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Cass. pen., fasc.2, 2005, pag. 626

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DOTTRINA
IL MINORE VITTIMA DI ABUSI IN FAMIGLIA TRA TUTELA PENALE E
PROTEZIONE 'CAUTELARE'
Fonte: Cass. pen., fasc.2, 2005, pag. 626
Autori: Simona Silvani
Sommario: 1. Gli abusi sul minore all'interno della famiglia: gli incerti confini del fenomeno.
- 2. L'esigenza di tutela delle vittime e il diritto penale. - 3. Le misure di protezione: a) la
misura cautelare penale dell'allontanamento dalla casa familiare. - 3.1. Segue: b) gli ordini
di protezione civilistici - 4. Verso una tutela 'integrata' del minore vittima.
1. Gli abusi sul minore all'interno della famiglia: gli incerti confini del fenomeno. - A partire
dai primi studi «pionieristici» di Kempe, con l'individuazione della 'sindrome del bambino
maltrattato' quale sintomatologia caratteristica dell'abuso all'infanzia (1), l'interesse nei
confronti delle violenze sui minori (soprattutto se commesse in ambito familiare) si è via via
consolidato coinvolgendo, accanto alla dottrina medica, anche quella giuridica nella ricerca
e nell'analisi delle più idonee forme di tutela da offrire alle giovani vittime.
Il diritto, tuttavia, nell'affrontare il problema della protezione del minore dagli abusi
domestici si è trovato di fronte ad una realtà criminologica complessa, in relazione alle cui
caratteristiche lo strumento giuridico - e segnatamente quello giuridico-penale - sconta
inevitabilmente una serie di limiti.
Il fenomeno degli abusi perpetrati in danno di minori in seno alla famiglia è, invero,
piuttosto difficile da delineare da un punto di vista qualitativo, sfuggendone, nel contempo,
l'esatta dimensione quantitativa. Sotto il primo profilo, diverse sono le tipologie di abuso e
molte 'resistono' ad uno specifico inquadramento normativo: si va dagli abusi sessuali,
all'incesto, ai maltrattamenti fisici, alla violenza di tipo psicologico, alla c.d. violenza
assistita (ossia ai casi nei quali il minore è costretto ad assistere a violenze, maltrattamenti
ed abusi perpetrati da un familiare o convivente ai danni di un altro), alla violenza su
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animali domestici (2). Si può dire che la 'varietà' e 'variabilità' della fenomenologia
dell'abuso sul minore difficilmente può essere costretta entro i rigidi schematismi del diritto,
finendo per costituire un limite, in particolare, rispetto all'istanza di tutela delle vittime
attraverso il diritto penale sostanziale e le fattispecie da questo tassativamente previste.
Sotto il profilo quantitativo, quello degli abusi domestici sul minore è un fenomeno di cui
risulta assai arduo definire le reali dimensioni: i dati delle statistiche ufficiali e quelli che
provengono dai centri di accoglienza non sono, difatti, in grado di offrire una fotografia
sufficientemente rappresentativa di una realtà che svela livelli di cifra nera assai elevati. La
vastità del 'sommerso' va principalmente imputata ad una scarsa propensione alla
denuncia ricollegabile, a sua volta, tanto agli stretti vincoli affettivi e psicologici che legano
tra loro i membri del gruppo familiare (e dunque anche le vittime agli autori), quanto alla
tendenza a considerare gli episodi di violenza come una questione 'privata', da risolvere
entro le mura domestiche. Considerazione, quest'ultima, che acquista un significato
particolare quando le vittime sono minori di età, dal momento che le manifestazioni e le
'denunce' del disagio che tali soggetti si trovano a vivere vengono inevitabilmente filtrate da
altri componenti adulti della famiglia, i quali tendono molto spesso a minimizzare, se non
addirittura a negare, i fatti di violenza, introducendo un ulteriore ostacolo alla loro
emersione (3).
2. L'esigenza di tutela delle vittime e il diritto penale. - Le difficoltà nel rintracciare i contorni
quantitativi e qualitativi del fenomeno degli abusi sui minori in famiglia e le ragioni ad esse
sottese rappresentano delle vere e proprie sfide per il diritto. In forza del dovere di
protezione della gioventù, che trova la propria fonte nei precetti costituzionali e nei principi
contenuti nei trattati internazionali (4), il diritto è infatti chiamato ad intervenire in modo tale
da assicurare la massima protezione delle vittime da tutte le possibili forme di abuso; allo
stesso tempo, le modalità dell'intervento giuridico dovrebbero essere tali da favorire una
graduale emersione di quanto ancora rimane confinato nel campo oscuro.
Peraltro, lo stesso dovere di protezione della gioventù sancito costituzionalmente impone
che la concreta operatività degli strumenti offerti dal diritto non arrechi ulteriori pregiudizi ai
diritti di soggetti dalla personalità ancora in fieri, al loro equilibrio già turbato da un fatto di
violenza.
Quanto detto sin qui vale soprattutto per il diritto penale, rispetto al quale, da un lato, come
già si è avuto modo di sottolineare, la violenza domestica ha la forza di quella immane
concretezza che è destinata a spaccare la sottile crosta del dato normativo (5) e ad imporsi
in tutta la sua complessità ed 'irriducibilità' agli schemi rigidi del diritto; dall'altro lato, il
contesto in cui le violenze si consumano (e nel quale il sistema penale, in ultima analisi si
trova ad incidere) - ossia la famiglia - nonché la particolare condizione delle vittime - ossia
soggetti ancora in formazione - si impongono come fattori di condizionamento nei confronti
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di un'entrata in scena degli strumenti penalistici non sufficientemente ponderata.
Ed invero, quando è chiamato ad intervenire in ambito familiare, il diritto penale manifesta il
proprio volto più deleterio, sotto un duplice punto di vista. Già dai suoi primi interventi, esso
lacera definitivamente il tessuto dei rapporti familiari: a partire dalla denuncia, alle indagini,
all'avvio del processo penale si assiste ad una apposizione dello stigma sul reo che lo
distingue dagli altri consociati (6); è chiaro che quando questo stigma ricade su di un
membro del gruppo familiare, per un fatto commesso in danno di un altro membro, esso è
destinato a provocare tensioni e profonde lacerazioni (7), in grado di produrre anche un
effetto di colpevolizzazione della persona offesa e, in particolare, del minore.
Inoltre, quando vittima è una persona minore di età, il jus criminale sconta tutti i limiti di
effettività che caratterizzano il sistema italiano. In primo luogo, esso si realizza attraverso
un processo che si rivela spesso inefficace, giacché per effetto di molteplici fattori o non si
giunge all'accertamento definitivo della responsabilità o a tale accertamento non segue
l'applicazione della sanzione o, infine, viene irrogata una pena del tutto 'inadeguata'
rispetto al fatto commesso (8); secondariamente, l'avvio di un procedimento penale può
risultare estremamente nocivo per la vittima la quale, inserita suo malgrado nel circuito
penale, è colpita, al pari del reo, dallo 'stigma' del processo, potendo subire quello che in
criminologia viene definito il rischio di vittimizzazione secondaria (9).
