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manuale pratico contattologia - completo

annuncio pubblicitario
I.P.
ISBN: 978-88-98320-04-2
MANUALE PRATICO
DI CONTATTOLOGIA
Copia n. 1/300
Di questa pubblicazione sono state stampate 300 copie numerate
Manuale pratico di contattologia
Coordinatore scientifico
Luigi Mele
Autori
Stefano Aquilini
Ottico applicatore - Salmoiraghi & Viganò Milano
Stefano Barabino
Medico Oculista - Clinica Oculistica, Di.N.O.G.M.I., Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino-IST e
Centro Oculistico MAG Medica Sanremo
Barbara Kusa
Medico Oculista - CMA (Centro Microchirurgia Ambulatoriale) e CAM (Centro Analisi Monza) Monza
Danilo Mazzacane
Medico Oculista ambulatoriale territoriale
Azienda Ospedaliera Melegnano e Pavia
Luigi Mele
Medico Oculista - Dipartimento di Oftalmologia Seconda Università di Napoli
Massimiliano Serafino
Medico Oculista - Clinica Oculistica Universitaria
Ospedale San Giuseppe - Gruppo Multimedica - Università degli Studi di Milano
Nota sugli autori: i medici oculisti sono membri dell'Advisory Board - Centro Studi Salmoiraghi & Viganò
Coordinamento scientifico: Luigi Mele
Publicomm Srl
Via Domenico Cimarosa 55R
17100 Savona
Stampa: Marco Sabatelli E.
Via Servettaz 39
17100 Savona
"Questo libro è stampato su carta certificata FSC®.
Il logo FSC® identifica prodotti che contengono carta
proveniente da foreste gestite secondo i rigorosi standard
ambientali, economici e sociali definiti dal Forest Stewardship Council®."
Finito di stampare maggio 2014
ISBN: 978-88-98320-04-2
Copyright: 2014
Il contenuto della presente pubblicazione non è riproducibile in tutto o in parte
ed è di proprietà esclusiva del Centro Studi S&V che ne effettuerà utilizzi
di attività divulgativa e formativa senza perseguire alcun scopo di lucro.
Manuale pratico di contattologia
Prefazione
Nell’ultimo decennio, grazie in particolar modo all’azione della Società Oftalmologica Italiana e
della Società Italiana di Contattologia Medica, la contattologia è entrata a far parte del bagaglio
formativo e culturale dei medici oculisti.
La gestione del paziente contattologico, dalla idoneità all’uso delle lenti a contatto alla prevenzione
e al trattamento delle complicazioni, passando dalla selezione del tipo di lente e della modalità
di manutenzione, è di piena competenza del medico oculista.
Anche in quest’area dell’oftalmologia c’è una forte innovazione e poter disporre di strumenti
aggiornati e rapidi di consultazione è molto utile per garantire al paziente il trattamento più
adeguato e i prodotti più innovativi.
Il Manuale Pratico di Contattologia coordinato da Luigi Mele è lo strumento adatto per trovare
le informazioni necessarie alla pratica quotidiana della contattologia medica, filtrate attraverso le
conoscenze e l’esperienza degli Autori.
Prof. Pasquale Troiano
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Presentazione
Gentile Dottore,
l’attività editoriale del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò, avviata recentemente con la pubblicazione
dedicata alle Lenti Oftalmiche, prosegue con questa iniziativa dedicata alle Lenti a Contatto.
Lo scopo è quello di realizzare una collana di manuali operativi che forniscano al medico oculista un
punto di riferimento chiaro, immediato e concreto nella sua attività quotidiana e che le pubblicazioni
del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò siano sempre “a portata di mano” del medico oculista
anziché essere dimenticati in uno scaffale dello studio medico.
Ciò costituirà per noi un chiaro segno di apprezzamento ed il raggiungimento del nostro obiettivo.
A ciò sono rivolti gli sforzi dei medici oculisti che costituiscono l’Advisory Board del Centro Studi:
individuare costantemente delle tematiche utili ed interessanti finalizzate alla soddisfazione quotidiana
dell’oculista e, contestualmente, dei pazienti.
Si rinnova in questo modo l’impegno di Salmoiraghi & Viganò a realizzare con passione ed
etica professionale la valorizzazione delle professionalità coinvolte nello sviluppo della cultura del
“benessere visivo” e nel rendere il Centro Studi Salmoiraghi & Viganò un centro di pensiero ed
azione finalizzato alla collaborazione tra il mondo dell'Oftalmologia e dell’Ottica, nel rispetto dei
reciproci ruoli ed ambiti professionali.
Un impegno ad oggi molto positivo grazie alle numerose adesioni raccolte in pochi mesi, di molti
oculisti al Centro Studi e che ci auguriamo si confermi anche con questa seconda opportunità
informativa ed educativa.
L’Advisory Board del Centro Studi Salmoiraghi & Viganò
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Indice
•
Brevi cenni storici sulle lenti a contatto
pag. 7
1. Materiali costitutivi delle lenti a contatto
• 1.1 I polimeri
• 1.2 I materiali rigidi
• I metacrilati
• I Silicone Acrilati
• I fluoro Silicone Acrilati
• 1.3 I materiali morbidi
• Gli Elastomeri al silicone
• Gli Idrogel
• I Silicone Idrogel
2. Classificazione
3. Proprietà fisiche
4. Parametri costruttivi
5. I metodi di costruzione
• Sistema a centrifuga
• Tornitura
• Processo combinato
• Stampaggio
6. I trattamenti superficiali
• Trattamenti fisici
• Trattamenti chimici
7. Inquadramento legislativo
8. Identificazione di una lente a contatto
9. Interazione tra lente a contatto e superficie oculare
10. Gli esami pre applicativi
11. Gli esami post applicativi
12. Le Grading scales
pag. 9
Bibliografia
pag. 32
APPENDICE
Guida al corretto utilizzo delle lenti a contatto
Istruzioni per la manipolazione delle lenti
Come prendersi cura delle lenti a contatto
pag. 33
pag.
pag.
pag.
pag.
14
15
16
17
pag. 23
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
pag.
24
24
25
29
30
31
5
Manuale pratico di contattologia
Brevi cenni storici sulle lenti a contatto
Leonardo da Vinci, nel 1508, introdusse il concetto di
lenti a contatto. Egli notò che immergendo l’occhio in una
sfera contenente acqua, si realizzava una correlazione
ottica fra la superficie interna della sfera e quella della
cornea; successivamente fece dei disegni (Fig. 1).
Cartesio nel 1636 pubblicò “La diottrica”, mettendo in
evidenza che un tubo riempito d'acqua e appoggiato sulla
cornea, avente una lente all'estremità, speculare alla cornea,
riduceva, notevolmente, le anomalie refrattive dell'occhio.
Nel 1801 Thomas Young sviluppò l’idea di Cartesio,
disegnando e progettando un piccolo tubo di vetro riempito
di acqua e contenente una piccola lente microscopica.
La prima vera lente a contatto, rigida, venne costruita, nel
1888, dal medico svizzero A. Eugen Fick, il quale creò un
calco dall’occhio di un coniglio per produrre delle lenti da
provare su se stesso. Le prime lenti di Fick erano in vetro
soffiato, coprivano interamente l’occhio, erano pesanti
e poco confortevoli tanto che, lo stesso, non riuscì ad
indossarle per più di 2 ore. La svolta avvenne nel 1936,
quando il Dottor William Feinbloom sostituì il vetro con
materiale polimerico, quale la plastica. Questo materiale
risultava altamente biocompatibile, poteva essere plasmato
ed aveva un peso, notevolmente ridotto rispetto al vetro;
in questo modo la lente sclerale in plastica era molto
più confortevole di quella in vetro.
Nel 1950, Bier, progettò le prime lenti a contatto corneali.
Agli inizi degli anni '60 due ricercatori cecoslovacchi,
Lim e Wichterle utilizzando l’idrogel costruirono le prime
lenti a contatto morbide.
Da allora è stato un susseguirsi di sviluppi e migliorie nella
progettazione, e costruzione, sia delle lenti a contatto
rigide, ma principalmente, di quelle morbide.
Fig. 1 Disegno originale di Leonardo da Vinci.
7
Manuale pratico di contattologia
•
1. Materiali costitutivi
delle lenti a contatto
•
1.1 I polimeri
Chimicamente tutte le lenti a contatto sono costituite
da polimeri.
Il termine polimero è una parola composta che deriva
dal greco 'poli' (molti) e 'meros' (unità o parte) ed
è usata per designare una sostanza costituita da
grosse molecole ottenute dall'unione in catena di
molecole più piccole (monomeri) di una o più specie.
L’International Union of Pure and Applied Chemistry
(Unione Internazionale di Chimica Pura ed Applicata
- IUPAC) definisce i polimeri come “Una specie
caratterizzata da una successiva ripetizione di una o
più specie di atomi o gruppi di atomi (unità monomerica
costitutiva) legati fra di loro in quantità tale da impartire
tutta una serie di proprietà che non variano marcatamente
per addizione o rimozione di una o qualche unità
monometrica”.
I costituenti di base dei polimeri sono carbonio e
idrogeno, a cui si possono aggiungere svariati
elementi quali: ossigeno, cloro, fluoro, azoto, silicio,
fosforo, zolfo, ecc.
In base all’origine avremo:
• Polimeri Naturali (polisaccaridi, proteine,
ecc.);
• Polimeri di Sintesi ( plastiche, resine, ecc.)
In base al tipo di catene monomeriche un polimero
viene classificato come:
a
b
Fig. 2 Strutture di un polimero.
8
c
•
omopolimero: catene costituite da un singolo
tipo di monomero
copolimero: catene costituite da due differenti
unità monomeriche in sequenza generalmente
irregolare
• statistici in cui la distribuzione dei due
monomeri è essenzialmente casuale
• alternanti cost it ut i da sequenze
regolarmente alternate delle due unità
monomeriche lungo la catena
• a blocchi formati da sequenze di blocchi
delle due unità monomeriche
• a innesto in cui blocchi di un monomero
sono innestati sullo scheletro dell'altro
come ramificazione
terpolimero (ecc.): catene costitute da tre
differenti unità monomeriche in sequenza
irregolare (ecc.).
Per ciò che concerne i polimeri di sintesi, a seconda
dell’arrangiamento delle catene monometriche avremo
polimeri;
• Lineari: sono rappresentabili come catene di
monomeri con successione ordinata (Fig 2a)
• Ramificati: nelle catene precedenti si diramano
delle ramificazioni (Fig. 2b);
• Reticolati: sono strutture complesse nelle quali
non si riconosce più una singola catena ma un
network interconnesso che si sviluppa occupando
tutto il volume a disposizione (Fig. 2c).
I polimeri lineari e ramificati sono di regola solubili in
qualche solvente e rammolliscono per riscaldamento
fino a diventare liquidi. I polimeri reticolati sono
invece sempre insolubili e infusibili.
In base all'organizzazione tridimensionale, i polimeri,
vengono suddivisi in:
• Amorfi: le catene presentano dei gruppi laterali
Manuale pratico di contattologia
•
•
ingombrati a disposizione irregolare che non
permettono di impacchettarsi con ordine a
formare una struttura cristallina (Fig. 3a);
Cristallini: le catene polimeriche hanno una
disposizione ordinata nello spazio (Fig. 3b);
Semicristallini: sono costituiti da una porzione
amorfa ed una cristallina (Fig. 3c)
I polimeri amorfi sono altamente deformabili e
flessibili, ma scarsamente trasparenti. I polimeri
cristallini sono invece molto resistenti, possono
essere trasparenti, ma indeformabili e fragili. Un
polimero amorfo sarebbe troppo deformabile, mentre
un polimero completamente cristallino sarebbe troppo
fragile per essere utilizzato.
Per tali motivi, la maggior parte dei polimeri hanno
una struttura semicristallina dove le regioni cristalline
donano resistenza e stabilità dimensionale, mentre
le regioni amorfe danno al polimero tenacità; ossia
la capacità di piegarsi senza rompersi.
