Zanichelli Editore 2001 Sintesi dei primi 7 Capitoli dell’Informazione Matematica per l’Ingegneria Giulio Cesare Barozzi Cronologia 1700 1800 1900 2000 L. Euler P.S. de Laplace A.M. Legendre M.A. Parseval J.B.J. Fourier C.F. Gauss F.W. Bessel A.L. Cauchy G. Green N.H. Abel J. Sturm P.G. Dirichlet E. Galois P.A. Laurent C. Hermite B. Riemann C. Jordan W.J. Gibbs H.A. Schwarz U. Dini O. Heaviside J.P. Gram L. Tonelli G. Morera D. Hilbert G. Vitali B. Levi H.L. Lebesgue E. Schmidt G. Fubini L. Feiér S. Banach P.A.M. Dirac L. Schwartz R.W. Hamming C. Shannon Elementi di analisi funzionale elementi di analisi funzionale 3 x + y = y + x, x+(y+z) = (x+y)+z, x(y + z) = xy + xz, xy = yx x(yz) = (xy)z x·1=x commutativa del prodotto, viene chiamata corpo. Dunque un campo è un corpo commutativo, cioè un corpo in cui entrambe le operazioni sono commutative. In àmbito fisico si dà il nome di campo vettoriale ad un’applicazione f : D → R3 , con D ⊆ R3 (si pensi al campo elettrico o al campo magnetico). Nota. Una struttura in cui valgano tutte le proprietà elencate, tranne al più la proprietà per ogni x ∈ K. Per ogni x ∈ K esiste un elemento opposto y, cioè un elemento tale che x + y = 0; tale elemento verrà indicato col simbolo −x. Per ogni x = 0 esiste un elemento reciproco z, cioè un elemento tale che xz = 1; tale elemento verrà indicato col simbolo x−1 oppure 1/x. x + 0 = x, quali che siano gli elementi x, y, z ∈ K. Esistono due elementi tra loro distinti, 0 e 1, che sono elementi neutri delle due operazioni: commutativa: associativa: distributiva: Definizione 1.1-1. Un insieme K si dice un campo se in esso sono definite due operazioni, denominate addizione e moltiplicazione, che associano ad ogni coppia di elementi x e y di K rispettivamente un elemento somma x + y e un elemento prodotto xy, per cui valgono le proprietà: 1.1. Spazi vettoriali 1. Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 4 b) una moltiplicazione degli elementi di K per gli elementi di V , cioè una corrispondenza che ad ogni coppia (a, x) con a ∈ K, x ∈ V associa un elemento di V detto prodotto di a per x e indicato ax. Supponiamo che le operazioni a) e b) godano delle seguenti proprietà: a.1) x + y = y + x (commutatività); a.2) x + (y + z) = (x + y) + z (associatività); a.3) esiste un elemento di V , indicato 0 (zero), tale che x + 0 = x per ogni x (esistenza dell’elemento neutro additivo); a.4) per ogni x ∈ V esiste un elemento y ∈ V tale che x + y = 0 (esistenza dell’opposto); b.1) a(x + y) = ax + ay (distributività della moltiplicazione rispetto all’addizione tra vettori); b.2) (a + b)x = ax + bx (distributività della moltiplicazione rispetto all’addizione tra scalari); b.3) a(bx) = (ab)x; b.4) 1x = x (1 è l’elemento neutro moltiplicativo di K). In tali ipotesi diremo che V , con le operazioni definite, è uno spazio vettoriale sul campo K. Gli elementi di V si dicono vettori, gli elementi di K si dicono scalari. a) un’addizione in V , cioè una corrispondenza che ad ogni coppia (x, y) di elementi di V associa un elemento di V stesso, detto somma di x e y e indicato x + y; Definizione 1.1-2. Sia V un insieme (non vuoto) e K un campo. Siano definite le seguenti operazioni: Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 5 Se lo s.v. V ammette un insieme finito di generatori, si dice che esso è finitamente generato. W = A. Si verifica che W è effettivamente uno s.v.; si dice che esso è generato da A, oppure che A è un insieme di generatori di W , e si scrive W := {x ∈ V | x = a1 v1 + a2 v2 + . . . + ar vr , aj ∈ K, ∀j}. e considerando l’insieme di tutte le loro combinazioni lineari: A := {v1 , v2 , . . . , vr } Un modo semplice per costruire un sottospazio di uno s.v. V (non necessariamente distinto da V stesso) si ottiene scegliendo un insieme di r ≥ 1 vettori Definizione 1.1-3. Sia V uno s.v. su K, W un sottoinsieme di V ; diremo che W è un sottospazio di V se a, b ∈ K ∧ x, y ∈ W =⇒ ax + by ∈ W. Useremo l’abbreviazione s.v. per spazio vettoriale. Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 6 è univocamente determinata; gli scalari c1 , c2 , . . . , cn si dicono le coordinate di x rispetto ai vettori della base. x = c1 v1 + c2 v2 + . . . + cn vn Definizione 1.1-5. Un insieme {v1 , v2 , . . . , vn } di generatori del sottospazio W dello s.v. V si dice una base di W se i vettori che lo costituiscono sono linearmente indipendenti. In tal caso, per ogni x ∈ W la rappresentazione Anziché dire che i vettori v1 , v2 , . . . , vr sono linearmente indipendenti si dice anche che l’insieme da essi costituito è libero. segue necessariamente c1 = c2 = . . . = cr = 0. In caso contrario essi si dicono linearmente dipendenti. 0 = c1 v1 + c2 v2 + . . . + cr vr Definizione 1.1-4. I vettori v1 , v2 , . . . , vr dello s.v. V si dicono linearmente indipendenti se dall’uguaglianza Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 7 Proposizione 1.1-3. Siano v1 , v2 , . . . , vn , n vettori di uno s.v. V di dimensione n; allora sono equivalenti le condizioni: i) v1 , v2 , . . . , vn generano V ; ii) v1 , v2 , . . . , vn sono linearmente indipendenti. Vale il teorema dell’alternativa: Proposizione 1.1-2. Se V è uno s.v. di dimensione finita, allora ogni sottospazio W è di dimensione finita; si ha dim W ≤ dim V , dove vale il segno di uguaglianza se e solo se W = V . Se dim V = n, ogni insieme libero contiene al più n elementi. dim V. Proposizione 1.1-1. Se V è uno s.v. finitamente generato, allora due diverse basi sono necessariamente costituite da un ugual numero di vettori; tale numero si chiama dimensione di V e si indica col simbolo Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 8 Proposizione 1.1-4. Lo s.v. V sul campo K ha dimensione n ≥ 1 se e solo se esso è isomorfo a Kn . Si dice che V1 e V2 sono isomorfi se esiste un isomorfismo che trasforma uno di essi nell’altro. su f −1 : V2 → V1 . 1−1 si dice che f è un isomorfismo di V1 su V2 . In tale ipotesi anche la funzione inversa è un isomorfismo, cioè si ha su f : V1 → V2 , 1−1 Se la trasformazione lineare f è una biiezione, cioè per ogni a, b ∈ K e per ogni x, y ∈ V1 . f (ax + by) = af (x) + bf (y) Definizione 1.1-6. La trasformazione f : V1 → V2 si dice lineare se Siano V1 e V2 due s.v. sul campo K. Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 9 Definizione 1.2-2. Sia X insieme (non vuoto); una funzione d : X × X → R si dice una distanza (o metrica) in X se d(x, y) ≥ 0, d(x, y) = 0 ⇐⇒ x = y; (5) d(x, y) = d(y, x), ∀x, y ∈ X; (6) d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y), ∀x, y, z ∈ X. (7) La coppia (X, d) si dice spazio metrico. Definizione 1.2-1. Sia V uno s.v. reale o complesso; si chiama norma una corrispondenza x → x da V a R tale che x = 0 =⇒ x > 0; (1) ax = |a| x , ∀a ∈ K, ∀x ∈ V ; (2) x + y ≤ x + y , ∀x, y ∈ V. (3) La coppia (V, · ) si dice spazio vettoriale normato, abbreviato s.v.n. 1.2. Spazi vettoriali normati Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 10 I punti che non sono né interni né esterni si dicono punti di frontiera di A; il loro insieme (che può essere vuoto) costituisce la frontiera (o bordo) di A. • interno ad A se esiste un intorno di x contenuto in A: ∃r > 0, Br (x) ⊂ A; • esterno ad A se esso è interno al complementare di A. Una volta definita la nozione di palla, possiamo estendere ad un qualsivoglia s.v.n. le usuali nozioni topologiche. Ad esempio, dato un insieme A ⊂ V , diremo che un elemento x ∈ V è La definizione posta si estende in modo naturale a qualunque spazio metrico (X, d): Br (x) := y ∈ X d(x, y) < r . Definizione 1.2-3. La palla di centro x ∈ V e raggio r > 0 è definita da Br (x) := y ∈ V x − y < r . Sia V uno s.v.n. Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 11 lim xn = x, · ). (8) Anche la proprietà di linearità per le successioni convergenti vale in ogni s.v.n.: se (xn ) converge a x e (yn ) converge a y, per ogni coppia di scalari a e b la successione (axn + byn ) converge al limite ax + by. Il teorema di unicità del limite sussiste in ogni s.v.n., e più in generale in ogni spazio metrico, in quanto punti distinti ammettono intorni disgiunti: basta considerare gli intorni di raggio inferiore alla metà della distanza tra i due punti: (x = y) ∧ (r < d(x, y)/2) =⇒ Br (x) ∩ Br (y) = ∅. n→∞ in (V, xn − x = 0, e scriveremo n→∞ lim Analogamente possiamo definire la nozione di successione convergente in uno s.v.n. Diremo che la successione (xn ) converge al limite x ∈ V se una qualsivoglia palla centrata in x contiene “definitivamente” i termini della stessa successione, cioè tutti i termini a partire da un certo indice (che dipenderà ovviamente dal raggio della palla considerata). Ciò significa semplicemente che Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 1 · 1 2 ≤ c1 x 1 , 2 2 (9) è più fine se ciascuna delle due norme è più fine dell’altra. 2 (9 ) se (e solo se) esistono due costanti positive c1 , c2 tali che · · 12 Proposizione 1.2-1. Se V è uno s.v. di dimensione finita, due norme qualunque definite su di esso sono equivalenti. per ogni x ∈ V . x · è equivalente a ≤ c2 x 2 , ∀x ∈ V. Dunque · 1 è equivalente a valga la (9) e la Diremo che x Definizione 1.2-4. Siano · 1 e · 2 due norme sullo s.v. V ; diremo che di · 1 se esiste una costante positiva c2 tale che Capitolo 1. elementi di analisi funzionale lim n→∞ xn − x0 1 =0 =⇒ n→∞ lim n→∞ f (xn ) − f (x0 ) 2 =0 . 13 f è continua in 0 ∈ V1 ; f è limitata, nel senso che esiste una costante C > 0 per cui si ha f (x) 2 ≤ C x 1 per ogni x ∈ V1 . Proposizione 1.2-3. Se V1 e V2 sono s.v.n. di dimensione finita, ogni trasformazione lineare f : V1 → V2 è continua. b) c) Proposizione 1.2-2. Se V1 , · 1 e V2 , · 2 sono s.v.n., ed f : V1 → V2 è una trasformazione lineare, sono equivalenti le proprietà a) f è continua in V1 ; cioè n→∞ Definizione 1.2-5. La funzione f : V1 → V2 si dice continua in x0 ∈ V1 se lim xn = x0 =⇒ lim f (xn ) = f (x0 ) Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 14 =⇒ xn − xm < ε. Proposizione 1.2-4. Ogni s.v.n. di dimensione finita su R o C è completo, cioè uno spazio di Banach. S. Banach 1892 - 1945 Gli s.v.n. completi si chiamano anche spazi di Banach. Definizione 1.2-7. Lo s.v.n. V si dice completo se le successioni di Cauchy in esso definite sono convergenti. A.L. Cauchy 1789 - 1857 Le successioni di Cauchy vengono anche chiamate successioni fondamentali. ∀n, m > nε Definizione 1.2-6. La successione (xn ) nello s.v.n. V si dice successione di Cauchy se, per ogni ε > 0, esiste un indice nε tale che Capitolo 1. elementi di analisi funzionale (2) (3) a(x, y) = a(y, x), ∀x, y ∈ V x = 0 =⇒ a(x, x) > 0. D. Hilbert 1870 - 1943 Se V è completo rispetto alla norma considerata (dunque è uno spazio di Banach) esso viene chiamato spazio di Hilbert. Il prodotto scalare induce una norma ponendo x := (x | x). Nel seguito indicheremo semplicemente con la notazione (x | y) il prodotto scalare tra x e y. (1) 15 a(αx + βy, z) = α a(x, z) + β a(y, z), ∀α, β ∈ C, ∀x, y, z ∈ V si dice un prodotto scalare (o prodotto interno) su V se verifica le proprietà: a:V ×V →C Definizione 1.3-1. Sia V uno s. v. complesso; una funzione 1.3. Spazi vettoriali con prodotto scalare Capitolo 1. elementi di analisi funzionale y . H.A. Schwarz 1843 - 1921. S’intende che la norma è indotta dal prodotto scalare. |(x | y)| ≤ x Proposizione 1.3-1. Per ogni coppia di vettori x, y ∈ V si ha Vale la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz : Capitolo 1. (6) 16 elementi di analisi funzionale 17 =⇒ x+y 2 = x 2 + y 2. (10) =⇒ (xh | xk ) = 0. 