Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne? Ancora infezioni respiratorie ricorrenti (IRR)? Non se ne può più, la RIAP ne ha scritto di recente, se ne è parlato in qualche congresso e allora vale la pena di tornare sull’argomento? Sì perché si tratta di una patologia “minore” da un punto di vista scientifico ma di elevato impatto sulla qualità di vita del bambino e della sua famiglia (per non dire di quella del pediatra spesso travolto dalla ricorrenza degli episodi), di costi economici globali non irrilevanti e per la quale non abbiamo a disposizione mezzi e strategie di sicura efficacia. Mi è sembrato utile rinverdire l’argomento per provare a proporre un approccio alla prevenzione delle IRR che esca dalla consueta diatriba immunostimolanti sì / immunostimolanti no, sulla quale peraltro Stefano Miceli Sopo ci ha recentemente ed esaurientemente aggiornato dalle pagine di questa rivista. Vi sono dati in letteratura che incoraggiano ad un approccio fondato sulla modificazione dei fattori di rischio ambientali e legati allo stile di vita della famiglia e quindi del bambino, e dopo aver passato in rassegna qualche nozione di base e qualche nuova acquisizione proverò a disegnare un percorso non farmacologico di prevenzione delle IRR. Le definizioni Nell’ambito delle infezioni respiratorie ricorrenti, la specifica definizione di ricorrenza non ha ancora trovato consenso in letteratura mentre è certamente ben definita la ricorrenza in alcune patologie respiratorie specifiche. Ad esempio, nel caso dell’otite media, il criterio di ricorrenza è stabilito per tre episodi in sei mesi o quattro episodi in dodici mesi 1. Inoltre le riniti infettive ricorrenti 2 3 e le faringiti e tonsilliti ricorrenti sono rispettivamente definite per più di cinque e più di tre episodi all’anno 4. Nei bambini è stato proposto, ormai oltre 25 anni fa, un punteggio clinico di valutazione per le IRR che comprende il tipo di episodio infettivo e la durata, le visite pediatriche, la terapia e l’assenza dalla comunità 5. I bambini con un punteggio superiore a 30 punti in 6 mesi sono classificati come IRR. Normalmente si raggiunge tale punteggio con cinque episodi infettivi delle prime vie respiratorie in 6 mesi o 3 episodi delle vie respiratorie inferiori sempre per lo stesso periodo di tempo. Innumerevoli sono le definizioni utilizzate nei numerosissimi studi condotti con immunomodulatori, quasi sempre notevolmente diversi tra loro e di poca utilità nella pratica clinica. 12 Rivista di Immunologia e Allergologia Pediatrica • 02/2008 • 12-19 Luigi Terracciano Struttura Semplice Asma e Malattie Polmonari, Struttura Complessa di Pediatria, Presidio Ospedaliero Macedonio Melloni, Milano [email protected] Più recentemente è stata proposta una definizione che tiene conto del diverso andamento in relazione all’età: sono necessarie 8 o più infezioni respiratorie all’anno nei soggetti di età ≤ 3 anni e 6 o più infezioni respiratorie all’anno nei bambini di età > 3 anni per considerare il paziente affetto da IRR 6.Questo criterio, nella sua semplicità, ha il pregio di fornire un metro di valutazione immediato, ben condivisibile con i genitori, facile da monitorare per il pediatra di famiglia. Nonostante tutto comunque manca in letteratura, per le infezioni respiratorie, una definizione di ricorrenza che abbia trovato unanimi consensi. Epidemiologia Le IRR delle alte e delle basse vie in età pediatrica costituiscono un problema di sanità pubblica in relazione alla loro frequenza. Nei paesi occidentali, più del 25% dei bambini entro il primo anno di vita e il 18% di quelli con età compresa fra 1 e 4 anni sono soggetti a IRR 7. Si tratta di una vera e propria epidemia che, per la prevalente modesta severità dei singoli episodi, non trova sempre adeguata considerazione da parte del pediatra. Se proviamo a considerare il punto di vista della famiglia che si trova a dover affrontare un numero di 10-12 episodi infettivi concentrati di solito nel periodo settembre/aprile alcune