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Allenare il pensiero creativo: tecniche
e percorsi didattici
Paola Maria Sala
Psicologia a scuola: un percorso pratico-teorico
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Capitolo 7
Allenare il pensiero creativo: tecniche e percorsi didattici
Paola Maria Sala, Maria Elide Vanutelli, Claudio Lucchiari1
1. Introduzione
La creatività rappresenta un costrutto multidimensionalee per questo risulta difficile definirla in modo
unico e universalmente riconosciuto. Al contrario, è necessario fare riferimento a diversi modelli
definitori, ognuno in grado di porre in evidenza alcuni suoi particolari aspetti, o dimensioni. Al
massimo livello di generalità, i vari modelli concordano sul fatto che un atto creativo sia tale quando
dà luogo a qualcosa di originale e in qualche modo utile. Secondo Kaufmann (2004) un’idea può dirsi
originale quando rappresenta una chiara novità rispetto a quanto l’individuo già sapeva fare o pensare.
Nell’ambito dello studio della creatività un processo viene definito produttivo (contrapposto a
riproduttivo), laterale (contrapposto a verticale) o divergente (contrapposto a convergente). Se un
problema viene affrontato attraverso il pensiero convergente, che conduce all’unica soluzione corretta
possibile, si possono ottenere risultati corretti, ma non generativi. Per avere una soluzione innovativa
bisogna rovesciare i punti di partenza e servirsi di ipotesi apparentemente lontane. E' proprio il
pensiero divergente che più caratterizza il profilo dei soggetti creativi (si veda il modello di Guilford
in Fig. 1). Tale modalità di pensiero consente la produzione di idee e contenuti che normalmente
verrebbero inibiti a favore di una forma di pensiero consueta, dominata da strategie cognitive
routinarie, molto utili a rispondere a situazioni ordinarie, ma basate su conoscenze già acquisitive; si
tratta dunque di un pensiero riproduttivo, rapido ed efficace, che tuttavia limita la ricerca di nuovi
collegamenti tra i concetti, di nuove soluzione. Così, in un classico compito di pensiero divergente
viene chiesto a soggetti di guardare un oggetto e nominare un numero più elevato possibili di usi
1
Dipartimento di Filosofia, Università degli Studi di Milano
alternativi a quelle canonico. Per esempio, una caffetteria può diventare un fermacarte, una palla un
puntaspilli. In questo modo, forziamo la persona a pensare ad abbandonare le risposte già pronte (cioè
gli algoritmi cognitivi sviluppati e affinati con l’esperienza) alla ricerca di nuovi collegamenti,
nell’esempio, tra l’oggetto-stimolo e i relativi usi. Nell’ambito della scuola, pensiero convergente e
divergente, e dunque i processi riprodutti e riproduttivi, dovrebbero bilanciarsi, in quanto è
fondamentale che lo studente si formi un bagaglio di conoscenze e abilità consolidate (gli algoritmi
cognitivi), ma è altrettanto importante che impari a disfarsi delle zavorre quando la situazione richiede
di andare oltre quanto già acquisito.
Figura 1: Modello di Guilford
2. La natura della creatività
La creatività, in quanto complessa proprietà mentale, non può essere associata a un singolo gene, né
a un piccolo insieme di geni strettamente sinergici. Allo stesso modo non è possibile localizzare la
creatività in una specifica regione cerebrale: infatti, il funzionamento neurale cambia in funzione del
contenuto dell’atto creativo, ma anche delle caratteristiche cognitive del creativo. Per esempio, l’atto
creativo di un matematico sarà probabilmente molto diverso da quello di un pittore. Se il compito
cognitivo è di tipo verbale, come cercare associazioni fra parole, si attivano le aree associative del
linguaggio; se il compito richiede di associare parole e immagini sono attive anche le aree visive, e
così via. La creatività, quindi, non è una funzione specifica del nostro cervello, bensì è conseguenza
del suo modo di funzionare, a sua volta conseguenza di un lungo e complicato processo di evoluzione.