A quanto detto va aggiunta un'ulteriore considerazione relativa alle fattispecie di diritto
penale sostanziale chiamate a garantire la tutela del minore oggetto di abusi. Si tratta, per
la gran parte, di fattispecie 'arretrate' che cristallizzano una concezione della famiglia e del
minore ormai superata: il riferimento è, ovviamente, ai delitti contenuti nel titolo XI del
codice penale (Delitti contro la famiglia) che, rimasti pressoché immutati dall'entrata in
vigore del codice Rocco nonostante la riforma del diritto di famiglia postulasse un loro
adeguamento, riflettono nelle loro formulazioni la concezione pubblicistica del legislatore
fascista, preoccupato di accordare visibilità e tutela all'istituto familiare a tutto svantaggio
della protezione effettiva dei singoli membri, anche se particolarmente deboli e vulnerabili
(10).
A tale proposito, si rende opportuna una precisazione in ordine al delitto di maltrattamenti
(art. 572 c.p.) che, in virtù dell'ampia formulazione che lo caratterizza, dovrebbe
rappresentare lo strumento di diritto sostanziale 'privilegiato' nelle tutela delle vittime. La
generica descrizione della condotta, attraverso l'uso del verbo 'maltrattare', consentirebbe
di fare rientrare nell'ambito del penalmente rilevante tutti i comportamenti riconducibili alla
fenomenologia della violenza domestica, garantendo una piena tutela del minore vittima.
Sennonché la natura abituale di questo reato ne ha reso, specie nel passato, difficile
l'accertamento in giudizio. La subordinazione della rilevanza penalistica delle condotte di
maltrattamenti al requisito dell'abitualità (ossia al necessario reiterarsi nel tempo di più
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comportamenti lesivi della dignità o dell'integrità personale dei soggetti passivi) e al
rispecchiarsi di tale requisito nel dolo dell'autore ha rappresentato un'inevitabile barriera
alle condanne dei maltrattanti (11). A ciò si aggiunga che, fino a tempi piuttosto recenti, i
confini applicativi del delitto ex art. 572 c.p. sono stati erosi dalla contigua ipotesi di abuso
dei mezzi di correzione che consentiva, una volta dimostrato un intento educativo
nell'autore delle condotte violente, di affievolire il disvalore di veri e propri maltrattamenti
derubricandoli in eccessi educativi, puniti meno severamente o non puniti affatto (12).
Se si considerano, dunque, i limiti che il diritto penale si trova inevitabilmente a scontare di
fronte al fenomeno degli abusi in famiglia, nonché i problemi legati alle difficoltà di
applicazione delle norme penali attraverso il processo, stante la complessiva situazione di
ineffettività in cui versa il sistema penale italiano, ben si comprende la scelta compiuta dal
legislatore del 2001 che, con due successivi interventi normativi, ha tentato di concentrare
l'attenzione sulla reale tutela delle vittime, attraverso misure a carattere provvisorio
destinate a realizzare una tempestiva protezione dei soggetti passivi dalle violenze
perpetrate in loro danno.
3. Le nuove misure di protezione: a) la misura cautelare penale dell'allontanamento dalla
casa familiare. - Nel 2001, nell'arco di una sola settimana, il Parlamento italiano ha varato
due provvedimenti legislativi (la legge 28 marzo 2001, n. 149, Nuove norme in materia di
adozione, e la legge 4 aprile 2001, n. 154 recante Misure contro la violenza nelle relazioni
familiari) contenenti disposizioni volte a fronteggiare il fenomeno degli abusi domestici
inequivocabilmente 'victim-oriented', per usare un'espressione cara agli anglosassoni.
Invero, pur nelle loro peculiarità, le misure che tali leggi introducono presentano come
finalità esclusiva o concorrente con altre quella di apprestare una tutela immediata ai
soggetti passivi degli abusi intra-familiari, interrompendo le condotte pregiudizievoli
mediante l'allontanamento coattivo del maltrattante (13).
In estrema sintesi, è stato creato un 'ventaglio' di soluzioni che vedono coinvolti ora il
giudice penale, ora il giudice civile, ora il Tribunale per i minorenni quali organi chiamati, in
presenza di determinati presupposti, a realizzare un'immediata, ancorché temporanea,
protezione delle vittime dagli abusi.
Ci sembra utile tratteggiare, seppur brevemente, i caratteri di tali differenti soluzioni, onde
verificarne i rispettivi ambiti di applicabilità e chiarirne i rapporti rispetto alla tutela offerta
dal diritto penale sostanziale. In tale disamina è bene prendere le mosse dalla l. n. 154/01,
giacché essa contiene il primo espresso riconoscimento del fenomeno della violenza
domestica (14).
Con l'emblematica epigrafe Misure contro la violenza nelle relazioni familiari(15), la l. n.
154/01 introduce la nuova cautela penale dell'allontanamento della casa familiare (art. 282-
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bis c.p.p.) (16) che, inserita tra l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282
c.p.p.) e il divieto e obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.), è destinata a soggiacere, salvo
espresse deroghe, alla disciplina prevista dal codice di procedura penale per le misure
cautelari personali coercitive (17).
I suoi presupposti applicativi vanno, dunque, rintracciati nel c.d. fumus commissi delicti(18),
e nel c.d. periculum libertatis, formula nella quale si compendiano le diverse esigenze
cautelari contemplate dall'art. 274 c.p.p. È chiaro che l'esigenza in grado di 'sorreggere'
l'applicazione di un'ordinanza di allontanamento sarà prevalentemente da ravvisarsi nella
volontà di interrompere immediatamente i fatti di violenza, al fine di scongiurare il pericolo
di una reiterazione dei reati della stessa specie di quello per cui si procede (art. 274 lett. c)
c.p.p.) (19); accanto a tale esigenza, che può dirsi «tipica», non va peraltro esclusa la
possibilità di adottare la misura anche sulla base delle ragioni individuate dalla lettera a)
dell'art. 274 c.p.p., laddove vi sia il pericolo che intimidazioni o minacce del presunto
autore possano indurre le vittime al silenzio o ad una falsa ricostruzione dei fatti (20).
Ciò posto, va sottolineato che la tipica destinazione della misura (e delle limitazioni alla
libertà personale che essa comporta) alla tutela di soggetti determinati dal pericolo di
offese derivanti da una ripetizione delle condotte violente, anch'esse determinate, o
quantomeno «selezionate in maniera più precisa rispetto al dettato dell'art. 274, lett. c),
c.p.p.» (21) risulta solo in parte armonizzabile con la più generale esigenza di tutela della
collettività espressa nella formula codicistica (22). Sembra che, nel pur lodevole intento di
stigmatizzare con decisione le varie forme di abuso nelle relazioni familiari e di accordare
una effettiva tutela alle vittime, con la creazione di un nuovo rimedio 'ritagliato su misura', il
legislatore abbia operato una forzatura dei principi che informano il sistema delle misure
cautelari introducendo, contrariamente alla sua stessa dichiarazione d'intenti, una cautela,
se non formalmente, sostanzialmente ad hoc per la violenza domestica e alterando, così,
in parte la coerenza sistematica del capo II, titolo I, libro IV c.p.p.
