Longo 17 marzo
Elaborazione e creazione del concetto di medioevo.
Abbiamo parlato del 700 facendo una serie di esempi sul rapporto non positivo con il medioevo,
caratteristico della cultura illuminista. Voltaire ritiene che questo sia il periodo in cui il papato abbia
esercitato la sua coercizione sui fedeli, per questo motivo ritiene che il medioevo sia stato un periodo non
proprio felice per la storia dell'umanità.
Altri storici come Gibbon e Roberts ne hanno definito i confini e alcune caratteristiche. Abbiamo cominciato
a parlare di alcuni intellettuali che hanno riconosciuto al medioevo una funzione positiva per la creazione
della società (Delacourt de saint paris, personaggio che è alle radici della presentazione positiva del
medioevo che, trattando di storie come quella della formazione della cavalleria o della caccia, ha
contribuito a creare quel fascino dell'età medievale che sarà una delle caratteristiche della sua
rivisitazione).
Una cosa che dobbiamo notare è che il medioevo, proprio in reazione agli ideali illuministi, vede un
momento di fortuna nella cultura ottocentesca. Nell'800 c'è un vero e proprio inalenamento in tutti i campi
per il medioevo. Questa fortuna del Medioevo viene attribuita al romanticismo, che gli fornisce una
elaborazione ideologica perché nel medioevo si vogliono trovare le origini delle nazioni, in quel
fecondissimo incontro tra il germanesimo e il cristianesimo della cultura latina. Schlegel ritiene che con
l'impero carolingio si apra una nuova stagione che è incontro delle due culture e che viene funestata
dall'arrivo del rinascimento, che propone una cultura pagana, contraria alle leggi e alla dottrina cristiana.
Quella di associare il medioevo alle origini delle nazioni è una spinta ideologica forte, che si proietta in
chiave antinapoleonica (l'impero napoleonico propagandava l'universalismo e il primato del neoclassico).
Tutti coloro che vanno contro gli ideali napoleonici si appellano al medioevo come periodo in cui si sono
create le patrie e vanno cercando una legittimazione politica.
L'attrazione verso l'età medievale non nacque all'improvviso con i romantici. Essi però diffondono presso
un vastissimo pubblico quanto già si era cominciato ad elaborare intorno ad un'età che non aveva mai
cessato di destare interesse nelle cerchie intellettuali; interesse cha partiva dal ritenere il medioevo come
un paradigma storico-interpretativo della storia umana. Abbiamo visto che prima gli umanisti, poi gli
intellettuali del rinascimento e della riforma protestante avevano individuato nel millennio medievale una
sua coerenza nel significare una interruzione dall'antichità classica, che si veniva a ricomporre solamente
nella loro età, ponendo fine a questa sorta di parentesi di espressioni artistiche del medioevo. Il medioevo
non aveva un pieno riconoscimento di essere un'età importante. Difatti, questo tipo di atteggiamento
culturale ingenera una sorta di dualismo tra l'ideale della classicità e quello della non-classicità. Il medioevo
assume tutti quei connotati negativi rispetto alla cultura che ha dato dei canoni estetici, ritenuti provenienti
dalla cultura classica. Ma nello stesso momento in cui si viene definendo come qualcosa che ha senso
soltanto in alterità al classicismo, difatti diventa un modello che si caratterizza per essere contrario al
classico ed è determinato da una sorta di assenza di regole, di libera espressività. Quindi, il modello
medioevo comincia anche a funzionare come un modello non solo estetico ma anche politico-culturale,
rispetto a quei modelli che si vanno a collocare dentro al canone classico. Il modello medioevo diventa
l'antagonista rispetto ai seguici del classicismo. L'accademia di Francia, tra la fine del 660 e la fine del 70, è
la roccaforte dei "moderni" che si opponevano agli "antichi" anche attraverso una coloritura di tipo politico.
Il medioevo è assunto come modello che rappresenta l'assolutismo. Viceversa, sotto questa etichetta di
moderno diventa il medioevo una sorta di simbolo per tutti coloro che si oppongono al classicismo e
all'assolutismo; nel medioevo, con le sue istituzioni che danno spazio all'uomo, avevano avuto un ruolo i
parlamenti, sviluppi di espressioni di politiche amministrative regionali. Abbiamo visto che proprio in
questo clima di timida riscoperta del valore del medioevo che caratterizza il 700, Delacourt è un
personaggio che ha una sua funzione. Egli non vuol proporre il medioevo come età completamente
positiva, ma va descrivendo in modo suggestivo gli usi e i costumi e lo stesso valore morale dell'istituzione
cavalleresca. Proporne la cavalleria come il naturale supporto ad una monarchia illuminata.
In Inghilterra questa propensione all'età medievale diventa un paradigma di comportamento politico: si
consolida il concetto delle libertà sassoni, funzionale alla costituzione mista del parlamentarismo. Tanto in
Francia quanto in Inghilterra si ricorre ad un'interpretazione non negativa dell'età medievale perché vi si
vede un'età di sperimentazione delle libertà. A proposito delle piccole libertà sassoni, prima della conquista
normanna (1066) si diffonde questo mito che nobiltà e popolo concorrevano insieme ad eleggere il re
sassone. Dopo la conquista normanna, il popolo continua a combattere contro le prerogative del potere
centralizzato. Il parlamento appare come una saggia istituzione gotica: c'è questa idea per cui il medioevo
ha delle positività perché c'era una qualche forma di condivisione del potere, che fino alla fine del 600
mancava. Tutto questo fa sia che il medioevo assurge a ruolo e simbolo di un'età di libertà e maggiore
capacità di espressione. Comincia ad assumere anche una connotazione positiva. È chiaro che questo non
possa spiegare la fortuna del medioevo nel corso dell'800, però comincia a far denotare che esiste anche la
possibilità di vedere il medioevo non completamente negativo come era stato il caso della stagione
illuministica nel corso del 700. Questa casta minoritaria che vede il medioevo con dei connotati positivi
(opposizione al monarca, opposizione al classico che coincide con assolutismo). Fin dagli inizi del 18 secolo
circola una cultura che vedono non negativamente il medioevo e il gotico. Gli architetti ricevono molte
committenze dalla nobiltà locale, che vogliono richiamarsi alla tradizione storia che ravvisa nel medioevo
un momento fondamentale di libertà delle tradizioni proprie. Tutto questo lo esprimono facendosi
costruire vile e castelli secondo gli stilemi gotici: non è che la ripresa del medioevo in chiave positiva parte
dall'800. Insieme e accanto alla visione negativa degli illuministi vi sono altri ambianti culturali che vedono il
medioevo come fatto positivo per esprimere i propri ideali politici e culturali. Questo è caratteristico della
nobiltà locale, nemica della monarchia assolutista. Mentre la monarchia assoluta esprime i propri valori
attraverso il richiamo alle forme classiche (Versailles); tutti coloro che si oppongono a questa visione
propongono un ritorno alle forme gotiche e agli ideali espresse dal medioevo. Tutto questo trova riscontro
nella rivoluzione dell'arte dei giardini: nel corso del 700 i giardini divengono espressione dei valori culturali
e politici. La natura si contrappone alla rivoluzione del giardino formale in chiave assolutistica. Versailles e
Caserta sono rappresentazione di giardini che seguono forme geometriche, attraverso l'arte potiaria. Tutto
lo spazio deve essere ordinato e tutto convergente verso la sede del potere. Le forme della comunicazione
visiva sono forme sempre utilizzate da ogni forma di potere in ogni tipo di società (piramide dei faraoni).
L'edilizia, l'architettura è uno straordinario veicolo di diffusione degli ideali dei committenti: così come i
sovrani assolutistici utilizzano l'architettura per veicolare i propri valori di richiamo al classicismo, ecco che
nel 700 si diffonde un mutamento del modo di concepire i giardini. È un mutamento che si pone in
antagonismo al canone classicista. Ancora una volta il medioevo si pone come ideale insofferente verso una
visione del mondo in chiave geometrica. Il "bel disordine" diventa l'elemento generatore attraverso cui i
moderni esprimono il loro antagonismo nei confronti del classicismo. In questo clima politico e culturale,
dove c'è una contrapposizione tra Ancient e modern, dove i moderni sono i ceti intellettuali che vogliono un
allargamento dalla rappresentanza politica e gli antichi sono quelli che appoggiano l'assolutismo e il
classicismo, il richiamo alle forme gotiche come espressione di libertà diventa simbolo che si oppone
all'integralismo classicista. Quindi, questa propensione per l'asimmetria delle forme e della flora e il gusto
per il gotico favoriscono l'uso dell'introduzione delle rovine gotiche dentro i giardini. Quindi, gotico,
asimmetrica e bel disordine nella disposizione delle piante, ruinismo (rovine gotiche) sono gli elementi di
questa rivoluzione culturale ed estetica che si compie attraverso giardini e che sono uno dei segni che
riporta alla rinascita del concetto positivo nei confronti del medioevo. Non viene visto colo come l'epoca
della barbaria, dell'oscurantismo ma visto come quell'età di sperimentazione di forme di partecipazione al
potere. Il gusto per le rovine non si connota come senso di malinconia per il passato ma anche per il senso
di angoscia. Questo porterà al sublime che caratterizzerà fortemente la cultura romantica. Medioevo come
simbolo delle libertà, spontaneità, sentimento di impotenza dell'uomo nei confronti della natura e
opposizione all'assolutismo. Tutto questo produce un mutamento della sensibilità. L'apprezzamento del
pittoresco e del sublime vengono proprio scoperti alla metà del secolo e sanzionano l'apprezzamento del
gotico e la riscoperta del medioevo. Questo paradigma politico-culturale diventa una sorta di strumento
che è in grado di suscitare emozioni e si diffonde. Se noi dobbiamo rappresentare tutto questo, ci viene in
mente strawberry Hill, che oltre ad essere una canzone dei Beatles è un omaggio a quello che stiamo
dicendo. Proprio all'inizio del 700 Horas Warpool, romanzi come il castello di Otranto e strawberry hill sono
espressione di questo mutamento di gusto. Anche la moda risente di questo mutamento, che si tradurrà
nella esperienza positiva del medioevo da parte del romanticismo. I romantici portano alla matura
conseguenza culturale, estetico, ideologica e politica qualcosa che si è già prodotto nel 700 attraverso
questi filoni. La moda medievale comincia nel corso del 18 secolo. Già alla metà del secolo è evidente
attraverso la diffusione della sensibilità legata all'estetica del sublime. Il medioevo ha beneficiato di questa
rivoluzione emotiva, che costituisce il presupposto più prossimo che avrà al tempo dei romantici. In questo
clima culturale nascono quei memoire sugli usi e costumi della cavalleria medievale di delacourt che sono il
diretto prodromo del capitolo sulla vita e costumi dei cavalieri scritto da Chateaubriand nel "genio del
cristianesimo" (1802).
un altro personaggio ha un enorme ruolo in questo mutamento di concezioni, parliamo di Walter Scott,
autore di Ivanhoe. È uno dei romanzi più fortunati dell'800. Per capire come si può arrivare a quel successo
epocale di Walter Scott, guarda cosa il temo del suo lavoro è un'elaborata riproposizione del
parlamentarismo inglese del 6-700 che continuava a perdurare (stiamo parlando dell'origine della fortuna
del medioevo presso i romantici).
I contenuti della poetica romantica
Possiamo sintetizzarli in quattro grandi categorie:
1)
2)
3)
4)
L'armonia dell'uomo nella natura;
Il sentimento religioso;
La rivalutazione dei caratteri nazionali dei popoli;
Riferimento alle storie del medioevo.
Le nuove categorie estetiche che esprimono tutto ciò sono il pittoresco e io sublime.
La categoria estetica fondamentale del neoclassicismo è stata sempre una: il bello, che è all'origine di
tutto. Deve ispirare sensazioni gradevoli e per fare questo deve ispirarsi ad una concezione formale e
creare rapporti di equilibrio. Il bello, già alla prime formulazioni teoriche presso i greci, si realizza nella
regolarità geometrica che lo esprime. Nel neoclassicismo il "bello" è la qualità specifica dell'operare
umano è dunque qualcosa che nasce ed è espresso dall'uomo e dalla sua opera. La natura in sé non
produce il bello, ma immagini che possono ispirare due tipi di sentimenti: il sublime e il pittoresco.
Il sublime conosce la sua prima definizione teorica grazie a Edward Burke, che nel 1756 scrive il saggio
"La ricerca filosofica sulla origine delle idee del sublime e del bello". Citiamo qualche passaggio che ci
spiega che cosa intende. "Cos'è il sublime? Tutto quello che può suscitare idee di dolore o di pericolo;
cioè l'orrendo che affascina". Che cos'è che esprime bene il sublime? La natura nei suoi aspetti più
terrificanti, perché produce un'intensa emozione che è la più forte che l'animo umano possa sentire.
Burke considera bello e sublime come due concetti opposti: il sublime non nasce dalla forma bella, ma
ha la sua radice nei sentimenti di paura/orrore, suscitati dalla dismisura, "da tutto ciò che è terribile o
riguarda cose terribili". Ecco che Kant dirà "la notte è sublime, il giorno è bello". Kant approfondisce il
significato del sublime e sostiene che il sublime non deriva – come il bello - dal libero gioco della
sensibilità e intelletto, ma piuttosto dal conflitto tra sensibilità e ragione. Si ha pertanto quel
sentimento misto di sgomento e piacere, suscitato tanto dall'incommensurabilmente grande quanto
per quello che non è concepibile per l'uomo (tempo, infinità dei numeri) (sublime matematico) e
anche dai grandi sconvolgimenti e fenomeni naturali che servono ad infondere nell'uomo il
sentimento della sua finitezza (sublime dinamico).
Il pittoresco è una categoria estetica che ha la sua prima formulazione solo alla fine del 700 grazie a
Price. Egli nel 1792 scrive un saggio sul pittoresco paragonato al sublime e al bello. Tuttavia, il
pittoresco, prima di questa formulazione, compare nel panorama artistico già dalla prima metà del 700
(pensiamo a Turner). Prima dell'elaborazione di questo saggio da parte di Price, il gusto del pittoresco è
rintracciabile all'inizio del '700 con la pittura inglese e nel rococò francese. Il pittoresco rifiuta la
precisione delle forme regolari per ricercare il valore estetico nella sensazione gradevole data
dall'irregolarità.
Longo 18 marzo
Il pittoresco è la categoria estetica che ha come caratteristica saliente il paesaggio. Tutta la pittura
romantica di paesaggio conserva questa caratteristica. Già nel corso del 700 questa teoria estetica
inspira anche le forme del giardinaggio, facendo nascere il c.d. giardino all'inglese. Il baracco aveva
prodotto il giardino all'italiana, un insieme di elementi naturali e artificiali ordinati secondo figura
geometriche irregolari. Il giardino all'inglese si giova di un'apparente irregolarità. Un altro elemento che
diventa caratteristico del giardino all'inglese è la falsa rovina, cioè il sentimento della rovina che diviene
poi tipico della poetica romantica. Le rovine ispirano la sensazione del disfacimento delle cose prodotte
dall'uomo. Produce un sentimento di malinconia e di nostalgia. Le testimonianze di città del passato,
aggredite dallo scorrere del tempo, suscitano queste emozioni. La rovina è più piacevole di un
monumento intero, perché insite di questo gusto per lo scorrere del tempo. La rovina è più consona ad
esprimere le caratteristiche salienti dal giudizio estetico e culturale del romanticismo. Si producono
false rovine. Avviene quindi una vera e propria rivoluzione dei sentimenti e delle passioni. Questo è
anche uno dei tratti più caratteristici del romanticismo, cioè la rivalutazione del lato istintivo dell'uomo.
Questa tendenza si traduce nel ricercare atmosfere buie e tenebrose (Sturm und drang).
Documento giardini all'inglese e all'italiana
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Giardino di castello, Firenze
Villa d'Este, Tivoli;
Monastero dell'Escorial
Regno di giardino Dessau-Worlitz
Parco Treves de Bonfil
Stampa ottocentesca di giardino all'inglese
Friedrich
Usiamo Friedrich come snodo fondamentale di questo nuovo gusto che diventa preponderante perché
è l'esempio più evidente di questo nuovo umore romantico che si impossessa dell'Europa tra la fine del
700 e l'inizio del 800.
Nasce nel 1774 e muore nel 1840. È l'esponente più puro, dal punto di vista pittorico, dell'arte
romantica. La sua opera è molto segnata da una vicenda che gli capita da quando era bambino. A 13
anni cade nell'acqua gelida. Il fratello riesce a salvarlo, ma muore sprofondando nell'acqua. Questo gli
creò un sentimento di tragicità che trasponga nei suoi quadri. Le sue opere sono caratterizzate da
questa straordinaria e incombente natura. Ci sono tutti gli elementi: la natura, il senso mistico-religioso
e il senso di finitezza dell'uomo di fronte all'enorme potenza della natura. Badate bene che gli elementi
di Friedrich sono alla base della riscoperta del medioevo. John Ruskin scrive una celebre frase dove
dice: "le montagne sono le cattedrali della natura". Si stanno cominciando a stringere i legami rispetto
al rapporto medioevo-natura-cultura romantica. Il gotico è visto come uno stile naturale, spontaneo.
questo senso di elevazione e di trascendere verso il divino è ben rappresentato dal gotico e fa pendant
con la natura e le montagne, che vengono considerate in senso positivo. Precedentemente vennero
considerate come un disastroso impaccio per l'uomo, perché impedivano il passaggio per l'uomo e
come luoghi ostili e non dotati di bellezza, brulli, invivibili. Era una tendenza diffusa che sui picchi delle
montagne vivessero streghe, diavoli e draghi. Tra la fine del 700 e l'inizio dell'800 si ha una straordinaria
rivalutazione delle montagne. In esse si vede il desiderio di elevazione dell'uomo, caratteristico della
cultura romantica, e che porta all'associazione tra montagne e cattedrali gotiche.
il quadro "paesaggio invernale", dipinto nel 1811 e conservato nella Nation Gallery di Londra. Questo
quadro rappresenta al meglio tutti gli elementi: natura incombente e ostile rispetto all'uomo, due
maestosi abeti che richiamano una cattedrale che si staglia tra la nebbia; una croce (elemento religioso)
dove è appena avvenuto un miracolo: una stampella abbandonata di un uomo che ha appena ricevuto
il miracolo.
nella successiva immagine abbiamo un altro elemento fondamentale: il culto per le rovine. Ci troviamo
perfettamente entro il clima che stiamo tratteggiando, perché abbiamo la rovina gotica e il sentimento
ingombrante della natura che domina l'uomo, paesaggio spettrale e alberi che incutono timore. Vedete
che ci sono le tombe: paesaggio sepolcrale. Siamo in perfetto clima ossianico. I canti di Ossian di
Macpherson sono una testimonianza del mutamento del clima, dove c'è una riproposizione del tema
sepolcrale che si traducono, dal punto di vista dell'arte pittorica, in Friedrich.
Altro esempio riguarda ancora l'esaltazione del gotico è la cattedrale tra le nuvole.
Due figure umane sognanti che contemplano una cattedrale, dietro la quale c'è la luce. Il tutto
incorniciato dalla natura rigogliosa che accompagna l'uomo. Le figure sono rappresentate di schiena:
anche questa è un'innovazione di questo tipo di arte romantica che molto spesso pone i personaggi
rivolti verso l'oggetto, proprio per creare una rappresentazione drammatica più coinvolgente che
diventa parte dell'opera.
Due uomini osservano una eclissi di luna in una notte invernale e ci aiutano a proiettarti verso quello
che si vuole veicolare, cioè un sentimento di sbigottimento davanti ai prodigi della natura.
rovina di un monastero completamente sommerso dalla vegetazione ad indicare quel senso rispetto al
passato ineluttabile. Commistione fortissima fra gotico e natura.
uomo e donna con albero spettrale. Queste immagini sono la fonte di ispirazione dei film di Walt
Disney, in particolare di Biancaneve e i sette nani. Disney sarà sempre attento a questo rapporto con il
medioevo come produttore di immaginari.
immagine 04: reiterazione del concetto. La cattedrale è quasi fusa nella rappresentazione con gli abeti.
Fanno parte dello stesso corpo metaforico.
Viandante sul mare di nebbia: figura umana ritratta di spalle che contempla il paesaggio insieme al
fruitore dell'opera, senso di ineluttabilità, picchi di montagne. Il viandante che sembra quasi
contemplare il senso della vita di fronte al mare di nebbia è forse una delle immagini più potenti della
poetica di Frierich. I paesaggi sono la chiave della sua arte, che per quanto riguarda l'innovazione si
concretizzano tutte per la rappresentazione del paesaggio. Egli si concentra su uno stravolgimento della
concezione classica del paesaggio (che veniva visto come una quinta, uno scenario gradevole da
vendere -rinascimento- nel quale viene immersa la rappresentazione). Qui, in aggiunta al sublime, il
paesaggio è funzionale a creare quell'attitudine spirituale alla contemplazione della natura anche come
senso mistico, per raggiungere il divino. Il paesaggio non è più un fondale, ma gli uomini rappresentati
sono spettatori del centro del quadro. Il paesaggio diventa un soggetto pienamente autonomo. Questo
escamotage che trova Friedrich della persona vista da dietro serve a farsi calare sempre di più nella sua
concezione che porta al centro dell'attenzione il paesaggio, che è il soggetto della pittura e quello che
deve produrre nello spettatore il sentimento che si vuole trasmettere.
Avete visto in immagini questo mutamento che si produce, differente dall'arte neoclassica e dai suoi
canoni estetici. Uno dei tratti più caratteristi del romanticismo è la rivalutazione assoluta del lato
passionale e istintivo dell'uomo. Questa ricerca si presta alla riproduzione di atmosfere cupe e
tenebrose. L'arte romantica riscopre poi la sfera religiosa.
In reazione al 700, fortemente laico e anticlericale, con la cultura romantica si ha una potentissima
riscoperta dei valori religiosi. Nel 1802 viene pubblicato il genio del cristianesimo di Chateaubriand.
Negli stessi anni in Germani, grazie ai fratelli Schlegel e al pittore Novalis, si viene creando una
concezione mistica dell'arte intesa come dono divino. Secondo questi autori, l'arte ha il compito di
scoprire l'anima delle cose, rivelandone l'aspetto recondito. Dal punto di vista della rappresentazione
pittorica chi incarna tutto questo è Friedrich. Ma questo interesse per l0interiorità umana ha portato il
romanticismo a preferire linguaggi artistici non figurativi, come la musica, la letteratura e la poesia.