In quest’ottica, comunque, è possibile pensare che l’atto creativo sia uno stato di tensione
motivazionale verso un obiettivo che non è più possibile perseguire tramite il normale funzionamento
cerebrale. Potremmo allora dire che la creatività ha svolto un ruolo nell’evoluzione della nostra specie
e che ciò dipende, più che altro, dall’incapacità del pensiero convergente di rispondere in modo
sistematico all’instabilità della dinamica cerebrale e degli stati di coscienza. In generale, è possibile
considerare la creatività come una conseguenza della plasticità cerebrale, la capacità del cervello di
modificare la propria morfologia funzionale attraverso l’esperienza e l’apprendimento. È possibile
individuare un esempio di questo fenomeno nella comunicazione inter-emisferica. In particolare,
l’attività dell’emisfero destro (deputato in particolar modo all’elaborazione delle informazioni spaziotemporali e delle esperienze emotivo-artistiche) è stata associata alla capacità di generare associazioni
libere ed analogie, carburante della creatività; a tale attività destra sembra associarsi una parziale
inibizione dell’emisfero sinistro, generatore del pensiero logico-simbolico.
Per quanto riguarda la creatività nella risoluzione dei problemi, il pensiero creativo può essere
descritto come un processo a sei stadi: preparazione, frustrazione, incubazione, immaginazione,
illuminazione, passaggio all’atto (enactment). In pratica, si parte dalla constatazione di un problema
che si rileva impegnativo o impossibile da risolvere. Subentra dunque la frustrazione e l’incubazione,
cioè una fase di elaborazione cognitiva difficile da esplicitare e che richiede un lavorio continuo del
cervello perlopiù al di fuori della nostra consapevolezza. Avviene poi una sorta di liberazione del
pensiero. Gli usuali filtri cognitivi vengono inibiti ed è possibile sperimentare forme di pensiero
divergente, nuovi algoritmi cognitivi. Arriva dunque l’illuminazione, l’insight, la scoperta
apparentemente improvvisa della soluzione e il successivo passaggio all’atto, l’enactment della
soluzione, così che diventi esplicita, tangibile.
3. Si può imparare a essere creativi?
…
4.
La scuola si prende cura della creatività?
Per la quasi totalità degli uomini, la crescita fisica e naturale dell’individuo è accompagnata da un
percorso di educazione nel contesto dell'istruzione scolastica. In ogni fase della vita, l’educazione che
una persona riceve ha un impatto sostanziale sul suo sviluppo globale: mentale, emotivo, affettivo,
culturale, sociale. La scuola si pone, a lato della sfera familiare, come l’istituzione preposta alla
gestione dei processi educativi. La scuola dell’obbligo, al giorno d’oggi, inizia all’età di 6 anni e
prosegue per almeno una decina di anni2. È per questo motivo che ci sembra adeguato domandarsi se
la scuola si ponga il problema di promuovere e sviluppare la capacità creatività negli alunni e in che
misura prenda provvedimenti didattici in questa direzione.
Se la creatività è una facoltà fondamentale perché un individuo cresca consapevole, immaginativo e
libero di abitare il suo mondo senza subire passivamente le costanti trasformazioni dell’ambiente,
occorre che il sistema scolastico non tralasci di prendersi cura di questo aspetto. È necessario che la
scuola valorizzi tutte le dimensioni dell’intelligenza di un individuo; non occorre solo che fornisca le
abilità strumentali e didattiche di base, ma anche che favorisca un’educazione alle competenze – tra
cui la creatività - oltre che alle conoscenze. Tuttavia, la letteratura sul tema è abbastanza univoca nel
riportare un relativo disinteresse del sistema scolastico verso la creatività. Essa non sembra avere uno
spazio tra le competenze fondamentali da insegnare agli alunni, e soprattutto pare che un alunno
creativo non sia particolarmente valorizzato né apprezzato: segno di ciò è che la creatività non figura
tra i parametri di valutazione di nessun grado scolastico né test nazionale. Lo psicologo americano
Robert Sternberg con la teoria triarchica dell’intelligenza (secondo la quale esistono in ognuno tre
tipi di intelligenza - analitica, pratica, creativa) suggerì che lo stile cognitivo di ogni individuo è
diverso e dipende dalla predisposizione personale e dalle circostanze ambientali. Il modo di
apprendere di ciascun soggetto sarebbe quindi determinato dal proprio stile cognitivo, dalla
prevalenza di una delle tre dimensioni del pensiero.