La struttura tridimensionale, e le conseguenti
proprietà chimiche, variano all’aumentare della
temperatura attraverso delle modifiche di fase
quali la transazione vetrosa (Tv), il rammollimento
(Tr), la fusione (Tm) fino alla temperatura limite
di stabilità chimica (TL) oltre la quale il polimero
subisce trasformazioni irreversibili e degradazioni
(Grafico 1).
In base alle proprietà strutturali e termiche,
finora esposte, i polimeri di sintesi di interesse
contattologico, sono:
a
b
Grafico 1 Variazioni della struttura in base alla temperatura.
•
•
•
Te rm o p l asti c i (PM M A): amor fi o
semicristallini, a medio grado di reticolazione,
deformabili con scarso recupero della forma
e fusibili;
Elastomeri (gomme): amorfi o semicristallini,
a bassissimo grado di reticolazione, deformabili
con altro recupero della forma, infusibili,
insolubili;
Idrogel/Silicone Idrogel: amorfi o
cristallini, a basso grado di reticolazione,
deformabili con intermedio recupero della
forma, infusibili ed insolubili.
1.2 I materiali rigidi
Rientrano nella famiglia dei materiali termoplastici.
Sono definiti come materiali che ammorbidiscono
fino a fondere quando è applicato calore, e
c
Fig. 3 Organizzazione
tridimensionale.
9
Manuale pratico di contattologia
solidificano una volta raffreddati. Possono essere
amorfi o cristallini con un coefficiente di reticolazione
intermedio e sono solubili. Tutte queste proprietà li
rendono facilmente lavorabili e modellabili.
I Metacrilati
Il primo materiale, appartenente a questa
categoria, usato in campo contattologico è stato
il Polimetilmetacrilato (PMMA) ottenuto dalla
polimerizzazione radicalica del metilmetacrilato
(MMA), estere derivato dalla polimerizzazione
dell’acido metacrilico e del metanolo.
Il PMMA è un materiale duro, fragile, resistente
ai graffi ed ha una elevata facilità di lavorazione.
È un materiale indeformabile entro i limiti
della temperatura corporea, non attaccabile da
enzimi presenti nell’organismo; tuttavia, il basso
coefficiente di permeabilità dell’ossigeno (Dk) ne
riduce l’utilizzo per lungo tempo.
L’acetato-butirrato di cellulosa (CAB) è stato il
primo materiale disponibile dotato di permeabilità
all’ossigeno.
I principali vantaggi di questo materiale sono: la
permeabilità all’ossigeno; buona bagnabilità delle
superfici; scarsa tendenza ad accumulare depositi
proteici; capacità di idratazione del 2%; è soggetto
a graffiarsi e mostra una propensione all’accumulo
di depositi lipidici; ha un basso modulo di elasticità.
Ciò comporta che in caso di stress meccanico, il
polimero, perda le proprie caratteristiche geometriche
e conseguentemente di biocompatibilità. Per tale
motivo necessita di una procedura costruttiva per
stampaggio più che per tornitura.
I Silicone Acrilati
Alla fine degli anni '70 furono sviluppati i metacrilati
con alta permeabilità all’ossigeno, i silicone/acrilati.
Vennero ottenuti dalla copolimerizzazione del
10
metilmetacrilato (MMA) con silossani metacrilici
come il metacrilossipropil (TRIS). La componente
siliconica fornisce al polimero la permeabilità
all’ossigeno, mentre l'MMA garantisce la stabilità
dimensionale e la bagnabilità. Da ciò conseguiva
che il mescolamento proporzionato di TRIS/MMA
permetteva di modulare la permeabilità all'ossigeno,
il modulo di elasticità, la durezza e la bagnabilità;
cioè la biocompatibilità del materiale che veniva
ottenuta mescolando il 65% da MMA con il 35%
di silicone tris.
Quando il silicone è aggiunto in maggiore quantità,
la gas-permeabilità aumenta e diminuiscono la
stabilità dimensionale, la bagnabilità e la rigidità
della lente, riducendo la possibilità di correzione
degli astigmatismi medio elevati e aumentando la
capacità di formare depositi lipidici.
L’aumento di MM A, invece, riduce la gas
permeabilità, aumenta la stabilità dimensionale,
la bagnabilità e la rigidità della lente permettendo
di correggere gli astigmatismi e diminuendo la
capacità di formare depositi.
I Fluoro Silicone Acrilati
Alla fine degli anni ’80 il costante sviluppo
tecnologico, nella scienza dei polimeri, ha permesso
di ottenere materiali arricchiti con esafluoroetere
(HF); i fluoro acrilati (HF/A). Questi materiali
presentavano una buona bagnabilità (tollerabilità)
e rigidità (correzione degli astigmatismi), con buona
permeabilità all’ossigeno e bassa tendenza a formare
depositi proteici e lipidici (biocompatibilità). Erano
polimeri costituiti da MMA complessato con HF che
sostituisce il silicone; questi materiali offrivano anche
protezione verso i raggi UV. Il limite principale, di
questi materiali, risiedeva nella scarsa resistenza
allo stress strain, con frequenti rotture. Tale
inconveniente è stato superato, all’inizio degli anni
’90, con la realizzazione di materiali costituiti dalla
Manuale pratico di contattologia
polimerizzazione di metacrilato (MMA) al 45%, fluoro
(HFI) al 45%, silicone (SI) al 7% e vinilpilloridone
(NVP) al 3%, i fluosiliconeacrilati. Questi polimeri
hanno un’elevata permeabilità, ottime caratteristiche
di stabilità dimensionale, elevati valori di stress strain,
buona bagnabilità e resistenza ai depositi di natura
proteica.
Di recentissima sintesi, troviamo i derivati del
polistirene; si tratta di polimeri con indice di rifrazione
elevato che, abbinato ad un basso peso specifico,
consentono di realizzare lenti leggere e, date le
caratteristiche fisiche, resistenti alla flessione; hanno
una certa fragilità ed una stabilità non molto elevata.
Si utilizzano per la costruzione di materiali ibridi,
con parte centrale rigida e periferica flessibile.
1.3 I materiali morbidi
Rientrano in questa categoria gli elastomeri al
silicone, gli idrogeli e i silicone idrogel.
Gli Elastomeri al silicone
Gli elastomeri o gomme, sono polimeri le cui
dimensioni possono variare enormemente sotto
sforzo, e poi ritornare ai valori originali (o quasi)
quando lo sforzo che ha provocato la deformazione
viene rimosso (Fig. 4).
Gli elastomeri possono essere naturali o sintetici.
L’elastomero naturale per eccellenza è la gomma
Fig. 4 Configurazioni degli elastomeri al silicone.
Fig 5 Polidimetilsilossano
(PDMS).
naturale. Essa viene prodotta commercialmente dalle
gocce dell’albero Hevea brasiliensis, coltivato nelle
regioni tropicali dell’Asia, specialmente in Malesia
e Indonesia. La fonte della gomma naturale è un
liquido lattiginoso noto come Lattice, che risulta
essere una sospensione contenente piccolissime
particelle di gomma.
La gomma naturale è principalmente formata da
cis-1.4-poliisoprene miscelato con piccole quantità di
proteine, grassi e sali. Partendo da questa formula
e complessandola con altre molecole ed elementi, si
ottengono gli elastomeri di sintesi o gomme sintetiche.
Quando all’interno della struttura si aggiungono unità
monometriche ripetitive contenenti Silicio, Ossigeno
e gruppi metilici (gruppi silossano), si otterranno gli
Elastomeri al Silicone o, più semplicemente detti,
siliconi. I Siliconi hanno la peculiarità di essere
notevolmente resistenti alla temperatura, agli attacchi
chimici e all'ossidazione. Sono ottimi isolanti elettrici,
antiaderenti, elastici, resistenti all'invecchiamento
e alle alte temperature. La caratteristica però più
importante in campo contattologico risiede nella
elevata solubilità dell’ossigeno all’interno dei gruppi
silossano. Tale solubiltà consente di legare meglio
l’acqua e, di conseguenza, aumentare la diffusione
dell’ossigeno. Il Polidimetilsilossano (PDMS)
rappresenta il primo elastomero al silicone usato
in campo contattologico ed appartiene al gruppo
dei silos sani (Fig. 5).
Il PMDS è un elastomero con una buona stabilità
termica, bassa tensione superficiale e buona
11
Manuale pratico di contattologia
trasparenza (inferiore ai 280 nm). L’indice di
rifrazione è 1.430. La sua temperatura di transizione
vetrosa è -125°C. La conduttività termica è 0.18
W/mK. Sebbene durevole ad alte temperature,
il polimero si degrada completamente ed anche
abbastanza velocemente a temperatura ambiente,
così che non presenta alcun problema significativo
per l’ambiente dove si trova.
Sebbene i silossani abbiano eccellenti proprietà
ottiche, resistenza alla lacerazione ed alta permeabilità
all’ossigeno, la bassa energia di superficie provoca una
bassa bagnabilità, una tendenza ad accumulare lipidi
e proteine, e anomale adesioni della lente a contatto
alla cornea. Al fine di aumentare la bagnabilità, la
superficie venne sottoposta ad un trattamento al
plasma di ossigeno al fine di ridurre l’angolo di
contatto e aumentare l’idrofilia. Nonostante ciò queste
superfici modificate tendevano ad essere instabili ed
inoltre non offrivano un vantaggio a lungo termine
(max 30 min).
L’altro problema risiede nella elevata idrofobicità che
interagisce molto con i campioni polari attraverso
legami tra i gruppi silossano e l’idrogeno. Ciò
determina l’adesione di proteine al materiale,
provocando discomfort nel paziente e danno
alla lente; perciò i ricercatori hanno provato a
modificare la superficie con trattamenti come ad
esempio l’esposizione a sorgenti energetiche (la luce
ultravioletta), multistrati polielettroliti, modifiche
covalenti (come la senilizzazione), deposizione
chimica in fase vapore, doppio strato di fosfolipidi
e proteine.
Alcuni studi si sono rivolti anche verso la ricerca di
sostanze che provocassero il rigetto delle proteine:
in questo senso, sono stati preparati degli elastomeri
al silicone con incorporata, durante la formazione
della gomma, una piccola quantità di un derivato
monofunzionale dell’ossido di polietilene (PEO).
Si è notata infatti la migrazione delle molecole
12
di PEO all’interfaccia, causando una diminuzione
di assorbimento di alcune proteine molto maggiore
rispetto a quello del silicone normale.
Gli Idrogeli
Sono omo/copolimeri ret icolat i, amor fi o
semicristallini, insolubili e con grandi capacità
di rigonfiarsi in acqua. Sono costituiti da catene
polimeriche, a disposizione tridimensionale
(network), unite da legami chimico/fisici (cross
linking). Sia il net work che i cross linking
permettono che l’acqua si disperda in tutta la
struttura rigonfiandola. Contengono uno o più
atomi altamente elettronegativi, il che si traduce
in una asimmetria di carica che favorisce legami
idrogeno con l'acqua. Sono polimeri altamente ionici,
spesso mostrano grandi variazioni volumetriche in
risposta alla concentrazione ionica (Ca++, H+)
o alla temperatura ed il volume è determinato
dalla combinazione di forze at t rat t ive e
repulsive. Reagiscono a piccoli cambiamenti
delle proprietà chimico-fisiche del mezzo in cui
si trovano, ad es. pH, temperatura, forza ionica.
La proprietà unica di questi gel è la capacità di
mantenere la loro forma originale durante e dopo il
rigonfiamento (swelling). La forza di rigonfiamento
è controbilanciata dalla forza retrattile della
struttura reticolata che, quando prevale sullo
swelling, porta a disidratazione del materiale con
modifica della forma (deswelling).
A seconda dei gruppi terminali potranno essere:
• Ionici
• Non ionici
Un polimero per essere definito idrogel, l'acqua deve
rappresentare almeno il 10% in peso (o in volume)
del materiale; quando il contenuto di acqua supera
il 95% del peso totale (o volume), l'idrogel si
dice superassorbente. L’idrogel usato in campo
contattologico è il poli (idrossietilmetacrilato)
Manuale pratico di contattologia
(PHEMA) ottenuto dalla polimerizzazione di 2
monomeri di HEMA (Fig. 6) con l’aggiunta del
glicoletilenedimetacrilato (EGDMA) che aumenta,
notevolmente, la stabilità dimensionale del poliHEMA.
