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Ilpenalista.it, fasc., 28 GENNAIO 2019, pag.

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NOTE E DOTTRINA
Violenza domestica. La Corte costituzionale rimedia a una grave incoerenza di
disciplina e rafforza la tutela della vittima
Fonte: Ilpenalista.it, fasc., 28 GENNAIO 2019, pag.
Nota a: Corte Costituzionale , 14 dicembre 2018, n.236
Autori: Valeria Crudo
Il caso
Con ordinanza del 7 marzo 2017 (iscritta al n. 91 del registro ordinanze 2017 e pubblicata
nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2017), Il
Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Teramo sollevava, in riferimento agli
articoli 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera a),
del d.lgs.274/2000 (disciplinante la competenza del Giudice di pace) come modificato
dall'art. 2, comma 4-bis, del d.l.93/2013 (convertito, con modificazioni, nella l. 119/2013),
nella parte in cui per il delitto previsto dall'art. 582 c.p. – e, nello specifico, nelle ipotesi di
lesioni lievissime di cui al secondo comma, perseguibili a querela di parte – non esclude la
competenza del giudice di pace anche per i fatti aggravati ai sensi del 577, comma 1, nr. 1)
c.p., commessi contro il discendente e segnatamente, come nel caso oggetto di giudizio,
nei confronti del figlio naturale (da ritenersi tale quello nato sia in costanza di matrimonio
sia al di fuori), così come invece previsto per i fatti commessi contro il discendente
adottivo.
Nella fattispecie, all'udienza camerale fissata ai sensi degli artt. 409, comma 2, e 411
c.p.p., il Gip remittente era chiamato a pronunciarsi in ordine al reato di lesioni volontarie di
un genitore ai danni del figlio naturale con durata della malattia non superiore a giorni
venti; fattispecie rientrante, quindi, nella previsione del secondo comma dell'art. 582 c.p.,
aggravato ai sensi dell'art. 585, comma 1, c.p. per la sussistenza della circostanza
aggravante prevista dal primo comma, n. 1), dell'art. 577 c.p., in quanto fatto commesso in
danno del discendente.
Verificata la condizione di procedibilità per avere la persona offesa tempestivamente
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proposto atto di querela, il Giudicante constatava preliminarmente, ai sensi dell'art. 22
c.p.p., che in considerazione dell'imputazione suddetta la competenza a pronunciarsi
sarebbe spettata al giudice di pace, in virtù del disposto dell'art. 4, comma 1,
d.lgs.274/2000.
Pertanto, sollevava questione di legittimità costituzionale di siffatto articolo nei termini di
seguito indicati.
Avuto riguardo al reato di lesioni volontarie lievissime (ex art. 582, comma 2, c.p.), il
remittente lamentava l'irragionevole previsione di un diverso criterio di attribuzione della
competenza per materia tra giudice di pace e tribunale ordinario, in base al fatto che la
parte offesa dal reato fosse il figlio naturale piuttosto che il figlio adottivo, con conseguente
violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
E invero, la modifica dell'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs.274/2000 a opera della legge di
conversione n. 119/2013, già citata, ha comportato che ‘soltanto' le condotte consumate
dal genitore nei confronti del figlio adottivo, ab origine di competenza del giudice di pace,
sono state attribuite alla competenza del Tribunale ordinario, così escludendo di fatto le
condotte consumate in danno del figlio naturale (ipotesi disciplinata dal primo comma, n. 1,
dell'art. 577 c.p.), pur trattandosi di fattispecie evidentemente connotate dal medesimo
disvalore sociale e ispirate ad una ratio punitiva sovrapponibile.
Ciò ha comportato irragionevoli disparità (anche) in tema di misure cautelari. In virtù di
quanto disposto dall'articolo censurato, difatti, nel caso in cui le lesioni personali lievissime
sono commesse in danno del figlio adottivo, la fattispecie rientra tra quelle di cui all'art.
282-bis, comma 6, c.p.p., per cui – sussistendone i presupposti – sarebbe consentita
l'applicazione della misura dell'allontanamento dalla casa familiare, anche al di fuori dei
limiti di pena di cui all'art. 280 c.p.p.; per converso, nei casi in cui la medesima condotta è
commessa in danno di un discendente, qual è il figlio naturale, sussistendo la competenza
del giudice di pace risulta esclusa a priori l'applicabilità della citata misura cautelare, in
ragione dell'art. 2, comma 1, lett. c), del d.lgs.274/2000.
