DOTTRINA IL MINORE VITTIMA DI ABUSI IN FAMIGLIA TRA TUTELA PENALE E PROTEZIONE 'CAUTELARE' Fonte: Cass. pen., fasc.2, 2005, pag. 626 Autori: Simona Silvani Sommario: 1. Gli abusi sul minore all'interno della famiglia: gli incerti confini del fenomeno. - 2. L'esigenza di tutela delle vittime e il diritto penale. - 3. Le misure di protezione: a) la misura cautelare penale dell'allontanamento dalla casa familiare. - 3.1. Segue: b) gli ordini di protezione civilistici - 4. Verso una tutela 'integrata' del minore vittima. 1. Gli abusi sul minore all'interno della famiglia: gli incerti confini del fenomeno. - A partire dai primi studi «pionieristici» di Kempe, con l'individuazione della 'sindrome del bambino maltrattato' quale sintomatologia caratteristica dell'abuso all'infanzia (1), l'interesse nei confronti delle violenze sui minori (soprattutto se commesse in ambito familiare) si è via via consolidato coinvolgendo, accanto alla dottrina medica, anche quella giuridica nella ricerca e nell'analisi delle più idonee forme di tutela da offrire alle giovani vittime. Il diritto, tuttavia, nell'affrontare il problema della protezione del minore dagli abusi domestici si è trovato di fronte ad una realtà criminologica complessa, in relazione alle cui caratteristiche lo strumento giuridico - e segnatamente quello giuridico-penale - sconta inevitabilmente una serie di limiti. Il fenomeno degli abusi perpetrati in danno di minori in seno alla famiglia è, invero, piuttosto difficile da delineare da un punto di vista qualitativo, sfuggendone, nel contempo, l'esatta dimensione quantitativa. Sotto il primo profilo, diverse sono le tipologie di abuso e molte 'resistono' ad uno specifico inquadramento normativo: si va dagli abusi sessuali, all'incesto, ai maltrattamenti fisici, alla violenza di tipo psicologico, alla c.d. violenza assistita (ossia ai casi nei quali il minore è costretto ad assistere a violenze, maltrattamenti ed abusi perpetrati da un familiare o convivente ai danni di un altro), alla violenza su Pagina 1 di 18 animali domestici (2). Si può dire che la 'varietà' e 'variabilità' della fenomenologia dell'abuso sul minore difficilmente può essere costretta entro i rigidi schematismi del diritto, finendo per costituire un limite, in particolare, rispetto all'istanza di tutela delle vittime attraverso il diritto penale sostanziale e le fattispecie da questo tassativamente previste. Sotto il profilo quantitativo, quello degli abusi domestici sul minore è un fenomeno di cui risulta assai arduo definire le reali dimensioni: i dati delle statistiche ufficiali e quelli che provengono dai centri di accoglienza non sono, difatti, in grado di offrire una fotografia sufficientemente rappresentativa di una realtà che svela livelli di cifra nera assai elevati. La vastità del 'sommerso' va principalmente imputata ad una scarsa propensione alla denuncia ricollegabile, a sua volta, tanto agli stretti vincoli affettivi e psicologici che legano tra loro i membri del gruppo familiare (e dunque anche le vittime agli autori), quanto alla tendenza a considerare gli episodi di violenza come una questione 'privata', da risolvere entro le mura domestiche. Considerazione, quest'ultima, che acquista un significato particolare quando le vittime sono minori di età, dal momento che le manifestazioni e le 'denunce' del disagio che tali soggetti si trovano a vivere vengono inevitabilmente filtrate da altri componenti adulti della famiglia, i quali tendono molto spesso a minimizzare, se non addirittura a negare, i fatti di violenza, introducendo un ulteriore ostacolo alla loro emersione (3). 2. L'esigenza di tutela delle vittime e il diritto penale. - Le difficoltà nel rintracciare i contorni quantitativi e qualitativi del fenomeno degli abusi sui minori in famiglia e le ragioni ad esse sottese rappresentano delle vere e proprie sfide per il diritto. In forza del dovere di protezione della gioventù, che trova la propria fonte nei precetti costituzionali e nei principi contenuti nei trattati internazionali (4), il diritto è infatti chiamato ad intervenire in modo tale da assicurare la massima protezione delle vittime da tutte le possibili forme di abuso; allo stesso tempo, le modalità dell'intervento giuridico dovrebbero essere tali da favorire una graduale emersione di quanto ancora rimane confinato nel campo oscuro. Peraltro, lo stesso dovere di protezione della gioventù sancito costituzionalmente impone che la concreta operatività degli strumenti offerti dal diritto non arrechi ulteriori pregiudizi ai diritti di soggetti dalla personalità ancora in fieri, al loro equilibrio già turbato da un fatto di violenza. Quanto detto sin qui vale soprattutto per il diritto penale, rispetto al quale, da un lato, come già si è avuto modo di sottolineare, la violenza domestica ha la forza di quella immane concretezza che è destinata a spaccare la sottile crosta del dato normativo (5) e ad imporsi in tutta la sua complessità ed 'irriducibilità' agli schemi rigidi del diritto; dall'altro lato, il contesto in cui le violenze si consumano (e nel quale il sistema penale, in ultima analisi si trova ad incidere) - ossia la famiglia - nonché la particolare condizione delle vittime - ossia soggetti ancora in formazione - si impongono come fattori di condizionamento nei confronti Pagina 2 di 18 di un'entrata in scena degli strumenti penalistici non sufficientemente ponderata. Ed invero, quando è chiamato ad intervenire in ambito familiare, il diritto penale manifesta il proprio volto più deleterio, sotto un duplice punto di vista. Già dai suoi primi interventi, esso lacera definitivamente il tessuto dei rapporti familiari: a partire dalla denuncia, alle indagini, all'avvio del processo penale si assiste ad una apposizione dello stigma sul reo che lo distingue dagli altri consociati (6); è chiaro che quando questo stigma ricade su di un membro del gruppo familiare, per un fatto commesso in danno di un altro membro, esso è destinato a provocare tensioni e profonde lacerazioni (7), in grado di produrre anche un effetto di colpevolizzazione della persona offesa e, in particolare, del minore. Inoltre, quando vittima è una persona minore di età, il jus criminale sconta tutti i limiti di effettività che caratterizzano il sistema italiano. In primo luogo, esso si realizza attraverso un processo che si rivela spesso inefficace, giacché per effetto di molteplici fattori o non si giunge all'accertamento definitivo della responsabilità o a tale accertamento non segue l'applicazione della sanzione o, infine, viene irrogata una pena del tutto 'inadeguata' rispetto al fatto commesso (8); secondariamente, l'avvio di un procedimento penale può risultare estremamente nocivo per la vittima la quale, inserita suo malgrado nel circuito penale, è colpita, al