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Di Scipio - Ascoltare l'evento del suono

annuncio pubblicitario
pubblicato in Musica & Architettura (atti del convegno omonimo
svoltosi a Roma, Villa Giulia, 2011), a cura di A.Capanna, F.
Cifariello Ciardi, A.I.Del Monaco, M.Gabrieli, L.Ribichini, G.
Trovalusci, Edizioni Nuova Cultura, Roma, 2012, pp.63-70.
ASCOLTARE
n taL’EVENTO DEL SUONO
/
Notebpersuna
a biopolitica della musica
0 fre
4
Agostino Di Scipio
x2 ura
0
e-mail:
[email protected]
17 oss
3 m br
Abstract
a
z to m to
z
n
Bo rma imeViviamo dentro un’ideologia pervasiva che riduce l’esperienza del suono all’oggetto sonoro,
in assenza delle circostanze legate all’unità di tempo e luogo del suo accadimento.
fo lest disponibile
Intere categorie di produzione artistica e tecnologica sono state costruite in base a questa
concezione, che d’altra parte ha avuto ragioni storiche importanti. È urgente, però, ridestare
al
una comprensione della sempre attiva dimensione relazionale ed ecologica del suono,
valorizzare quella sensibilità conoscitiva specificamente musicale che comprende il suono
come evento: traccia delle condizioni materiali – individuali, collettive, tecnologiche e
ambientali – che emerge nell’hic-et-nunc dell’esperienza. In tale prospettiva, il ruolo delle
tecnologie nei processi creativi e di progettazione non sta tanto nel progettare e proiettare il
suono come qualcosa da ricollocare, dislocare, muovere nello spazio (“spazializzazione”,
“spazio virtuale”), ma nel favorire le interazioni da cui l’evento di suono accade in “tempo
reale” e “spazio reale”, come emergenza indissociabile dallo spazio specifico e da chi lo abita.
1
Condizioni materiali di esperienza e comprensione
Nel corso degli anni, le mie personali scelte artistiche e le corrispondenti forme di
progettazione tecnologica si sono orientate verso nuclei tematici che rinviano direttamente a
questioni d’interesse più generale e condiviso. Vorrei esporne alcuni tratti salienti, in base ad
un’analisi della situazione odierna della musica e delle arti del suono che rinvia a molteplici
direzioni di ricerca e di prassi artistica. La domanda generale che penso debba essere sollevata
è: quali sono le condizioni materiali e ideologiche dell’esperienza e della comprensione del
suono, nel quadro storico attuale, e del loro significato nell’esperienza costruttiva della musica?
La domanda apre ad una biopolitica della musica, vale a dire ad una riflessione sulle condizioni
materiali e sui dispositivi culturali che determinano e orientano i contenuti cognitivi
dell’esperienza musicale [1]. Tale riflessione non può che riguardare la conoscenza sensibile del
suono: la libertà di costruire il presente e il futuro della musica dipende dalle modalità tramite le
quali concepiamo e operiamo nella sua base materiale primaria, ovvero dipende dall’esperienza
e dalla comprensione del suono, dalle rappresentazioni che ce ne diamo.
Una parte di questa riflessione non può che riguardare le mediazioni tecniche che sono in
gioco nella forma di conoscenza che continuiamo a chiamare “musica”, e cioè le “tecnologie
della musica”, in senso ampio: l’insieme delle tecniche di razionalità strumentale operanti nei
processi di generazione, trasformazione, trasferimento e canalizzazione del suono, nel loro
essere non solo un know-how sofisticato e funzionale, ma anche teatro di “scambio simbolico”,
di transazioni ermeneutiche, ambito in cui si gioca la libertà d’azione [2]. Nessuna mediazione
tecnica è neutra, né è giustificabile in base ad una razionalità presuntivamente “autonoma” nel
contesto culturale.
