Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena

Le infezioni
respiratorie ricorrenti:
vale ancora la pena
parlarne?
Ancora infezioni respiratorie ricorrenti (IRR)? Non se ne può più, la RIAP
ne ha scritto di recente, se ne è parlato in qualche congresso e allora
vale la pena di tornare sull’argomento?
Sì perché si tratta di una patologia “minore” da un punto di vista scientifico ma di elevato impatto sulla qualità di vita del bambino e della
sua famiglia (per non dire di quella del pediatra spesso travolto dalla
ricorrenza degli episodi), di costi economici globali non irrilevanti e
per la quale non abbiamo a disposizione mezzi e strategie di sicura
efficacia.
Mi è sembrato utile rinverdire l’argomento per provare a proporre un
approccio alla prevenzione delle IRR che esca dalla consueta diatriba
immunostimolanti sì / immunostimolanti no, sulla quale peraltro Stefano Miceli Sopo ci ha recentemente ed esaurientemente aggiornato
dalle pagine di questa rivista.
Vi sono dati in letteratura che incoraggiano ad un approccio fondato
sulla modificazione dei fattori di rischio ambientali e legati allo stile di
vita della famiglia e quindi del bambino, e dopo aver passato in rassegna qualche nozione di base e qualche nuova acquisizione proverò a
disegnare un percorso non farmacologico di prevenzione delle IRR.
Le definizioni
Nell’ambito delle infezioni respiratorie ricorrenti, la specifica definizione di ricorrenza non ha ancora trovato consenso in letteratura mentre è certamente ben definita la ricorrenza in alcune patologie respiratorie specifiche. Ad esempio, nel caso dell’otite media, il criterio di
ricorrenza è stabilito per tre episodi in sei mesi o quattro episodi in
dodici mesi 1. Inoltre le riniti infettive ricorrenti 2 3 e le faringiti e tonsilliti
ricorrenti sono rispettivamente definite per più di cinque e più di tre
episodi all’anno 4.
Nei bambini è stato proposto, ormai oltre 25 anni fa, un punteggio clinico di valutazione per le IRR che comprende il tipo di episodio infettivo
e la durata, le visite pediatriche, la terapia e l’assenza dalla comunità 5.
I bambini con un punteggio superiore a 30 punti in 6 mesi sono classificati come IRR. Normalmente si raggiunge tale punteggio con cinque
episodi infettivi delle prime vie respiratorie in 6 mesi o 3 episodi delle vie
respiratorie inferiori sempre per lo stesso periodo di tempo.
Innumerevoli sono le definizioni utilizzate nei numerosissimi studi condotti con immunomodulatori, quasi sempre notevolmente diversi tra
loro e di poca utilità nella pratica clinica.
12
Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica • 02/2008 • 12-19
Luigi Terracciano
Struttura Semplice Asma
e Malattie Polmonari,
Struttura Complessa
di Pediatria,
Presidio Ospedaliero
Macedonio Melloni,
Milano
[email protected]
Più recentemente è stata proposta una definizione che tiene conto del diverso andamento in relazione all’età: sono necessarie
8 o più infezioni respiratorie all’anno nei soggetti di età ≤ 3 anni e 6 o più infezioni respiratorie all’anno nei bambini di età > 3 anni per
considerare il paziente affetto da IRR 6.Questo criterio, nella sua semplicità, ha il pregio
di fornire un metro di valutazione immediato,
ben condivisibile con i genitori, facile da monitorare per il pediatra di famiglia.
Nonostante tutto comunque manca in letteratura, per le infezioni respiratorie, una definizione di ricorrenza che abbia trovato unanimi
consensi.
Epidemiologia
Le IRR delle alte e delle basse vie in età pediatrica costituiscono un problema di sanità
pubblica in relazione alla loro frequenza. Nei
paesi occidentali, più del 25% dei bambini
entro il primo anno di vita e il 18% di quelli con
età compresa fra 1 e 4 anni sono soggetti a
IRR 7. Si tratta di una vera e propria epidemia
che, per la prevalente modesta severità dei
singoli episodi, non trova sempre adeguata considerazione da parte del pediatra. Se
proviamo a considerare il punto di vista della famiglia che si trova a dover affrontare un
numero di 10-12 episodi infettivi concentrati
di solito nel periodo settembre/aprile alcune delle nostre convinzioni sulla banalità del
problema vacillano.