Peraltro, il giudice remittente non mancava di evidenziare l'impossibilità di una lettura
costituzionalmente orientata della disposizione censurata per l'insuperabile chiarezza
letterale della stessa.
Ancora, la denunciata disparità di attribuzione della competenza – continuava il Gip
teramano – integrerebbe una violazione anche dell'art. 24 Cost., determinando un
pregiudizio per l'indagato stante l'impossibilità per il giudice onorario di adottare un
provvedimento di archiviazione ai sensi degli artt. 411-bis c.p.p. 131-bisc.p., per difetto di
punibilità in ragione della particolare tenuità del fatto.
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In effetti, in punto di rilevanza della questione sollevata, il giudicante specificava che
all'udienza camerale fissata ai sensi dell'art. 409, comma 2, c.p.p., il difensore dell'indagato
richiedeva l'archiviazione del procedimento, in via principale, per l'infondatezza della
notizia di reato e, in via subordinata, per il riconoscimento della causa di non punibilità per
la particolare tenuità del fatto, exart. 131-bisc.p.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato dall'Avvocatura dello Stato interveniva
nell'instaurato giudizio di legittimità costituzionale richiedendo alla Corte di dichiarare
l'inammissibilità o comunque di rigettare le questioni sollevate, sostanzialmente deducendo
che l'impossibilità di applicare l'istituto di cui all'art. 131-bisc.p. non costituirebbe una
questione direttamente rilevante ai fini della decisione del processo nel corso del quale è
stata sollevata, difettando quindi il requisito della pregiudizialità. Tanto più che – prosegue
l'Avvocatura Generale – il giudice remittente avrebbe omesso di confrontarsi con quella
parte della giurisprudenza, seppure minoritaria, che consente l'applicazione dell'art. 131bisc.p. anche nei procedimenti dinanzi al Giudice di pace.
La Corte costituzionale rigettando preliminarmente l'eccezione di inammissibilità formulata
dall'Avvocatura dello Stato, rilevava anzitutto che il dubbio di legittimità costituzionale
sollevato involge proprio una disposizione che il giudice per le indagini preliminari avrebbe
dovuto applicare nel caso concreto e che, pertanto, aveva censurato nella parte in cui non
prevedeva la competenza per materia del tribunale ordinario.
Evidenziava, altresì, che la norma di cui all'art. 577 c.p., al cui secondo comma fa richiamo
la disposizione attributiva della competenza oggetto di giudizio di costituzionalità, è stata
recentemente estesa ad opera della l. 4 del 2018 con l'inclusione di altre ipotesi e
segnatamente: a) al n. 1) del primo comma dopo la parola “discendente” sono state
aggiunte le seguenti: «o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l'altra parte
dell'unione civile o la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso
stabilmente convivente»; b) al secondo comma, dopo la parola “il coniuge” sono state
inserite le seguenti: “divorziato, l'altra parte dell'unione civile, ove cessata”.
Sicché, dopo una approfondita analisi del quadro normativo e sistematico in cui si inserisce
il sollevato dubbio di legittimità costituzionale, la Corte concludeva dichiarando:
1. «l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a
norma dell'art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468) come modificato dall'art. 2,
comma 4-bis, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in
materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di
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protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con
modificazioni, nella legge 15 ottobre 2013, n. 119, nella parte in cui non esclude dai
delitti, consumati o tentati, di competenza del giudice di pace anche quello di lesioni
volontarie, previsto dall'art. 582, secondo comma, del codice penale, per fatti
commessi contro l'ascendente o il discendente di cui al numero 1) del primo comma
dell'art. 577 c.p.»;
2. «in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale),
l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 274 del 2000,
nella parte in cui non esclude dai delitti, consumati o tentati, di competenza del
giudice di pace anche quello di lesioni volontarie, previsto dall'art. 582, secondo
comma, c.p. per fatti commessi contro gli altri soggetti elencati al numero 1) del
primo comma dell'art. 577 c.p., come modificato dall'art. 2 della legge 11 gennaio
2018, n. 4 (Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura
penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici)»
La questione
In un sistema ispirato alla piena equiparazione della tutela giurisdizionale riservata ai figli
adottivi e naturali, la pronuncia costituzionale in commento ha rimosso la grave distonia
determinata dall'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs.274/2000 con la previsione di un
diverso criterio attributivo della competenza per il delitto (tentato o consumato) di lesioni
volontarie lievissime in base allo status del figlio (adottivo o naturale) quale persona
offesa dal reato.