Rientra in questo ambito di riflessione, l’attenta considerazione delle particolari mediazioni che
afferiscono allo spazio organizzato all’interno del quale si fa esperienza della musica. Di “suono e
63
spazio” – che è premessa alla possibilità stessa di parlare di “musica e architettura” – ci
occuperemo in queste pagine.
n
b/ sata
0sonorofre
2
L’oggetto
4
Per motivi storici
x2cheuoraranon possiamo richiamare esplicitamente, la crescente centralità delle
0
tecnologie nell’esperienza
umana ha portato a vivere il suono come oggetto sonoro. In effetti,
s un’ideologia
17tempoosdentro
viviamo da
dell’oggetto sonoro. Nel corso ormai di oltre un secolo,
r
3 col diffondersi
m
e
perfezionarsi
di
tecniche e supporti di registrazione (meccanica,
a elettromagnetica,
m to b numerica) e di trasmissione
(radiofonica, televisiva, telematica), il suono è
z
z atostato concepito
n
e
vissuto
sempre
più
come
cosa
al tempo e allo spazio, trasportabile
o
ealterazioni nel tempo e nello spazio, comesottratta
B rm senza
oggetto misurabile, perdurante, solido, e
m
i estremamente plastico e trasformabile. È noto come ciò abbia prodotto una specie di
fo lesttuttavia
schizofonia, un’alterazione delle condizioni d’esperienza individuali e collettive, la capacità
al cognitiva
di separare il suono dal tempo-spazio della sua effettiva manifestazione fisica e di
1
2
coglierlo come effetto ripetibile di cause non più in essere, come qualcosa di ormai-già-dato
indipendente dalle circostanze del suo darsi.
L’impatto culturale dei dispositivi di riproduzione ha avuto ragioni e caratteristiche liberanti: ne
è conseguita una vera e propria rivoluzione paradigmatica. Senza entrare in dettaglio,
rammentiamo solo che il nuovo paradigma fu delineato già da Walter Benjamin nel 1936 (nel
celebre saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica [5]). Il problema è che quel
paradigma è ancora oggi (certo nonostante lo stesso Benjamin) una specie di orizzonte unico in
materia d’elaborazione teorica delle arti contemporanee in rapporto al contesto tecnologico
generale. Al continuum infinito e ineffabile dell’esperienza del suono s’è andato sostituendo, nella
coscienza estetica come nella riflessione critica, l’insieme finito, disponibile ma sempre più
vasto, delle “riproduzioni musicali”.
Vivere il suono come oggetto ha aperto campi di sperimentazione e conoscenza di assoluto
rilievo storico (si pensi alle “musiche elettroacustiche”, e in generale allo sperimentalismo in
ogni campo artistico nel corso del novecento). Ma ha anche dischiuso un potenziale di segno
diametralmente opposto, rivelandosi funzionale a catturare suono e musica nella logica di uno
“scambio-di-equivalenti”, a farne cioè merci, base materiale di interi sistemi di produzione
industriale. L’oggetto sonoro è infatti dentro una logica di seperazione che impoverisce e
banalizza gli aspetti conoscitivi dell’esperienza uditiva e d’ascolto, perché taglia fuori
innanzitutto le condizioni ecologiche della percezione stessa. Di “ascolto ridotto” e di “oggetti
sonori” – più precisamente, di “oggetti musicali” – parlava Pierre Schaeffer nel progetto
cartesiano della sua musica concreta, oltre mezzo secolo fa [6]. Non possiamo sapere quanto egli
sarebbe stato sorpreso dal lievitare di un mercato di “librerie di effetti sonori”, di “banche di
suoni”, dalla ubiqua disponibilità di segnaletica acustica e di clip audio sempre pronte al
montaggio. Di questa abnorme proliferazione si alimenta la produzione industriale della musica
di consumo e il sistema dei media in generale (e in verità anche molta musica che vuole definirsi
1 Lo si deve anche al fatto che la tecnologia in generale, comprese le varie forme di tecnologia della musica
(elettroacustica, ingegneria del suono, informatica musicale, …), sono vissute per lo più come tecnologie di potenza. La
problematica rinvia al prestigio riconosciuto alle tecnoscienze nel mondo contemporaneo occidentale (e ormai
planetario), e che qui non la possiamo trattare. Di tecnologie di potenza, contrapposto a tecnologie di armonia, si parla in
[16].