Grazie a questa struttura il polimero presenta un
contenuto di acqua del 38% (idrofilia) e mantiene
una struttura flessibile ed ordinata anche se
completamente idratato.
Attualmente sono presenti in commercio una gamma
di idrogeli contenenti vari monomeri idrofilici come
l’Acido Metacrilico (MAA) e l’Nvinilpirrolidinone (NVP).
L’MAA e l’NVP sono acidi organici che conferiscono
alla superficie del polimero una maggiore carica
elettrica negativa con conseguente aumento del
contenuto in acqua. La principale funzione di
questi gruppi chimici contenuti nel polimero è infatti
quella di attrarre una certa quantità di acqua e
conseguentemente legarla all’interno della struttura
facendo aumentare l’idrofilia della lente. In virtù
della loro carica ionica, della loro idrofilia e della
loro diffusione dell’ossigeno, gli Idrogel non sono
adatti ad un porto prolungato sia per la possibilità
di sviluppare ipossia corneale, sia per la frequente
formazione di depositi proteici sulla superficie.
Gli idrogeli al silicone
Rappresent ano i polimeri di ult imis sima
generazione ottenuti complessando la catena del
poli(idrossimetilacrilato) con gruppi silossano.
Incorporando gruppi di gomme siliconiche negli
2-Hydraxyethy 1-Methacrylate (HEMA)
Fig. 6 Struttura del HEMA.
idrogel, si realizza un evidente arricchimento
delle proprietà di trasmissione dell’ossigeno senza
aumentare il contenuto d’acqua. Con gli idrogel
convenzionali la permeabilità all’ossigeno aumenta
solo se viene incrementato il contenuto d’acqua della
lente, la quale deve possedere una struttura più
porosa al fine di facilitare la diffusione di ossigeno
attraverso il materiale. Con il silicone idrogel,
invece, per incrementare il contenuto d’acqua basta
aumentare, leggermente, la proporzione di monomero
di idrogelo convenzionale rispetto al monomero di
silicone, provocando un notevole aumento della
permeabilità all’ossigeno del materiale.
Tuttavia l’idrofobicità della componente siliconica,
riduce notevolmente la bagnabilità e aumenta la
tendenza ad accumulare lipidi; problemi risolti,
in parte, con l’uso di stampi nel processo di
fabbricazione e l’uso di tecniche di modifica delle
superficie. Altro problema è insito nel modulo di
elasticità del materiale, che esprime la resistenza alla
deformazione. Esso rappresenta la forza necessaria
per produrre la deformazione del materiale in una
sezione resistente di area definita attraverso dei valori
desumibili da calcoli logaritmi elaborati attraverso
il cosiddetto modulo di Young. Il modulo di Young,
quindi, descrive le proprietà meccaniche del materiale
e maggiore diventa il suo valore più alta diviene la
resistenza alla deformazione; tale fattore, assieme
allo spessore e alla geometria della lente a contatto,
genera la rigidezza finale del sistema.
I gruppi silossano, presenti nei polimeri in silicone
idrogel, in virtù della loro stechiometria e della loro
carica ionica determinano un modulo di elasticità
superiore rispetto alle lenti idrogel tradizionali.
Risulta fondamentale, quindi, trovare un perfetto
bilanciamento tra la quantità di polimeri di idrogel e
la quantità di gruppi silossano al fine di ottenere un
modulo di rigidità che non faccia perdere al materiale
le caratteristiche di biocompatibilità necessarie.
13
Manuale pratico di contattologia
2. Classificazione
È consuetudine classificare le lenti a contatto
da un punto di vista clinico, appannaggio dello
specialista oculista, e da un punto di vista tecnico,
appannaggio dell’ottico applicatore. Quella clinica
si basa, principalmente, sulla identificazione dei
materiali da utilizzare e sulle finalità cliniche da
raggiungere. In base ai materiali costitutivi, le lenti
a contatto si dividono in:
Morbide
• Idrogel
• Silicone idrogel
• Biocompatibili
Rigide
• Gas impermeabili
• Gas permeabili (RGP)
Ibride (costituite in parte da materiali rigidi e in
parte da materiali morbidi)
• Gemellate
• Composite
• Piggyback
• Piggyback inverso
• Morbide spessorate
Al fine di rendere di facile individuazione la natura
del materiale costitutivo, l’FDA ha stabilito il suffisso
focon per i materiali rigidi e il suffisso filcon per i
materiali morbidi. A seconda delle finalità cliniche da
raggiungere si distinguono lenti a contatto a scopo:
Ottico
Cosmetico
• Lenti a contatto colorate
• Gusci esterni per protesi endoorbitarie
Terapeutico
• Umettanti (a rilascio di acido ialuronico)
• Dispenser (a rilascio controllato di farmaci).
14
Da un punto di vista meramente tecnico le lenti a
contatto si distinguono a seconda della:
Geometria
• Sferiche (costituite da un superficie anteriore
e posteriore sferica fissa)
• Sferoasferiche (costituite da una superficie a
curvatura fissa e l’altra con differenti raggi di
curvatura dal centro alla periferia)
• Asferiche (costituite, sia sulla faccia anteriore
che posteriore, da differenti raggi di curvatura
dal centro alla periferia; simulando la curvatura
corneale)
• Toriche (i due meridiani principali hanno
differenti raggi di curvatura)
• Toro anteriore (quando la toricità interessa la
superficie anteriore)
• Toro posteriore (quando la toricità interessa la
superficie posteriore)
• Bitoriche (quando la toricità interessa entrambe
le superfici)
• Sclerali
• Bifocali
• Progressive
• Multicurve (la superficie posteriore è costituita
da due o più zone di curvatura con andamento
“speculare” alla curvatura corneale)
• Geometria inversa (la superficie posteriore è
costituita da due o più zone di curvatura con
andamento “opposto” alla curvatura corneale)
Tecniche costruttive
• Tornite
• Stampate
• Centrifugate
• Combinate
Frequenza del ricambio (principalmente per
lenti a contatto morbide)
• Quotidiana
• Quindicinale
• Mensile
Manuale pratico di contattologia
3. Proprietà fisiche
della superficie della lente a contatto, di lubrificarsi.
Il CoF è un coefficiente strettamente legato al comfort
oculare. Quando basso, le lenti, hanno una superficie
setosa e liscia, con ottimi livelli di comfort.
Indice di refrazione (n)
È l’espressione della capacità del mezzo ottico di deviare
le radiazioni luminose. È rappresentato dal rapporto tra
la velocità della luce nel vuoto “c” e la velocità della
luce nel mezzo ottico. Questo parametro deve essere
tenuto in considerazione durante la costruzione della
lente, ed in generale maggiore è il suo valore e minore
sarà lo spessore delle lenti a contatto.
Bagnabilità
Definita come la capacità di un solido di trattenere
l’acqua sulla propria superficie. È una importante
caratteristica per la contattologia, infatti esprime
la compatibilità fisiologica tra lente ed ambiente
oculare, dove gioca un ruolo importantissimo il film
lacrimale che è composto per più del 90% da acqua.
La bagnabilità viene misurata attraverso l’angolo di
bagnabilità, che è l’angolo delimitato dalla superficie
del solido e dalla tangente alla superficie di separazione
tra solido e liquido presa nel punto di contatto tra
solido e liquido stesso.
Trasparenza
È la differenza tra il flusso di radiazioni incidente sulla
lente ed il flusso di radiazioni emergente dalla stessa.
Vengono calcolate per lo spettro del visibile (in media
550nm), per i materiali utilizzati in contattologia essa
si assesta intorno al 90%.
Stabilità dimensionale
È la capacità del materiale di mantenere i parametri
geometrici originali (curvatura delle superfici, diametro,
spessore…). È un valore importante per garantire
una costanza di rendimento delle lenti a contatto
nel tempo.
Il modulo di elasticità o di Young (E)
È descritto come la capacità di un materiale di allinearsi
alla superficie oculare e resistere alla deformazione.
Una lente E basso è più difficile da maneggiare e
presenta una ridotta mobilità con l’ammiccamento,
riducendo lo scambio lacrimale. Un valore di E alto,
favorisce la maneggevolezza, ma può portare a danni
meccanici a carico della superficie.
Il coefficiente di frizione (CoF)
Anche definito potere lubrificante, indica la capacità,
Permeabilità all’ossigeno (DK)
Indica la capacità di un materiale di lasciarsi attraversare
da un gas, e varia con la temperatura. Esprime la
moltiplicazione tra il coefficiente di diffusione attraverso
il materiale (D) ed il coefficiente di solubilità del
gas all’interno del materiale (K). Moltiplicando D×K
si ottiene la permeabilità al gas, l'unità di misura è
espressa in unità fattoriali n×10ˉ11 (Tab. 1).
Trasmissibilità all’ossigeno (DK/T)
Esprime la capacità delle lenti a contatto di farsi
attraversare dall’ossigeno. Essa è indirettamente
proporzionale allo spessore centrale della lente (T), infatti
il suo valore si ottiene dal rapporto tra permeabilità
specifica del materiale in cui è costruita la lente a contatto
e la misura in metri dello spessore centrale: DK/T.
Idrofilia (%H2O)
L’idratazione è la quantità di fluido assorbita dal
materiale di una lente, espressa in percentuale del
totale, in date condizioni:
15
Manuale pratico di contattologia
• CA(%)= (Li-Ld)/Li X 100
• AA(%)=(Li-Ld)/Ld X 100
dove CA = contenuto d’acqua, AA = assorbimento
d’acqua, Li = acqua di una lente completamente
idratata, Ld = acqua di una lente completamente
disidratata. I fattori che influenzano l’idratazione
della lente a contatto sono: temperatura, natura del
polimero, spessore della lente, qualità delle superfici,
umidità, osmolarità, pH, fisiologia lacrimale, apertura
palpebrale, frequenza d’ammiccamento. Per gli effetti
della disidratazione si hanno variazioni nei parametri
fondamentali di una lente a contatto: in tal caso vi
è una riduzione della curva-base, un restringimento
del diametro, una diminuzione della trasmissibilità e
dello spessore, un aumento dell’indice di rifrazione e
del potere (positivo). In base al contenuto di acqua,
le lenti a contatto, vengono suddivise in materiali a
bassa idrofilia quando contengono meno del 50%
di acqua e ad alta idrofilia quando ne contengono
più del 50%.
Ionicità
Indica la presenza di carica ionica sulla superficie
anteriore della lente. Varia a seconda del materiale e
del trattamento. In base alla carica ionica, le lenti a
contatto vengono suddivise in materiali non ionici o ionici.
Valore
Unità Dk: (cm2/s) • [ml O2/(ml • hPa)]
1
1-15 unità
2
16-30 unità
3
31-60 unità
4
61-100 unità
5
101-150 unità
6
151-200 unità
7
>250 unità
Tab. 1 Valore assegnato in base alle unità di Dk sec. ISO 1999.
16
4. Parametri costruttivi
I più rilevanti sono:
• Raggio di curvatura: rappresenta il raggio con il
quale si è generata la curvatura della superficie
esterna (dipende dal potere che si desidera dare
alla lente).
• Raggio base (Rb): rappresenta il valore del raggio
con il quale si genera la curvatura della superficie
della zona ottica interna.
• Flangia (curva periferica): è quella zona compresa tra la
zona ottica esterna ed il bordo. Ha un proprio raggio di
curvatura, che nelle geometrie tradizionali è più ampio
rispetto al Rb. Il nome della geometria delle lenti a
contatto viene stabilito proprio in base al numero di
flangie presenti (Es: Bicurva, Tricurva, Tetracurva...).
Termine
Abbreviazione Simbolo
Diametro totale
TD
∅T
BOZD
∅0
BOZP
∅1, ∅2, ...