L'irragionevole disparità di disciplina in danno del figlio naturale, rilevante ai sensi dell'art. 3
della Carta costituzionale, dispiega i propri effetti anche nell'ambito della vicenda cautelare,
impedendo – di fatto – l'applicazione della misura cautelare di cui all'art. 282-bisc.p.p. alle
condotte di lesioni lievissime ai danni del figlio naturale, essendo al giudice di pace
interdetta l'applicazione di misure cautelari personali.
La pronuncia della Corte costituzionale, dunque, rimuovendo l'incoerente criterio di
competenza differenziata in relazione al reato di lesioni lievissime in danno del figlio
naturale, di cui all'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs.274/2000, e parificandola “in alto” ossia
nella competenza del tribunale ordinario, ha conseguentemente esteso l'applicabilità
della misura dell'allontanamento dalla casa familiare anche alla fattispecie di reato
oggetto di giudizio.
Le soluzioni giuridiche
Nel merito, la Corte costituzionale ha reputato fondata la questione sollevata dal Giudice
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per le indagini preliminari di Teramo in riferimento all'art. 3, comma1, della Costituzione,
con conseguente assorbimento dell'ulteriore censura di violazione dell'art. 24 Cost.
Invero, i plurimi rinvii e richiami formali che caratterizzano le disposizioni interessate dalla
sollevata questione di legittimità costituzionale impongono preliminarmente un rapido
excursus che dia conto delle modifiche intervenute sino al quadro normativo attuale.
Inizialmente l'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs.274/2000 includeva nel catalogo di reati
attribuiti alla competenza per materia del giudice di pace – in deroga a quella del Tribunale
ordinario – il reato di lesioni volontarie lievissime (di cui all'art. 582, secondo comma, c.p.),
ossia quelle che comportano una malattia non superiore nella durata a venti giorni, se
perseguibili a querela (quindi, in assenza delle aggravanti di cui all'art. 583 c.p., che
prevede l'ipotesi di lesioni gravi e gravissime, e di cui all'art. 585 c.p., che oltre a particolari
modalità della condotta richiama le circostanze aggravanti dell'omicidio volontario, ai sensi
degli artt. 576 e 577 c.p.).
Da ciò conseguiva che quanto al reato di lesioni volontarie la competenza del giudice di
pace era determinata dai seguenti criteri: a) la durata della malattia non superiore a giorni
venti; b) la perseguibilità a querela in assenza delle aggravanti suddette, ma con
esclusione di quelle indicate dal numero 1) e nell'ultima parte dell'art. 577 c.p.. Sicché, in
sostanza, se le lesioni volontarie lievissime erano commesse in danno dell'ascendente o
del discendente (numero 1 del primo comma dell'art. 577 c.p.), ovvero se il fatto era
commesso contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, o il figlio
adottivo, o contro un affine in linea retta (secondo comma dell'art. 577 c.p.), la competenza
era comunque attribuita al Giudice di pace.
Prima della modifica legislativa introdotta dalla l. 119 del 2013 (di conversione del d.l.
93/2013), dunque, le fattispecie di lesioni volontarie non superiori a venti giorni nei
confronti del figlio naturale e del figlio adottivo avevano un medesimo trattamento
sostanziale (ricorrendo la circostanza aggravante) e processuale (quanto alla disciplina
della competenza per materia).
Ora, come è noto, il citato decreto l. 93/2013 ha realizzato un complesso intervento
normativo di repressione del fenomeno della violenza di genere, rafforzando la tutela delle
vittime in particolare nei contesti familiari o comunque affettivi. Inter alia – per ciò che qui
più interessa, il legislatore ha modificato la misura dell'allontanamento dalla casa familiare
inserendo nel comma 6 dell'art. 282-bis c.p.p. anche il reato previsto dall'art. 582 c.p.,
limitatamente alle ipotesi procedibili di ufficio o comunque aggravate.