pari del reo, dallo 'stigma' del processo, potendo subire quello che in criminologia viene definito il rischio di vittimizzazione secondaria (9). A quanto detto va aggiunta un'ulteriore considerazione relativa alle fattispecie di diritto penale sostanziale chiamate a garantire la tutela del minore oggetto di abusi. Si tratta, per la gran parte, di fattispecie 'arretrate' che cristallizzano una concezione della famiglia e del minore ormai superata: il riferimento è, ovviamente, ai delitti contenuti nel titolo XI del codice penale (Delitti contro la famiglia) che, rimasti pressoché immutati dall'entrata in vigore del codice Rocco nonostante la riforma del diritto di famiglia postulasse un loro adeguamento, riflettono nelle loro formulazioni la concezione pubblicistica del legislatore fascista, preoccupato di accordare visibilità e tutela all'istituto familiare a tutto svantaggio della protezione effettiva dei singoli membri, anche se particolarmente deboli e vulnerabili (10). A tale proposito, si rende opportuna una precisazione in ordine al delitto di maltrattamenti (art. 572 c.p.) che, in virtù dell'ampia formulazione che lo caratterizza, dovrebbe rappresentare lo strumento di diritto sostanziale 'privilegiato' nelle tutela delle vittime. La generica descrizione della condotta, attraverso l'uso del verbo 'maltrattare', consentirebbe di fare rientrare nell'ambito del penalmente rilevante tutti i comportamenti riconducibili alla fenomenologia della violenza domestica, garantendo una piena tutela del minore vittima. Sennonché la natura abituale di questo reato ne ha reso, specie nel passato, difficile l'accertamento in giudizio. La subordinazione della rilevanza penalistica delle condotte di maltrattamenti al requisito dell'abitualità (ossia al necessario reiterarsi nel tempo di più Pagina 3 di 18 comportamenti lesivi della dignità o dell'integrità personale dei soggetti passivi) e al rispecchiarsi di tale requisito nel dolo dell'autore ha rappresentato un'inevitabile barriera alle condanne dei maltrattanti (11). A ciò si aggiunga che, fino a tempi piuttosto recenti, i confini applicativi del delitto ex art. 572 c.p. sono stati erosi dalla contigua ipotesi di abuso dei mezzi di correzione che consentiva, una volta dimostrato un intento educativo nell'autore delle condotte violente, di affievolire il disvalore di veri e propri maltrattamenti derubricandoli in eccessi educativi, puniti meno severamente o non puniti affatto (12). Se si considerano, dunque, i limiti che il diritto penale si trova inevitabilmente a scontare di fronte al fenomeno degli abusi in famiglia, nonché i problemi legati alle difficoltà di applicazione delle norme penali attraverso il processo, stante la complessiva situazione di ineffettività in cui versa il sistema penale italiano, ben si comprende la scelta compiuta dal legislatore del 2001 che, con due successivi interventi normativi, ha tentato di concentrare l'attenzione sulla reale tutela delle vittime, attraverso misure a carattere provvisorio destinate a realizzare una tempestiva protezione dei soggetti passivi dalle violenze perpetrate in loro danno. 3. Le nuove misure di protezione: a) la misura cautelare penale dell'allontanamento dalla casa familiare. - Nel 2001, nell'arco di una sola settimana, il Parlamento italiano ha varato due provvedimenti legislativi (la legge 28 marzo 2001, n. 149, Nuove norme in materia di adozione, e la legge 4 aprile 2001, n. 154 recante Misure contro la violenza nelle relazioni familiari) contenenti disposizioni volte a fronteggiare il fenomeno degli abusi domestici inequivocabilmente 'victim-oriented', per usare un'espressione cara agli anglosassoni. Invero, pur nelle loro peculiarità, le misure che tali leggi introducono presentano come finalità esclusiva o concorrente con altre quella di apprestare una tutela immediata ai soggetti passivi degli abusi intra-familiari, interrompendo le condotte pregiudizievoli mediante l'allontanamento coattivo del maltrattante (13). In estrema sintesi, è stato creato un 'ventaglio' di soluzioni che vedono coinvolti ora il giudice penale, ora il giudice civile, ora il Tribunale per i minorenni quali organi chiamati, in presenza di determinati presupposti, a realizzare un'immediata, ancorché temporanea, protezione delle vittime dagli abusi. Ci sembra utile tratteggiare, seppur brevemente, i caratteri di tali differenti soluzioni, onde verificarne i rispettivi ambiti di applicabilità e chiarirne i rapporti rispetto alla tutela offerta dal diritto penale sostanziale. In tale disamina è bene prendere le mosse dalla l. n. 154/01, giacché essa contiene il primo espresso riconoscimento del fenomeno della violenza domestica (14). Con l'emblematica epigrafe Misure contro la violenza nelle relazioni familiari(15), la l. n. 154/01 introduce la nuova cautela penale dell'allontanamento della casa familiare (art. 282- Pagina 4 di 18 bis c.p.p.) (16) che, inserita tra l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p.) e il divieto e obbligo di dimora (art. 283 c.p.p.), è destinata a soggiacere, salvo espresse deroghe, alla disciplina prevista dal codice di procedura penale per le misure cautelari personali coercitive (17). I suoi presupposti applicativi vanno, dunque, rintracciati nel c.d. fumus commissi delicti(18), e nel c.d. periculum libertatis, formula nella quale si compendiano le diverse esigenze cautelari contemplate dall'art. 274 c.p.p. È chiaro che l'esigenza in grado di 'sorreggere' l'applicazione di un'ordinanza di allontanamento sarà prevalentemente da ravvisarsi nella volontà di interrompere immediatamente i fatti di violenza, al fine di scongiurare il pericolo di una reiterazione dei reati della stessa specie di quello per cui si procede (art. 274 lett. c) c.p.p.) (19); accanto a tale esigenza, che può dirsi «tipica», non va peraltro esclusa la possibilità di adottare la misura anche sulla base delle ragioni individuate dalla lettera a) dell'art. 274 c.p.p., laddove vi sia il pericolo che intimidazioni o minacce del presunto autore possano indurre le vittime al silenzio o ad una falsa ricostruzione dei fatti (20). Ciò posto, va sottolineato che la tipica destinazione della misura (e delle limitazioni alla libertà personale che essa comporta) alla tutela di soggetti determinati dal pericolo di offese derivanti da una ripetizione delle condotte violente, anch'esse determinate, o quantomeno «selezionate in maniera più precisa rispetto al dettato dell'art. 274, lett. c), c.p.p.» (21) risulta solo in parte armonizzabile con la più generale esigenza di tutela della collettività espressa nella formula codicistica (22). Sembra che, nel pur lodevole intento di stigmatizzare con decisione le varie forme di abuso nelle relazioni familiari e di accordare una effettiva tutela alle vittime, con