Dovrebbe esserci interesse, per questo motivo, a valorizzare tutti i tipi di intelligenza, anche quella
creativa, che spesso sembra non trovare il posto che gli spetterebbe nel sistema valutativo scolastico.
Ciò che accade è che gli insegnanti tendono a valutare meglio quegli studenti i cui stili di pensiero
Cfr. Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 622: «L'istruzione impartita per almeno dieci
anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola
secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo
anno d'età».
2
sono congruenti agli standard. In altre parole, l’inclinazione al pensiero divergente e all’autonomia di
pensiero sembrano non essere valutate positivamente a scuola. È piuttosto il pensiero convergente
quello a cui più facilmente punta la scolarizzazione: pensiero secondo il quale a ogni domanda c’è
solo una risposta esatta. La didattica tradizionale, come è prevedibile, valorizza una sorta di
conformazione, un’adesione alle direttive e alle indicazioni dettate dai programmi scolastici. Un
utilizzo consistente del pensiero divergente, che si manifesta nell’attivazione di una reazione
anticonformista “fuori dalle righe” o in una tendenza all’indipendenza, rappresenta una minaccia agli
occhi di molti insegnanti, che si trovano a dover gestire e controllare un gruppo numeroso di studenti
contemporaneamente.
Perciò appare evidente che le procedure e le modalità dell’insegnamento standardizzato spesso si
trovano ad andare a scapito della valorizzazione del potenziale creativo e divergente dei singoli
individui. Sembra palese che gli insegnanti tendano a preferire gli allievi che esprimono un pensiero
tradizionale e logico, perché sono più facilmente gestibili di quelli con un elevato potenziale
divergente (Cavallin, 2015). Diverse teorie evidenziano come un allievo creativo abbia minori
probabilità di seguire un curriculum scolastico: sviluppare una creatività di pensiero può far emergere
dimensioni di personalità che mal si accordano con una regolamentazione restrittiva delle attività
collettive. Chi adotta comportamenti divergenti è solito uscire dagli schemi e non allinearsi alle
direttive, e questi atteggiamenti rischiano di non essere apprezzati in situazioni di apprendimento
comunitario, dove il controllo e la ripetizione prevalgono sul cambiamento e l’innovazione. Se
l’essere creativi è associato all’ essere imprevedibili e non disponibili a seguire l’ordine precostituito,
è chiaro che questo atteggiamento possa rappresentare un impedimento alla gestione di un gruppo di
pari per l’insegnante.
