisione affettiva può avvenire in ogni interazione interpersonale: tra genitori e figli, tra insegnante e studente, tra lo psicoterapeuta ed il cliente, tra amici ed anche tra estranei (Feshbach, 1997, p. 34). L’empatia si riferisce al mettere sé stessi nei panni dell’altro, dare un senso alla sua prospettiva ed a ciò che sta sperimentando, sentendo, pensando; significa assumere il ruolo dell’altro e vederlo dal suo quadro di riferimento interno (Eagle, Wolitzky, 1997, p. 217). L’empatia è un’esperienza complessa di unione nella comprensione, “una risonanza di sentimenti che produce una comprensione più precisa di sé, dell’altro e della relazione” (Jordan J.V., 1989). Implica la capacità di tollerare l’ansia, di aprirsi all’esperienza di un’altra persona, la capacità di cogliere lo stato affettivo dell’altro, di risuonare con lui emotivamente e di ottenere una maggiore comprensione del suo mondo interiore (Jordan, 1997, p. 344). L’empatia è in primo luogo e prima di tutto l’essere concentrati e protesi verso l’altro nel tentativo di capire le sue comunicazioni e le sue azioni nei termini del suo quadro di riferimento. Tutto ciò è diverso dal conoscere da una prospettiva esterna dove il comportamento dell’altro è letto nei termini di una presunta oggettività dell’osservatore. L’empatia è un costituente fondamentale della comunicazione e della conversazione quotidiana e può essere utilizzata sia per fini positivi che per fini negativi; in essa si verifica il processo di tentare di capire che cosa le persone vogliono realmente dire con le loro affermazioni. Tale processo determina lo stabilirsi di un terreno comune e l’impegno reciproco nel compiere le opportune correzioni nella conversazione quando si verificano degli errori di comprensione (Schegloff, 1991; Clark, Brennan, 1991). 1.1.4 L’empatia e la simpatia Se nella letteratura si esaminano le definizioni che riguardano l’empatia si nota come spesso il temine “simpatia” venga utilizzato per circoscriverne e differenziarne il significato. L’empatia non è identica alla simpatia, si possono comprendere i sentimenti, i pensieri dell’altra persona senza provare simpatia per lei come del resto possiamo provare simpatia per una persona senza comprenderne la realtà soggettiva. La simpatia è “sentire con l’altro” dunque stiamo parlando di due unità psichiche, l’empatia è invece “sentire dentro l’altro” si crea una sola unità. Rollo May nel 1939 descrisse l’empatia come uno stato di profonda identificazione nel quale noi ci sentiamo dentro l’altro in un modo così completo da perdere temporaneamente la nostra identità. Questo stato è diverso dalla simpatia nella quale pensiamo: “Come mi sentirei se fossi te?” ricercando nella nostra memoria esperienze simili a quella dell’altro; empatia significa essere aperti a quello che la persona sta sperimentando dall’interno del suo punto di vista. Nel descrivere la simpatia molti, ma non tutti i teorici, hanno evidenziato come in essa siano presenti “elementi di pietà e preoccupazione nei confronti delle altre persone” elementi che non sono presenti nell’empatia (Eisenberg, Fabes et al., 1991; Feshbach, 1978; Hoffman, 1982; ZahnWaxler, Radke-Yarrow, 1990). C’è chi tra gli autori che hanno utilizzato il confronto tra empatia e simpatia, ha fatto notare come ad esempio l’empatia da sola senza la simpatia e senza la comprensione può essere addirittura dannosa, la simpatia infatti proprio per i suoi elementi “morali” agisce sempre per il bene dell’altro, l’empatia invece può essere utilizzata anche dalla persona sadica e specialmente dal sadomasochista che la utilizza intensamente però senza la simpatia (Shlien, 1997, pp. 63, 67). Wispè (1986) ha descritto l’empatia come un processo molto faticoso nel quale noi cerchiamo di comprendere l’esperienza di un’altra persona, al contrario la simpatia è un’esperienza diretta di consapevolezza percettiva dell’esperienza di un’altra persona simile al fenomeno della risonanza che sperimentiamo quando ad esempio ascoltiamo la musica. La simpatia sarebbe dunque più spontanea e più facile dell’empatia che richiederebbe secondo questo autore uno sforzo consapevole. 1.2 Il costrutto dell’empatia. Tratto, stato, processo Come fanno notare Duan e Hill (1996, p. 262) il termine empatia è stato utilizzato in riferimento a tre diversi concetti che possono essere considerati sia sovrapponibili che non sovrapponibili. Alcuni autori si riferiscono all’empatia come ad un 3tratto di personalità o ad una capacità generale (Book, 1988; Buie, 1981; Danish, Kagan, 1971; Easser, 1974; Feshbach, 1975; Hoffman, 1982, 1984; Hogan, 1969; Kerr, 1947; Mead, 1934). In questo filone di studi l’empatia è definita come “la capacità di conoscere l’esperienza profonda di un’altra persona” (Buie, 1981, p. 282) o di “sentire (percepire) i sentimenti (le emozioni) degli altri” (Sawyer, 1975, p. 37). Questi autori hanno definito l’empatia utilizzando termini come “disposizione empatica” (Hogan,1969, p. 309), “orientamento interpersonale” (Rogers, 1957), “sensibilità ai sentimenti delle altre persone” (Ianotti, 1975, p. 22) e “empatia disposizionale” (Davis, 1983, p. 113). Tra coloro che considerano l’empatia come un tratto o una capacità stabile ci sono studiosi in ambito psicoanalitico (ad esempio Buie, 1981; Easser, 1974; Sawyer, 1975), studiosi che si occupano di ricerca nell’ambito della psicoterapia integrata (A.P.A., 1997; Gold, 2000, Goldfried, 2000, Preston, 2000) (ad esempio Danish e Kagan, 1971; Dymond, 1950; Hogan, 1969; Rogers, 1957) e gli psicologi sociali e dello sviluppo (ad esempio Aronfreed, 1970; Davis, 1983; Feshbach, 1975; Kestenbaum et al., 1989; Mead, 1934). L’assunzione implicita che sta alla base di questa concezione dell’empatia è che ci sono