LA DIGA DI GIMIGLIANO
Pensata come una delle dighe più grandi d’Europa e costata centinaia di milioni di euro per poi non essere mai stata
realizzata. La diga di Gimigliano doveva essere una costruzione pensata per ospitare la più grande riserva d’acqua
della Calabria, e del meridione intero. Per decenni il progetto della diga ha acceso le fantasie degli abitanti del
catanzarese, attratti dalla prospettiva di centinaia di posti di lavoro per la manodopera e dalla costruzione di una
delle più imponenti dighe d'Europa. Con un'altezza di 108 metri e una capacità di 100 milioni di metri cubi d'acqua, il
lago artificiale del Melito sarebbe dovuto diventare una risorsa fondamentale per rilanciare il territorio e,
soprattutto per risolvere il sempre più pressante problema dell'approvvigionamento idrico, riuscendo a servire circa
50 comuni delle province di Catanzaro e Vibo Valentia e coprire, azzardò qualcuno, l'intero fabbisogno idrico
calabrese. Nella realtà, in quasi 40 anni, la costruzione della struttura ha subito diverse battute d'arresto, che ne
hanno prima rallentato i lavori e poi totalmente annichilito la realizzazione, con una dispersione di denaro pubblico
che ammonta a quasi 190 milioni di euro, e una percentuale di lavori eseguiti ferma ancora al tredici per cento.
"Il più grande cantiere del Sud" alla fine è diventato la più grande e dispendiosa opera mai consegnata della storia
della Calabria, in una regione che, stando ai dati diffusi del ministero delle Infrastrutture, detiene il primato delle
opere incompiute sul territorio nazionale. La storia di come sia stato possibile spendere questi soldi senza riuscire a
portare a termine neppure un quinto del progetto è piuttosto contorta: è una specie di mistero. Andiamo alla genesi
dell’opera: la parola "diga" ha cominciato a circolare dalle parti di Gimigliano attorno al 1978, anno in cui il progetto
è stato incluso in un programma della Cassa per il Mezzogiorno. Quattro anni dopo sono stati stanziati 503 miliardi di
lire per la sua realizzazione, e i lavori affidati al Consorzio di Bonifica Alli Punta di Copanello, oggi Consorzio di
Bonifica Ionio Catanzarese. È a quel punto che si è cominciato a deformare molto lentamente l'area, a scavare un po'
di terra e a perforare qualche collina. Ed è a quel punto che il lago è stato ottimisticamente inserito nelle mappe
stradali e nelle cartine turistiche, ancor prima di essere consegnato. Tuttavia, da lì in poi i lavori sono proseguiti a
rilento, fino a quando nel 1993 le macchine sono state fermate su disposizione del ministero dell'Ambiente a causa
di una "valutazione d'impatto ambientale carente." Italstrade, ditta che si era aggiudicata la costruzione dell'opera
nel 1990 per 97,4 milioni, abbandona il cantiere: la Calabria si ritrova un buco nel proprio cuore, riempito da
automezzi arrugginiti, rendering e terra mossa. Ci sono voluti quasi dieci anni prima che la Cassazione, nel 2001,
sbloccasse la faccenda e decidesse che l'unico vero titolare del progetto era il Consorzio di Bonifica dello Jonio
Catanzarese, diretto dal figlio dell'ex presidente dello stesso Consorzio Grazioso Manno. I lavori, a quel punto, sono
sembrati ripartire sotto la spinta del governo Berlusconi, che mette a disposizione 500 miliardi di lire (262 milioni di
euro). In questa fase la previsione di consegna dell'opera era stata fissata per dicembre 2009, ed il suo costo
complessivo ammontava a 167 milioni. Rilanciata per l'ennesima volta, l'esecuzione dei lavori è stata poi affidata alla
ditta Astaldi (che nel contempo aveva inglobato Italstrade), che dopo aver firmato un contratto col Consorzio, nel
2007 decide di sollevare i primi dubbi sulla resistenza strutturale dell'opera e richiedere la perizia di un collegio
arbitrale. La sentenza dell'arbitrato sarà piuttosto netta: l'opera, così com'era stata progettata, non avrebbe mai
retto all'impatto dell'acqua e all'alta sismicità della zona, specie per quanto riguarda la stabilità della spalla destra.