la creazione di un nuovo rimedio 'ritagliato su misura', il legislatore abbia operato una forzatura dei principi che informano il sistema delle misure cautelari introducendo, contrariamente alla sua stessa dichiarazione d'intenti, una cautela, se non formalmente, sostanzialmente ad hoc per la violenza domestica e alterando, così, in parte la coerenza sistematica del capo II, titolo I, libro IV c.p.p. Ciò è confermato anche dal fatto che, rispetto ai limiti di pena fissati dall'art. 280 c.p.p. per l'applicabilità delle misure cautelari personali coercitive, l'art. 282-bis c.p.p. introduce un'importante deroga consentendo di disporre l'allontanamento anche al di là dei tetti sanzionatori legalmente definiti, laddove si proceda per i delitti tassativamente indicati dal nuovo comma 6 dello stesso articolo (23). Si tratta di fattispecie integranti possibili manifestazioni della violenza intrafamiliare, la cui esplicita indicazione sottende la volontà di ricondurre all'ambito di applicazione della nuova cautela l'eterogenea fenomenologia degli abusi domestici, pur nel mantenimento di tutti gli altri argini garantistici previsti per le misure cautelari coercitive, consentendo, così, di evitare possibili lacune di tutela in relazione a fatti di reato puniti con pene non particolarmente elevate (dunque estranee all'ambito di applicabilità definito dall'art. 280 c.p.p.), ma nei confronti delle quali si rivela assai utile, se non indispensabile, un intervento urgente, idoneo ad inibire la perpetuazione Pagina 5 di 18 degli abusi (24). Quanto ai contenuti, la misura si sostanzia nell'ordine rivolto all'autore delle violenze di lasciare immediatamente la casa familiare - ovvero di non farvi rientro - e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede (autorizzazione che, a sua volta, può prescrivere determinate modalità di visita, consentendo di 'modellare' il provvedimento sulla base delle esigenze del caso concreto). A tale 'contenuto minimo' il giudice può affiancare una più incisiva limitazione della libertà personale del familiare colpito dalla misura chiaramente orientata a soddisfare le concrete esigenze di tutela dell'incolumità delle vittime: in particolare, in presenza di esigenze di tutela di queste ultime o dei loro congiunti, è possibile che il giudice impedisca al familiare violento di avvicinarsi a luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa (in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d'origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia resa necessaria da motivi di lavoro). Tale previsione svela la logica preventiva che ha guidato il legislatore, mosso dalla preoccupazione di apprestare un'effettiva protezione all'offeso, impedendo, di fatto, che condotte violente o intimidatorie possano essere realizzate anche al di fuori della casa familiare (25). Sempre nella medesima direzione della massima protezione dei soggetti passivi si muove, altresì, l'eventuale ordine di pagamento dell'assegno a favore dei familiari del prevenuto che rimangano, a causa dell'applicazione della cautela, privi dei mezzi adeguati (26). 3.1. Segue: b) gli ordini di protezione civilistici. - Al fine di contrastare una realtà criminologica così complessa quale quella degli abusi in famiglia, la l. n. 154/01 ha predisposto un sistema di tutela delle vittime «a doppio binario», ossia articolato sul duplice livello penale e civile, affiancando alla misura cautelare penale i c.d. ordini di protezione, contemplati dai nuovi artt. 342-bis e ter del codice civile (27). Ispirate agli orders of protection, statunitensi(28), tali misure possono essere emanate dal giudice civile in presenza di fatti di violenza intrafamiliare. Va subito precisato che, originariamente, l'operatività del sistema civile piuttosto che di quello penale - dunque la scelta circa l'applicazione delle diverse misure - era fatta dipendere, in estrema sintesi, dalla gravità delle condotte poste in essere, dal momento che l'ordine civilistico, nella sua primigenia configurazione, non avrebbe potuto essere adottato nel caso in cui i fatti di violenza avessero integrato reati perseguibili ex officio. Il significato di questa limitazione era probabilmente da ricondursi alla volontà di riservare al giudice penale le forme più gravi di abuso, sottraendo alla libera determinazione del singolo, e ai condizionamenti che costui poteva subire, la scelta di intervenire (o meno) con la propria istanza per porre fine alle violenze (29). Ora, per effetto della l. del 12 novembre 2003, n. 304 (Modifica all'art. 342-bis del codice Pagina 6 di 18 civile in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari), questo limite non sussiste più, sicché l'ordine di protezione può essere emesso anche in presenza di reati perseguibili d'ufficio (30). Ne consegue che il ricorso a tali provvedimenti presuppone semplicemente il fatto che un componente del nucleo familiare abbia tenuto una condotta gravemente pregiudizievole dell'integrità fisica o morale ovvero della libertà di altro componente del gruppo. In presenza di tale presupposto, l'ordine può essere emesso dal tribunale civile in composizione monocratica, su istanza della persona in danno della quale è stata posta in essere la condotta di abuso, anche senza l'assistenza di un difensore (31). Quanto alle possibili prescrizioni, l'ordine di protezione si compone di un nucleo prescrittivo minimo (l'ingiunzione al maltrattante affinché cessi la condotta violenta e il contestuale ordine, rivolto al medesimo, di allontanarsi dalla casa familiare) e di altri contenuti solo eventuali, in ordine ai quali il giudice gode di un ampio margine di discrezionalità (32). Tale discrezionalità può considerarsi espressiva del privilegio che il legislatore ha inteso accordare alla effettiva funzionalità della misura a discapito di un rigore garantistico che, forse, le limitazioni - anche consistenti - alla libertà personale connesse all'ordine di protezione, di fatto, avrebbero reclamato. Emerge, così, il prevalente orientamento alla vittima che caratterizza l'intera normativa e che trova ulteriore espressione e conferma nella disciplina processuale dettata dal nuovo art. 736-bis c.p.c., agile ed improntata ad istanze di semplificazione e deformalizzazione, che affiorano, soprattutto, nella libertà del giudice nella conduzione dell'istruttoria rivolta all'esame del ricorso e all'emanazione del provvedimento (33), nonché nella possibilità dell'adozione della misura in via d'urgenza, inaudita altera parte(34). La scelta di un iter procedurale snello e veloce - benché criticabile, come detto, sotto il profilo della perdita delle garanzie nei confronti del destinatario dell'ordine - si inquadra dunque nella prospettiva della più ampia protezione dell'offeso, e propone, accanto ad una rimozione