Tenete però in considerazione che per quanto riguarda il romanticismo, naturalmente i fulcri attorno a
cui si sviluppa sono la Germania e la Francia. In Germani, il romanticismo si connota di una venatura
fortemente patriottica, perché la Germania non aveva ancora costituito lo stato che si auspicava
rappresentasse la possibile realizzazione di questi ideali di unione del popolo tedesco e il romanticismo
in chiave antinapoleonica diventa un modo per promuovere l'indagine sulla peculiarità dello spirito del
popolo tedesco, che porterà implicazione nazionalistiche. Nell'inizio dell'800 si concretizza
nell'inserimento della nazione Germania nella cultura europea. Il medioevo bistrattato dagli illuministi
diventa la patria del sentimento di azione e della poetica del popolo tedesco. Certamente, il medioevo
è l'epoca in cui il popolo tedesco si p affacciato alla storia e ha offerto alla società occidentale
l'istituzione più autorevole, l'impero. C'è un bellissimo scritto del poeta Novalis, che muore nel 1801 e
due anni prima di morire scrive un breve saggio intitolato "la cristianità ovvero l'Europa", molto
indicativo sin dal titolo perché esalta l'epoca che aveva preceduto la riforma protestante, cioè il
medioevo, perché era stata l'epoca presieduta dalla cristianità che aveva tenuto insieme l'Europa. La
vita della società era stata animata da sentimenti semplici e profondi e da una sincera solidarietà,
basata su valori trascendenti. Ecco la grande esaltazione del medioevo, che diventa poi il modo
normale di rappresentarlo: epoca di solidarietà, in nome di una più alto ideale dato dal cristianesimo.
Quindi, forte senso dialettico nei confronti del classicismo e illuminismo e decisa rivendicazione per la
cultura medievale per aver raccolto l'eredità della cultura classica da parte del cristianesimo, non è più
una parantesi tra la classicità e l'età moderna, ma diventa un'epoca fondamentale perché riesce a
contemperare la tradizione classica con lo spirito del cristianesimo. Tutto ciò comporta a creare il mito
nostalgico e polemico di un'età migliore posta nel medioevo, che aveva dato un contribuito alla
possibilità di evoluzione della società. Tutto questo porta anche ad un altro aspetto molto importante
dell'800 romantico che è la riscoperta della storia del medioevo. Se si ravvisa in questa età un così
grande contributo per a storia dell'umanità, è necessario conoscerla meglio e contestualizzarla. Ecco
che l'intuizione del carattere complesso della società medievale anima le indagini sul diritto del
medioevo che sono una nuova concezione della disciplina storica. L'800 è il grande secolo della
disciplina storia e della disciplina filologica, grazie anche al contributo degli intellettuali tedeschi che
devono andare a vedere l'origine delle loro storia: è necessario conoscere le fonti che riguardano
l'inizio della nazione tedesca. Si afferma l'ideale del contributo germanico sulla società europea e la
conoscenza del periodo attraverso un più sicuro e scientifico ricorso alla documentazione. Da questo
punto di vista devo citarvi un progetto scientifico ed editoriale che è l'espressione di tutto questo
atteggiamento nei confronti del passato medievale, del 1824, dal giovane studioso George Perns. Egli
tende a realizzare una grande collana di fonti storiche, intitolata monumenta germaniae historica (gli
MGH). Sono una grande collana di fonti relative alla storia del popolo tedesco nel medioevo. L'opera
era concepita in 5 grandi sezioni (scriptores auotri narrativi), leges (tutto ciò che riguardava il fatto
giuridico), diplomata (documenti imperiali), epistulae (lettere) e antiquitates (altri campi della scrittura
del medioevo). Esistono ancora oggi e sono tra i più importanti editori di fonti medievali che esistano al
mondo. I monumenti si caratterizzano per una finalità non solo culturale, ma anche politica. Qual è la
differenza tra i monumenta germaniae historica e le edizioni precedenti del 7-700? Innanzitutto, una
maggiore sistematicità nella ricerca dei testi e poi il metodo filologico molto più rigoroso che si rifà al
clima che negli stessi anni porta ad una nuova concezione della filologia classica, fondato sul confronto
sistematico dei codici in cui i testi medievali erano scritti. Che cosa fanno gli editori che partecipano a
questa colossale iniziativa? Vanno in giro per le biblioteche dei paesi europei per ritrovare l'edizione
manoscritta dei testi che avrebbero stampato. Tantissimi testi vengono resi disponibili e questo da
impulso alla conoscenza del medioevo. Il programma di queste edizioni intendeva illustrare la presenza
germanica ovunque, ma di fatto questo ha un effetto positivo per la storia del medioevo per altri paesi.
Quest'opera è provvista di un coutè nazionale, ma ben si integra a questo diffuso clima di rivalutazione
del medioevo.
Il campo dell'architettura
La ripresa del medioevo trova un'ulteriore concretizzazione nel campo dell'architettura. Fin dai
pioneristici studi di Kenneth Clarke, autore nel 1928 di un celebre studio che si chiamava "il revival
gotico". Gli studi hanno messo in luce nel corso del 900 della ripresa del gotico nel corso dell'800.
Diventa uno stilema espressivo dell'architettura dell'800. Difatti, si parla di neogotico. Dove si ritrova
questi ideali di cui il gotico diventa espressione fondamentale? Nei luoghi di culto cristiano, in certi
edifici di rappresentanza pubblica che volevano mantenere una caratterizzazione riconoscibile
attraverso i tempi. Oppure nelle dimore signorili private, che volevano darsi una patina di nobiltà e
antichità. Questo è particolarmente evidente nelle nouveau riche, che non hanno però nobili origini ma
sono persone ricche. Tra i tantissimi, è il caso del signor Guinnes che si costruisce uno splendido
castello.
Immagini da presentazione corso storia medievale
- Palazzo di Westminster, ricostruito nel 1834 da Pugin e Barry. Dopo l'incendio che l'aveva distrutto,
viene ricostruito nel 1834 in stile neogotico. Perché viene scelto il neogotico? Perché esprime il potere
e l'autorità. È lo stile che si ritiene che possa esprimere il senso di tradizione, autorità, importanza.
-
Rathaus di Monaco di Baviera, 1874
Il neogotico diventa lo stile non solo per l'edilizia religiosa o pubblica, ma anche per i borghesi.
Partecipano all'esaltazione dello stile gotico perché rappresenta autorità, tradizione, sogno, esotico e
intrattenimento
-
-
Roma, Quartiere coppedè, dal nome dell'architetto che lo ha progettato dal 1915-25.
Palazzi destinati ad ospitare alto borghesi. Ardita reinterpretazione dello stile gotico.
(Palazzi degli ambasciatori e Villino delle fate). Il gotico si è trasformato in uno stile di evasione:
medioevo come epoca di leggenda.
Torino, Borgo medievale del Valentino  Per l'esposizione universale che si sarebbe tenuta a
Torino.
Quando si parla di Neogotico dobbiamo parlare dell'architetto di Eugene De Viollet Le Duc, che è
intervenuto nel restauro di Notre Dame, Carcassone, la Saint Chapelle ecc. In Francia, il restauro di molte
chiese e vestigie medievali si era reso necessario per le distruzioni e per gli spogli sistematici effettuati
durante il periodo napoleonico, visto il forte atteggiamento censorio nei confronti della chiesa. Il caso più
eclatante fu la distruzione dell'abbazia di Cluny, che era uno dei simboli dell'assolutismo ecclesiastico. Il
revival neogotico si rivela nell'accentuazione del gotico. Viollet Le Duc è stato anche accusato di essersi
inventato il gotico: il modo di concepire il restauro non era tanto improntato ad un discorso filologicoconservativo, ma a un discorso di rappresentazione. Questo è anche un esempio di grande innamoramento
per il gotico nel corso del 800. Per l'Italia possiamo citare Alfonso Rubiani, architetto che ridisegna Bologna
tutta in chiave neogotica.
Carcassonne, completamente ricostruita da Le Duc è interamente ricostruita nel corso dell'800 e ha
ospitato tantissimi film ambientati in epoca medievale (Robin Hood).
È il caso di soffermarci su alcuni elementi fondamentali di questa rivisitazione del medioevo come veicolo
metaforico di rappresentazione di ideali che sono tutti ottocenteschi. Il medioevo diventa lo strumento con
cui si esprimono sentimenti molto moderni. Simbolo del gusto ottocentesco è la cattedrale. L'abbiamo vista
con Freidrich, con Le Duc. La cattedrale è uno dei simboli più potenti che rappresentano l'idea di medioevo.
Perché ancora oggi la cattedrale è uno dei simboli più potenti di questa idea di medioevo? Essa è
innanzitutto suono, luce, profumo. È l'elevazione dell'umano al divino. Nel medioevo è concepita come un
luogo di contatto fra l'uomo e il divino, dove si celebra non solo il rito cristiano ma anche l'unione della
comunità ceh concorre tutta a costruirla. La cattedrale è un simbolo potentissimo non solo nell'800 ma
anche nello stesso medioevo. Essa è non solo il simbolo di elevazione dell'uomo verso il divino ma anche il
simbolo della comunità. La comunità si stringe intorno al suo simbolo e per generazioni la fa costruire,
chiamando artisti e operai a renderla sempre più sfarzosa. Nella cattedrale si svolge il rito cristiano e si
presenta come spazio orientato per la liturgia. Le vetrate servono per creare un ambiente mistico in cui il
fedele partecipa coi suoi sensi. È profumo, nel senso degli incensi; ed è colore per gli affreschi e le vetrate.
La cattedrale è la metafora fra l'uomo e dio perché è il tentativo di slancio verticale verso Dio, enfatizzato al
massimo livello nel corso dell'800. Nell'800 la cattedrale incorpora una serie di altre significazioni che non
sono presenti nel medioevo, ma che sono potenti nel nostro modo di concepirla. Per esempio, diventa
simbolo potente della natura che si contrappone all'industria dell'uomo. Nell'800 in sui ci svolge la
rivoluzione industriale, tutta una serie di intellettuali si oppongono a questa massificazione dell'uomo e del
suo lavoro. La natura e la cattedrale diventano simboli potenti della contrapposizione alla rivoluzione
industriale. Ecco che il gotico diventa sempre di più quel codice che esprime il senso dell'ingenuo slancio
spirituale e religioso, contrapposto alla città (Dickens, Inghilterra vittoriana- città insalubri).
Il gothic taste si diffonde per tutta l'Europa e arriva agli stati uniti. Il revival si impossessa della società
occidentale fra la seconda metà del 19 secolo e i primi anni del 20. Cattedrale diventa metafora dello spirito
medievale e, ovviamente, di quello medievalistico. Mentre il medioevo è tutto ciò che è pertinente a
questo periodo; il medievalismo è l'interpretazione successiva del medioevo.
All'interno dell'elemento catalizzatore che è la cattedrale convergono tutta una serie di allegorie. Per
Goethe e per Friedrich, le cattedrali sono il simbolo del popolo tedesco (leale, solidale, mistico). La
cattedrale riassume in sé due concetti quasi antitetici: città e campagna. Essa è uno dei simboli della
comunità urbana, ma nel corso dell'800 diventa anche il simbolo dello spontaneo proliferare della natura
che nel gotico trova la sua rappresentazione architettonica. Questa opera d'arte totale che esula anche
dall'aspetto religioso diventa un produttore potente di simboli.
Longo 24 marzo
L'importanza della cultura romantica per la rivalutazione positiva del Medioevo
Abbiamo parlato dei MGH e poi abbiamo finito il discorso parlando dei simboli del medioevo (castelli e
cattedrali) nell'800, perché rappresentano gli ideali dello stile gotico.
L'800 è il grand siecle del medievalismo, che inventa il medioevo nelle sue forme che ancora oggi
caratterizzano in larga parte. Abbiamo visto l'importanza della rivisitazione gotica di Le Duc, diventano ipergotico, portando alle estreme conseguenze le caratteristiche degli slanci verticali. Abbiamo visto come la
cattedrale diventino dei veri e propri simboli per esprimere l'animo tedesco.
1) Cornell Univ. Campanile nel Campus;
2) Yale Univ;
3) Gotico Univ. Michigan.
Perché le Univ. Americane usano lo stile gotico, se non hanno mai avuto un'epoca gotica? La rinascita
ottocentesca dello stile gotico nell'ambito universitario si concentra negli stati uniti. Questo perché
nell'800 il gotico subisce una straordinaria ripresa e viene impiegato in quasi tutta l'edilizia, sia pubblica
che privata, per conferire autorità e tradizione a coloro he lo abitano. Si diffonde questa moda del
gotico e del medioevo come fattore nobilitante. Un discorso particolare riguarda l'edilizia per
l'istruzione superiore. Innanzitutto, si fanno università in stile gotico perché questo stile evoca la
madrepatria (Oxford e Cambridge). C'è un legame di filiazione accertata con l'eredità anglosassone. C'è
un secondo aspetto, che è quello del richiamo a dei principi di purezza spirituale (rapporto naturagotico). Si tratta di un discorso ideologico con la tradizione spirituale antica. Questo è anche dichiarato
da una serie di intellettuali, basti pensare a Thoureau e Ruskin.
Passo della prosa di Ruskin (rapporto natura-gotico-medioevo), Le pietre di Venezia (1851-53).
«La massa architettonica fondata su modelli greci e romani è completamente priva di ogni traccia di
vita, virtù, onorabilità e capacità di far bene. È del tutto innaturale, infruttuosa, priva di gioia ed empia.
Pagana alle sue origini, arrogante e priva di santità al suo rinascere, sclerotizzata nella sua età tarda.
Un'architettura inventata per rendere i suoi architetti plagiati, i suoi lavoratori schivi e sibariti coloro
che vi abitarono. Noi abbiamo visto esattamente nella misura in cui l'architettura romana è priva di
vita, inutile e non cristiana, nella stessa misura la nostra antica architettura gotica è vivace, utile e piena
di fede».
Ruskin dice quelle che sono le teorie che erano alla base del sublime e della critica nei confronti
dell'arte classica. L'arte classica è da negligere, è priva di vita e non è ispirata a criteri di spiritualità ed
elevazione che solo il gotico esprime. Quindi, il gotico come stile che esprime le condizioni estetiche e
culturali dell'800; unico che può esprimere la vitalità della natura. Quindi, alla base dell'edilizia scelta
per l'architettura universitaria americana c'è il gotico e la scelta di porre i luoghi di istruzione superiore
lontano dai contesti urbani. Non è un caso che il nome "campus" universitario derivi proprio da questa
caratteristica. Le università devono essere edificate fuori dalle città, perché queste sono luoghi di
concentrazione di corruzione morale e sociale. L'intento, motivato da ragioni ideologiche, è quello di
creare luoghi bucolici lontano dallo squallore e dalla peccaminosità della vita cittadina.
la natura è propositiva per creare l'ambiente ideale per la formazione accademica tanto quanto morale
e spirituale degli studenti, secondo Thoureau.
Inoltre, tutto questo va a collimare con delle teorie sulle origini naturali dello stile gotico. Le tesi sulla
correlazione gotico-natura vengono sostenute dall'abbate Laugier, che scrive un saggio sull’architettura
(metà XVIII) e dal reverendo Miller (opere pubblicate agli inizi del XIX sec.). Gotico è inteso come uno
stile naturale in opposizione a quello classico, le cui forme erano «ispirate dai rami dei boschi che si
allungano e si intrecciano».
Passo dalla prosa di Turner (studioso anglosassone) tratto dal saggio sulla tradizione americana
legata alla scelta del gotico e all'inserzione del mondo universitario nella natura.
«Tutte le sregolate trasgressioni contro l’arte, tutte le offese mostruose contro la natura spariscono,
ogni cosa ha la sua ragione d’essere, tutto è al suo posto, l’armonioso insieme nasce dalla studiata
applicazione di mezzi appropriati e proporzionati ai loro fini. Perché gli archi non avrebbero dovuto
essere acuti dal momento che i lavoratori volevano imitare quella curva che i rami di due alberi
contrapposti creano dall’inserirsi l’uno nell’altro? O perché le colonne non avrebbero dovuto essere
divise in fusti distinti dal momento che essi volevano rappresentare i tronchi di alberi vicini?». Esiste
una connaturata familiarità fra la natura e lo stile gotico. I concetti espressi sono sostanzialmente che le
forme gotiche estraggono il loro sviluppo dalla vitalità della natura che, nel suo spontaneo disordine,
esprime una genuina vitalità. Nel caso del gotico si tramuta nella capacità di arrivare alle sfere spirituali.
Quindi, viene esaltata una visione dello sviluppo umano essa in connessione con i valori culturali,
morali, religiosi, storici e nazionalistici del gotico. Questo è quanto avviene nel mondo anglosassone.
Non è certo una coincidenza che il termine "campus" comincia ad essere impiegato come termine per
indicare gli edifici stessi.
Il gotico inoltre viene scelto come stile per gli istituti universitari come richiamo agli antichi monasteri
medievali incentrati intorno ad un chiostro quadrilatero centrale e così si opera anche nell’edilizia
universitaria americana. (la stessa Hogwarts viene rappresentata secondo gli stilemi gotici in
associazione alla natura) Il nostro immaginario che considera positivamente il medioevo è quindi
incentrato su questa forte associazione tra naturalezza/ spontaneità e stile gotico.
Motivi alla base della cultura romantica alla rivalutazione del Medioevo
Tre principali motivazioni:
1) Il Medioevo è stato un periodo mistico, spirituale e religioso;
2) Nel medioevo si sono formate le tradizioni culturali, giuridiche e letterarie delle nazioni europee;
3) Il Medioevo è un periodo fortemente artigianale.
 Siamo in piena rivoluzione industriale, un momento in cui gli intellettuali vedono molta
mistificazione legata alla replicabilità degli oggetti, considerati tutti senza valori.
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Il Medioevo come periodo fortemente mistico e religioso.
 Nel Medioevo la religione aveva avuto un ruolo fondamentale nella coesione della società. I
valori religiosi davano le coordinate non solo morali ma anche esistenziali. Nello spirito della
religione veniva improntata tutta l'esistenza umana. Questo comporta che durante l'epoca
romantica si guardi al medioevo come un periodo positivo, in quanto costruito a forte
spiritualità e misticismo.
Nel medioevo si sono formate le tradizioni culturali, giuridiche e letterarie delle nazioni europee
 Inoltre, la rivisitazione del Medioevo nasce anche da motivazioni di ordine polemico dal punto
di vista politico. Infatti, il neoclassicismo, nelle sue ultime propaggini, era diventato lo stile che
esprimeva le ideologie napoleoniche, cioè di una compagine politica che aveva cercato di
distruggere le varie particolarità europee per fonderle in un unico impero. La venuta meno
dell'impero napoleonico produce nelle coscienze europee la rivalutazione del concetto di
patria, quello che per gli intellettuali romantici tedeschi prende il nome di Heimat ("patria",
"casa"). Rivalutazione in chiave anti-illuministica e anti-napoleonica delle diverse nazionalità
che nel continente europeo si erano formate proprio nel periodo medievale a seguito delle
caduta di un altro impero con pretese universalistiche: l'impero romano. Quindi, la polemica col
classico si ammanta anche di questi significati.
il neoclassicismo aveva cercato di sovrapporsi alle diversità nazionali; il Romanticismo si
propone, invece, di rivalutare lo spirito diverso dei popoli delle varie nazioni e va a ritrovare nel
medioevo un'epoca positiva in cui si erano formate le nazioni europee.
Il Medioevo è un periodo fortemente artigianale
 A partire dalla metà del 18 secolo, le nuove conquiste scientifiche e tecnologiche permettono di
modificare i mezzi della produzione passando da un tipo di produzione artigianale a un sistema
di produzione in cui i manufatti vengono prodotti serialmente, con un ciclo industriale. La
nascita delle industrie ha delle ripercussioni nella vita sociale ed economica. Permette di
produrre una quantità maggiore di manufatti a costi inferiori, ma soprattutto agli inizi porta ad
un diffuso peggioramento della qualità estetica dei manufatti. Questo fatto viene colto
soprattutto dagli intellettuali inglesi, che alla metà dell'800 propugnano un rifiuto diffuso delle
industrie proponendo un ritorno all'artigianato. Siamo alle origini della storia del design. Il
lavoro artigianale, secondo questi intellettuali (Ruskin su tutti), consentiva di produrre
manufatti migliori e arricchiva il lavoratore del gusto di lavorare che nell'industria non è
assolutamente possibile. La catena di montaggio, il ciclo alienante e ripetitivo delle industrie,
non creano le possibilità di amare il proprio lavoro e il depauperamento dell'artigiano, anche
spirituale. "Tempi moderni" di Charlie Chaplin è esattamente l'esempio di quanto detto. Si
diffondono come realizzazione di questi impulsi culturali una serie di scuole di arte applicata e
di mestieri, che sono espressione dell'art and craft moviment, che si ispira alle corporazioni
delle arti e mestieri medievali. In questo tipo di scuole vengono prodotti dei manufatti in
maniera artigianale che costano di più delle merci prodotte secondo il sistema industriale. Sono
destinati ad un pubblico abbiente, di elite. Ancora una volta il medioevo è il serbatoio di valori
positivi. Certamente sono destinate ad un pubblico elitario, non potendo essere alla portata
della classe operaia. La risposta ai mali portati dalla rivoluzione industriale è anacronistica dal
punto di vista sociale e politico. Di fatto, è illusorio il poter sostituire l'artigianato con
l'industria; però, la soluzione a tutto questo arriva con un'evoluzione della produzione
industriale dell'800 con la cultura del liberty (o art decò). Si sviluppa il design industriale, che
porta la nuova figura del designer a cui dà contributo il movimento dell'art and craft e che trova
massima espressione nella Bauhaus tedesca.
Chi però dà forza e si pone in parallelo è la confraternita dei pre-raffaelliti che dà l'ultima grande
interpretazione del romanticismo e si pone come la radice del nostro immaginario legato al medioevo
I pre-raffaelliti
Dal punto di vista artistico, intorno alla metà dell'800, dopo la morte di Constable, Fussli e Turner, sembra
un po' cessato nell'Inghilterra vittoriana la stagione del romanticismo artistico inglese. In questo clima di
rivoluzione industriale comincia a diventare sempre più conosciuto ed importante la figura di John Ruskin.