FOZD
∅a0
FPZD
∅a1, ∅a2, ...
BOZR
r0
Raggio periferico
posteriore
BPR
r1, r 2, ...
Raggio periferico
anteriore
FPR
ra1, ra2, ...
Diametro della zona
ottica posteriore
Diametro della periferica
posteriore
Diametro della zona
ottica anteriore
Diametro della zona
periferica anteriore
Raggio della zona ottica
posteriore
Spessore al centro
geometrico
tc
Spessore assiale
al bordo
te
Tab. 2 Simbologia normalizzata sec. ISO 1986.
Manuale pratico di contattologia
•
Diametro zona ottica (∅o): è il diametro della
parte centrale della superficie interna.
• Diametro totale (∅t): è il diametro totale della
lente a contatto inteso come somma tra il diametro
della zona ottica e le ampiezze delle flangie.
• Spessore centrale: è importante ai fini del calcolo
della trasmissibilità all’ossigeno ed è la distanza
metrica tra la superficie anteriore e la superficie
posteriore presa nel centro ottico della lente,
parallelamente all’asse ottico.
Di grande importanza è il bordo della lente: esso unisce
la parte anteriore con quella posteriore.
Le sue caratteristiche sono lo spessore, la posizione
apicale, la forma ed il sollevamento periferico il cui valore
corretto è fondamentale sia per una corretta dinamica,
sia per impedire spostamenti anomali o formazione di
bolle d’aria sotto la lente.
Nel 1986 l’ISO (International Organisation for
Standardisation) ha proposto una terminologia
standardizzata per le lenti a contatto (Tab. 1-2 e Fig. 7-8).
Fig. 7
Rappresentazione
schematica di una lac.
Fig. 8
Rappresentazione grafica
dei parametri ISO 1986.
OR
BPR
1
TD
BOZD
FOZD
BP
FOZ R
5. Metodi di produzione
Attualmente vengono usati comunemente quattro
metodi di produzione per produrre lenti morbide.
Con ogni metodo si ottengono lenti con caratteristiche
leggermente diverse.
I processi sono:
1. sistema a centrifuga
2. tornitura
3. processo combinato
4. stampaggio
Di seguito verranno descritte le caratteristiche, con i
relativi pro e contro, di ogni metodo di produzione.
1. Sistema a centrifuga
Il sistema a centrifuga è stato sviluppato negli anni
’60 da un gruppo di scienziati cecoslovacchi sotto
la guida del prof. Otto Wichterle presso l’Istituto
di chimica macromolecolare di Praga. Come molte
altre innovazioni scientifiche, il sistema a centrifuga
nacque con un principio molto semplice: trasformare
un liquido in rotazione in un solido.
Le lenti centrifugate sono molto sottili e hanno una
superficie posteriore asferica. La forma asferica è
simile a quella della cornea umana. La curvatura
della lente si appiattisce gradualmente a partire dal
raggio apicale posteriore centrale fino alla periferia.
Poiché il processo di centrifugazione utilizza lo stesso
stampo per poteri diversi, la superficie anteriore è
sempre la stessa. La curvatura posteriore invece varia
a seconda del potere. Per questo motivo le lenti
centrifugate non hanno una curva a base fissa. Il
design sottile, il materiale flessibile e la geometria
asferica danno come risultato una lente che si adatta
con facilità alla conformazione della cornea.
17
Manuale pratico di contattologia
Sistema di produzione: utensili e stampi. Per
prima cosa si costruiscono gli utensili in acciaio che
servono per produrre gli stampi in plastica. Si usa
l’acciaio inossidabile perché è facile da misurare e
riprodurre.
Gli utensili producono l’esatta depressione (concavità)
dello stampo e consentono di verificare facilmente
i parametri dello stampo. Quando la lente viene
fatta ruotare all’interno dello stampo, la superficie
dell’utensile determina la geometria della superficie
anteriore della lente. Gli utensili di precisione
consentono di produrre geometrie estremamente
complesse.
La prima fase nella costruzione di un utensile è
la creazione delle sue curvature. Quindi tutte le
superfici interne vengono levigate fino ad ottenere
una finitura di tipo ottico. Un controllo di precisione
è fondamentale perché qualsiasi difetto si rifletterà
anche nel prodotto finale. Le dimensioni dell’utensile
vengono verificate accuratamente confrontandole
con i disegni originali utilizzando tecniche come
l’interferometria, che misura curvature fino a
+/- 0,0005 mm. L’ultima fase può prevedere
l’incisione del logo o dei segni identificativi della
lente sull’utensile.
La fase successiva è la costruzione dello stampo. Le
dimensioni e le tolleranze degli stampi si ricavano
dal disegno della lente.
Le prime lenti a contatto morbide furono realizzate
con stampi in vetro riutilizzabili. Gli stampi erano
difficili da fare e richiedevano una lucidatura costante,
oltre a presentare delle variazioni inaccettabili. La
tecnologia ha permesso, ormai da alcuni anni, di
realizzare stampi in plastica.
Gli stampi in PVC sono monouso, economici, stabili
a livello dimensionale e, soprattutto, identici tra
loro. Vengono realizzati con macchine a iniezione
modificate che producono fino ad otto stampi in una
volta. Gli stampi vengono ispezionati singolarmente
18
e devono rientrare entro rigide tolleranze per quanto
riguarda varie dimensioni, incluso il diametro e il
valore sagittale.
Materiale per le lenti. Il materiale più utilizzato
per la realizzazione delle lenti morbide è l’HEMA. È
di fondamentale importanza che l’HEMA usato nelle
lenti morbide sia esente da particelle o impurità. Tutto
il monomero viene sottoposto ad un’approfondita
analisi per verificarne la purezza. Questa analisi
viene effettuata sotto a filtri che eliminano la luce
ultravioletta, perché la luce ultravioletta viene usata
per indurire l’HEMA e anche minimi quantitativi
di raggi UV possono innescare il processo di
polimerizzazione prima della produzione.
Produzione delle lenti. La macchina a centrifuga
è composta da due componenti principali: un centro
di controllo computerizzato e un tavolo di produzione
lenti. Il centro di controllo computerizzato monitorizza
tutti gli aspetti della produzione. Controlla la quantità
di monomero liquido iniettato in ogni singolo stampo
e la velocità di rotazione dello stampo. Il tavolo di
produzione lenti è una piattaforma girevole con più
cavità rotanti. La produzione delle lenti ha inizio
quando uno stampo viene fatto cadere in una cavità
di rotazione.
Quindi viene usata una siringa automatica ad alta
precisione per iniettare un determinato volume di
monomero liquido nello stampo girevole. Lo stampo
ruota intorno al tavolo per un periodo di tempo
preimpostato. Mentre ruota, la forza centrifuga,
la gravità e la tensione superficiale agiscono sul
materiale liquido della lente e distribuiscono il
monomero su tutto lo stampo. Per impedire la
formazione di bolle, questo processo viene effettuato
a temperatura ambiente in un ambiente senza
ossigeno con gas di azoto.
La geometria della lente è determinata dal volume
di materiale iniettato e dalla velocità di rotazione.
La velocità di rotazione determina anche il potere
Manuale pratico di contattologia
finale della lente: più la velocità è elevata, più
potere minore avrà la lente finale.
Lo spessore centrale della lente è determinato
dal volume del monomero iniettato nello stampo:
maggiore è il volume, più elevato è lo spessore al
centro. Dopo avere ruotato per circa 30 secondi, la
forma della lente si stabilizza e viene polimerizzata
(solidificata) sotto una serie di luci ultraviolette. Ora
la lente è completamente formata. Tutto il processo
dura dai 30 ai 60 secondi, a seconda della serie e
del potere che devono essere ottenuti. In qualsiasi
momento ci sono 24 lenti “in fase di elaborazione”
sul tavolo girevole.
La produzione a centrifuga usa un sistema “a lotti”,
il che significa che ogni volta vengono prodotti un
solo potere e una sola serie di lenti. Ogni lotto è
composto da 700-850 lenti, e sistemi di registrazione
manuali e computerizzati impediscono che vadano
perse alcune serie o poteri di lenti o che vengano
etichettati in modo errato.
Finitura del bordo. Per produrre un profilo ideale
e aumentare il ricambio lacrimale, tutte le lenti
hanno un’inclinazione marginale periferica di 1,0 mm
nella superficie posteriore. Un processo di rifinitura
dei bordi con un diamante consente di rimuovere
una piccola quantità di materiale dal bordo della
lente e anche parte dello stesso stampo. Per questo
motivo gli stampi vengono gettati dopo l’uso. Quindi
l’area periferica della lente viene lucidata e rifinita
per ottenere una superficie liscia. A questo punto
la lente è completamente formata e rifinita e si
trova in uno stato rigido all’interno dello stampo.
Idratazione ed estrazione. La lente viene
idratata in un bagno d’acqua sterile a 210° F/99° C.
La lente assorbe circa il 38,6% del suo peso in acqua
e si gonfia di circa il 12%. In queste condizioni è
molto facile estrarla dallo stampo.
Lo stampo viene smaltito e la lente idratata viene
collocata in una camera di estrazione. Per le
cinque ore successive la lente viene risciacquata
continuamente con acqua purificata a 190° F/80° C.
Questo risciacquo elimina eventuali monomeri che
non hanno reagito e altre impurità e assicura inoltre
la qualità della lente.
Ispezione per l’assicurazione della qualità.
La lente finita viene sottoposta a una lunga serie
di test per verificarne l’integrità e l’accuratezza dei
parametri.
Accettabilità estetica. Operatori valutano ogni
lente controllando la presenza di possibili difetti.
Per rilevare queste imperfezioni, le lenti vengono
posizionate in celle d’acqua e ingrandite 10X con
uno schermo per proiezioni. Se viene rilevato un
qualsiasi difetto la lente viene distrutta.
Tra le possibili imperfezioni rientrano:
• segni lasciati dal tornio
• segni della lucidatura
• segni provocati da sollecitazioni
• superficie toroidale
• zona ottica scentrata
• bordi scheggiati
• criccature/perforazioni
• bordi irregolari
• graffi
• segni lasciati dallo stampo
• particelle
• ruggine
• segni lasciati dal flusso
• scoloriture/macchie
Stabilità dimensionale. Per ogni lotto, per
verificare l’accuratezza dei parametri, viene controllato
un campione casuale statisticamente rilevante di 30
lenti. Gli operatori controllano il diametro delle lenti,
il valore sagittale, lo spessore centrale, il contenuto
d’acqua e l’indice di rifrazione.
Potere della lente. Gli operatori del controllo
qualità usano un frontifocometro per misurare il
potere di una lente in una cellula bagnata.
19
Manuale pratico di contattologia
Sterilizzazione. Prima della sterilizzazione 10
lenti di ogni lotto vengono contaminate con strisce di
spore. Queste spore e qualsiasi altro microrganismo
che possono contenere le lenti, vengono distrutti
grazie all’elevata temperatura e alla pressione della
sterilizzazione in autoclave. In autoclave le lenti
vengono sterilizzate a 250° F per 30 minuti, poi
quella stessa temperatura viene mantenuta per altri
30 minuti. Per ogni ciclo di sterilizzazione vengono
mantenuti dei registri dettagliati sulle temperature.
Dopo la sterilizzazione tutte le lenti vengono messe
in quarantena per 72 ore. Le lenti precedentemente
contaminate vengono esaminate con tecniche di
coltura microbiologica per rilevare eventuali crescite
microbiche. Al termine, le lenti usate per i test
vengono distrutte.
Naturalmente le lenti devono risultare prive di qualsiasi
microbo prima che il lotto riceva l’autorizzazione alla
vendita.
Confezionamento. Dopo aver passato l’ispezione,
le lenti vengono confezionate negli appositi
contenitori.
Etichettatura. Un sistema computerizzato abbina
l’etichetta alla serie e al giusto potere del lotto,
quindi sull’etichetta viene posta una pellicola
trasparente di protezione. L’etichetta riporta dei
parametri rilevanti per la lente, come il potere, la
serie, il valore sagittale, la curva base e il diametro.