L'apprezzabile finalità di contrastare più incisivamente la violenza di genere, tuttavia,
risultava ‘solo' parzialmente conseguita con siffatto intervento, in quanto – come anticipato
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– la competenza per materia per le lesioni volontarie lievissime perseguibili a querela era
ancora attribuita al giudice di pace, a cui è vietata l'applicazione delle misure cautelari
personali (ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. c), del d.lgs.274/2000). Siffatta anomalia
veniva immediatamente segnalata sia dal Consiglio Superiore della Magistratura (parere
del 10 ottobre 2013 sul D.L. n. 93 del 2013), sia in sede di audizioni in Parlamento in
occasione della Legge di conversione (v. Atto Camera, Commissioni riunite I e II, seduta
del 10 settembre 2013).
Pertanto, in una ottica di efficace azione di contrasto della violenza di genere, il Legislatore
condivideva la necessità di modificare la regola sulla competenza per materia,
intervenendo sull'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. 274/2000.
In tal modo l'intervento normativo del 2013 elevava il livello di repressione della violenza
domestica con una serie di misure di contrasto e, in particolare, quanto alle lesioni
volontarie lievissime di cui all'art. 582, comma2, c.p., con il trasferimento della competenza
al tribunale ordinario, così consentendo l'applicazione della misura cautelare
dell'allontanamento dalla casa familiare ed escludendo, altresì, il complessivo regime di
favore relativo alle sanzioni applicabili dal giudice onorario, ai sensi del Titolo II del d.lgs..
n. 274/2000.
Come emerge chiaramente dai lavori parlamentari, la ratio della nuova normativa –
pienamente condivisibile – era quella di attribuire maggiore rilevanza anche a quelle
condotte di minor gravità spesso sintomatiche di contesti di prevaricazione e
violenza con azioni connotate da abitualità (c.d. comportamenti “spia”).
Epperò tale ratio risultava frustrata dalla parzialità della modifica normativa realizzata in
sede di legge di conversione del d.l.93/2013.
Il Legislatore del 2013, difatti, nel modificare il catalogo di reati attribuiti alla competenza
del Giudice onorario, interveniva sull'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs.274/2000
escludendo la competenza ‘soltanto' in relazione al reato di lesioni lievissime commesso
«in danno dei soggetti elencati dall'art. 577, secondo comma», c.p. In tal modo non
includeva nella modifica legislativa – inspiegabilmente – il delitto di lesioni volontarie
lievissime commesso in danno dei soggetti di cui al numero 1) dell'art. 577 c.p., tra
cui appunto il figlio naturale.
Chiarito il ‘tortuoso' quadro normativo in cui si colloca la questione sollevata, la Corte
Costituzionale – come anticipato – ha rilevato la violazione dell'art. 3, comma1, Cost.
sotto un duplice profilo.
Da un lato, infatti, ha ritenuto violato il principio di eguaglianza non trovando giustificazione
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il diverso trattamento processuale riservato al reato di lesioni volontarie lievissime secondo
che il fatto sia commesso in danno del figlio naturale o del figlio adottivo ed evidenziandosi
– anzi – il carattere discriminatorio della differenziazione.
In effetti, sotto il profilo civilistico vi è una piena assimilazione di stato tra figlio naturale e
figlio adottivo, come desumibile dai seguenti riferimenti normativi:
- già l'art. 27 della l. 184/1983 prevedeva che per effetto dell'adozione l'adottato acquista lo
stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome.
E, più recentemente, a seguito del d.lgs.154/2013 (Revisione delle disposizioni vigenti in
materia di filiazione, exart. 2 della l. 219/2012) è stata completata la parificazione;
- l'art. 74 c.c. (come novellato dalla l. 219/2012 sopracitata) prevede che la parentela è il
vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione
è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia
nel caso in cui il figlio è adottivo (salvo nei casi di adozione di persone maggiori di età, ai
sensi degli artt. 219 ss. c.c.);
- ancora, l'art. 315 c.c., modificato sempre dalla L. 219/2012, ha ridefinito la condizione
della filiazione prevedendo in generale che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, così
ponendo «le basi per la piena equiparazione della disciplina dello status di figlio legittimo,
figlio naturale e figlio adottato, riconoscendo l'unicità dello status di figlio»(così Corte cost.,
sentenza n. 286/2016).
Parimenti sotto il profilo penalistico sostanziale si riscontra un medesimo trattamento
sanzionatorio per i fatti in danno del figlio naturale e del figlio adottivo, salvo che per
l'omicidio, come si avrà modo di approfondire oltre.