delle nostre convinzioni sulla banalità del problema vacillano. E infatti le IRR non sono solo responsabili di una comunque significativa morbilità, ma anche frequente causa di perdita di giornate lavorative dei genitori, e inducono costi diretti e indiretti per l’assistenza del bambino malato: nella Tabella I a titolo di esempio sono riportati i dati di uno studio australiano di recente pubblicazione. Le IRR sono infine responsabili di oltre un terzo delle assenze scolastiche 8. Tab. I. Sebbene gli agenti eziologici responsabili delle IRR siano identificabili solo occasionalmente, i virus respiratori risultano gli agenti causali più frequenti. I virus più frequentemente coinvolti nelle IRR sono il Virus Respiratorio Sinciziale (VRS), gli adenovirus, i virus influenzali e parainfluenzali. I batteri sono meno comunemente rappresentati nelle IRR ma, ove presenti, si tratta di Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, Klebsiella pneumoniae e Streptococcus pyogenes 10-12. Le IRR sono usualmente autolimitantesi ma possono talora complicarsi con la comparsa di otiti medie, sinusiti ed infezioni broncopolmonari 13-15. Il coinvolgimento secondario di tali sedi può essere causato sia da batteri che da virus anche nel caso delle otiti medie che sono state, per troppi anni, erroneamente considerate a quasi esclusiva eziologia batterica 16. Fattori di rischio Nei paesi industrializzati, i classici fattori di rischio indicati dal WHO (World Health Organization) sono la malnutrizione, il basso peso alla nascita, la mancanza di allattamento materno 17, l’inquinamento outdoor ed indoor, il basso livello socio-economico, la scarsa igiene, le immunodeficienze, il mancato rispetto del calendario vaccinale consigliato, l’atopia, la frequenza in comunità 18. Anche il fumo passivo è sicuramente da considerare un fattore di rischio. I bambini esposti al fumo passivo hanno un maggior rischio di infezioni respiratorie delle basse vie aeree nel primo anno di vita 19 e delle alte e basse vie nelle età successive 20-22. Nella Tabella II l’impatto del fumo passivo sulla salute respiratoria dei bambini italiani 23. Tab. II. Ruolo del fumo passivo sulla salute respiratoria del bambino in Italia. Patologia Principali cause dei costi diretti e indiretti nelle IRR . 9 Durata media di ogni infezione respiratoria: 10,4 giorni 46,7 visite mediche/100 episodi 19,7 cicli di antibioticoterapia/100 episodi Numero di casi stimati Infezioni vie aeree < 2 anni 77.000 Asma 27.000 Sintomi respiratori cronici 48.000 Otite media sierosa 64.000 2,2 ricoveri/100 episodi Circa 11,7 h utilizzate per accudire il bambino malato/ episodio Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne? Sembra che i bambini con IRR abbiano, almeno in alcuni casi, una maggiore frequenza di 13 episodi, rispetto ai controlli, anche per lunghi periodi di tempo. Questo potrebbe essere indotto dal fatto che la maggior parte dei fattori di rischio è di tipo costituzionale o comunque di natura durevole ed inoltre è esperienza comune che nella maggior parte dei bambini con IRR siano presenti contemporaneamente più di un fattore di rischio. In un lavoro scandinavo, Soderstrom, osservando in un breve follow-up un gruppo di bambini in età prescolare che presentava elevata frequenza di IRR, ha dimostrato che tale situazione tendeva a mantenersi significativa nei bambini con IRR (gruppo a), durante il periodo di osservazione, rispetto ad un gruppo di controllo (gruppo b) 24 (Tab. III). Tab. III. Prevalenza delle IRR da 2 a 8 anni. Età IRR n. episodi Controlli p 2 anni 6,2 1,4 < 0,001 7 anni 3,1 1,2 < 0,01 8 anni 2,4 0,8 < 0,05 Questa maggiore suscettibilità agli episodi infettivi sembra durare anche in età successive: Rovers et al., in Olanda, hanno proposto ad una coorte di pazienti un questionario in due tempi diversi: a 2 e 21 anni di età 25. Il questionario era centrato sul numero di IRR e le terapie antibiotiche praticate. Il 23% dei pazienti che avevano presentato IRR avevano ancora all’età di 