Ken Robinson, educatore e scrittore britannico, è radicale nel giudizio sul tema e afferma: “If you run
an education system based on standardization and conformity that suppresses individuality,
imagination and creativity, don’t be surprised if that’s what it does” [Se gestisci un sistema educativo
basato sulla standardizzazione e la conformità che sopprime l’individualità, l’immaginazione e la
creatività, non essere sorpreso se questo è quello che fa] (Robinson, 2015). Più moderato è il tono di
Ferruccio Cavallin, che però evidenzia lo stesso problema quando asserisce che un paradosso presente
in molte società “mature” come quella italiana è che pur enfatizzando il valore della creatività come
elemento di crescita individuale e collettiva, tendono, invece, ad attivare processi formativi e
educativi spesso istituzionalizzati e formali, dove la dinamica ludica è bandita. I sistemi scolastici
tradizionali favoriscono l’approccio riproduttivo (e quindi convergente), piuttosto che quello creativo
e i sistemi di valutazione individualizzata e analitica poco favoriscono il pensiero divergente
(Cavallin, 2015). Purtroppo quello che sembra accadere sempre di più nell’ambiente scolastico è
proprio questo: la scuola e l’educazione non sono sempre disposte a valorizzare gli impulsi, le
intuizioni, le motivazioni più o meno prepotentemente emergenti dal profondo, operando con ciò,
magari inconsapevolmente, delle manomissioni del potenziale umano, che sono al principio del
disagio di molti individui (Mencarelli, 1985).
La scuola italiana in genere, per come è impostata, tende a relegare la creatività in aree piuttosto
periferiche dell’attività didattica, associandola ad ambiti di espressività come possono essere quello
artistico e musicale, oppure deputandola alle attività ricreative e ludiche, più che concepirla come una
facoltà di cui prendersi cura nel percorso delle discipline. Si torna al luogo comune per cui la creatività
sia associata prevalentemente alla genialità di artisti o scienziati o inventori, e che quindi sia lontana
dalle competenze insegnabili all’interno dell’ordinario curricolo scolastico. Antonietti sostiene, al
contrario, che senza la pretesa di alimentare doti eccezionali, promuovere la creatività nella scuola
significa predisporre delle occasioni affinché il lavoro non abbia come unica finalità l’assimilazione,
l’esecuzione, l’applicazione, ma vi siano opportunità perché lo studente possa variare, immaginare
altre possibilità, sperimentare esiti diversi, prefigurare percorsi alternativi, introdurre elementi
personali. E ciò è possibile sia che si abbia a che fare con parole sia con immagini, con suoni, con
numeri, con movimenti (Antonietti & Cesa-Bianchi, 2003).
Un’azione volta a educare al pensiero creativo sottintende una precisa concezione dell’individuo: lo
studente non è visto come un individuo che fornisce risposte a domande, quasi secondo un
meccanismo di stimolo-risposta, bensì un individuo che liberamente rielabora gli stimoli ricevuti per
elaborare risposte personali. Sono plurime le ragioni per cui la creatività viene poco coltivata nei
programmi scolastici. Una di queste ragioni è proprio la sua “subject-dominated nature”, ovvero il
fatto che, a differenza di quanto si pensi, essa si espande in tutte le aree disciplinari e non può essere
limitata alle arti. Conseguenza di ciò è che la creatività non è una competenza che si valuta nei test
sia scolastici o nazionali, e questo comporta senza dubbio uno screditamento del suo valore. In altre
parole, essere creativi e saper pensare in modo divergente non è un’abilità esplicitamente richiesta
dai programmi scolastici né apprezzata dai test a livello nazionale (Lucas et al., 2013).
La facoltà creativa compare citata nel documento del Parlamento Europeo relativo alle competenze
chiave per l’apprendimento permanente, che sono così delineate: (a) comunicazione nella
madrelingua; (b) comunicazione nelle lingue straniere; (c) competenza matematica e competenze di
base in scienza e tecnologia; (d) competenza digitale; (e) imparare a imparare; (f) competenze sociali
e civiche; (g) spirito di iniziativa e imprenditorialità; (h) consapevolezza ed espressione culturale. A
lato e a sostegno delle otto competenze definite indispensabili per l’apprendimento, sono menzionate
anche altre linee utili per tutte le attività di apprendimento, tra cui la creatività.
Per citare un esempio, la settima delle competenze chiave è rappresentata dal senso di iniziativa e di
imprenditorialità che concerne la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. Motore di ciò,
oltre che l’innovazione, l’assunzione di rischi e la capacità di pianificare e di gestire progetti per
raggiungere obiettivi, è indicata proprio la creatività.