delle persone che sono più empatiche di altre o per natura o per capacità acquisite attraverso lo 4 sviluppo. All’interno di questa concezione troviamo gli studi sulle differenze individuali e quelli che si pongono l’obiettivo di comprendere come le capacità empatiche si formino all’interno dello sviluppo del bambino. Nell’ambito della psicoterapia le ricerche sono volte ad esempio a valutare come utilizzare le qualità empatiche dello psicoterapeuta nel comprendere e nell’analizzare il Sé del cliente (Giusti, 1995; Kohut, 1959), a come identificare i counselor che possiedono in misura maggiore o minore questa capacità (ad esempio Rogers, 1957) ad individuare quali individui sono più altruisti di altri (ad esempio Eisenberg, Miller, 1987) e ad esplorare l’influenza dei processi di sviluppo o di altre caratteristiche di personalità sull’empatia (ad esempio Feshbach, 1975). Altri autori hanno considerato l’empatia come uno stato, l’empatia è cioè definita come una risposta vicaria ad uno stimolo o ad una persona stimolo (Batson e Coke, 1981; Katz, 1963; Stotland, 1969) come il sentire il mondo personale di un’altra persona come se fosse il proprio (Rogers, 1959; Truax e Carhuff, 1967). Il concetto di empatia come stato della mente è definito in un modo molto chiaro e profondo da Hodges S.D e Wegner D.M (1997, pp. 312): “empatizzare con un’altra persona all’interno di una situazione specifica implica molto di più che cambiare il proprio punto di vista (Piaget, Inhelder, 1956); significa anche modificare il proprio giudizio rispetto alla situazione (Regan, Totten, 1975), la propria memoria degli eventi (Wegner, Giuliano, 1983) e la propria risposta emotiva ad essi (Stotland, 1969), l’idea che ci siamo fatti dei tratti e degli obiettivi di quella persona (Hoffman et al., 1981) ed anche la concezione che abbiamo di noi stessi (Baldwin & Holmes, 1987)... l’empatia coinvolge una trasformazione strutturale generalizzata nei pensieri e nelle emozioni... l’empatia è uno stato della mente...”. All’interno di questo costrutto i criteri per identificare e per misurare in qualche modo l’empatia sono stati ad esempio il confrontare il sentimento o il pensiero dell’osservatore con quello della persona stimolo (Feshbach, Roe, 1968; Stotland, 1969) o il valutare il grado in cui uno psicoterapeuta riesce a comprendere e a sperimentare l’esperienza del cliente (ad esempio Barrett-Lennard, 1962; Carkhuff, 1969; Truax e Carkhuff, 1967). Il considerare l’empatia come una specifica situazione cognitiva o come uno stato affettivo implica che le esperienze empatiche varino a seconda delle situazioni. Per questo motivo all’interno di quest’ottica sono state effettuate ricerche per studiare gli effetti di fattori situazionali e delle differenze intraindividuali sull’empatia, e sono stati anche progettati training per il suo apprendimento. A questo tipo di ricerche ovviamente si sono interessati maggiormente i ricercatori in ambito psicoterapeutico che hanno valutato gli effetti dell’empatia del terapeuta nel corso delle sedute. Gli psicologi sociali hanno svolto ricerche per capire il ruolo dell’empatia in altri processi sociali come ad esempio l’altruismo. Gli studiosi che si interessano al modo in cui l’empatia è sperimentata dal terapeuta e dal cliente in una data situazione hanno concettualizzato l’empatia come un processo esperienziale a più fasi (ad esempio Barrett-Lennard, 1981; Basch, 1983; Emery, 1987; Katz, 1963; Reik, 1948, Rogers, 1975). In questo modello viene presa in considerazione l’esperienza dell’empatia momento per momento e viene studiato il processo che è coinvolto nella produzione e nella comunicazione di uno stato di empatia. Sono stati prodotti vari modelli a stadi che mostrano come nello sperimentare l’empatia terapeutica il terapeuta attraversa un processo nel quale sono coinvolti molteplici elementi. Come affermano Greenberg L.S e Elliott R. (1987, p. 168) “l’empatia è il processo dell’entrare in contatto profondo con il mondo interiore di un’altra persona, riuscendo a sintonizzarsi sulle diverse sfumature dei sentimenti e comprendendo l’essenza del esperienza dell’altro nel qui e ora”. Gli autori sottolineano come il comunicare la comprensione che si è avuta dell’altro, costituisca una componente separata dell’empatia, che deriva dalla sintonizzazione empatica, ma che può essere espressa in una varietà di modi diversi. Il considerare l’empatia come un processo interpersonale a più stadi implica che l’empatia racchiuda una serie di esperienze. Queste teorie sono rimaste ad un livello più fenomenologico che analitico. In sintesi il termine empatia è stato utilizzato per rappresentare concetti diversi che possono essere giustificati all’interno dell’ambito nel quale sono stati studiati ed utilizzati. Ovviamente tutto ciò ha prodotto una certa confusione nell’ambito della letteratura ed allora, ad esempio, viene proposto di non utilizzare semplicemente il termine generale di empatia quanto di fare una distinzione tra l’attitudine all’empatia, l’esperienza empatica ed il processo empatico. 