degli ostacoli che possono frenare l'emersione del fenomeno (35), la tempestività e l'effettività della protezione delle vittime quali 'valori guida' nella lotta e nella prevenzione degli abusi familiari (36). Ad ulteriore rafforzamento degli scopi di tutela perseguiti, l'art. 6 l. n. 154/01 stabilisce, inoltre, che le violazioni delle prescrizioni imposte dal giudice nell'ordine di protezione integrano un illecito penale, determinando l'applicazione della sanzione prevista per il reato di cui all'art. 388 c.p. (Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) (37). Le misure introdotte dalla l. del 4 aprile 2001 seguono, a distanza di pochi giorni, la modifica recata agli artt. 330 e 333 c.c. dall'art. 37 l. n. 149/01, che ha inserito, sia nell'ambito delle pronunce di decadenza dalla potestà genitoriale, sia in caso di condotte di abuso o maltrattamento che non diano comunque luogo alla decadenza da tale potestà, l'allontanamento del genitore (o del convivente) maltrattante o abusante quale alternativa all'originario (esclusivo) allontanamento del minore. Pagina 7 di 18 Tale riforma, seppur apparentemente esigua, assume in realtà una considerevole portata ove si pensi che, in precedenza, l'unico strumento disponibile per sottrarre il figlio al 'cattivo esercizio' della potestà genitoriale e al pregiudizio che da esso poteva derivare era rappresentato da un provvedimento in molti casi altrettanto pregiudizievole per il minore, che lo costringeva a lasciare la casa e l'ambiente nel quale era cresciuto, nonché i familiari diversi dal maltrattante, con incalcolabili costi di sofferenza e inevitabili effetti traumatici su una personalità ancora in formazione (38). La nuova previsione degli artt. 330 e 333 c.c. dà, finalmente, veste formale, ad un'esigenza che già si era manifestata nella prassi applicativa e che aveva condotto ad interpretazioni piuttosto 'estensive' dei contenuti dei medesimi articoli nelle loro originarie formulazioni (39): l'esigenza di ridurre i rischi di ulteriore vittimizzazione del minore, cui si collegava la conseguente necessità di concentrare gli sforzi preventivi - ossia orientati alla protezione della vittima da ulteriori abusi o maltrattamenti - sulle limitazioni della sfera di libertà del maltrattante, anziché dell'offeso. L'autorità competente ad emettere il provvedimento di allontanamento è, in questo caso, il Tribunale per i Minorenni che, come è noto, nella materia del controllo ex post sull'esercizio della potestà genitoriale detiene un monopolio pressoché assoluto. A questo proposito, peraltro, va subito osservato che la modifica apportata agli artt. 330 e 333 c.c. ha introdotto, accanto al genitore, la figura del convivente quale possibile destinatario dell'ordine: tale estensione 'soggettiva' determina, a ben vedere, una corrispondente estensione delle competenze del Tribunale per i Minorenni che cessa di essere esclusivamente organo titolare di una funzione di controllo sulla potestà del genitore, per acquisire la titolarità di un potere, seppure in senso lato, sanzionatorio di condotte pregiudizievoli poste in essere da chi, tuttavia, non esercita nei confronti del minore alcuna potestà. Quanto ai presupposti applicativi, il riferimento alle condotte di abuso o di maltrattamento contenuto negli artt. 330 e 333 c.c. va interpretato alla luce del più generico richiamo all'effetto «comunque pregiudizievole» dei comportamenti del genitore sul figlio. Si intende sottolineare come, a nostro avviso, per l'adozione del provvedimento non si renda necessario accertare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi delle fattispecie penali astrattamente riconducibili a tali condotte (in particolare, fra gli altri, dei delitti previsti dagli artt. 571 e 572 c.p.), ma sia sufficiente, invece, una più generale verifica dei possibili pregiudizi che esse sono in grado di arrecare alla persona dell'offeso. Nell'attuare la modifica degli artt. 330 e 333 c.c., la l. n. 149/01 non ha inserito alcuna specificazione né in ordine ai contenuti del provvedimento di allontanamento, né in ordine alla durata. Quanto a quest'ultimo aspetto, la mancata indicazione di un limite temporale predeterminato o determinabile, presente invece negli istituti più sopra esaminati (40), Pagina 8 di 18 sembrerebbe individuare nel provvedimento del tribunale per i minorenni la misura più idonea ad assecondare le reali esigenze di protezione delle vittime, attraverso una costante verifica circa la permanenza (o il venire meno) di una situazione di pericolo per il minore e la conseguente proroga (o revoca) della limitazione della libertà del genitore o convivente. In realtà, la mancata definizione di limiti di durata viene compensata dall'assenza di indicazioni normative circa la possibilità (e le modalità) di un adempimento coattivo dell'allontanamento: dato, questo, che rischia di ridurre drasticamente la potenziale efficacia del provvedimento. A ciò si aggiunga che, sebbene i contenuti della misura possano essere arricchiti da eventuali ulteriori prescrizioni, grazie al richiamo ai «provvedimenti convenienti» di cui all'art. 333 c.c., non sembra possibile, in mancanza di espresse statuizioni, estendere a questo istituto la tutela economica prevista, invece, dall'ordine di protezione e dalla cautela penale. 4. Verso una tutela 'integrata' del minore vittima di violenze in famiglia. - La disamina appena condotta ha consentito di tratteggiare il quadro complessivo degli strumenti messi a disposizione dall'ordinamento italiano; quadro che, seppur criticabile dal punto di vista della tenuta sistematica - stante l'evidente scarso coordinamento tra i diversi organi e le diverse competenze, nonché i rischi di sovrapposizione (ed eccessiva dilatazione nel tempo) dei provvedimenti limitativi della libertà del familiare maltrattante (41) - rivela una precisa strategia politico-criminale in ordine alla tutela del minore vittima di abusi in famiglia. L'esclusiva concentrazione del legislatore su risposte di tipo immediato, benché provvisorio, esprime, a nostro avviso, l'esigenza di 'agire su più fronti', nel tentativo di arginare una realtà criminologica diffusa e complessa ponendosi come obiettivo principale la protezione dei soggetti passivi. Ma se questo è lo scopo prioritario, è evidente che il solo diritto penale - così com'è - non basta più. V'è dunque la consapevolezza di dovere attivare altre risorse, al di fuori della materia dei delitti e delle pene. E a testimoniare tale presa d'atto soccorre, innanzi tutto, paradossalmente, proprio la stessa creazione di una cautela penale ad hoc. Il fatto che la l. n. 154/01 abbia esordito con l'introduzione di una nuova misura cautelare penale per casi di violenza in famiglia - oltre a denotare l'innegabile volontà di rendere ancora più