Anche per quanto riguarda la documentazione ufficiale del sistema scolastico italiano, la creatività è
menzionata nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione (scuola primaria e secondaria di primo grado). La capacità di muoversi e di comunicare
secondo immaginazione e creatività è una di quelle che la scuola dell’infanzia mira a sviluppare: il
bambino, nell’imparare a comunicare attraverso il corpo, giunge ad affinarne le capacità percettive e
di conoscenza degli oggetti, la capacità di orientarsi nello spazio e di esprimersi.
Tra gli obiettivi di apprendimento al termine della classe quinta della scuola primaria, il documento
redatto dal Ministero dell’Istruzione riporta il seguente: elaborare creativamente produzioni personali
e autentiche per esprimere sensazioni ed emozioni; Introdurre nelle proprie produzioni creative
elementi linguistici e stilistici scoperti osservando immagini e opere d’arte. La creatività compare
anche nelle sezioni sulle discipline di arte e immagine e musica della scuola secondaria, e tra i
traguardi di sviluppo delle competenze al termine della stessa si riporta che l’alunno realizza elaborati
personali e creativi sulla base di un’ideazione e progettazione originale.
5. Tecniche e percorsi per promuovere l’attitudine creativa degli studenti della didattica e
per adottare uno stile di insegnamento creativo.
…
- Percorsi laboratoriali per una didattica attiva e creativa
Per stimolare la curiosità e la fantasia e coinvolgere la sfera emozionale nell’ apprendimento occorre
la capacità del docente di avvincere gli alunni con narrazioni ricche di suggestioni, di stimoli, di
elementi fantastici, che facciano leva sul pensiero divergente e sul bisogno degli alunni di sentire
raccontare e di esprimersi. Un approccio di questo tipo crea curiosità e motivazione, stimola la
formazione di una attitudine aperta a innesti e esiti imprevisti. Adottare una simile modalità di
insegnamento aiuta lo sviluppo di competenze cognitive, ponendo attenzione ed enfasi alla forma
processuale dell’apprendimento, stimolando le funzioni della mente (percezione, memoria,
linguaggio, problem-posing e problem-solving). Oltre che adottare uno stile di insegnamento creativo,
una modalità efficace consiste nel proporre attività laboratoriali all’interno della didattica, volte ad
allenare il pensiero divergente e immaginativo, utilizzando pretesti narrativi.
Si può partire proponendo alla classe pretesti narrativi al fine di invitare gli studenti a usare
l’immaginazione, stimolarli a non bloccarsi alle prime e più scontate risposte circa la funzione di un
oggetto. La convezione sociale e il senso comune suggeriscono che un oggetto sia fatto soltanto per
uno scopo – ad esempio la sedia per sedersi – ed è esatto – ma lo scopo dell’attività è quella di cercare
di invitare gli alunni a non fermarsi ad affermazioni banali e stereotipate. Per stimolare la loro
attitudine immaginativa è importante invitarli, attraverso il gioco, a sperimentare con le parole, a non
inibire la loro fantasia e a cercare risposte insolite, inconsuete, originali.
Per esempio, prendendo il via da un oggetto semplice portato fisicamente in classe – come un
fazzoletto, un telo, un bastone – un laboratorio si può costruire intorno a tutti i possibili usi che di
quell’oggetto di possono fare. In questo modo, gli studenti sono stimolati ad arricchire la prospettiva
intorno a un oggetto semplice. Così può accadere che, nel dialogo tra gli alunni, un bastone sia un
pezzo di legno strappato da un ramo di un albero, una spada se si è in un vascello con la ciurma di
pirati, o ancora può essere una paletta per scavare buchi nella sabbia se ci si trova al mare, o una
bacchetta per suonare la batteria se si sogna di essere una rockstar. Grazie a questo lavoro, si possono
abituare le menti a collocare oggetti, parole, concetti in un contesto. Questo tipo di approccio serve
proprio per invitare gli alunni a non arrestarsi alle prime rappresentazioni che vengono alla mente,
ma a procedere oltre ed esaminare ulteriori possibilità. In questo modo si possono iniziare a rompere
alcune rigidità comportamentali e mentali allenandosi, davanti a un quesito o un problema, reale o
astratto, a trovare diverse e più vie d’uscita.