Ciò è confermato anche dal fatto che, rispetto ai limiti di pena fissati dall'art. 280 c.p.p. per
l'applicabilità delle misure cautelari personali coercitive, l'art. 282-bis c.p.p. introduce
un'importante deroga consentendo di disporre l'allontanamento anche al di là dei tetti
sanzionatori legalmente definiti, laddove si proceda per i delitti tassativamente indicati dal
nuovo comma 6 dello stesso articolo (23). Si tratta di fattispecie integranti possibili
manifestazioni della violenza intrafamiliare, la cui esplicita indicazione sottende la volontà
di ricondurre all'ambito di applicazione della nuova cautela l'eterogenea fenomenologia
degli abusi domestici, pur nel mantenimento di tutti gli altri argini garantistici previsti per le
misure cautelari coercitive, consentendo, così, di evitare possibili lacune di tutela in
relazione a fatti di reato puniti con pene non particolarmente elevate (dunque estranee
all'ambito di applicabilità definito dall'art. 280 c.p.p.), ma nei confronti delle quali si rivela
assai utile, se non indispensabile, un intervento urgente, idoneo ad inibire la perpetuazione
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degli abusi (24).
Quanto ai contenuti, la misura si sostanzia nell'ordine rivolto all'autore delle violenze di
lasciare immediatamente la casa familiare - ovvero di non farvi rientro - e di non accedervi
senza l'autorizzazione del giudice che procede (autorizzazione che, a sua volta, può
prescrivere determinate modalità di visita, consentendo di 'modellare' il provvedimento
sulla base delle esigenze del caso concreto).
A tale 'contenuto minimo' il giudice può affiancare una più incisiva limitazione della libertà
personale del familiare colpito dalla misura chiaramente orientata a soddisfare le concrete
esigenze di tutela dell'incolumità delle vittime: in particolare, in presenza di esigenze di
tutela di queste ultime o dei loro congiunti, è possibile che il giudice impedisca al familiare
violento di avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa
(in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d'origine o dei prossimi congiunti,
salvo che la frequentazione sia resa necessaria da motivi di lavoro). Tale previsione svela
la logica preventiva che ha guidato il legislatore, mosso dalla preoccupazione di apprestare
un'effettiva protezione all'offeso, impedendo, di fatto, che condotte violente o intimidatorie
possano essere realizzate anche al di fuori della casa familiare (25).
Sempre nella medesima direzione della massima protezione dei soggetti passivi si muove,
altresì, l'eventuale ordine di pagamento dell'assegno a favore dei familiari del prevenuto
che rimangano, a causa dell'applicazione della cautela, privi dei mezzi adeguati (26).
3.1. Segue: b) gli ordini di protezione civilistici. - Al fine di contrastare una realtà
criminologica così complessa quale quella degli abusi in famiglia, la l. n. 154/01 ha
predisposto un sistema di tutela delle vittime «a doppio binario», ossia articolato sul duplice
livello penale e civile, affiancando alla misura cautelare penale i c.d. ordini di protezione,
contemplati dai nuovi artt. 342-bis e ter del codice civile (27). Ispirate agli orders of
protection, statunitensi(28), tali misure possono essere emanate dal giudice civile in
presenza di fatti di violenza intrafamiliare. Va subito precisato che, originariamente,
l'operatività del sistema civile piuttosto che di quello penale - dunque la scelta circa
l'applicazione delle diverse misure - era fatta dipendere, in estrema sintesi, dalla gravità
delle condotte poste in essere, dal momento che l'ordine civilistico, nella sua primigenia
configurazione, non avrebbe potuto essere adottato nel caso in cui i fatti di violenza
avessero integrato reati perseguibili ex officio. Il significato di questa limitazione era
probabilmente da ricondursi alla volontà di riservare al giudice penale le forme più gravi di
abuso, sottraendo alla libera determinazione del singolo, e ai condizionamenti che costui
poteva subire, la scelta di intervenire (o meno) con la propria istanza per porre fine alle
violenze (29).
Ora, per effetto della l. del 12 novembre 2003, n. 304 (Modifica all'art. 342-bis del codice
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civile in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari), questo limite non sussiste
più, sicché l'ordine di protezione può essere emesso anche in presenza di reati perseguibili
d'ufficio (30). Ne consegue che il ricorso a tali provvedimenti presuppone semplicemente il
fatto che un componente del nucleo familiare abbia tenuto una condotta gravemente
pregiudizievole dell'integrità fisica o morale ovvero della libertà di altro componente del
gruppo. In presenza di tale presupposto, l'ordine può essere emesso dal tribunale civile in
composizione monocratica, su istanza della persona in danno della quale è stata posta in
essere la condotta di abuso, anche senza l'assistenza di un difensore (31).
Quanto alle possibili prescrizioni, l'ordine di protezione si compone di un nucleo prescrittivo
minimo (l'ingiunzione al maltrattante affinché cessi la condotta violenta e il contestuale
ordine, rivolto al medesimo, di allontanarsi dalla casa familiare) e di altri contenuti solo
eventuali, in ordine ai quali il giudice gode di un ampio margine di discrezionalità (32). Tale
discrezionalità può considerarsi espressiva del privilegio che il legislatore ha inteso
accordare alla effettiva funzionalità della misura a discapito di un rigore garantistico che,
forse, le limitazioni - anche consistenti - alla libertà personale connesse all'ordine di
protezione, di fatto, avrebbero reclamato. Emerge, così, il prevalente orientamento alla
vittima che caratterizza l'intera normativa e che trova ulteriore espressione e conferma
nella disciplina processuale dettata dal nuovo art. 736-bis c.p.c., agile ed improntata ad
istanze di semplificazione e deformalizzazione, che affiorano, soprattutto, nella libertà del
giudice nella conduzione dell'istruttoria rivolta all'esame del ricorso e all'emanazione del
provvedimento (33), nonché nella possibilità dell'adozione della misura in via d'urgenza,
inaudita altera parte(34). La scelta di un iter procedurale snello e veloce - benché
criticabile, come detto, sotto il profilo della perdita delle garanzie nei confronti del
destinatario dell'ordine - si inquadra dunque nella prospettiva della più ampia protezione
dell'offeso, e propone, accanto ad una rimozione degli ostacoli che possono frenare
l'emersione del fenomeno (35), la tempestività e l'effettività della protezione delle vittime
quali 'valori guida' nella lotta e nella prevenzione degli abusi familiari (36).
Ad ulteriore rafforzamento degli scopi di tutela perseguiti, l'art. 6 l. n. 154/01 stabilisce,
inoltre, che le violazioni delle prescrizioni imposte dal giudice nell'ordine di protezione
integrano un illecito penale, determinando l'applicazione della sanzione prevista per il reato
di cui all'art. 388 c.p. (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) (37).