John Ruskin, docente dell'università di Oxford, pubblica nel 1843 i primi volumi sui pittori moderni e
diventa il massimo critico europeo dell'800. Si tratta di un intellettuale assai sensibile e diventa un acuto
osservatore degli scenari legati alla natura. Ruskin ha come criterio ispiratore l'opposizione ad ogni
artificiosa costruzione dell'arte. Ama molto Turner, che è uno dei massimi esponenti del pittoresco. Di lui
ama la grandissima capacità di padroneggiare la luce, evidente protagonista dei suoi paesaggi.
i valori morali e spirituali sono fondamentali per questo tipo di intellettuali: andare verso la natura in
maniera pura, in contrapposizione coi tempi della rivoluzione industriale. Se questo è il lumus culturale che
c'è intorno alla metà del secolo, mentre dal 1848 l'Europa si infiamma con i moti insurrezionali, tre allievi
della Royal Accademy (istituzione dove si formavano i pittori canonici della società vittoriana) si uniscono e
fondano la Pre-Raffaellite brotherhood. Già dal nome indica un orientamento culturale e ideologico preciso,
anche dal punto di vista storiografico: da Raffaello in poi si è contaminato il modo dell'arte con la
prospettiva e l'artificio; invece i pittori italiani, gotici, del tre-quattrocento sono i punti di riferimento
fondamentale, perché la loro arte si fonda su una reale, concreta ispirazione religiosa e mistica senza
l'artificio dell'inganno della prospettiva. Rappresentano il vero anelito che deve guidare il modo di fare arte.
Sono giovanissimi.
-
William Holman Hunt, 21 anni;
Dante Gabriele Rossetti (figlio di un esule italiano mazziniano. Il padre era immigrato in seguito ai
moti carbonari del '21), 20;
John Everett Millais, 19.
Intorno ad essi si riunisce un circolo di pittori, scultori e letterati che danno origine ad un movimento ricco
di nuovi fermenti, molto politicizzato, con una forte attenzione ai problemi sociali, molto interessato ai
progressi della scienza e delle nuove tecniche, ma molto contrari e critici nei confronti dell'incipiente
industrializzazione. Propongono un ritorno ai valori puri del medioevo de pittori pre- Raffello Sanzio, cioè
prima che intervenga, come dice Ruskin, «quello sciocco peccato di orgoglio, rendendo l'arte infedele e
intellettuale». Ad essi si unisce Brown, che alimenta gli ideali della confraternita con ideali cristiani primitivi,
tipico dei nazareni tedeschi.
Rossetti è anche ispiratore e fondatore della rivista "The germ" che rappresenta il coutè letterario del
movimento. Danno alla loro confraternita un carattere segreto, iniziatico, mistico.
Alla base delle loro poetica c'è un'osservazione acuta delle cose naturali. Cercano di recuperare il rapporto
con la natura attraverso una riproduzione minuziosa della natura, cercando di rilevare la misteriosa
spiritualità contenuta nella natura. C'è un'attenzione spasmodica della riproduzione fedele della botanica,
al simbolismo dei fiori, all'ornamentalismo. Sono dei veri e propri rivoluzionari rispetto al modo di ragionare
dell'Accademia. Si consideri che l'anno di fondazione della confraternita, il 1848, si colloca in
contemporanea con la scoperta della fotografia. Si mettono in competizione con essa e per questo sono
attenti alla riproduzione fedele delle cose.
Eleggono il medioevo come l'epoca ideale in cui la creazione artistica si ispirava a metodi artigianali, in
contrapposizione al presente industrializzato. Decidono di chiamarsi pre-raffaelliti proprio per
richiamarsi a questa loro fedeltà. Anche la scelta del termine "brotherhood" la dice lunga sui loro valori
guida, che sono: anti-capitalistici, anti-individualistici, anti-imperialistici. La loro ispirazione è religiosa e
ispirata a sentimenti di fratellanza e a quello spirito cavalleresco che dava più doveri che diritti. Secondo
loro non è Caino il fondatore della città, ma Abele è il rappresentante del rapporto simbiotico con la
natura. Sono contro l'uomo di Machiavelli, che è contro tutto ciò che loro ripudiano.
Alla base della loro proposta rivoluzionaria dal punto id vista della storia dell'arte ci sono due parole:
fratellanza e sincerità in ogni azione che si compie.
Deboire dei pre-raffaelliti
1) To have genuines ideas to expects;
2) To study nature attentbility;
3) So has to know how to express them
 Attenzione per la natura, sincerità nelle idee da esprimere.
Lo slogan che adottano è "through to nature". Questo slogan si colloca come volontà di dare espressione,
attraverso la pittura, allo studio della natura attraverso la capacità di riprendere ogni dettaglio. Questo crea
una certa accuratezza filologica, facendo concorrenza alla fotografia. Perché uno studio così attento alla
natura? Perché si riconosce alla natura una sorta di poeticità intrinseca, poiché è rappresentante di Dio.
Questa attenzione minuziosa all'imitazione della natura è in funzione dell'ingenerare con essa una vera e
profonda intima comunione, che permette di arrivare alla spiritualità che è dentro le cose.
Secondo aspetto è l'andare a dipingere an-plein-air. Caratteristica tecnica fondamentale è la straordinaria
brillantezza dei colori, che colpisce molto l'occhio. Per ottenere questo risultato nei loro quadri ad olio
applicano un metodo che recuperano dai loro maestri primitivi italiani, cioè quello di dipingere a tempera
sull'intonaco fresco con pennelli sottili e con un colore molto liquido. Lo strato di colore si impregna e il
colore dà una luce e una brillantezza molto forte, caratteristica dei loro quadri. Nella scelta di questi colori
accesi c'è un elemento rivoluzionario, visto con sgomento dai loro contemporanei, cioè la reazione violenta
contro le mezze tinte che sono la caratteristica saliente della pittura accademica del tempo. Utilizzano i
colori al loro grado fondamentale, lasciano da parte ogni mezza tinta. Questo suscita critica fortissime.
Nella prima fase del movimento pre-raffaellita vede uno scontro del movimento con l'arte accademica, è
caratterizzato da un moto ascetico. Si propongono il riacquisto del senso etico dell'arte. Questa fase viene
definita "hard age". Tutto questo porta in breve alla fine della prima esperienza. La prima fase dura solo
qualche anno. Le loro strade si dividono. Ci sarà l'avvio di una seconda stagione a partire dagli anni '60,
chiamata "soft age", in cui c'è un linguaggio espressivo più morbido e una sempre maggiore attenzione alla
decorazione. Protagonista di questa seconda stagione sarà Morris, che muovendo dal pensiero ispiratore di
Ruskin è anche molto attento agli scritti di Marx. Fonda la Morris and Co.nel 1861. La società fondata da
Morris c'è una visione etica e politica del ruolo dell'artista, che deve dipingere e insegnare cose che siano
utili, belle, naturali, dotate di spiritualità.
Nella prima fase, l'attività della confraternita procede con scarsa fortuna critica. Partecipano ad una prima
esposizione con un dipinto ciascuno, ma l'anno successivo le loro opere saranno criticate aspramente al
punto che un dipinto di Millet su Cristo suscita le ire di Dickens che lo definisce "repellente per la sua
dimessa semplicità", considerando il dipinto un oltraggio alla scena sacra. La stessa regina Vittoria sarà
incuriosita da questo dipinto e vorrà vederlo di persona. Queste critiche violentissime sono caratteristiche
di qeusti primi due anni e Ruskin interverrà per difendere le ragioni di questi tre artisti scrivendo al Times
per difendere le loro teorie. Confronta le opere dei pre-raffaelliti con l'opera di Turner, inserendo
l'esperienza pre-raffaellita nel contesto della pittura europea. Questo intervento di Ruskin comporta un
mutamento di fortuna e contribuisce al progressivo riconoscimento che verrà loro dato. In particolare,
Morris e Edward-Burne Johns saranno i due componenti che godranno della fortuna dei pre-raffelliti. Dalla
loro opera in poi, la confraternita avrà un secondo inizio e da avvio ad una nuova fase dell'esperienza preraffellita.
Longo 25 marzo
I temi prediletti oscillano fra la storia del passato e i temi dell'attualità. Hanno un'attenzione politica
particolare sul tema delle ingiustizie sociali della loro società. Ciò si traduce in una serie di opere sul tema
della fanciullezza perduta e di una forte riflessione sul tema della morte. Sono all'inizio violentemente
contestati, ma nel 1851 ottengono l'appoggio di Ruskin che è l'albiter elegantiarum della società vittoriana
e conoscono un discreto successo. La tensione morale che li contraddistingue fa sì che in breve tempo il
gruppo cominci a disgregarsi.
A partire dal 1860 si ha una seconda ondata di preraffaellismo, caratterizzata da temi medievaleggianti e
ritratti femminili languide, ma caratterizzate sempre dal tema della morte. Johns e Rossetti sono attenti a
questi tipo di temi. La qualità creativa diventa importante anche rispetto alla cultura europea, alimentando
e rappresentando fenomeni quai il decadentismo e il simbolismo.
Sono gli anni in cui Marx ha appena scritto il Capitale. Morris è provvisto di un forte intento sociale, una
ideologia politica: è convinto di un rinnovamento politico-sociale; questo, nella sua visione artistica, si
traduce nella ricerca di ispirarsi al modo di lavorare medievale delle corporazioni, in opposizione alla
produzione in serie della società industriale che è, a suo giudizio, un attentato alla qualità delle opere.
Rivendica la capacità creativa del singolo individuo e il lavoro di gruppo dell'officina. Traduce tutto questo
nella creazione nel 1861 della Morris and co. dove si producono quadri, tappezzerie, arazzi, vetrate e dove
la personalità artistica di Johns emerge prepotentemente. Egli è progettista di una serie di vetrate a cui
partecipano anche gli altri preraffaelliti. C'è una forte attenzione al decorativo, con eleganti arabeschi e da
motivi di ispirazione medievale. Questo aspetto è importante perché la Morris e co. diventa importante per
il design industriale. Attraverso la sua attività si diffonde nelle case della buna società il medioevo.
Contribuiscono alla diffusione del gothic taste che si impossessa della società ottocentesca. Anche il
movimento delle arts and crafts si ispira alle corporazioni medievali e sorge ad opera di Morris e dei suoi
discepoli nel 1888. Il loro obiettivo è quello di ridare valore artistico all'artigianato contro il cattivo gusto
della produzione industriale. Opponendosi allo scadimento degli oggetti di uso comune, in seguito a questo
movimento nelle industrie si creerà una maggiore attenzione per la qualità degli oggetti. Il limite di questa
concezione artistica sta nel fatto che non si rende conto del costo che comporta questo tipo di produzione
(costi elevati in termini di tempo e qualità). Quindi, è qualcosa destinata solo all'elite. Difatti, questo
movimento, attraverso il suo atteggiamento critico nei confronti della produzione industriale, comporterà
un miglioramento nella stessa nella produzione di oggetti di uso comune.
Il medioevo che si diffonde è frutto di un'ideologia tutta frutto dell'800.
Dopo la prima generazione preraffaellita (1848-1852), contraddistinta da una forte ideologia misticoreligiosa, una seconda stagione si ha a partire dagli anni '60. Figure importanti sono Morris e Johns. Morris
è l'ispiratore del movimento delle arts and craft del 1888 e nel 1861 fonda la Morris and Co.
Johns analizza la figura femminile, restituendola con eleganza. Questa caratteristica diventeranno elementi
importanti per la poetica simbolista e per l'art noveau. Attraverso questa attenzione minuziosa per la
discrezione raffinata per l'ornamento e la figura femminile, si pongono alla base dell'evoluzione del gusto
della poetica simbolista e dell'art noveau.
Il femminile nei preraffaelliti
Il rapporto tra i preraffaelliti e l'Italia è scritto nel dna culturale ed estetico della confraterminta, a
cominciare da Dante Gabriele Rossetti figlio di un esule mazziniano e innamorato della'rte italiana. Rossetti
padre era uno dei più grandi studiosi di Dante. Tutto questo nel figlio rimane e l'arte italiana pre Raffaello
Sanzio diventa un modello fantastico per esprime non una semplice ripresa dei temi medievali, ma degli
ideali e degli atteggiamenti alla base del movimento decadentista europeo. Rossetti è pittore e anche poeta
e dedica attenzione all'importanza della figura femminile. Per esempio, non solo dedica attenzione alla
figura femminile non solo in pittura ma anche con la poesia: la sua lirica "la donzella" diventa un punto di
riferimento dell'arte simbolista fino ad essere assunta a modello da Borges. Il rapporto con l'universo
femminile è uno dei cardini della loro poetica ed è intrecciato con l'ideale della bellezza e dell'amore
romantico. Non dobbiamo dimenticare che sono inseriti perfettamente all'interno della cultura romantica.
È sicuramente anche questo aspetto una delle caratteristiche salienti di quella che è stata definita con un
ossimoro "la modernità medievale dei preraffaelliti". Abbiamo già incontrato questo concetto a proposito
del parlamentarismo.
la venerazione per la bellezza rappresenta il fascino che emana dall'esperienza della confraternita che
porterà verso il movimento decadentista e simbolista, importanti nella cultura europea nella seconda metà
dell'800.
Il culto eccessivo per l'attenzione fotografica per la resa del dettaglio si impossessa della superficie
pittorica, isolando i contenuti. Elegge la figura femminile come simbolo potente della loro poetica che si
richiama ai valori del medioevo, ma produce un mutamento nel gusto per certi versi epocale. La modernità
risiede nel culto per il dettaglio, che si impossessa della superficie pittorica rendendo meno fondamentale i
contenuti. In tutto questo la figura femminile e i suoi abiti diventano un simbolo importante di questa
nuova poetica. Tutto questo ha delle ripercussioni di lunghissima durata sull'immaginario della società: in
particolare è nuova e spiazzante il rapporto strutturale della pittura preraffaellita con l'universo della figura
femminile. Il clima del '48 nel quale si crea questa esperienza artistica si attaglia bene alle pulsioni di questa
confraternita.
L'ispirazione all'arte religiosa medievale non rifletteva le ispirazioni di questi giovani. L'approccio
dissacratore e contestatario si coniuga bene con l'idea dell'amore romantico, declinato in stilemi espressivi
fino a quel momento inusitati. Abbiamo temi di ispirazioni presi da un passato lontano sul medioevo,
utilizzato per esprimere idee, forme e tecnica nuove. Questa sorta di cortocircuito suscita imbarazzo e
critiche. Vogliono combattere il vecchio con le armi dell'antico: propongono un'estatica nuova che si basa
su un'ispirazione medievaleggiante. Questo atteggiamento provoca sdegno tanto dei progressisti (Dickens)
quanto dei conservatori. Dickens riporta nella sua rivista una critica violenta che evidenzia la non
comprensione per il corto circuito che i preraffaelliti propongono. Egli scrive: «invoco la creazione di una
confraternita pre-newtoniana, contraria alle leggi della gravità; e di una società pre-galileiana,
contestatrice della rotazione della terra intorno al sole». A proposito di un quadro di Millet, il Cristo nella
casa dei suoi parenti, sembra che Gesù fosse «un moccioso orribile dai capelli rossi con il collo storto,
piagnucolante in camicia da notte; mentre Maria se ne sta da parte come un mostro». La dissacralità dei
preraffaelliti, anche nel modo di posizionare le figure, viene colta con fastidio e non viene capita. Non è solo
una questione di temi, contenuti e tecniche, ma si tratta di un'esperienza diversa che tratta un rapporto
diverso con l'universo femminile. Difatti, sarebbe più corretto definire questa confraternita anche come
sisterhood. Perché a ben vedere la componente femminile ha giocato un ruolo fondamentale
nell'esperienza artistica, sociale e politica e che ah comportato degli effetti decisivi sull'immaginario della
società dell'800 e del primo 900. Nel secondo 800 la quotidianità della società europea si ammanta di un
velo sgargiante medievalistico: sul disegn, sul cinema e sulle arti figurative all'inizio del XX secolo.
Nel 1853 la confraternita si scioglie. Più o meno tutti continuano a perseguire nelle loro opere i primi ideali.
Il risultato è di scrostare l'arte e il gusto dell'epoca proponendo una nuova forma di bellezza, per esempio
con l'abbandono dei corsetti e delle acconciature complicate dell'epoca vittoriana e introducendo anche
delle tecniche pittoriche innovative, a cominciare dall'uso di pennelli fini, pigmenti nuovi e vernici per
lavorare la tavola; lavoravano all'aperto e facevano posare i modelli per ore ed ore. È il caso di Lizzie Siddal
che, quando doveva posare per l'Ophelia di Millet, con l'abito da sposa zuppo d'acqua si prende una
clamorosa polmonite. Se pensiamo ad Ophelia, l'immagine che pensiamo è quella di Lizzie Siddal. I
preraffaelliti sono coloro che hanno inventato il nostro modo di pensare il medioevo.
Un altro aspetto su cui vale la pena richiamare l'attenzione è che i preraffaelliti sono stati tra i primi ad
introdurre la figura della femme fatal: le loro figure femminili sono completamente lontane dalle
rassicuranti figure domestiche dell'arte vittoriana del tempo. Anche la psicologia di queste donne è
innovativa per la società e riflettono le idealità alla base dei movimenti di liberazione femminile che proprio
in quegli anni cominciano a farsi strada (suffragette). L'annunciazione di Rossetti mostra la figura di una
giovane per niente estasiata dalla gravidanza, ma ne è evidentemente spaventata. È un vero e proprio
punto rispetto alle convenzioni moralistiche della società si può parlare del fatto che questo femminismo
dell'esperienza preraffaellita è anche una diretta conseguenza della vita degli artisti, che scelgono come
compagne, donne analfabete o di una classe sociale inferiore. È inusitato per la società dell'epoca questo
tipo di rapporti tra ceti borghesi e sottoproletari. Il rapporto con l'universo femminile non si limita solo alla
scelta di temi legati al culto per la bellezza o anche al ricorso a muse ispiratrici atipiche, ma c'è di più:
perché tra le fila del movimento le donne hanno avuto un ruolo importante, rispetto al clima dell'epoca. Al
suo interno si sviluppa un gruppo femminile formata dalle compagne di vita che sono allo stesso tempo
muse e protagoniste del movimento artistico, spesso dimostrandosi artiste di primo livello. Fra i vari artisti
che si associano alla confraternita cii sono delle donne, come Johanna Mary Boys, Lucy Maddox Brown,
Cristina Rossetti, Georgiana Burne-Jones e Lizzie Siddal. Ancora oggi, anche quelli che ne ignorano il nome,
ne riconoscono i delicati lineamenti o nella ieratica Beata Beatrix di Rossetti. Dalla bellezza sospesa e
malinconica, rappresenta l'incarnazione della bellezza preraffaellita. Sono delle figure tormentate e non
composte, sia nell'atteggiamento che nel modo in cui vengono rappresentate. L'amore tra la Siddal e
Rossetti comporta una tormentata e tragica vicenda sentimentale: ella aspetta di essere sposata, ma
Rossetti intrattiene rapporti con altre donne. Hanno una figlia che non verrà mai alla luce e si toglie la vita
poco prima di compiere 33 anni.
Nel 2004 è uscita una biografia toccante che ha il merito di sottrarre questa figura di donna dall'ombra di
Rossetti. Non è stata solo la musa di Rossetti, ma una poetessa e artista dotata di talento. Ruskin la descrive
come un genio paragonabile a Ruskin. Il volto di Siddal, di una bellezza che tutto è fuorché classico, si presta
all'esperienza preraffaellita.
Sono i loro volti che hanno incarnato il nostro immaginario sul medioevo. È assai indicativo il fatto che le
loro immagini siano facilmente reperibili sul web.
-
Annie Miller;
Fannie Cornforth;
-
Georgiana Burne-Jones; Louise e Anna Macdonald;
Jane Burden;
Maria Zambaco;
Alexa Wilding;
Effie Gray (prima con Ruskin e poi con Millet).
Effie Gray, ovvero Euphemia Gray, era stata moglie di Ruskin. In seguito alla separazione si sposa con Millet.
L'intricata vicenda ha avuto dei riverberi fino ai nostri giorni.
Il critico Alessandrini parla dell'arte dei preraffaelliti come di un'arte che fa risplendere l'abisso, perché pure
manifestando una bellezza evidente, manifesta, contiene un disperato sentimento di morte che è alla base
delle correnti decadentiste e simboliste successive. Quindi, c'è una profonda modernità di rappresentare
l'amore da parte dei preraffaelliti, analogamente a Baudelaire. Il corto circuito interessante, motivo per cui
resta l'esperienza preraffaellite, è di esprimere sentimenti e idee completamente nuove attraverso il
ricorso ad un passato che è un ideale e un simbolo.
il loro stile si pone come punto di riferimento per l'arte britannica del XIX secolo e per quella di altri paesi.
Hanno dato impulso a lavori su più ampia scala. Anche le campagne per un maggiore uguaglianza dei diritti
delle donne suscitano scandalo per l'epoca e tutto questo trova eco nell'arte e nella letteratura. Insomma,
se agli inizi sono stati non compresi, alla lunga si sono presi una serie di rivincite. Hanno innescato un vero e
proprio corto circuito, perché introducono l'ornamentale nei loro soggetti.
I preraffaelliti hanno tracciato le prime linee di quello che in breve sarebbe diventato l'art noveau; hanno
creato e rievocato dal passato medievale forme che si sono trasformate nel modern crafts; hanno irrorato
di forme e colori nuovi l'immaginario del passato, lo stile con cui la settima arte ha rappresentato il
medioevo fino ai nostri giorni. Il signore degli anelli, per esempio, ha abiti e fogge che vengono prese
dall'immaginario preraffaellita. Hanno creato il medioevo, un tempo che non ha necessità di riscontri
filologici. È il tempo dell'infanzia, del sogno, dell'esotico, un passato libero da ogni impegno vincolante con
la realtà filologica. Un posto meraviglioso che accoglie quando si è stanchi del presente.
Longo 31 marzo (finisce il medievalismo)
Dalla fine dell'800 il medioevo si è deideologizzato, per divenire un oggetto di una storiografia sempre più
scientifica. Nel 900, da una parte il medioevo diventa sempre di più oggetto di studio universitario e ricerca,
slegandosi dall'interpretazione ideologica dell'800 romantico. Dall'altro avviene una sorta di
allontanamento tra il modo di rappresentarlo dalla società e la ricostruzione filologica della disciplina
storica e storiografica. Nel 900 assistiamo a due modi di accostarsi alla storia medievale. Questo anche
perché il concetto di medioevo è, per certi versi, metastorico. Cioè si rende adatto alle circostanze delle
generazioni che si sono succedute. Un esempio è quello di San Francesco, che nel corso del 900 è stato allo
stesso tempo tanto il patrono dell'Italia fascista ma anche il santo che più rappresentava le istanze
dell'ecologismo. La stessa figura è stata resa funzionale per rappresentare ideali diversi. Come è possibile
tutto ciò? È possibile se noi facciamo riferimento al fatto che c'è una profonda ideologizzazione dell'idea di
medioevo nel corso dei secoli post-medievali.