decisa la stigmatizzazione di tale fenomeno - esprime la presa d'atto dell'incapacità del diritto penale esistente non solo di «servire al reo», ma anche e soprattutto, di «servire alle vittime»: si è agito attraverso lo strumento processuale (cautelare) onde assicurare tempestivamente, sebbene temporaneamente, una protezione ad una vittima che, altrimenti, sarebbe potuta rimanere, almeno nella più parte dei casi, sprovvista di tutela. Ciò, peraltro, merita una breve riflessione. Se si accosta questa protezione cautelare del minore vittima alle caratteristiche del sistema italiano della giustizia minorile, in particolare Pagina 9 di 18 agli istituti introdotti dal d.P.R. n. 448/88, non sembra eccessivamente forzato intravedere una sorta di 'procedimentalizzazione' della tutela del minorenne che, in qualità di soggetto attivo o di soggetto passivo del reato, si trovi ad entrare nel sistema penale. Difatti, con riguardo al 'minore autore', non si è pensato di creare un arsenale sanzionatorio ad hoc, né un catalogo di fattispecie penali distinto da quello degli adulti, ma si è voluto diversificare l'approccio esclusivamente attraverso istituti di diritto processuale, aventi innegabili e importanti riflessi di diritto sostanziale (42); con riguardo al 'minore vittima', si è cercato di anticipare una tutela che tarderebbe troppo a realizzarsi (o che mai si realizzerebbe) agendo sul piano delle cautele penali (43). Questo progressivo orientamento verso soluzioni processuali nel perseguimento di finalità di tipo sostanziale desta qualche perplessità giacché, in relazione alla violenza sui minori, esso evidenzia una sorta di resistenza da parte del legislatore ad affrontare il capitolo del minore vittima. Invero, è divenuto oramai una costante, nelle affermazioni della dottrina e della giurisprudenza più sensibili, l'invito rivolto al Parlamento ad uscire dall'immobilismo che da troppo tempo lo caratterizza e a riformare, una buona volta, l'intero titolo dei delitti contro la famiglia (44), operando, attraverso uno sforzo 'sistematico' che, ad oggi, non sembra avere contraddistinto gli interventi normativi in materia, un effettivo coordinamento tra tutte le disposizioni che mirano ad accordare un'efficace protezione alla persona offesa minore di età (45). E proprio tale 'colpevole inerzia' in materia penale, innescando una sempre maggiore sfiducia nella materia dei delitti e delle pene, ha determinato un'espansione degli strumenti civilistici; ci si riferisce, ovviamente, all'estensione degli ordini di protezione (sia ex artt. 342-bis e 342-ter c.c. sia ex artt. 330, 330 c.c.) a tutte le condotte violente, a prescindere dal regime di procedibilità dei reati eventualmente ad esse corrispondenti. Accolta una prospettiva 'vittimocentrica', il legislatore ha inteso amplificare le potenzialità di misure che già presentano caratteristiche di maggiore flessibilità rispetto agli esistenti strumenti di diritto penale: la mancata tipizzazione 'tassativa' delle condotte che possono legittimare la richiesta di allontanamento della persona maltrattante (si parla di condotte di un coniuge o convivente che arrecano pregiudizio all'integrità fisica o morale o alla libertà dell'altro coniuge o convivente; oppure si parla di abuso o maltrattamento del minore) permette, infatti, di piegare le misure civilistiche ad un dato criminologico che sovente, come si è già detto, non trova una puntuale corrispondenza sul piano normativo. La stessa semplificazione delle modalità d'accesso a tali provvedimenti, unitamente al loro essere 'indipendenti' da ulteriori eventuali giudizi di cognizione, li rende indubbiamente strumenti privilegiati nella tutela delle vittime della violenza: preferibili, almeno in prima battuta, ad un intervento penale spesso intempestivo e inefficace che ad essi, dunque, cede il passo. A ciò si aggiunga la minore carica stigmatizzante che il diritto civile reca con sé, che consente di superare la ben nota riluttanza delle vittime alla denuncia penale, favorendo, in Pagina 10 di 18 ultima analisi, anche una graduale emersione del campo oscuro (46). Sembra, dunque, che nella materia degli abusi intrafamiliari all'infanzia non si possa più prescindere da una tutela 'integrata', che affianchi strumenti efficaci di protezione degli offesi al 'tradizionale' intervento del sistema penale. Intervento del quale, si badi, nonostante i limiti (e nonostante l'innegabile esigenza di una riforma delle fattispecie codicistiche arretrate), non si potrà mai completamente fare a meno, dal momento che solo il jus criminale può assolvere, proprio grazie alla pena, quella funzione di orientamento culturale capace di esprimere la netta e decisa condanna dell'ordinamento rispetto ad un fenomeno esecrabile quale quello della violenza sui minori in seno alla famiglia. Note: (1) KEMPE-Silverman-Steele-Drogmueller-Silver, The Battered Child Syndrome, in J.A.M.A., 1962, p. 181; KEMPE (a cura di), Child Abused and Neglect: the Family and the Community, Cambridge (Mass), 1976. Per una ampia ricostruzione dei diversi studi che in ambito internazionale e nazionale hanno avuto ad oggetto la Sindrome del bambino maltrattato, cfr. Correra-Martucci, La violenza nella famiglia. La sindrome del bambino maltrattato, Cedam, 1988, p. 27 ss. (2) MORO, Erode tra di noi, Giuffré, 1988, passim.+ (3) CASTELLANI, Gli interventi del Tribunale per i minorenni nelle situazioni di abuso sessuale sui minori: esigenze di coordinamento con il procedimento penale e con il percorso di sostegno alle vittime, in Minorigiustizia, 2001, 1-2, p. 245. (4) Per una rassegna delle Convenzioni internazionali in materia minorile, cfr. MANGIONE, La tutela penale del minore da violenze, abusi e sfruttamento a sfondo sessuale, in Pennisi(a cura di), La giustizia penale minorile: formazione, devianza, diritto e processo, Giuffrè, 2004; v., altresì, Saulle, Codice internazionale dei diritti del minore, Jovene, 1992. In particolare, in merito alla Convenzione Onu del 1989, v. MORO,Il bambino è un cittadino. Conquiste di libertà e itinerari formativi: la Convenzione Onu e la sua attuazione, Giuffrè, 1991. (5) L'immagine è derivata da FORTI, L'immane concretezza, Giuffrè, 2001, p. 103 s. (6) In merito allo 'stigma penale' si vedano le riflessioni di Larizza, Cave a signatis. Stigmatizzazione e iscrizione della condanna nel casellario giudiziale, in Dignitas, 2004, p. 24 ss. (7) Sul ruolo della pena come 'fattore di crisi familiare', cfr. Riondato, «Famiglia» nel diritto penale italiano, in Zatti(a cura di), Trattato di diritto di famiglia, vol. IV, Giuffrè, 2002, p. 27. (8) In generale, sull'ineffettività del processo penale v. Aa.Vv., Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena (Atti del XXIII Convegno di studio E. de Nicola - Gallipoli, 27, 29 ottobre 