Le misure introdotte dalla l. del 4 aprile 2001 seguono, a distanza di pochi giorni, la
modifica recata agli artt. 330 e 333 c.c. dall'art. 37 l. n. 149/01, che ha inserito, sia
nell'ambito delle pronunce di decadenza dalla potestà genitoriale, sia in caso di condotte di
abuso o maltrattamento che non diano comunque luogo alla decadenza da tale potestà,
l'allontanamento del genitore (o del convivente) maltrattante o abusante quale alternativa
all'originario (esclusivo) allontanamento del minore.
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Tale riforma, seppur apparentemente esigua, assume in realtà una considerevole portata
ove si pensi che, in precedenza, l'unico strumento disponibile per sottrarre il figlio al 'cattivo
esercizio' della potestà genitoriale e al pregiudizio che da esso poteva derivare era
rappresentato da un provvedimento in molti casi altrettanto pregiudizievole per il minore,
che lo costringeva a lasciare la casa e l'ambiente nel quale era cresciuto, nonché i familiari
diversi dal maltrattante, con incalcolabili costi di sofferenza e inevitabili effetti traumatici su
una personalità ancora in formazione (38).
La nuova previsione degli artt. 330 e 333 c.c. dà, finalmente, veste formale, ad un'esigenza
che già si era manifestata nella prassi applicativa e che aveva condotto ad interpretazioni
piuttosto 'estensive' dei contenuti dei medesimi articoli nelle loro originarie formulazioni
(39): l'esigenza di ridurre i rischi di ulteriore vittimizzazione del minore, cui si collegava la
conseguente necessità di concentrare gli sforzi preventivi - ossia orientati alla protezione
della vittima da ulteriori abusi o maltrattamenti - sulle limitazioni della sfera di libertà del
maltrattante, anziché dell'offeso.
L'autorità competente ad emettere il provvedimento di allontanamento è, in questo caso, il
Tribunale per i Minorenni che, come è noto, nella materia del controllo ex post
sull'esercizio della potestà genitoriale detiene un monopolio pressoché assoluto. A questo
proposito, peraltro, va subito osservato che la modifica apportata agli artt. 330 e 333 c.c.
ha introdotto, accanto al genitore, la figura del convivente quale possibile destinatario
dell'ordine: tale estensione 'soggettiva' determina, a ben vedere, una corrispondente
estensione delle competenze del Tribunale per i Minorenni che cessa di essere
esclusivamente organo titolare di una funzione di controllo sulla potestà del genitore, per
acquisire la titolarità di un potere, seppure in senso lato, sanzionatorio di condotte
pregiudizievoli poste in essere da chi, tuttavia, non esercita nei confronti del minore alcuna
potestà.
Quanto ai presupposti applicativi, il riferimento alle condotte di abuso o di maltrattamento
contenuto negli artt. 330 e 333 c.c. va interpretato alla luce del più generico richiamo
all'effetto «comunque pregiudizievole» dei comportamenti del genitore sul figlio. Si intende
sottolineare come, a nostro avviso, per l'adozione del provvedimento non si renda
necessario accertare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie penali
astrattamente riconducibili a tali condotte (in particolare, fra gli altri, dei delitti previsti dagli
artt. 571 e 572 c.p.), ma sia sufficiente, invece, una più generale verifica dei possibili
pregiudizi che esse sono in grado di arrecare alla persona dell'offeso.
Nell'attuare la modifica degli artt. 330 e 333 c.c., la l. n. 149/01 non ha inserito alcuna
specificazione né in ordine ai contenuti del provvedimento di allontanamento, né in ordine
alla durata. Quanto a quest'ultimo aspetto, la mancata indicazione di un limite temporale
predeterminato o determinabile, presente invece negli istituti più sopra esaminati (40),
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sembrerebbe individuare nel provvedimento del tribunale per i minorenni la misura più
idonea ad assecondare le reali esigenze di protezione delle vittime, attraverso una
costante verifica circa la permanenza (o il venire meno) di una situazione di pericolo per il
minore e la conseguente proroga (o revoca) della limitazione della libertà del genitore o
convivente.
In realtà, la mancata definizione di limiti di durata viene compensata dall'assenza di
indicazioni normative circa la possibilità (e le modalità) di un adempimento coattivo
dell'allontanamento: dato, questo, che rischia di ridurre drasticamente la potenziale
efficacia del provvedimento. A ciò si aggiunga che, sebbene i contenuti della misura
possano essere arricchiti da eventuali ulteriori prescrizioni, grazie al richiamo ai
«provvedimenti convenienti» di cui all'art. 333 c.c., non sembra possibile, in mancanza di
espresse statuizioni, estendere a questo istituto la tutela economica prevista, invece,
dall'ordine di protezione e dalla cautela penale.
4. Verso una tutela 'integrata' del minore vittima di violenze in famiglia. - La disamina
appena condotta ha consentito di tratteggiare il quadro complessivo degli strumenti messi
a disposizione dall'ordinamento italiano; quadro che, seppur criticabile dal punto di vista
della tenuta sistematica - stante l'evidente scarso coordinamento tra i diversi organi e le
diverse competenze, nonché i rischi di sovrapposizione (ed eccessiva dilatazione nel
tempo) dei provvedimenti limitativi della libertà del familiare maltrattante (41) - rivela una
precisa strategia politico-criminale in ordine alla tutela del minore vittima di abusi in
famiglia. L'esclusiva concentrazione del legislatore su risposte di tipo immediato, benché
provvisorio, esprime, a nostro avviso, l'esigenza di 'agire su più fronti', nel tentativo di
arginare una realtà criminologica diffusa e complessa ponendosi come obiettivo principale
la protezione dei soggetti passivi.
Ma se questo è lo scopo prioritario, è evidente che il solo diritto penale - così com'è - non
basta più. V'è dunque la consapevolezza di dovere attivare altre risorse, al di fuori della
materia dei delitti e delle pene. E a testimoniare tale presa d'atto soccorre, innanzi tutto,
paradossalmente, proprio la stessa creazione di una cautela penale ad hoc. Il fatto che la l.
n. 154/01 abbia esordito con l'introduzione di una nuova misura cautelare penale per casi
di violenza in famiglia - oltre a denotare l'innegabile volontà di rendere ancora più decisa la
stigmatizzazione di tale fenomeno - esprime la presa d'atto dell'incapacità del diritto penale
esistente non solo di «servire al reo», ma anche e soprattutto, di «servire alle vittime»: si è
agito attraverso lo strumento processuale (cautelare) onde assicurare tempestivamente,
sebbene temporaneamente, una protezione ad una vittima che, altrimenti, sarebbe potuta
rimanere, almeno nella più parte dei casi, sprovvista di tutela.