Per vero, già il reato di lesioni volontarie è allo stesso modo e nella stessa misura
aggravato se il fatto è commesso sia in danno del figlio naturale sia in danno del figlio
adottivo (ai sensi dell'art. 585 c.p. che stabilisce un aumento di pena fino ad un terzo se
concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dall'art. 577 c.p., richiamato nella sua
integralità).
Analogamente l'art. 602-terc.p. prevede che opera nella stessa misura l'aggravante se il
fatto è commesso da un ascendente o dal genitore adottivo in relazione ai reati di
prostituzione minorile e di pornografia minorile, nonché ai reati previsti dagli artt. 600,601 e
602 c.p.. Così come in materia di violenza sessuale (artt. 609-ter e 609-quater c.p.) e di
corruzione di minorenne (art. 609-quinquiesc.p.) costituisce circostanza aggravante il fatto
commesso dal genitore “anche adottivo”.
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Ne deriva il carattere discriminatorio della diversa regola processuale di competenza
per materia prevista per il figlio naturale rispetto a quella stabilita per il figlio
adottivo, talché deve ritenersi violato, in via generale, il principio di uguaglianza,
avendo essi il medesimo stato giuridico , così come è indubitabile che sia per i figli
di genere diverso.
Dall'altro lato, risulta violato anche il principio di ragionevolezza.
Va premesso che, come più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, nella
disciplina del processo in generale e, segnatamente, del processo penale il legislatore ha
ampia discrezionalità, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza delle scelte
compiute. Peraltro, certamente non rientra nei compiti della Corte costituzionale procedere
ad aggiustamenti delle norme processuali per mere esigenze di coerenza sistematica e
simmetria.
Tuttavia, anche in riferimento a scelte delle regole di rito – come è, in particolare, la regola
di competenza per i reati attribuiti alla cognizione del Giudice di pace, in deroga a quella
del Tribunale ordinario – può sussistere un vizio di irragionevolezza, quale intrinseco difetto
di coerenza. Il vaglio di non manifesta ragionevolezza impone, allora, alla Corte
Costituzionale «di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente
perseguiti, in quanto, tra più misure appropriate prescriva quella meno restrittiva dei diritti a
confronto e stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi»
(cfr. sentenza Corte costituzionale n. 1/2014).
Ora, sotto questo profilo, deve evidenziarsi che nel nostro ordinamento è eccezionalmente
previsto un trattamento differenziato tra figlio adottivo e figlio naturale proprio dall'art. 577
c.p. nel disciplinare le circostanze aggravanti del reato di omicidio volontario.
Ciò significa, che ad oggi nel nostro sistema risulta – discutibilmente, ad avviso della Corte
Costituzionale – più grave l'omicidio del figlio naturale rispetto a quello del figlio adottivo;
ciò evidentemente sul presupposto della “consanguineità” (come discrimen tra discendente
e figlio adottivo) quale precipitato di concezioni antiche.
A fronte di tale previsione, la disposizione censurata attribuisce – all'opposto – minor
disvalore alla condotta di lesioni lievissime in danno del figlio naturale rispetto a quella in
danno del figlio adottivo, così rivelando una marcata connotazione di irragionevolezza.
Tanto più ove si consideri che nei lavori parlamentari e nella complessiva lettura della L. n.
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119/2013 (già citata), unitamente al convertito decreto legge, non si rinviene alcuna
ragione di siffatto trattamento differenziato.
Ne consegue la manifesta irragionevolezza dell'art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs.274/2000
che, invertendo l'apprezzamento di disvalore delle condotte ancora oggi sussistente nel
sistema, utilizza non di meno il richiamo all'art. 577 c.p., cui è sottesa una ratio opposta
della differenziazione tra “discendente” e “figlio adottivo”. Sicché, conclude la Corte, il
trattamento differenziato riservato in materia di competenza al figlio naturale rispetto
al figlio adottivo viola anche il principio di ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost.
Accertata la violazione del principio di eguaglianza e la manifesta irragionevolezza della
differenziazione della regola di competenza, nonché considerata la ratio dell'intervento
riformatore del 2013 – volto ad un efficace contrasto contro la violenza domestica –, deve
riconoscersi che la violazione dell'art. 3 Cost. si concretizza proprio nella mancata
inclusione del delitto (consumato o tentato) di lesioni volontarie lievissime ai danni del figlio
naturale tra quelli che eccettuano dalla competenza del giudice onoraio, ai sensi dell'art. 4
del d.lgs.274/2000.