2 Il neologismo appare, verso la fine degli anni 1970, nell’ecologia acustica di Raymond Murray-Schafer [3], e viene
elaborato da Barry Truax nello studio sulla comunicazione acustica [4].
64
“sperimentale” perché ripete percorsi che alcuni decenni fa risultavano inediti e poco
classificabili).
n
b/ sata
D’altra parte, da tempo
sonoe emerse anche pratiche d’arte (e anche direzioni di ricerca
0 minoritarie)
4
fr
scientifica, naturalmente
in cui l’esperienza del suono mette in discussione il
2
a
x
paradigma dell’opera
d’arte
connaturata
riproducibilità tecnica. Si pensi, ad esempio, ai vari
r
0 sule “installazioni alla
orientamenti7 nati con
sonore” (in particolare quelle site-specific). Oppure a
1 os elettroacustica sconfinanti in pratiche radicali d’improvvisazione o di
tipologie di performance
3 “composizione
m
bristantanea”. Si pensi a tutte le esperienze creative e rituali che non separano
a
m
to l’accadere del suono dalle condizioni materiali dell’unità di tempo e luogo di
zz atoideologicamente
n
o
quell’accadere.
L’antropologia può fornire indicazioni sorprendenti in tal senso [7]. In ogni
e
B rm caso,
si
sono
avuti
negli ultimi anni spunti di riflessione che inducono ad un superamento del
m
i
benjaminiano, dato che certe pratiche lasciano crescere forme sonore che non sono
fo lestparadigma
riproducibili, scarsamente documentabili, anche con mezzi sofisticati. I mezzi di
al tecnicamente
riproduzione in fondo appaiono “sofisticati” solo finché riproducono musiche pensate per
3
essere riprodotte da essi stessi. Nella storia della musica, la figura originaria e fertile di questo
processo si è avuta nel periodo pionieristico di musica elettronica (metà del novecento).
3
L’evento sonoro
All’opposto della reductio ad objectum sta la consapevolezza che il suono è assai poco reificabile:
còlto nell’evenienza del tempo, nella tridimensionalità dello spazio, nella connotazione
semantica dei luoghi, l’accadimento sonoro ha luogo prima che l’abito cognitivo lo costringa in
una logica di separatezza e oggettualità, prima della misura e della quantificazione del valore.
L’oggetto sonoro ha statuto ideologico, come detto: orienta verso una diffusa coscienza nonsistemica, fino a porla, oggi, come una sorta “pensiero unico” dell’esperienza del suono. Esso è
un dispositivo culturale che forgia una costruzione cognitiva. Come tale, se ne può dare una
decostruzione.
Il suono infatti non è mai davvero oggetto ed è, invece, sempre evento. La sua effimera presenza è
esito transitorio del concatenarsi di processi fisici e meccanici (anche elettromeccanici, anche
digitalmente controllati). Si tratta di processi “energetici”, che riguardano il trasferimento di
energia in corpi diversi. Ma anche di processi “informazionali”, visto che la percezione uditiva
è sempre già dentro un legame comunicativo. Non si da mai suono in sé, ma sempre suono un
contesto di relazioni. Il suono è dimensione sempre “relazionale” dell’esperienza, traccia di un
reticolo di interazioni, di una catena di mediazioni. L’orecchio avverte che nel suono tutto è
connesso con tutto, cioè che nulla è estraneo al percorso mediante il quale perviene all’orecchio.
Non solo la sorgente da cui il suono emana, ma anche ogni superficie (riflessioni) ed ogni
corpo in movimento (fenomeni di rifrazione, diffrazione …) contribuisce all’evento del suono,
modificandone il trasferimento energetico e così facendo inducendo deformazioni minime o
sottili, ma tradotte dall’ascolto in informazione.
Questo discorso vale certamente per l’ascolto “quotidiano”, cioè per la capacità del sistema
uditivo di legare insieme il concorso di cause fisiche da cui l’evento sonoro emana e si sviluppa,
come pure certe relazioni spaziali nell’ambiente circostante. Ma poi questo discorso vale anche
per l’ascolto “musicale”. La musica – in ogni sua forma che contribuisca al senso dello stare al
mondo dell’essere umano – è sempre anche misura di mezzi e fini, bilanciamento tra idealità e
materialità, tra distanza e prossimità di corpi. L’esperienza musicale – compositiva,
3 Si veda [8], [9], ed il discorso sull’estetica delle installazioni in [10]. In margine a certe tendenze dell’arte degli ultimi
venti anni, si è parlato di “estetica relazionale” [11].