1.3 La natura dell’empatia Alcuni autori utilizzano il termine empatia per descrivere il processo di condivisione vicaria delle emozioni che non richiede l’utilizzo di meccanismi mentali più elevati (Mehrabian, Epstein, 1972). Altri definiscono l’empatia come sinonimo della capacità cognitiva di assumere la prospettiva dell’altro che non richiede una risposta emotiva (Hogan,1969, Weinstein, 1969). Dunque da alcuni autori l’empatia è stata definita principalmente come un fenomeno affettivo che si riferisce all’esperienza immediata delle emozioni di un’altra persona (Langer, 1967; Mehrabian, Epstein, 1972; Stotland, 1969) per altri invece l’empatia è stata descritta principalmente come un costrutto cognitivo che si riferisce alla comprensione intellettuale dell’esperienza dell’altro (BarrettLennard, 1962, 1981; Borke, 1971; Deutsch, Madle, 1975; Kalliopuska, 1986; Katz, 1963; Kohut, 1971; Rogers, 1986; Woodall, Kogler-Hill, 1982). La componente emotiva e la componente cognitiva possono essere processi sia automatici che controllati, sebbene nel passato modello dicotomico si tendesse ad associare la componente emotiva con i processi automatici e quella cognitiva con i processi che richiedono un controllo consapevole (Davis, 1983). Ad esempio, comportamenti che fanno parte della sfera del dare aiuto, richiedono sia una componente emotiva che cognitiva; in uno studio di Coke, Batson e McDavis del 1978 i partecipanti che percepivano sé stessi emotivamente coinvolti e capaci di adottare la prospettiva dell’altro erano anche quelli più pronti ad aiutare gli altri. Nel tempo le definizioni a impronta cognitiva descrissero l’empatia nei termini di “role taking”, “perspective taking” o comprensione sociale. Un terzo filone di pensiero definisce l’empatia come avente in sé sia componenti affettive che cognitive (Brems, 1989; Hoffmann, 1977; Shantz, 1975; Strayer, 1987) o come sia cognitiva che affettiva a seconda delle situazioni (Gladstein, 1983). Nel tentativo di minimizzare la confusione terminologica Gladstein ad esempio utilizza il termine empatia cognitiva per significare “l’assumere dal5 punto di vista intellettuale il ruolo o la prospettiva di un’altra persona” (Gladstein, 1983, p. 468) ed il termine empatia affettiva per descrivere “il rispondere con le stesse emozioni alle emozioni di un’altra persona” (ibidem). Egli sostiene che questi due tipi diversi di empatia possono essere rintracciati nella letteratura della psicologia sociale, dello sviluppo e del counseling (Giusti et al., 1993). Le osservazioni di Smither (1977) riguardanti un’empatia “attraverso contagio” e di un’empatia “attraverso il role-taking” e l’identificazione di Bachelor (1988) di stili affettivi e cognitivi nell’empatia dello psicoterapeuta sono in linea con la classificazione di Gladstein. Scorrendo la letteratura appare però come i termini empatia cognitiva ed empatia affettiva non siano affatto precisi e manchino di efficacia descrittiva tanto da poter creare un ulteriore elemento di confusione perché rischiano di rappresentare una falsa dicotomia. Le ricerche infatti evidenziano come l’empatia cognitiva e l’empatia affettiva inevitabilmente si influenzino l’una con l’altra (Bower, 1983; Isen, 1984). I processi sia affettivi che cognitivi che fanno parte dell’empatia sono stati descritti separatamente anche per ragioni di studio e di maggiore chiarezza, ma oramai è impossibile non valutare quanto i processi cognitivi ed affettivi coesistano. Gli sforzi della ricerca si stanno concentrando sul cercare di comprendere in maniera più precisa quali siano le relazioni tra i processi cognitivi e quelli affettivi. 6 Duan e Hill (1996) ad esempio consigliano di non utilizzare i termini di empatia cognitiva ed affettiva perché spesso nella letteratura sono utilizzati in modo sovrapponibile, ma suggeriscono a chi fa ricerca di riferirsi all’empatia intellettuale, quando si parla di processi cognitivi e alle emozioni empatiche quando si considerano gli aspetti affettivi dell’esperienza empatica (Greenberg, Paivio, 2000). I risultati di ricerca dimostrano che sia l’empatia intellettuale che le emozioni empatiche possono influire indipendentemente sul comportamento interpersonale. Ad esempio uno stato affettivo empatico è stato rilevato nel comportamento di aiuto mediato (Batson et al., 1987; Eisenberg e Miller, 1987; Krebs, 1975; Toi, Batson, 1982), e si è potuto verificare che uno stato di empatia cognitiva può alterare il modello di attribuzione del comportamento degli altri (Regan e Totten, 1975), tuttavia la relazione tra questi due tipi di empatia non è ancora stata chiarita. Alcuni risultati di ricerca sembrano dimostrare come l’empatia intellettuale e le emozioni empatiche siano due fenomeni indipendenti. Ad esempio Mill (1984) ha trovato che gli individui che si auto monitoravano erano più capaci di assumere la prospettiva degli altri, ma non esprimevano una maggiore empatia affettiva. Quando l’empatia è stata definita come un tratto cognitivo o affettivo Smither (1977) non è riuscito a trovare una correlazione significativa tra i due tratti. Gladstein (1983) che ha riassunto i risultati delle ricerche ha concluso che la capacità di assumere il ruolo degli altri (empatia intellettuale) non era correlata strettamente all’empatia affettiva (emozioni empatiche). Sembra che altri risultati possano permettere di formulare l’ipotesi di un’influenza reciproca del processo empatico affettivo e cognitivo. Ad esempio Hoffman (1984) sostiene che la percezione di chi empatizzava con l’innocenza della vittima potesse aumentare la sua risposta emotiva. Le ricerche di psicologia sociale testimoniano che la componente affettiva può influenzare le attività cognitive (Bower, 1983; Forgas, Bower, 1987; Snyder e White, 1982) o viceversa (Davis et al., 1987; Stotland, 1969). Nella letteratura esistono delle posizioni discordanti sul considerare l’empatia un concetto mono o multidimensionale, come una capacità globale o come un insieme di sottocapacità. Rispetto all’ultima di queste ipotesi alcuni autori tendono a proporre un modello di empatia come costituita da un insieme di sottocapacità individuali collegate in modo sequenziale piuttosto che come un costrutto globale. Coloro che propongono questo approccio per componenti concordano sul fatto che i ricercatori devono riconoscere in modo chiaro, saper distinguere tra ed ideare tecniche adatte ad ognuna delle