La parificazione di disciplina, dunque, non può che realizzarsi che “in alto” – in coerenza,
peraltro, con il petitum dell'ordinanza del giudice remittente –, ovvero estendendo la stessa
regola di competenza per materia (da attribuirsi, quindi, al Tribunale ordinario) alle
condotte di lesioni volontarie lievissime a prescindere dallo status (naturale o adottivo) del
figlio, quale persona offesa dal reato, in linea con il più elevato livello di contrasto della
violenza domestica.
In tal modo si estende, conseguentemente, la possibilità di applicare la misura cautelare di
cui all'art. 282-bisc.p.p., adottabile anche in via d'urgenza (ai sensi dell'art. 384-bisc.p.p.)
alla fattispecie oggetto di giudizio.
Ciò detto, a fini di completezza, la pronuncia in commento ha avvertito la necessità di
precisare la legittimità di tale parificazione di disciplina “in alto” sebbene da ciò consegua
un irrigidimento della disciplina sostanziale, non trovando più applicazione per il reato di
lesioni lievissime in danno del figlio naturale il trattamento sanzionatorio più favorevole
previsto dal Titolo II del d.lgs.274/2000.
In effetti, non risulta compromesso il principio della riserva di legge in materia penale
atteso che «l'effetto in malam partem non discende dall'introduzione di nuove norme o
dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte, la quale si limita a rimuovere la
disposizione giudicata lesiva dei parametri costituzionali; esso rappresenta, invece, una
conseguenza dell'automatica riespansione della norma generale o comune, dettata dallo
stesso legislatore, al caso già oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria» (v.
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Corte cost. sentenza n. 394 del 2006).
Tali principi hanno imposto alla Corte di operare le ulteriori, seguenti, precisazioni:
- stante la natura peggiorativa dell'intervento sul piano della disciplina sostanziale, per i
fatti commessi sino al giorno della pubblicazione della sentenza in commento sulla
Gazzetta Ufficiale opera il principio della non retroattività, ai sensi dell'art. 25, comma 2,
Cost. che prevale sull'ordinaria efficacia ex tunc delle decisioni della Corte (ai sensi dell'art.
136 Cost. e dell'art. 30, comma 3, della l. 87/1953). Sicché, nelle ipotesi di lesioni
volontarie lievissime il Tribunale ordinario competente dovrà applicare, in caso di
condanna, il più benevolo trattamento sanzionatorio di cui al Titolo II del d.lgs.274/2000
(così come previsto dall'art. 63 del medesimo decreto legislativo nei casi in cui il tribunale
si trovi a giudicare un reato di competenza del Giudice onorario);
- per converso, l'effetto in bonam partem derivante dalla sentenza costituzionale – ovvero,
la possibilità, ove ricorra un caso di lieve entità, di applicare la causa di non punibilità di cui
all'art. 131-bis c.p.p., piuttosto che la causa di non procedibilità prevista dall'art. 34 del
d.lgs.n. 274/2000 – deve ritenersi, in quanto tale, di immeditata operatività.
In definitiva, dunque, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1,
lett. a), del d.lgs. 27472000 nella parte in cui non esclude dai delitti, consumati o tentati, di
competenza del Giudice di pace anche quello di lesioni volontarie lievissime, previste
dall'art. 582, secondo comma, c.p. per fatti commessi contro l'ascendente o il discendente
di cui al numero 1) del primo comma dell'art. 577 c.p. Ha dichiarato assorbita, invece,
l'ulteriore censura mossa dal Giudice remittente con riferimento all'art. 24 Cost.
La Corte, infine, ha preso in esame la novellazione delle aggravanti del reato di omicidio
realizzata dalla l. 4/2018, in ragione del meccanismo del rinvio formale contenuto nella
disposizione censurata all'art. 577, comma2, c.p.