1, se h = k, 0, altrimenti. (11 ) (11) Proposizione 1.3-3. Ogni famiglia ortogonale di vettori è libera, cioè formata da vettori linearmente indipendenti. (xh | xk ) = δhk = Più in particolare, tale famiglia si dice ortonormale se (h = k) Definizione 1.3-3. Sia V uno s.v. con prodotto scalare. Una famiglia di vettori non nulli {x1 , x2 , . . . , xn } si dice ortogonale se i vettori che la compongono sono a due a due ortogonali: (x | y) = 0 Proposizione 1.3-2. Si ha Vale il teorema di Pitagora: Definizione 1.3-2. Sia V uno s.v. con prodotto scalare; i vettori x e y si dicono ortogonali se il loro prodotto scalare è nullo: x ⊥ y ⇐⇒ (x | y) = 0. Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 18 dim Vn = n. = k=1 n x 2 = k=1 n e rispettivamente x 2 |ck |2 . |ck |2 xk 2 , Si dirà che (x1 , x2 , . . . , xn ) è una base ortogonale (risp. ortonormale) di Vn . n Se x = k=1 ck xk è un vettore di Vn si avrà Vn := {x1 , x2 , . . . , xn } , (12 ) (12) Proposizione 1.3-4. Se {x1 , x2 , . . . , xn } è una famiglia ortogonale (rispettivamente ortonormale), essa genera un sottospazio di V di dimensione n: Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 19 (1) y= k=1 n (x | xk ) xk . xk 2 (3) Se {x1 , x2 , . . . , xn } è una famiglia ortogonale (dunque una base ortogonale di Vn ), allora y è dato da cioè z := x − y è ortogonale a tutti i vettori di Vn . Diremo che y è la proiezione ortogonale di x su Vn ; per tale vettore si ha ∀y ∈ Vn x − y ≤ x − y . (2) x = y + z, con z ∈ Vn⊥ , Proposizione 1.4-1. Sia V s.v. con prodotto scalare, {x1 , x2 , . . . , xn } un insieme di vettori linearmente indipendenti, Vn il sottospazio da essi generato: Vn := {x1 , x2 , . . . , xn } . Per ogni x ∈ V esiste un y ∈ Vn (ed uno solo) tale che Si dimostra che S ⊥ è un sottospazio di V . Definizione 1.4-1. Sia V uno s.v. con prodotto scalare, S un sottoinsieme (non necessariamente un sottospazio) di V ; chiameremo complemento ortogonale di S l’insieme S ⊥ dei vettori di V ortogonali ad ogni elemento di S: ⊥ S := x ∈ V (x | y) = 0, ∀y ∈ S . 1.4. Proiezioni ortogonali Capitolo 1. elementi di analisi funzionale 20 G := [ (xj | xi ) ], i, j = 1, 2, . . . , n, 1. e1 := x1 / x1 2. per k = 2, 3, . . . , n, ripetere: k−1 2.1 zk = xk − h=1 (xk | eh ) eh 2.2 ek := zk / zk Il procedimento di Gram-Schmidt realizza quanto sopra descritto: in modo tale che, per ogni indice k compreso tra 1 e n, il vettore ek sia combinazione lineare dei vettori {x1 , x2 , . . . , xk }. {e1 , e2 , . . . , en } Proposizione 1.4-3. Sia {x1 , x2 , . . . , xn } un insieme di vettori linearmente indipendenti nello s.v. V con prodotto scalare ( · | · ); è possibile costruire una famiglia ortonormale cioè la matrice avente come termine di indici (i, j) il prodotto scalare (xj | xi ) è definita positiva, dunque è invertibile. Proposizione 1.4-2. Se {x1 , x2 , . . . , xn } è un insieme di vettori linearmente indipendenti, allora la matrice Capitolo 1. Campi finiti campi finiti 21 (mod m) ⇐⇒ ∃ q ∈ Z, x − y = qm. [x] + [y] := [x + y], [x] · [y] := [x · y]. La congruenza modulo m è una relazione d’equivalenza; le classi di equivalenzasono precisamente m, e sono identificabili con i resti 0, 1, 2, . . . , m − 1 che si ottengono dividendo per m un qualsivoglia intero. La classe di equivalenza di x si indica [x]. Lo spazio quoziente (cioè l’insieme delle classi d’equivalenza) viene indicato in letteratura col simbolo Z/mZ, che nel seguito verrà abbreviato in Zm . Le operazioni su Z possono essere trasportate su Zm ponendo x≡y Dati i numeri interi x e y ed un intero m > 1 detto modulo, diremo che x e y sono congrui modulo m, e scriveremo x ≡ y (mod m), se x − y è multiplo di m: Appendice 1-A. Appendice 1-A. campi finiti 0 0 1 2 3 0 1 2 3 0 1 2 0 1 2 + 0 + 1 2 3 0 1 1 2 0 1 2 3 0 1 2 2 0 1 2 3 0 1 2 3 0 1 2 × 0 1 2 3 × 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 2 1 0 1 2 3 1 0 2 1 2 0 2 0 2 2 0 3 2 1 3 22 Per ogni modulo m, l’applicazione n → [n] è un omomorfismo (= trasformazione che conserva la struttura) dell’anello Z sull’anello Zm . m=4 m=3 Mostriamo le tabelle di addizione e moltiplicazione in Z3 e Z4 : Appendice 1-A. campi finiti 23 La cardinalità di un campo finito è la potenza di un primo, pn con p primo e n ≥ 1. Un campo avente una tale cardinalità viene indicato col simbolo GF(pn ). Per mostrare come si possa costruire un campo di cardinalità pn è essenziale la conoscenza del campo GF(p) = Zp . Infatti GF(pn ) viene costruito come il campo che ha come elementi i polinomi di grado ≤ n − 1 con coefficienti prelevati in GF(p). Ad esempio, supponiamo di voler costruire un campo con 24 = 16 elementi. Gli elementi di tale campo saranno polinomi di terzo grado con coefficienti prelevati in GF(2), dunque polinomi del tipo a3 x3 + a2 x2 + a1 x + a0 , dove i coefficienti ak valgono 0 oppure 1. Ciascun polinomio è identificato dalla quaterna (a3 , a2 , a1 , a0 ) ∈ Z42 , e tale quaterna può anche essere interpretata come la scrittura in base due dei naturali da zero a quindici. La tabella seguente mostra i sedici polinomi che si possono ottenere procedendo nel modo indicato. E. Galois 1811 - 1832 I campi finiti vengono detti campi di Galois. Se il campo contiene n elementi, esso viene indicato col simbolo GF(n). Dunque per ogni primo p, esiste un campo del tipo GF(p), e precisamente Zp . Teorema. Zm è un campo se e solo se m è primo. Gli anelli commutativi in cui tutti gli elementi diversi da zero, cioè diversi dal neutro additivo, sono dotati di reciproco sono campi. Appendice 1-A. 0 1 2 3 4 5 6 7 0000 0001 0010 0011 0100 0101 0110 0111 p0 (x) = 0 p1 (x) = 1 p2 (x) = x p3 (x) = x + 1 p4 (x) = x2 p5 (x) = x2 + 1 p5 (x) = x2 + x p5 (x) = x2 + x + 1 polinomio campi finiti 1000 1001 1010 1011 1100 1101 1110 1111 coeff. 8 9 10 11 12 13 14 15 indice p8 (x) = x3 p9 (x) = x3 + 1 p10 (x) = x3 + x p11 (x) = x3 + x + 1 p12 (x) = x3 + x2 p13 (x) = x3 + x2 + 1 p14 (x) = x3 + x2 + x p15 (x) = x3 + x2 + x + 1 polinomio 24 Per definire una moltiplicazione, occorre scegliere un polinomio di grado 4, a coefficienti in GF(2), che sia irriducibile, ciè non sia fattorizzabile nel prodotto di due polinomi di grado positivo. Un tale polinomio, nel caso indicato, è h(x) = x4 +x+1. La nozione di polinomio irriducibile gioca, nell’anello dei polinomi, un ruolo simile a quello della nozione di numero primo nell’anello degli interi. p5 (x) + p3 (x) = (x2 + 1) + (x + 1) = x2 + x = p6 (x). Nell’insieme indicato l’addizione non pone alcun problema: si sommano due polinomi e si effettua la riduzione modulo 2 dei coefficienti del polinomio somma. Ad esempio indice coeff. Appendice 1-A. campi finiti 25 pi (x) · pj (x) = 1 = p1 (x). cioè p9 · p11 = p12 . L’irriducibilità di h(x) garantisce che la struttura che cosı̀ è stata introdotta su GF(24 ) lo rende un campo e non soltanto un anello commutativo con unità. In altri termini, ogni polinomio diverso da p0 ammette reciproco, cioè per ogni indice i compreso tra 1 e 15 esiste un indice j compreso tra i medesimi estremi tale che (x3 + 1)(x3 + x + 1) = x3 + x2 , dove x3 + x2 è il polinomio resto (di grado < 4). Dunque in GF(24 ) si ha x6 + x4 + x + 1 = (x2 + 1) h(x) + x3 + x2 , Il prodotto dei due polinomi indicati (modulo 2) vale x6 + x4 + x + 1. Ma la divisione di tale polinomio per h(x) fornisce p9 (x) · p11 (x) = (x3 + 1)(x3 + x + 1). Per definire il prodotto di due polinomi di GF(24 ), si esegue il loro prodotto nel senso usuale (sempre modulo 2) e si prende il quoziente della divisione di tale prodotto per il polinomio h(x). Ad esempio, si voglia eseguire il prodotto Appendice 1-A. Il problema lineare dei minimi quadrati il problema lineare dei minimi quadrati 26 (1) j=1 aij xj , siano tutti nulli. bi − n i = 1, 2, . . . , m generato dalle colonne di A. Se b è un arbitrario vettore di Rm non v’è alcuna ragione perché esso appartenga allo spazio Vn , e dunque, in generale, il sistema considerato è privo di soluzioni. In altri termini, non esiste alcun x ∈ Rn per cui i residui Vn := { a1 , a2 , . . . , an } dunque b appartiene al sottospazio x1 a1 + x2 a2 + . . . + xn an = b, con x ∈ Rn . Supponiamo che le colonne di A, che indicheremo con i simboli aj , j = 1, 2, . . . , n, siano linearmente indipendenti e quindi il rango di A sia n, cioè uguale al numero delle colonne. Se esiste una soluzione x = (x1 , x2 , . . . , xn ) del sistema (1), ciò significa che Ax = b, Sia A una matrice m × n a termini reali, con m > n, e b sia un vettore di Rm . Consideriamo il sistema di m equazioni lineari in n incognite Appendice 1-B. Appendice 1-B. il problema lineare dei minimi quadrati 27 j=1 (3) (2) che rappresenta la trasformazione lineare che ad ogni vettore b ∈ Rm associa la “soluzione nel senso dei minimi quadrati” del sistema iniziale, si chiama inversa generalizzata (o pseudoinversa) della matrice A. Se A è quadrata e invertibile, allora A+ = A−1 . La matrice n × m −1 T A+ := ATA A , (sistema delle equazioni normali ), la cui soluzione è data formalmente da −1 T x = ATA A b. ATA x = AT b, Ciò equivale alla ricerca dell’elemento di Vn avente distanza minima da b: è il problema di cui ci siamo occupati nella Proposizione 1.4-1, salvo un cambiamento di notazioni. La matrice di Gram G (↑ Prop. 1.4-2) è data da ATA (dove AT indica la trasposta di A): infatti gli elementi di tale matrice prodotto sono ai · aj = aj · ai . Il vettore dei termini noti, avendo come componenti b · aj = aTj b (prodotto di una matrice 1 × n con una matrice n × 1), si scrive AT b. Il sistema (4) del paragrafo 1.4 si scrive dunque i=1 Possiamo allora cercare di minimizzare la somma dei quadrati dei residui, cioè la funzione di x m n 2 2 bi − aij xj = b − (x1 a1 + x2 a2 + . . . + xn an 2 . Appendice 1-B. Elementi di teoria dell’integrazione elementi di teoria dell’integrazione 28 G.F.B. Riemann 1826 - 1866 mediante pluri-rettangoli, unione di un numero finito di rettangoli con i lati paralleli agli assi coordinati, in modo che la differenza tra le aree dei pluri-rettangoli inscritti e circoscritti si possa rendere piccola ad arbitrio. Consideriamo funzioni a valori reali non negativi, definite su un intervallo compatto [a, b], f : [a, b] → R+ = [0, +∞); ogni funzione a valori reali si può scrivere come differenza tra due funzioni a valori non negativi. Dire che f è integrabile nel senso di Riemann (abbreviato: R-integrabile) significa che è possibile inscrivere e circoscrivere il trapezioide (o sottografico) di f: 2 trap(f ) := (x, y) ∈ R x ∈ [a, b] ∧ 0 ≤ y ≤ f (x) 2.1. Richiami sull’integrale di Riemann 2. Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 29 Ek := sup{f (x) | xk−1 < x < xk }, se xk−1 < x < xk , k = 1, . . . , n; f (x), se x = xk , k = 0, 1, . . . , n f2 (x) := f1 (x) ≤ f (x) ≤ f2 (x), ∀x ∈ [a, b]. che sono rispettivamente minorante e maggiorante di f : ek := inf{f (x) | xk−1 < x < xk }, se xk−1 < x < xk , k = 1, . . . , n ; f (x), se x = xk , k = 0, 1, . . . , n f1 (x) := dove x0 < x1 < x2 < . . . < xn , possiamo associare due funzioni costanti a tratti : x0 = a, x1 , x2 , . . . , xn = b, Più precisamente: ad ogni scomposizione dell’intervallo base [a, b] in un numero finito di parti mediante i punti Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 30 a b f2 (x) dx = k=1 n k=1 Ek (xk − xk−1 ). quale che sia la scomposizione σ. a La funzione f è R-integrabile se gli insiemi numerici costituiti dalle somme inferiori e dalle somme superiori sono contigui, cioè per ogni ε > 0 è possibile trovare una somma superiore ed una somma inferiore la cui differenza è minore di ε. In tal caso l’integrale di f è l’elemento di separazione tra i due insiemi considerati, cioè l’unico numero per cui valga la doppia diseguaglianza b s(f ; σ) ≤ f (x) dx ≤ S(f ; σ) S(f ; σ) := a Gli integrali di f1 e f2 sono rispettivamente la somma inferiore e la somma superiore relative alla funzione f e alla scomposizione considerata: se indichiamo con la lettera σ la scomposizione (1), possiamo usare i simboli: b n f1 (x) dx = ek (xk − xk−1 ), s(f ; σ) := Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 31 m(P ) := H.L. Lebesgue 1875 - 1941 k m(Ik ). (1) Nella formula scritta s’intende che l’indice k descriva una insieme finito o numerabile di indici. Ogni pluri-intervallo si può scrivere come unione di intervalli a due a due privi di punti interni in comune; in tale ipotesi la misura di P è definita come k Un pluri-intervallo è l’unione di una famiglia finita o numerabile di intervalli P = Ik , Ik intervallo ⊂ Rn . i=1 la misura di I è definita come il prodotto delle lunghezze dei singoli intervalli [ai , bi ], i = = 1, 2, . . . , n: n (bi − ai ). m(I) := I = [a1 , b1 ] × [a2 , b2 ] × . . . × [an , bn ]; Chiamiamo intervallo (o iper-intervallo) in Rn il prodotto cartesiano di n intervalli contenuti in R: 2.2. La misura di Lebesgue Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 32 (2) =⇒ m∗ (E1 ) ≤ m∗ (E2 ); m∗ (E1 ∪ E2 ) ≤ m∗ (E1 ) + m∗ (E2 ). la misura esterna è sub-additiva, cioè E1 ⊆ E2 la misura esterna è monotona nel senso che m∗ (∅) = 0; Proposizione 2.2-1. La misura esterna dell’insieme vuoto vale 0: (5) (4) (3) dove s’intende che l’estremo inferiore è considerato al variare del pluri-intervallo P nell’insieme dei pluri-intervalli che contengono E: E ⊆ P . Se E è un pluri-intervallo, la sua misura esterna coincide con la misura: m∗ (P ) = m(P ). P m∗ (E) := inf m(P ), in ogni caso tale somma non dipende dall’ordine con cui gli addendi vengono considerati, in quanto le serie a termini positivi sono “incondizionatamente regolari”, nel senso che la loro somma (finita o infinita) è invariante rispetto a permutazioni dei termini. Se E è un qualsivoglia insieme contenuto in Rn possiamo definire la sua misura esterna come l’estremo inferiore (finito o infinito) delle misure dei pluri-intervalli che contengono E: m(P ) ∈ R+ := [ 0, +∞) ∪ {+∞}; La somma a secondo membro di (1) è convergente ad un valore positivo oppure positivamente divergente: Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione (6) 33 Definizione 2.2-2. Sia f : E → R una funzione definita sull’insieme misurabile E ⊆ Rn ; diremo che essa è misurabile se, per ogni a ∈ R; è misurabile l’insieme dei punti di E su cui f vale meno di a: {x ∈ E | f (x) < a}. iii) La misura m è σ-additiva su M (= numerabilmente additiva), cioè per ogni famiglia finita o numerabile E1 , E2 , . . . di parti di M, a due a due disgiunte, si ha m(∪i Ei ) = i m(Ei ). Proposizione 2.2-2. La famiglia M degli insiemi misurabili di Rn è una σ-algebra di parti di Rn contenente l’insieme vuoto, vale a dire i) se E1 , E2 , . . . sono elementi di M, in quantità finita o numerabile, tali sono anche la loro unione e la loro intersezione; ii) se M contiene un insieme E, contiene anche il suo complementare rispetto a Rn . m(I) = m∗ (I ∩ E) + m∗ (I \ E). Definizione 2.2-1. Un insieme E di Rn si dice misurabile se, per ogni intervallo I, si ha Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 34 (7) k=1 con le convenzioni: 0 · ∞ := 0, Rn c · ∞ := ∞ se c > 0, c + ∞ = ∞ + ∞ := ∞. Definizione 2.2-4. Sia g : Rn → R+ una funzione semplice, non negativa, che assume i valori c1 , c2 , . . . , cN sugli insiemi misurabili E1 , E2 , . . . , EN . Se µk è la misura di Ek , µk := m(Ek ), definiamo l’integrale di Lebesgue di g ponendo N g(x) dx := ck µk , (8) j→∞ f (x) = lim fj (x). Proposizione 2.2-3. Ogni funzione f : Rn → R+ misurabile non negativa è limite di una successione crescente di funzioni semplici non negative fj (x): Definizione 2.2-3. Si chiama funzione semplice una funzione misurabile che assume soltanto un numero finito di valori. Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 35 j→∞ Rn Rn Rn Rn si dice in tal caso che f è sommabile se tali sono f + e f − e si pone + f (x) dx := f (x) dx − f − (x) dx. f = f + − f −; (10) Definizione 2.2-5. Diremo che f : Rn → R+ è sommabile (= Lebesgue-integrabile, abbreviato L-integrabile) se il limite (9) sussiste finito. Se poi f non è di segno costante, si ha Il limite a secondo membro, in quanto limite di una successione crescente in R+ = [0, +∞) ∪ {+∞}, esiste finito o infinito. Si può dimostrare che, se f viene approssimata in modi diversi da successioni crescenti di funzioni semplici, il limite in questione è indipendente dalla scelta della successione approssimante. Rn Sia ora f una funzione misurabile non negativa; approssimiamola (↑ Proposizione 2.2-3) mediante una successione crescente di funzioni semplici e non negative fj , per le quali è stato appena definito l’integrale. Si pone f (x) dx := lim fj (x) dx. (9) Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 36 q.o. su E, n→∞ lim b) si ha E fn (x) dx = E f (x) dx. a) la funzione limite f è sommabile; allora: ∀n, |fn (x)| ≤ g(x) Proposizione 2.3-1. Se la successione di funzioni sommabili fn : E → R, E ⊆ Rn , converge q.o. verso la funzione limite f , ed esiste una funzione sommabile g : E → R tale che si abbia Teorema di Lebesgue (convergenza dominata): 2.3. L’integrale di Lebesgue Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 37 n→∞ lim b) si ha E B. Levi 1875 - 1961 fn (x) dx = E f (x) dx. a) fn tende q.o. verso una funzione sommabile f ; allora E Proposizione 2.3-2. Sia fn : E → R, E ⊆ Rn , una successione crescente di funzioni sommabili. Se esiste un numero A tale che sia fn (x) dx ≤ A, ∀n, Teorema di B. Levi (convergenza monotona): Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 38 R×R iii) si ha G. Fubini 1879 - 1943 f (x, y) dx dy = R R f (x, y) dx dy. Proposizione 2.3-3. Sia (x, y) → f (x, y), x ∈ R, y ∈ R una funzione sommabile su R2 = R × R. Allora i) per quasi ogni y la funzione x → f (x, y) è sommabile su R; ii) la funzione y → R f (x, y) dx è sommabile su R; Teorema di Fubini : Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 39 L. Tonelli 1855 - 1946 Proposizione 2.3-4. Sia (x, y) → f (x, y), x ∈ R, y ∈ R una funzione misurabile su R2 e non negativa: f (x, y) ≥ 0 q.o. su R2 . Se valgono le condizioni i) e ii) della proposizione precedente, allora f è sommabile su R2 . Teorema di Tonelli: Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 40 |βk − αk | < δ =⇒ k=1 p |g(βk ) − g(αk )| < ε. q.o. su [a, b]. x1 Inversamente, se F : [a, b] → R è una funzione assolutamente continua su [a, b], allora essa è derivabile q.o. su tale intervallo e, posto f (x) := F (x), si ha x2 ∀x1 , x2 ∈ [a, b], F (x2 ) − F (x1 ) = f (x) dx. F (x) = f (x) Proposizione 2.3-6. Se f : [a, b] → R è sommabile, allora la sua funzione integrale F (x) := x = x0 f (t) dt è assolutamente continua e si ha k=1 p Definizione 2.3-1. La funzione g : [a, b] → R si dice assolutamente continua su [a, b] se per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che, per ogni insieme finito di sottointervalli aperti (αk , βk ) ⊂ [a, b], k = 1, 2, . . . , p, a due a due disgiunti, si abbia Proposizione 2.3-5. La funzione limitata f : [a, b] → R è R-integrabile se e solo se l’insieme dei suoi punti di discontinuità è di misura nulla. Teorema di Lebesgue-Vitali : Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 41 E E è una norma a patto di identificare funzioni quasi ovunque uguali tra loro. E La funzione f è sommabile se e solo se è sommabile |f |. L’insieme delle funzioni sommabili f : E → C, munito delle consuete operazioni di addizione tra funzioni e moltiplicazione di una funzione per una costante, è uno s.v. complesso che viene indicato col simbolo L1 (E). La quantità f 1 := |f (x)| dx (2) E Sia E un insieme misurabile di Rn , f : E → C una funzione a valori complessi. Se f1 (x) e f2 (x) sono la parte reale e il coefficiente della parte immaginaria di f (x), dunque f (x) = = f1 (x) + if2 (x), con f1 , f2 : E → R, diremo che f è sommabile se tali sono f1 e f2 e porremo f (x) dx := f1 (x) dx + i f2 (x) dx. (1) 2.4. Spazi di funzioni sommabili Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione 42 E f ∞ x := sup |f (x)| < ∞. Abbiamo usato l’asterisco per indicare il coniugato. Gli spazi Lp sono completi, dunque spazi di Banach; in particolare L2 è uno spazio di Hilbert. Quanto alla possibilità di definire una norma del tipo · ∞ , dobbiamo ritoccare la definizione di maggiorante di una funzione, nel senso che diremo che il numero M è un maggiorante di |f (x)| se la relazione |f (x)| ≤ M è verificata q.o. in E. Ciò posto, possiamo definire L∞ (E) come lo spazio delle funzioni f : E → C che sono limitate, nel senso che 2 In particolare ci interessa il caso p = 2, cioè lo spazio delle funzioni di quadrato sommabile L (E); la sua norma è generata dal prodotto scalare (f | g) := f (x) g(x)∗ dx. (4) E Più in generale, possiamo considerare per ogni p ≥ 1 lo spazio Lp (E) costituito dalle funzioni f per cui è sommabile la funzione |f |p ; Lp (E) è uno s.v.n. con norma 1/p p |f (x)| dx . (3) f p := Capitolo 2. elementi di teoria dell’integrazione E f 2 ≤ m(E) f ∞. E 1 ≤ m(E) f ∞. 