capacità individuali: comprensione empatica, espressione dell’empatia e comunicazione (Barrett-Lennard, 1981; Elliot et al., 1982, Goldstein, Michaels, 1985; Kagan, 1972; 1977; Keefe, 1976; 1979). Un altro elemento che vale la pena di sottolineare è il valutare se quando si parla di condivisione delle emozioni si considera la condivisione della “valenza emotiva” o delle diverse emozioni che sono sperimentate dall’altro, da questo punto di vista l’empatia come condivisione delle emozioni è di una qualità più elevata della condivisione del significato o del valore. Se colui che prova delle emozioni sta sperimentando un insieme di emozioni, una completa empatia richiede che chi empatizza condivida tutte le emozioni che fanno parte dell’insieme. Condividere una o una parte di queste emozioni rappresenta un livello più basso di empatia (Omdhal, 1995, p. 20). COSA S’INTENDE PER EMPATIA • Il termine empatia deriva dal greco empateia e significa “sentirsi dentro l’altro” • In psicologia generale l’empatia è la capacità di comprendere la situazione emotiva di un’altra persona in modo immediato. • L’empatia si riferisce al mettere sé stessi nei panni dell’altro per vederlo dal suo quadro di riferimento interno. • L’empatia implica la capacità di tollerare l’ansia e di aprirsi all’esperienza di un’altra persona. • L’empatia nasce nell’ambito di un’interazione tra due persone. • L’empatia è “sentire dentro l’altro” ed è diversa dalla simpatia che è “sentire con l’altro”. • Nell’empatia i processi affettivi e cognitivi coesistono, influenzandosi reciprocamente. 1.4 L’esattezza empatica è la capacità di comprendere i sentimenti effettivi o i pensieri dell’altro. Basi biologiche dell’empatia Gli esseri umani riconoscono precocemente le proprie emozioni e quelle degli altri. Alcuni tipi di conoscenza emotiva infatti appaiono presto, ad esempio i bambini molto piccoli sanno riconoscere se la madre ha uno stato d’animo positivo o negativo. Il processo che ci consente di ottenere una comprensione emotiva sempre più raffinata dura comunque per tutta la nostra vita. Ad una prima considerazione i processi che costituiscono la conoscenza emotiva ed i rapporti affettivi sembrano essere principalmente cognitivi e consistono in funzioni quali la percezione, l’attenzione la categorizzazione e la comunicazione. In realtà le emozioni umane sono un fenomeno sia corporee che psicologiche e possono essere concepite come aventi una struttura sia biologica che psicologica. Esistono molti meccanismi altamente adattivi che noi condividiamo con numerose specie animali precedenti la nostra; le azioni e le reazioni corporee che rappresentano una soluzione sperimentata nel tempo per alcuni dei problemi base per la nostra sopravvivenza come il difenderci dagli altri, il mantenere una gerarchia sociale, l’evitare gli stimoli pericolosi, il riprodurci e l’accudire gli individui più giovani. Nelle esperienze emotive esiste sempre una componente fisiologica e si manifesta una evidente sincronia tra i sistemi fisiologici degli individui, senza che ci sia nessun tentativo cosciente di raggiungere questo stato (Pravettoni, Giusti, 2000). La sincronia che si stabilisce tra i sistemi neuroendocrini, autonomi e somatici avviene in diverse condizioni come ad esempio lo stare a stretto contatto sociale, nella relazione psicoterapeutica (Clarkson, 1997), nelle discussioni di gruppo, nel gioco madre bambino, se si osserva la videoregistrazione di un’altra persona, nelle relazioni coniugali, tra l’insegnante ed i suoi 7 allievi in classe e quando si osservano e si valutano le emozioni degli altri (Giusti, 1999). In molte se non in tutte di queste situazioni emerge come la sincronia fisiologica sia il prodotto della sincronia emotiva, e che questa sincronia emotiva prenda la forma di un rapporto emotivo o di una conoscenza emotiva dell’altro, le persone cioè cominciano a conoscere i sentimenti degli altri. Sebbene la relazione tra la sincronia emotiva e quella fisiologica avvenga rapidamente quando le persone si conoscono intimamente o sono coinvolte in un’interazione faccia a faccia, essa non è limitata solo a questo tipo di relazioni, ma avviene ad esempio anche se si osserva la videoregistrazione di un’altra persona o tra persone che tra loro non si conoscono. Viene da chiedere perché esiste la sincronia fisiologica e a che cosa può essere utile. La risposta più semplice è che in certe condizioni per una specie sociale può essere utile possedere un meccanismo che rende in modo veloce ed efficace tutti i membri di un gruppo con lo stesso stato fisiologico. La sincronia fisiologica è un epifenomeno della sincronia emotiva, attraverso un processo di contagio emotivo, l’emozione che è la più adatta in una certa situazione si trasmette in ogni membro del gruppo attivando in ognuno gli schemi di attivazione fisiologica che sono i più adatti in quella specifica situazione fino al formarsi della sincronia fisiologica. Sembra che il rapporto tra la sincronia fisiologica e la sincronia emotiva possa essere di tipo bidirezionale, la sincronia emotiva produce una sincronia fisiologica e la sincronia fisiologica 8 produce una sincronia emotiva. L’empatia ha una base biologica, il processo di comunicazione spontanea che è fondamentale per tutti gli organismi viventi e che include meccanismi innati di ricezione e di trasmissione di messaggi sensoriali, visivi, uditivi, chimici. La comunicazione spontanea è diretta, spontanea, vera per definizione e negli organismi sociali più evoluti sia il trasmittente che il ricevente devono apprendere come utilizzare questa capacità comunicativa innata all’interno del contesto sociale. I concetti di empatia, intuizione, altruismo, sensibilità sociale, esattezza nel percepire i