2000), a cura del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, Giuffrè, 2002. (9) Cfr., in proposito, FORTI, L'immane concretezza, cit., p. 268 ss. Pagina 11 di 18 (10) Sull'impostazione pubblicistica dei compilatori del 1930 e sul suo riflettersi nel titolo XI del codice penale cfr. Fierro Cenderelli, Profili penale del nuovo regime dei rapporti familiari, Cedam, 1984, p. 1 ss. (11) GOVERNATORI, La violenza domestica nella legislazione italiana: lo stato della questione, in Aa.Vv., La violenza domestica. Un fenomeno sommerso, a cura dell'Admi Associazione Donne Magistrato Italiane, Giuffrè, 1994, p. 57. Va precisato che la giurisprudenza di legittimità ha mostrato, negli anni più recenti, la tendenza a dilatare la portata applicativa dell'art. 572 c.p., da un lato, ampliando il ventaglio delle condotte riconducibili alla nozione di maltrattamento (Cfr., ad es., Sez. III, 15 marzo 1985, Carangelo, in questa rivista, 1986, p. 1088; Sez. VI, 13 ottobre 1989, Lavera, ivi, 1991, p. 1571; Sez. VI, 1° febbraio 1990, Giacomelli, ivi, 1992, p. 309; Sez. V, 8 giugno 1983, Meduri, ivi, 1985, p. 358), dall'altro riconoscendo l'abitualità anche laddove fosse intercorso un apprezzabile lasso di tempo tra i diversi episodi di abuso (Sez. VI, 17 aprile 1998, Visintainer, in Giust. pen., 1999, II, c. 356). (12) In merito ai rapporti tra il delitto di maltrattamenti e il delitto di abuso dei mezzi di correzione, v. SILVANI, Sui rapporti tra il delitto di maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione, in questa rivista, 2003, p. 1844 ss. (13) Come si vedrà, l'allontanamento dell'autore degli abusi è un nucleo prescrittivo 'minimo' comune a tutti gli 'ordini di protezione', comprendendo in questa definizione non solo gli ordini civilistici ora previsti dagli artt. 342-bis e 342-ter c.c., ma anche la cautela penale dell'allontanamento dalla casa familiare ex art. 282-bis c.p.p. nonché il provvedimento del genitore (o convivente) maltrattante o abusante ora contemplato dai novellati artt. 330 e 333 c.c. (14) Circa i caratteri della violenza domestica sia consentito rinviare al nostro La mediazione nei casi di violenza domestica: profili teorici e spazi applicativi, in Mannozzi(a cura di), Medicazione e diritto penale. Dalla punizione del reo alla composizione con la vittima, Giuffrè, 2004, p. 121 ss., e bibliografia ivi citata; v., altresì, Cianci, Gli ordini di protezione familiare, Giuffrè, 2003, p. 7 ss. (15) Per una complessiva analisi della legge, v. SILVANI, L. 28 aprile 2001, n. 154 - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, in Leg. pen., 2001, p. 677; Abram-Acierno, Le violenze domestiche trovano una risposta normativa, in Quest. giust., 2001, p. 222 ss; Figone, La legge sulla violenza domestica, in Fam. e dir., 2001, p. 355 ss.; Bricchetti, Per superare le difficoltà dei nuclei indigenti al giudice penale l'arma dell'assegno alle vittime, in Guida al dir., 2001, p. 20 ss.; DOSI, La violenza domestica non abita più qui, in Dir. e giust., 2001, p. 10 ss.; Ranzatto, Misure a tutela delle vittime delle violenze in famiglia, in Dir. pen. proc., 2001, p. 1332 ss.; DE MARZO, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, in Fam. e dir., 2002, p. 547 ss. (16) Sulla nuova misura cautelare si veda, da ultimo, PERONI, La nuova misura cautelare nei fenomeni di violenza intrafamiliare, in Dir. pen. e proc., 2003, p. 868 ss.; cfr., altresì, Pistorelli,Misure contro la violenza nelle relazioni familiari: allontanamento dalla casa familiare; pagamento di un assegno, in Zatti (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, Pagina 12 di 18 Giuffrè, 2002, vol. IV, p. 87 ss. Per alcune riflessioni in merito ad una delle prime applicazioni giurisprudenziali della misura sia consentito rinviare a SILVANI, Brevi note sull'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), nota a Trib. Pavia, ord. 20 marzo 2003, in Foro ambr., 2003, p. 180 ss. (17) Quanto all'organo competente a disporre la misura (e a provvedere in ordine alle vicende modificative, o alla revoca), esso è individuato nel giudice che procede (ossia il giudice competente all'esercizio della giurisdizione nelle varie fasi del procedimento) (art. 279 c.p.p.); tale giudice provvederà, ovviamente, su richiesta del pubblico ministero ex art. 291 comma 1 c.p.p. (18) Ossia nella sussistenza a carico del destinatario di gravi indizi di colpevolezza (che andranno valutati secondo il complesso di regole individuate dall'art. 273, comma 1-bis c.p.p.), cui va raccordato, altresì, l'accertamento negativo relativamente alla sussistenza di cause di giustificazione o di non punibilità o di estinzione del reato o della pena, ex art. 273 comma 2 c.p.p. (19) Va sottolineato come in giurisprudenza sia stato affermato il principio per cui la misura «può essere applicata non solo per fare cessare una convivenza a rischio, ma anche per impedire che riprenda, contro la volontà della persona offesa, una convivenza temporaneamente cessata». Così, Trib. Roma, 25 giugno 2002, in Giur. merito, 2002, p. 1290. (20) Tale esigenza è stata, ad esempio, ritenuta sussistente dal Gip di La Spezia che, nell'emettere il provvedimento di cui all'art. 282-bis c.p.p., ha ravvisato la sussistenza di un concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità delle prove riguardanti il procedimento in corso, «pericolo rilevabile nella necessità di acquisire le genuine dichiarazioni delle parti lese in assenza di qualsiasi pericolo di condizionamento derivante dalla convivenza dei dichiaranti con l'autore delle condotte criminose, tenuto conto della personalità violenta del medesimo». Cfr. Trib. La Spezia, 3 ottobre 2002, in DI MARTINO, Violenze familiari. La tutela civile e penale nella legge n. 154/2001, Giuffrè, 2003, p. 157 s. (21) Pistorelli,op. cit., p. 90. (22) Sottolinea i rischi di una sostanziale elusione delle esigenze di tutela della collettività insiti nella formula utilizzata nell'art. 274, lett. c) c.p.p. Marzaduri, (voce) Misure cautelari personali (principi generali e disciplina), in Dig. d. pen., vol. VII, Utet, 1993, p. 72. Addirittura, tra i primi commentatori della legge, non è mancata l'opinione - forse provocatoria - di chi ha intravisto nell'allontanamento dalla casa familiare una vera e propria misura di prevenzione 'travestita' da cautela penale e ne ha in tal modo sottolineato l'eterogeneità rispetto al catalogo delle misure cautelari personali coercitive tipizzate nel codice di rito. In tal senso Riondato, «Famiglia» nel diritto penale italiano, cit., p. 33. (23) Si tratta, in particolare, dei delitti di cui agli artt. 