22 anni una ricorrenza significativa di episodi respiratori. Anche il bambino con allergia respiratoria, in virtù della persistente flogosi delle vie aeree, sembra essere più soggetto alle IRR rispetto al bambino non allergico 26: nello studio di Ciprandi et al. i bambini allergici hanno mostrato un numero significativamente più alto e di maggiore durata rispetto al gruppo dei non allergici. La durata media degli episodi era di quasi 9 giorni e questo dato è particolarmente impressionante in quanto accoppiato all’elevata frequenza tipica degli episodi di IRR nella stagione autunno-invernale configura per diversi pazienti quasi un continuum di sintomi particolarmente impegnativo per il bambino e la famiglia. Anche uno studio condotto da autori norvegesi dimostra lo stretto legame tra malattie atopiche (asma e rinocongiuntivite diagnosticate da un medico) e l’aumento del rischio di infezioni a carico delle vie aeree 27. 14 Alcuni fattori di rischio ipotizzati per IRR, come la presenza dell’Helicobacter pylori nella mucosa gastrica, non sono stati confermati 28. Tutti i fattori presi in considerazione sono di fatto quelli in gioco in tutta l’epidemiologia delle infezioni respiratorie nell’insieme della popolazione pediatrica e non sono quindi limitati alla popolazione dei “bambini vulnerabili”. In realtà sappiamo che la maggior parte dei bambini con IRR non si ammala d’estate ma sappiamo anche che il bambino ”veramente vulnerabile” può ammalarsi anche in assenza di cause ambientali riconoscibili, può continuare ad ammalarsi anche quando interrompe la frequenza alla scuola materna e non è indenne da infezioni neppure d’estate. Non possiamo non prendere in considerazione l’impatto che le IRR, ed in particolare le faringiti e le otiti medie, hanno sulla qualità di vita dei bambini in età prescolare e delle loro famiglie. Infatti proponendo un questionario a genitori di bambini fra uno e cinque anni di età, che riferivano faringiti e otiti medie frequenti, si è osservato che lo score TAPQOL, espressione della qualità di vita, non era influenzato da età, sesso, o condizioni socioeconomiche ma dipendeva dalla frequenza degli episodi, dalla febbre, dal numero di giorni persi in comunità e, per le otiti medie, dall’otalgia 29. In conclusione possiamo affermare che sono numerosi i fattori di rischio costituzionali e ambientali per le IRR, ma il peso di ciascuno di essi nel determinare la condizione è probabilmente diverso di caso in caso: accanto a rari casi in cui un singolo fattore predomina nettamente sugli altri, molto spesso si osserva comunemente nella pratica clinica una vera e propria costellazione di fattori, che richiederebbe un approccio globale, nel tentativo di modificare il livello di rischio. E l’immunità? Ogni malattia infettiva, comprese quelle a carico dell’apparato respiratorio, è la risultante di uno squilibrio critico tra l’agente infettante e le difese dell’ospite. Ma il bambino ha un sistema immunologico del tutto peculiare. Nato “vergine”, questo sistema non solo è subito chiamato ad affrontare gli stimoli immunologici, ma ne ha in Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne? qualche modo bisogno per potere crescere e maturare. Il processo evolutivo inizia con le prime esperienze di contatto con gli agenti (nutrienti, allergeni, mediatori) offerti dal latte materno, e procede con i contatti con gli agenti infettivi, siano essi o no patogeni: virus, batteri, miceti. Di questi un appropriato carico è probabilmente necessario, mentre un eccesso potrebbe mettere a rischio l’intero equilibrio immunologico. Il sistema immunologico del neonato/lattante è non solo inesperto ma anche parzialmente immaturo: ciò significa che, quando cimentato con un patogeno per la prima volta, per montare una risposta efficiente contro una aggressione batterica o virale, esso impiega più tempo di quanto farebbe in età giovane-adulta, anche per la naturale assenza di immunità specifica anamnestica. Dunque, la causa della vulnerabilità del