Ciò, peraltro, merita una breve riflessione. Se si accosta questa protezione cautelare del
minore vittima alle caratteristiche del sistema italiano della giustizia minorile, in particolare
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agli istituti introdotti dal d.P.R. n. 448/88, non sembra eccessivamente forzato intravedere
una sorta di 'procedimentalizzazione' della tutela del minorenne che, in qualità di soggetto
attivo o di soggetto passivo del reato, si trovi ad entrare nel sistema penale. Difatti, con
riguardo al 'minore autore', non si è pensato di creare un arsenale sanzionatorio ad hoc, né
un catalogo di fattispecie penali distinto da quello degli adulti, ma si è voluto diversificare
l'approccio esclusivamente attraverso istituti di diritto processuale, aventi innegabili e
importanti riflessi di diritto sostanziale (42); con riguardo al 'minore vittima', si è cercato di
anticipare una tutela che tarderebbe troppo a realizzarsi (o che mai si realizzerebbe)
agendo sul piano delle cautele penali (43).
Questo progressivo orientamento verso soluzioni processuali nel perseguimento di finalità
di tipo sostanziale desta qualche perplessità giacché, in relazione alla violenza sui minori,
esso evidenzia una sorta di resistenza da parte del legislatore ad affrontare il capitolo del
minore vittima. Invero, è divenuto oramai una costante, nelle affermazioni della dottrina e
della giurisprudenza più sensibili, l'invito rivolto al Parlamento ad uscire dall'immobilismo
che da troppo tempo lo caratterizza e a riformare, una buona volta, l'intero titolo dei delitti
contro la famiglia (44), operando, attraverso uno sforzo 'sistematico' che, ad oggi, non
sembra avere contraddistinto gli interventi normativi in materia, un effettivo coordinamento
tra tutte le disposizioni che mirano ad accordare un'efficace protezione alla persona offesa
minore di età (45).
E proprio tale 'colpevole inerzia' in materia penale, innescando una sempre maggiore
sfiducia nella materia dei delitti e delle pene, ha determinato un'espansione degli strumenti
civilistici; ci si riferisce, ovviamente, all'estensione degli ordini di protezione (sia ex artt.
342-bis e 342-ter c.c. sia ex artt. 330, 330 c.c.) a tutte le condotte violente, a prescindere
dal regime di procedibilità dei reati eventualmente ad esse corrispondenti.
Accolta una prospettiva 'vittimocentrica', il legislatore ha inteso amplificare le potenzialità di
misure che già presentano caratteristiche di maggiore flessibilità rispetto agli esistenti
strumenti di diritto penale: la mancata tipizzazione 'tassativa' delle condotte che possono
legittimare la richiesta di allontanamento della persona maltrattante (si parla di condotte di
un coniuge o convivente che arrecano pregiudizio all'integrità fisica o morale o alla libertà
dell'altro coniuge o convivente; oppure si parla di abuso o maltrattamento del minore)
permette, infatti, di piegare le misure civilistiche ad un dato criminologico che sovente,
come si è già detto, non trova una puntuale corrispondenza sul piano normativo. La stessa
semplificazione delle modalità d'accesso a tali provvedimenti, unitamente al loro essere
'indipendenti' da ulteriori eventuali giudizi di cognizione, li rende indubbiamente strumenti
privilegiati nella tutela delle vittime della violenza: preferibili, almeno in prima battuta, ad un
intervento penale spesso intempestivo e inefficace che ad essi, dunque, cede il passo. A
ciò si aggiunga la minore carica stigmatizzante che il diritto civile reca con sé, che
consente di superare la ben nota riluttanza delle vittime alla denuncia penale, favorendo, in
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ultima analisi, anche una graduale emersione del campo oscuro (46).
Sembra, dunque, che nella materia degli abusi intrafamiliari all'infanzia non si possa più
prescindere da una tutela 'integrata', che affianchi strumenti efficaci di protezione degli
offesi al 'tradizionale' intervento del sistema penale. Intervento del quale, si badi,
nonostante i limiti (e nonostante l'innegabile esigenza di una riforma delle fattispecie
codicistiche arretrate), non si potrà mai completamente fare a meno, dal momento che solo
il jus criminale può assolvere, proprio grazie alla pena, quella funzione di orientamento
culturale capace di esprimere la netta e decisa condanna dell'ordinamento rispetto ad un
fenomeno esecrabile quale quello della violenza sui minori in seno alla famiglia.
Note:
(1) KEMPE-Silverman-Steele-Drogmueller-Silver, The Battered Child Syndrome, in
J.A.M.A., 1962, p. 181; KEMPE (a cura di), Child Abused and Neglect: the Family and the
Community, Cambridge (Mass), 1976. Per una ampia ricostruzione dei diversi studi che in
ambito internazionale e nazionale hanno avuto ad oggetto la Sindrome del bambino
maltrattato, cfr. Correra-Martucci, La violenza nella famiglia. La sindrome del bambino
maltrattato, Cedam, 1988, p. 27 ss.
(2) MORO, Erode tra di noi, Giuffré, 1988, passim.+
(3) CASTELLANI, Gli interventi del Tribunale per i minorenni nelle situazioni di abuso
sessuale sui minori: esigenze di coordinamento con il procedimento penale e con il
percorso di sostegno alle vittime, in Minorigiustizia, 2001, 1-2, p. 245.
(4) Per una rassegna delle Convenzioni internazionali in materia minorile, cfr. MANGIONE,
La tutela penale del minore da violenze, abusi e sfruttamento a sfondo sessuale, in
Pennisi(a cura di), La giustizia penale minorile: formazione, devianza, diritto e processo,
Giuffrè, 2004; v., altresì, Saulle, Codice internazionale dei diritti del minore, Jovene, 1992.
In particolare, in merito alla Convenzione Onu del 1989, v. MORO,Il bambino è un
cittadino. Conquiste di libertà e itinerari formativi: la Convenzione Onu e la sua attuazione,
Giuffrè, 1991.
(5) L'immagine è derivata da FORTI, L'immane concretezza, Giuffrè, 2001, p. 103 s.
(6) In merito allo 'stigma penale' si vedano le riflessioni di Larizza, Cave a signatis.
Stigmatizzazione e iscrizione della condanna nel casellario giudiziale, in Dignitas, 2004, p.
24 ss.
(7) Sul ruolo della pena come 'fattore di crisi familiare', cfr. Riondato, «Famiglia» nel diritto
penale italiano, in Zatti(a cura di), Trattato di diritto di famiglia, vol. IV, Giuffrè, 2002, p. 27.
(8) In generale, sull'ineffettività del processo penale v. Aa.Vv., Sistema sanzionatorio:
effettività e certezza della pena (Atti del XXIII Convegno di studio E. de Nicola - Gallipoli,
27, 29 ottobre 2000), a cura del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, Giuffrè,
2002.
(9) Cfr., in proposito, FORTI, L'immane concretezza, cit., p. 268 ss.
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(10) Sull'impostazione pubblicistica dei compilatori del 1930 e sul suo riflettersi nel titolo XI
del codice penale cfr. Fierro Cenderelli, Profili penale del nuovo regime dei rapporti
familiari, Cedam, 1984, p. 1 ss.