65
interpretativa, ascoltativa – non è mai astratta da una dimensione schiettamente relazionale e
sistemica insieme, vale a dire: ecologica. Il suono è esito cause fisiche, ma anche di relazioni
umane e di mediazioni tecniche (di qualsiasi natura siano le tecnologie coinvolte: notazionali,
meccanico-acustiche, elettroacustiche, numeriche …).
n
b/ sata
0 fre
4
x2stesso
L’oggetto sonoro
ranon è che una forma storicamente determinata dell’esperienza (una
0
upovera).
7
forma particolarmente
Pur venendoci incontro come oggetto, è possibile coglierne
s
1 osin esso le determinazioni
l’evento, avvertire
che lo rendono l’oggetto che è. Occorre lavorare
r forte) per non perdere una
3 forte m
(e
ascoltare
sensibilità che ci radica nel qui-ed-ora, nella
b
m todelle relazioni e interazioni da cui il suono
za topercezione
emerge, e volgere i mezzi di lavoro ad un
z
n nel vivo dell’esperienza, invece che al simulacro
o
radicamento
della rappresentazione.
a
e
B rm im
fo lest4
Spazio virtuale
Nei repertori di musica elettroacustica fissata su supporto (“musica acusmatica”), e anche in
al certa
produzione cinematografica recente, si è consolidata una vera e propria tradizione di
“spazializzazione del suono”. Naturalmente si tratta di spazializzazione dell’oggetto sonoro:
solo in quanto sottratto allo spazio necessario, il suono è poi spazializzato, ricollocato,
rilocalizzato. L’ambito di queste possibilità tecniche ha fornito soprattutto nuove sfumature
espressive, e solo raramente nuovi fondamenti di costruzione musicale. L’esperienza dischiusa
dalla “spazializzazione del suono” nella storia recente della percezione va forse pensata in
relazione ad una certa dimensione immersiva dell’ascolto (in evidenza soprattutto con “masse
sonore” di grande impatto).
Nella prospettiva che qui interessa, questa dimensione immersiva è un surrogato paradossale:
l’esperienza del suono è sempre immersiva! Siamo sempre dentro il suono che ascoltiamo! Il
paradosso è però molto indicativo: si tratta di realizzare per via tecnologica un tipo di
percezione che abbiamo disimparato ad avere in condizioni usuali.
Ma c’è di più. Stando dentro al suono, chi ascolta modifica l’evento già solo con la propria
presenza fisica e col proprio movimento, e allo stesso tempo avverte il suono dentro il proprio
corpo. Dunque, siamo già nell’esperienza relazionale dell’evento, possiamo scoprirci attori
nell’evento, da esso non separati, non spettatori. La dimensione tecno-immersiva dell’oggetto
sonoro, anche grazie al momento di violenza evocato dall’intensità elevata, sembra servire
allora proprio a questo: a realizzare infine quella passività che, in condizioni ecologicamente
equilibrate, non possiamo davvero avere, a ridurre la presenza del corpo senziente ad una
presenza che si percepisce come non più in proprio potere. L’elemento di violenza non sta
nell’elevata intensità sonora, ma nella riduzione dionisiaca del senso di orientamento, nella
percezione di essere-in-potere d’altro. Per certi versi, c’è qui un potenziale tragico,
artisticamente fertile: l’essere succube degli eventi esterni, impotente come di fronte ad eventi
climatici formidabili o altre manifestazioni naturali di grande impatto simbolico.4 Questo
simulacro di immersione si ripete nella “realtà virtuale” e nei “non-luoghi” di divertimento di
massa (Disneyland, per esempio, o nel cinema e nei video-giochi a base di “effetti speciali”).