bambino è – come è evidente – nel suo stesso essere bambino, organismo in crescita che impara ammalando. Ma esistono cause immunologiche, diverse dalla fisiologica lieve immaturità, per spiegare perché alcuni bambini si ammalano più spesso di altri? Ancora controverso rimane il problema di quando eseguire accertamenti immunologici nel bambini con IRR 30 31. Esistono delle specifiche situazioni in cui un’immunodeficienza deve essere obbligatoriamente sospettata e ricercata (Tab. IV) in qualsiasi bambino e non solo in quelli con IRR. Tab. IV. Criteri di sospetto per immunodeficienza in bambino con IRR. Familiarità per immunodeficienza Consanguineità nei genitori Presenza di fattori di rischio per immunodeficienza acquisita Scarso accrescimento associato al quadro di infezioni ricorrenti Infezioni gravi e recidivanti che si manifestano anche in apparati diversi dal respiratorio Tonsille, linfonodi, e timo ipoplastici malgrado le infezioni Agenti patogeni atipici od opportunisti Infezioni resistenti alle terapie convenzionali Candidosi muco-cutanea ricorrente o cronica Ma esiste un identikit immunologico del bambino vulnerabile, che presenta le IRR? La maggior parte dei bambini con IRR non Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne? hanno immunodeficienza 32. Sono stati individuati comunque, in un minimo numero di bambini con IRR, sia deficit dell’immunità cellulomediata 33 che umorale 34. Sono stati proposti come possibili fattori favorenti le infezioni ricorrenti con evoluzione severa, anche deficit dell’immunità naturale 35. Sono state recentemente segnalate 36 37 alcune associazioni tra deficit immunologici “minori” ed IRR ma dal punto di vista della gestione pratica è opportuno ricordare ancora una volta che nella assoluta maggioranza dei casi i bambini con IRR non hanno una immunodeficienza, che va ricercata solo nei casi riportati nella Tabella IV. Come si può intervenire Le indicazioni terapeutiche per un bambino con IRR non si possono riassumere in una prescrizione farmacologica, sulla cui efficacia è lecito avere un atteggiamento cauto sebbene comincino ad essere disponibili in letteratura delle evidenze promettenti 38. Ciascun bambino presenta una combinazione squisitamente personale di alcuni dei fattori di rischio esposti precedentemente e il primo passo dovrebbe essere un’accurata ricognizione delle condizioni in gioco in ciascun singolo caso, per poi ideare una strategia volta a modificare lo stile di vita della famiglia e ridurre conseguentemente il rischio di IRR. Nella Tabella V sono elencati i fattori di rischio per IRR come elencati dalla WHO, e le possibilità di intervento: per intervento generale intendo quelle azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, di educazione sanitaria, di diffusione di una cultura della salute che certamente sono a carico delle società pediatriche e dei pediatri intesi come comunità, attraverso prese di posizione che si auspicano forti (e penso ad esempio al problema dell’inquinamento atmosferico che induce tra i vari danni alla salute uno spiccato incremento del numero di infezioni respiratorie, alla disponibilità di comunità per l’infanzia non sovraffollate e con condizioni ambientali salubri, ad una cultura delle vaccinazioni che sfugga alle derive “naturalistiche”) ma che possono e devono trovare nei comportamenti e nell’impegno dei singoli un momento forte e condiviso. 15 Tab. V. Condizioni di rischio per IRR e possibilità di intervento per il pediatra. Condizione di rischio Intervento individuale Intervento generale Malnutrizione Sì Sì Basso peso alla nascita No No Mancanza di allattamento materno No Sì Inquinamento outdoor Sì Sì Inquinamento indoor Sì Sì Basso livello socio-economico No No Scarsa igiene Sì Sì Immunodeficienze No No Mancato rispetto del calendario vaccinale No Sì Atopia No No Frequenza in comunità Sì Sì Se ci riferiamo alla prevenzione/terapia, intesa come modificazione dei fattori di rischio delle IRR condotta sul singolo bambino, alcune condizioni