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 571 (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina), 600-bis (prostituzione minorile), 600-ter (pornografia minorile), 600-quater (detenzione di materiale pornografico), 609-bis e ter (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minore), 609- Pagina 13 di 18 quinquies (corruzione di minore), 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale. (24) Va evidenziato che la specifica e tassativa elencazione delle fattispecie compare unicamente nell'ultima fase della vicenda progettuale, segnando un'inversione di rotta rispetto alle scelte originarie dei redattori che, in precedenza, avevano giudicato inopportuna l'indicazione delle tipologie dei delitti per i quali la misura potesse essere disposta, con la conseguente creazione di una cautela ad hoc. Questo mutamento, intervenuto nel corso dell'iter legislativo, rivela la progressiva attenzione del legislatore alle esigenze che la prassi ha posto in luce nella materia degli abusi familiari, e, nel contempo, la volontà di contemperare le peculiarità del fenomeno con il rigore dei limiti applicativi delle misure coercitive. Ne è derivata, quale soluzione ibrida, una cautela che, pur sottostando alla generale ed articolata disciplina dettata per le misure cautelari coercitive, è destinata a costituire lo strumento privilegiato, benché non esclusivo, per fronteggiare la violenza nelle relazioni domestiche. (25) In giurisprudenza è stato efficacemente affermato che queste ulteriori prescrizioni adempiono al preciso scopo di «costituire una sorta di «schermo protettivo» indispensabile per un'ordinata ripresa della vita familiare del nucleo cosiddetto «superstite»» (cfr. Trib. Palermo, 25 giugno 2001, in Giur. merito, 2002, II, p. 1047). (26) L'art. 282-bis comma 3 c.p.p. dispone che, su richiesta del pubblico ministero, il giudice, nel disporre l'allontanamento, può ingiungere il pagamento di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della cautela, rimangano prive dei mezzi adeguati, determinando la misura dell'assegno sulla base delle circostanze e dei redditi dell'obbligato, e stabilendo le modalità e i termini di versamento. Il giudice può ordinare, se necessario, che l'assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell'obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante; l'ordine ha efficacia di titolo esecutivo. La previsione di questo contenuto accessorio non è andata esente da critiche. L'ordine di pagamento dell'assegno, infatti, oltre a perdere efficacia in caso di revoca o cessazione della misura principale cui esso accede, perde altresì efficacia nel momento in cui il giudice civile adotta uno dei provvedimenti economico-patrimoniali di cui all'art. 708 c.p.c. Tale misura sembra allora assumere natura anticipatoria dei provvedimenti del giudice civile. Si è parlato in proposito di un uso improprio della giurisdizione penale, essendo il provvedimento slegato dai presupposti cautelari che giustificano l'imposizione di prescrizioni all'imputato e tendente a soddisfare esigenze relative alla situazione economica della famiglia della persona colpita dalla misura cautelare - che il giudice non è in grado di valutare compiutamente, essendo privo degli strumenti istruttori adeguati. (27) In generale, sugli ordini di protezione civilistici, v. Auletta, L'azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari (art. 736-bis c.p.c.), in Riv. dir. proc., 2001, p. 1045 ss.; Auletta, Misure (civili) contro la violenza nelle relazioni familiari: ipotesi ricostruttive della legge n. 154/2001, in Fam. e dir., 2003, p. 294. Pagina 14 di 18 (28) Il modello di riferimento è rappresentato dall'Order of Protection statunitense, presente con caratteri pressoché omogenei nelle legislazioni di numerosi Stati dell'Unione; si tratta di un provvedimento adottabile dal giudice civile in presenza di condotte qualificabili come abusi familiari - la gamma di comportamenti è molto vasta: si va dalle percosse alle minacce (harrassment) e molestie (stalking), fino alla causazione di stress emotivo (emotional distress) - e sulla base di una procedura informale avviabile da un'istanza che la parte può proporre personalmente, senza l'assistenza necessaria di una difensore. I contenuti inibitori dell'Order of Protection possono ricomprendere, accanto all'immancabile ordine di interrompere le condotte violente, l'allontanamento dell'autore degli abusi dalla casa familiare, il divieto di contatti con la vittima e con gli altri membri della famiglia, il divieto di utilizzo di beni accessori, la sospensione della potestà genitoriale con l'affidamento della prole all'altro coniuge, nonché prescrizioni a carattere patrimoniale. Possono comparire, inoltre, contenuti assertivi generalmente finalizzati al recupero del familiare violento, specie se dedito all'alcool o al consumo di droghe. Cfr., in proposito, Paolini,Un utile strumento processuale contro la violenza domestica: l'ordine di protezione, in Quest giust., 1993, p. 672 ss.; Block, A Civil Remedy to Domestic Violence in the U.S., in Aa.Vv., Violenza domestica: un fenomeno sommerso, cit., p. 224 ss. (29) Sul punto si è pronunciata la stessa Relazione al d.d.l. n. S-2675 (dal quale la l. n. 154/01 ha avuto origine) sostenendo che la previsione del rimedio civilistico anche per ipotesi considerate gravi (sulla base del regime di procedibilità) avrebbe comportato uno stravolgimento del sistema, assegnando al giudice civile «compiti che spettano al giudice penale, senza peraltro prevedere quelle garanzie proprie del processo penale». (30) Le rationes che hanno sorretto questa riforma, espresse dagli stessi compilatori della legge nella Relazione accompagnatoria alla proposta di legge n. C-1495 (ad iniziativa dell'On Lucidi et alt.), possono essere riassunte nel timore che proprio situazioni di gravissimo pericolo per la persona offesa rimanessero prive di uno strumento idoneo ad apprestare una tutela immediata della vittima, e nella considerazione della «evidente maggiore resistenza» a ricorrere al sistema penale per la denuncia delle violenze endofamiliari. Per un primo commento alla legge di riforma, cfr. Pittaro, Limitata, ma incisiva modifica alla legge sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2004, p. 5 ss. (31) Il comma 1 dell'art. 736-bis c.p.c. dispone che «nei casi di cui all'art. 342-bis c.c., l'istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica». (32) Il giudice può disporre, ove occorra: l'intimazione all'autore delle violenze di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima (e, in particolare, al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine o di altri prossimi congiunti o di altre persone, nonché ai luoghi di istruzione dei figli; salvo che il maltrattante non debba frequentare tali luoghi per esigenze di lavoro); l'intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare, nonché di «associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e