La cultura dell'800 romantico interpreta la cultura medievale attraverso la lente dell'istituzione
cavalleresca, ma sono processi di arbitraria selezione dipendenti da un insegnamento scolastico intriso di
concetti come "i vescovi-conti" e la "piramide feudale", anche se la ricerca storica ha sgomberato il campo
da questi concetti banalizzati.
Nel corso del 900, da una parte la ricostruzione del passato medievale si è liberata da un'interpretazione di
segno ideologico caratteristica della cultura illuministica e di quella romantica. Nel corso del 900, lo studio
del medioevo è stato affinato dagli studi di ricerca e dalle università; dall'altro lato il medioevo è stato
slegato dalla ricostruzione scientifica. Per esempio, negli ultimi cinquant'anni assistiamo al fenomeno del
medioevo fiaba: il primo riferimento riguarda il successo epocale della trilogia del Signore degli anelli da
parte di Tolkien. Egli scrive questa trilogia tra il 1940-53. Alla base del suo successo abbiamo la
caratteristica del fatto che gli eroi affrontano avventure in base alle storie dei romanzi cavallereschi. Queste
è una delle chiavi del grande successo che ha la complessa ed erudita ideazione di Tolkien, che conosce
successo a partire dal 1965 e in Italia a partire dal 1970 quando viene tradotto. Il dibattito sui motivi della
fortuna di Tolkien in Italia ha assunto delle colorazioni politiche, anche perché viene adottato dalla destra
estrema come un preteso ritorno alla tradizione. In realtà, ha estimatori di destra e di sinistra. Si può fare
questa osservazione. Se Tolkien, in Italia, diventa appannaggio della destra estrema, negli USA diventa uno
dei simboli forti del movimento Hippie. Lo stesso simbolo è funzionale per due orientamenti politici di
segno opposto. Come è possibile? È possibile se lo leggiamo all'insegna della prospettiva del medioevo nel
corso dell'800 romantico: si possono ravvisare gli estremi dell'idea che la fiaba è evasione dal transitorio:
ansia di eroismo e desiderio ecologico di una natura incontaminata che accompagna l'idea del medioevo
nell'800. Peraltro, il successo di Tolkien ha contribuito al recupero e alla diffusione di un filone secondario
della fantascienza, definito come heroic fantasy (diapositiva 70, Conan il Barbaro). Robert Howard, scrittore
di Conan, si era ispirato alla tradizione celtico-bretone. I suoi racconti riscontrano un ampio successo
proprio perché vanno incontro a un desiderio di evasione.
Mary Stuart è esempio di un altro atteggiamento nei confronti del medioevo, che tra il 1968-69 riscrive il
ciclo di Merlino dedicando tre romanzi. Anche questo ha uno straordinario successo, ma quello che è
interessante è che si tratta dell'ennesima reinterpretazione del ciclo bretone con un'attenzione marcata
alla ricostruzione e alla contestualizzazione archeologica e sociale dell'ambiente in cui vivono i personaggi,
con l'aggiunta dell'elemento magico. La verosimiglianza intessuta di elementi magici e immaginifici è alla
base del successo e dall'appropriazione di questo filone da parte del cinema americano. Nel corso della
seconda metà del XX secolo, intorno agli anni '70, si è delineata un'interpretazione del fenomeno
medievale come radicale opposizione alla modernità in nome di elementi spirituali in cui il medioevo
storico sarebbe stato il portatore. San Francesco e Orlando sono i portatori dei valori del medioevo e
rispondono all'esigenza della ricerca di valori altri rispetto a quelli del presente massificato. Sono
alternative ai tradimenti del presente. Si tratta di un'operazione forzata e falsante quella di prendere uno o
più elementi dell'epoca medievale. L'assunzione di presunti simboli del medioevo sono figli di pretese
ideologiche più che corretti modi di accostarsi al medioevo. Il pensiero che rappresenta il medioevo come
un fatto tradizionale, sacro, spirituale che si oppone alla modernità è uno dei modi con cui è stato visto da
coloro che hanno una visione del medioevo di tipo esoterico, uno fra tutti Renè Guinon. Ancora oggi questo
tipo di interpretazione è fortemente presente, pensate all'interesse spasmodico per i cavalieri templari.
Anche nell'integralismo cattolico vi è la tendenza ad interpretare il medioevo come epoca da contrapporre
ai laici e ai musulmani. È alla base di un utilizzo strumentale di feticci medievali da parte della politica.
Utilizzo da parte della politica del medioevo: Medioevo militante, Tommaso Falconieri approccio della
politica nei confronti del feticcio medievale.
La rievocazione del medioevo inteso come nostro passato prossimo è ancora molto attuale. Di fronte alle
crisi del presente, il medioevo è stato di volta in volta come mito consolatorio dai contorni reali, come
infanzia della nostra società, da cui parte la nostra identità. Questo è uno degli atteggiamenti forti con cui
viene percepito. Che il medioevo rappresenti un ciclo concluso e che sia lontano da noi come l'età romana
o celtica non ha importanza. Quello che conta è che è sentito così dalla nostra società: ecco perché ha
successo. Tabacco diceva che non si può interpretare il medioevo sotto una cifra, ma lo dobbiamo
definire un processo aperto in continua evoluzione di strutture instabili. Sua caratteristica è la
sperimentazione di rapporti economici e di poteri. Certamente risponde bene all'esigenze di sfuggire dal
presente. In questo discorso, il medievalismo non è solamente una innocua moda, ma instaura anche dei
legami profondi con la definizione della nostra identità. Dobbiamo avere bene chiara la differenza tra
medioevo e medievalismo: medievalismo è la storia dell'idea del medioevo nelle epoche post-medievali;
medioevo è l'epoca medievale che va dal V al XV secolo.
La politica trae dal medioevo dei modelli a cui conformarsi, questo avviene a destra quanto a sinistra. Da
questo punto di vista, molte comunità della nostra società occidentale hanno ricorso a partire dagli anni 80
del XX secolo al contenitore medioevo per definire la propria identità (es: Lega lombarda e Lamberto da
Giussano oppure le rivendicazioni autonomistiche dei catalani).
Dobbiamo tenere a mente che l'identità non è definita da queste operazioni posticce: la riproposizione del
passato è una scusa. C'è una profonda esigenza di andare a ricercare nel passato un clima nostalgico
differente dal nostro presente.
Longo 1 aprile
Abbiamo visto la storia del concetto di Medioevo. Oggi proseguiamo con gli strumenti necessari per
affrontare la storia medievale.
Affrontiamo due concetti fondamentali: cos'è storia e cos'è storiografia? Affrontiamo anche il problema del
concetto di periodizzazione e a cosa serve.
Che cos'è storia? La storia è memoria. Nasce da ragioni essenzialmente pratiche. La storia nasce nel
momento in cui serviva, per esempio, conservare le liste dei sovrani e dei magistrati la cui successione era
utile per datare gli avvenimenti che interessavano una collettività.
Nell'antichità, la storia non aveva un suo specifico statuto, ma faceva parte della retorica. Il vir bonus
dicendi peritus fondava la sua istruzione sulle arti del trivium e del quadrivium; c'era poi un successivo
periodo di studio che riguardava le materie della matematica, geometria, astronomia e musica. Di fatto,
l'insegnamento iniziale prevedeva che si imparasse a comunicare in pubblico. La storia faceva parte di
questo insegnamento ed era considerata come un serbatoio di esempi per intrattenere l'uditorio. Nel corso
dei secoli, la disciplina storica diventa una disciplina scientifica provvista di uno statuto metodologico. La
storia non può prescindere dall'elemento narrativo e non può essere fatta con formule. Oggi abbiamo una
metodologia molto esatta per cui fare un'opera di ricostruzione storica è tale se segue un metodo
sperimentalmente ricostruibile: l'interpretazione delle fonti è sempre più un elemento complesso che
permette di mettere in azione tutta una serie di modalità scientifiche per ricostruire il passato.
Cos'è la storiografia? Si parla di storia antica, medievale, moderna, storia della chiesa. Con ciò si sono posti
due problemi:
1) Periodizzazione;
2) Specializzazione.
Nel linguaggio quotidiano con "storia" ci si riferisce ad una serie di avvenimenti, cioè di res gestae; se,
invece, ci riferiamo alla esposizione, alla interpretazione e alla spiegazione di una serie di avvenimenti
dobbiamo utilizzare il termine storiografia. Non esistono tanto dei fatti storici, ma esistono solo dei
fenomeni storici che sono stati osservati e ricostruiti durante un'esperienza storiografica. Il passato in sé
non esiste se noi non azioniamo un'operazione di ricostruzione storiografica.
quindi, "storiografia" che cos'è? Se ci si riferisce all'interpretazione e all'esposizione di una serie di
avvenimenti avvenuti nel passato, questa è la parola corretta. Si deve usare quando si parla dell'insieme di
opere che riguarda un certo argomento (es: storiografia italiana del XX). Se parliamo di storiografia delle
crociate, parliamo di studi sul tema specifico delle crociate.
Se parliamo di "storia della storiografia medievale" dobbiamo fare attenzione, perché il termine ha più
sensi: parliamo sia di studi sul medioevo sia di opere scritte durante il medioevo. Quindi, la storiografia
medievale è sia l'insieme di opere scritte di argomento storico sia studi e opere di storia scritte sul periodo
medievale. Poniamo il medievalismo all'interno della storia della storiografia, perché è la storia di come
l'idea di medioevo è stata interpretato, presentato, recepito, comunicato. Ma con il termine medievalismo
intendiamo anche un'altra sfumatura di significato, cioè la ricezione e utilizzazione del tema "medioevo"
all'interno della società che si sono succedute dopo.
La storia in sé si rinnova di continuo perché nulla si ripete in modo uguale. Ogni periodo ha delle peculiarità
e delle differenze del modo di intendere la cultura, la società e il potere. Se la storia si rinnova e trasforma
di continuo, anche il modo di scrivere la storia si trasforma. Nella storiografia, quindi, si riflettono le
aspirazioni politica del tempo e del luogo in cui lo storico scrive. Per esempio, la storiografia della Germani
durante il nazismo è profondamente influenzata da chi detiene il potere.
Una civiltà si definiscono innanzitutto per la loro storia, che non è tanto quella che hanno avuto veramente
ma quella che hanno confezionato i loro storici.
Periodizzazione
Lo stesso discorso vale anche per il concetto di periodizzazione, che riflette le concezioni storiografiche del
periodo in cui viene determinata. La stessa periodizzazione relativa al medioevo è frutto di iniziative
storiografiche.
La periodizzazione è una convenzione necessaria per poter contemplare la storia. Intesa come divenire, la
storia non ammette compartimenti stagni, però se noi non esercitiamo una periodizzazione non ci
orientiamo più. La periodizzazione serve ad orientarsi rispetto al passato. Utilizzando la periodizzazione
bisogna sapere che non si deve intendere come assolute, ma sono puramente indicative. Nel 1492, una
delle date più periodizzanti della nostra cultura, nessuno si è accorto che la scoperta dell'America gli aveva
cambiato la vita. Siamo noi che diamo significato a quella data con il senno di poi. La scoperta dell'America
ha profondamente influenzato la condizione sociale, economica e politica del continente europeo.
Ricostruire uno svolgimento è assegnargli una posizione rispetto agli altri svolgimenti. Come diceva
Benedetto Croce: «pensare la storia è certamente periodizzarla». Quello che nota Croce è che ogni
ricostruzione del passato è certamente anche autobiografica dell'autore storico e del periodo in cui è stata
scritta.
I termini esterni della periodizzazione sono tratti dalla cronologia, che offre uno schema per inquadrare i
fenomeni storici. La varietà delle periodizzazioni rispecchiano i mutamenti della visione della storia. Per
esempio, la concezione latina prevedeva che lo svolgimento della società culminasse con la nascita e lo
sviluppo di Roma. Infatti, non è certo un caso che per i latini la storia cominciasse con la nascita di Roma.
L'era per gli antichi romani si calcola ab urbe condita, secondo i loro parametri. Ma ci sono molti schemi di
rappresentazione del passato nell'antichità. C'è un orientamento ideologico, politico e culturale forte. Non
è oggettivo per tutti.
Esistono molti altri schemi del passato periodizzanti, per esempio quello delle "quattro monarchie". Con
l'avvento del cristianesimo, anche a livello culturale e ideologico, nell'impero tardo romano l'idea cristiana
si impossessa anche della concezione storiografica. Ecco che nei primi secoli del cristianesimo si impone lo
schema delle sei età, proposta da Sant'Agostino. Il valore di riferimento culturale-ideologico, cui soggiace
questo tipo di interpretazione, si basa sulla Bibbia. Ecco che allora il modo di interpretare il passato riflette
le concezioni ideologiche del periodo che li elabora.
La nostra stessa periodizzazione è frutto di questi orientamenti: noi contiamo il tempo in base alla nascita
di Cristo, quindi facciamo una valutazione storiografica.
Il rapporto con il tempo è legato all'autorità che esercita il potere in una determinata società. Uomini e
donne del Medioevo non sapevano di vivere nel medioevo. Il loro calendario era quello dell'era cristiana,
con tante varianti di calcolo quante erano le autorità che si erano conquistate il potere di misurare il
tempo.
I termini della periodizzazione convenzionale del Medioevo
I termini della periodizzazione convenzionale del Medioevo sono: 476-1492, per noi in Italia. Questa
periodizzazione è stata formulata per la prima volta da uno storico vissuto nel XVII secolo che si chiamava
Cristoforo Cellario. Egli propose, nel suo Compendio storico del 1688, quella linea cronologica che si è
sostanzialmente ancora mantenuta. Il suo manuale si chiamava Historia Medii Aevi a Temporibus
Constantini Magni Ad Constantinipolim a Turcis Captam Deducta. Per la precisione, la sua periodizzazione
non era 476-1453, ma era dai tempi di Costantino (inizio IV secolo) al 1453 (che è la data in cui si svolge
l'assedio di Costantinopoli da parte dei Turchi di Maometto II). Però, altro contributo che ha dato ai posteri
è lo schema di suddivisione della storia in antichità, medioevo ed età moderna. Quindi, nella storia europea
e solo per essa si riconoscono convenzionalmente quattro periodi: l'età antica, il medioevo, l'età moderna e
l'età contemporanea. Per i cinesi, giapponesi ed americani non è così. È una periodizzazione che ha senso
per noi, ma non è oggettiva. Il fatto che noi chiamiamo il medioevo "età di mezzo" è un giudizio qualitativo.
Sappiamo che di questa definizione siamo debitori degli umanisti, che per promuovere la loro età avevano
svalutato l'età immediatamente precedente ricollegandosi all'età classica.
Le date che segnano le periodizzazioni del Medioevo
Esistono tre periodizzazioni della storia italiana per suddividere il medioevo:
1) Alto medioevo;
2) Medioevo centrale (X-XII secolo periodo dominato dalla società signorile)
3) Basso medioevo (fine XII-XV secolo).
Il progresso della disciplina storiografica ha portato ad individuare anche un nuovo periodo cronologico,
caldeggiato dalle interpretazioni di molti storici che prende il nome di tardo antico (da Marco Aurelio a
Maometto200 d.C.-70 d.C.), che ha sostituito la vecchia espressione di basso impero. Nel momento in cui
chiamiamo "basso impero" i secoli che vanno dal 200-700 stiamo applicando un'interpretazione di qualità
inferiore rispetto al pieno Impero Romano. Il tardo antico è un periodo dotato di una sua coerenza che vale
la pena di essere studiato in sé e non di essere svilito in una situazione di crisi.
Termini della determinazione convenzionale del Medioevo:
Per noi italiani  476 a.C.-1492.
Abbiamo la ripartizione in tre sottoperiodi:
-
Alto/primo Medioevo
Medioevo centrale
Basso medioevo.
Tardo antico (III- fine VII secolo), ha sostituito la vecchia espressione di "basso impero" che era
svalutativa.
Nella nostra tradizione occidentale, il millennio bizantino è visto come una sorta di civiltà immobile
contrassegnata da un "non tempo". Si tratta di stereotipi interpretativi occidentalistici. È ovvio che oggi
questo non ha senso.
nessuna operazione di periodizzazione può ridursi a semplice procedura formale. Al contrario, la scelta di
uno spartiacque cronologico è, di norma, la conseguenza di una valutazione. Analizziamo brevemente le
motivazioni dietro la scelta di una o di un'altra data. Questo significa richiamare degli stereotipi con la quale
si è cercato di dare una valutazione di insieme alla valutazione di medioevo occidentale. Non sempre sono
state fornite le stesse date di inizio e fine: già per molti, come data di inizio è stata proposta il 451 (concilio)
o il 410 (sacco di Roma, che aveva scosso fortemente le coscienze dei contemporanei). Se si accoglie il 476,
data diffusa in aria italiana, di fatto si riflette la centralità che viene data alla dimensione politica della
società. Sono gli aspetti politici che caratterizzano la società. Se, invece, si enfatizza la dimensione religiosa,
alla il 476 viene meno e perde di significato. Quello che però è significativo è l'acquisizione divenuta diffusa
della necessità di relativizzare ogni astratta partizione del tempo storico. Lo stesso discorso vale per la
cesura tra fine medioevo e l'inizio dell'età moderna. Dal punto di vista della ricerca storica si tende a
relativizzare queste cesure. Non ci sono cesure assolute per quanto riguarda la ricerca storica, ma le
periodizzazioni servono a fine di tenere a mente l'evoluzione storica ma non sono decisive era la ricerca
storica. Ovviamente, quello che è diventata un'acquisizione della storiografia contemporanea è il rilievo
assunto dal concetto di tarda antichità, un'età dotata di caratteristiche peculiari e che comporta, nella
seconda metà del XX secolo, il concetto di decadenza che deriva da Gibbon. Il cambiamento è stato visto
come positivo: dal concetto di involuzione si è passati dal concetto di trasformazione. L'età del basso
impero, svalutata, adesso viene vista in chiave non valutativa in senso negativo ma letta all'insegna della
trasformazione e della complessità. L''incontro tra barbari e romani ha prodotto un mutamento della
società attraverso un incontro/scontro fra categorie che si sono fuse e hanno portato all'età medievale.
A questo mutamento di visione storiografica hanno concorso le conoscenze apportate a tutta una serie di
nuove discipline che nel corso dell'800 si sono sviluppate. L'incontro tra storia e scienze umane, attraverso
la rivista Le Annales, ha visto l'incontro da parte di questi due ambiti, attraverso l'antropologia, geografia,
climatologia, linguistica storica. Tutti questi nuovi modi di organizzare il sapere hanno influito
positivamente nel raffinamento della ricerca storica. Facciamo un esempio: la storia dei barbari. Fino a non
molto tempo fa, per fare la storia dei barbari avevamo solo le fonti narrative, che erano state scritte sì dai
barbari, ma erano quasi tutti dei chierici. Quindi, che potevano sapere di preciso di quello che era la storia
dei barbari all'inizio dell'incontro coi romani. Avevano dei riscontri parziali. È ovvio che è facile vedere il
discorso da un punto di vista di decadenza. Se, però, si comincia ad utilizzare l'archeologia e la linguistica
storica, si arriva a delle nuove consapevolezze e si può leggere non come involuzione ma come
trasformazione, sotto l'egida della complessità. Quando si è cominciato a scavare intorno al limes,
riportando alla luce le tombe dei barbari, si è visto che questi usavano la moda romana. Dunque, si è molto
relativizzato il discorso della contrapposizione tra mondo barbarico e romano prima ancora delle invasioni.
Tutto questo porta ad una evoluzione storiografica.
Stesso discorso vale per il passaggio tra Medioevo ed età moderna.
sono state fornite diverse date:
-
1492, anno della scoperta dell'America;
1453, anno della caduta di Costantinopoli e della fine dell'Impero Romano nella sua parte orientale;
1517, affissione delle tesi di Lutero nella chiesa di Wittenberg;
nel senso del "progresso" la modernità è stata interpretata come altro e nuovo. In realtà, anche per quanto
riguarda la fine del Medioevo la riflessione storiografica ha relativizzato molto questo discorso. Le Goff, in
maniera provocatoria, ha detto che non c'è stata questa cesura. Se andiamo a vedere le strutture dei
rapporti sociali, l'ancieme regime non cambia la vita dei contadini rispetto alla loro condizione medievale.
Di fatto, il discorso relativo alle valutazioni che sono insieme nella periodizzazione deve rimanere una guida
per prendere con le molle questo tipo di utilizzazione. Sono necessarie, ma vanno considerate con
attenzione.
Longo 7 aprile
Il rapporto con il tempo
Tempo e spazio sono parametri determinanti dell'esperienza umana. Esistono pochi altri indici che
caratterizzano una cultura quanto la concezione del tempo e dello spazio. Questo fa si che di norma queste
categorie siano concepite come qualcosa di oggettivo. Però, spazio e tempo sono percepiti dall'uomo anche
in modo soggettivo. Dobbiamo tenere a mente che l'uomo non nasce col senso del tempo innato. Il suo
concetto di tempo e spazio sono sempre definiti dalla cultura alla quale appartiene. Se si appartiene astrati
della società differenti, si hanno differenti concezioni del tempo. Questo fa sì che anche nel medioevo vi
siano delle specifiche peculiarità del rapporto degli uomini col tempo.
nel medioevo il calendario è cristiano e divide la concezione del tempo fra un prima e un dopo. È una
concezione legata al calendario cristiano. Voglio dire che il calendario è un prodotto culturale della società
particolarmente importante, perché ne determina i ritmi. Il calendario è un prodotto che viene fuori
dall'incontro tra due ordini di osservazioni: della natura e di determinate categorie della cultura. Il controllo
del tempo è sin dalle origini della società apparso all'uomo altrettanto importante e necessario. Una forma
di sapere e una forma di potere. Giulio Cesare ha riformato nel 46 a.C. il calendario romano, che sarà detto
più tardi giuliano. È sempre stato oggetto di attenzione da chi deteneva il potere (Giulio Cesare deteneva
all'epoca la dittatura per dieci anni). Strumento politico il calendario, ma non dipende esclusivamente dal
potere nella sua arbitrarietà. Piuttosto rispecchia il tipo stesso dell'invenzione umana in cui si esprime la
solidarietà tra natura-cultura. È legato alla vita economico-sociale: serve a determinare i periodi dell'anno
in cui si deve praticare l'agricoltura e la pastorizia. Per esempio, il calendario cinese era diviso in 24 sezioni
dell'anno (corrispettive dei nostri mezzi mesi), designati con dei termini che si riferivano al clima del
periodo; questo per guidare i contadini nei loro lavori. Questo calendario andava da febbraio a febbraio. I
nomi di queste partizioni erano: acqua di pioggia, calore leggero, grande calore, piccola neve ecc… questo
proprio per sottolineare questa stretta connessione fra elaborazione del calendario e osservazione della
natura. Il grande poeta Esiodo (VII a.C.), autore di Opere e Giorni. È un grande calendario espresso in versi.