Un altro tipo di attività laboratoriale utile consiste nell’abituare gli alunni, attraverso giochi specifici,
a immaginare scenari o situazioni alternative che avrebbero potuto verificarsi, ma non sono accadute.
Con questo processo la mente si abitua a pensare al passato e al futuro, a individuare e comprendere
i nessi di causa ed effetto tra avvenimenti e a ragionare secondo la consecutio temporum. Attraverso
racconti di fantasia gli studenti sono stati stimolati a fare epochè su come le cose sono andate
realmente, e a immaginare come le cose potrebbero essere andate altrimenti, o come le cose
potrebbero andare in futuro. Questo tipo di ragionamento per “mondi possibili” è alla base del
problem-solving: più ci si esercita a pensare in questo modo, meglio si sarà capaci davanti a un
problema di immaginare diverse strade per arrivare a una soluzione. Giocare utilizzando e
valorizzando il pensiero immaginativo permette agli alunni di abituarsi ad avanzare ipotesi alternative
su ciò che viene superficialmente concepito come un dato di fatto. Si può proporre in classe una
situazione insolita, come per esempio un deserto in cui c’è un gatto, e si domanda «Come ci è finito
un gatto in un deserto?». Nel dialogo che ne segue si cercano tutte le risposte possibili: si incoraggiano
gli alunni ad avanzare il maggior numero di ipotesi alternative e le loro implicazioni, le conseguenze
e i risvolti di ogni scenario della narrazione che insieme si va costruendo. Essi provano piacere
nell’immaginare e nel constatare che la cronaca si basa interamente sui prodotti della loro attività
immaginativa, che è nutrita e arricchita da quella dei loro compagni. Durante queste attività si possono
proporre diversi esercizi per aiutare a ragionare non sul presente attuale, bensì sul possibile, ovvero
su ciò che non esiste nella realtà o non è ancora accaduto. Grazie a situazioni inventate e fittizie, si
entra – giocando – in una finzione che si perpetua per tutta la durata del laboratorio. In questo modo,
attraverso il dialogo e la rielaborazione grafica, si allena la mente dei discenti a calarsi in una
dimensione spazio temporale nuova. Provano gusto a immedesimarsi appieno in essa, costruendoci
all’interno una storia e imparando a formulare giudizi in merito. Dopo aver presentato la situazione
insolita e averla esplorata oralmente in un dialogo, si può scegliere di fornire a ciascuno un foglio
bianco e invitarlo a elaborare autonomamente la sua versione della storia, disegnando, e sviluppando
così, oltre che una creatività di pensiero in forma verbale, anche in espressione visuo-spaziale.
6. Creatività e matematica: un esempio
Non possiamo risolvere i problemi usando lo stesso tipo di pensiero
che abbiamo usato quando li abbiamo creati.
Albert Einstein
La matematica è spesso considerata una materia astratta, qualcosa che è necessario studiare a scuola,
ma che nella vita di tutti i giorni serve a ben poco. Così anche sul lavoro. Solo pochi professionisti
ne fanno un uso tangibile, per gli altri è solo una delle tante materie studiate senza un senso.