sono evidentemente non correggibili: il basso peso alla nascita, l’atopia, la mancanza di allattamento materno, il basso livello socio-economico, il mancato rispetto del calendario vaccinale sono condizioni “storiche” e non modificabili una volta che la condizione sia in atto. La malnutrizione intesa sia in senso quantitativo che qualitativo rientra pienamente tra le competenze del pediatra ed è un tema al quale dedichiamo già tutti molta attenzione. Qualche consiglio sull’inquinamento outdoor, come ad esempio evitare di portare il bambino vicino alle arterie stradali ad elevata intensità di traffico rientra già nel counseling abitualmente eseguito ed anche l’azione di contrasto all’esposizione al fumo passivo da parte dei genitori, dei nonni, e di altri adulti fa parte abituale (o almeno tutti lo speriamo) dell’attività di prevenzione di un buon pediatra. La frequenza in comunità è un aspetto che ha diversi risvolti: certamente la decisione di inserire il bambino in comunità, a volte fin dai primi mesi di vita, dipende da fattori familiari sui quali il pediatra non ha molte possibilità 16 di intervento, se non quella di aiutare i genitori senza eccessi di invadente personalismo, ad individuare possibili soluzioni alternative. Ci sono due fattori però che solitamente trascuriamo e che hanno invece un impatto forte sul rischio di IRR, e che possono essere applicati sia in comunità che in ambiente domestico: la scarsa igiene delle mani e l’esposizione alle muffe. Le modalità di trasmissione degli agenti patogeni sono diverse e sostanzialmente riconducibili a tre principali modalità: contatto diretto, aerosolizzazione, goccioline di Flugge. Le mani divengono il veicolo privilegiato di quasi tutti gli agenti infettivi, in quanto anche i germi diffusi per via aerea (aerosol e goccioline) tendono a ricadere sulle superfici contaminandole e quando con le mani tocchiamo oggetti e superfici contaminate le carichiamo di microrganismi patogeni. Inoltre alcune abitudini (mettere le mani in bocca, nel naso, stropicciarsi gli occhi, mettere la mano davanti alla bocca quando si starnutisce o si tossisce) sono un’ulteriore ovvia fonte di diffusione e trasmissione dei germi dal bambino malato all’ambiente e viceversa. Sono stati condotti numerosi studi per valutare l’efficacia del lavaggio delle mani nella prevenzione delle infezioni ricorrenti, comprese quelle a carico dell’apparato respiratorio. Una recente review 39 riassume i risultati di 5 studi condotti negli Usa: in un campione totale di 7798 scolari le assenze scolastiche a causa di infezioni trasmissibili hanno avuto una riduzione compresa tra il 20 ed il 56% in seguito all’introduzione nelle scuole di un programma di educazione al lavaggio delle mani con soluzioni antimicrobiche non alcoliche. Nel 2005 uno studio 40 condotto in Pakistan sull’efficacia del lavaggio delle mani nella prevenzione delle infezioni trasmissibili (diarrea, polmonite, infezioni delle prime vie aeree) ha valutato 3 gruppi di bambini: 300 hanno utilizzato un sapone antimicrobico, 300 un sapone normale e 300 non hanno fatto alcun intervento ed hanno costituito il gruppo di controllo. Nei 600 bambini oggetto di intervento si è osservata una diminuzione del 50% delle polmoniti (in età inferiore a 5 anni) e del 53% degli episodi di tosse, rinite, infezione delle prime vie aeree (in età inferiore a 15 anni). Anche la diarrea e l’impetigine sono diminuite nella stessa misura. Anche una recentissima Cochrane Review 41 Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne? che ha analizzato 51 RCT ribadisce l’efficacia del lavaggio delle mani nella prevenzione della trasmissione delle infezioni virali in tutte le età, confermando che non è necessario aggiungere ai comuni saponi delle sostanze antimicrobiche. Il ruolo dell’esposizione alle muffe nell’ambiente domestico come fattore di rischio per le infezioni respiratorie è confermato in una ampia serie di studi condotti su bambini in ogni età. Stark et al. hanno rilevato un