segnali degli altri, contagio emotivo e capacità di leggere il linguaggio non verbale, sebbene varino nel significato sono tutti simili in quanto coinvolgono un livello intuitivo di conoscenza dei sentimenti più profondi di un’altra persona. A questi concetti si sono interessati gli scienziati sociali dall’inizio delle ricerche empiriche degli anni ’20, ma è notoriamente difficile definirli in maniera teoricamente coerente ed è ancora più complesso descriverli attraverso definizioni operative. I filosofi hanno inserito queste indagini all’interno del “problema della mente dell’altro” (Austin, 1959). William James nei suoi “Principi di Psicologia” scrisse che “i nostri sensi ci forniscono una conoscenza che riguarda il corpo, e che noi abbiamo solo una conoscenza concettuale della mente dell’altro” (James, 1884, pp. 222223). I problemi che riguardano la definizione operativa di termini quali empatia, rapporto, intuizione, altruismo, sensibilità sociale, capacità di percepire con esattezza lo stato d’animo degli altri, contagio emotivo e la capacità di ricezione non verbale risalgono al fatto che essi hanno tutti a che fare con un tipo di comunicazione che utilizza un processo cognitivo diretto, immediato, olistico-sintetico o sincretico piuttosto che una modalità sequenziale ed analitica. Si può dunque distinguere tra un sapere attraverso la conoscenza che è diretto, immediato, auto evidente non proposizionale ed un sapere attraverso la descrizione che implica un processamento delle informazioni ed è proposizionale (Buck, 1984, pp. 11-15). Anche Lazarus (1991) suggerisce che vi siano due tipi di valutazione: uno “automatico, involontario ed inconscio” e l’altro “che richiede tempo, deliberato, volontario e conscio” (ibidem, p. 188). La distinzione tra una conoscenza verbale ed una non verbale è importante perché quando si parla di capacità di comprendere empaticamente in modo esatto se ne devono riconoscere due forme Nel caso dell’empatia, dell’intuizione e di altri fenomeni simili noi possiamo sentire che un’altra persona è arrabbiata, o felice, ma questo sapere non assume una forma proposizionale “quella persona è arrabbiata”; piuttosto quello che diciamo è che abbiamo un sentimento che riguarda lo stato di quella persona. La comunicazione spontanea è perciò fondata biologicamente, è un flusso di comunicazione diretta una “conversazione tra sistemi limbici” che avviene simultaneamente ed in modo interattivo con il flusso di comunicazione simbolico appreso e modellato culturalmente ed è utile alle funzioni di coordinamento sociale (Buck, 1984; 1988; 1994). La comunicazione spontanea può essere definita attraverso le seguenti caratteristiche: 1. È basata su una struttura biologica di meccanismi di ricezione e di trasmissione. I suoi elementi sono segni, che sono aspetti esternamente accessibili del referente. Ad esempio le espressioni facciali dell’altro o i suoi gesti. Più precisamente gli elementi della comunicazione spontanea sono indici che funzionano come segni. 2. La comunicazione spontanea non è intenzionale. Il segno costituisce un messaggio, e l’origine del segno è da ricercarsi in un trasmittente anche se ci può non essere nessuna intenzione di comunicare. 3. Il contenuto della comunicazione spontanea non è verbale, perché non può essere falso. Il contenuto della comunicazione spontanea consiste in stati motivazionali ed emotivi. La comunicazione spontanea è strutturata biologicamente sia negli aspetti di ricezione che in quelli di trasmissione è diretta cioè non richiede alcuna intenzionalità da parte di chi la trasmette o alcuna inferenza da pare di chi la riceve. Il ricevente ha un accesso diretto al significato più profondo della comunicazione di chi trasmette. Noi possiamo dunque conoscere aspetti profondi degli altri perché gli altri sono “costruiti” per esprimere direttamente questi aspetti e noi siamo costruiti in modo tale da potervi accedere, noi captiamo queste espressioni e ne riconosciamo direttamente il significato. Questa conoscenza si basa su un adattamento filogenetico ed è stabilita attraverso meccanismi ereditari (Ginsburg, 1976). Per questo motivo gli individui che sono coinvolti in una comunicazione spontanea costituiscono una unità biologica (Buck, Ginsburg, 1991). La comunicazione simbolica al contrario è appresa e modellata culturalmente, è costituita da simboli che hanno una relazione arbitraria con quello cui si riferiscono, è intenzionale e verbale. 9 1.4.1 Meccanismi cerebrali coinvolti nell’empatia 1.4.1.1 Lateralizzazione cerebrale e processi cognitivi Sebbene le differenze tra emisfero destro ed emisfero sinistro non siano state ancora del tutto esplorate e comprese (Feyereisen, 1989) è generalmente condiviso che la zona posteriore dell’emisfero destro giochi un ruolo particolare nella percezione delle emozioni di base. L’espressione facciale delle emozioni è riconosciuta meglio dall’emisfero destro sia negli studi che utilizzano il metodo dei campi visivi divisi con adulti normali (Landis et al., 1979; Strauss e Moscovich, 1983) sia nei pazienti con danneggiamenti cerebrali (Benowitz et al., 1983; Etkoff, 1989). L’ipotesi dell’emisfero destro afferma che questo emisfero agisce nello stile cognitivo olistico e sincretico particolarmente associato alla regolazione delle emozioni, mentre l’emisfero sinistro agisce nello stile cognitivo sequenziale ed analitico necessario per il linguaggio (Epstein et al., 1992). In un’altra ipotesi, quella della valenza si sostiene che l’emisfero sinistro è associato alle mozioni positive mentre quello destro a quelle negative (Davidson, 1984; Sackheim et al., 1982); un’altra possibilità è che l’emisfero destro sia associato alle emozioni primarie e quello sinistro alle emozioni sociali più evolute. Buck e Duffy (1980) suggeriscono che l’emisfero destro abbia a che fare con l’espressione spontanea mentre quello sinistro con la gestione delle emozioni all’interno dei diversi ruoli sociali. Per quanto riguarda i circuiti cerebrali che entrano in gioco nell’empatia è ormai accertato da una serie di studi che ne è interessata l’amigdala e le sue aree associative della corteccia visiva. (Brothers, 1989). 