C'è un secondo aspetto della coppia che determina il calendario, che è di natura culturale-religiosa. Si
trattava di segnare i giorni fasti da quelli nefasti in cui era consentito svolgere una determinata azione
militare e amministrare la giustizia. I calendari della cristianità medievale rispondono a questi due ordini di
motivi:
-
Ricordare e fissare la natura dei principali lavori del periodo (livello economico e simbolico);
Rammentare la data delle principali festività religiose.
Come le società umane hanno elaborato i propri calendari naturali e come hanno introdotto le loro
preoccupazioni di ordine culturale.
Il tempo naturale è un duplice tempo:
-
Naturale o cosmico: proviene all'uomo dalla sua osservazione del cielo (sole e luna);
Alternarsi della vegetazione nelle stagioni.
Nella Bibbia, il sole e la Luna hanno un posto privilegiato in collegamento con le stelle. Nella Genesi, il
quarto giorno Dio creò i luminaria in cielo.
Genesi, capitolo I: «14 Dio poi disse: “Siano fatti i luminari nella distesa del cielo, per distinguere il
giorno dalla notte e per segnare le stagioni, i giorni, gli anni, 15 e risplendano nella distesa del cielo per
far luce sopra la terra”. E così fu fatto. 16 Dio fece dunque due grandi luminari: il luminare maggiore per
dominare il giorno, e il luminare minore per dominare la notte, e le stelle. 17 Li collocò nella distesa dei
cieli perché facessero luce sopra la terra, 18 e perché dominassero il giorno e la notte, e separassero la
luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò stava bene. 19 E della sera e della mattina si compì il quarto
giorno».
A dire il vero, il giorno è esistito fin dal primo giorno nella Genesi. In questo primo giorno Dio ha creato
la luce.
Infine, indica che le luci del cielo sono state create per essere dei signa per un calendario. La funzione
culturale del tempo cosmico esiste ancor prima della creazione dell'uomo. La Bibbia designa tre
elementi del calendario: le feste (in certi giorni precisi, le date), il giorno e la notte, l'anno.
Che cos'è l'anno? L'anno è il tempo che impiega il sole per compiere un giro intorno alla terra (da
Copernico in poi sappiamo che è il contrario). Dobbiamo anche tenere in considerazione che c'è un
altro tempo che è suggerito agli uomini dall'osservazione della Luna: le sue fasi sono più facili da
osservare e introducono un tempo intermedio fra il giorno e l'anno, che è il mese. La Lunazione (la
durata della rivoluzione sinodica) si riconosce dai cambiamenti d'aspetto che la luna assume, cioè le
famose quattro fasi lunari. Questo periodo è definito " mese lunare". Se, invece, si è più sensibili al
ritorno della vegetazione, il ritmo che si impone è l'anno. Int al caso, l'indicatore celeste è il sole.
L'apparizione di un calendario lunare a quello solare pone dei problemi: quello lunare è più variabile
rispetto a quello solare, perché se facciamo la somma dei mesi lunare questo dura meno di quello
solare (354 giorni). Fatto però che nel calendario cristiano c'è. L'anno dei cristiani è segnato tanto dal
tempo lunare quanto da quello solare.
Legame tempo cosmico e tempo del lavoro umano
Esiste un legame tra il tempo cosmico e il tempo del lavoro umano e questo dà il ritmo al lavoro umano
che, altrimenti sarebbe disordinato. Le scansioni del lavoro sono abbastanza evidenti: innanzitutto
all'alternanza di luce e tenebra fa sì che per forza il lavoro nei campi può farsi solo di giorno.
La determinazione dell'inizio dell'anno solare
La maggior parte delle società tradizionali adottarono come inizio dell'anno, più o meno fisso, l'inizio
del risveglio della natura. Non è stato quasi mai utilizzato come momento fondamentale per la
scansione del tempo i quattro giorni legati ai due solstizi e ai due equinozi. C'è una specificità per
quanto riguarda tre grandi tradizioni, cioè ebrei, romani e cristiani.
-
-
I romani facevano iniziare l'anno il 1 di marzo e festeggiavano l'anno il primo plenilunio dopo il 1 di
marzo, ponendosi sotto la protezione della dea Anna Perenna. Nel 153 a.C. fissano l'inizio dell'anno
civile il 1° gennaio, che era la data in cui entravano in carica i consoli. Quindi passano da una
valutazione naturale a una valutazione di tipo sociale. Questo calendario naturale va in disuso e
progressivamente scomparendo.
Lo stesso termine calendario proviene dalla parola latina calendarium che era il registro dei conti
per cui si pagavano gli interessi dei prestiti in un determinato giorno, le calendae (primo giorno dei
mesi romani). Giulio Cesare nel 46 a.C. riforma il calendario, inserendo ogni quattro anni un giorno
supplementare per recuperare il ritorno sul Sole. Gli scienziati romani si accorgono che il calendario
solare è in ritardo rispetto al ciclo del sole e quindi inserisce un giorno in più: si decide di
raddoppiare il nostro 24 febbraio, che in latino si chiama sextus ad calendae marci. Ecco spiegato il
nome bisestile, che viene da bi sextus.
I cristiani adottarono il calendario giuliano, ma non ne presero in adozione il giorno d'inizio
dell'anno nuovo ad eccezione della Spagna. In Spagna si faceva iniziare l'anno al 1 di gennaio e
questo stile di calcolo del tempo venne chiamato stile della circoncisione, perché secondo la
tradizione cristiana Gesù era stato circonciso. Ecco che gli orientamenti culturali-religiosi sono
connessi all'orientamento e al rapportarsi al tempo. C'è da questo punto di vista una grande
confusione che regna nel medioevo, perché ci sono molte tradizioni differenti riguardo a quando
far partire l'anno. Il 1° marzo, per esempio, viene conservato a Venezia. Abbiamo anche altre date
per far partire l'anno, per esempio lo stile dell'annunciazione che corrisponde al 25 di marzo
(giorno in cui l'arcangelo Gabriele avrebbe fatto l'annuncio a Maria). Questo stile venne utilizzato
nel sud della Francia, Germania e Inghilterra e Firenze. Esistevano altri due stili: lo stile della natività
(25 dicembre) è stato utilizzato molto nell'Alto medioevo e in molte regioni della Spagna si
conserva insieme a quello della circoncisione. A rendere tutto più complicato è la diffusione, nel
corso del XII secolo, la tradizione dell'adozione dello stile di Pasqua. Si fa cominciare l'anno con una
festa mobile. In Sardegna, caputanni è il 1° settembre perché si seguiva la tradizione bizantina.
Esistevano moltissime tradizioni differenti che rendono tutto molto complicato, soprattutto agli
storici perché devono ricostruire la cronologia, secondo i nostri parametri.
Se troviamo una fonte scritta in Toscana, dobbiamo sapere se era sotto il controllo fiorentino. Se è
sotto il suo controllo significa 27 di marzo. Tutto questo è importante per la cronologia relativa agli
anni.
Questo aspetto conduce a due considerazioni:
1) La misura del tempo, oltre che all'osservazione del ciclo della natura, ha delle priorità culturali e
religiose.
2) Importanza della Pasqua per il cristianesimo, evento fondamentale della religione. Nonostante
si sapesse che era una data mobile, questo non gli impedisce di far cominciare l'anno. La
priorità era dare il giusto peso al tempo della Pasqua. Questo vuol dire che il tempo non è
qualcosa di oggettivo, ma, per dirla come Strauss, il tempo è una categoria culturale.
Non è così semplice procedere con queste introduzioni di cambiamento risetto alla
popolazione. Per esempio, accanto ai calendari ufficiali, il popolo delle campagne (legato ai
ritmi agricoli) continuava a festeggiare, malgrado gli sforzi della chiesa, l'inizio dell'anno il 1°
gennaio (rifacendosi alla tradizione romana) con riti di passaggio e di rinnovamento, come la
distruzione di un fantoccio che rappresentava l'anno vecchio.
3) Procedura dell'esaugurazione: riproposizione di un rito cristiano a delle festività che erano già
presenti nella tradizione romana (Es: Natale, santa Lucia)
Il calendario cristiano comincia lentamente a formarsi a partire dal IV secolo, essendo il prodotto di due
influenze importantissime: il calendario giuliano e il calendario ebraico. Fino al IV secolo, il cristianesimo
non si distingue totalmente dalla tradizione giudaica. Questa influenza giudaica è evidente in due elementi
fondamentali:
1) l'adozione della Pasqua;
2) Divisione intermedia tra il mese e il giorno, cioè la settimana, modellata sull'opzione religiosa della
creazione della Genesi. Questo aspetto è importante anche dal punto di vista economico: la
settimana introduceva un ritmo diverso dalle decadi greche e dalla divisione del mese romano, che
era una tripartizione di giorni, in maniera disuguale, definiti dalle calendae, nonae e idi. Erano degli
specifici giorni del mese romano:
- Le calendae primo giorno del mese;
- Nonae  quinto/settimo giorno del mese;
- Idi tredicesimo/quindicesimo giorno del mese.
Per sapere quando sono le none/idi  MAR-MA-LU-OT (le none sono il 7 e le idi sono il 15 dei mesi di
marzo-maggio-luglio-ottobre). Negli altri mesi, le none sono il 5 e le idi sono il 13.
Quindi, la tradizione del mese romano aveva un ritmo non perfettamente armonico. Il cristianesimo,
invece, adotta la serie di sette giorni alla settimana, che si era già cominciata a diffondere alla fine
dell'Impero Romano ma con il cristianesimo riceve la definitiva consacrazione. Il nome dei giorni sono
dedicati all'osservazione dei fenomeni della natura (Luna-marte-mercurio-giove-venere-saturno-sole).
Altra introduzione fatta dal cristianesimo rifacendosi alla tradizione ebraica: sabatoshabbat;
domenicadies dominicum "giorno dedicato al signore". In questa adozione c'è un'ulteriore
dimostrazione del legame stretto tra il periodo della settimana e il lavoro umano. Il modello è sempre
religioso, il dio dell'antico testamento, che aveva creato il mondo in sei giorni e il settimo si era
riposato. La domenica, il giorno del signore, si sostituisce al sabato ebraico e ne conserva un solo tabù
rispetto a quelli della tradizione giudaica: l'interdizione al lavoro nel giorno della domenica. Vedete
come anche rispetto all'interdizione del lavoro, la settimana cristiana comprende sei giorni in cui si
deve lavorare e un giorno di non lavoro. Si realizza un legame fondamentale nel cristianesimo tra
tempo, religione e lavoro. Questa scansione delle attività lavorative della società cristiana medievale si
è rivelata efficace dal punto di vista economico e ha contribuito al successo economico dell'occidente.
C'è un certo equilibrio tra lavoro r riposto dal lavoro, garantito dalla domenica e le feste cristiane.
Il IV secolo è importante per il cristianesimo e per la società medievale, perché Costantino decide di
riconoscere al cristianesimo il fatto di essere une religione licita, nel 313 con l'editto di Milano. Può
essere professato dai cittadini romani. Fino a quel momento era vietato essere cristiani perché il culto
cristiano andava contro la religiosità civile romana: i cristiani si rifiutavano sacrificare non solo agli dei
pagani romani ma anche al culto dell'imperatore divinizzato. Si rifiutavano di fare sacrifici e onorare
l'imperatore e questo veniva visto come un fattore lesivo della sicurezza sociale. Per questo motivo, nel
corso del II e del III secolo venivano perseguitati. Questo fatto comporta che i cristiani erano costretti a
seguire la loro religione di nascosto. È solo dal IV secolo che gli aspetti della società cristiana
uniformano gli usi sociali; prima non era universale il calendario cristiano ma c'erano piccole comunità
cristiane con le loro interpretazioni el vangelo. Quando, a partire dal 313 possono celebrare il loro culto
liberamente, diventano elemento importante della società tardo imperiale. Costantino si rende conto
dell'importanza di questa religione anche per quanto riguarda l'amministrazione dell'impero. Avevano
un'organizzazione molto strutturata che si riuniva attorno alla figura degli episkopos. Gli episkopoi
erano quelle persone, all'interno delle comunità cristiane, dotati di particolare carisma ì, equilibrio e
prudenza che faceva si che fossero glie elementi di riferimento. Sempre più nel corso del IV secolo,
Costantino si avvale dall'aiuto dei vescovi nel sistema amministrativo romano.
nel corso del IV secolo si forma anche il calendario cristiano. Il cristianesimo diventa la religione ufficiale
dell'Impero Romano non con Costantino, ma solo dopo l'editto di Tessalonica emesso nel 380 da
Teodosio, graziano e valentiniano II. Questo editto dichiara il cristianesimo la religione ufficiale
dell'impero. l'imperatore Teodosio dichiara che il cristianesimo è quello secondo i canoni del credo
niceno, elaborata dai vescovi del concilio di Nicea del 320. In questo IV secolo si vengono a definire
tutta una serie di aspetti che riguardano la religione cristiana dal punto di vista teologico,
amministrativo, delle rette credenze e delle rette opinioni rispetto a quelle deformate: si viene
elaborando l'ortodossia in materia di fede. Non esiste prima l'ortodossia e poi l'eresia. È l'ortodossia
che si vene formando come risultato del confronto tra differenti visioni in materia religiosa. Viene
modificata anche il calendario. Assistiamo ad una cristianizzazione della società romana, tra cui
l'elaborazione del calendario in senso cristiano. Il calendario cristiano è il prodotto di due tradizioni
culturale-religiose, che sono la tradizione romana (anno solare) e la tradizione ebraica (che da la
settimana e la data della Pasqua, data centrale per il credo cristiano). La data della Pasqua viene
determinata nel concilio di Nicea (riunione dei vescovi, capi della comunità cristiana). Si prendono delle
decisioni fondamentali che riguardano tutta la materia della fede cristiana e l'elaborazione della sua
dottrina: determinazione della festa del Natale, interdizione ala lavoro di domenica, elaborazione del
simbolo di Nicea (credo), viene definito il calendario in senso cristiano, viene determinata la data della
Pasqua. Questo ultimo aspetto è fondamentale perché si deve determinare una data per una
celebrazione omogenea (senza la Pasqua il cristianesimo non avrebbe motivo di esistere, perché
rappresenta la speranza della vita ultraterrena promossa dal cristianesimo). La Pasqua dei cristiani
viene definita la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera perché secondo la tradizione
Gesù aveva istituito l'eucaristia il giorno della Pasqua ebraica, che viene determinato come un giovedì.
Quindi, siccome resuscita tre giorni dopo, il giorno di Pasqua viene stabilito la domenica successiva
della Pasqua ebraica. I padri di Nicea credevano di aver istituito una festa fissa e non mobile, poiché
l'equinozio di primavera nel 325 aveva avuto luogo il 21 di marzo, si era stabilito che si poteva ancorare
la Pasqua il 25 marzo. Ci si è accorti che però questa data è mobile e può cadere tra il 25 marzo e il 25
aprile. Diventa fondamentale poter determinare in anticipo la data della Pasqua negli anni seguenti: si
forma la scienza del computo ecclesiastico, che produce un'abbondantissima letteratura lungo tutto il
medioevo. Il problema della data della Pasqua si tira dietro tutta una serie di conseguenze. Ci sono
delle feste legate proprio alla Pasqua e non all'anno solare, come l'ascensione (secondo il vangelo
avvenne 40 giorni dopo la Pasqua; oppure la Pentecoste, che avviene 50 giorni dopo la Pasqua).
Quindi, la determinazione della data della Pasqua è all'origine della disciplina del computo ecclesiastico.
Un calendario pasquale viene emesso nel 532 a Roma dal monaco Dionigi il Piccolo (Bellus de ratione
pasque), sulla base di complicatissimi calcoli astronomici. Viene adottato dalli liturgia romana e dai
franchi. Viene proposto un altro calendario pasquale, seguito dagli irlandesi che prevede una
notificazione differente della Pasqua. Si arriva ad uno scisma tra chiesa romana e franca, che si
ricomporrà solo nel corso del secolo successivo e porterà ad una maggiore uniformità della data della
Pasqua e dei rapporti tra comunità cristiane.
anche la dottrina cristiana si viene formando nel corso del tempo: è un processo che ha uno sviluppo
fatto anche di contrasti. Non esisteva sin da subito l'ortodossia e il canone dei vangeli. In realtà,
soprattutto nel periodo della persecuzione dei cristiani si erano diffuse molte tradizioni diverse e delle
sue pratiche liturgiche. Quindi esisteva un'amplissima raccolta di vangeli, definiti dopo Nicea "apocrifi".
I padri della chiesa determinano quelli siano le tradizioni sulla vita relativa a Gesù e ai discepoli più
vicina alla verità. Prendono in considerazione sia scritti di persone vicine a Gesù sia scritti di autorità
importanti a Roma, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme. Viene deciso che sono questi i testi che
formano il canone e gli altri vengono espunti perché si discostano dalla trasmissione corretta della
vicenda di Gesù.
Longo 8 aprile
Il tempo lineare che introduce il cristianesimo è un tempo teologico. Si concepisce secondo tre atti
divini: creazione, incarnazione e giudizio finale. Il modo di concepire il tempo è legato a motivazioni di
ordine teologico che vengono prese dalla Bibbia, unto di riferimento della cultura cristiana. Questa
concezione comporta un rapporto nuovo e diverso rispetto al tempo. Innanzitutto, comporta che
l'evoluzione del tempo fosse concepita come una decadenza dell'umanità. Dopo la nascita di Cristo, per
i cristiani il tempo perde di significato. Inoltre, c'è anche una diversa valutazione di tutto ciò che è
avvenuto prima di Cristo, che è meno importante; così come il giudizio del tempo presente era
fortemente svalutata dai padri della chiesa. Da qui la visione pessimistica da arte di Sant'Agostino,
concezione che è rimasta molto potente nella visione culturale del medioevo.
Il tempo lineare e il tempo ciclico
Si è spesso affermato che il cristianesimo sostituisce alla visione ciclica del tempo una visione lineare.
Contrariamente a quanto avveniva nella visione ciclica delle civiltà antiche, quella cristiana era
assolutamente radicata nella storia. Questa non è una visione corretta, perché le civiltà antiche pur
avendo una visione ciclica (c.d. eterno ritorno) si innestavano tutta una serie di cicli periodici,
contraddistinti dal ritorno delle feste e che erano i giorni fasti e nefasti. In particolare, i greci avevano
anche una concezione lineare del tempo, perché avevano costituito una cronologica legata
all'elaborazione di un calendario storico. Contano i tempi secondo gli anni di regno dei re e allineano i
tempi a seconda della successione delle dinastie (calendari come questo sono assiro-babilonesi, egiziani
ed ebrei). I romani designavano gli anni col nome dei consoli. Questa storia cronologica fa si che si
affianchi una visione religioso-ciclica anche un modo di vedere il tempo in senso lineare. I greci, per
esempio, stabiliscono l'inizio del loro calendario a partire dal 776 a.C., anno in cui venivano annotati nei
registi i vincitori dei giochi olimpici. Il tempo cominciava dall'istituzione della prima olimpiade. I romani,
nel I secolo a.C. stabiliscono di utilizzare il 754 a.C.
Abbiamo visto che l'era cristiana è stabilità nel 532 con Dionigi il piccolo alla nascita di Gesù. Si impone
lentamente la fissazione dell'anno 0. I musulmani fanno cominciare il loro calendario con l'egida, che
corrisponde all'anno 622 d.C. Si da un senso al tempo e alla storia dalla data che è più significativa della
cultura di riferimento.
Le concezioni del tempo dei cristiani nel medioevo
Possiamo distinguere due tempi lineari, un tempo ciclico e una molteplicità di tempi sociali.
 Il primo tempo lineare cronologico è quello cronologico e viene dapprima determinato come il
prolungamento del tempo consolare romano. Successivamente vengono aggiunti i tempi e le date
legate agli imperatori cristiani.
 Il secondo tempo lineare escatologico, va dalla creazione del mondo al giudizio universale. La data
essenziale è la nascita di Gesù che, invece di fungere da punto di partenza, si presenta come punto di
conversione. È un tipo di tempo teleologico, cioè ha un punto di approdo. Si diceva che gli ultimi tempi
saranno caratterizzati dalla venuta dell'Anticristo, poi vi sarà ancora il millennio felice e, infine, arriverà
il giudizio finale che aprirà ai giusti le porte del paradiso. È una preoccupazione costante per gli
intellettuali cristiani, che si interrogano su quali sono i segni dell'apocalisse e se ci sono già dei segni nel
presente dell'inizio di questa apocalisse. Gesù stesso aveva detto nel Vangelo che era imminente la
parusìa, cioè la sua seconda venuta e quindi il giudizio finale. I cristiani erano fermamente convinti che
era imminente la fine del tempo. Da qui potete cominciare a capire il fenomeno del millenarismo
(convinzione dei cristiani intransigenti che danno vita al fenomeno monastico).
------creazione--------------------------------------incarnazione----------------------------------------giudizio----Questa è la rappresentazione del tempo cristiano escatologico, dal greco escatà (gli ultimi tempi).
Questo tempo conduce alla salvezza eterna attraverso un declino progressivo. Riprendendo alcune idee
antiche sulla decadenza del mondo e dell'umanità, Sant'Agostino (IV-V secolo) divide la storia del
mondo in sei grandi epoche, che si rifanno ai sei giorni della creazione e alle sei età della vita. Così da
esserci un perfetto pendant tra tempo-uomo-creazione. C'è un rapporto tra microcosmo e
macrocosmo. Papa Gregorio Magno (590-604) scrive a tal proposito «homo quodamodo omnia»
(nell'uomo c'è tutto il cosmo). Queste sei età dell'uomo corrispondono ai sei giorni della creazione e
alle sei stagioni della vita dell'uomo:
-
La prima epoca che va da Adamo a Noè rappresenta la primissima infanzia;
La seconda da Noè ad Abramo rappresenta l'infanzia;
La terza epoca da Abramo a David rappresenta l'adolescenza;
La quarta epoca da David alla cattività babilonese rappresenta la giovinezza;
La quinta epoca dalla cattività babilonese alla nascita di Cristo rappresenta la maturità;
La sesta epoca dalla nascita di Cristo alla fine dei tempi rappresenta la vecchiaia.