Pagina 15 di 18 l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati» (sic!); infine, il pagamento periodico, a carico del familiare violento, di un assegno a favore dei conviventi che per effetto dell'ordine di protezione rimangano privi dei mezzi adeguati (art. 342-ter c.c., commi 1 e 2). Nei commi successivi, il medesimo articolo stabilisce inoltre: (a) che la durata del provvedimento (da fissarsi a discrezione del giudice) non possa essere superiore a sei mesi e possa essere prorogata, su istanza di parte, «soltanto se ricorrano gravi motivi e per il tempo strettamente necessario» (comma 3); (b) che, ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione del decreto, il giudice possa emanare «i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica» (art. 342-ter comma 4 c.c.). (33) Il comma 2 dell'art. 736-bis c.p.c. prevede che il giudice cui è affidata la trattazione della causa, sentite le parti, proceda nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provveda con decreto motivato immediatamente esecutivo. (34) In base al comma 3 dell'art. 736-bis c.p.c., in caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l'ordine, fissando l'udienza di comparizione delle parti avanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. (35) Va precisato che l'art. 4 l. n. 154/01 ha inserito l'ordine di protezione tra le materie oggetto delle cause civili che i tribunali e le corti di appello debbono trattare anche durante il periodo feriale dei magistrati. (36) In questo senso si muove la disposizione di cui all'ultimo comma del nuovo art. 736bis c.p.c., in base alla quale il reclamo contro il decreto che dispone l'ordine di protezione non ne sospende l'esecutività. (37) In merito a questa disposizione e alla discrasia che essa introduce in caso di violazione di prescrizioni (di analogo contenuto) disposte contestualmente ad un 'ordine' di allontanamento, a seconda della natura civile o penale della misura applicata, v. Pittaro, Le misure contro la violenza nelle relazioni familiari: profili di diritto penale sostanziale, in Fam. e dir., 2003, p. 383 ss. Va detto che il richiamo quoad poenam al delitto di cui all'art. 388 c.p. rappresenta l'unico 'rimedio' di diritto penale sostanziale previsto dalle norme contro la violenza nelle relazioni familiari. Questo, a nostro avviso, rivela la sfiducia - o, piuttosto, la consapevolezza dei limiti insiti - nel diritto penale sostantivo da parte del legislatore; sfiducia, del resto, confermata, come si dirà più avanti, sia dalla scelta di intervenire in ambito penalistico solo attraverso il ricorso alla tutela cautelare, sia dall'allargamento dello spazio di operatività dell'ordine di protezione civilistico, ora in grado di 'coprire' anche situazioni di violenza caratterizzate da una certa gravità. Segno, questo, di una sorta di arretramento del sistema penale (quanto meno in prima battuta) a vantaggio del sistema civile, sulle cui ragioni si è già in parte detto (v. retro § 2) e in parte si avrà modo di soffermarsi fra breve (§ 4). Pagina 16 di 18 (38) Sulla portata e i contenuti della riforma, v. Vercellone, Il controllo giudiziario sull'esercizio della potestà, in Zatti (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, vol. II, Giuffrè, 2002, p. 1059 ss.; Tommaseo, Abuso della potestà e allontanamento coattivo dalla casa familiare, in Fam. e dir., 2002, p. 39; Cianci, Gli ordini di protezione, cit., p. 174 ss. (39) Cfr. in proposito Trib. Min. Roma, 4 dicembre 1996, in Minorigiustizia, 1998, 3, p. 130, con nota di LENTI, Un allontanamento alla rovescia dalla residenza familiare, ivi, p. 132, decisione con la quale i giudici, in presenza di sospetto incesto tra padre e figlia minorenne, contestualmente al provvedimento sospensivo della potestà avevano disposto l'allontanamento del genitore. (40) La cautela penale risulta sottoposta alla disciplina dei termini di durata massima previsti per le misure diverse dalla custodia cautelare, ex art. 308 c.p.p.; circa la durata degli ordini di protezione v. retro nt. 32. (41) In particolare, sui problematici rapporti tra ordini di protezione e allontanamento del genitore maltrattante o abusante, v. Tricomi, Violenza in famiglia, Tribunale per i minorenni. Rebus sulle competenze, in Guida dir., 2001, 18, p. 26; Occhiogrosso,La complessità della risposta all'abuso sui minori, in Minorgiustizia, 2001, 2, p. 5 ss; SACCHETTI, Allontanamento dell'autore della violenza dalla casa familiare: un problema aperto, in Fam. e dir., 2001, p. 664 ss; CASTELLANI, Gli interventi del Tribunale per i minorenni nelle situazioni di abuso sessuale sui minori, cit., p. 248 ss. (42) Per quanto concerne, in particolare, il 'minore autore' di reato, v. l'approfondita ed esauriente analisi di Larizza, Le nuove risposte istituzionali alla criminalità minorile, in Zatti (a cura di), Trattato di diritto di famiglia, vol. V, Giuffrè, 2002, p. 177 ss.; nonché Larizza,Tendenze attuali del diritto penale minorile,Giustizia minore?La tutela giurisdizionale dei minori e dei giovani adulti, Cedam, 2004, p. 35 ss. (43) In merito a tale tendenza sia consentito rinviare a SILVANI, La tutela penale del minore vittima di reato nell'ordinamento italiano, Relazione presentata al convegno internazionale dal titolo Direito da Infância da Juventude e do Envelhecimento, svoltosi a Coimbra nei giorni 2-3 aprile 2004 (in corso di pubblicazione negli Atti del convegno). (44) Sul punto v. Pisapia G. e G.D., voce «Famiglia (delitti contro la)», in Dig. d. pen., Utet, 1993, p. 128; CONTENTO, Riforma del diritto di famiglia e disciplina penalistica dei rapporti familiari, in Dir. fam. e pers., 1979, p. 167 ss. In generale, per una puntuale disamina delle fattispecie contenute nel titolo XI del codice penale, si vedano i contributi di Borsari, Cusumano, Meneghello, Pistorelli, PALERMO Fabbris, STRANOLigato, nel Trattato Zatti, IV, p. 299 ss. (45) Sottolinea tale carenza sistematica MORO, Manuale di diritto minorile, 3ª ed., Zanichelli, 2002, p. 375. (46) La prassi applicativa in materia di ordini di protezione e di allontanamento cautelare offre una prima, seppur parziale conferma della preferenza accordata dalle vittime agli strumenti offerti dal diritto civile nonché della maggiore idoneità di tali strumenti a contribuire all'emersione del fenomeno della violenza domestica; sul punto si rinvia alle considerazioni da noi svolte a seguito dell'analisi della giurisprudenza successiva Pagina 17 di 18 all'entrata in vigore delle leggi n. 149/01 e n. 154/01 (cfr. SILVANI, Gli ordini di protezione. La tutela del minore dagli abusi domestici, in Giustizia minore? La tutela giurisdizionale dei giovani adulti, cit., p. 121 ss). DI PISA UNIV. © Copyright Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A. 2022 Pagina 18 di 18 07/02/2022