1.4.1.2 Modi nei quali può sorgere l’empatia 10 Presentiamo qui una serie di ipotesi che tentano di spiegare come potrebbe nascere l’empatia. L’empatia può essere elicitata da un meccanismo di “associazione diretta”. Quando le persone osservano l’espressione facciale, la voce, la postura di un altro o qualche altro indice situazionale che li ricorda di una situazione nella quale hanno sperimentato l’emozione che è espressa, viene evocata in loro un’emozione simile. Questo meccanismo potrebbe essere spiegato dalla “teoria della rete” che postula che ogni emozione ha uno specifico nodo in memoria. Ciò significa che nella mente di ognuno sono presenti dei nodi: uno per la felicità, uno per la tristezza, uno per la rabbia, uno per la paura e così via. Questi nodi specificano lo stato cognitivo, l’espressione del volto, i cambiamenti corporei, gli stati soggettivi e le azioni che sono caratteristiche di ogni stato emotivo (Giusti, Ticcorini, 1998). I nodi emotivi sono connessi a indicatori associati ad altri eventi della vita della persona che vengono risvegliati quando quella particolare emozione supera una certa soglia. Ciò significa che quando una persona prova della tristezza nel presente, si attiva il ricordo delle prime esperienze di tristezza; quando viene attivata l’unità emotiva elicita questi nodi a produrre le sensazioni corporee ed i comportamenti espressivi legati a quell’emozione. Questo provoca un’attivazione delle strutture della memoria connesse e, di conseguenza, un’eccitazione dei nodi emotivi che mantiene l’attivazione di quella emozione ed in parte determina il ricordo che è stato rintracciato. La teoria della rete propone questa sequenza di elicitazione simbolica dell’empatia: 1. Viene trasmessa una traccia che comunica un significato emotivo (ad esempio tua madre ride) 2. La traccia è trasmessa e decodificata dall’osservatore (ad esempio tu noti il sorriso) 3. La traccia è paragonata ad un nodo che è presente nella memoria dell’osservatore (il sorriso è accoppiato alla felicità). 4. Se questo nodo è connesso ad un nodo emotivo, il nodo emotivo si attiva (la felicità è attivata nella tua mente). 5. L’attivazione del nodo emotivo elicita le componenti autonome ed espressive delle emozioni (dal momento che il tuo nodo della felicità è stato attivato, tu cominci a sorridere e a sentirti felice) 6. Questo costituisce l’empatia nella misura in cui l’emozione che viene elicitata viene confrontata con lo stato emotivo dell’altra persona. L’empatia può nascere anche per imitazione; nel meccanismo dell’imitazione chi osserva imita le espressioni non verbali dello stato affettivo dell’altro e di conseguenza sperimenta il suo stato emotivo. Ad esempio se vediamo qualcun altro che piange il nostro volto può riprodurre l’espressione dell’altro e questo provocherebbe un sentimento di tristezza. Hoffman (1977) si riferisce alle teorie di Lipps (1903), James (1984) e Tomkins (1962) utilizzandole come sostegno all’ipotesi che l’empatia possa nascere dall’imitazione infatti fa notare come tutti questi teorici sostengano che ci siano modalità uniche di espressione ed unici stati soggettivi per ogni emozione primaria. Le spiegazioni che possono essere proposte a sostegno della teoria dell’imitazione sono le seguenti: 1) 2) 3) 4) l’ipotesi del feedback facciale la teoria vascolare l’imitazione vocale l’imitazione dei movimenti del corpo. Sia l’ipotesi del feedback facciale sia quella della teoria dell’efferenza vascolare facciale si focalizzano sull’imitazione dei movimenti facciali. Una condizione di base di queste spiegazioni sulla nascita dell’empatia si basa sulla considerazione che le persone hanno un’unica espressione facciale per ogni emozione di base e questo è facilmente verificabile negli adulti (Ekman,1984). L’ipotesi del feedback facciale è stata oggetto di discussione sin dagli anni ’60. È stata formulata da Tomkins (1962) e più tardi da Izard (1977), e stabilisce che all’aumentare dell’intensità dell’espressione facciale di un’emozione aumenti l’intensità della percezione emotiva di tale emozione (Buck, 1980; Izard, 1977; Laird, 1984). Izard spiega gli effetti dell’espressione del volto sull’esperienza soggettiva nel modo seguente: la corteccia motoria manda gli impulsi al nervo facciale per produrre l’espressione del volto; il nervo trigemino invia alla corteccia sensoriale il messaggio che il volto ha assunto quella determinata espressione ed il feedback nella corteccia sensoriale provoca l’esperienza soggettiva 11 dell’emozione. Nel caso dell’empatia emotiva, quando una persona imita la configurazione muscolare del volto dell’altro, i messaggi sono inviati alla corteccia sensoriale ed il feedback produce l’emozione associata a quella particolare espressione del volto. È in questo modo che l’espressione facciale provoca una risposta soggettiva della stessa emozione che è stata sperimentata dall’altra persona; questa ipotesi non ha ricevuto un consistente sostegno dalla ricerca. Un’altra spiegazione potenziale degli effetti dell’imitazione è la teoria vascolare dell’espressione delle emozioni. Questa teoria è stata recentemente rivalutata da Zajonc (1985). Ecco come secondo questo autore tale teoria potrebbe spiegare il sorgere dell’empatia: quando una persona imita l’espressione del volto di un’altra, i movimenti