E infatti le IRR non sono solo responsabili di
una comunque significativa morbilità, ma anche frequente causa di perdita di giornate lavorative dei genitori, e inducono costi diretti e
indiretti per l’assistenza del bambino malato:
nella Tabella I a titolo di esempio sono riportati i dati di uno studio australiano di recente
pubblicazione. Le IRR sono infine responsabili
di oltre un terzo delle assenze scolastiche 8.
Tab. I.
Sebbene gli agenti eziologici responsabili
delle IRR siano identificabili solo occasionalmente, i virus respiratori risultano gli agenti
causali più frequenti. I virus più frequentemente coinvolti nelle IRR sono il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS), gli adenovirus, i virus
influenzali e parainfluenzali. I batteri sono
meno comunemente rappresentati nelle IRR
ma, ove presenti, si tratta di Streptococcus
pneumoniae, Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, Klebsiella pneumoniae e
Streptococcus pyogenes 10-12.
Le IRR sono usualmente autolimitantesi ma
possono talora complicarsi con la comparsa
di otiti medie, sinusiti ed infezioni broncopolmonari 13-15. Il coinvolgimento secondario di tali
sedi può essere causato sia da batteri che da
virus anche nel caso delle otiti medie che sono
state, per troppi anni, erroneamente considerate a quasi esclusiva eziologia batterica 16.
Fattori di rischio
Nei paesi industrializzati, i classici fattori di rischio indicati dal WHO (World Health Organization) sono la malnutrizione, il basso peso
alla nascita, la mancanza di allattamento
materno 17, l’inquinamento outdoor ed indoor, il basso livello socio-economico, la scarsa igiene, le immunodeficienze, il mancato
rispetto del calendario vaccinale consigliato,
l’atopia, la frequenza in comunità 18. Anche il
fumo passivo è sicuramente da considerare
un fattore di rischio.
I bambini esposti al fumo passivo hanno un
maggior rischio di infezioni respiratorie delle
basse vie aeree nel primo anno di vita 19 e
delle alte e basse vie nelle età successive 20-22.
Nella Tabella II l’impatto del fumo passivo sulla salute respiratoria dei bambini italiani 23.
Tab. II.
Ruolo del fumo passivo sulla salute respiratoria del bambino
in Italia.
Patologia
Principali cause dei costi diretti e indiretti nelle IRR .
9
Durata media di ogni infezione respiratoria: 10,4 giorni
46,7 visite mediche/100 episodi
19,7 cicli di antibioticoterapia/100 episodi
Numero di casi stimati
Infezioni vie aeree < 2 anni
77.000
Asma
27.000
Sintomi respiratori cronici
48.000
Otite media sierosa
64.000
2,2 ricoveri/100 episodi
Circa 11,7 h utilizzate per accudire il bambino malato/
episodio
Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne?
Sembra che i bambini con IRR abbiano, almeno in alcuni casi, una maggiore frequenza di
13
episodi, rispetto ai controlli, anche per lunghi
periodi di tempo. Questo potrebbe essere indotto dal fatto che la maggior parte dei fattori
di rischio è di tipo costituzionale o comunque di
natura durevole ed inoltre è esperienza comune che nella maggior parte dei bambini con
IRR siano presenti contemporaneamente più
di un fattore di rischio. In un lavoro scandinavo,
Soderstrom, osservando in un breve follow-up
un gruppo di bambini in età prescolare che
presentava elevata frequenza di IRR, ha dimostrato che tale situazione tendeva a mantenersi significativa nei bambini con IRR (gruppo a),
durante il periodo di osservazione, rispetto ad
un gruppo di controllo (gruppo b) 24 (Tab. III).
Tab. III.
Prevalenza delle IRR da 2 a 8 anni.
Età
IRR n. episodi
Controlli
p
2 anni
6,2
1,4
< 0,001
7 anni
3,1
1,2
< 0,01
8 anni
2,4
0,8
< 0,05
Questa maggiore suscettibilità agli episodi
infettivi sembra durare anche in età successive: Rovers et al., in Olanda, hanno proposto
ad una coorte di pazienti un questionario in
due tempi diversi: a 2 e 21 anni di età 25. Il
questionario era centrato sul numero di IRR
e le terapie antibiotiche praticate. Il 23% dei
pazienti che avevano presentato IRR avevano ancora all’età di 22 anni una ricorrenza
significativa di episodi respiratori.