2 ∞, (8) (7) (6) (5) 43 E Infatti si ha f 22 = |f (x)| |f (x)| dx ≤ f ∞ E |f (x)| dx = f ∞ f 1. Se E è un insieme di misura infinita, m(E) = ∞, le inclusioni (5) non sussistono. Se E è un insieme misurabile qualsivoglia ci limitiamo ad osservare l’inclusione 1 L (E) ∩ L∞ (E) ⊂ L2 (E). (9) f Combinando la (6) con la (7) si ottiene da cui E Supponiamo ora f ∈ L∞ (E); abbiamo 2 2 f 2= |f (x)| dx ≤ f 2∞ dx = m(E) f E Sia f ∈ L2 (E); sfruttando la diseguaglianza di Cauchy-Schwarz abbiamo f 1= |f (x)| dx = 1 · |f (x)| dx ≤ 1 2 f 2 = m(E) f 2 . L∞ (E) ⊂ L2 (E) ⊂ L1 (E). Se E è un insieme di misura finita, m(E) < ∞, è facile stabilire le inclusioni Capitolo 2. Serie di Fourier serie di fourier 44 2 = 2π. (1) pn (x) = ck eikx , ck ∈ C. J.B.J. Fourier 1768 - 1830 k=−n n (2) S’intende che la norma è quella di L2 . Le 2n + 1 funzioni x → eikx , k = 0, ±1, ±2, . . . , ±n, forniscono una base ortogonale del sottospazio Fn di L2 costituito dai polinomi trigonometrici di ordine ≤ n: einx inx 2 La famiglia di funzioni esponenziali x → e , n ∈ Z, è ortogonale nello spazio L [−π, π] , cosı̀ 2 come in un qualunque spazio L [a, a + 2π] . Per ciascuna delle funzioni in esame si ha 3.1. Polinomi di Fourier 3. Capitolo 3. serie di fourier 45 k=1 n [ ak cos kx + bk sin kx ], con certi coefficienti reali ak , k = 0, 1, . . . , n, e bk , k = 1, 2, . . . , n. a0 + pn (x) = 2 Si tratta ancora di una base ortogonale; le funzioni che la costituiscono hanno tutte come quadrato della norma π, ad eccezione della costante x → 1/2, per cui il quadrato della norma vale π/2. Ogni pn ∈ Fn è dunque esprimibile nella forma 1/2, cos x, sin x, cos 2x, sin 2x, ............ cos nx, sin nx. Un’altra base di Fn è costituita dalle 2n + 1 funzioni reali Capitolo 3. serie di fourier 46 = 2π n k=−n −π 2 |a |2 0 |ck | = π + 2 k=1 n 2 |ak | + |bk | 2 . e inversamente c0 = a0 /2, 1 1 ck = (ak − ibk ), c−k = (ak + ibk ), k = 1, 2 . . . , n. 2 2 Il teorema di Pitagora consente di calcolare la norma di pn : π 2 |pn (x)|2 dx = pn = ak = ck + c−k , k = 0, 1, . . . , n, bk = i(ck − c−k ), k = 1, 2 . . . , n; (2) Le formule di passaggio dai coefficienti di pn rispetto alla prima base agli analoghi coefficienti rispetto alla seconda base sono le (17) e (17 ) del paragrafo 1.3: Capitolo 3. serie di fourier 47 ck [λ1 f1 + λ2 f2 ] = λ1 ck [f1 ] + λ2 ck [f2 ]. Anche per i coefficienti di Fourier sarebbe più appropriata una notazione del tipo ck [f ], per porre in evidenza la dipendenza dalla funzione f ; si osservi che tale dipendenza è lineare, cioè k=−n Il polinomio ottenuto si chiama polinomio di Fourier di ordine n della funzione f ; per esso utilizzeremo il simbolo sn [f ](x), o più semplicemente sn (x). Dunque n π 1 −ikt f (t)e dt eikx . sn (x) = 2π −π Se f ∈ L2 possiamo calcolare la sua proiezione ortogonale sul sottospazio Fn , in base alla Proposizione 1.4-1: tale proiezione ammette un’espressione del tipo (2), con i coefficienti calcolati secondo la formula (3) dello stesso paragrafo 1.4: essi sono dati dai prodotti scalari tra la funzione f e i singoli vettori della base, divisi per il quadrato della norma degli stessi vettori, dunque π 1 ck = f (t)e−ikt dt, k = 0, ±1, ±2, . . . , ±n. (3) 2π −π Capitolo 3. serie di fourier 48 k=1 n ak cos kx + bk sin kx , (6) (5) (4) Si riconosce che la (4) rientra nella formula (5) ponendo in essa k = 0 (in ciò consiste la ragione della scelta della funzione costante 1/2 in luogo della costante 1 come primo elemento della base di Fn ). dove i coefficienti sono dati, sempre in base alla (3) del paragrafo 1.4, dalle formule 2 π 1 1 π f (t) dt = f (t) dt, a0 = π −π 2 π −π 1 π ak = f (t) cos kt dt, k = 1, 2, . . . , n, π −π 1 π bk = f (t) sin kt dt, k = 1, 2, . . . , n. π −π a0 sn (x) = + 2 Alternativamente possiamo utilizzare la base reale, costituita da seni e coseni; avremo in tal caso una espressione di sn del tipo Capitolo 3. serie di fourier k=1 ∞ [ ak cos kx + bk sin kx ], k=1 ∞ [ ak cos kx + bk sin kx ], k=−∞ ck eikx dove i coefficienti ck sono dati dalla formula (3). f (x) ∼ ∞ intendendo sempre che i coefficienti ak e bk siano dati dalle (5)-(6). Se si utilizza la successione ortogonale einx , la serie di Fourier si scrive a0 f (x) ∼ + 2 che verrà chiamata serie di Fourier di f . Scriveremo a0 + 2 la successione (sn ) dei polinomi di Fourier di f si presenta dunque come una serie Il passaggio da sn a sn+1 richiede l’aggiunta della quantità an+1 cos (n + 1)x + bn+1 sin (n + 1)x ; Capitolo 3. (7 ) (7) 49 serie di fourier = 2π k=−n n |ck |2 ≤ 1 f 2π 2 . |ck |2 ≤ f 2 , |ck |2 ≤ 1 f 2π 2 . |a0 |2 + 2 1 |ak |2 + |bk |2 ≤ f π F.W. Bessel 1784 - 1846 k=1 ∞ 2 . Analogamente, se si utilizza la forma reale, si ottiene la disuguaglianza k=−∞ ∞ Passando al limite per n → +∞ si ottiene k=−n n o, in forma equivalente sn 2 (8) 50 (9 ) (9) (8 ) La disuguaglianza di Bessel (↑ formule (7)-(7 ) del paragrafo 1.4) si scrive, in base alla (3), Capitolo 3. = f 2 sn − f = 0 2 ⇐⇒ − sn serie di fourier 2 lim n→∞ sn = f . (si riveda la formula (6) del paragrafo 1.4), si ha (10) 51 sn − f = 0 ⇐⇒ n→∞ lim k=−∞ k=1 ∞ 1 f 2π 2 1 f |ak |2 + |bk |2 = π |ck |2 = |a0 |2 + sn − f = 0 ⇐⇒ 2 o, in forma equivalente n→∞ lim ∞ 2 . (11) D’altra parte l’ultima uguaglianza sussiste se e solo se nella diseguaglianza di Bessel (9)-(9 ) si ha il segno di uguaglianza; in definitiva n→∞ lim Poiché sn − f Capitolo 3. serie di fourier a 52 Proposizione 3.2-2. Il comportamento nel punto x della serie di Fourier della funzione f dipende esclusivamente dai valori assunti dalla funzione stessa nell’intorno (x − δ, x + δ), con δ > 0 ad arbitrio. Teorema di localizzazione: |λ|→+∞ Proposizione 3.2-1. Per ogni f ∈ L1 [a, b] si ha b lim f (x) eiλx dx = 0 (λ reale). Lemma di Riemann-Lebesgue: 3.2. Serie di Fourier: convergenza puntuale Capitolo 3. serie di fourier 53 +∞ U. Dini 1845 - 1918 a0 [an cos nx + bn sin nx] = + 2 n=1 t→ k=−∞ ∞ cn einx = s(x). (6 ) f (x + t) + f (x − t) − 2s(x) t è sommabile sull’intervallo [0, δ], con δ > 0 ad arbitrio, allora sussiste la (6), vale a dire si ha Proposizione 3.2-3. Se la funzione Il criterio di Dini: Capitolo 3. serie di fourier 54 t→0 f (x− ) := lim+ f (x − t), |f (x − t) − f (x− )| ≤ L tα , (8) (7) P.G. Dirichlet 1805 - 1859 Criterio di Dirichlet. Se f è una funzione periodica di periodo 2π e se ogni intervallo di periodicità si può scomporre in un numero finito di sottointervalli, in modo tale che all’interno di ciascuno di essi la funzione f sia continua e monotona, mentre nei punti di scomposizione essa ammette al più discontinuità di prima specie, allora la (8) sussiste per ogni x ∈ R. f (x+ ) + f (x− ) s(x) = . 2 la serie di Fourier di f converge in x alla somma |f (x + t) − f (x+ )| ≤ L tα , e se, per due costanti positive L e α sono verificate (per t > 0 abbastanza piccolo) le condizioni t→0 f (x+ ) := lim+ f (x + t), Proposizione 3.2-4. Se esistono finiti i limiti a sinistra e a destra della funzione f nel punto x: Capitolo 3. serie di fourier 55 k=1 uk (x), k≥1 uk ∞. Proposizione 3.3-1. Se f ∈ C2π (R) è derivabile q.o. con derivata prima continua a tratti, allora la sua serie di Fourier converge totalmente, dunque uniformemente, alla funzione f . Diremo che f ∈ C2π (R) se essa è continua su (R) e periodica di periodo 2π. In particolare ciò implica che f (π) = f (−π). è totalmente convergente se è convergente la serie a termini positivi sn (x) := n Definizione 3.3-1. Sia uk : [a, b] → C una successione di funzioni continue sull’intervallo [a, b]; diremo che la serie k≥1 uk (x), cioè quella avente come somme parziali le funzioni 3.3. Serie di Fourier: convergenza uniforme Capitolo 3. serie di fourier 56 Proposizione 3.3-2. Per ogni f ∈ C2π (R) la successione dei relativi polinomi di Fejér (σn ) converge uniformemente alla funzione f . σn (x) := s0 (x) + s1 (x) + . . . + sn (x) ; (5) n+1 diremo che σn (x) è il polinomio di Fejér di f di ordine n. Si tratta di un polinomio trigonometrico di ordine n. Sostituendo al posto di ciascuna sk , k = 0, 1, . . . , n, la relativa espressione, si trova a0 n−1 n σn (x) = + [a1 cos x + b1 sin x] + a2 cos 2x + b2 sin 2x + . . . + 2 n+1 n+1 1 + [an cos nx + bn sin nx]. n+1 Poniamo Capitolo 3. serie di fourier 57 | cn |2 < +∞. | cn |2 = x 2 . Ricordiamo che 2 è uno spazio di Hilbert; v. esempio 1.3-5. n=1 +∞ Esiste allora un elemento x ∈ V tale che, per ogni n, cn = (x | en ) e n=1 +∞ Proposizione 3.4-1. Sia (en ) una successione ortonormale nello spazio di Hilbert V , (cn ) una successione di 2 , cioè tale che Il Teorema di Riesz e Fischer : 3.4. Serie di Fourier: convergenza in media quadratica Capitolo 3. serie di fourier 58 k=1 n ck ek = x, dove ck := (x | ek ); ⊥ = { 0 }. Si esprime tale proprietà dicendo che la successione (en ) è totale (o massimale) in V . (en ) La iii) esprime il fatto che l’unico elemento ortogonale a tutti gli elementi della successione (en ) è l’elemento nullo: Se V è completo (dunque uno spazio di Hilbert), allora iii) implica i) e ii) per ogni x ∈ V . Se i) e ii) sono verificate per ogni x ∈ V , allora si ha iii) ∀n, (x | en ) = 0 =⇒ (x = 0). k=1 |ck |2 = x 2 . n→+∞ ck ek := lim +∞ k=1 ii) i) ∞ Proposizione 3.4-2. Sia V uno spazio vettoriale con prodotto scalare, (en ) una successione ortonormale in esso; per ogni fissato x ∈ V sono equivalenti le proposizioni Capitolo 3. serie di fourier (1) 59 k=−∞ k=1 Corollario. Per ogni f di L2 [−π, π] vale l’identità di Parseval ∞ |a |2 ∞ 0 2 2 2 |ak | + |bk | = f |ck | = π 2π + 2 2 . (2) Proposizione 3.4-3. La successione (1) è totale nello spazio L2 [−π, π], e dunque è una base dello stesso spazio. è totale in C2π (R), munito del prodotto scalare di L2 [−π, π]. 1/2, cos x, sin x, . . . , cos nx, sin nx, . . . , Lemma. La successione Capitolo 3. serie di fourier k=1 ∞ k=1 (ak cos kx + bk sin kx). (2) (1) 60 dove ω := 2π/T ; tali funzioni ammettono T come quadrato della norma. La quantità ω è la cosiddetta pulsazione (o frequenza angolare) della funzione in esame. (einωt )n∈Z , Tutti i risultati precedenti si estendono a funzioni periodiche di periodo T > 0 arbitrario. Spesso la variabile indipendente viene interpretata come un tempo e per questa ragione viene indicata con la lettera t. Lo spazio L2 [0, T ], oppure L2 [−T /2, T /2], ammette come base ortogonale la famiglia di funzioni a valori complessi dove, per ogni fissato x0 , la serie a secondo membro converge uniformemente al variare di x nell’intervallo [−π, π]. Per ogni coppia di punti x0 , x ∈ [−π, π], si ha x x x x ∞ a0 ak f (t) dt = cos kt dt + bk sin kt dt , dt + 2 x0 x0 x0 x0 a0 f (x) ∼ + 2 Proposizione 3.5-1. Sia f ∈ L2 [−π, π] e sia 3.5. Serie di Fourier: ulteriori risultati Capitolo 3. serie di fourier 61 Il quadrato della norma di ciascuna di tali funzioni (ad eccezione della prima) è T /2. Si osservi che la trasformazione lineare t = ωτ = (2π/T ) τ muta l’intervallo [0, T ] nell’intervallo [0, 2π]. .............................. 