Sull’etichetta compaiono altri due numeri importanti:
la data di scadenza in cinque anni e il numero del
lotto. La data di scadenza si riferisce alla confezione
e alla soluzione salina, non alla lente stessa. Il
numero di lotto rappresenta un modo per ricostruire il
percorso della lente attraverso il processo produttivo
e il controllo di qualità.
Vantaggi e svantaggi. Il processo a centrifuga
rappresenta uno sviluppo rivoluzionario nel settore
delle lenti a contatto.
Il design sottile della lente permette un’eccellente
20
trasmissibilità dell’ossigeno e prestazioni fisiologiche
ottimali. Le lenti centrifugate hanno bordi dai profili
rastremati e superfici lisce che consentono un grande
comfort e possono ridurre i depositi superficiali.
In realtà le lenti centrifugate sono così comode
che i pazienti si adattano alle nuove lenti quasi
immediatamente.
Grazie al loro design particolare e alla loro natura
estremamente flessibile, le lenti centrifugate sono
facili da indossare. Ora non c’è più bisogno del lungo
processo di selezione della curva base o di procedure
complicate, come per le lenti realizzate con altre
procedure di fabbricazione. Il processo a centrifuga
è altamente automatizzato e controllato mediante
computer. Per questo consente di ottenere lenti con
una riproducibilità, una consistenza e un’accuratezza
dei parametri mai avute finora.
Tuttavia la tecnologia a centrifuga ha i suoi limiti.
Ad esempio non è in grado di produrre lenti dalle
geometrie complesse, come le lenti morbide toriche.
In alcuni pazienti le lenti centrifugate possono
decentrarsi leggermente. Questo non influisce
sull’acutezza visiva o sul rendimento fisiologico,
ma molti medici considerano questa particolarità
un effetto indesiderato. Inoltre il prodotto centrifugato
non include una designazione della curva base e
alcuni medici ritengono che questo impedisca un
calcolo di precisione. Ma le ricerche confermano
che la designazione della curva base non produce
differenze significative nel rendimento clinico. Inoltre,
poiché le lenti centrifugate sono sottili e flessibili,
sono più difficili da maneggiare, soprattutto a poteri
bassi, e hanno un minimo movimento sull’occhio.
Tuttavia la ricerca ha dimostrato che anche questo
minimo movimento della lente - ridotto a 0,1 mm
- produce un film lacrimale dinamico. Questo film
lacrimale trasporta dietro alle lenti delle lacrime con
ossigeno fresco e facilita la rimozione dei depositi
a livello corneale.
Manuale pratico di contattologia
2. Tornitura
La tornitura è il metodo più comune per la fabbricazione
delle lenti a contatto morbide. È il metodo utilizzato
per produrre le tradizionali PMMA e le lenti rigide
permeabili al gas.
La tornitura produce lenti leggermente più spesse
e meno flessibili. Proprio perché sono così rigide,
le lenti tornite non si adattano alla cornea con la
stessa rapidità delle lenti centrifugate più flessibili.
Preparazione del materiale. Il processo di
tornitura inizia con un bottone preformato di HEMA
polimerizzato che viene prodotto versando un monomero
liquido in un tubo di vetro. La polimerizzazione avviene
a temperature molto elevate e produce una barretta
di materiale che viene poi tagliata in piccoli dischi
piani detti bottoni.
Produzione delle lenti. Dopo essere stato formato,
il bottone viene posto in un tornio con utensile
diamantato e viene fatto ruotare a velocità elevate.
A sua volta l’utensile diamantato viene fatto ruotare
sulla superficie del bottone. In questo modo si taglia
il polimero e si ottiene una lente con curvature e una
geometria precisa della superficie.
La superficie centrale posteriore, detta curva base,
viene generata per prima. Nella maggior parte dei
casi, la porzione periferica posteriore della lente ha
curve più piane che possono essere anch’esse tagliate
nel bottone. Ora la lente è parzialmente finita e viene
lucidata per eliminare eventuali graffi o imperfezioni
causate dal processo di tornitura. Quindi la lente viene
posta su un altro tornio, dove la superficie anteriore
convessa viene tagliata e lucidata con l’esatta curvatura
richiesta per un potere ottico adeguato.
L’ultima fase è sottoporre la lente ad un processo
di trattamento dei bordi. Questo si fa utilizzando le
comuni tecniche di lucidatura dei bordi utilizzate per
le lenti rigide.
Una volta completata la tornitura, la lente viene
idratata in soluzione salina per renderla flessibile.
Nella sua forma finale la lente viene misurata e
controllata per verificarne la precisione, ispezionata
per controllarne i difetti estetici, etichettata, sterilizzata
e testata per appurarne la sterilità.
Vantaggi e svantaggi. Poiché molti programmi
educativi insegnano la tecnica di calcolo della curva
base, molti ottici credono che le lenti tornite con curva
base offrano una maggiore precisione.
Benché i materiali abbiano delle formulazioni chimiche
identiche, il processo di polimerizzazione delle lenti
tornite produce delle caratteristiche del materiale
completamente diverse da quelle del polimero utilizzato
nella tecnica a centrifuga. Queste differenze spiegano
anche la leggera differenza nel rendimento “sull’occhio”
tra le lenti centrifugate e le lenti lavorate al tornio.
Poiché le lenti tornite sono più spesse e meno flessibili
di quelle centrifugate, presentano dei movimenti
sull’occhio leggermente maggiori e sono più facili da
maneggiare, soprattutto a bassi poteri. Ma le lenti
tornite tendono ad essere meno comode di quelle
centrifugate e il loro profilo più spesso causa una
leggera diminuzione nella trasmissibilità dell’ossigeno.
Il processo di tornitura lascia poco spazio agli errori di
produzione. Alcune lenti a gradazione minore possono
essere sottili fino a 0,035 mm nel centro. Com’è noto,
le lenti a contatto devono essere prodotte nell’ambito
di tolleranze estremamente critiche.
Il tornio lascia scanalature e imperfezioni leggerissime
sulla superficie della lente e alcuni medici ritengono che
questi graffi attirino depositi di proteine. Le lenti tornite
devono essere pulite attentamente. Ma una pulizia
eccessiva può alterare la curvatura e danneggiare le
qualità ottiche della lente.
Le lenti tornite sono difficili da riprodurre, perché non
è facile verificare delle geometrie intricate ed eventuali
sottigliezze possono andare completamente perse in
fase di lucidatura. La maggior parte dei produttori
usa dei design molto semplici. Tuttavia negli ultimi
anni i torni controllati da computer hanno ridotto i
21
Manuale pratico di contattologia
problemi e ora la tornitura è diventato un metodo
di produzione molto più praticabile.
Rispetto al sistema a centrifuga, la tornitura è più
lenta e laboriosa. Ci vogliono circa 30 minuti per
completare l’intero processo. Di conseguenza i costi
di produzione delle lenti sono quattro o cinque volte
superiori a quelli della procedura a centrifuga.
3. Processo combinato
Come si può vedere, ci sono vantaggi e svantaggi in
entrambi i sistemi al tornio e a centrifuga. È stato
quindi sviluppato un nuovo processo che unisce il
meglio delle due tecniche e riduce gli aspetti negativi
(combinato). Con tale processo la superficie anteriore
della lente viene prodotta con la tecnica a centrifuga,
mentre la superficie posteriore della lente viene tornita.
Processo di produzione. La superficie anteriore
della lente viene prodotta per prima. Per questa
superficie il processo utilizza lo stesso monomero
di base e la stessa tecnologia di stampaggio del
processo di centrifugazione. Lo stampo viene modificato
leggermente per includere un collare scanalato che
consente di collocare la lente su un tornio nella fase di
lavorazione successiva. Questi stampi contengono una
geometria precisa che determina la curvatura anteriore
della lente. Gli stampi vengono usati un’unica volta
e poi vengono distrutti. Dapprima lo stampo viene
posto in una cavità girevole.
Quindi viene iniettato il monomero liquido. Usando
la luce ultravioletta il materiale viene polimerizzato
e si ottiene un pezzo fuso. Poi il pezzo fuso viene
trasferito su un tornio computerizzato che taglia la
giusta geometria per la superficie posteriore della
lente. Per lucidare la superficie posteriore della lente
vengono usati vari utensili. Questa lucidatura consente
di ottenere la superficie più liscia possibile dal processo
di tornitura.
A questo punto la lenta viene posta in una camera
di idratazione calda ed estratta dallo stampo.
22
Vantaggi e svantaggi. La superficie anteriore della
lente prodotta a centrifuga è molto liscia, cosa che
le conferisce una qualità ottica cristallina, un comfort
eccellente e un profilo del bordo ideale. La superficie
posteriore lavorata al tornio aumenta le prestazioni
sull’occhio con un movimento ed una centratura ottimi.
La tornitura crea anche una lente rigida più durevole.
Ciò rende la lente più facile da maneggiare anche
a poteri bassi.
4. Stampaggio
Lo stampaggio è il quarto processo utilizzato per
produrre lenti a contatto. Con questo metodo di
produzione viene creata una lente tra due stampi in
acciaio, ottone o plastica. Gli stampi sono disegnati
con una precisa geometria superficiale anteriore e
posteriore. Diversamente dalla tecnica a centrifuga,
è necessario uno stampo diverso per ogni potere.
Produzione delle lenti. Nello stampaggio vengono
uniti due stampi e nella cavità tra i due viene iniettato
un polimero liquido. Il polimero liquido si sostituisce
all’aria nella cavità e viene polimerizzato, formando
una lente completa. Quindi la lente viene estratta
dallo stampo.
Possono poi essere eseguiti altri processi, come
la lucidatura dei bordi. Come le lenti centrifugate
e tornite, anche le lenti fuse vengono idratate in
soluzione salina, misurate, ispezionate, etichettate,
sterilizzate in autoclave e testate per la sterilità.
Stampaggio: vantaggi e svantaggi. I vantaggi
dello stampaggio includono una buona riproducibilità,
superfici lisce e un design sottile. Con lo stampaggio
si riescono a produrre anche lenti ad alta e media
idratazione.
Tra gli svantaggi rientrano gli utensili complessi,
che sono difficili da verificare e da sottoporre a
manutenzione, gli elevati costi iniziali e, per alcune
tecniche di stampaggio, tempi di produzione molto
lunghi.
Manuale pratico di contattologia
6. Trattamenti
superficiali
Sono i trattamenti a cui viene sottoposta una lente
a contatto, morbida o rigida, allo scopo di migliorare
la bagnabilità.
Sinteticamente si dividono in:
1. Trattamenti fisici di superficie
2. Trattamenti chimici
1. Trattamenti fisici
Tecnologia al plasma: utilizzando il 4° stadio
della materia (plasma) in ambiente sotto vuoto
si possono effettuare due differenti modalità di
trattamento atti ad aumentare la bagnabilità di
superficie ed a diminuire l’affinità con i depositi.
Attivazione superficiale: dove non viene
depositato alcuno strato di sostanza sulla superficie
delle lenti a contatto ma vengono pulite ed attivate
ionicamente con l’utilizzo di gas (ossigeno) sotto
forma di plasma ad alta energia.
Deposizione di strati monometrici ad alta
performance di bagnabilità: utilizzando la
tecnologia plasma viene deposto un COATING o un
sottile strato di monomeroidrofilico sulla superficie
delle lenti a contatto sempre sotto vuoto grazie
al plasma.
•
•
•
•
•
HPMC (idrossi-propil-metilcellulosa)
PVP (polivinilpirrolidone)
HA (acido ialuronico)
TSP (tamarind seed polysaccharide)
PC (fosforilcolina)
I trattamenti permanenti invece utilizzano alte
temperature, raggi UV o ultrasuoni per polimerizzare,
legare o far aderire sulla superficie delle lenti a
contatto molecole colloidali di una data sostanza
ad altissima idrofilia, quali:
• Acido ialuronico
• Silicati di sodio o potassio
• NVP Nvinilpirrolidone
2. Trattamenti chimici
Sono metodologie di modifica permanente o
temporanea della superficie delle lenti a contatto.