Anche il bambino con allergia respiratoria, in
virtù della persistente flogosi delle vie aeree,
sembra essere più soggetto alle IRR rispetto
al bambino non allergico 26: nello studio di Ciprandi et al. i bambini allergici hanno mostrato un numero significativamente più alto e di
maggiore durata rispetto al gruppo dei non
allergici. La durata media degli episodi era di
quasi 9 giorni e questo dato è particolarmente
impressionante in quanto accoppiato all’elevata frequenza tipica degli episodi di IRR nella
stagione autunno-invernale configura per diversi pazienti quasi un continuum di sintomi
particolarmente impegnativo per il bambino
e la famiglia. Anche uno studio condotto da
autori norvegesi dimostra lo stretto legame tra
malattie atopiche (asma e rinocongiuntivite
diagnosticate da un medico) e l’aumento del
rischio di infezioni a carico delle vie aeree 27.
14
Alcuni fattori di rischio ipotizzati per IRR,
come la presenza dell’Helicobacter pylori
nella mucosa gastrica, non sono stati confermati 28.
Tutti i fattori presi in considerazione sono di
fatto quelli in gioco in tutta l’epidemiologia
delle infezioni respiratorie nell’insieme della
popolazione pediatrica e non sono quindi limitati alla popolazione dei “bambini vulnerabili”. In realtà sappiamo che la maggior parte
dei bambini con IRR non si ammala d’estate
ma sappiamo anche che il bambino ”veramente vulnerabile” può ammalarsi anche
in assenza di cause ambientali riconoscibili,
può continuare ad ammalarsi anche quando interrompe la frequenza alla scuola materna e non è indenne da infezioni neppure
d’estate.
Non possiamo non prendere in considerazione l’impatto che le IRR, ed in particolare le
faringiti e le otiti medie, hanno sulla qualità di
vita dei bambini in età prescolare e delle loro
famiglie. Infatti proponendo un questionario
a genitori di bambini fra uno e cinque anni
di età, che riferivano faringiti e otiti medie frequenti, si è osservato che lo score TAPQOL,
espressione della qualità di vita, non era influenzato da età, sesso, o condizioni socioeconomiche ma dipendeva dalla frequenza degli episodi, dalla febbre, dal numero di
giorni persi in comunità e, per le otiti medie,
dall’otalgia 29.
In conclusione possiamo affermare che
sono numerosi i fattori di rischio costituzionali e ambientali per le IRR, ma il peso di
ciascuno di essi nel determinare la condizione è probabilmente diverso di caso in
caso: accanto a rari casi in cui un singolo fattore predomina nettamente sugli altri,
molto spesso si osserva comunemente nella pratica clinica una vera e propria costellazione di fattori, che richiederebbe un approccio globale, nel tentativo di modificare
il livello di rischio.
E l’immunità?
Ogni malattia infettiva, comprese quelle a
carico dell’apparato respiratorio, è la risultante di uno squilibrio critico tra l’agente infettante e le difese dell’ospite.
Ma il bambino ha un sistema immunologico
del tutto peculiare. Nato “vergine”, questo sistema non solo è subito chiamato ad affrontare gli stimoli immunologici, ma ne ha in
Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne?
qualche modo bisogno per potere crescere
e maturare. Il processo evolutivo inizia con le
prime esperienze di contatto con gli agenti
(nutrienti, allergeni, mediatori) offerti dal latte materno, e procede con i contatti con gli
agenti infettivi, siano essi o no patogeni: virus,
batteri, miceti. Di questi un appropriato carico è probabilmente necessario, mentre un
eccesso potrebbe mettere a rischio l’intero
equilibrio immunologico.