1/2 cos ωt, sin ωt, cos 2ωt, sin 2ωt, .............................. cos nωt, sin nωt, Alternativamente, si può utilizzare la base Capitolo 3. serie di fourier 62 2 ak := T T /2 −T /2 k=−∞ f (τ ) cos kωτ dτ, 2 bk := T (ak cos kωt + bk sin kωt), ck eikωt , k=1 ∞ e rispettivamente 1 T /2 f (τ ) e−ikωτ dτ. ck := T −T /2 dove f (t) ∼ ∞ a0 + f (t) ∼ 2 T /2 −T /2 f (τ ) sin kωτ dτ, (4 ) (4) (3 ) (3) La serie di Fourier di un’assegnata funzione f sommabile su [0, T ], che supponiamo prolungata con periodo T a tutta la retta reale, si scrive in una delle due forme Capitolo 3. serie di fourier ck − c−k = −ibk (5) 63 o, in forma equivalente, 1 1 (5 ) (ak − ibk ) = ck , (ak + ibk ) = c−k . 2 2 Le formule scritte sono valide per ogni naturale k se si conviene di porre b0 = 0. In certe situazioni è preferibile fare comparire al posto di ω (pulsazione), la frequenza 1/T . Se indichiamo col simbolo 1 f0 := T la frequenza fondamentale, allora il prodotto kωt si scrive 2π t = 2πkf0 t. kωt = k T ck + c−k = ak , Si hanno le uguaglianze Capitolo 3. serie di fourier 64 k=−∞ ak cos(2πkf0 t) + bk sin(2πkf0 t) , ck ei 2πkf0 t . k=1 ∞ ∞ k=−∞ oppure k=−∞ ∞ |ck |2 = |a0 |2 + 2 2 |ak |2 + |bk |2 = x 2, T 1 x 2. T Se la funzione x è di quadrato sommabile, vale l’identità di Perseval che si scrive x(t) ∼ ∞ a0 x(t) ∼ + 2 (3 ) (3 ) Se indichiamo col simbolo t → x(t) la funzione da sviluppare (per evitare confusioni tra il simbolo che indica la funzione e quello che indica la frequenza fondamentale), abbiamo, al posto della (3) e della (3 ), le formule Capitolo 3. serie di fourier 65 = Ak cos(kωt − φk ). ak cos kωt + bk sin kωt = Ak (cos kωt cos φk + sin kωt sin φk ) = si ha ak /Ak = cos φk , bk /Ak = sin φk . Ne segue φk := Arg(ak + ibk ) ∈ (−π, π], dove (ak /Ak )2 + (bk /Ak )2 = 1. Si osservi che Ak = |ak ± ibk | = 2|c∓k | (↑ formula (5 ); se dunque si pone si può scrivere il k-esimo addendo a secondo membro della (3) nella forma a bk k ak cos kωx + bk sin kωt = Ak cos kωt + sin kωt , Ak Ak (7) Supponiamo che la funzione x sia a valori reali, dunque anche i coefficienti ak e bk sono reali. Osserviamo che se, per un assegnato k, i coefficienti ak e bk non sono entrambi nulli, ponendo Ak := a2k + b2k (6) Capitolo 3. serie di fourier k=1 Ak cos(kωt − φk ) = A0 + k=1 ∞ Ak cos(2πkf0 t − φk ), (8) 66 k=1 Ak cos(kωt − φk ) = k=1 ∞ Ak cos(2πkf0 t − φk ). (8 ) La sostituzione di x con x − A0 equivale in termini geometrici alla traslazione del grafico di x, parallelamente all’asse delle ordinate, della quantità −A0 . x(t) − A0 ∼ ∞ intendendo che sia Ak = 0 (e φk arbitrario) per i valori di k per cui risulta ak = bk = 0. La successione (Ak ), costituita da numeri ≥ 0 (ad eccezione al più di A0 ), viene chiamata spettro di ampiezza della funzione f , mentre la successione (φk ) viene chiamata spettro di fase della stessa funzione. Si osservi che se x è reale e pari (dunque bk = 0 per ogni k), si ha φk = 0 se ak > 0, φk = π se ak < 0; se x è reale e dispari (dunque ak = 0 per ogni k), si ha φk = π/2 se bk > 0, φk = −π/2 se bk < 0. Per la funzione x(t) − A0 , periodica di periodo T con media integrale nulla su ogni intervallo di lunghezza T , abbiamo x(t) ∼ A0 + ∞ Se si pone A0 := a0 /2, si può scrivere la serie di Fourier nella forma Capitolo 3. serie di fourier 67 k ≥ 2, con frequenze multiple della frequenza dell’armonica fondamentale, ed ampiezze Ak che tendono a 0 al tendere di k all’infinito. Ak cos(kωt − φk ) = Ak cos(2πkf0 t − φk ), funzione di periodo T e frequenza f0 al pari di f , più una serie di armoniche superiori A1 cos(ωt − φ1 ) = A1 cos(2πf0 t − φ1 ), Se x è sviluppabile in serie di Fourier, la formula scritta presenta la stessa x come somma di una armonica fondamentale Capitolo 3. Funzioni di una variabile complessa funzioni di una variabile complessa 68 (2) (x1 , y1 ) (x2 , y2 ) := (x1 x2 − y1 y2 , x1 y2 + y1 x2 ). y = Im(z). (z1 + z2 )∗ = z1∗ + z2∗ , (z1 z2 )∗ = z1∗ z2∗ . L’insieme dei numeri complessi del tipo (x, 0) è un sottocampo di C, isomorfo a R tramite l’isomorfismo (x, 0) → x; indentificheremo (x, 0) con x e pertanto scriveremo semplicemente x in luogo di (x, 0). ∀z1 , z2 ∈ C, si trova z ∗ = z := (x, −y); Il coniugato di z è x = Re(z), È facile verificare che C è un campo (↑ Definizione 1.1-1). Se z = (x, y) è un numero complesso, si dice che x è la parte reale di z e y il coefficiente della parte immaginaria; si scrive (1) (x1 , y1 ) + (x2 , y2 ) := (x1 + x2 , y1 + y2 ), L’insieme C dei numeri complessi è l’insieme R2 delle coppie ordinate di numeri reali, munito delle operazioni di addizione e moltiplicazione seguenti: 4.1. Il campo complesso 4. Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 69 i2 = −1. (x1 + iy1 ) (x2 + iy2 ) = x1 x2 − y1 y2 + i(x1 y2 + x2 y1 ). (x1 + iy1 ) + (x2 + iy2 ) = x1 + x2 + i(y1 + y2 ), Usando quest’ultima, le (1) e (2) diventano z = x + iy. Poiché z = (x, y) = (x, 0) + (0, y) = (x, 0) + (0, 1) (y, 0), la (3) fornisce la formula allora i := (0, 1), se si pone (0, 1) (0, 1) = −1; (5) (4) (3) I numeri del tipo (0, y) si dicono immaginarı̂. Il numero immaginario (0, 1), detto unità immaginaria, ha la proprietà Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 70 Poiché i numeri complessi sono coppie ordinate di numeri reali, essi ammettono una rappresentazione come punti del piano R2 . I numeri reali corrispondono ai punti dell’asse x (asse reale), mentre i numeri immaginari corrispondono ai punti dell’asse y (asse immaginario). L’addizione tra numeri complessi corrisponde all’addizione in R2 come spazio vettoriale reale. C.F. Gauss 1777 - 1855 A differenza di R, il campo C non è ordinato, nel senso che non esiste alcun ordinamento totale compatibile con le operazioni. Il campo complesso C è algebricamente chiuso, cioè ogni polinomio (non costante) a coefficienti complessi si annulla in un punto (almeno) di C (↓ Proposizione 4.6-4). Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 71 dove s’intende che sia z = x + iy. |z1 + z2 | ≤ |z1 | + |z2 |, |x| ≤ |z| ≤ |x| + |y|, |y| |z1 z2 | = |z1 | |z2 |, |z| ≥ 0, |z| = 0 ⇐⇒ z = 0, |z| = |z ∗ |, Si verificano le proprietà: Alle coordinate polari nel piano corrispondono il modulo e l’argomento per i numeri complessi. Il modulo (= valore assoluto) di z = x + iy è √ |z| := zz ∗ = x2 + y 2 . Capitolo 4. z = cos θ + i sin θ |z| (6) 72 un qualunque elemento di arg(z) si dirà una determinazione dell’argomento di z. arg(z); Si dice che θ è un argomento di z; se θ è un argomento di z, lo sono anche tutti (e soltanto) i numeri θ + 2kπ, con k ∈ Z. L’insieme degli argomenti di z verrà indicato col simbolo in quanto z/|z| è un numero di modulo unitario. Dunque x y cos θ = , sin θ = . |z| |z| z = |z|(cos θ + i sin θ) ⇐⇒ funzioni di una variabile complessa Se z = 0, esiste θ ∈ R tale che Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 73 (7) A parole: per moltiplicare due numeri complessi si moltiplicano i moduli, si sommano gli argomenti. z1 z2 = |z1 ||z2 |[cos θ1 cos θ2 − sin θ1 sin θ2 + i(sin θ1 cos θ2 + cos θ1 sin θ2 )] = = |z1 ||z2 |[cos(θ1 + θ2 ) + i sin(θ1 + θ2 )]. In ogni intervallo semi-aperto della retta reale, di lunghezza 2π, cioè ogni intervallo del tipo [a, a + 2π) oppure (a, a + 2π], esiste una ed una sola determinazione dell’argomento di z. Se si sceglie l’intervallo (−π, π] si ottiene l’argomento principale di z; per tale determinazione useremo il simbolo Arg(z). Tutti i numeri reali positivi hanno argomento principale uguale a 0, tutti i numeri reali negativi hanno argomento principale uguale a π. Da zk = |zk |(cos θk + i sin θk ), k = 1, 2, segue Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 74 ∀n ∈ N. A. De Moivre 1667 - 1754 segue la validità della (8) per ogni n ∈ Z. 1 z∗ |z| = = 2 (cos θ − i sin θ) = |z|−1 [cos(−θ) + i sin(−θ)], z zz∗ |z| Se z = 0 da z n = |z|n (cos nθ + i sin nθ), (8) Se z1 = z2 = z si ha z 2 = |z|2 (cos 2θ + i sin 2θ); procedendo per induzione si ottiene la formula di De Moivre (→ PCAM par. 2.5, formula (17)): Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 75 (10) Ricordiamo che un insieme A si dice aperto se ogni suo punto è punto interno all’insieme stesso, si dice chiuso se il suo complementare è aperto. Ricordiamo ancora che z si dice punto di accumulazione di A se, ∀r > 0, l’intersezione Br (z) ∩ A contiene infiniti elementi. z è punto di frontiera di A ⇐⇒ z è punto esterno ad A ∃r > 0 : Br (z) ⊆ A, ∃r > 0 : Br (z) ⊆ Ac , ⇐⇒ ∀r > 0 : Br (z) ∩ A = ∅ ∧ Br (z) ∩ Ac = ∅ . ⇐⇒ z è punto interno ad A Ricordiamo che, dato un insieme A ⊂ C, un punto z si dice interno ad A se esiste un intorno di z contenuto in A, si dice esterno se è interno al complementare Ac = C \ A, si dice punto di frontiera se non è né interno né esterno. In simboli: l’intorno circolare (= palla) di centro z0 e raggio r > 0 è Br (z0 ) := z ∈ C |z − z0 | < r . d(z1 , z2 ) := |z1 − z2 |, La struttura di spazio metrico di cui è munito R2 con la distanza euclidea (↑ Esempio 1.2-3) si trasporta in modo naturale in C. Con i simboli che già conosciamo, la distanza tra z1 e z2 è Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 76 =⇒ |f (z) − λ| < ε. =⇒ |f (z) − f (z0 )| < ε. A parole: fissato ad arbitrio un intorno Bε f (z0 ) (intorno “bersaglio”), esiste un intorno Bδ (z0 ) (intorno “controllo”) la cui immagine tramite f è contenuta nell’intorno precedentemente fissato. Se f è continua in tutti i punti del proprio dominio A, si dirà brevemente che essa è continua in A. (z ∈ A) ∧ (|z − z0 | < δ) In particolare, la funzione f si dice continua in z0 ∈ A se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 (dipendente da ε), tale (z ∈ A) ∧ (0 < |z − z0 | < δ) Sia f : A → C, dove A è un aperto connesso di C. L’aperto A è connesso se, per ogni coppia di punti z1 , z2 ∈ A, esiste una poligonale che li congiunge, interamente contenuta in A stesso. Si dice che la funzione f tende (o converge) a λ ∈ C per z che tende a z0 (punto di accumulazione di A), se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 (dipendente da ε), tale 4.2. Funzioni di una variabile complessa Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa ≤ |u(x, y) − u(x0 , y0 )| + |v(x, y) − v(x0 , y0 )|, ≤ |f (z) − f (z0 )| ≤ 77 dove s’intende che sia z0 = x0 + y0 , segue subito che la continuità di f in z0 equivale alla continuità in (x0 , y0 ) delle due funzioni (reali di due variabili reali) u = Re (f ), v = Im (f ). |u(x, y) − u(x0 , y0 )| |v(x, y) − v(x0 , y0 )| dalle diseguaglianze f (z) = u(x, y) + iv(x, y); Sia z = x + iy, w = f (z) = u + iv, dunque Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 78 In altri termini: A0 è una regione fondamentale per f se è un insieme abbastanza “piccolo” affinché la restrizione ad esso di f sia iniettiva, ma al tempo stesso sia abbastanza “grande” perché f