I trattamenti temporanei prevedono l’immersione delle
lenti in soluzioni contenenti un agente surfattante
che poi viene rilasciato durante l’uso quali:
• PVA (alcol polivinilico)
• PEG (polietilenglicole)
23
Manuale pratico di contattologia
7. Inquadramento
legislativo
8. Identificazione
di una lente a contatto
Dal punto di vista legislativo, le lenti a contatto sono
biomateriali appartenenti al gruppo dei dispositivi
medici. Si definisce biomateriale un materiale concepito
per interfacciarsi con i sistemi biologici per valutare,
dare supporto o sostituire un qualsiasi tessuto, organo
o funzione del corpo (II International Consensus
Conference on Biomaterials, Chester, Gran Bretagna,
1991). La direttiva CEE 93/42 definisce il dispositivo
medico come uno strumento, un apparecchio, un
impianto, una sostanza, o altro prodotto usato da solo
o in combinazione, compreso il software informatico
impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal
fabbricante ad essere impiegato nell’uomo a scopo di:
• diagnosi, prevenzione, controllo, terapia o
attenuazione di una malattia;
• diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o
compensazione di una ferita o di un handicap;
• studio, sostituzione e modifica dell’anatomia o di
un processo fisiologico;
• intervento sul concepimento, purché non eserciti
l’azione principale nel o sul corpo umano, cui è
destinato, con mezzi farmacologici o immunologici,
né mediante processo metabolico, ma la cui funzione
possa essere coadiuvata da tali mezzi.
In base al Dls n. 46 24/02/1997 e successive
modifiche "Attuazione della direttiva 93/42/CEE,
concernente i dispositivi medici”, le lenti a contatto
rientrano nei dispositivi medici invasivi di classe II.
Nel 1999 l’ISO (ISO 1153:1999) ha standardizzato
i metodi di classificazione dei materiali. Grazie a
questo sistema è possibile inquadrare tutti i parametri
necessari ad identificare una lente a contatto:
Prefix: indicativo della molecola.
Stem: suffisso focon per materiale rigido, filcon
per materiale morbido.
Series: lettere A-B-C ecc. per indicare la serie di
produzione della molecola.
Group: idrofilia e ionicità (I, II, III, IV) (Tab 3).
Dk range: codice di identificazione del Dk (Tab 1).
Codice di modifica superficiale: indicato dalla
lettera m, quando la superficie della lente è stata
trattata con un procedimento che ha modificato, in
parte, le caratteristiche chimico fisiche del materiale.
A titolo di esempio:
1. Codice identificativo: Paflufocon B III 3
Prefix: Paflu - molecola
Stem: focon - mteriale rigido
Series: B - seconda formulazione
Suffix: III - contiene sia silicone che fluoro
Dk range: 3: un Dk compreso tra 31-60 unità.
2. Metafilcon A IV 1
Prefix: Meta - indicativo della molecola
Stem: filcon - materiale morbido
Series: A - prima formulazione del polimero
Suffix: IV: H2O ≥ 50%, materiale ionico
Dk range: 1 - Dk compreso tra 1-15 unità
Gruppo
Lenti rigide
Lenti Morbide
I
No silicone, no fluoro
< 50% H2O, non ioniche
II
III
IV
No silicone, no fluoro
Sì fluoro, sì silicone
No silicone, sì fluoro
>50% H2O, non ioniche
< 50% H2O, non ioniche
< 50% H2O, non ioniche
24
Tab. 3
L’FDA suddivide le lenti a contatto morbide
in 4 gruppi a seconda della presenza di
silicone, del contenuto di acqua e della
carica ionica.
Manuale pratico di contattologia
9. Interazione tra lente a
contatto e superficie oculare
Si riportano sinteticamente gli elementi di fisiopatologia,
essenziali, dell’interazione tra superficie oculare e
lente a contatto. Nel momento che una lente a
contatto di qualsiasi tipo viene applicata, entra in
stretta correlazione con le strutture principali della
superficie oculare quali film lacrimale, palpebre e
cornea. Nel momento che la lente a contatto viene
applicata, viene immersa nel film lacrimale. I continui
ammiccamenti generano una pressione all’interno
del sacco congiuntivale tale da consentire al film
lacrimale di essere spinto verso i dotti lacrimali e,
contemporaneamente, di essere sostituito con il film
lacrimale di nuova produzione (meccanismo della
pompa lacrimale). Il movimento di chiusura della rima
palpebrale, inoltre, genera uno stress meccanico sulla
lente a contatto tanto da farla collassare su se stessa.
Durante l’apertura invece, la lente a contatto a seconda
delle sue caratteristiche costruttive, riprende, più o
meno rapidamente, la sua forma originaria. Tutto ciò,
però, innesca una serie di processi fisiopatologici che,
se ignorati o sottovalutati, potrebbero arrecare danni
più o meno gravi alla superficie oculare.
9.1 Palpebre - Meibomite, Congiuntivite
gigantopapillare, Ptosi
La dinamica palpebrale, nel soggetto sano, prevede
circa 15-20 ammiccamenti al minuto. Durante questi
movimenti di apertura e chiusura della rima palpebrale,
la congiuntiva tarsale è sottoposta ad un continuo
“sfregamento” contro il bordo e la superficie della
lente. Questo determina l’instaurarsi di fenomeni
infiammatori, a carico dell’epitelio e dello stroma
congiuntivale, che si manifestano sia con alterazioni
delle ghiandole accessorie congiuntivali (Krause, moll
ecc), sia con ostruzione delle ghiandole di Meibomio
(Meiboimite) (Fig. 9), sia in forma di congiuntivite
giganto papillare (Fig. 10). In molti casi, quando l’uso
delle lenti a contatto è prolungato e la geometria non
idonea (lente larga), lo stimolo infiammatorio interessa
gli strati più profondi delle palpebre coinvolgendo il
muscolo elevatore delle palpebre ed il muscolo del
Muller con conseguente ptosi.
9.2 Film lacrimale - Sindrome della
lente stretta
La lente a contatto immersa nel film lacrimale scinde
lo stesso in due porzioni (menischi). La porzione
pre lente (menisco pre lente) e la porzione post
lente (menisco post lente) (Fig. 11).
Fig 9 Meiboimite.
Fig 10 Congiuntivite giganto papillare da lac.
25
Manuale pratico di contattologia
Il menisco pre lente ricopre la superficie esterna
della lente a contatto ed è costituito principalmente
dallo strato lipidico e acquoso del film lacrimale e,
in virtù della presenza della lente stessa, perde
i suoi rapporti sia con lo strato mucoso del film
sottostante, sia con il glicocalice e le mucine degli
epiteli corneale e congiuntivale.
Per tale motivo è scarsamente stabile e tende
facilmente ad evaporare. Il menisco post lente,
invece, è rappresentato, principalmente, dallo
strato acquoso e da quello mucoso ed è a diretto
contatto con il complesso glicocalice - mucine degli
epiteli corneale e congiuntivale. In virtù di ciò il
menisco, post lente, è più stabile di quello pre lente,
ma tende a ricambiarsi più difficilmente, e meno
frequentemente, con gli ammiccamenti. Le lenti
morbide, per loro natura chimica, presentano una
quantità di acqua legata ai terminali monomerici, ed
una quantità libera, proveniente dal mezzo esterno
(blister, film lacrimale, ecc.) che occupa lo spazio
tridimensionale tra le varie catene polimeriche.
L’acqua libera evapora rapidamente a contatto con
l’aria. Il rapporto tra la quota di acqua libera e legata,
espressa in percentuale, determina l’idrofilia della
lente. Quando applicata, la lente a contatto tenderà
ad assorbire l‘acqua presente nel film lacrimale al
fine di saturare i legami covalenti, trasformandosi
in acqua legata, in un ciclo continuo garantendo
le caratteristiche geometriche e di biocompatibilità
della lente.
Fig 11 Menisco pre lente e post lente (da Troiano et al).
26
Appare chiaro che quanto maggiore sarà l’idrofilia
di una lente, maggiore sarà la quantità di acqua
che verrà “sottratta” dal film lacrimale. Nel caso
in cui la produzione di film lacrimale da parte del
paziente non sia ottimale, si ridurrà sia l’apporto
di acqua alla lente, sia la quantità di film lacrimale
disponibile. Ciò provocherà due condizioni, la prima
caratterizzata da un aumento dell’osmolarità
lacrimale con conseguente secchezza e relativo
disconfort oculare, la seconda caratterizzata da
assottigliamento, riduzione del raggio di curvatura
e riduzione del Dk. Si instaurerà così la Sindrome
della Lente Stretta (tight lens sindrome) caratterizzata
da uno shift positivo del potere diottrico della lente
e dall’instaurarsi di fenomeni di ipossia tissutale.
Questa sindrome è frequente nei portatori di lenti
a contatto morbide che richiedono elevate quantità
di acqua e che, in virtù del loro elevato raggio di
curvatura che le rende immobili, non favoriscono un
ottimale ricambio di lacrime; mentre è assente nei
portatori di lenti rigide vista sia la loro bassissima
idrofilia che difficilmente causa secchezza oculare,
sia il loro piccolo raggio di curvatura che, rendendole
mobili, favorisce il ricambio di lacrime. Tale sindrome
si previene sia con una attenta valutazione dello stato
della superficie oculare, sia mediante l’instillazione
ripetuta di colliri a base di soluzione fisiologica
durante il porto delle lenti a contatto.
9.3 Cornea - Sindrome da porto
prolungato, danni meccanici
Essendo un tessuto avascolare, la cornea deve gran
parte del suo nutrimento all’ossigeno presente nel
film lacrimale e proveniente dall’esterno. La lente
a contatto in virtù delle sue proprietà chimiche
interrompendo la continuità del film lacrimale, riduce
più o meno drasticamente l’apporto di ossigeno alla
cornea. L’ipossia conseguente ad un uso prolungato
delle lenti a contatto innesca una cascata di eventi
Manuale pratico di contattologia
che configurano la Sindrome da porto prolungato
(over wearing syndrome).
Nella prima fase si assiste ad un aumento del
PH intracellulare con attivazione del metabolismo
anaerobico del glicogeno ed acidosi tissutale, che
comporta una compromissione del plesso nervoso
trigeminale pericheratico con conseguente ipoestesia
corneale; principale responsabile dell’adattamento
dei pazienti all’uso di lenti a contatto per tempi
prolungati.
Nella seconda fase l’ipoestesia determina una
riduzione degli ammiccamenti con riduzioni dello
stimolo a produrre lacrime. Ciò si traduce in una
secchezza oculare con discomfort e fenomeni di
intolleranza, anche dopo poche ore, all’uso di
lenti a contatto. Successivamente si assiste alla
sofferenza, conclamata, dell’epitelio corneale, che
tende sia a mostrare infiltrati di cellule infiammatorie
sia a sfaldarsi con insorgenza di fenomeni ulcerativi
(cheratopatia puntata) (Fig. 12). Nella fase terminale,
quando l’ipossia è persistente e prolungata, si assiste
alla compromissione dell’endotelio corneale, con
polimegtismo e perdita di cellule (blabes), si assiste
quindi all'alterazione dei meccanismi di scambio
endotelio-stroma con perdita della trasparenza
corneale (sub edema) (Fig. 13).
Oltre che a sofferenza di natura ipossica, la cornea
può essere esposta a danni di carattere meccanico
quali abrasioni o ulcere causate tanto dalla
secchezza oculare quanto dalla alterata geometria
ma principalmente, dalla cattiva gestione da parte
del paziente.
I quadri clinici sopradescritti possono interessare
sia i portatori di lenti a contatto morbide, rigide
e rigide gas permeabili. La prevenzione consiste
sia nell’idratazione frequente delle lenti a contatto
attraverso l’instillazione di colliri a base di soluzione
fisiologica, sia nel limitare le ore di utilizzo ad un
massimo di circa 6-8 ore per le lenti morbide e
10-12 ore per quelle rigide.
Fig 12 Cheratopatia puntata.
Fig 13 Sub edema corneale con polimegatismo endoteliale.