(11) GOVERNATORI, La violenza domestica nella legislazione italiana: lo stato della
questione, in Aa.Vv., La violenza domestica. Un fenomeno sommerso, a cura dell'Admi Associazione Donne Magistrato Italiane, Giuffrè, 1994, p. 57. Va precisato che la
giurisprudenza di legittimità ha mostrato, negli anni più recenti, la tendenza a dilatare la
portata applicativa dell'art. 572 c.p., da un lato, ampliando il ventaglio delle condotte
riconducibili alla nozione di maltrattamento (Cfr., ad es., Sez. III, 15 marzo 1985,
Carangelo, in questa rivista, 1986, p. 1088; Sez. VI, 13 ottobre 1989, Lavera, ivi, 1991, p.
1571; Sez. VI, 1° febbraio 1990, Giacomelli, ivi, 1992, p. 309; Sez. V, 8 giugno 1983,
Meduri, ivi, 1985, p. 358), dall'altro riconoscendo l'abitualità anche laddove fosse intercorso
un apprezzabile lasso di tempo tra i diversi episodi di abuso (Sez. VI, 17 aprile 1998,
Visintainer, in Giust. pen., 1999, II, c. 356).
(12) In merito ai rapporti tra il delitto di maltrattamenti e il delitto di abuso dei mezzi di
correzione, v. SILVANI, Sui rapporti tra il delitto di maltrattamenti e abuso dei mezzi di
correzione, in questa rivista, 2003, p. 1844 ss.
(13) Come si vedrà, l'allontanamento dell'autore degli abusi è un nucleo prescrittivo
'minimo' comune a tutti gli 'ordini di protezione', comprendendo in questa definizione non
solo gli ordini civilistici ora previsti dagli artt. 342-bis e 342-ter c.c., ma anche la cautela
penale dell'allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-bis c.p.p. nonché il
provvedimento del genitore (o convivente) maltrattante o abusante ora contemplato dai
novellati artt. 330 e 333 c.c.
(14) Circa i caratteri della violenza domestica sia consentito rinviare al nostro La
mediazione nei casi di violenza domestica: profili teorici e spazi applicativi, in Mannozzi(a
cura di), Medicazione e diritto penale. Dalla punizione del reo alla composizione con la
vittima, Giuffrè, 2004, p. 121 ss., e bibliografia ivi citata; v., altresì, Cianci, Gli ordini di
protezione familiare, Giuffrè, 2003, p. 7 ss.
(15) Per una complessiva analisi della legge, v. SILVANI, L. 28 aprile 2001, n. 154 - Misure
contro la violenza nelle relazioni familiari, in Leg. pen., 2001, p. 677; Abram-Acierno, Le
violenze domestiche trovano una risposta normativa, in Quest. giust., 2001, p. 222 ss;
Figone, La legge sulla violenza domestica, in Fam. e dir., 2001, p. 355 ss.; Bricchetti, Per
superare le difficoltà dei nuclei indigenti al giudice penale l'arma dell'assegno alle vittime, in
Guida al dir., 2001, p. 20 ss.; DOSI, La violenza domestica non abita più qui, in Dir. e
giust., 2001, p. 10 ss.; Ranzatto, Misure a tutela delle vittime delle violenze in famiglia, in
Dir. pen. proc., 2001, p. 1332 ss.; DE MARZO, La legge sulla violenza familiare: uno studio
interdisciplinare, in Fam. e dir., 2002, p. 547 ss.
(16) Sulla nuova misura cautelare si veda, da ultimo, PERONI, La nuova misura cautelare
nei fenomeni di violenza intrafamiliare, in Dir. pen. e proc., 2003, p. 868 ss.; cfr., altresì,
Pistorelli,Misure contro la violenza nelle relazioni familiari: allontanamento dalla casa
familiare; pagamento di un assegno, in Zatti (a cura di), Trattato di diritto di famiglia,
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Giuffrè, 2002, vol. IV, p. 87 ss. Per alcune riflessioni in merito ad una delle prime
applicazioni giurisprudenziali della misura sia consentito rinviare a SILVANI, Brevi note
sull'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), nota a Trib. Pavia, ord. 20
marzo 2003, in Foro ambr., 2003, p. 180 ss.
(17) Quanto all'organo competente a disporre la misura (e a provvedere in ordine alle
vicende modificative, o alla revoca), esso è individuato nel giudice che procede (ossia il
giudice competente all'esercizio della giurisdizione nelle varie fasi del procedimento) (art.
279 c.p.p.); tale giudice provvederà, ovviamente, su richiesta del pubblico ministero ex art.
291 comma 1 c.p.p.
(18) Ossia nella sussistenza a carico del destinatario di gravi indizi di colpevolezza (che
andranno valutati secondo il complesso di regole individuate dall'art. 273, comma 1-bis
c.p.p.), cui va raccordato, altresì, l'accertamento negativo relativamente alla sussistenza di
cause di giustificazione o di non punibilità o di estinzione del reato o della pena, ex art. 273
comma 2 c.p.p.
(19) Va sottolineato come in giurisprudenza sia stato affermato il principio per cui la misura
«può essere applicata non solo per fare cessare una convivenza a rischio, ma anche per
impedire che riprenda, contro la volontà della persona offesa, una convivenza
temporaneamente cessata». Così, Trib. Roma, 25 giugno 2002, in Giur. merito, 2002, p.
1290.
(20) Tale esigenza è stata, ad esempio, ritenuta sussistente dal Gip di La Spezia che,
nell'emettere il provvedimento di cui all'art. 282-bis c.p.p., ha ravvisato la sussistenza di un
concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità delle prove riguardanti il
procedimento in corso, «pericolo rilevabile nella necessità di acquisire le genuine
dichiarazioni delle parti lese in assenza di qualsiasi pericolo di condizionamento derivante
dalla convivenza dei dichiaranti con l'autore delle condotte criminose, tenuto conto della
personalità violenta del medesimo». Cfr. Trib. La Spezia, 3 ottobre 2002, in DI MARTINO,
Violenze familiari. La tutela civile e penale nella legge n. 154/2001, Giuffrè, 2003, p. 157 s.
(21) Pistorelli,op. cit., p. 90.
(22) Sottolinea i rischi di una sostanziale elusione delle esigenze di tutela della collettività
insiti nella formula utilizzata nell'art. 274, lett. c) c.p.p. Marzaduri, (voce) Misure cautelari
personali (principi generali e disciplina), in Dig. d. pen., vol. VII, Utet, 1993, p. 72.
Addirittura, tra i primi commentatori della legge, non è mancata l'opinione - forse
provocatoria - di chi ha intravisto nell'allontanamento dalla casa familiare una vera e
propria misura di prevenzione 'travestita' da cautela penale e ne ha in tal modo sottolineato
l'eterogeneità rispetto al catalogo delle misure cautelari personali coercitive tipizzate nel
codice di rito. In tal senso Riondato, «Famiglia» nel diritto penale italiano, cit., p. 33.
(23) Si tratta, in particolare, dei delitti di cui agli artt. 570 (violazione degli obblighi di
assistenza familiare), 571 (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina), 600-bis
(prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale
pornografico), 609-bis e ter (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minore), 609-
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quinquies (corruzione di minore), 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice
penale.