Ecco perché c'è una concezione svalutativa del presente e del futuro in questo modo di
rappresentare il tempo («mundus senescit»). La concezione pessimista del tempo umano di
Agostino viene adottata dalla chiesa da quegli ambienti più rigoristici che corrisponde al tempo
monastico. Questa visione pessimista non è esclusivo appannaggio del cristianesimo. Le teorie sui
saturnia regna sono già conosciute nella cultura romana. San Girolamo assiste sgomento al sacco di
Roma nel 410 e pensa davvero che il mondo stia per finire.
Questa concezione si mantiene a lungo, anche se a partire dal XII secolo si comincia a fare strada un
percorso di miglioramento nel XVII secolo, grazie ad un pensiero più laico della rappresentazione
del tempo. A partire dal XVII-XVIII secolo si è diffusa una visione differente: una che è all'insegna
del progresso.
 Tempo liturgico, all'insegna della ciclicità. Dentro la vita dei cristiani medievali c'è la
successione nel ciclo annuale della commemorazione delle feste dei santi. Si tratta dell'ossatura
del calendario annuale liturgico. Ciò s'inscrive nel calendario annuale della trasformazione della
natura, cioè le quattro stagioni segnate liturgicamente, per esempio, dai digiuni.
 Molteplicità di tempi sociali, legati alla frammentazione del potere in epoca medievale. Solo
tardi si inserisce il potere monopolistico e unificatore dello stato.
Tempi sociali:
-
Tempo della chiesa, che si impone nella società altomedievale anche perché la chiesa ha un suo
tempo liturgico ma anche per il fatto che la chiesa si appropria della misura e della notificazione del
tempo. Sono gli ecclesiastici che hanno bisogno di calcolarlo e notificarlo.
Quali sono gli strumenti per misurare il tempo? Sono il quadrante solare, la clessidra che erano
misuratori del tempo ad appannaggio di pochi. Servono a piccole comunità e non riguardano tutta
la società nelle sue componenti. A questi misuratori del tempo, la chiesa aggiunge, a partire dal VI
secolo, la campana. La campana modifica gli edifici religiosi con l'aggiunta di campanili. Suona in
determinanti momenti che non separano più intervalli regolari, ma che ritornano ogni giorno
grosso modo allo stesso momento. Questo avviene perché i religiosi hanno bisogno di scandire il
tempo per poter svolgere in maniera corretta la loro attività.
Religiosi: tutti coloro che hanno pronunciato i voti ni qualche ordine;
monaco: colui che sceglie la solitudine o come eremita o come cenobita;
ecclesiastici: tutti coloro che fanno parte della chiesa.
I monaci hanno bisogno di una notificazione del tempo, perché il loro compito principale è la liturgia.
Quindi hanno come compito anche quello di recitare determinate preghiera ad intervalli scadenzati e
definiti. Per fare questo hanno bisogno di una notificazione di questi momenti. È necessario no strumento
che chiami a raccolta tutti per entrare in chiesa a recitare la liturgia delle ore. Questo strumento viene
individuato nella campana.
I monaci e gli ecclesiastici seguono la liturgia delle ore. La giornata monastica è scandita da una serie di
momenti liturgici:
- le lodi, prima dell'alba;
- in chiesa si pregava la preghiera dell'alba;
- si pregava all'ora terza, cioè alle 9 di mattina;
- ad ora sesta, cioè a mezzogiorno;
- ora nona, cioè alle 17;
- ultimo pomeriggio c'era la compietas.
Le campane non suonano solo per gli ecclesiastici, ma sono ascoltate da tutta la componente sociale di quel
territorio. Anche i laici prendono l'abitudine di uniformare la loro notificazione del tempo con quella degli
ecclesiastici. Ecco perché il tempo della chiesa diventa il tempo di tutta la società.
Questo tempo della chiesa comincia a vacillare nel momento in cui ricomincia la vita nelle città, dopo il
1000, anche dal punto di vista della produzione e del commercio. Altre categorie della società hanno
bisogno della notificazione del tempo (operai e mercanti). Accanto al tempo della chiesa si aggiunge il
tempo dei mercanti. Alla fine del medioevo si impone anche il tempo del potere laico. Nelle città italiane c'è
l'orologio del campanile della chiesa e quello dell'edificio del potere civile.
-
Tempo dei contadini, legato alle attività agricole;
Tempo dei signori: "maggio" mese della vestizione del cavaliere. I nobili potevano muoversi a
cavallo.
Longo 15 aprile (riferimento primi capitoli del libro).
Abbiamo lavorato sul concetto di tempo e sui modi di rappresentare, notificare il tempo nel Medioevo.
L'entrata in gioco della religione cristiana muta profondamente il rapporto col tempo caratteristico della
società romana. Abbiamo messo in evidenza il fatto che chiunque detenga un potere fa di tutto per
appropriarsi della notificazione del tempo (Giulio Cesare). Abbiamo visto che l tempo è una categoria
culturale in stretta relazione con una data società questo è evidente a proposito della formazione del
calendario cristiano. abbiamo etto come sia il prodotto dell'incontro tra l'osservazione della natura per
quanto riguarda il ciclo degli astri e quelli stagionali e le opzioni culturali-religiosi di una società. L'insieme di
queste osservazioni creano il calendario, strumento fondamentale per l'andamento sociale del ritmo della
comunità. I modi di rappresentare e riportare il tempo nella società medievale sono quattro: due
concezioni di tipo lineare, uno cronologico (periodi id coloro che hanno il potere, ripreso dalla società
romana), il tempo lineare escatologico-teologico (rappresentare il tempo come una creatura che ha un
inizio, un momento fondamentale e una fine). Questa visione del tempo in modo lineare è caratterizzata da
opzioni di tipo teologico. Abbiamo anche visto che ci sono altri modi di rappresentare il tempo: quello
ciclico, connesso all'azione di ricordo della vita di Gesù (tempo ciclico, perché ricorre ogni anno); accanto a
questa dimensione ciclica, ci sono altri modi di rappresentare il tempo legati a fatti sociali. Abbiamo fatto
l'esempio dei signori (cavalieri, primavera). C'è anche un tempo della chiesa molto potente, perché sin dalle
origini gli ecclesiastici sono coloro che hanno bisogno di una scansione del tempo per poter partecipare alla
preghiera. Introducono la campana, che si diffonde presso tutta la società dettando i ritmi della chiesa a
tutta la compagine sociale.
Il concetto di spazio nel medioevo cristiano
Al pari del tempo, lo spazio è una categoria culturale. Lo spazio, così come il tempo, è qualcosa di oggettivo:
il nostro modo di concepirlo è legato alle istanze culturale-ideologiche della società in cui viviamo.
I primi discepoli di Cristo volevano rompere con il mondo materiale e con ogni tipo di sacralità romana
incarnata nella pietra, cioè i templi e le statue. I luoghi pagani, capaci di incutere timore (religio ira loci). In
origine, la sacralità pagana era stata impersonale, legata al luogo o alla natura. In greco, la parola "sacro"
era legata ai luoghi e non alle persone.
In origine, il sacro, nella civiltà greca e romana è concentrato nei luoghi piuttosto che nelle persone. Sono i
templi pagani che sorgono sulla somma di picchi o montagne, su dirupi del mare o su luoghi
immediatamente distinguibili, quelli che gli storici delle religioni chiamano "luoghi marcati" del territorio. I
primi cristiani si pongono in una posizione fortemente dialettica difronte a questo modo di concepire la
società: vogliono rompere con questa sacralità materiale. Non è un caso che, a proposito di questo
atteggiamento, c'è un brano caratteristico della I lettera di Pietro che parla esplicitamente dei cristiani che
si considerano delle pietre viventi, che intendono edificarsi come case spirituali. Non vogliono andare nei
luoghi a pregare, ma vogliono essere essi stessi luoghi viventi. Quindi, in origine, il cristianesimo non ha
particolari legami con lo spazio. Nel giorno di due-tre secoli avviene uno straordinario capovolgimento di
valori. Vediamo che il luogo dove si celebra dio diviene di pietra. La chiesa, intese come edificio, si impone
nel paesaggio cristiano. nel corso dell'Alto medioevo il paesaggio dell'Occidente si compone di un candido
manto bianco, la chiesa diventa uno degli elementi caratteristici del paesaggio.
in origine, il termine ecclesia non designava tanto un luogo fisico ma la comunità dei fedeli cristiani; in
seguiti, passa a designare anche il luogo dove si riunivano i fedeli. Ecco che bisogna interrogarsi sui legami
tra uomo e spazio. In origine, i luoghi dell'assemblea dei fedeli non hanno valore in sé stessi. I rituali di
consacrazione degli spazi della preghiera rimangono per molto tempo minimi, limitandosi ad una prima
celebrazione. A partire dal IV-V secolo, con la costruzione dell''Impero cristiano, abbiamo un
capovolgimento quasi totale di valori. Tra VIII-IX secolo, in pieno periodo carolingio, l'edificio chiesa si
impone come elemento fondamentale del paesaggio e ha una serie di rituali di consacrazione specifici. Non
esiste più a possibilità di ogni luogo di ospitare il rito cristiano, solo gli edifici consacrati possono ospitare il
rito cristiano. Addirittura, a partire dal concilio di Cartagine del 401 viene specificamente detto perché un
luogo possa ospitare la celebrazione del rito cristiano, un luogo deve essere consacrato: deve ospitare la
reliquia di un santo. Abbiamo una vera e propria specializzazione dei luoghi. Da questo periodo il termine
"ecclesia" si impone come termine tecnico per designare un luogo consacrato, seguendo le regole di un
rituale. Avviene una metonimia, cioè la confusione del contenitore e del contenuto: l'ecclesia definisce sia
la comunità dei fedeli sia il luogo che li ospita. Si tratta di un mutamento veramente epocale, che non
dobbiamo immaginare come immediato ma presente nel corso del tempo. Tutto questo è funzionale per
farci capire come il cristianesimo abbia conosciuto un processo che ci mette del tempo a fissare i parametri
fondamentali della religione cristiana e, dunque, del modo della società di seguirne il culto.
A partire dal riconoscimento ufficiale del cristianesimo (nel 313 d.C.) e la sua consacrazione con l'editto di
Tessalonica (nel 380 d.C.), l'inclinazione escatologica e l'attesa dell'imminente seconda venuta del cristo,
perdono sempre più vigore a favore della capacità soteriologica (salvifica) del culto cristiano e della sua
caratterizzazione in formule rituali. Questa caratteristica fondamentale del cristianesimo è alla base del suo
successo all'interno della società tardo romana. Naturalmente questo comporta anche una sua
organizzazione in forme rituali.
Le comunità cristiane delle origini sono diffuse in maniera capillare nelle grandi città dell'impero. le
comunità cristiane locali, al pari della diaspora ebraica, vengono organizzate in dalle origini come dei centri
autonomi, ma capaci di coordinamento nella elaborazione dottrinale e cultuale. Anche per il fatto id essere
oggetto di persecuzione, le comunità sono autonome ma capaci di coordinazione per quanto riguarda la
dottrina e il culto. Perché questo fosse possibile, le comunità si regolano secondo una struttura gerarchica
ben precisa, che presto aveva spostato le tendenze egualitarie degli inizi verso la formazione di ministeri
(comunità di servizio) con delle figure di riferimento che assolvevano all'interno delle comunità della
funzione e dei compiti definiti, creando una differenziazione sempre più netta tra clero e laici: la gerarchia
ecclesiastica.
Accanto agli anziani (presbiteroi), cui competeva il servizio liturgico e la predicazione della parola di cristo,
e ai loro assistenti (diaconi) preposti agli incarichi di tipo assistenziale e amministrativo, diventano sempre
più importanti dal punto di vista carismatico, morale e organizzativo le figure dei sovraintendenti (gli
episkopoi, cioè i vescovi: "sorvegliante"). Ben presto, questi vescovi diventano il vero e proprio fulcro
attorno a cui si va concentrando la comunità delle chiese locali. Il riconoscimento ufficiale della chiesa
accelera il processo istituzionale dell'episcopato. Quindi, nel corso del IV secolo, l'episcopato diviene il
punto di contatto di una serie di processi cruciali riguardanti l'organizzazione territoriale delle chiese, le
sue elaborazioni teologiche, l'elaborazione della dottrina cristiana, la sua disciplina e, dunque, anche la
sua funzione sociale e i suoi rapporti con la sfera politica. Nel corso del IV secolo, l'episcopato diventa una
istituzione e una struttura decisiva per tutto ciò che compete alla chiesa cristiana sia dal punto di vista
religioso sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista politico. Diventa un tassello importante
dell'organizzazione burocratico-amministrativa dell'impero: avviene il coinvolgimento dell'episcopato
nell'esercizio del potere imperiale, che comporta sia l'attribuzione ai vescovi di una serie di poteri temporali
(testimoniati dalla legislazione tardo antica e altomedievale) sia un proliferare delle sedi vescovili e sia un
sempre maggior perfezionamento della loro struttura organizzativa. Nei territori dell'impero si viene
formando una fitta trama di province ecclesiastiche che prevedeva delle sedi più grandi nelle capitali delle
province, c.d. metropoli, da cui deriva il termine "metropolita" attribuito al vescovo titolare provvisto di
potere di controllo e coordinamento sui vescovi delle sedi più piccole.
La dipendenza delle sedi vescovili minori dipendeva da un modello che si basava sulla distrettuazione
amministrativa tardo-imperiale, basata sulle province. Nell'alto medioevo, quando finisce l'impero, si
mantengono e si sperimentano degli istituti che derivano dall'assetto statuale dell'impero anche se,
soprattutto per quanto riguarda la parte occidentale, in contesti e funzioni profondamente mutati: cambia
l'organizzazione e l'assetto del potere civile. In questo senso, l'istituzione episcopale rappresenta si una
soluzione di continuità con l'assetto tardo imperiale sia di cambiamento. Le sedi vescovili diventano il
centro delle chiese locali, che dipendono tutte dal vescovo che risiedeva nella chiesa cattedrale (molto
spesso situata all'interno di una città). Per quanto riguarda regioni dell'Impero Romano fortemente
urbanizzate (Italia e Francia del sud), di norma la chiesa cattedrale era in una città; invece, in parti
dell'impero in cui era assai poco sviluppata l'urbanizzazione, la chiesa cattedrale poteva stare anche in
campagna.
La chiesa cattedrale è la chiesa dove è situata la cattedra del vescovo, che diventa il fulcro
dell'organizzazione religiosa cristiana e anche un punto di riferimento per tutta la società a causa dei
mutamenti che si stanno verificando (barbari e caduta dell'impero).
in questo modo, la distrettuazione ecclesiastica che ruota attorno al persino della sede episcopale tende a
riprodurre l'assetto organizzativo territoriale del tardo impero, come polo di aggregazione di territori.
Alcune sedi, per l'antichità e l'autorità della loro cristianità si distinguono e si affermano come preminenti
per tuta la società cristiana.
-
In oriente sono: Gerusalemme, Antiochia, Costantinopoli e Alessandria d'Egitto;
In occidente sono: Roma, Ravenna, Aquileia, Milano.
Due caratteristiche fondamentali della chiesa altomedievale:
-
Integrazione progressiva tra il corpo sacerdotale e le strutture dominanti della società, che si
compie a partire dall'indomani del riconoscimento ufficiale del cristianesimo;
Assenza di un modello rigidamente orientato in senso gerarchico all'interno della chiesa. Voglio dire
che mentre noi rappresentiamo la chiesa in senso verticistico, alla cui cima è il papa, in questo altro
momento non dobbiamo immaginare la chiesa in questo senso verticistico. Piuttosto, dobbiamo
immaginare l'universo cristiano in questi primi secoli del medioevo (IV-XI secolo d.C.) con
l'immagine di una costellazione composita, formata da una miriade di comunità. La chiesa
altomedievale appare come un insieme di sedi episcopali e monastiche provviste tutte di una
forte autonomia e che non sono omogenee per quanto riguarda le tradizioni religiose, liturgiche,
cultuali; anche per quanto riguarda le posizioni teologiche e dottrinali o per quanto riguarda
l'influenza politica. Solo con il passare dei secoli si imporrà l'assetto verticistico con a capo il papa.
Il processo di affermazione del primato pontificio non è immediatamente riconosciuto. Ci vorranno
secoli perché il vescovo di Roma, considerato da sempre come tra i più importanti perché risiede
nella città che ha visto la morte di Pietro e Paolo (posto dove ci sono i limina apostolorum) e perché
è il successore di Pietro. Che questa si traduca in un effettivo riconoscimento di superiorità rispetto
alle altre chiese non è una cosa immediata. Avverrà nell'XI secolo, al momento di cristallizzazione di
un lungo processo che ha il suo esito nel corso anche del secolo successivo, in coincidenza con la
riforma della chiesa cristiana che prevedeva l'imposizione del celibato ai sacerdoti.
I modi attraverso cui si manifesta questa integrazione progressiva tra vescovi e strutture dominanti della
società.
Quando ancora c'era l'Impero Romano d'occidente, le alte gerarchie episcopali e l'aristocrazia senatoria
finiscono ben presto in un rapporto osmotico e simbiotico. L'episcopato aggiunge al suo ruolo di
preminenza morale-religiosa della società anche il ruolo della preminenza amministrativa tardo-romana,
finendo per riunire in sé l'esclusiva dei rituali del culto cristiano, la capacità amministrativa e organizzativa
unitamente alla potenza consacrativa. È il vescovo che consacra luoghi e persone, perché man mano che
viene riconosciuta la figura del vescovo come interlocutore importante, sempre di più i vescovi provengo
dalle élite senatorie. Le figure dei vescovi e le cariche dell'amministrazione provengono dallo stesso ceto
sociale. Un esempio in tal senso è offerto da papa Gregorio Magno (590-604), che proviene dalla gens
anicia che aveva una lunga tradizione di esercizio delle cariche civili. Egli sa amministrare, oltre ad essere il
vescovo, la città in un momento in cui il potere pubblico è sempre meno rappresentato. Quindi, sempre più
nel corso dell'alto medioevo, con la fine dell'Impero Romano e le invasioni barbariche, i vescovi diventano il
punto di riferimento non solo religioso ma anche amministrativo. Anche perché provengono da quei ceti
sociali che avevano sempre esercitato un ruolo preponderante all'interno della società. Questo fatto
certamente ha come riverbero il coinvolgimento dell'ordine sacerdotale e dei vescovi nella sfera del potere
ufficiale: attraverso l'episcopato, l'egemonia dell'aristocrazia erede del ceto senatorio, trova sempre più
garanzia nella religione cristiana. Esercitando la funzione di controllori del sacro, di fatto i vescovi diventano
anche i controllori delle comunità cittadine e il punto di contatto tra le élite sociali preesistenti e i ceti
dominanti dei popoli migranti (i barbari), fungendo da punto di contatto tra vecchio e nuovo. Tutto questo
fa sì che i vescovi non sono qualcosa di tradizionale dal punto di vista politico, ma qualcosa di nuovo e
operante dal IV secolo. Quindi, le sedi vescovili diventano dei laboratori di sintesi, che sono prodotte
dall'incontro e dall'assimilazione tra gli elementi della cultura cristiana e di quella antica e i principali valori
della tradizione barbarica. Le occupazioni barbariche si traducono in stanziamento, in assestamento,
mediazione. Queste modalità di assestamento sono favorite dall'opera di interlocuzione dei vescovi con le
élite barbariche.
I vescovi diventano, quindi, fonte di legittimità per i regni altomedievali perché sono gli unici interlocutori
che i barbari anni affinché portino le loro proposte a Costantinopoli. Si crea un rapporto stretto fra i nuovi
re barbarici e la società.
In questo senso, le conversioni al cattolicesimo dei re germanici sono il presupposto preponderante per il
ruolo dell'episcopato dei regni altomedievali. La concessione di privilegi e la delega dei diritti fiscali da parte
regia, contribuiscono al consolidamento dell'episcopato come soggetto essenziale della pratica di governo.
C'è poi un altro aspetto: in questo tipo di situazione, il vescovo è il depositario della cultura e dei testi sacri.
Contribuisce dal punto di vista culturale-ideologico alla formazione del nuovo modello di regalità
altomedievale. In qualche modo sposta il punto di riferimento dell'ideologia del potere politico dagli
attributi imperiali romano-ellenistici ai modelli dei re del vecchio testamento del popolo id Israele. I nuovi
capi barbarici, che danno vita ai regni, non possono usare come modelli di riferimento per conferire
autorità al proprio esercizio del potere il modello imperiale romano. Poiché i vescovi divento gli unici
interlocutori, con la loro cultura forniscono anche ai re barbarici dei modelli del popolo di Israele: con le
storie di migrazioni e di approdi finali vittoriosi rappresentano un richiamo simbolico molto efficace per i
sovrani eredi dei popoli migranti.
Il ruolo fondamentale dell'episcopato trova un suggello molto evidente nel 662 nella penisola Iberica,
allorché il re goto Van-Va viene consacrato dai vescovi cristiani attraverso l'unzione. L'episcopato diventa
quell'elemento che dono sacralità alla regalità. In questo modo legittima il re, perché lo consacra come i re
dell'antico testamento e gli fornisce esplicitamente l'elemento della sacralità. Attraverso l'elaborazione in
forme nuove della consacrazione, si produce l'invenzione della regalità barbarica che sarà destinata ad
avere un lungo e duraturo successo (es: consacrazione di Leone III su Carlo Magno).
L'assenza di una struttura istituzione strettamente gerarchica nella Chiesa tra tardo-antico e alto medioevo
fa sì che la grande varietà di comunità locali abbiamo espresso un ampio panorama di posizioni in ambito
religioso che si è riflesso tanto nella pratica pastorale quanto negli usi liturgici. Attraverso i contrasti, gli
intrecci, le confluenze si è andato costituendo il graduale processo di costruzione identitaria tra al chiesa
della parte occidentale e quella della parte orientale dell'impero. da questo punto di vista abbiamo la
distinzione fra la chiesa occidentale e quella orientale. Ovviamente, in oriente rimane l'istituzione imperiale
e questo ha una ripercussione sulla chiesa orientale; in occidente, dove viene a mancare l'istituzione
imperiale, la chiesa ha un ruolo più autonomo rispetto alla parte orientale.