La dimensione immersiva è solo un esempio. In generale, la spazializzazione è una tecnica che
esercita un potenziale di finzione. Con sistemi di diffusione del suono composti da numerosi
altoparlanti, essa dispone la direzionalità ed il movimento illusorio di sorgenti nello spazio
acustico. In questo compito simulativo opera anche la riverberazione artificiale (o “sintesi
4 Iannis Xenakis evocava questa condizione di impotenza e smarrimento per uno dei suoi lavori in cui l’orchestra è
distribuita tra gli ascoltatori, Terretekthor (1965). Ma già con l’elettroacustico Bohor (1962) e poi con le installazioni
multimediali dei Polytopes (anni 1960 e 1970) il compositore mirava ad analoga esperienza immersiva.
66
digitale dello spazio”)5 che dispone la riflessione illusoria di spazi chiusi, altri rispetto allo
spazio in cui l’ascolto in effetti avviene. L’ascoltatore è rapito in un’altrove, in uno “spazio
virtuale” che può avere anche sfumature iperrealistiche, o surrealistiche. Al termine, la finzione
lo rilascia, lo rimette al suo posto, nello “spazio reale” (nulla è avvenuto davvero, vera è solo la
finzione).
n
b/ sata
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4
x2 ura
0
Le sale deputate
s genere di fruizione devono essere non solo debitamente attrezzate,
17 oasquesto
ma poi, nella forma
struttura materiale, devono anche essere acusticamente neutre per
r e nella
3 massimizzare
m
l’efficacia
dell’illusione.
Sono “non-luoghi”, secondo la definizione di Marc Augè
b
za to[12].m Si potrebbe
o evocare quel “non-luogo” tipico che è (secondo l’indicazione di Carmelo
t
z
nil teatro, ma in realtà il paradigma attuale, prossimo alla perfezione, è appunto la sala
e
Bo rma Bene)
cinematografica
acusticamente asettica e dotata di diffusione surround.
m
fo lesti
Spazio reale
al 5Volgersi all’evento
sonoro significa sentire musicalmente significativo lo spazio materiale in cui
6
ascoltiamo. Spazio non-neutrale, molteplice, variabile, dinamico. Spazio reale, contatto con
l’ambiente circostante. E anche spazio costruito, organizzato, connotato, socialmente
condiviso. Non si tratta di rifiutare il potenziale di un rapporto creativo (cioè critico, inventivo,
liberante) con le tecniche di spazializzazione sovrapposte allo spazio reale, ma di
impossessarsene e di progettare occasioni che accrescono la consapevolezza di cui c’è bisogno:
il senso del qui-ed-ora dell’ascolto, il senso di un ascolto come accoglimento e attenzione allo
spazio, come interazione dinamica e costruttiva con l’ambiente intorno.
Possiamo chiederci: in che rapporto sta la musica che stiamo ascoltando con lo spazio nel
quale ci viene presentata, con l’ambiente nel quale la ascoltiamo? Come ci viene incontro?
Come le andiamo incontro? Quali elementi di giudizio si possono trarre dal loro rapporto?
Tra gli elementi di sensibilità specifici della conoscenza musicale, c’è sempre una certa capacità
inclusiva e adattiva all’ambiente circostante. Uno strumentista che non colga più, nel suono del
proprio strumento, il contributo della sala in cui esegue, delle sue risonanze proprie, ha
smarrito uno dei semi di sensibilità più fertili del fare musica. Un oratore che non sappia
modificare la propria voce – in timbro e volume, in intonazione e colore – in funzione della
relazione spaziale tra sé e dell’uditorio e di altre circostanze logistiche, ha perso parte del
proprio saper comunicare. Un oratore o un cantante non attento alla distanza e all’angolazione
del microfono che ha davanti a sé, o sordo alle alterazioni che la trasduzione elettroacustica
reca al timbro della sua voce, non è del tutto libero di assumere il tono che gli compete o che
intende assumere. È vero, ci sono i tecnici, gli addetti, ci pensano loro. Demandare al tecnico
significa che il proprio saper fare è delegato alle competenze altrui. Significa non dinamizzare le
proprie competenze per garantirsi un certo margine d’azione autonoma.