Naturalmente, quanto descritto non potrebbe essere più sbagliato. Nella società contemporanea tutti
noi abbiamo accesso a fatti matematici, algoritmi, calcolatrici, computer e altri strumenti il cui
funzionamento si basa propria sulla logica e sulla matematica. Sebbene la comprensione di fatti e gli
algoritmi costituiscano abilità matematiche di base, che devono insegnate e apprese in quanto tale, la
relativa applicazione è altrettanto importante. Ora, grazie agli strumenti a disposizione, il
collegamento tra concetti di base e applicazioni è diventato più facile da apprezzare e più rapido da
implementare in classe. A ciò consegue anche la possibilità di una definizione differente della
matematica stessa. Gardner (1993) descrive l'intelligenza logico-matematica come la capacità di
riconoscere i problemi significativi e quindi di risolverli. In questo, la matematica è una materia in
grado di rapportarsi direttamente con il mondo reale, contrapponendo alla definizione classica che gli
studenti hanno e che la descrive come una serie di algoritmi da usare in determinati compiti (Tsao,
2005). Ovviamente, questa prospettiva incoraggia l’uso della creatività anche durante le ore di
matematica, grazie alla quale è possibile spingere gli studenti a guardare i dati di un problema in
modo da trovarne una strategia solutoria, anche attraverso il confronto con gli altri (per esempio,
attraverso uno brainstorming), con altre materie scolastiche o esperienze della vita quotidiana
(Wallace, Abbott e Blary, 2007).
In particolare, due sono gli aspetti fondamentali per introdurre la creatività nell’insegnamento della
matematica: conferire autonomia e responsabilità agli studenti, così da innescare un maggiore
coinvolgimento; integrare matematica e materie per loro natura più creative, come quelle artistiche.
Le arti (musica, movimento, arte e teatro) possono contribuire in modo significativo alla
comprensione e all'applicazione matematica (Wilson, 2009; Schattschneider, 2006; Gardner, 2006;
Jensen, 2005). I ragazzi e i bambini mostrano diversi livelli di talento creativo nelle arti che includono
abilità tecniche, pensiero visivo e creatività, abilità che permettono loro di manipolare materiali per
arrivare a uno scopo prefissato (Wilson, 2009). Gli insegnanti possono trarre vantaggio da queste
abilità di base dando agli studenti l'opportunità di disegnare immagini per risolvere problemi,
utilizzare gli organizzatori grafici, far presentare le informazioni in modo visivo, esprimere i concetti
matematici in termini narrativi o addirittura teatrali (Wilson, 2009). Gli insegnanti possono sollecitare
gli studenti a creare storyboard per illustrare i passaggi di un algoritmo, per esempio.
Anche il corpo e il movimento offrono opportunità importanti per insegnare agli studenti ad
approcciare i problemi matematici. Il movimento nelle arti coinvolge sia la manipolazione grossolana
e fine attivando i relativi tratti del sistema nervoso centrale (Gardner, 2006). Queste arti corporee e
cinestetiche contribuiscono allo sviluppo e alla valorizzazione di sistemi neurobiologici critici, alla
base della cognizione, delle emozioni, della percezione e della pianificazione ed esecuzione delle
azioni (Jensen, 2005). Migliorano i tempi di reazione, il coordinamento, la motivazione e l'attenzione
(Hirsh, 2004). Introducendo, dunque, il movimento è possibile non solo coinvolgere maggiormente
la maggior parte degli studenti, ma anche attivare una pluralità di processi cognitivi e neuro-funzionali
che sosterranno la comprensione dei concetti e il superamento delle difficoltà tipici di problemi che
richiedono grande attenzione e carico cognitivo.
L’uso della creatività facilita anche il trasferimento delle nozioni acquisite. In genere, gli studenti
trovano grandi difficoltà nell’applicare conoscenze apprese in un certo dominio a uno contiguo, ma
diverso. Ancora più difficile è applicare quanto appreso alla vita quotidiana. Al contrario, mettendo
in collegamento matematica e arte, numeri e movimenti, operazioni algebriche e immagini, si facilita
la trasferibilità di quanto appreso a contesti anche assai diversi.
…
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Letture consigliate
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