Ignorando totalmente la sentenza, nel 2008 il Consorzio ha poi rescisso il contratto con Astaldi, indennizzandola con
altri 37 milioni di euro, e riappaltato la costruzione dell'opera ad un’altra ditta: la romana Safab, col compito di
portare a casa alcuni interventi minori "a sviluppo ridotto" nella speranza, ormai quasi vana, di completare l'opera
entro il 2010, poi entro il 2015. Il costo del riappalto sarà di altri 19 milioni aggiuntivi. Tra lavori che partono a
singhiozzo e proclami di pronta consegna, passa poco tempo prima che arrivi un'informativa antimafia del prefetto di
Roma sulla presunta esistenza di rapporti fra i vertici della Safab ed il gelese Sandro Missuto (arrestato nel 2009 con
l'accusa di aver operato come prestanome per il boss Daniele Emmanuello). Sarà il colpo di grazia: infatti la favola
della costruzione della diga più grande d’Europa, terminò lì. Parallelamente, il presidente del Consorzio, Manno,
viene coinvolto in una lunga vicenda giudiziaria e accusato di assumere personale proprio mentre i lavori erano
sospesi. Si narra che le risorse attorno a quest'opera sarebbero state spese per scopi clientelari e per motivare
assunzioni non effettivamente necessarie, teoria tuttavia smontata dal tribunale. Manno alla fine è stato accusato
semplicemente di abuso d'ufficio per le assunzioni ingiustificate. Faccenda chiusa, malgrado l'assunzione a livelli
apicali, e persino il trasferimento in Regione Calabria per alcuni, di personale sostanzialmente superfluo per un'opera
ferma al palo da sempre. Curioso il fatto che, qualche tempo più tardi, Manno verrà poi rinviato a giudizio dalla
Procura della Repubblica di Catanzaro per un'altra vicenda nella quale, secondo l’accusa, sarebbe coinvolto
nell'assegnazione di appalti truccati per il riammodernamento della sede del Consorzio, a Catanzaro.
Qual è il ruolo dei diversi soggetti intervenuti nel processo decisionale? Quindi burocrazia, politici, tecnici, gruppi di
interesse locale, gruppi d'interesse di tipo privato e imprenditoriale?
POLITICA:
Sin dagli albori del progetto, nel 1978, la politica svolse un ruolo di fondamentale importanza: inserì infatti l’opera
nel programma della cassa del mezzogiorno. Nel 1982, favoriti dal finanziamento del governo di 503 miliardi di lire, i
lavori presero il via. L’incarico venne affidato al consorzio di bonifica Alli Punta di Copanello (oggi Jonio-Catanzarese).
La costruzione ebbe però una fase di arresto nel 1993 in quanto il Ministero dell’Ambiente bloccò i lavori per una
mancata valutazione d’impatto ambientale. Nel 2001, su esito della cassazione, i lavori ripartirono, grazie anche ai
finanziamenti del governo Berlusconi che mise a disposizione 500 miliardi delle vecchie lire. Potremmo quindi dire
che, in questo contesto di confusione e di conflitto di interessi, i governi che si sono succeduti hanno sempre
ritenuto valida la costruzione della diga.
TECNICI:
Malgrado le perizie dei tecnici professionisti siano fondamentali al fine della progettazione dell’opera, in questo caso
il peso che gli è stato attribuito possiamo considerarlo scarso: infatti, negli anni successivi, il cantiere subì molteplici
arresti proprio per il mancato studio dei diversi fattori, sia fisici che ambientali. Per andare nello specifico, nel 1993,
dopo soli tre anni dall’inizio della costruzione dell’opera, i lavori vennero bloccati su disposizione del Ministero
dell’Ambiente a causa di una mancata valutazione d’impatto ambientale che la diga poteva avere sul territorio
circostante. Anche nel 2003 le scarse previsioni di resistenza strutturale dell’opera, oltre che dell’alta sismicità del
territorio calabro, portarono ad un’interruzione del cantiere.
GRUPPI DI INTERESSE LOCALE:
In questo frangente, il progetto prevedeva che gli abitanti della zona venissero trasferiti altrove e, quindi,
indennizzati. Tuttavia, non tutte le abitazioni vennero espropriate a causa del repentino blocco dei lavori (dopo
appena tre anni dall’inizio). Altri invece hanno contestato il mancato risarcimento da parte del consorzio riuscendo
però in seguito a percepire il proprio indennizzo, grazie alle numerose cause vinte. In questo caso quindi il disastro di
pianificazione territoriale non deriva per nulla da contestazioni di tipo ambientale ed ecologico: la diga era un bene
ritenuto necessario per tutti. Costruire un’opera del genere significava, oltre al beneficio in sé della funzione che
aveva, creare centinaia di posti di lavoro e rilanciare l’economia agricola catanzarese.
GRUPPI DI INTERESSE DI TIPO PRIVATO:
Essi giocano un ruolo decisivo nella vicenda di uno dei più grandi disastri italiani di pianificazione. Nel 1990, in
seguito alla gara d’appalto indetta otto anni prima da parte del consorzio, Italstrade si aggiudicò il cantiere. Dopo la
vicenda sollevata dal Ministero dell’Ambiente, nel 2001 finalmente ripartirono i lavori sotto Astaldi. Tuttavia fu
l’inizio di un altro calvario burocratico, infatti Astaldi, nel 2007, decise di sollevare i primi dubbi in merito alla
resistenza strutturale dell’opera e della sua spalla destra, richiedendo una perizia da parte di un collegio arbitrale. La
sentenza fu netta e diede ragione ad Astaldi, in quanto l’opera, così come era stata progettata, non avrebbe mai
retto all’impatto dell’acqua (100 milioni di metri cubi) e all’alta sismicità del territorio Catanzarese.