In generale, se l’esperienza del suono ha una dimensione relazionale, è proprio lo spazio
materiale ad esserne il mezzo: esso riflette, canalizza, filtra, modifica il suono, informa delle
distanze, delle materie, delle intenzioni. Con l’esercizio di ascolto e adattamento così
caratteristico di quel sapere che è fare musica, lo spazio è trasformato in luogo. Lo spazio è
medium della propagazione e delle forme del suono. Ma a sua volta, il suono è il medium (milieu,
5
Si veda il volume di Blesser & Salter [13], peraltro un libro di grande interesse sulle “architetture uditive”.
6
Mentre scrivo, apprendo che la Dolby sta producendo impianti di diffusione sonora per il cinema che raffinano,
mediante perifonia, la spazializzazione del suono nella dimensione verticale (con arrays di altoparlanti posizionati al di
sopra delle teste degli spettatori). Il sistema mondiale della distribuzione cinematografica dovrà (di nuovo) essere
riconfigurato in nome di una simulazione più efficace, più immersiva, più vera (più falsa).
67
mi-lieu) in cui lo spazio diventa luogo (lieu). Questo doppio legame è un seme conoscitivo
specifico dell’esperienza musicale.
n
b/ sata
Certe forme d’arte sonora
presentano
come opere site-specific, cioè tematizzano nella propria
0 losifspecifico
e spazio
r
4
struttura il rapporto
con
che occupano. Si tratta di una pratica di grande
2e che rhaa importanti precedenti
x
significato, oggi,
Ma non possiamo non vederne il
0 su qualsiasi evento d’esperienzastorici.
paradosso: 7
non è forse
uditiva sempre specifico del luogo? Se siamo
1 os che un certo accadimento musicale si sviluppa in funzione dello spazio
a sottolineare
3 portati
m
materiale
in cui
bravviene l’esecuzione, secondo criteri room-dependent o room-adaptive, non è forse
a
m
quell’interdipendenza
e quella adattività sembrano dimenticate, percettivamente
to
zz atoperché
n
o
rimosse,
cognitivamente spente?
e
B rm im
fo lest6
Unità di tempo e luogo
l
L’evento
sonoro
il dato d’esperienza relazionale all’interno di una comprensione ecosistemica
a del suono e dellaèmusica.
Che peso può avere sulla “forma musicale”? L’accoppiamento tra il
7
processo sonoro dell’opera con lo spazio circostante dotato di propri modi di risonanza, apre
la tematica del resonanzraum: quali interferenze hanno luogo dall’accoppiamento, cosa ne viene
rafforzato, cosa ne viene indebolito? C’è poi da considerare l’ambience del luogo – l’atmosfera, il
rumore di fondo: come il processo sonoro dell’opera si relaziona all’eventuale suono nonintenzionale? Infine, c’è la geografia del luogo: “fin dove” si espande il suono, fin dove fa
breccia, formando quale profilo territoriale? Possiamo qui parlare di orizzonte acustico, cioè della
mappa dello spazio occupato dal suono.
Si può parlare della “forma musicale” senza considerare questi o altri criteri che articolano,
direttamente o indirettamente, lo spazio? Possiamo contenere ogni discorso sulla “forma” alla
dimensione temporale? La “spazialità” della musica non è solo quella formale legata alla trama
polifonica, alla molteplicità di linee interne, allo spazio metaforicamente o sinesteticamente
concepito dell’altezza del suono. Sul piano storico, ogni polifonia nasce da determinate forme
di occupazione dello spazio materiale. È mia personale esperienza che l’esecuzione di uno
stesso lavoro musicale è più estesa nel tempo in spazi estesi, e più contenuta in spazi
contenuti.8 La capacità dei musicisti di modificare anche sfumature del proprio agire, in
rapporto alla percezione dello spazio acustico circostante, riguarda non solo le qualità
timbriche e il volume del suono (non a caso un termine afferente alla dimensione spaziale), ma
anche il “respiro” del loro gesto, il modo di stare-nel-tempo.
La capacità di stare-nello-spazio influenza lo stare-nel-tempo, dunque. L’esercizio della
capacità adattiva così tipica della sensibilità musicale, trasforma lo spazio in luogo, come si è
detto. Occorre aggiungere: esso inoltre trasforma il tempo astratto e misurato (kronos) in tempo
vissuto ed “occasione” (kairòs).