Il sistema immunologico del neonato/lattante è non solo inesperto ma anche parzialmente immaturo: ciò significa che, quando cimentato con un patogeno per la prima volta, per montare una risposta efficiente
contro una aggressione batterica o virale,
esso impiega più tempo di quanto farebbe
in età giovane-adulta, anche per la naturale
assenza di immunità specifica anamnestica. Dunque, la causa della vulnerabilità del
bambino è – come è evidente – nel suo stesso essere bambino, organismo in crescita
che impara ammalando. Ma esistono cause immunologiche, diverse dalla fisiologica
lieve immaturità, per spiegare perché alcuni
bambini si ammalano più spesso di altri?
Ancora controverso rimane il problema di
quando eseguire accertamenti immunologici nel bambini con IRR 30 31. Esistono delle specifiche situazioni in cui un’immunodeficienza
deve essere obbligatoriamente sospettata e
ricercata (Tab. IV) in qualsiasi bambino e non
solo in quelli con IRR.
Tab. IV.
Criteri di sospetto per immunodeficienza in bambino con IRR.
Familiarità per immunodeficienza
Consanguineità nei genitori
Presenza di fattori di rischio per immunodeficienza acquisita
Scarso accrescimento associato al quadro di infezioni
ricorrenti
Infezioni gravi e recidivanti che si manifestano anche in
apparati diversi dal respiratorio
Tonsille, linfonodi, e timo ipoplastici malgrado le infezioni
Agenti patogeni atipici od opportunisti
Infezioni resistenti alle terapie convenzionali
Candidosi muco-cutanea ricorrente o cronica
Ma esiste un identikit immunologico del
bambino vulnerabile, che presenta le IRR?
La maggior parte dei bambini con IRR non
Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne?
hanno immunodeficienza 32. Sono stati individuati comunque, in un minimo numero
di bambini con IRR, sia deficit dell’immunità
cellulomediata 33 che umorale 34. Sono stati
proposti come possibili fattori favorenti le infezioni ricorrenti con evoluzione severa, anche deficit dell’immunità naturale 35.
Sono state recentemente segnalate 36 37 alcune associazioni tra deficit immunologici
“minori” ed IRR ma dal punto di vista della
gestione pratica è opportuno ricordare ancora una volta che nella assoluta maggioranza dei casi i bambini con IRR non hanno
una immunodeficienza, che va ricercata
solo nei casi riportati nella Tabella IV.
Come si può intervenire
Le indicazioni terapeutiche per un bambino con IRR non si possono riassumere in
una prescrizione farmacologica, sulla cui
efficacia è lecito avere un atteggiamento
cauto sebbene comincino ad essere disponibili in letteratura delle evidenze promettenti 38.
Ciascun bambino presenta una combinazione squisitamente personale di alcuni dei
fattori di rischio esposti precedentemente e
il primo passo dovrebbe essere un’accurata
ricognizione delle condizioni in gioco in ciascun singolo caso, per poi ideare una strategia volta a modificare lo stile di vita della famiglia e ridurre conseguentemente il rischio
di IRR.
Nella Tabella V sono elencati i fattori di rischio per IRR come elencati dalla WHO, e le
possibilità di intervento: per intervento generale intendo quelle azioni di sensibilizzazione
dell’opinione pubblica, di educazione sanitaria, di diffusione di una cultura della salute
che certamente sono a carico delle società
pediatriche e dei pediatri intesi come comunità, attraverso prese di posizione che si
auspicano forti (e penso ad esempio al problema dell’inquinamento atmosferico che
induce tra i vari danni alla salute uno spiccato incremento del numero di infezioni respiratorie, alla disponibilità di comunità per
l’infanzia non sovraffollate e con condizioni
ambientali salubri, ad una cultura delle vaccinazioni che sfugga alle derive “naturalistiche”) ma che possono e devono trovare nei
comportamenti e nell’impegno dei singoli
un momento forte e condiviso.
15
Tab. V.
Condizioni di rischio per IRR e possibilità di intervento per il pediatra.