GRUPPI DI INTERESSE DI TIPO IMPRENDITORIALE
Il gruppo imprenditoriale che si prese carico della costruzione della diga fu il Consorzio di Bonifica Jonio-Catanzarese,
con a capo Manno. Secondo le loro previsioni, la diga avrebbe cessato la “sete” dei 50 comuni limitrofi, di tutta la
provincia di Catanzaro e anche di Vibo Valentia, oltre che quella delle centinaia di aziende agricole che lamentavano
la scarsa quantità di acqua. La costruzione della diga, per il consorzio, era quindi di fondamentale importanza, anche
se ad oggi, viste le numerose vicissitudini legate alla costruzione della stessa, non sono ancora chiare quali siano le
reali intenzioni del consorzio; lo stesso Manno venne infatti condannato qualche anno più tardi per abuso d’ufficio, a
causa delle numerose assunzioni malgrado non fossero necessarie (se ne contano più di 300).
Qual è il ruolo delle conoscenze utilizzate nel processo decisionale dai diversi soggetti?
Il fattore che determina la riuscita o meno di un’opera in generale è sicuramente la capacità degli individui che vi
lavorano di saper applicare le proprie conoscenze in uno scenario di sviluppo del progetto: in sostanza, il corretto
progresso dell’opera presuppone che si impieghino delle spiccate qualità organizzative e manageriali, corredate da
una perfetta conoscenza della materia che si tratta. Il questo caso il ruolo che hanno avuto le conoscenze è stato,
potremmo dire, marginale o, comunque, sottovalutato: non sono state effettuate le giuste analisi e non si ha avuto
la dovuta accuratezza nel prevenire eventuali future problematiche che, infatti, si sono presentate. Il cantiere si
fermò più volte per le mancate analisi sia di impatto ambientale che di capacità strutturale della diga. E non si può
dire che le problematiche che si sono presentate erano del tutto sconosciute o, addirittura, impensabili nella fase
embrionale del progetto: una quantità d’acqua di cento milioni di metri cubi, distribuita su una colonna d’acqua di
oltre cento metri, non poteva non destare dubbi sufficienti per sostenere delle altre verifiche. A testimonianza di
questo, vi è il risarcimento danni di cui ha beneficiato Astaldi nei confronti del Consorzio di Manno. Vi erano inoltre
dubbi sull’effettiva resistenza, della spalla destra della diga, alla forza a cui era sottoposto. Senza mettere inoltre in
conto, come abbiamo già detto, l’alta sismicità della zona.
CONCLUSIONI
In totale sono una dozzina i laghi artificiali mai completati, non agibili, o i cui lavori non sono mai effettivamente
cominciati. Per la diga in questione, sono stati stanziati 25 milioni di euro solamente per spostare un intero abitato e
far posto, quindi, all'acqua. Alcuni degli espropriati rivendicano ancora dei pagamenti, secondo il segretario della
CGIL. Alla fine mancheranno all'appello circa 187 milioni di euro, serviti a finanziare espropri, indennizzi, riappalti, e a
delle opere di mantenimento di un paio di gallerie. Eppure gli espropriati non sono gli unici a reclamare un pezzo di
ciò che gli spetta: centinaia di lavoratori assunti per completare il cantiere si sarebbero poi trovati senza lavoro o in
cassa integrazione: hanno persino vinto cause in tribunale, ma non sono mai stati neanche reintegrati sul posto di
lavoro, mentre nel frattempo altri sono stati assunti dal Consorzio e sono stati confermati a vari livelli.
Dopo 50 anni dall’inizio di questa favola, ormai ci credono in pochi, anche i cittadini stessi ormai dicono 'sì, va be',
figuriamoci'. C'è qualche stralcio di giornale che dice “L'opera sarà appaltata”, “Stiamo lavorando, sarà un volano per
l'economia”, ma né la regione Calabria né il ministero la collocano fra le opere strategiche. Malgrado lo scetticismo
tangibile, la faccenda del lago Azzurro è comunque riaffiorata nel dibattito nelle ultime settimane, dopo che da più
parti è stato chiesto che l'opera venisse inserita nel decreto Sblocca Italia prima, e nello Sblocca Cantieri poi. Nel
2015, come ultimo disperato tentativo, i sindaci della zona hanno deciso di coinvolgere il presidente regionale Mario
Oliverio, che, espletato il rito del sopralluogo in zona, ha deciso di portare la questione direttamente all'attenzione
del ministro delle Infrastrutture Del Rio, per capire se il progetto del lago artificiale di Gimigliano può avere ancora
un futuro, anche se ad oggi il ministero non ha saputo fornire alcuna risposta in merito. Di storie come quella della
diga del Melito sono piene le cronache e i reportage indignati, e non è certo l'unica, o l'ultima, vicenda che coinvolge
dispersione di fondi pubblici, malaffare, occupazione del territorio e progetti miliardari incompiuti. Tuttavia,
accettare pacificamente che centinaia di milioni finiscano in un buco costruito poco e male, senza che nessuno possa
dire effettivamente come, forse non è poi la cosa più naturale del mondo.