Non dobbiamo tanto vedere che il cristianesimo viene imposto ai barbari come un processo dall'alto e di
acculturazione. Questo atteggiamento dobbiamo assolutamente contestualizzarlo. La cosiddetta
acculturazione della religione cristiana e della cultura latina delle popolazioni barbariche è un concetto
dinamico che ha previsto rifiuto, resistenze, assimilazioni e selezioni. Questo incontro ha proposto anche un
sincretismo, una germanizzazione del cristianesimo. Quindi, noi dobbiamo vedere il cristianesimo
altomedievale come il prodotto tra due tradizioni culturali-religiosi differenti: quella barbarica e quella
latina. Quindi, è il prodotto di questo incontro e non l'affermazione di una sfera su un'altra.
Longo 21 aprile
Ci siamo soffermati ad analizzare come si è formata la gerarchia ecclesiastica nel cristianesimo e abbiamo
cominciato a mettere in evidenza il ruolo fondamentale dei vescovi nella costruzione dello spazio cristiano
e anche nella società cristiana. Abbiamo visto come le sedi episcopali sono diventati dei laboratori di sintesi
originali, che sono il frutto dell'incontro tra gli elementi della cultura cristiana, di quella antica e i principali
valori della tradizione germanica agli inizi del medioevo in seguito alle invasioni. Sebbene attraverso
modalità non omogenee, i vescovi sono diventati anche delle fonti di legittimità per i nuovi regni
altomedievali e importanti intermediari tra i regni romano barbarici e la corte imperiale a Costantinopoli,
avviando un contatto molto stretto con la regalità in occidente. Da questo punto di vista, i vescovi sono alla
base della riorganizzazione della società intorno ai nuovi parametri del cristianesimo. Una delle
caratteristiche fondamentali è la costruzione di uno spazio nuovo in senso cristiano. però, anche il
cristianesimo accoglie elementi di definizione dello spazio che gli derivano dalla tradizione antica: agli inizi
del cristianesimo, la posizione dei fedeli era differente da quella che si viene definendo a partire dal IV
secolo. All'inizio hanno un atteggiamento prettamente dissacratori verso i luoghi della religiosità pagana;
essi si definiscono delle "pietre viventi" e non avevano dei luoghi specifici dove riunirsi. Tant'è vero che il
termine ecclesia definiva originariamente l'assemblea dei fedeli. Viceversa, nel giro di qualche secolo, il
termine ecclesia non definisce più semplicemente la comunità dei fedeli ma anche un luogo specifico.
Questo slittamento semantico è indicativo dei mutamenti di parametri che il cristianesimo ha nei primi anni
della sua vita e che determinano, poi, la ri-semantizzazione dello spazio in senso cristiano. a questo
proposito abbiamo già detto che le categorie di tempo e spazio sono soggettive e sempre delle categorie
culturali definite dalla società. Da questo punto di vista anche il sacro può essere analizzato come prodotto
culturale e, in quanto tale, varia da contesto a contesto.
Il sacro, in questa prospettiva, diventa una variabile storica: proprio io rapporto tra spazio e sacro è una
testimonianza della possibilità di mutamento ed evoluzione. Se nella religione romana, la religiosità era
concentrata nei luoghi, così non era per il primo cristianesimo che sposta l'attenzione sulla santità delle
persone. Si verifica un processo di spazializzazione del cristianesimo e di territorializzazione della
religione cristiana.
Il territorio e i suoi legami con la dimensione religiosa (antropologia religiosa).
Sono stati gli storici delle religioni e gli antropologi delle culture tradizionali che si sono soffermati ad
analizzare i rapporti tra territorio e religioni, puntando l'attenzione particolare sul santuario. Cosa
rappresenta il termine "territorio"? Innanzitutto, rappresenta un concetto geografico: il territorio è una
porzione di spazio che possiede dei limiti precisi che non corrispondono quasi mai a dei limiti naturali, ma si
definisce in relazione all'uomo e all'attività che esso vi svolge; rappresenta poi un concetto politico in
riferimento alle nozioni di dominazione o di controllo. Vi è un'altra significazione che definisce il territorio: è
un luogo in cui una determinata comunità si sforza di costruire uno spazio di pace, in cui poter vivere in
sicurezza. Questa è propriamente la dimensione religiosa. Non esiste uno spazio vuoto per la società
tradizionale, sia esso abitato da spiriti o da defunti. Il territorio dove vivono gli uomini è l'oggetto di
occupazione dei defunti, che hanno un atteggiamento ambivalente (possono essere sia benefici che
malefici). Questo fatto comporta che si inneschi un rapporto di tipo contrattuale in cui vengono offerti
sacrifici dagli uomini in cambio di protezione. Ecco che occorrono degli spazi "sacri", cioè degli spazi che
rendano possibile l'estrinsecarsi di relazione con le potenze invisibili o con quelle superiori, dunque la
comunicazione con il divino. Uno spazio separato dal resto, peculiare, che è sacro in quanto separato e
rispetto al quale bisogna intervenire in maniera differente (presenza di mediatori del sacro).
Esistono dei luoghi marcanti nel territorio, cioè dei luoghi che sono eccezionali sparsi nel territorio e che
possiedono la capacità di essere localizzati. Questi luoghi possono essere in grotte, fiumi, foreste, picchi.
Sono dei punti forti e organizzano il territorio in una sorta di rete. Il territorio è tenuto insieme da questi
punti forti.
Nelle culture tradizionali, una delle funzioni essenziali della religione consiste nel pensare lo spazio:
assicurare anche una gestione rituale dello spazio. Ecco che entra in scena l'importanza del santuario, cioè il
luogo deputato alla mediazione tra sacro e profano.
Per quanto riguarda le culture storiche (romana, greca, ebraica, cristiana), il concetto del santuario come
luogo deputato alla mediazione tra sacro e profano, è assolutamente riconoscibile nella cella romana o nel
cuore della chiesa cristiana. Nel caso della chiesa cristiana, questo luogo viene tenuto separato da
un'iconostasi. Questo spazio è accessibile sono a determinate categorie di uomini, che si sono consacrati al
servizio della divinità.
Inoltre, gli abitanti del territorio, attraverso delle pratiche rituali deambulatorie (pellegrinaggio) tengono
unito il territorio anche attraverso la memoria. Quindi, la nozione di territorio è fortemente determinata
dai termini del religioso, sia che si trattati di luoghi precisi sia che si tratti di un luogo immateriale. Gli
uomini ridefiniscono il territorio mediante il ricorso costante alla categoria del religioso. Questo viene fatto
anche attraverso le pratiche rituali. È evidente che le declinazioni di questi tratti generali del cristianesimo
medievale nell'occidente sono molteplici e si ravvisano una serie di elementi moto familiari al contesto
medievale (frontiera, pellegrinaggio, mediatori del sacro – monaci ed ecclesiastici). Se questo discorso, che
è valido in ogni tipo di società, il cristianesimo ha delle peculiarità interessanti nei confronti dei legami con
lo spazio. Questi legami sono al centro della riflessione storiografica degli ultimi decenni. A tal proposito
citiamo il libro di uno storico britannico, Peter Brawn, dal titolo Il culto dei santi. Peter Brawn, uno dei
principali coniatori del concetto di tardo-antico, ha individuato nel nuovo rapporto con lo spazio uno degli
elementi che hanno garantito il trionfo del cristianesimo attraverso un'antropologizzazione dello spazio
sacro. Le tombe dei martiri e le loro reliquie diventano dei poli attorno a cui si organizza la nuova religione.
Diventano i punti di contatto con il divino e, quindi, la prova provata dell'immortalità dell'anima che è la
promessa fondamentale del cristianesimo. Sono anche i luoghi da cui promana la virtus (potenza divina),
che garantisce l'istanza salvifica della religione cristiana. Intorno ai luoghi dove hanno vissuto i martiri o
dove sono conservate le loro spoglie mortali si producono miracoli: le persone guariscono, si arrestano i
cataclismi della natura, le pestilenze. Dobbiamo prendere atto che nella società tardo-antica si diffonde la
credenza che questi personaggio eccezionali possano proteggere. Queste è la causa che porta alla vittoria il
cristianesimo rispetto alle altre religioni.
il cristianesimo, alle sue origini e per circa trecento anni, non ha alcun luogo santo. È il culto dei santi, dei
martiri e i pellegrinaggi, che non sono delle specificità del cristianesimo, nel IV secolo sono il frutto di un
nuovo modo di pensare che si impone nella società tardo-imperiale. L'imperatore Costantino in questo
processo è una figura fondamentale: è lui che rende la terra santa il primo luogo sacro cristiano. Costantino
e sua madre sono artefici di una vera e propria inventio (scoperta) archeologica e mitografica della terra
santa, che innesca una serie di conseguenze che comportano la cristianizzazione dello spazio, dai
pellegrinaggi in terra santa alla sacralizzazione e contactu (attraverso il contatto) di chiese e città
dell'Occidente mediterraneo, fino alla creazione di quella topografia leggendaria che riplasma i quadri
sociali della memoria cristiana.
Intorno alle reliquie dei martiri si sviluppo una vera e propria teologia e un culto, che contribuiscono al
processo di creazione di uno spazio sacro cristiano nel volgere di pochi decenni (dall'epoca costantiniana a
quella teodosiana). Il ruolo decisivo, quindi, della svolta costantiniana comporta una repentina
trasformazione del territorio della città antica in una rete di luoghi santi cristiani. Questo fenomeno, che
avviene nel corso del IV secolo, è stato giudicato l'esito di tre sviluppi convergenti:
1) Il grande slancio del culto dei martiri;
2) La capillare diffusione di chiese dedicate al culto pubblico;
3) L'ingresso massiccio nelle chiese delle reliquie dei martiri, cioè l'erezione di edifici sui luoghi di
sepoltura dei martiri. È questo il motivo per cui si costruiscono le grandi basiliche a Roma.
Si creano le chiese, che vengono dotate di reliquie dei martiri che concorrono alla sacralizzazione di questi
luoghi con una specifica virtus che gli viene data da queste reliquie.
Siccome molto spesso in questi luoghi creati sulle tombe dei martiri si producono miracoli, avviene il
fenomeno del pellegrinaggio. Attraverso la rete dei pellegrinaggi avviene una riconsacrazione del mondo
mediterraneo, grazie al flusso di reliquie che viene da Gerusalemme e dalla terra santa. Prima del
riconoscimento ufficiale della chiesa non ci sono molte attestazioni che i cristiani dessero una qualche
valenza di sacralità ai luoghi in cui si riunivano e agli edifici che, dalla seconda metà del III secolo, vengono
destinati alle celebrazioni liturgiche. Questi luoghi, a partire dal IV secolo, non sono più dei semplici luoghi
di riunione e preghiera, ma diventano anche dei santuari, cioè dei luoghi sacri. Questa è una delle
caratteristiche del cristianesimo dal IV secolo in poi che determina la nozione di cristianesimo nell'alto
medioevo. L'incontro di usi differenti si concretizza anche in questa nuova forma della religiosità cristiana,
che il culto dei martiri e dei santi contribuisce a diffondere.
Va notato che si registrano voci controcorrenti rispetto a questa spazializzazione del cristianesimo, che
ovviamente comporta una materializzazione e localizzazione del sacro. In origine, anche gli stessi padri
dell'importanza di Girolamo e Agostino diffidano da questo culto dei martiri. Però, Agostino poi si ricrede e
contribuisce alla definizione in chiave teologica delle reliquie e del culto dei martiri. Inoltre, ci sono molte
obiezioni da parte di altri padri della chiesa, in particolare monastici, sui pericoli per il corpo e per l'anima
cui si espongono i pellegrini. Per esempio, per i monaci benedettini c'era il problema della stabilitas loci
(risiedere stabilmente in monastero) che nella sua regola Benedetto da Norcia aveva caldeggiato. Aldilà di
qualche obiezione isolata, da un certo momento in poi avviene un'evoluzione nella concezione cristiana
dello spazio e del sacro. Questo fatto comporta delle ripercussioni profonde nel rapporto tra religione e
territorio nell'occidente medievale. Possiamo dire che in maniera icastica dio diviene di pietra: la chiesa si
impone nel paesaggio dell'occidente cristiano. È famoso il passo di Rodolfo il Glabro che, alle soglie
dell'anno 1000, scrive nelle sue storie: «pareva che dalla terra stessa, come scrollandosi e liberandosi della
vecchiaia, si rivestisse tutta di un candido manto di chiese».
La costruzione di un impero cristiano con i carolingi, tra VIII e IX secolo, rappresenta un momento
importante: la Chiesa, forza di inquadramento e strutturazione della società, guadagna in visibilità terrena
attraverso la costruzione di luoghi considerati come specifici. I carolingi riescono a considerare e
considerare la chiesa come forza di inquadramento sociale. A partire da questo momento, il termine
ecclesia si impone come termine tecnico per identificare l'edificio consacrato, seguendo le regole che si
fissano in rituali elaborati nel corso del IX secolo.
Territorializzazione della religione cristiana: la diocesi.
Il riconoscimento ufficiale della chiesa ha accelerato l'evoluzione in senso istituzionale dell'episcopato. Nel
corso del IV secolo, gli episcopati diventano il punto di coagulo di una serie di cruciali processi relativi
all'organizzazione territoriale della chiesa, alle sue elaborazioni teologiche, dottrinaria, funzioni sociali e ai
suoi rapporti con la sfera politica. Divenne la struttura fondamentale dell'organizzazione ecclesiastica e
tassello essenziale dell'organizzazione burocratica dell'impero. il coinvolgimento dell'episcopato
nell'esercizio del potere imperiali comporta sia l'attribuzione ai vescovi di una serie di poteri temporali sia
una crescita esponenziali delle sedi vescovili; così come anche un perfezionamento del loro assetto
organizzativo. Nei territori dell'impero si viene formando una fitta trama di provincie ecclesiastiche e sedi
vescovili, che prevedeva delle sedi più grandi nelle capitali delle province (metropoli-metropolita). La trama
prevedeva alcune sedi più grandi (metropoli), da cui dipendevano delle sedi vescovili più piccole secondo
un modello che si basava sulla distrettuazione amministrativa tardo imperiale. In questo modo, nell'alto
medioevo si vengono a sperimentale degli istituti che derivano dall'assetto statuario tradizionale, anche se
in contesti e condizioni profondamente mutati, perché non esiste più l'Impero Romano ma ci sono i regni
romano-barbarici.
È sbagliato dire che i vescovi replicano la struttura amministrativa del tardo impero: si basano su no
strumento, ma lo applicano in contesti totalmente differenti.
La chiesa cattedrale era la sede del vescovo ed era presente nelle aree più fortemente urbanizzate. La città
è polo di aggregazione di territori molto vasti.
Se, dunque, è vero che la diocesi è considerata come la più antica e solida tra le strutture territoriali
dell'Europa medievale e moderna, tuttavia la strutturazione delle diocesi sul modello imperiale tardo
romano non è stato un fenomeno omogeneo in tutte le regioni. Negli ultimi anni, la ricerca storiografica ha
cercato di ridimensionare l'assiomaticità con cui la geografica storica tradizionale voleva riconoscere nella
diocesi l'erede diretto dello stato romano cristiano. Per esempio, per quanto riguarda il rapporto col
territorio, sembra che sia possibile registrare il cambiamento di paradigma con il prevalere di una logica
personale, che si sostituisce a quella territoriale che aveva caratterizzato gli ideali dello stato romano. Da
questo punto di vista anche i modi della iscrizione della chiesa nella società e nello spazio dell'occidente
medievale devono essere analizzati con attenzione in relazione ad una serie di aspetti, per esempio: i
rapporti tra centro e periferia, le relazioni tra le diocesi e i comitati (circoscrizioni pubbliche). Sono delle
istituzioni che molto spesso si sovrappongono e sono in concorrenza. Inoltre, un altro aspetto è costituito
dalle nuove modalità di regolamentazione dei conflitti: i conflitti tra i vescovi, tra i vescovi e le abbazie, tra i
vescovi e i conti permettono la fissazione di limiti e confini precisi.
La messa a punto di nuovi modi di regolare i conflitti da parte delle autorità ecclesiastiche ci fa rendere
conto come nel medioevo ci sia una rottura con le prassi dello stato romano e ci consente di
contestualizzare meglio l'evoluzione della diocesi medievale, scrollandola dalle peculiarità amministrative.
La diocesi non è esclusivamente la continuazione del distretto amministrativo tardo romano: si tratta di una
banalizzazione che non regge perché è cambiato tutto.
Il movimento all'interno dello spazio cristiano: poli santuariali e rete dei pellegrinaggi.
I santuari non sono stati tradizionalmente oggetto da parte id attenzione da parte degli storici. Invece,
grazie all'evoluzione della ricerca storica degli ultimi decenni e all'introduzione di strumenti di ricerca che
provengono dalle scienze umane, il santuario appare come un microcosmo che contiene tutta la società. Le
Le ricerche sue santuari medievali hanno permesso di evidenziare come tra il secolo VIII e IX si registri una
vera e propria svolta, che è in sintonia col processo di territorializzazione del sacro. Le ricerche permettono
di osservare come si tratti di un fenomeno di portata generale che riguarda tutta la cristianità, anche se con
ritmi variabili da regione a regione.
Fino all'epoca carolingia (VIII-IX secolo) sembra di poter registrare dalle fonti un numero poco consistente
di luoghi ritenuti sacri, in grado di attirare pellegrini. Invece, intorno al mille, dalle fonti sembra di poter
assistere ad una moltiplicazione esponenziale che attira un numero sempre maggiore di pellegrini.
Tra la tarda antichità e il medioevo, l'edificio religioso di riferimento era l'anastasis, fatta edificare da
Costantino a Gerusalemme sul luogo della presunta sepoltura di Cristo. Accanto a questo punto di
riferimento esistono alcuni altri poli di fortissimo prestigio, che catalizzano la coscienza e l'immaginario
della società cristiana. Uno fra tutti Roma, ma non perché capitale dell'Impero Romano, ma perché sede dei
limina apostolorum. È il luogo dove ci sono le due tombe dei fondatori del cristianesimo, Pietro e Paolo. Ha
una sua valenza sacrale anche in senso cristiano. I limina postolorum attirano folle di pellegrini a Roma che,
con l'occasione, si recano anche ai sepolcri dei martiri. A Roma ce ne sono tantissimi: è uno scrigno
reliquiale di enorme richiamo e potenza. Esisteva anche il santuario dell'Arcangelo Michele sul monte
Gargano, che, come san Pietro e l'anastasis, suscita molte repliche in tutto l'occidente (molte chiese
vengono costruite su questi modelli)  anastasismodello a pianta tomba. Altri luoghi erano:
Montecassino (abbazia madre del monachesimo Benedettino) e San Martino di Tour (Gallia del nord).
Questi sono i grandi poli del pellegrinaggio alto medievale. Se però ci spostiamo agli inizi del XII secolo
troviamo una situazione diversa: troviamo un enorme numero di santuari disseminati per l'Europa, legati da
itinerari sacri e percorsi da folle di pellegrini. Questa esplosione quantitativa del fenomeno santuariale è
legata all'accrescimento esponenziale delle fonti che si registrano dopo l'anno mille. Comunque, questo
fenomeno è un fatto che si può registrare e che è dovuto ad una serie di fattori i cui effetti concorrono a
determinare il processo di collocazione nello spazio della religione cristiana. Un primo fattore è legato alla
territorializzazione del sacro.
La territorializzazione del sacro
Dall'epoca tardo antica, la pratica della sepoltura ad sanctos (sepoltura presso gli altari maggiori delle
reliquie). Si assiste ad un fenomeno singolare, quello che venne icasticamente definito "la grande rapina dei
corpi santi", cioè la spoliazione sistematica delle catacombe romane tra IX e X secolo, testimonianza del
ruolo crescente dell'importanza delle reliquie nella società medievale. Le reliquie sono degli oggetti
fondamentali per la consacrazione delle chiese, sin dal concilio di Cartagine del 401 una chiesa non poteva
avere un altare senza che dentro vi fossero le reliquie. Diventano fondamentali anche per riti non
strettamente religiosi, come, per esempio, i giuramenti solenni; diventano doni privilegiati per gli scambi
tra potenti; diventano anche dei suggelli della dominazione del territorio (conferiscono prestigio al potere).
Le dinastie di regnanti si accaparrano le reliquie. Donano consacrazione al potere temporale. Inoltre, tra i
fedeli c'è una grande diffusione di volersi far seppellire il più vicino possibile agli altari o absidi delle chiese.
Per esempio, tuti i papi dell'alto medioevo si fanno seppellire vicino a San Pietro, sotto la basilica vaticana.
Si delinea una nuova geografia religiosa della cristianità che viene pensata e vissuta come uno spazio
omogeneo, strutturato attorno ad un certo numero di aree sacre che costituiscono altrettanto un luogo di
consacrazione e protezione. In questo senso, i monasteri giocano un ruolo importante.
Le reliquie vengono chiamate anche pignora, cioè pegni, promesse dell'aldilà: il fatto che producano
miracoli ne è una conferma.
In questo periodo tra IX e X secolo diventa di importanza sempre crescente nella vita religiosa dei cristiani il
pellegrinaggio. In origine, il pellegrinaggio lo facevano solo i grandi della società ma a partire dal IX-X secolo
l'elemento laico e popolare prevale nettamente sempre di più su quello ecclesiastico. Si possono ravvisare
dei legami tra la crescita dei santuari e i pellegrinaggi nell'ambito dei processi penitenziali. Inoltre, un'altra
novità importante è costituita dal fatto che a partire dal secolo XI i pellegrinaggi e i luoghi santi vengono
presentati come una pena purgatoria per i defunti: recandosi presso i santuari a pregare si possono avere
degli sconti di pena. Non è un caso che è proprio nel XII secolo che si viene a creare il purgatorio, terzo
luogo dove si dimora dopo la morte terrena.
La concezione simbolica è dominante nel medioevo e influisce il rapporto con lo spazio, sia esso con l'al di
qua che con l'aldilà.
Longo 22 aprile
Uno dei simboli più pregnanti del pellegrinaggio è il labirinto, ma non è un elemento peculiare del
cristianesimo: è giunto ad esso attraverso l'eredità classica pagana. Il labirinto, presente nei pavimenti di
numerose chiese romaniche francesi ed italiane, è simbolo della complessità della salvezza divina, ma
poteva anche essere utilizzato per pratiche penitenziali o per ricordare la lunga strada del pellegrino.