incremento spiccato del rischio di infezioni delle basse vie aeree in una coorte di 499 lattanti (RR = 3,88, 95% CI 1,43-10,52) in presenza di elevati livelli di spore fungine: Penicillium (RR = 1,73, 95%; CI 1,23, 2,43); Cladosporium (RR = 1,52; CI, 1,02, 2,25), Zygomycetes (RR = 1,96; CI, 1,35, 2,83), e Alternaria (RR = 1,51; CI, 1,00, 2,28) in casa 42. Anche per l’otite media è stato recentemente descritto uno stretto rapporto con l’esposizione alle muffe in casa (OR 3,45, 95% CI 1,368,76) in 806 lattanti 43. Spengler et al 44 hanno studiato 5951 bambini di età compresa tra 8 e 12 anni: la presenza di muffe nell’ambiente domestico determinava un aumento del rischio di infezione delle vie aeree superiori (OR 1, 74, 95% CI 1,35, 2,25), catarro persistente (OR 2,46, 95% CI 1,38, 4,38), bronchite (OR 1,70, 95% CI 1,28, 2,27). La presenza di muffe in casa (e talvolta nelle scuole) è molto più frequente di quanto si pensi, anche a causa delle tecniche di costruzione moderne che tendono a ridurre drasticamente i ricambi di aria (per motivi di risparmio energetico) provocando un aumento della concentrazione di allergeni e di muffe 45. Concludendo È possibile pensare ad un complesso di soluzioni che possano ridurre il rischio di IRR, il numero di episodi nel singolo bambino e quindi contribuire ad alleviare l’impatto di questa condizione così frequente sul bambino, sulla famiglia e sulla società? Mi sembra che qualcosa si possa fare, intervenendo su tre livelli: 1. Ad un livello più generale, diciamo di società, è opportuno che la collettività dei pediatri ponga delle questioni di salute generale: l’inquinamento atmosferico, la promozione della cultura dell’allattamento materno, la promozione delle vaccinazioni, la difesa della qualità della vita del Le infezioni respiratorie ricorrenti: vale ancora la pena parlarne? bambino e della famiglia che troppo spesso sono subordinate ad esigenze organizzative/lavorative poco rispettose delle necessità di un organismo in evoluzione. 2. A livello dell’intervento sulle famiglie il pediatra può e deve indirizzare la sua azione alla prevenzione dei fattori di rischio individuali: ancora la promozione dell’allattamento materno, l’attenzione ad una nutrizione completa e salubre, il ritardo nell’inserimento in comunità ove possibile, la puntuale e completa adesione al programma di immunizzazione per le malattie infettive, la costante opera di dissuasione al fumo di sigaretta, i consigli per un controllo delle condizioni ambientali della casa, in maniera che non favoriscano l’accumulo di allergeni e muffe. 3. A livello della prevenzione e del trattamento della condizione nel singolo bambino i cardini sono la protezione dall’esposizione al fumo di sigaretta, la bonifica della casa dalle muffe, ove presenti, (principalmente mediante l’aumento della ventilazione e l’utilizzo di soluzioni diluite di candeggina), e l’educazione ad un lavaggio delle mani frequente ed efficacemente corretto. Si tratta di interventi che in base alle evidenze della letteratura sono più efficaci, anche quando presi singolarmente, di qualsiasi immunomodulatore. E certamente la loro efficacia è destinata ad essere ancora maggiore quando utilizzati contemporaneamente nell’ambito di una strategia volta a modificare uno stile e delle condizioni di vita patogene per il bambino. Un trattamento quindi che poggi su questi 3 pilastri fondamentali: eliminazione dell’esposizione al fumo passivo, bonifica ambientale dalle muffe, igiene delle mani corretta. Da ultimo e solo a complemento di queste azioni è ipotizzabile, alla luce delle più recenti evidenze, l’utilizzo di un immunostimolante, da scegliere con oculatezza tra quelli per i quali esistano dimostrazioni scientifiche di una qualche efficacia. Bibliografia 1 2 Teele DW, Klein JO, Rosner B. Epidemiology of otitis media during the first seven years of life in children in greater Boston: a prospective, cohort study. J Infect Dis 1989;160:83-94. 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