Il Legislatore del 2018 ha inteso contrastare ulteriormente fatti di violenza estrema sfociati
in episodi di omicidio volontario soprattutto di donne estendendo l'aggravante dell'art. 577
c.p. nei seguenti termini:
 nell'ipotesi del numero 1) ha collegato all'aggravante la pena dell'ergastolo qualora
la condotta sia stata commessa in danno del coniuge, anche legalmente separato,
dell'altra parte dell'unione civile o della persona legata al colpevole da relazione
affettiva con esso stabilmente convivente;
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 al secondo comma, invece, l'aggravamento di pena è previsto nella reclusione da
ventiquattro a trenta anni laddove la condotta sia stata commessa in danno del
coniuge divorziato o dell'altra parte dell'unione civile, ove cessata.
In sostanza, il Legislatore nella sua discrezionalità, ha ritenuto di sanzionare più
gravemente l'omicidio del coniuge, anche se separato, rispetto a quello del coniuge
divorziato; e analogamente più grave quello della parte di un'unione civile in corso rispetto
a quello di un'unione civile cessata.
Quanto al reato di lesioni, la riforma in oggetto ripete la medesima incoerenza di disciplina
già rivelata in relazione al figlio naturale e adottivo: infatti, sotto l'aspetto sanzionatorio, le
lesioni volontarie lievissime risultano aggravante nella stessa misura (considerato che l'art.
585 c.p. richiama l'art. 577 c.p. senza operare distinguo tra il primo e il secondo comma) se
commesse in danno del coniuge o della parte dell'unione civile, a prescindere dalla
cessazione degli effetti civili del matrimonio o dell'unione civile; per contro, sotto l'aspetto
processuale, stante il rinvio ‘solo' parziale all'art. 577 c.p. operato dall'art. 4, comma 1, lett.
a), del d.lgs.n. 274/2000 la fattispecie di lesioni lievissime in danno del coniuge, anche se
separato, o della parte dell'unione civile risulta di competenza del Giudice onorario, con
conseguente impossibilità di applicazione di misure cautelari quali l'allontanamento dalla
casa familiare per le ragioni già esposte.
Pertanto, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata nella
parte in cui non richiama (e, quindi, non esclude) anche i fatti di lesioni volontarie lievissime
in danno dei soggetti indicati nel numero 1) dell'art. 577 c.p. deve essere estesa alla
formulazione vigente di quest'ultimo articolo al momento dell'ordinanza di rimessione,
ovvero alla formulazione oggetto dell'intervento novellatore n. 4 del 2018.
Osservazioni
La pronuncia costituzionale ha rimosso una inspiegabile – quanto ‘imbarazzante' –
disparità di disciplina in tema di competenza per materia per il reato di lesioni lievissime in
danno del figlio naturale piuttosto che del figlio adottivo, determinata dall'art. 4, comma 1,
lett. a), del d.lgs.274/2000, equiparandola ‘verso l'alto', ovvero attribuendo la competenza
anche per le condotte poste in essere nei confronti del figlio naturale al Tribunale ordinario.
L'intervento giurisprudenziale consente di completare, da questo punto di vista, l'intento
perseguito dal legislatore del 2013 (l. 119/2013 di conversione, con modifiche, del d.l.
93/2013), il quale – nell'introdurre una serie di modifiche ispirate tutte al elevare il livello di
repressione della violenza domestica – aveva correttamente appuntato l'attenzione sui cd.
‘comportamenti spia' di violenze più gravi e abituali (tra cui rientra, appunto, la condotta di
lesioni volontarie con una malattia inferiore a giorni venti), modificando, però, solo
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parzialmente l'articolo oggetto di dubbio di legittimità costituzionale.
Per vero, la differenziazione di disciplina non ha trovato alcuna giustificazione (né nei lavori
parlamentari, né in una lettura complessiva della novella legislativa), palesando – anzi – la
contrarietà rispetto alla ratio sottesa alla disciplina delle circostanze aggravanti,exart. 577
c.p., per il reato di omicidio volontario (in relazione al quale, come visto, è più grave il fatto
commesso in danno del figlio naturale piuttosto che del figlio adottivo). Ciò induce a
ritenere che si sia trattato di una mera ‘svista' del legislatore del 2013, indubbiamente
grave in quanto destinata ad avere – inter alia – degli immediati effetti preclusivi in tema di
misure cautelari.