Condizione
di rischio
Intervento
individuale
Intervento
generale
Malnutrizione
Sì
Sì
Basso peso alla
nascita
No
No
Mancanza di
allattamento
materno
No
Sì
Inquinamento
outdoor
Sì
Sì
Inquinamento indoor
Sì
Sì
Basso livello
socio-economico
No
No
Scarsa igiene
Sì
Sì
Immunodeficienze
No
No
Mancato rispetto del
calendario vaccinale
No
Sì
Atopia
No
No
Frequenza in
comunità
Sì
Sì
Se ci riferiamo alla prevenzione/terapia, intesa come modificazione dei fattori di rischio
delle IRR condotta sul singolo bambino, alcune condizioni sono evidentemente non
correggibili: il basso peso alla nascita, l’atopia, la mancanza di allattamento materno,
il basso livello socio-economico, il mancato
rispetto del calendario vaccinale sono condizioni “storiche” e non modificabili una volta
che la condizione sia in atto. La malnutrizione
intesa sia in senso quantitativo che qualitativo rientra pienamente tra le competenze del
pediatra ed è un tema al quale dedichiamo
già tutti molta attenzione. Qualche consiglio
sull’inquinamento outdoor, come ad esempio evitare di portare il bambino vicino alle
arterie stradali ad elevata intensità di traffico
rientra già nel counseling abitualmente eseguito ed anche l’azione di contrasto all’esposizione al fumo passivo da parte dei genitori,
dei nonni, e di altri adulti fa parte abituale (o
almeno tutti lo speriamo) dell’attività di prevenzione di un buon pediatra.
La frequenza in comunità è un aspetto che
ha diversi risvolti: certamente la decisione di
inserire il bambino in comunità, a volte fin dai
primi mesi di vita, dipende da fattori familiari
sui quali il pediatra non ha molte possibilità
16
di intervento, se non quella di aiutare i genitori senza eccessi di invadente personalismo,
ad individuare possibili soluzioni alternative.
Ci sono due fattori però che solitamente trascuriamo e che hanno invece un impatto
forte sul rischio di IRR, e che possono essere applicati sia in comunità che in ambiente domestico: la scarsa igiene delle mani e
l’esposizione alle muffe.
Le modalità di trasmissione degli agenti patogeni sono diverse e sostanzialmente riconducibili a tre principali modalità: contatto diretto, aerosolizzazione, goccioline di Flugge.
Le mani divengono il veicolo privilegiato di
quasi tutti gli agenti infettivi, in quanto anche i germi diffusi per via aerea (aerosol e
goccioline) tendono a ricadere sulle superfici contaminandole e quando con le mani
tocchiamo oggetti e superfici contaminate le
carichiamo di microrganismi patogeni. Inoltre alcune abitudini (mettere le mani in bocca, nel naso, stropicciarsi gli occhi, mettere la
mano davanti alla bocca quando si starnutisce o si tossisce) sono un’ulteriore ovvia fonte di diffusione e trasmissione dei germi dal
bambino malato all’ambiente e viceversa.
Sono stati condotti numerosi studi per valutare l’efficacia del lavaggio delle mani nella
prevenzione delle infezioni ricorrenti, comprese quelle a carico dell’apparato respiratorio.
Una recente review 39 riassume i risultati di 5
studi condotti negli Usa: in un campione totale di 7798 scolari le assenze scolastiche a
causa di infezioni trasmissibili hanno avuto
una riduzione compresa tra il 20 ed il 56%
in seguito all’introduzione nelle scuole di un
programma di educazione al lavaggio delle
mani con soluzioni antimicrobiche non alcoliche.
Nel 2005 uno studio 40 condotto in Pakistan
sull’efficacia del lavaggio delle mani nella
prevenzione delle infezioni trasmissibili (diarrea, polmonite, infezioni delle prime vie aeree) ha valutato 3 gruppi di bambini: 300
hanno utilizzato un sapone antimicrobico,
300 un sapone normale e 300 non hanno
fatto alcun intervento ed hanno costituito il
gruppo di controllo. Nei 600 bambini oggetto
di intervento si è osservata una diminuzione
del 50% delle polmoniti (in età inferiore a 5
anni) e del 53% degli episodi di tosse, rinite,
infezione delle prime vie aeree (in età inferiore a 15 anni). Anche la diarrea e l’impetigine
sono diminuite nella stessa misura.
Anche una recentissima Cochrane Review 41
Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne?
che ha analizzato 51 RCT ribadisce l’efficacia
del lavaggio delle mani nella prevenzione
della trasmissione delle infezioni virali in tutte
le età, confermando che non è necessario
aggiungere ai comuni saponi delle sostanze
antimicrobiche.