assuma su di esso (una sola volta) tutti i valori assunti su A. Ricordiamo che una funzione è iniettiva (= uno a uno) se trasforma elementi distinti del dominio in elementi distinti dell’immagine. i) la restrizione di f ad A0 è iniettiva; ii) l’immagine della stessa restrizione, cioè f (A0 ), coincide con f (A). Sia f : A → C una funzione non iniettiva; diremo che A0 ⊂ A è una regione fondamentale per f se: Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 79 ∂f 1 ∂f = . ∂x i ∂y ∂v ∂u ∂v ∂u = , =− , ∂x ∂y ∂y ∂x note come condizioni di Cauchy-Riemann. Se si pone f (x + iy) = u(x, y) + iv(x, y), allora la (3) equivale alla coppia di uguaglianze f (z) = Se la (3) è soddisfatta, si ha Proposizione 4.3-2. Sia funzione f : A → C, con A aperto ⊆ C, differenziabile in z come funzione (complessa) delle due variabili reali x e y; allora f è differenziabile in z come funzione di una variabile complessa se e solo se ivi risulta ∂f 1 ∂f = . (3) ∂x i ∂y Proposizione 4.3-1. La funzione f : A → C, con A aperto ⊆ C, è differenziabile in z ∈ A se e solo se essa è ivi derivabile; in tal caso il differenziale si scrive df : ∆z → f (z) · ∆z. 4.3. Funzioni olomorfe Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 80 Proposizione 4.3-3. Siano z = 0 e a due numeri complessi. Allora: 1) se a è intero, a = m ∈ Z, z a = z m assume un solo valore; 2) se a è razionale ∈ / Z, a = m/n, con n ≥ 2, m ed n primi tra loro, z a assume n valori, e precisamente le radici n-esime di z m ; 3) se a è irrazionale, z a assume un’infinità numerabile di valori, che differiscono a due a due per un fattore del tipo exp(2kπai), k ∈ Z. Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 81 n≥0 |z|≤r sup |an z n | = n≥0 |an | rn . Se R > 0, l’intorno circolare (palla) BR (0) viene detto cerchio di convergenza della serie data; s’intende che esso coincida con C se R = +∞. Se R > 0, per ogni r < R la convergenza della serie in esame è totale nel disco compatto |z| ≤ r. Ciò significa (↑ Definizione 3.3-1) che converge la serie 1) se R = 0, la serie converge soltanto per z = 0; 2) se 0 < R < +∞, la serie converge (assolutamente) per |z| < R, non converge per |z| > R; 3) se R = +∞, la serie converge (assolutamente) per ogni z ∈ C. Segue dal Lemma di Abel che ad ogni serie di potenze resta associata una quantità non negativa R (eventuamente R = +∞) detta raggio di convergenza della serie stessa, tale che: N.H. Abel 1802 - 1829 Lemma di Abel. Se la serie n≥0 an z n converge in un punto z̃ = 0, allora essa converge assolutamente in ogni z con |z| < |z̃|. 4.4. Serie di potenze Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa J. Hadamard 1865 - 1963 Teorema di Cauchy-Hadamard (per il calcolo del raggio di convergenza): Proposizione 4.4-1. Posto λ := lim supn→∞ n |an |, si ha 0, se λ = +∞ R = 1/λ, se 0 < λ < +∞ +∞, se λ = 0. Capitolo 4. 82 n≥0 an z n , 83 |z| < R, nan z n−1 . ak = n≥0 (n + 1)(n + 2) . . . (n + k) an+k z n , s(k) (0) . k! da cui, ∀k ∈ N, s(k) (z) = (5) (4) Corollario. Se s(z) = n≥0 an z n , per |z| < R, allora s è una funzione di classe C (∞) (cioè infinitamente derivabile) nel cerchio |z| < R, e per ogni k > 0 si ha n≥1 (2) an z n una serie di potenze con raggio di convergenza R > 0; ha ancora raggio di convergenza R e si ha s (z) = n≥1 nan z n−1 , la serie delle derivate s(z) := n≥0 funzioni di una variabile complessa Proposizione 4.4-2. Sia posto Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 84 γ γ n→∞ a γ n→∞ γ Proposizione 4.5-1. Sia fn : A → C, una successione di funzioni continue sull’aperto A, γ una curva regolare a tratti la cui traccia è contenuta in A; se la successione (fn ) converge uniformemente ad f su γ, allora f (z) dz = lim fn (z) dz = lim fn (z) dz. γ Definizione 4.5-1. Sia f : A → C unafunzione continua, γ : [a, b] → C una curva regolare a tratti la cui traccia è contenuta in A: γ [a, b] ⊂ A. Definiremo l’integrale di f su γ ponendo b f= f (z) dz := f γ(t) γ (t) dt. (1) 4.5. Integrazione in campo complesso Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 85 Proposizione 4.5-3. Sia f una funzione continua sull’aperto connesso A ⊆ C. Sono equivalenti le proposizioni: 1) f ammette primitiva in A; 2) l’integrale di f su ogni cammino γ regolare a tratti, con traccia contenuta in A, dipende soltanto dagli estremi di γ; 3) l’integrale di f è nullo su ogni curva γ, chiusa e regolare a tratti, con traccia contenuta in A. γ Proposizione 4.5-2. Sia f : A → C una funzione continua nell’aperto connesso A ⊆ C, F : A → C una primitiva di f , γ : [a, b] → A un cammino regolare a tratti; allora f (z) dz = F γ(b) − F γ(a) . (6) ∀z ∈ A, F (z) = f (z). Definizione 4.5-2. Sia f : A → C una funzione continua nell’aperto connesso A ⊆ C; diremo che una funzione F : A → C è una primitiva di f se Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 86 per indicare l’integrale di f sul circuito γ. γ In questa sintesi utilizzeremo il simbolo ˇ f (z) dz Convenzione sull’orientamento dei circuiti. D’ora in poi supporremo costantemente che ogni circuito γ sia orientato positivamente rispetto all’aperto D interno ad esso. Teorema di Jordan. Se γ : [a, b] → C è una curva continua, semplice e chiusa, il complementare della sua traccia, C \ γ([a, b]), è l’unione di due aperti connessi e disgiunti. Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 87 γ2 Proposizione 4.5-6. Sia f : A → C una funzione olomorfa nell’aperto connesso A e sia γ un circuito contenuto in A assieme al proprio interno D; per ogni z0 ∈ D si ha 1 f (z) dz. (9) f (z0 ) = 2πi ˇ γ z − z0 Formula integrale di Cauchy: γ1 Proposizione 4.5-5. Sia f : A → C una funzione olomorfa nell’aperto connesso A, γ1 e γ2 due circuiti regolari a tratti contenuti in A, con γ2 interno a γ1 . Siano poi D1 e D2 gli aperti interni a γ1 e γ2 rispettivamente; se D1 \ D2 ⊂ A, allora (8) ˇ f (z) dz =ˇ f (z) dz. Teorema di Cauchy (seconda versione): γ Proposizione 4.5-4. Sia f : A → C una funzione olomorfa nell’aperto connesso A. Per ogni circuito regolare a tratti γ contenuto in A assieme al proprio interno D, si ha ˇ f (z) dz = 0. Teorema di Cauchy (prima versione): Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 88 n≥0 cn (z − z0 )n , f (n) (z0 ) 1 f (s) ds, cn = = n! 2πi ˇ γ (s − z0 )n+1 n≥0 cn (z − z0 )n , γ essendo una circonferenza di centro z0 e raggio minore di r. dove f (z) = (12) (11) Proposizione 4.5-7. Sia f : A → C una funzione olomorfa nell’aperto connesso A ⊆ C, z0 un punto qualsivoglia di A; posto r := distanza (z0 , ∂A) (con l’intesa che sia r = ∞ se A = C, dunque ∂A = ∅), nell’intorno |z − z0 | < r si ha Analiticità delle funzioni olomorfe: dove cn = f (n) (z0 )/n!. f (z) = Definizione 4.5-3. Sia f : A → C una funzione definita nell’aperto connesso A ⊆ C; diremo che essa è analitica in A se, per ogni z0 ∈ A, essa è sviluppabile in serie di Taylor in ogni intorno Br (z0 ) ⊆ A: Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 89 Proposizione 4.5-9. Se f : A → C è una funzione derivabile in tutti i punti dell’aperto connesso A ⊆ C, essa è analitica in A. Teorema di Goursat: Proposizione 4.5-8’. Sia f : A → C una funzione continua nell’aperto connesso A ⊆ C; se per ogni terna di punti z1 , z2 , z3 contenuta in A assieme al triangolo T = T (z1 , z2 , z3 ) si ha ˇ∂T f (z) dz = 0, allora f è analitica in A. Proposizione 4.5-8. Sia f : A → C una funzione continua nell’aperto connesso A ⊆ C; se per ogni poligonale semplice e chiusa γ contenuta in A si ha ˇγ f (z) dz = 0, allora f è analitica in A. Teorema di Morera: Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 90 Proposizione 4.6-2. Sia f : A → C una funzione (non identicamente nulla) analitica nell’aperto connesso A ⊆ C; l’insieme degli zeri di f (se non è vuoto) è costituito da punti isolati ed è privo di punti di accumulazione appartenenti ad A. Proposizione 4.6-1. Sia f : A → C una funzione analitica nell’aperto connesso A ⊆ C; sono equivalenti le proposizioni: 1) ∃ a ∈ A, ∀n ∈ N, f (n) (a) = 0; 2) f è nulla in un intorno di a; 3) f è nulla in A. 4.6. Proprietà delle funzioni analitiche Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 91 Proposizione 4.6-5. Sia fn : A → C una successione di funzioni analitiche nell’aperto connesso A ⊆ C; se fn converge uniformemente su ogni insieme compatto contenuto in A, posto f (z) := limn→∞ fn (z), si ha che f è analitica in A e, per ogni k ∈ N e per ogni z ∈ A, (k) limn→∞ fn (z) = f (k) (z). Una condizione sufficiente per l’analiticità della funzione limite di una successione di funzioni analitiche: Proposizione 4.6-4. Ogni polinomio a coefficienti complessi, non costante, ammette almeno uno zero. Teorema di fondamentale dell’algebra: J. Liouville 1809 - 1882 Proposizione 4.6-3. Se f è una funzione intera, cioè analitica su C, ed è limitata in valore assoluto, |f (z)| ≤ M , allora essa è costante. Teorema di Liouville: Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 92 Un punto singolare isolato ce non sia né eliminabile, né un polo si dice punto singolare essenziale. Definizione 4.7-3. Sia f : A → C una funzione analitica, e z0 un suo punto singolare isolato; diremo che esso è un polo di ordine n ∈ N∗ , se la funzione (z − z0 )n f (z) tende al limite λ = 0 per z → z0 . Definizione 4.7-2. Sia f : A → C una funzione analitica, e z0 un suo punto singolare isolato; diremo che esso è eliminabile se esiste un prolungamento analitico di f in un intorno di z0 . Definizione 4.7-1. Il punto z0 si dice punto singolare isolato (= singolarità isolata) per la funzione analitica f : A → C, se z0 ∈ / A, ma esiste un intorno forato Br∗ (z0 ) ⊆ A. 4.7. Punti singolari. Serie bilatere Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 93 Proposizione 4.7-1. Sia f : A → C una funzione analitica, e z0 un polo di ordine n; allora 1 dn−1 n (z − z ) f (z) . (3) lim res (f, z0 ) = 0 (n − 1)! z→z0 dz n−1 dove γ è un circuito contenente z0 e non (eventuali) altri punti singolari di f . Definizione 4.7-4. Sia f : A → C una funzione analitica, e z0 un suo punto singolare isolato; si chiama residuo di f nel punto z0 il numero 1 f (z) dz, (2) res (f, z0 ) := 2πi ˇ γ Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa −∞<n<∞ cn (z − z0 )n , dove γ è una qualunque circonferenza di centro z0 e raggio r con R1 < r < R2 . dove i coefficienti cn , per ogni n ∈ Z, sono dati dalla formula 1 f (z) dz, cn = ˇ 2πi γ (z − z0 )n+1 f (z) = per ogni z ∈ A si ha Proposizione 4.7-2. Sia f : A → C analitica nella corona A := z ∈ C 0 ≤ R1 < |z − z0 | < R2 ≤ ∞ ; Teorema di Laurent: Capitolo 4. (7) (6) 94 funzioni di una variabile complessa 95 Proposizione 4.7-4. Sia f = p/q, una funzione razionale fratta propria, cioè sia n = grado (p) < m = grado (q); allora essa coincide con la somma delle parti caratteristiche degli r sviluppi di Laurent relativi agli zeri del polinomio q a denominatore: f (z) = j=1 σj (z). 