9.4 Congiuntiva - La congiuntivalizzazione
limbare, Epiteliopatia da sfregamento
L’iperosmolarità lacrimale indotta dalla lente a
contatto morbida, innesca una serie di processi
infiammatori a carico della congiuntiva. Si osserva
una perdita di cellule mucipare e di villi congiuntivali
che a lungo andare porta alla comparsa di una
metaplasia squamosa dell’epitelio congiuntivale.
La metaplasia interessa anche la zona del limbus
corneo-congiuntivale dove si manifesta sotto forma di
una congiuntivalizzazione limbare a 360° (Fig 14).
Nei portatori di lenti a contatto rigide, invece,
27
Manuale pratico di contattologia
l’effetto meccanico dello sfregamento della lente
sulla congiuntiva determina l’insorgenza di una
epiteliopatia da sfregamento; caratterizzata dalla
presenza di piccole microulcere congiuntivali in
prossimità del bordo della lente (Fig. 15).
9.5 Depositi - Biofilm
Tutte le lenti a contatto, appena applicate, vengono
immerse nel film lacrimale. Ciò provoca la formazione
di un biofilm, sulla superficie delle lenti, costituito
da proteine, sali minerali e oligoelementi propri del
film lacrimale. Il biofilm rende la lente maggiormente
biocompatibile. Un porto prolungato e una cattiva
manutenzione delle lenti a contatto, però, provocano
la denaturazione delle proteine del biofilm stesso.
Queste proteine denaturate si legano alla matrice
polimerica in agglomerati più o meno evidenti, i
depositi proteici (Fig. 16).
Questi depositi rappresentano siti di aggancio per
altre sostanze come i grassi, depositi lipidici, ma
principalmente per microorganismi patogeni quali
virus, batteri o protozoi.
La formazione di depositi è direttamente proporzionale
alla ionicità e alla idrofilia della lente a contatto. La
prevenzione consiste nel ridurre il porto delle lenti
ed in una accurata e scrupolosa manutenzione con
enzimi proteolitici.
9.6 Infezioni
Tutte le lenti a contatto rappresentano siti preferenziali
per lo sviluppo di infezione. Tale sviluppo è favorito
sia dall’uso prolungato ma, principalmente, dalla
cattiva gestione delle lenti a contatto. I microrganismi
interessati sono i batteri, i funghi e i parassiti.
I batteri più rappresentati sono tra i Gram +
lo Stafilococco Aureus, lo Stafilococco CNS e lo
Streptococco Pneumoniae, mentre tra i Gram - lo
Pseudomonas, la Serratia Marcenses e la Klebsielle.
Tali infezioni interessano sia le lenti rgp che le lenti
morbide, ma studi recenti hanno evidenziato una
forte tendenza a sviluppare infezioni da Pseudomonas
in caso di lenti in silicone idrogel.
I funghi sono rappresentati, principalmente dalla
Candida, dall’Aspergillus e dal Fusarium. In letteratura
Fig 14 Congiuntivalizzazione limbare.
Fig 15 Disepitelizzazioni ed iperemia congiuntivale.
28
Fig 16 Depositi proteici su lac.
Manuale pratico di contattologia
non sono riportati casi di colonizzazione funginea su
lenti rigide gas permeabili, mentre risultano frequenti
in presenza di lenti morbide in idrogel (Fig. 17).
Tra i parassiti si annovera l’Acanthamoeba Castellani
(Fig 18). La contaminazione avviene, principalmente,
per cattiva gestione delle lenti a contatto, come
lavarle con l’acqua di rubinetto, ed interessa sia le
lenti a contatto rgp che le lenti a contatto morbide. In
caso di sospetto di infezione è necessario asportare le
lenti a contatto ed inviarle, con i relativi contenitori,
presso un laboratorio per effettuare una coltura con
antibiogramma. Successivamente verrà instaurata una
terapia antibiotica o antifunginea mirata.
10. Esami applicativi
Al fine di prescrivere una lente a contatto è necessario
sottoporre il paziente a pochi, ma mirati, esami
diagnostici, di cui si eviterà la descrizione tecnica,
bagaglio ampiamente in possesso di ogni oculista,
ma si riporteranno solo i dati salienti ai fini della
prescrizione contattologica.
10.1 Anamnesi
Oltre che alle normali informazioni, l’anamnesi
contattologica deve mirare, principalmente, a capire
le abitudini di vita, le attività lavorative, le attività
sportive, il perchè e la reale motivazione dell’uso
di lenti a contatto. Quando completa, potrà fornire
indicazioni sia sulla candidabilità all’uso di l.a.c. sia
orientare sul tipo di lenti a contatto da prescrivere.
10.2 Esame esterno
Ha lo scopo di valutare la presenza di esoftalmo,
ptosi e altri processi patologici a carico degli annessi.
I quadri patologici suddetti controindicano l’uso di
lenti a contatto.
Fig 17 Infiltrato fungineo.
10.3 Biomicroscopia del segmento
anteriore
Ha lo scopo di valutare la presenza di patologie
corneali e congiuntivali ma, principalmente la
presenza di segni e danni di occhio secco iposecretivo
o evaporativo.
10.4 Test di Shirmer e BUT
Fig 18 Acanthamoeba.
Rappresentano un momento fondamentale della fase
pre applicativa. I loro risultati permettono di stabilire,
sia la natura del materiale ma, principalmente, la
sua idrofilia. Appare chiaro che uno Shirmer e un
29
Manuale pratico di contattologia
BUT ai limiti bassi della normalità controindicano
l’uso di lenti in idrogel ad alta idrofilia orientando
la scelta verso un silicone idrogel, mentre valori
elevati permettono l’utilizzo di idrogel tradizionali
a media o alta idrofilia.
10.5 Refrazione
È fondamentale per la scelta del materiale e della
sua tipologia. I rilievi refrattivi ed oftalmometrici
consentiranno di stabilire la tipologia di lente, sferica,
asferica o torica, nonché il materiale. A seconda
della componente sferica e cilindrica ci si orienterà
su materiali rigidi o morbidi.
10.6 Topografia corneale e microscopia
endoteliale
Hanno lo scopo di fornire informazioni sui parametri
corneali necessari per la scelta della geometria della
lente e sulle condizioni dell’endotelio per la scelta
del numero di ore di porto della lente.
Mentre la topografia deve essere sempre effettuata
dall’ottico applicatore, la microscopia endoteliale è
a puro appannaggio dell’oculista.
11. Esami post applicativi
Il controllo post applicativo viene effettuato dall’ottico
applicatore e dall’oculista.
Il controllo oculistico avviene dopo 7 giorni dall’inizio
dell’utilizzo delle lenti a contatto con le stesse
indossate da non meno di 4 ore.
L’oculista valuterà:
11.1 Esame in sovra refrazione
Viene effettuato rilevando il visus con la lente
applicata al fine di stabilire il residuo refrattivo.
È importante per comprendere se la lente a contatto
annulla totalmente il vizio refrattivo o meno.
11.2 Biomicroscopia del segmento
anteriore
Valuterà vari parametri quali la bagnabilità, la
presenza di depositi e la mobilità. Attraverso l’uso
della fluoresceina si valuterà l’appoggio della lente.
Successivamente alla rimozione della lente a contatto,
sempre mediante l’uso della fluoresceina, si valuterà
la presenza di deficit epiteliali o di superficie.
11.3 Topografia e biomicroscopia
endoteliale
Sono test da effettuare non prima di 3-6 mesi
dall’utilizzo di lenti a contatto.
La topografia post applicativa ha lo scopo di
valutare gli effetti della lente sulla curvatura al
fine di identificare la possibile presenza di warpage.
La microscopia endoteliale, invece, permetterà di
stabilire la presenza o meno di sofferenza endoteliale
(polimegatismo, blabes).
30
Manuale pratico di contattologia
12. Grading scales
Rappresenta una forma di standardizzazione della
situazione biomicroscopica della superficie anteriore.
Ha la finalità di realizzare una “fotografia” della
superficie assegnando un punteggio a diversi
parametri quali l’iperemia bulbare, limbare e tarsale;
la neovascolarizzazione corneale, lo staining corneale
ed il polimegatismo endoteliale.
Grazie a questo sistema sia l’oculista che l’ottico
applicatore avranno dei parametri comuni, e condivisi,
su cui poter lavorare.
Di seguito è riportato un adattamento dalle Grading
Scales del Prof. Efron (Contact Lens Practice - edito
da Butterworth-Heinemann, 2010, ISBN 978-0-75068869-7).
31
Manuale pratico di contattologia
Bibliografia
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Contact Lens Practice - edito da ButterworthHeinemann, 2010, ISBN 978-0-7506-8869-7
Manuale pratico di contattologia
Appendice
Guida al corretto utilizzo delle lenti a contatto
(Come da Decreto Ministeriale pubblicato sulla G.U. n. 64 del 18/03/03, Art. 1 comma 3)
• L’applicazione e l’uso delle lenti a contatto possono essere eseguiti
solo quando le condizioni anatomofunzionali dell’occhio del paziente lo
consentono. Esistono infatti alcuni fattori di rischio, rilevabili dallo specialista,
che possono risultare responsabili di complicanze o dell’insorgenza di
fenomeni di intolleranza.
• Il medico specialista e l’ottico applicatore della lente sono consapevoli
di tali problematiche e solo dopo un accurato esame del soggetto
possono consigliare o meno l’uso delle lenti a contatto.
• Per utilizzare le lenti a contatto in sicurezza è necessario seguire
attentamente le istruzioni d’uso per una corretta applicazione, rimozione,
pulizia e manutenzione.
• Al fine di evitare danni agli occhi è importante verificare l’assenza di
controindicazioni dal medico oculista e sottoporsi a controlli periodici.
• Utilizzare le lenti a contatto sterili e non oltre il periodo raccomandato.
• Al termine del periodo di utilizzo raccomandato nella confezione
(giornaliero, bisettimanale, mensile ecc.) le lenti dovranno essere sostituite
con un nuovo paio.
• È necessario rimuovere le lenti e consultare il medico in caso di arrossamenti,
bruciori, sensazione di corpo estraneo o eccessiva lacrimazione, vista
offuscata o altri disturbi della vista.
• I farmaci diuretici, antistaminici, decongestionanti, tranquillanti possono
provocare secchezza dell’occhio, in tal caso è necessario consultare il
medico oculista.
• Se una sostanza chimica viene a contatto con gli occhi, sciacquare
immediatamente e recarsi subito dal medico.
• Evitare l’esposizione a vapori nocivi o lacche per capelli.
• Utilizzare sempre soluzioni per lenti a contatto non scadute ogni volta
che si ripongono le lenti e non usare mai acqua corrente per sciacquarle.
33
Manuale pratico di contattologia
• Non mettere mai le lenti in bocca per umidificarle.
• Consultare il medico per le modalità di utilizzo durante le attività sportive.
• Evitare l’uso di lenti a contatto in occasione di bagni al mare, in piscina
e di docce nei luoghi pubblici.
• Evitare l’uso di saponi contenenti creme, lozioni o oli cosmetici prima
di utilizzare le lenti.
• L’inosservanza delle norme per la corretta utilizzazione delle lenti a
contatto può provocare gravi danni all’occhio.
• Raramente possono verificarsi ulcere corneali responsabili di menomazioni
visive.
• Il rischio di contrarre la cheratite ulcerosa aumenta in caso di inosservanza
delle norme d’igiene e di uso in caso di utilizzo delle lenti per un tempo
più prolungato rispetto a quello raccomandato.
• Il rischio di cheratite ulcerosa aumenta notevolmente nei fumatori.
• Le lenti a contatto con protezione UV non sostituiscono gli occhiali da
sole perché non ricoprono totalmente l’intero segmento anteriore. Pertanto,
i portatori di lenti a contatto devono continuare a portare gli occhiali
da sole in caso di esposizione ai raggi UV.