Il ruolo dell’esposizione alle muffe nell’ambiente domestico come fattore di rischio per
le infezioni respiratorie è confermato in una
ampia serie di studi condotti su bambini in
ogni età.
Stark et al. hanno rilevato un incremento spiccato del rischio di infezioni delle basse vie
aeree in una coorte di 499 lattanti (RR = 3,88,
95% CI 1,43-10,52) in presenza di elevati livelli
di spore fungine: Penicillium (RR = 1,73, 95%; CI
1,23, 2,43); Cladosporium (RR = 1,52; CI, 1,02,
2,25), Zygomycetes (RR = 1,96; CI, 1,35, 2,83), e
Alternaria (RR = 1,51; CI, 1,00, 2,28) in casa 42.
Anche per l’otite media è stato recentemente descritto uno stretto rapporto con l’esposizione alle muffe in casa (OR 3,45, 95% CI 1,368,76) in 806 lattanti 43. Spengler et al 44 hanno
studiato 5951 bambini di età compresa tra 8
e 12 anni: la presenza di muffe nell’ambiente domestico determinava un aumento del
rischio di infezione delle vie aeree superiori
(OR 1, 74, 95% CI 1,35, 2,25), catarro persistente (OR 2,46, 95% CI 1,38, 4,38), bronchite (OR
1,70, 95% CI 1,28, 2,27).
La presenza di muffe in casa (e talvolta nelle
scuole) è molto più frequente di quanto si pensi, anche a causa delle tecniche di costruzione moderne che tendono a ridurre drasticamente i ricambi di aria (per motivi di risparmio
energetico) provocando un aumento della
concentrazione di allergeni e di muffe 45.
Concludendo
È possibile pensare ad un complesso di soluzioni che possano ridurre il rischio di IRR, il numero di episodi nel singolo bambino e quindi contribuire ad alleviare l’impatto di questa
condizione così frequente sul bambino, sulla
famiglia e sulla società?
Mi sembra che qualcosa si possa fare, intervenendo su tre livelli:
1. Ad un livello più generale, diciamo di società, è opportuno che la collettività dei
pediatri ponga delle questioni di salute
generale: l’inquinamento atmosferico, la
promozione della cultura dell’allattamento materno, la promozione delle vaccinazioni, la difesa della qualità della vita del
Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne?
bambino e della famiglia che troppo spesso sono subordinate ad esigenze organizzative/lavorative poco rispettose delle necessità di un organismo in evoluzione.
2. A livello dell’intervento sulle famiglie il pediatra può e deve indirizzare la sua azione alla prevenzione dei fattori di rischio
individuali: ancora la promozione dell’allattamento materno, l’attenzione ad una
nutrizione completa e salubre, il ritardo
nell’inserimento in comunità ove possibile,
la puntuale e completa adesione al programma di immunizzazione per le malattie infettive, la costante opera di dissuasione al fumo di sigaretta, i consigli per un
controllo delle condizioni ambientali della casa, in maniera che non favoriscano
l’accumulo di allergeni e muffe.
3. A livello della prevenzione e del trattamento della condizione nel singolo bambino i
cardini sono la protezione dall’esposizione
al fumo di sigaretta, la bonifica della casa
dalle muffe, ove presenti, (principalmente
mediante l’aumento della ventilazione e
l’utilizzo di soluzioni diluite di candeggina),
e l’educazione ad un lavaggio delle mani
frequente ed efficacemente corretto. Si tratta di interventi che in base alle evidenze
della letteratura sono più efficaci, anche
quando presi singolarmente, di qualsiasi
immunomodulatore. E certamente la loro
efficacia è destinata ad essere ancora
maggiore quando utilizzati contemporaneamente nell’ambito di una strategia volta a modificare uno stile e delle condizioni
di vita patogene per il bambino. Un trattamento quindi che poggi su questi 3 pilastri
fondamentali: eliminazione dell’esposizione al fumo passivo, bonifica ambientale
dalle muffe, igiene delle mani corretta.
Da ultimo e solo a complemento di queste
azioni è ipotizzabile, alla luce delle più recenti evidenze, l’utilizzo di un immunostimolante,
da scegliere con oculatezza tra quelli per i
quali esistano dimostrazioni scientifiche di
una qualche efficacia.
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