(24) Va evidenziato che la specifica e tassativa elencazione delle fattispecie compare
unicamente nell'ultima fase della vicenda progettuale, segnando un'inversione di rotta
rispetto alle scelte originarie dei redattori che, in precedenza, avevano giudicato
inopportuna l'indicazione delle tipologie dei delitti per i quali la misura potesse essere
disposta, con la conseguente creazione di una cautela ad hoc. Questo mutamento,
intervenuto nel corso dell'iter legislativo, rivela la progressiva attenzione del legislatore alle
esigenze che la prassi ha posto in luce nella materia degli abusi familiari, e, nel contempo,
la volontà di contemperare le peculiarità del fenomeno con il rigore dei limiti applicativi
delle misure coercitive. Ne è derivata, quale soluzione ibrida, una cautela che, pur
sottostando alla generale ed articolata disciplina dettata per le misure cautelari coercitive, è
destinata a costituire lo strumento privilegiato, benché non esclusivo, per fronteggiare la
violenza nelle relazioni domestiche.
(25) In giurisprudenza è stato efficacemente affermato che queste ulteriori prescrizioni
adempiono al preciso scopo di «costituire una sorta di «schermo protettivo» indispensabile
per un'ordinata ripresa della vita familiare del nucleo cosiddetto «superstite»» (cfr. Trib.
Palermo, 25 giugno 2001, in Giur. merito, 2002, II, p. 1047).
(26) L'art. 282-bis comma 3 c.p.p. dispone che, su richiesta del pubblico ministero, il
giudice, nel disporre l'allontanamento, può ingiungere il pagamento di un assegno a favore
delle persone conviventi che, per effetto della cautela, rimangano prive dei mezzi adeguati,
determinando la misura dell'assegno sulla base delle circostanze e dei redditi
dell'obbligato, e stabilendo le modalità e i termini di versamento. Il giudice può ordinare, se
necessario, che l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di
lavoro dell'obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante; l'ordine ha efficacia di
titolo esecutivo. La previsione di questo contenuto accessorio non è andata esente da
critiche. L'ordine di pagamento dell'assegno, infatti, oltre a perdere efficacia in caso di
revoca o cessazione della misura principale cui esso accede, perde altresì efficacia nel
momento in cui il giudice civile adotta uno dei provvedimenti economico-patrimoniali di cui
all'art. 708 c.p.c. Tale misura sembra allora assumere natura anticipatoria dei
provvedimenti del giudice civile. Si è parlato in proposito di un uso improprio della
giurisdizione penale, essendo il provvedimento slegato dai presupposti cautelari che
giustificano l'imposizione di prescrizioni all'imputato e tendente a soddisfare esigenze relative alla situazione economica della famiglia della persona colpita dalla misura
cautelare - che il giudice non è in grado di valutare compiutamente, essendo privo degli
strumenti istruttori adeguati.
(27) In generale, sugli ordini di protezione civilistici, v. Auletta, L'azione civile contro la
violenza nelle relazioni familiari (art. 736-bis c.p.c.), in Riv. dir. proc., 2001, p. 1045 ss.;
Auletta, Misure (civili) contro la violenza nelle relazioni familiari: ipotesi ricostruttive della
legge n. 154/2001, in Fam. e dir., 2003, p. 294.
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(28) Il modello di riferimento è rappresentato dall'Order of Protection statunitense, presente
con caratteri pressoché omogenei nelle legislazioni di numerosi Stati dell'Unione; si tratta
di un provvedimento adottabile dal giudice civile in presenza di condotte qualificabili come
abusi familiari - la gamma di comportamenti è molto vasta: si va dalle percosse alle
minacce (harrassment) e molestie (stalking), fino alla causazione di stress emotivo
(emotional distress) - e sulla base di una procedura informale avviabile da un'istanza che
la parte può proporre personalmente, senza l'assistenza necessaria di una difensore. I
contenuti inibitori dell'Order of Protection possono ricomprendere, accanto all'immancabile
ordine di interrompere le condotte violente, l'allontanamento dell'autore degli abusi dalla
casa familiare, il divieto di contatti con la vittima e con gli altri membri della famiglia, il
divieto di utilizzo di beni accessori, la sospensione della potestà genitoriale con
l'affidamento della prole all'altro coniuge, nonché prescrizioni a carattere patrimoniale.
Possono comparire, inoltre, contenuti assertivi generalmente finalizzati al recupero del
familiare violento, specie se dedito all'alcool o al consumo di droghe. Cfr., in proposito,
Paolini,Un utile strumento processuale contro la violenza domestica: l'ordine di protezione,
in Quest giust., 1993, p. 672 ss.; Block, A Civil Remedy to Domestic Violence in the U.S.,
in Aa.Vv., Violenza domestica: un fenomeno sommerso, cit., p. 224 ss.
(29) Sul punto si è pronunciata la stessa Relazione al d.d.l. n. S-2675 (dal quale la l. n.
154/01 ha avuto origine) sostenendo che la previsione del rimedio civilistico anche per
ipotesi considerate gravi (sulla base del regime di procedibilità) avrebbe comportato uno
stravolgimento del sistema, assegnando al giudice civile «compiti che spettano al giudice
penale, senza peraltro prevedere quelle garanzie proprie del processo penale».
(30) Le rationes che hanno sorretto questa riforma, espresse dagli stessi compilatori della
legge nella Relazione accompagnatoria alla proposta di legge n. C-1495 (ad iniziativa
dell'On Lucidi et alt.), possono essere riassunte nel timore che proprio situazioni di
gravissimo pericolo per la persona offesa rimanessero prive di uno strumento idoneo ad
apprestare una tutela immediata della vittima, e nella considerazione della «evidente
maggiore resistenza» a ricorrere al sistema penale per la denuncia delle violenze
endofamiliari. Per un primo commento alla legge di riforma, cfr. Pittaro, Limitata, ma
incisiva modifica alla legge sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari, in Fam. e
dir., 2004, p. 5 ss.
(31) Il comma 1 dell'art. 736-bis c.p.c. dispone che «nei casi di cui all'art. 342-bis c.c.,
l'istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di
residenza o di domicilio dell'istante, che provvede in camera di consiglio in composizione
monocratica».
(32) Il giudice può disporre, ove occorra: l'intimazione all'autore delle violenze di non
avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima (e, in particolare, al luogo di
lavoro, al domicilio della famiglia d'origine o di altri prossimi congiunti o di altre persone,
nonché ai luoghi di istruzione dei figli; salvo che il maltrattante non debba frequentare tali
luoghi per esigenze di lavoro); l'intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione
familiare, nonché di «associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e
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l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati» (sic!); infine,
il pagamento periodico, a carico del familiare violento, di un assegno a favore dei
conviventi che per effetto dell'ordine di protezione rimangano privi dei mezzi adeguati (art.