7
Conclusioni
In queste pagine ho suggerito che, nei modi di comprendere e rappresentare il suono, ne va
delle condizioni storiche d’esistenza e d’esperienza della musica. Mi sono soffermato sulla
comprensione del suono come oggetto sonoro, rievocandone l’impatto storicamente fertile, ma
anche gli elementi ideologicamente distortivi, in particolare quegli elementi ideologici che
7 come accade in certi miei lavori, in particolare quelli del ciclo Ecosistemico Udibile (per elettronica dal vivo, 20022005) ed opere installative quali Senza titolo (installazione ecosistemica in stanze abbandonate o smantellate) (Berlino, 2008).
8 cosi è avvenuto, nel corso degli anni, nelle varie esecuzioni di Texture-Multiple (per ensemble ed elettronica dal vivo,
1993), e così avviene spesso coi lavori del ciclo Ecosistemico Udibile.
68
fanno del suono cosa misurabile, ripetibile, dislocabile, contrattabile, e che si accompagnano
all’erronea concezione delle mediazioni tecnologiche e logistiche come irrilevanti rispetto al
potenziale musicale dell’esperienza. All’oggetto sonoro ho contrapposto l’evento sonoro, e cioè
una comprensione più consapevole sul piano sistemico ed ecologico, più vicina al dato
antropologico e più ricca sul piano comunicativo. Ogni disconoscimento della dimensione
relazionale dell’esperienza del suono impoverisce quella specifica sensibilità (propria della
conoscenza musicale ed unica nel contesto culturale generale) che ascolta l’interdipendenza, la
comprensenza e l’interazione. Nell’esperienza dell’evento sonoro lo spazio circostante è
sempre non-neutrale. In generale, il suono è sempre traccia di legami, di connessioni, di coappartenenze.
n
b/ sata
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a
z to m to
z
en
Bo rma Diimpassaggio,
ho sottolineato che la ricerca informata a questa prospettiva ecosistemica sembra
fo lestindicare che, sul piano dei linguaggi e delle arti del suono, è tempo di “andare oltre Benjamin”:
al spostare il fulcro della riflessione ed affermare la non-riducibilità di molte pratiche musicali al
paradigma dell’opera informata alla sua riproducibilità tecnica.
In conclusione, è forse il caso di ripetere che le riflessioni proposte nascono da un’analisi
personale. Si sarà notato che esse incrociano altre prospettive di ricerca e di studio; questo però
non semplifica le cose: l’analisi si nutre della mia individuale esperienza di compositore. Ciò per
alcuni inficia il discorso, dato il coinvolgimento diretto nella materia analizzata. Per altri è una
benedizione. Di fatto è una difficoltà metodologica non eliminabile, se non muovendosi nel
segno di un profondo riduzionismo, qui improprio. Altrove ho suggerito che la prassi
compositiva può essere vissuta come una specie di “epistemologia sperimentale” [14], e che
sarebbe tempo di guardare alle tecnologie del suono e della musica con “consapevolezza
etnografica”, cioè conoscendole dall’interno, praticandole “sul campo” [15]. Impariamo dalla
nostra stessa esperienza: l’ascoltatore non è mai completamente separabile dall’ascoltato, il suo
ascoltare lo modifica mentre viene da esso modificato.
I temi toccati riguardano, più in generale, lo sviluppo odierno della sensibilità e della
conoscenza che sappiamo essere al cuore dell’esperienza musicale (come sorprendersi che dei
musicisti vogliano occuparsene?). Numerosi altri temi andrebbero considerati. È
nell’auspicabile convergenza su di essi che la riflessione sulle condizioni d’esperienza e di
comprensione del suono può essere posta come una possibile biopolitica della musica.
Riferimenti bibliografici
[1] A. Di Scipio, Il suono come dono non disinteressato. Spunti per una biopolitica della musica, relazione
presentata il 9 Maggio 2012 al convegno Musica, dono, disinteresse, Università degli Studi di
Napoli.
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1977).
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[16] M. Pallante, Le tecnologie di armonia, Bollati-Boringhieri, Torino, 1994.
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