muscolari di chi empatizza producono gli stessi cambiamenti nel flusso sanguigno ed il rilascio di trasmettitori come accade nell’altro, il sentimento non è sperimentato allo stesso modo, la potenziale differenza è dovuta agli errori di chi empatizza nel riprodurre esattamente gli stessi movimenti muscolari dell’altro. Anche per questa teoria sono stati condotti molti studi sul collegamento tra espressioni del volto e esperienze soggettive che non sono stati soddisfacenti dal punto di vista scientifico. Il terzo modo in cui potrebbe essere spiegata l’imitazione che dà luogo all’empatia affettiva è il rispecchiamento prosodico (Omhdall, 1991). Per prosodia si intendono il ritmo, il tono e la sonorità delle vocalizzazioni non verbali connesse al discorso (Giusti, Ticconi, 1998). Scherer (1986) ha formulato una teoria secondo la quale vi è una relazione tra i cambiamenti nei segnali prosodici che sono associati alle emozioni basata sui cambiamenti muscolari mediati fisiologicamente; ci sarebbe secondo questo autore una relazione diretta tra i muscoli utilizzati per produrre una variazione dei segnali prosodici e le emozioni. Seguendo la logica della sua teoria l’imitazione dei segnali prosodici di un’altra persona può provocare non solo l’eccitazione dei sistemi nervosi simpatico e parasimpatico ma anche specifiche emozioni. Tra queste teorie basate sull’imitazione c’è anche quella che si riferisce all’imitazione della postura e dei movimenti. Adottare una postura tesa o rigida o i movimenti rapidi di un’altra persona modificherebbe l’attivazione del sistema autonomo di chi empatizza. Le teorie che abbiamo esaminato finora descrivono dei meccanismo primitivi e radicati biologicamente che sicuramente hanno a che fare con l’empatia affettiva anche se ciò che manca è una convincente spiegazione scientifica su come avvenga il passaggio dall’imitazione dell’altro al provare la sua stessa emozione ed è proprio sul fenomeno di provare proprio la stessa emozione che l’altro sta provando che si apre l’interessante tema della differenza che esiste tra la deduzione empatica e la precisione della comprensione empatica. I MECCANISMI CEREBRALI COINVOLTI NELL’EMPATIA • Nel processo dell’empatia sono coinvolte l’amigdala e le sue aree associative nella corteccia visiva. • L’empatia affettiva potrebbe nascere, da un meccanismo di “associazione diretta” per cui la visione di un’emozione espressa evoca nell’altro una emozione simile. • L’empatia affettiva potrebbe nascere dal “meccanismo dell’imitazione” per cui chi osserva imita le espressioni non verbali dello stato affettivo dell’altro sperimentando il suo stato emotivo. • Ipotesi del feedback facciale: all’aumentare dell’intensità dell’espressione facciale di un’emozione, aumenta anche l’intensità della percezione emotiva di tale emozione. • Teoria vascolare: quando una persona imita l’espressione del volto di un’altra, i movimenti muscolari di chi empatizza producono gli stessi cambiamenti nel flusso sanguigno ed il rilascio di neuro trasmettitori, come accade nell’altro. • Rispecchiamento prosodico: si riferisce alla prosodia (ritmo, tono, sonorità del linguaggio). 12 1.5 Differenza tra la deduzione empatica e l’esattezza della comprensione empatica La deduzione empatica rappresenta la lettura che facciamo quotidianamente di quello che è contenuto nella mente delle altre persone, ovviamente non deve essere confusa con la telepatia o con altri fenomeni paranormali, è infatti una forma di deduzione psicologica complessa nella quale l’osservazione, la memoria, la conoscenza ed il ragionamento si combinano assieme per ottenere la consapevolezza di quello che le altre persone pensano e sentono. La deduzione empatica fa così parte della nostra quotidianità che tendiamo a darla per scontata tranne quelle volte in cui ci accade di commettere degli errori, ed allora ci domandiamo come abbiamo fatto a sbagliarci così tanto sui sentimenti o sui pensieri provati dall’altro. La capacità di comprendere i sentimenti effettivi o i pensieri dell’altro prende il nome di “esattezza o precisione” empatica, tale abilità rappresenta una dimensione fondamentale dell’intelligenza sociale (Cantor e Kihlstrom, 1987; Goleman, 1995; Goody, 1995). Chi riesce ad avere una percezione empaticamente esatta è colui che generalmente è considerato un bravo interprete e lettore dei sentimenti e dei pensieri degli altri, si tratta probabilmente dei più abili politici, diplomatici, degli insegnanti di successo e degli psicoterapeuti più capaci di brillanti intuizioni. Al contrario le persone che percepiscono empaticamente in modo poco esatto sono coloro che commettono molti errori nel comprendere i sentimenti ed i pensieri degli altri. Prendendo spunto da quanto affermato da Goleman (1995) si potrebbe dire che si tratta di persone che mancano di intelligenza sociale e, se a ciò non è stato dato rimedio, questa carenza provoca un ritardo nel loro sviluppo, interferisce con le loro prestazioni scolastiche, restringe e compromette la sfera della loro amicizie, può danneggiare la riuscita del loro matrimonio, limitare i loro successi lavorativi, le loro abilità genitoriali e può anche farli rimanere ai margini della vita sociale. Gli studi sull’esattezza della comprensione empatica sono appena agli inizi anche se si possono collegare ad una tradizione di ricerca sulla percezione interpersonale che si è sviluppata sin dagli anni ’40, ispirata da un lato dai filosofi fenomenologhi europei (Giusti, Iannazzo, 1998) come Husserl (1931/1977) e Sartre (1943/1956) dall’altro da psicologi come Brunswick (1934). Le loro intuizioni trovarono una forma più strutturata negli anni ’50 attraverso gli studi ad esempio di Allport (1955), Bruner, Tagiuri, (1954), Gibson (1950) ed altri tanto per citare i più importanti. Due i temi che sono emersi all’interno degli studi sulla percezione interpersonale: uno è quello della precisione, l’altro quello dell’errore o dello scarto. Gli studiosi che si sono interessati al primo tema hanno esplorato il grado e le condizioni in cui chi percepisce compie delle deduzioni esatte sugli altri, al contrario gli studiosi interessati al secondo tema si sono dedicati allo studio dei diversi tipi di errori alle condizioni nelle quali questi errori si rendono più evidenti. L’area di ricerca sull’esattezza della comprensione empatica nasce da questa tradizione di ricerca e può essere caratterizzata nel modo seguente (Ickes, 1993, pp. 588-590 cit. in Ickes W., 1997, pp. 34): 1. La prima area di ricerca, quella con una storia più lunga di studi empirici, si focalizza sulla capacità di essere precisi nel valutare i tratti di personalità degli altri. Nelle ricerche in questo campo viene preteso il consenso tra osservatori come elemento necessario ma non sufficiente per determinare questa capacità (ad esempio Asch, 1946; Bronfenbrenner et al., 1958; Norman e Goldberg, 1966). 2. La seconda area di ricerca che ha una storia di studi più breve e più recente si focalizza sulla capacità dei membri di una coppia di percepire con esattezza o di comprendere quelle che sono le capacità, i valori e l’idea di sé che ha l’altro membro della coppia. Nelle ricerche condotte in questo ambito viene confrontata la percezione diretta dei membri della coppia con quella che è la metapercezione di ognuno relativa a queste caratteristiche stabili (Knudson et al., 1980; Sillars e Scott, 1983). 3. La terza area che ha una storia di studi ancora più recente si concentra sull’abilità di chi percepisce o la sua sensibilità affettiva nel comprendere quelli che sono gli stati emotivi di una o più persone bersaglio (Costanzo, Archer, 1989; Ekman, Friesen, 1975). 13 4. La quarta area che sta appena emergendo come ambito di ricerca si focalizza sull’esattezza della comprensione empatica cioè la capacità di dedurre con precisione il contenuto specifico dei sentimenti e dei pensieri di un’altra persona (Ickes et al., 1990; Levenson e Rief, 1992; Marangoni et al., 1995). Negli studi si è inizialmente privilegiata la capacità di percepire e descrivere in maniera precisa i tratti dell’altra persona per poi passare all’abilità di comprenderne con esattezza lo stato emotivo in un momento preciso e questo sia per motivi pratici che teorici che metodologici; gli studi che investigano sulla capacità di percepire accuratamente lo “stato” di un’altra persona sono molto più difficili da realizzare ed è per questo che sono nati solo quando sono state realizzate delle innovazioni metodologiche. Una nuova metodologia è stata realizzata da Ickes et al. (1990; 1988) e può essere utilizzata per stabilire con quale precisione chi percepisce è capace di dedurre “on line” il contenuto specifico dei pensieri e dei sentimenti degli altri. Un’altra metodologia realizzata da Levenson e Rief (1992), permette di stabilire con quale grado di precisione chi percepisce può dedurre on line il valore e l’intensità dei cambiamenti emotivi delle altre persone. Le caratteristiche che questi approcci hanno in comune sono le seguenti. 1. La precisione della comprensione empatica è stabilita on line, attraverso videoregistrazioni dei comportamenti delle persone target così come si svolgono nel tempo in modo tale da avere anche un indice di come la conoscenza dell’altro può far aumentare la capacità di percepirlo in maniera più corretta. 2. L’esattezza della comprensione empatica è stabilita in un contesto interpersonale 3. Il comportamento delle persone bersaglio è naturale piuttosto che recitato in modo da verificare come questa capacità agisce nella vita di ogni giorno. 4. Per definire la precisione nella comprensione empatica è utilizzato un criterio di comparazione, sono considerate deduzioni precise quelle che corrispondono o che sono strettamente corrispondenti a quanto riportato dalle persone bersaglio. 5. Poiché la precisione nella comprensione empatica è stabilita in relazione ad uno standard oggettivo di correttezza, la validità di queste misure migliora le misure più soggettive per le quali nessuno standard comparabile di misurazione è disponibile ed utilizzabile (Carkhuff, Burnstein, 1970; Kurtz, Grummon, 1972; Truax e Carkhuff, 1967; Wilson e Griswold, 1985). 6. Misure globali di questa capacità possono derivare e riflettere l’insieme delle deduzioni separate nel tempo del singolo partecipante. L’ insieme delle sue deduzioni dovrebbe aumentare la validità e la rappresentatività di queste misure globali. Un esempio di “errori” o di carente capacità di comprendere esattamente le emozioni o i comportamenti di un altro è presente ad esempio nel mondo animale in quei soggetti che hanno subito un precoce isolamento sociale. Essi appaiono poco capaci di leggere i segnali inviati dagli altri, i deficit che questi individui manifestano non sono però deficit nella capacità empatica di leggere le emozioni degli altri, ma di deficit nel mostrare attenzione per i segnali inviati dagli altri. Gibson (1966) parla di “educazione all’attenzione” in cui le differenze individuali nella percezione non sono dovute a processi percettivi, ma all’apprendimento di quali sono i segnali dell’assetto percettivo ai quali bisogna prestare attenzione. Qui entra in gioco l’elemento dell’apprendimento sociale e del suo sviluppo che esamineremo, per quanto riguarda il bambino, nel capitolo seguente. 14 Estratto da: “L' empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento motivazionale nella clinica e nella formazione” di Edoardo Giusti (Autore) e Maura Locatelli (Autore)