34
IstruzioniLAC_x_IstruzioniLAC_x
IstruzioniLAC_x_IstruzioniLAC_x 04/10/12
04/10/12 14.29
14.29 Pagina
Pagina 22
Manuale pratico di contattologia
Istruzioni per la manipolazione
delle lenti
Istruzioni per la m
LAC_x_IstruzioniLAC_x
AC_x_IstruzioniLAC_x 04/10/12
04/10/12 14.29
14.29 Pagina
Pagina 22
Prima di ogni manipolazione lavate e sciacquate accuratamente le mani,
Prima di
di ogni
ogni manipolazione
manipolazione lavate
lavate ee sciacquate
sciacquate aa
asciugandole con un panno pulito che Prima
non
lasci
lasci residui
residui di
di tessuto
tessuto sulle
sulle dita.
dita.
lasci residui di tessuto sulle dita.
Istruzioni
per la manipolazione
delle
lenti
Applicazione lente
Applicazione
Applicazione lente
lente
Al fine di evitare errori, abituatevi, nelleAl
rimozione, nelle
a
Alfasi
fine
finedidi
diapplicazione
evitare
evitare errori,
errori,e abituatevi,
abituatevi,
nelle
fasi
fasi di
di app
app
Prima
Prima di
di ogni
ogni manipolazione
manipolazione
lavate
ee sciacquate
sciacquate
accuratamente
accuratamente
mani,
asciugandole
con
con un
un
panno
pulito
pulito
che
che non
non
iniziare lelavate
relative
operazioni
semprelele mani,
dallaasciugandole
stessa lente:
inpanno
questo
modo
si
stessa
stessa lente:
lente: in
in questo
questo modo
modo si
si eviterà
eviterà di
di confon
confon
lasci
lasci residui
residui di
di tessuto
tessuto
sulle
sulle
dita.
eviterà
didita.
confonderle.
Applicazione
Applicazione lente
lente
Al
Al fine
fine di
di evitare
evitare errori,
errori, abituatevi,
abituatevi, nelle
nelle fasi
fasi di
di applicazione
applicazione ee rimozione,
rimozione, aa iniziare
iniziare le
le relative
relative operazioni
operazioni sempre
sempre dalla
dalla
Primamodo
di inserire
è importante
stessa
stessa lente:
lente: in
in questo
questo
modo
si
si eviterà
eviteràledi
di lenti
confonderle.
confonderle.
controllare che esse non siano
capovolte, ossia che non rivolgano
all'esterno la loro parte interna.
Prima
Prima di
di
capovolt
capovolt
Prima
Prima di
di inserire
inserire le
le lenti
lenti èè importante
importante controllare
controllare che
che esse
esse non
non siano
siano
capovolte,
capovolte, ossia
ossia che
che non
non rivolgano
rivolgano all'esterno
all'esterno la
la loro
loro parte
parte interna.
interna.
Posizionate la lente sulla punta
dell’indice
mano
Posizionate
Posizionate la
la lente
lente
sulla
sulla punta
puntadella
dell’indice
dell’indice
della
della dominante.
mano
mano domidomiil dito
medio
della
stessa
nante.
nante. Ponete
Ponete ililPonete
dito
dito medio
medio
della
della
stessa
stessa
mano
mano
vicino
vicinomano
alle
alle
ciglia
ciglia inferiori
inferiori ee abbassate
abbassate
la
la palpebra
palpebra
inferiore;
inferiore;esollevate
sollevate
la
la
vicino
alle
ciglia
inferiori
abbassate
palpebra
palpebra superiore
superiore
col
dito
dito indice
indice inferiore;
dell’altra
dell’altra mano
mano
ee applicate
applicatela
la col
palpebra
sollevate
la
la lente
lente al
al centro
centropalpebra
dell’occhio.
dell’occhio. superiore col dito indice
dell’altra mano e applicate la lente
Rimozione
Rimozione lente
lenteal centro dell’occhio.
Posizionate
Posizionate la
la lente
lente sulla
sulla punta
punta dell’indice
dell’indice della
della
nante.
nante. Ponete
Ponete ilil dito
dito medio
medio della
della stessa
stessa mano
man
ciglia
ciglia inferiori
inferiori ee abbassate
abbassate la
la palpebra
palpebra inferiore;
inferiore
palpebra
palpebra superiore
superiore col
col dito
dito indice
indice dell’altra
dell’altra mano
mano
la
la lente
lente al
al centro
centro dell’occhio.
dell’occhio.
Rimozione
Rimozione
lente
Guardate
Guardate verso
verso l’alto
l’alto ee abbassate
abbassate la
la palpebra
palpebra inferiore,
inferiore, togliete
togliete la
la lente
lente
afferrandola
afferrandolalente
tra
tra pollice
pollice ee indice.
indice.
Rimozione lente
Guardate
Guardate verso
verso l’alto
l’alto ee abbassate
abbassate la
la palpebra
palpebra infe
infe
Manutenzione
Manutenzione Guardate verso l’alto e abbassate la palpebra inferiore, togliete la lente
Per
Per continuare
continuare aa indossare
indossare in
in maniera
maniera confortevole
confortevole le
le proprie
proprie lenti
lenti èè necessaria
necessaria un’accurata
un’accurata manutenzione.
manutenzione.
afferrandola
tra pollice
e indice.
Manutenzione
Manutenzione
Per
Per la
la scelta
scelta del
del prodotto
prodotto più
più idoneo
idoneo in
in considerazione
considerazione delle
delle specifiche
specifiche
esigenze
esigenze ee della
della tipologia
tipologia di
di lente
lente prescritta,
prescritta,
èè necessario
necessario avvalersi
avvalersi della
della consulenza
consulenza del
del proprio
proprio specialista.
specialista.
Per
Per continuare
continuare aa indossare
indossare in
in maniera
maniera confortevo
confortevo
La
La pulizia
pulizia ee ilil risciacquo
risciacquo sono
sono necessari
necessari per
per rimuovere
rimuovere tracce
tracce di
di muco,
muco, secrezioni,
secrezioni, depositi
depositi che
che si
si possono
possono
Per
Per
la
la
scelta
scelta
del
del
prodotto
prodotto
più
più
idoneo
idoneo
in
in
consideraz
consideraz
accumulare
accumulare sulle
sulle superfici
superfici delle
delle lenti
lenti durante
durante ilil loro
loro uso.
uso.
èrispondono
necessario
necessario
avvalersi
avvalersi
della
della consulenza
consulenza
del
del propri
propr
II prodotti
prodotti per
per la
la manutenzione
manutenzione delle
delle lenti
lenti aa contatto
contatto in
in commercio,
commercio,è
rispondono
alle
alle più
più
elevate
elevate esigenze
esigenze
d’igiene
d’igiene ee
sicurezza
sicurezza garantendo
garantendo la
la massima
massima praticità
praticità ed
ed efficacia.
efficacia.
La
La pulizia
pulizia ee ilil risciacquo
risciacquo sono
sono necessari
necessari per
per rir
accumulare
accumulare sulle
sulle superfici
superfici delle
delle lenti
lenti durante
durante ilil
II prodotti
prodotti per
per la
la manutenzione
manutenzione delle
delle lenti
lenti aa conta
conta
Si
Si raccomanda
raccomanda di
di sostituire
sostituire le
le lenti
lenti ee pulirle
pulirle secondo
secondo le
le indicazioni
indicazioni
dello
dello
specialista.
specialista.
la massima
massima praticità
praticità ed
ed effic
effi
sicurezza
sicurezza garantendo
garantendo la
Avvertenze
Avvertenze ee precauzioni:
precauzioni:
disturbi: prurito,
prurito, eccessiva
eccessiva lacrimazione,
lacrimazione, dolore,
dolore, scarsa
scarsa visione,
visione, sensibilità
sensibilità alla
alla
Se
Se si
si avvertisse
avvertisse uno
uno dei
dei seguenti
seguenti disturbi:
Avvertenze
Avvertenze ee precauzioni:
precauzioni:
luce,
luce, rimuovere
rimuovere assolutamente
assolutamente le
le lenti.
lenti.
Sciacquare
Sciacquare ogni
ogni giorno
giorno ilil portalenti
portalenti con
con soluzione
soluzione salina
salina oo disinfettante
disinfettante fresco
fresco ee lasciarlo
lasciarlo asciugare
asciugare all’aria
all’aria aperta.
aperta.
35
Si
Si raccomanda
raccomanda di
di sostituire
sostituire le
le lenti
lenti ee pulirle
pulirle sec
se
Inserire
Inserire le
le lenti
lenti prima
prima di
di truccarsi.
truccarsi.
disturbi: prur
pru
Se
Se si
si avvertisse
avvertisse uno
uno dei
dei seguenti
seguenti disturbi:
Manuale pratico di contattologia
Come prendersi cura delle lenti a contatto
Tutte le lenti a contatto (tranne le lenti a ricambio giornaliero)
devono essere trattate ogni giorno, dopo l’utilizzo, con delle
soluzioniche le puliscono, disinfettano e conservano.
La scelta del sistema di manutenzione dipende dal tipo di lente, dal materiale,dalla
frequenza di ricambio e dalla modalità di utilizzo.
• Lenti a contatto giornaliere
Non servono liquidi di manutenzione: a fine giornata basta gettare le lenti
utilizzate e indossare un paio di lenti nuove la mattina seguente.
• Lenti a contatto quindicinali e mensili
è semplice prendersene cura: ogni volta che le rimuovi utilizza il sistema di
manutenzione consigliato dal tuo specialista e riponile nel portalenti, fino
alla successiva riapplicazione.
• Lenti a contatto a sostituzione programmata
Vanno rimosse ogni sera, pulite e risciacquate utilizzando il sistema di
manutenzione consigliato dal tuo specialista e riposte nel portalenti, fino
alla successiva riapplicazione.
• I passi principali
Pulisci le lenti a contatto con il liquido idoneo. Pulendo e disinfettando
correttamente le lenti a contatto, eliminila quasi totalità dei batteri e puoi
prevenire problemi legati alla formazione di depositi. Ricordati di rispettare
le date di scadenza indicate sulle confezioni delle soluzioni.
• Soluzioni Uniche
Le soluzioni uniche svolgono diverse funzioni: puliscono, disinfettano,
risciacquano e conservano tutte le lenti a contatto morbide.
• Perossidi
I perossidi sono disinfettanti efficaci che rendono inerti i batteri presenti
sulla lente, ma che risultano irritanti se a contatto con gli occhi: devono
essere quindi neutralizzati dopo il ciclo di disinfezione.
• Soluzioni Saline
Le soluzioni saline non effettuano un’azione disinfettante, ma sono indicate
per risciacquare la lente ed eliminare residui di soluzioni disinfettanti.
36
Manuale pratico di contattologia
• Rub
Lo sfregamento (rub) è una fase importante e fondamentale della
manutenzione delle lenti a contatto, poiché grazie ad essa vengono rimossi
i depositi superficiali e altri residui.
l rub si effettua tenendo la lente sul palmo della mano, inumidendola con
qualche goccia di soluzione e strofinandola delicatamente con un dito.
• Portalenti
Per conservarle nel modo opportuno, riponi le lenti a contatto nell’apposito
portalenti, che deve essere sempre pulito. Ricordati di pulire e di sostituire
regolarmente il portalenti, seguendo le indicazioni del libretto di istruzioni.
• Umettanti
Vengono utilizzati per rendere confortevole l’uso di tutti i tipi di lenti a
contatto. Aiutano infatti a rimuovere particelle irritanti e nello stesso tempo
umidificano le lenti, offrendo sensazioni di sollievo. Gli umettanti possono
essere instillati direttamente nell’occhio con le lenti inserite, prevenendo
così sensazioni di secchezza oculare, appannamenti o fastidi che possono
verificarsi durante l’uso delle lenti.
Una volta aperte e trascorso il periodo di tempo indicato sul foglio
illustrativo o sulla confezione, le soluzioni devono essere buttate.
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Manuale pratico di contattologia
Note
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Manuale pratico di contattologia
Note
39
Manuale pratico di contattologia
Note
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Di questa pubblicazione sono state stampate 300 copie numerate
I.P.
ISBN: 978-88-98320-04-2
MANUALE PRATICO
DI CONTATTOLOGIA
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