342-ter c.c., commi 1 e 2). Nei commi successivi, il medesimo articolo stabilisce inoltre: (a)
che la durata del provvedimento (da fissarsi a discrezione del giudice) non possa essere
superiore a sei mesi e possa essere prorogata, su istanza di parte, «soltanto se ricorrano
gravi motivi e per il tempo strettamente necessario» (comma 3); (b) che, ove sorgano
difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione del decreto, il giudice possa emanare «i
provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica»
(art. 342-ter comma 4 c.c.).
(33) Il comma 2 dell'art. 736-bis c.p.c. prevede che il giudice cui è affidata la trattazione
della causa, sentite le parti, proceda nel modo che ritiene più opportuno agli atti di
istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria,
indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e
provveda con decreto motivato immediatamente esecutivo.
(34) In base al comma 3 dell'art. 736-bis c.p.c., in caso di urgenza, il giudice, assunte ove
occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l'ordine, fissando l'udienza
di comparizione delle parti avanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed
assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso
e del decreto.
(35) Va precisato che l'art. 4 l. n. 154/01 ha inserito l'ordine di protezione tra le materie
oggetto delle cause civili che i tribunali e le corti di appello debbono trattare anche durante
il periodo feriale dei magistrati.
(36) In questo senso si muove la disposizione di cui all'ultimo comma del nuovo art. 736bis c.p.c., in base alla quale il reclamo contro il decreto che dispone l'ordine di protezione
non ne sospende l'esecutività.
(37) In merito a questa disposizione e alla discrasia che essa introduce in caso di
violazione di prescrizioni (di analogo contenuto) disposte contestualmente ad un 'ordine' di
allontanamento, a seconda della natura civile o penale della misura applicata, v. Pittaro, Le
misure contro la violenza nelle relazioni familiari: profili di diritto penale sostanziale, in Fam.
e dir., 2003, p. 383 ss. Va detto che il richiamo quoad poenam al delitto di cui all'art. 388
c.p. rappresenta l'unico 'rimedio' di diritto penale sostanziale previsto dalle norme contro la
violenza nelle relazioni familiari. Questo, a nostro avviso, rivela la sfiducia - o, piuttosto, la
consapevolezza dei limiti insiti - nel diritto penale sostantivo da parte del legislatore;
sfiducia, del resto, confermata, come si dirà più avanti, sia dalla scelta di intervenire in
ambito penalistico solo attraverso il ricorso alla tutela cautelare, sia dall'allargamento dello
spazio di operatività dell'ordine di protezione civilistico, ora in grado di 'coprire' anche
situazioni di violenza caratterizzate da una certa gravità. Segno, questo, di una sorta di
arretramento del sistema penale (quanto meno in prima battuta) a vantaggio del sistema
civile, sulle cui ragioni si è già in parte detto (v. retro § 2) e in parte si avrà modo di
soffermarsi fra breve (§ 4).
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(38) Sulla portata e i contenuti della riforma, v. Vercellone, Il controllo giudiziario
sull'esercizio della potestà, in Zatti (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, vol. II, Giuffrè,
2002, p. 1059 ss.; Tommaseo, Abuso della potestà e allontanamento coattivo dalla casa
familiare, in Fam. e dir., 2002, p. 39; Cianci, Gli ordini di protezione, cit., p. 174 ss.
(39) Cfr. in proposito Trib. Min. Roma, 4 dicembre 1996, in Minorigiustizia, 1998, 3, p. 130,
con nota di LENTI, Un allontanamento alla rovescia dalla residenza familiare, ivi, p. 132,
decisione con la quale i giudici, in presenza di sospetto incesto tra padre e figlia
minorenne, contestualmente al provvedimento sospensivo della potestà avevano disposto
l'allontanamento del genitore.
(40) La cautela penale risulta sottoposta alla disciplina dei termini di durata massima
previsti per le misure diverse dalla custodia cautelare, ex art. 308 c.p.p.; circa la durata
degli ordini di protezione v. retro nt. 32.
(41) In particolare, sui problematici rapporti tra ordini di protezione e allontanamento del
genitore maltrattante o abusante, v. Tricomi, Violenza in famiglia, Tribunale per i minorenni.
Rebus sulle competenze, in Guida dir., 2001, 18, p. 26; Occhiogrosso,La complessità della
risposta all'abuso sui minori, in Minorgiustizia, 2001, 2, p. 5 ss; SACCHETTI,
Allontanamento dell'autore della violenza dalla casa familiare: un problema aperto, in Fam.
e dir., 2001, p. 664 ss; CASTELLANI, Gli interventi del Tribunale per i minorenni nelle
situazioni di abuso sessuale sui minori, cit., p. 248 ss.
(42) Per quanto concerne, in particolare, il 'minore autore' di reato, v. l'approfondita ed
esauriente analisi di Larizza, Le nuove risposte istituzionali alla criminalità minorile, in Zatti
(a cura di), Trattato di diritto di famiglia, vol. V, Giuffrè, 2002, p. 177 ss.; nonché
Larizza,Tendenze attuali del diritto penale minorile,Giustizia minore?La tutela
giurisdizionale dei minori e dei giovani adulti, Cedam, 2004, p. 35 ss.
(43) In merito a tale tendenza sia consentito rinviare a SILVANI, La tutela penale del
minore vittima di reato nell'ordinamento italiano, Relazione presentata al convegno
internazionale dal titolo Direito da Infância da Juventude e do Envelhecimento, svoltosi a
Coimbra nei giorni 2-3 aprile 2004 (in corso di pubblicazione negli Atti del convegno).
(44) Sul punto v. Pisapia G. e G.D., voce «Famiglia (delitti contro la)», in Dig. d. pen., Utet,
1993, p. 128; CONTENTO, Riforma del diritto di famiglia e disciplina penalistica dei
rapporti familiari, in Dir. fam. e pers., 1979, p. 167 ss. In generale, per una puntuale
disamina delle fattispecie contenute nel titolo XI del codice penale, si vedano i contributi di
Borsari, Cusumano, Meneghello, Pistorelli, PALERMO Fabbris, STRANOLigato, nel
Trattato Zatti, IV, p. 299 ss.
(45) Sottolinea tale carenza sistematica MORO, Manuale di diritto minorile, 3ª ed.,
Zanichelli, 2002, p. 375.
(46) La prassi applicativa in materia di ordini di protezione e di allontanamento cautelare
offre una prima, seppur parziale conferma della preferenza accordata dalle vittime agli
strumenti offerti dal diritto civile nonché della maggiore idoneità di tali strumenti a
contribuire all'emersione del fenomeno della violenza domestica; sul punto si rinvia alle
considerazioni da noi svolte a seguito dell'analisi della giurisprudenza successiva
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all'entrata in vigore delle leggi n. 149/01 e n. 154/01 (cfr. SILVANI, Gli ordini di protezione.
La tutela del minore dagli abusi domestici, in Giustizia minore? La tutela giurisdizionale dei
giovani adulti, cit., p. 121 ss).
DI PISA UNIV.
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07/02/2022
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