La pronuncia n. 236/2018, dunque, ha certamente realizzato un rafforzamento della tutela
delle vittime di violenza domestica, rendendo possibile l'allontanamento dalla casa
familiare in via cautelare anche per il reato di lesioni volontarie lievissime, consumate o
tentate, in danno del figlio naturale, con effetto estensivo rispetto ad ulteriori soggetti, quali
più in generale gli ascendenti e discendenti, nonché quali il coniuge, anche se separato o
divorziato, l'altra parte dell'unione civile, ancorché cessata, la persona legata al colpevole
da un rapporto affettivo e con lui convivente in modo stabile.
Da un lato, quindi, la Corte costituzionale ha provveduto alla opportuna eliminazione della
previsione di un discriminatorio ed irragionevole regime differenziato in tema di
competenza per materia in relazione al delitto di cui all'art. 582, comma 2, c.p., dall'altro,
ha offerto l'occasione per talune brevi considerazioni:
 anzitutto, stante l'assenza di qualsiasi giustificazione, sorprende il tempo per il quale
siffatta disparità di disciplina è perdurata nel nostro ordinamento, nonostante
l'evidente violazione del principio di uguaglianza rispetto alle condotte commesse in
danno dei figlio adottivo;
 per lo stesso motivo ed in secondo luogo, sorprende, altresì, che la recentissima
novellazione delle aggravanti del reato di omicidio (ad opera della l. 4/2018), non
solo non ha avuto (né mostrato) consapevolezza della irragionevole disparità di
disciplina in tema di competenza per materia oggetto di censura, ma – addirittura –
l'ha “reiterata” includendo nuovi soggetti nel catalogo dell'art. 577 c.p. senza, però,
prendere in considerazione gli effetti di natura processuale e sostanziale derivanti
dalle norme che richiamano (direttamente o indirettamente) la suindicata
disposizione, ivi inclusi gli effetti sulla disciplina della competenza per materia per il
reato di lesioni lievissime, in virtù del meccanismo del rinvio formale contenuto
nell'art. 4, comma 1 , lett. a), del d.lgs.274/2000;
 peraltro, in riferimento al medesimo intervento riformatore (L. n. 4/2018) neppure
sfugge, sotto altro aspetto, la ‘anomalia' del trattamento sanzionatorio aggravato
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riservato al convivente more uxorio, la cui posizione è (giustamente) parificata al
coniuge (anche se legalmente separato) e all'altra parte dell'unione civile dal primo
comma dell'art. 577 c.p., mentre ‘scompare' del tutto nella disposizione del secondo
comma, che si limita a prevedere l'aggravamento di pena soltanto per le condotte
commesse in danno del coniuge divorziato e il partner dell'unione civile cessata. Ciò
significa che, irragionevolmente – a parere di chi scrive –, l'omicidio dell'ex
convivente more uxorio non risulta aggravato ai sensi dell'artt. 577 c.p.;
 infine, sconcerta che il nostro sistema continui ad attribuire maggiore gravità al
delitto di omicidio del figlio naturale rispetto a quello del figlio adottivo, come
confermato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità (v. Cass. pen., Sez.
I, 1 marzo 2018, n. 9427), evidentemente fondandosi sul presupposto della
“consanguineità”. Ora vi è che, indubbiamente, la Corte costituzionale ha gettato le
basi per una futura – e si auspica prossima – pronuncia di incostituzionalità, avendo
definito tale differenziazione “discutibile” e messo in luce con chiarezza la piena
assimilazione di stato, sul piano civilistico, tra figlio naturale e figlio adottivo, oramai
suggellata dall'art. 315 c.c. Epperò, delude ancora una volta il Legislatore, il quale –
sebbene, come detto, sia intervenuto di recente sulla norma di cui all'art. 577 c.p. –
ha continuato a ignorare e/o tollerare simili irragionevoli e discriminatorie disparità di
disciplina.
In definitiva, alla luce di tali sintetiche riflessioni, si palesano due necessità
improcrastinabili in tema di contrasto alla violenza domestica e, in generale, di effettiva
tutela delle vittime particolarmente vulnerabili: l'urgenza di una maggiore e più diffusa
specializzazione di tutti gli operatori del diritto e lo sforzo legislativo di realizzare interventi
normativi dotati di apprezzabile sistematicità.
Guida all'approfondimento
DOLCINI – GATTA (diretto da), Codice Penale Commentato, Sub Art. 577 c.p., Milano,
2015, pp. 2286 ss.
GIOSTRA – ILLUMINATI (a cura di), Il giudice di pace nella giurisdizione penale, Torino,
2001, pp. 74 ss.
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