3) z0 è un punto singolare essenziale se e solo se, per infiniti n ∈ N∗ , si ha c−n = 0. 2) z0 è un polo di ordine n se e solo se (c−n = 0) ∧ (∀k > n, c−k = 0); 1) z0 è eliminabile se e solo se la parte caratteristica è nulla: ∀n < 0, cn = 0; Proposizione 4.7-3. Sia f : A → C una funzione analitica, z0 un suo punto singolare n isolato, f (z) = n∈Z cn (z − z0 ) il suo sviluppo di Laurent in un intorno forato di z0 . Allora: Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 96 k=1 dove mj è l’ordine dello zero zj e nj è l’ordine del polo ζj . Corollario. Nelle ipotesi della Proposizione precedente, con le condizioni aggiuntive che f non s’annulla su γ e possiede soltanto poli in D, allora, detti z1 , z1 , . . ., zp gli zeri di f in D e ζ1 , ζ2 , . . ., ζq i poli di f in D, si ha 1 f (z) dz = (m1 + m2 + . . . + mp ) − (n1 + n2 + . . . + nq ), 2πi ˇ f (z) γ Proposizione 4.8-1. Sia f : A → C analitica nell’aperto connesso A ⊂ C, γ un circuito contenuto in A. Se z1 , z2 , . . . , zr sono i punti singolari isolati di f appartenenti all’aperto D interno a γ e D \ {z1 , z2 , . . . , zr } ⊂ A, allora r res (f, zk ). (1) ˇ f (z) dz = 2πi 4.8. Il teorema dei residui Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 97 γR γr dove γr è l’intersezione della circonferenza di centro l’origine e raggio r con il settore angolare considerato. r→0 Lemma 4.8-2 (del piccolo cerchio). Sia f una funzione definita e continua nel settore θ1 ≤ arg(z) ≤ θ2 , almeno per |z| abbastanza piccolo. Se limz→0 z f (z) = 0 allora lim f (z) dz = 0, dove γR è l’intersezione della circonferenza di centro l’origine e raggio R con il settore angolare considerato. R→∞ Lemma 4.8-1 (del grande cerchio). Sia f una funzione definita e continua nel settore θ1 ≤ arg(z) ≤ θ2 , almeno per |z| abbastanza grande. Se limz→∞ z f (z) = 0, allora lim f (z) dz = 0, Capitolo 4. funzioni di una variabile complessa 98 γR γr dove γr è la semicirconferenza di equazione z = reit , 0 ≤ t ≤ π. r→0 Lemma 4.8-4. Sia f analitica in un intorno forato dell’origine ed abbia in tale punto un polo semplice; allora lim f (z) dz = iπ res (f, 0), C. Jordan 1838 - 1922 dove γR è l’intersezione della circonferenza di centro l’origine e raggio R con il settore angolare considerato. R→∞ Se limz→∞ f (z) = 0 allora lim f (z) eiz dz = 0, S := {z ∈ C | 0 ≤ θ1 ≤ arg ≤ θ2 ≤ π}. Lemma 4.8-3 (di C. Jordan). Sia f una funzione definita e continua in un settore S del semipiano Im (z) ≥ 0: Capitolo 4. La trasformata di Laplace la trasformata di laplace 99 0 per ogni s con Re(s) > σ[f ] chiameremo trasformata di Laplace di f la funzione +∞ F (s) := e−st f (t) dt. Definizione 5.1-2. Sia f : I → C (dove R+ ⊆ I) una funzione trasformabile secondo Laplace; posto σ[f ] := inf Re(s) e−st f (t) ∈ L1 (R+ ) , 0 Definizione 5.1-1. Diremo che f è trasformabile secondo Laplace (brevemente: L-trasformabile) se esiste un s ∈ C tale che la funzione t → e−st f (t) sia sommabile su R+ ; in tal caso chiameremo integrale di Laplace di f l’integrale +∞ e−st f (t) dt. (1) P.S. Laplace 1749 - 1827 5.1. Introduzione alla trasformata di Laplace 5. Capitolo 5. la trasformata di laplace 100 f (t), per t ≥ 0 0, altrimenti. (1) Definizione 5.1-3. Una funzione f : R → C nulla per valori negativi del suo argomento e trasformabile secondo Laplace, viene detta un segnale. f+ (t) := Convenzione sui simboli. Sia f : I → C una funzione definita su un intervallo I, con R+ ⊆ I; indicheremo col simbolo f+ la funzione L[c1 f1 + c2 f2 ](s) = c1 L[f1 ](s) + c2 L[f2 ](s). Proposizione 5.1-1. Se f1 e f2 sono funzioni Laplace-trasformabili con ascisse di convergenza σ[f1 ] e σ[f2 ] rispettivamente, per ogni coppia di costanti c1 , c2 la funzione t → c1 f1 (t) + c2 f2 (t) è Laplace-trasformabile nel semipiano Re(s) > max{σ[f1 ], σ[f2 ]} e per gli s di tale insieme si ha Capitolo 5. la trasformata di laplace 101 F (s) = 0. cioè F (s) = d L[f ](s) = L[−tf (t)](s). ds (2) Proposizione 5.1-3. Sia f una funzione Laplace-trasformabile con ascissa di convergenza σ[f ]; allora la funzione F (s) = L[f ](s) è olomorfa nel semipiano Re(s) > σ[f ]. La funzione t → tf (t) è Laplace-trasformabile, ancora con ascissa di convergenza σ[f ], e si ha ∞ ∞ d −st e f (t) dt = e−st − tf (t) dt, ds 0 0 Re(s)→+∞ lim Proposizione 5.1-2. Sia f una funzione Laplace-trasformabile con ascissa di convergenza σ[f ]; allora per ogni σ0 > σ[f ], la funzione F (s) = L[f ](s) è limitata nel semipiano chiuso Re(s) ≥ σ0 e Capitolo 5. la trasformata di laplace 102 ⇐⇒ te−δt ≤ Cδ , ∀t ≥ 0. (3) per ogni naturale n ≥ 1 e per ogni s con Re(s) > σ[f ]. F (n) (s) = L[(−t)n f (t)](s) = (−1)n L[tn f (t)](s) (2 ) Corollario. Se f è una funzione Laplace-trasformabile con ascissa di convergenza σ[f ], allora per la trasformata F (s) = L[f (t)](s) si ha Lemma 2. Per ogni z = 0 si ha ez − 1 ≤ e|z| . z t ≤ Cδ eδt Lemma 1. La funzione identità t → t è di ordine esponenziale δ per ogni δ > 0, cioè esiste una costante positiva Cδ tale che Capitolo 5. la trasformata di laplace 103 ∀a ∈ C, Re(s) > σ[f ] + Re(a). ∀t0 > 0, Re(s) > σ[f ]; Proposizione 5.2-2. Sia f un segnale periodico per t ≥ 0, con (minimo) periodo T : f (t + T ) = f (t), ∀t ≥ 0; se f è sommabile sull’intervallo [0, T ], allora per Re(s) > 0 si ha T 1 L[f (t)](s) = e−st f (t) dt. (1) −T s 1−e 0 iii) L[eat f (t)](s) = L[f (t)](s − a), ii) L[f (t − t0 )](s) = e−t0 s L[f (t)](s), Proposizione 5.2-1. Sia f una funzione Laplace-trasformabile, nulla per t < 0, con ascissa di convergenza σ[f ]; allora si ha i) L[f (ct)](s) = 1c L[f (t)] sc , ∀c > 0, Re(s) > cσ[f ]; 5.2. Proprietà della trasformata di Laplace Capitolo 5. la trasformata di laplace 104 (2) dove F e G sono le trasformate di f e g rispettivamente. L[f ∗ g](s) = F (s) G(s), Proposizione 5.2-4. Se f e g sono due segnali Laplace-trasformabili con ascisse di convergenza σ[f ] e σ[g] rispettivamente, allora f ∗ g è Laplace-trasformabile nel semipiano Re(s) > max{σ[f ], σ[g]}, e si ha Corollario. Se esiste finito il limite di f per t → +∞, esiste ed ha lo stesso valore il limite di sF (s) per s → 0. dove F è la trasformata di f . L[f ](s) = sF (s) − f (0), Proposizione 5.2-3. Sia f un segnale continuo per t ≥ 0, derivabile con derivata prima continua a tratti e Laplace-trasformabile. Allora per ogni s con Re(s) > max {σ[f ], σ[f ]} si ha Capitolo 5. la trasformata di laplace ∀t0 > 0, Re(s) > σ[f ] ∀a ∈ C, Re(s) > σ[f ] + Re(a) L[eat f (t)](s) = L[f (t)](s − a) Re(s) > max {σ[f1 ], σ[f2 ]} Re(s) > max {σ[f ], σ[f ]} Re(s) > max {0, σ[f ]} L[f ](s) = sF (s) − f (0) t L[f (t)](s) L[H ∗ f ](s) = L[ 0 f (τ ) dτ ](s) = s Re(s) > σ[f ] d L[f ](s) = L[−tf (t)](s) ds L[f1 ∗ f2 ](s) = L[f1 ](s) · L[f2 ](s) ∀c > 0, Re(s) > c σ[f ] Re(s) > max {σ[f1 ], σ[f2 ]} L[c1 f1 + c2 f2 ](s) = c1 L[f1 ](s) + c2 L[f2 ](s) s 1 L[f (ct)](s) = L[f (t)] c c L[f (t − t0 )](s) = e−t0 s L[f (t)](s) Tabella 5.2-1. Proprietà della trasformata di Laplace Capitolo 5. 105 la trasformata di laplace 106 Γ(z) = Γ(z + 1) , (3 ) z per prolungare la Γ nel semipiano x < 0: si può definire la Γ in tutti i punti del semipiano x < 0 eccettuati gli opposti dei numeri naturali. Possiamo utilizzare la (3), scritta nella forma (3) Γ(z + 1) = z Γ(z), Re(z) > 0. (2) Γ(n + 1) = n!, Le due proprietà principali della funzione gamma sono 0 La funzione gamma di Eulero è definita, per ogni numero complesso z con parte reale > 0, mediante la formula: ∞ Γ(z) := e−t tz−1 dt, x = Re(z) > 0. (1 ) L. Euler 1709 - 1783 5.3. Le funzioni beta e gamma di Eulero Capitolo 5. la trasformata di laplace 107 Γ(α) Γ(β) , Γ(α + β) che mostra come il calcolo della funzione B sia riconducibile alla Γ. B(α, β) = Questo risultato segue anche dall’identità B(α, β) = B(β, α). La funzione B è simmetrica rispetto alle variabili indipendenti: 0 (6) (5) In definitiva il dominio della funzione Γ è C privato dei punti 0, −1, −2, . . . . Si può dimostrare che Γ è analitica nel proprio dominio; nei punti z = −n, n ∈ N essa ammette dei poli semplici. La funzione beta di Eulero è definita, per α, β > 0, dalla formula 1 B(α, β) := tα−1 (1 − t)β−1 dt. (4) Capitolo 5. la trasformata di laplace 108 s→∞ definisce un segnale continuo su R, indipendente da α, avente F come trasformata. con k > 1. Allora, per ogni α > σ0 , la formula α+i∞ 1 f (t) := est F (s) ds 2πi α−i∞ |F (s)| = O(1/sk ), (8) (7) Proposizione 5.4-2. Sia s → F (s) una funzione analitica nel semipiano σ = = Re(s) > σ0 e tale che si abbia Proposizione 5.4-1. Se f è un segnale regolare a tratti, con trasformata F (s) e ascissa di convergenza σ[f ], per ogni α > σ[f ] si ha α+i∞ 1 1 v.p. est F (s) ds = [f (t− ) + f (t+ )]. (6) 2πi 2 α−i∞ Definizione 5.4-1. Una funzione f : R → C si dice di classe C (1) a tratti (brevemente: regolare a tratti) se in ogni intervallo [a, b] ⊂ R tanto f quanto f ammettono al più un numero finito di punti di discontinuità di prima specie. 5.4. Inversione della trasformata di Laplace Capitolo 5. la trasformata di laplace 109 A(s) , P (s) y(t) = nk k=1 j=1 r nk (k) k=1 j=1 r (k) a−j . (s − sk )j a−j sk t . tj−1 + e (j − 1)! la soluzione è data da A(s) Y (s) = = B(s) (4) (3) dove P è il polinomio caratteristico dell’equazione differenziale e A dipende dalle condizioni iniziali. Decomposta Y in fratti semplici: Y (s) = Un problema di valori iniziali per un’equazione differenziale lineare a coefficienti costanti, vien ricondotto, mediante la L-trasformata, in un problema algebrico, nel senso che la trasformata della soluzione, sia Y (s), è data sotto forma di funzione razionale fratta propria 5.5. Equazioni differenziali ordinarie Capitolo 5. La trasformata di Fourier la trasformata di fourier 110 Proposizione 6.1-2. Se f ∈ L1 (R) è reale e pari, allora f è reale e pari, se f ∈ L1 (R) è reale e dispari, allora f è puramente immaginaria e dispari. |ω|→∞ lim f (ω) = 0. Proposizione 6.1-1. Se f ∈ L1 (R), allora f è continua e infinitesima all’infinito: −∞ Definizione 6.1-1’. Sia x ∈ L1 (R); chiameremo trasformata di Fourier di x la funzione ∞ X(f ) := e−i2πf t x(t) dt. (1 ) Definizione alternativa (in termini di frequenza il luogo della pulsazione): −∞ Definizione 6.1-1. Sia f ∈ L1 (R); chiameremo trasformata di Fourier (in breve: F trasformata) di f la funzione ∞ e−iωx f (x) dx. f (ω) := 6.1. Introduzione alla trasformata di Fourier 6. Capitolo 6. la trasformata di fourier 111 +∞ −λ −∞ λ 1 = lim 2π λ→+∞ 1 f (x) = v.p. 2π ∀x. +∞ −∞ f (t) e−iωt dt eiωx dω. f (ω) eiωx dω := f (x+ ) + f (x− ) , 2 (4) a patto di intendere l’integrale che definisce la trasformata di Fourier come valore principale. F[f ](ω) = 2πf (−ω), Corollario. Sia f una funzione sommabile su R, di classe C (1) a tratti, con trasformata di Fourier f ; allora, posto f (ω) = [f (ω + ) + f (ω − )]/2, si ha Si ha f (x) = Proposizione 6.1-3. Sia f una funzione sommabile su R, regolare a tratti (cioè C (1) a tratti), normalizzata in modo da aversi Formula d’inversione: Capitolo 6. 1 + x2 + (a − |x|) 2 e−ax sin(ax) πx χ[−a,a] (x) sign(x) e−a|x| e−a|x| a2 f (x) 4 sin2 (aω/2) ω2 χ[−a,a] (ω) π −ω2 /(4a) e a 2 sin(aω) ω π −a|ω| e a 2a a2 + ω 2 −2iω a2 + ω 2 f (ω) Alcune trasformate di Fourier la trasformata di fourier Tabella 6.2-1. Capitolo 6. a>0 a>0 a>0 a>0 a>0 a>0 a>0 112 la trasformata di fourier 113 (1) In particolare, per n ≥ 2 si ha che f è sommabile su R. Corollario 2. Nelle stesse ipotesi del Corollario precedente si ha 1 f (ω) = o n , |ω| → ∞. ω F[f (n) (x)](ω) = (iω)n f (ω). (1 ) Corollario 1. Se f, f , . . . , f (n−1) sono funzioni continue e sommabili su R, e f (n) è continua a tratti e sommabile, allora quest’ultima funzione ha come trasformata (iω)n f (ω): F[f (x)](ω) = iω f (ω). Proposizione 6.2-4. Se f è una funzione continua e sommabile su R, con derivata continua a tratti e sommabile, allora f ha come trasformata iω f (ω): Proposizione 6.2-3. Sia f una funzione sommabile con trasformata f ; allora, per ogni ω0 reale, la funzione eiω0 x f (x) ha come trasformata f (ω − ω0 ). Proposizione 6.2-2. Sia f una funzione sommabile con trasformata f ; allora, per ogni x0 reale, la funzione f (x − x0 ) ha come trasformata e−ix0 ω f (ω). Proposizione 6.2-1. Sia f una funzione sommabile su R con trasformata f ; allora, per ogni c = 0 la funzione f (cx) ha come trasformata (1/|c|) f (ω/c). 6.2. Alcune proprietà della trasformata di Fourier Capitolo 6. la trasformata di fourier 114 (2 ) (2) ∀x ∈ R. (6) Proposizione 6.2-7. La trasformazione di Fourier f → f è una biiezione dello spazio S su se stesso. |xp f (q) (x)| ≤ Cp,q , Definizione 6.2-1. La funzione f : R → C appartiene allo spazio S se, per ogni coppia di numeri naturali p e q esiste una costante Cp,q (dipendente da f oltre che da p e q) tale che Proposizione 6.2-6. Se f1 e f2 sono funzioni sommabili su R, la loro convoluzione (f1 ∗ ∞ f2 )(x) := −∞ f1 (ξ) f2 (x − ξ) dξ ha come trasformata f1 (ω) f2 (ω). Se per ogni naturale n la funzione xn f (x) è sommabile su R, allora la sua trasformata di Fourier è di classe C (∞) . f (n) (ω) = F[(−ix)n f (x)](ω). Corollario. Se la funzione xn f (x) è sommabile su R, allora In forma equivalente: x f (x) ha come trasformata i f (ω). f (ω) = F[(−ix)f (x)](ω). Proposizione 6.2-5. Se f (x) e x f (x) sono funzioni sommabili su R, allora f (ω) è la trasformata di (−ix)f (x): Capitolo 6. la trasformata di fourier (f1 | f2 ) = 2π (f1 | f2 ) (1 ) (1) 115 2 2 = 2π f 2 2. (2) 2 2 = 2π f 2 2. (2 ) Se poi f appartiene anche a L1 (R), g coincide con la trasformata di Fourier di f nel senso ordinario: g(ω) = f (ω). g appartiene a L2 (R) per ogni naturale n; la successione n → gn converge in L2 (R) ad una funzione g che viene chiamata trasformata di Fourier di f : g(ω) := limn→∞ gn (ω) = F[f ](ω), dove il limite indicato s’intende nel senso della norma di L2 (R). Per tale funzione si ha l’uguaglianza −n Proposizione 6.3-1. Per ogni funzione f ∈ L2 (R) la funzione n gn (ω) := e−iωx f (x) dx = F[ χ[−n,n] (x) f (x) ](ω) f dove i prodotti scalari s’intendono in L2 (R). In particolare, per ogni funzione f ∈ S si ha cioè Lemma. Per ogni coppia f1 , f2 di funzioni dello spazio S si ha ∞ ∞ 1 f1 (x) f2 (x) dx = f1 (ω) f2 (ω) dω, 2π −∞ −∞ 6.3. Trasformata di Fourier delle funzioni di quadrato sommabile Capitolo 6. la trasformata di fourier =⇒ X(f ) = 0, Ricordiamo che la funzione sinc è definita ponendo sinc(t) := sin(πt)/(πt). n∈Z e sia di quadrato sommabile sullo stesso intervallo. Allora n x(t) = x sinc(2at − n). 2a |f | > a Sia x(t) un segnale la cui F -trasformata è nulla fuori dell’intervallo [−a, a]: C. Shannon 1916-2001 6.4. Il teorema di Shannon Capitolo 6. 116 la trasformata di fourier (f1 | f2 ) = 2π (f1 | f2 ) =⇒ f 2 = 2π f 2 F[(f1 ∗ f2 )(x)](ω) = F[f1 (x)](ω) · F[f2 (x)](ω) d F[f (x)](ω) = F[−ixf (x)](ω) dω F[f (x)](ω) = iω F[f (x)](ω) F[eiω0 x f (x)](ω) = F[f (x)](ω − ω0 ) F[f (x − x0 )](ω) = e−ix0 ω F[f (x)](ω) ω 1 F[f (cx)](ω) = F[f (x)] |c| c F[c1 f1 (x) + c2 f2 (x)](ω) = c1 F[f1 (x)](ω) + c2 F[f2 (x)](ω) ∞ Definizione: F[f (x)](ω) = f (ω) := −∞ e−iωx f (x) dx ∞ iωx 1 e f (ω) dω. Formula d’inversione: f (x) = 2π −∞ Tabella 6.3-1. Proprietà della trasformata di Fourier (con i simboli della Definizione 6.1-1) Capitolo 6. ∀c = 0 117 la trasformata di fourier (X1 | X2 ) = (x1 | x2 ) =⇒ X 2 F[(x1 ∗ x2 )(t)](f ) = X1 (f ) · X2 (f ) X (f ) = F[−i2πt x(t)](f ) F[x (t)](f ) = i2πf X(f ) F[ei2πf0 t x(t)](ω) = X(f − f0 ) F[x(t − t0 )](f ) = e−it0 f X(f ) 1 f F[x(ct)](f ) = X , |c| c = x 2 F[c1 x1 (t) + c2 x2 (t)](f ) = c1 X1 (f ) + c2 X2 (f ) ∀c = 0 ∞ Definizione: F[x(t)](f ) = X(f ) = −∞ e−i2πf t x(t) dt ∞ Formula d’inversione: x(t) = −∞ ei2πf t X(f ) df Tabella 6.3-1’. Proprietà della trasformata di Fourier (con i simboli della Definizione 6.1-1 ) Capitolo 6. 118 Distribuzioni distribuzioni 119 Diremo poi che vk (x) tende a v ∈ D(R) se vk − v tende alla funzione nulla nel senso appena specificato. ii) per ogni naturale p la successione delle derivate k → vk (x) converge uniformemente alla (p) funzione nulla: limk→∞ vk ∞ = 0. (p) Definizione 7.1-2. Diremo che la successione vk (x) di funzioni dello spazio D(R) converge alla funzione nulla se: i) esiste un intervallo [a, b] che contiene i supporti di tutte le funzioni vk : ∀k, supp vk ⊆ [a, b]; è compatto, dunque contenuto in un intervallo limitato della retta reale. supp v := {x ∈ R | v(x) = 0} Definizione 7.1-1. La funzione v : R → C appartiene allo spazio D(R) se essa è di classe C (∞) (R) e il suo supporto: 7.1. Il concetto di distribuzione 7. Capitolo 7. distribuzioni 120 ∀v ∈ D(R). Allora fk (x) → δ(x) in D (R) per k → ∞. 1) fk (x) ≥ 0, ∀k, ∀x; 2) R fk (x) dx = 1, ∀k δ 3) ∀δ > 0, limk→∞ −δ fk (x) dx = 1. Proposizione 7.1-2. Sia fk (x) una successione di funzioni sommabili su R tali che k→∞ lim fk , v = f, v , (3) Definizione 7.1-4. Data la successione di distribuzioni (fk ), diremo che fk converge a f ∈ D (R) se Proposizione 7.1-1. La corrispondenza che ad f ∈ L1loc (R) associa la distribuzione v → f (x) v(x) dx è iniettiva. R Definizione 7.1-3. Si chiama distribuzione su R ogni funzionale T : D(R) → C lineare e continuo, nel senso che =⇒ T (vk ) → T (v) . vk → v (in D(R) Capitolo 7. λ f (λx) λ χ[−1/2λ,1/2λ] (x) λ χ[0,1/λ] (x) 1 λ π 1 + λ2 x2 2 2 λ √ e−λ x π λ (1 − λ |x|)+ λ −λ|x| e 2 f (x) χ[−1/2,1/2] (x) χ[0,1] (x) 1 1 π 1 + x2 2 1 √ e−x π (1 − |x|)+ 1 −|x| e 2 Alcune famiglie di funzioni che tendono alla delta di Dirac distribuzioni Tabella 7.1-1. Capitolo 7. 121 Operazioni sulle distribuzioni distribuzioni ∀v ∈ D(R). (5) (2) (1) 122 Proposizione 7.2-1. Se per la distribuzione f si ha f = 0, allora f è costante. f (x) = Df (x) + s δ(x − x0 ). Se f (x) è continua su R tranne in un punto x0 in cui presenta una discontinuità di prima specie − con salto s := f (x+ 0 ) − f (x0 ), e se per x = x0 la funzione f è derivabile con derivata (in senso ordinario) Df (x) continua, allora in D (R) si ha f (x), v(x) := − f (x), v (x) . Derivata di una distribuzione: Composizione con una funzione affine: 1 f (x), v (x − b)/a . f (ax + b), v(x) := |a| c1 f1 + c2 f2 , v := c1 f1 , v + c2 f2 , v , Combinazione lineare: 7.2. Capitolo 7. Distribuzioni temperate distribuzioni x∈R 123 k→∞ R R Proposizione 7.3-2. Per ogni coppia di funzioni f, g ∈ L1 (R) si ha f (ξ) g(ξ) dξ. f (ξ) g(ξ) dξ = dove la convergenza s’intende nel senso della Definizione 7.3-1. (4) Proposizione 7.3-1. La corrispondenza v → v è lineare e continua dallo spazio S(R) in sé: vk → 0 =⇒ vk → 0 , Definizione 7.3-2. Chiameremo distribuzione temperata su R ogni funzionale f : S(R) → C lineare e continuo, nel senso che vk → v (in S(R) =⇒ f, vk → f, v . (1) Diremo poi che vk (x) tende a v ∈ S(R) se vk − v tende alla funzione nulla nel senso appena specificato. k→∞ Definizione 7.3-1. Diremo che la successione vk (x) di funzioni dello spazio S(R) converge alla funzione nulla se, per ogni coppia di numeri naturali p e q, la successione di funzioni k → xp Dq vk (x) tende uniformemente a 0 su R: p q p q lim x D vk (x) ∞ = lim sup | x D vk (x) | = 0. 7.3. Capitolo 7. distribuzioni (5) 124 [La tabella prosegue nella pagina seguente] Il gradino unitario (= funzione di Heaviside) è indicato u(x), la distribuzione v.p.(1/x) è indicata semplicemente 1/x. Variabile indipendente del segnale: x, variabile indipendente della trasformata: ω (pulsazione); ∞ dunque: f (ω) := −∞ e−iωx f (x) dx Tabella 7.3-1. Alcune trasformate di Fourier in S (R) (Simboli coerenti con la Definizione 6.1-1) L. Schwartz 1915 - 2002 per ogni v ∈ S(R). f , v := f, v , Definizione 7.3-3. Per ogni f ∈ S (R) si pone Capitolo 7. 2π δ(ω − λ) (iω)k 2πik δ (k) (ω) π sign(ω) = −i π sign(ω) i 2 −2 i = iω ω 1 i π δ(ω) + = π δ(ω) − iω ω π [δ(ω − 1) − δ(ω + 1)] = iπ [δ(ω + 1) − δ(ω − 1)] i π [δ(ω − 1) + δ(ω + 1)] π [δ(ω − λ) − δ(ω + λ)] = iπ [δ(ω + λ) − δ(ω − λ)] i π [δ(ω − λ) + δ(ω + λ)] eiλx δ (k) (x) xk 1 x cos λx sin λx cos x sin x u(x) λ∈R λ∈R k ∈ N∗ 2π δ(ω) 1 sign(x) k ∈ N∗ 1 δ(x) λ∈R f (ω) distribuzioni f (x) Capitolo 7. 125 distribuzioni 126 [La tabella prosegue nella pagina seguente] Il gradino unitario (= funzione di Heaviside) è indicato u(t), la distribuzione v.p.(1/t) è indicata semplicemente 1/t; l’unità immaginaria viene indicata j. Variabile indipendente del segnale: t, variabile indipendente della trasformata: f (frequenza); ∞ −j dunque: X(f ) = −∞ e 2πf t x(t) dt. Tabella 7.3-1’. Alcune trasformate di Fourier in S (R) (Simboli coerenti con la Definizione 6.1-1 ) Capitolo 7. δ(f − f0 ) (j 2πf )k j k δ (k) (f ) π sign(f ) = −jπ sign(f ) j 1 −j = jπf πf 1 δ(f ) j δ(f ) + = − 2 j 2πf 2 2πf ej2πf0 t δ (k) (t) (2π t)k 1 t sign(t) u(t) cos(2πf0 t) λ∈R λ∈R e−j2πt0 f δ(t − t0 ) 1 [δ(f − f0 ) − δ(f + f0 )] = 2j j = [δ(f + f0 ) − δ(f − f0 )] 2 1 [δ(ω − λ) + δ(ω + λ)] 2 k ∈ N∗ δ(f ) 1 sin(2πf0 t) k ∈ N∗ 1 δ(t) λ∈R X(f ) distribuzioni x(t) Capitolo 7. 127 Distribuzioni periodiche distribuzioni 128 k=−∞ x(t − kT ). k=−∞ avendo posto f0 := 1/T (frequenza fondamentale). Si trova ∞ T /2+kT 1 x(τ ) e−in2πf0 τ dτ. cn = T −T /2−kT I coefficienti di Fourier cn della funzione xT si scrivono 1 T /2 cn = xT (t) e−in2πf0 t dt, T −T /2 xT (t) := ∞ (1) Sia t → x(t) una funzione sommabile su R; se x(t) = O(1/|t|α ) con α > 1 per |t| → ∞, possiamo definire la ripetizione periodica di x di periodo T : 7.4. Capitolo 7. distribuzioni (2) 129 k=−∞ x(t − kT ) = n=−∞ ∞ cn ei2πnf0 t = f0 n=−∞ ∞ X(n f0 ) ei2πnf0 t . (3) k=−∞ ∞ x(kT ) = f0 n=−∞ ∞ X(n f0 ). (4) Abbiamo ottenuto la formula di sommazione di Poisson. Per t = 0 (scambiando k con −k) si ha: xT (t) = ∞ Lo sviluppo in serie di Fourier della funzione funzione periodica xT si scrive dunque (↑ formula (3 ) del paragrafo 3.5) cn = f0 X(n f0 ). Se indichiamo con X(f ) la trasformata di Fourier di x, abbiamo allora Capitolo 7.