Nel corso del medioevo l’importanza della meta è andata definendosi creando una geografia del sacro con
una fitta rete, le cui maglie legano una serie di luoghi sacri con strade percorse incessantemente.
L’orientamento di questa rete non dipende da criteri geografici ma segue una prospettiva religiosa con
luoghi che acquisiscono importanza eccezionale come Roma (sede delle tombe di San Pietro e San Paolo),
Santiago di Compostela, Gerusalemme comunque come meta ultima e più importante. Gerusalemme è
rappresentato come punto centrale dell’universo cristiano→ non c’è un discorso oggettivo della
rappresentazione dello spazio (categoria culturale) e quindi il modo di porsi rispetto allo spazio è legato agli
orientamenti culturali e ideologici della società che riflette sullo spazio. Gerusalemme rappresenta il centro
dello spazio cristiano, questo perché lo spazio non viene inteso in senso oggettivo. Le carte geografiche
rispecchiano gli orizzonti simbolici che sono legati alle credenze della società che le elabora.
Le mappe a T, dette "orbis terrae"
 Mappe tipiche nel medioevo e rappresentano il mar Mediterraneo a forma di t che divide i tre continenti
conosciuti: Africa, Asia e Europa circondati dall’oceano. La prima descrizione del mondo secondo questo
tipo è realizzata da Isidoro di Siviglia nel VII secolo nelle sue Etimologie.
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Mappa a T O di Isidoro di Siviglia;
Mappa Guntherus Zinner 1472;
Asia sempre al centro e in alto perché è il posto più importante dove si riteneva ci fosse il giardino
dell’Eden e con Gerusalemme dominante, sx Europa, dx Africa. Dal VII sec. a conferire un surplus al
pellegrinaggio in Terra Santa, oltre ai valori teologici, concorre anche il fatto che il viaggio diventa
pericoloso a causa dell’occupazione araba della regione palestinese.
-
Mappa zonale di Macrobio
Anticamente la terra veniva anche divisa in zone climatiche (mappe climatiche): il clima freddo ai poli, il
clima caldo all’equatore e il clima temperato nelle zone intermedie (considerate le uniche abitabili). La
zona al di sotto dell’equatore veniva chiamata “antipodi”.
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Manto imperiale (Aufstatze)
Manto imperiale conservato a Bamberga che serviva nel corso dell’incoronazione imperiale, creato
nell’XI sec e donato all’imperatore Enrico II dal ricchissimo nobile Melo di Bari. Manto fortemente
simbolico. Su fondo azzurro, al centro sul dorso è rappresentata la maiestas domini affiancato da sole e
luna, da un cherubino e un serafino e dalle lettere di alfa e omega intorno simboli delle costellazioni e
dei segni zodiacali→ visione del cosmo ordinato da Dio e dalle autorità a cui Dio ha donato il potere.
Sono rappresentati tutti i fondamentali punti di riferimento dell’universo cristiano.
La rappresentazione dello spazio non ha un criterio meramente oggettivo. Deve comunicare i riferimenti
religiosi e culturali di una società. Un esempio sotto questo punto di vista è la:
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Tabula Peutingheriana, tavola romana pervenuta in riproduzione medievale
Riflette l’ideologia romana nel rappresentare il suo dominio attraverso le strade che collegano il mondo
dominato dai romani stessi. Tavola con una serie di pannelli per un toltale di sei metri di lunghezza con
al centro Roma rappresentata come una figura femminile incoronata seduta in trono che regge un
globo. “tutte le strade portano a Roma” detto bene esplicato da questa mappa. Sono rappresentate le
colonne d’ercole come fine del mondo e quindi anche la fine del dominio territoriale di Roma.
Anche noi, nella nostra contemporaneità, non siamo immuni da questo tipo di prassi. Noi abbiamo una
visione del mondo è (anche ottusamente) eurocentrica. Quelle che sono studiamo a scuola sono le cartine
di Mercatore.
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Carta di Mercatore (cartografo del XVI sec) elaborata per i navigatori che percorrevano le rotte per
le Indie orientali con l’Europa al centro e pone un nord molto più grande rispetto all’espansione
effettiva. Questa proiezione dello spazio è rimasta nell’inconscio collettivo come Europa al centro
del mondo.
Carta di Arno Peters elaborazione cartografica che cambia totalmente le visioni del mondo in
termini di espansione in quanto egli segue i dati di espansione reali (il sud del mondo è il doppio
rispetto al nord);
Mappa a farfalla permette di comprendere la schiacciante superiorità dell’estensione delle acque
rispetto alle terre emerse;
Mappa di MacArthurup-side-down map, mappa al contrario che pone l’Australia al centro
Esiste una vera e propria ideologia del pellegrinaggio cristiano che si definisce con rituali sempre più
elaborati e che si va perfezionando nel basso medioevo in un insieme di riti che rendono il pellegrinaggio un
fenomeno cristiano caratterizzante.
Testimonianze di pellegrinaggi:
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Egeria (IV secolo), pellegrinaggio da Bordeaux a Gerusalemme. Di origine spagnola, scrisse un
resoconto del suo pellegrinaggio ai luoghi santi (compiuto negli anni Ottanta del IV sec.) per le
proprie consorelle.
Costante è la ricerca da parte dell’autrice di trovare nei luoghi da lei visitati la conferma del testo
biblico.
L’itinerarium, mutilo, ci è giunto in un solo manoscritto conservato a Montecassino.
«Giunti in quella piana (scil. del paese di Moab), avanzammo fino a questo luogo: lì facemmo
un’orazione, leggendo anche una parte del Deuteronomio, ed il cantico di Mosè e le benedizioni che
aveva pronunciate sopra i figli di Israele (Dt 33, 2-29).
E di nuovo, dopo la lettura, si fece un’orazione e rendendo grazie a Dio partimmo di là. Questa era
sempre la nostra abitudine: tutte le volte che potevamo arrivare nei luoghi desiderati, per prima
cosa dire lì un’orazione, poi leggere il brano relativo dalla Bibbia, poi recitare un salmo adatto alla
circostanza e poi di nuovo fare una preghiera».
(Itinerarium Egeriae, cap. X, par. 7, pp. 37-38)
Altri pellegrini (IV-VI secolo)
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Itinerarium Burdigalense (333)
Geronimo, Epitafio di Paola (386)
Eucherio, De situ Hierosolymae (seconda metà del V secolo)
Teodosio, De situ Terrae Sanctae (fine V-inizio VI secolo)
Itinerarium Antonini Placentini (570 circa)
Grazie a questo tipo di fonti possiamo anche tracciare un ritratto dei pellegrini. Alcuni elementi rimangono
costanti in tutto il medioevo: oltre alla centralità della terra santa come cardine del sistema sacrale, bene
presto si sviluppa una vera e propria cultura del pellegrinaggio: gli incontri lungo il cammino, gli ospizi, i
ricoveri, gli scambi di informazioni, l'incrocio di usi e abitudini differenti che concorrono a creare un sistema
culturale originale all'interno dell'orizzonte della spiritualità.
Esempi di questo tipo sono:
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Adomnano di Iona (fine VII secolo), De locis sanctis
Monaco scozzese, abate dell’isola di Iona (nelle Ebridi) dal 679 al 704.
Redatto a partire dalle informazioni raccolte da un vescovo franco di nome Arculfo, la cui figura
storica è però labile.
Il successo del testo, e della riscrittura fatta pochi decenni dopo da Beda (673-735), lo rese uno dei
resoconti altomedievali più celebri.
Leggendo i testi dei pellegrini emerge bene questo squilibrio tutto sbilanciato a favore di questo passato
biblico. Fa capolino la fascinazione per l'esotismo e per il nuovo, facendo sì che il pellegrinaggio si connoti
dei caratteri di viaggio di esplorazione (outre au mer, " oltre il mare").
L’esigenza di allontanamento per seguire gli insegnamenti di Cristo è un modo di vivere la religione
cristiana che non riguarda solo il pellegrinaggio ma anche il monachesimo. I primi monaci si allontanavano
dalla società urbana del tardo impero e rifiutavano la propria vita scegliendo di abitare nel deserto, lì dove
non ci sono uomini e civiltà. Corrente rigorista che rifiuta le convenzioni della società contestando anche le
gerarchie ecclesiastiche per essere troppo legate alla materialità del mondo. I monaci colonizzano il deserto
quindi un movimento che all’inizio è spontaneo e disorganizzato, diventa sempre più strutturato grazie a
figure come Sant’Antonio. Monachesimo riassorbito all’interno della società cristiana con il compito
difficile (in connessione con la volontà dei monaci di vivere totalmente la vita cristiana) di cristianizzazione
ed evangelizzazione delle regioni che ancora non conoscono il cristianesimo.
-
Processo di evangelizzazione che inizia a partire dal sesto secolo soprattutto nelle campagne, in
quanto il cristianesimo si diffonde principalmente nelle aree urbane. Il monachesimo diventa anche
uno strumento di affermazione politica e dell’organizzazione dello spazio in senso cristiano.
Il pellegrinaggio si innesta inoltre nel processo di riforma religiosa della Chiesa nella volontà di ritrovare gli
aspetti più puri della religione e della fede attraverso una moralizzazione del clero, una lotta al
concubinato, alla simonia… la volontà di rigenerare la Chiesa in senso spirituale e lo sviluppo di
preoccupazioni di tipo escatologico diventano fattori determinanti per uno sviluppo maggiore e più intenso
del fenomeno del pellegrinaggio. Negli ultimi 30 anni dell’XI sec. il pellegrinaggio a Gerusalemme si
trasforma in crociata in seguito ad un mutamento importante che avvenne nella regione palestinese in
quanto essa viene conquistata dai turchi selgiuchidi nel 1071 scatenando una guerra intestina tra i turchi
selgiuchidi e i turchi fatimidi per il controllo della città di Gerusalemme. Queste lotte rendono sempre più
pericoloso il viaggio per i pellegrini che sono sempre in numero maggiore, viaggio che quindi inizia ad
essere armato. In questa situazione nascono e assumono importanza gli ordini militari monastici come
quello dei Templari, i cavalieri templari portano a compimento la loro vocazione facendosi garanti per i
pellegrini nella loro difesa. Ovviamente le crociate vedono una serie di motivazioni che non sono legate solo
al carattere religioso, ma anche ad aspetti di tipo economico e sociale.
-
Il monachesimo diventa uno strumento di affermazione politica, soprattutto durante il periodo
carolingio.
È, inoltre, un fattore di organizzazione dello spazio in senso cristiano.
La cristianizzazione dei barbari: i diversi modi in cui avviene la cristianizzazione.
Anche dopo il concilio di Nicea del 325, concilio che organizza la religione cristiana secondo pratiche
comuni, il cristianesimo rimane nei territori dell’impero una religione che prevede diverse forme molto
diverse tra loro (nonostante la condanna, ad esempio, le comunità ariane a metà IV sec. sono ancora molte
perché all’arianesimo si avvicinano le comunità barbare).
Le comunità ariane erano particolarmente attive nella pars orientali dell'Impero. Fu proprio con una di
queste comunità ariane che entra in contatto un intellettuale romano che aveva avuto una lunga
consuetudine con i goti: il vescovo Ulfila.
Il vescovo Ulfila, proprio per la sua capacità di essere un mediatore e per la sua conoscenza del popolo
Goto, nel 341 viene nominato vescovo dei Goti da parte del patriarca di Costantinopoli. Ulfila diventa
protagonista di un’opera di evangelizzazione che si completa con la traduzione della Bibbia in lingua gotica
che permette ai goti di comprendere meglio la Sacra Scrittura.
Anche quando nell’Impero prevalevano le posizioni nicene, le persecuzioni contro l’arianesimo da parte
dell’autorità imperiali si arrestava al limes e non poteva invece essere efficacie sulla diffusione
dell’arianesimo fra i barbari aldilà del limes. Goti, Visigoti e Vandali si convertono così al cristianesimo si
convertono al cristianesimo secondo la forma ariana seguendo la Bibbia tradotta da Ulfila (interpretazione
ariana di comprensione più accessibile e facile).
La fede ariana diventa nel corso del V sec. uno degli elementi che contribuiscono a formare l’identità etnica
e culturale di questi popoli. La declinazione ariana del cristianesimo diventa sempre di più un elemento che
separa i barbari dai romani. Solo alle fine del VI sec. comincia a diffondersi il cristianesimo tra i longobardi
grazie alla mediazione di Gregorio Magno e della regina Teodolinda. I longobardi entrano in Italia nel 568.
Diverso è il caso dei franchi. La cristianizzazione dei franchi avviene dopo il loro stanziamento nei territori
della Gallia romana. Nel corso del V sec. nel territorio della Gallia avviene una fusione precoce tra le élite
gallo-romane e le élite guerriere dei franchi. Questa fusione dà luogo alla conversione dei franchi al
cristianesimo niceno senza la mediazione ariana. Una conversione che si può considerare compiuta agli inizi
del VI sec., quando il re Clodoveo convoca il concilio di Orleans nel 511 dove si riuniscono tutti i vescovi
della Gallia per decidere l’organizzazione ecclesiastica del regno franco. L’azione di Clodoveo mostra una
piena continuità con la politica imperiale romana. Questo permette al vescovo Gregorio di Tours nella sua
Historia Francorum di attribuire al re Clodoveo l’epiteto di “nuovo Costantino” e di raccontare la sua
adesione al cristianesimo nel modo in cui era stata raccontata la conversione di Costantino (Clodoveo che si
converte nel 496). Questo è ovviamente alla base della potenza franca al servizio della Chiesa romana.
Rapporto che diverrà una costante anche quando, dopo due secoli, i franchi interverranno in Italia contro i
longobardi.
Una forma particolare assume la cristianizzazione dell’Irlanda.
Dopo un primo tentativo fallimentare di stabilirvi un episcopato cristiano nel 430, fu un aristocratico
britannico cristiano di nome Patrizio che proprio intorno alla metà del V sec. compie un efficacie opera di
predicazione nell’isola. Questa predicazione è molto efficacie ma è resa difficile dalla dispersione della
popolazione sul territorio, popolazione non concentrata in città. Questa conformazione dell’insediamento e
dell’organizzazione territoriale ha un riflesso importante sulle forme che assumono le strutture
ecclesiastiche che sono prevalentemente basate sui monasteri. In Irlanda gli abbati dei monasteri più
importanti assumono anche le funzioni di vescovi. Dall’Irlanda si origina un autonomo movimento di
evangelizzazione promosso dai monaci che coinvolge anche alcune aree del regno dei franchi (inizialmente
per i franchi il cristianesimo è un fattore che riguarda soprattutto le élite). Il più noto di questi monaci è
Colombano.
La cristianizzazione della popolazione nel regno franco da parte dei monaci irlandesi comporterà la
creazione di ottimi rapporti tra il potere temporale dei franchi e la chiesa di Roma, fino alla conquista, nel
776 d.C., del regno dei longobardi da parte dei franchi.
Longo 28 aprile
Problemi dell'alto medioevo:
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rapporto tra cristianesimo e barbari;
problema del tardo antico;
fine del mondo romano e passaggio ai regni romano barbarici, prodotto originale dell'età tardoantica.
Difatti, una delle grandi discussioni che ha animato la storiografia lungo tutta l'epoca moderna fino ai
giorni nostri è il discorso circa la componente barbarica. I barbari sono i distruttori di Roma o i
costruttori del medioevo? Romani e barbari sono portatori di due culture distinte. Da qui ci sono tutta
una serie di discussioni sull'origine della cavalleria, del feudalesimo, dei comuni; discussione relativa ai
rapporti etnici tra invasori e popolazioni indigene. Pensiamo all'importanza tra il IX e il XX secolo tra le
naziones altomedievali con le nazioni ottocentesche. L’idea di contrapposizione assoluta tra mondo
latino e mondo germanico è saltata oggi come anche non è più accettata sostanzialmente l’idea di una
acculturazione dei barbari in una prospettiva evoluzionistica per cui la diffusione del cristianesimo per
molto tempo è stata anche come civilizzazione di popolazioni rozze portando quindi un miglioramento
culturale e soprattutto etico-morale. Questa immagine derivava da un'accettazione troppo passiva
dell'atteggiamento delle fonti altomedievali, prodotte da monaci che erano stati o i protagonisti di
questo processo o i diretti discendenti dei risultati di questo processo.
All’interno di queste fonti si elabora il concetto di paganesimo, come un sistema religioso riferito a
qualunque credenza politeistica (romana o germanica legate dal concetto di superstizio). Anche
quest’idea che esiste un solo paganesimo deve essere ovviamente ridimensionata in aspetti molto più
dinamici. A questa concezione di un paganesimo statico si contrappone una concezione più dinamica: i
barbari hanno elaborato i modelli romani e di cui il cristianesimo era parte integrante e viene elaborato
e integrato attraverso forme originali. In questa prospettiva si inserisce la diffusione dell'arianesimo tra
il IV e il V secolo presso ostrogoti, visigoti e vandali. Questo fatto conferisce un ulteriore elemento di
identità nazionale da contrappore a quella romana.
L’azione di evangelizzazione perpetrata dai monaci non è stata uno sradicamento delle credenze
precedenti, ma si è trattato di un lavoro di unificazione delle pratiche religiose diffuse nell’Impero.
Quando nell'agosto del 476, l'esercito romano formato prevalentemente da barbari proclama rex
Odoacre (alto ufficiale dell'esercito romano barbaro che depone Romolo Augustolo). Anziché nominare
un nuovo imperatore di sua fiducia (come era stato fatto molte volte precedentemente), Odoacre
sceglie di inviare le insegne imperiali occidentali a Costantinopoli all’imperatore d’Oriente Zenone,
ponendo di fatti fine all’impero romano d’occidente (che ormai non aveva più senso nella propria
esistenza essendoci stata ormai una frammentazione politica; inoltre era già uso nominare
formalmente un imperatore ma il suo potere era di fatto svotato di reale autorità).
Per questo motivo l'anno 476 segna il passaggio dall'antichità al medioevo.
La deposizione di Romolo Augustolo di fatto è passata inosservata ai contemporanei, che non la vissero
e non la ritennero un episodio significativo.
L'etnogenesi: processo di formazione di una identità etnica.
Sulle cause della caduta dell'Impero Romano sono stati versati fiumi di inchiostro. Esistevano, fino a
poco tempo fa, più certezze sul piano dei fatti piuttosto che dei protagonisti. È un dato di fatto che,
dopo aver premuto a lungo sul limes che seguiva il corso dei fiumi Reno e Danubio, tra fine IV e inizio V
sec. i barbari invadono la parte occidentale dell’impero dando vita a nuove realtà politiche, che sono i
regni romano barbarici.

Sono stati dati in merito giudizi opposti: invasioni o migrazioni di popoli?
Questa duplice possibilità di considerare un dato di fatto ha gravato sulla storiografia europea
di ‘800 e ‘900 anche con risvolti politici molto importanti. Se nella storiografia italiana e
francese si è teso a considerare gli spostamenti dei barbari come delle invasioni armate
(secondo una visione latina); viceversa, nelle storiografie tedesche, olandesi e in genere le
storiografie nordeuropee non si parla di invasioni ma di migrazioni e quindi con connotazioni
meno drammatiche senza la responsabilità e l’accusa di essere stati causa della fine dell’Impero
Romano.

I barbari hanno ucciso la civiltà antiche o le hanno infuso una linfa nuova che ha prodotto
situazioni originali? Le risposte diverse a queste domande non hanno mai messo in discussione
un’idea di base ovvero che si fossero confrontate in quel momento due diverse civiltà: la
romanità dai una parte e il germanesimo dall’altra. Dalle varie modalità di intreccio sono poi
nate le nazioni moderne e proprio per questo motivo lo studio dell’alto medioevo è stato molto
importante per le storiografie nazionali tra ‘800 e ‘900. Recentemente, anche in reazione a una
serie di varianti razziste di tali racconti delle origini diffusi nella prima metà del ‘900, questo
dualismo è stato rimesso in discussione. Questo discorso della contrapposizione tra
germanesimo e latinità ha portato a esiti terribili durante la Seconda guerra mondiale con
l’affermazione del nazionalsocialismo (visione idealizzata la visione della missione del popolo
tedesco) (estreme conseguenze delle teorie razziali rispetto alle etnie dei popoli: per i tedeschi
l'etnia unica è caratterizzata dallo stesso sangue e differenziata da altre razze). Dopo la
Seconda guerra mondiale il concetto di etnia è rimesso in discussione mediante il concetto di i
etnogenesi (processo di formazione dell’identità etnica dei popoli). L’idea di fondo è che i
popoli, nella propria identità, non sono entità naturali date ma sono prodotti culturali di
processi evolutivi sviluppatesi nel corso del tempo, di scontri e incontri ricombinazione di tanti
popoli. Le origini quindi non spiegano l’identità, un’etnia si definisce come prodotto culturale e
non razziale. Ciò che dà identità ad un'etnia è la lingua, la tradizione, i costumi, i modi di
organizzare la giustizia, i modi di gestire la propria memoria storica, i valori condivisi. Tutto ciò
muta nel tempo, ma può derivare dall'incontro con altre popolazioni o trasformarsi. Questa è
precisamente la acculturazione. Oppure può mutare attraverso le decisioni e le azioni dei
leader (politico-religiosi) che ogni etnia ha. Gli stessi individui non hanno un'identità etnica
fissa, che appartiene loro da quando sono nati, ma possono assumere identità diverse nel corso
della propria vita, a seconda che siano o meno scelte consapevoli.
Le etnie non sono esclusivamente delle comunità create artificialmente. Molti degli elementi
costitutivi dell'identità affondano le radici nella storia del suo popolo e nell'azione dell'élite
di uno specifico popolo, cioè quelli che vengono chiamati dagli studiosi dell'etnogenesi i
"nuclei di tradizione". È a partire da questi elementi che si coagulano individui di varia
provenienza e si vengono a creare delle nuove identità collettive, per esempio attraverso
elaborazione e condivisione di una storia comune più o meno mitica e di regole intorno a cui
si riconosce la comunità.
Etnogenesi dei barbari.
Per poter comprendere al meglio l'etnogenesi dei barbari, un tassello importante è stata la presa di
coscienza del fatto che tutte le notizie sulla loro storia provenivano da storici romani (Cesare, Tacito,
Ammiano Marcellino). È piuttosto complicato distinguere i pregiudizi letterari di questi autori dalle
concrete caratteristiche di questi popoli che loro descrivevano. Nell'elaborazione del concetto di
etnogenesi dei barbari è ovvio che c'è una presa con le molle nei confronti delle fonti scritte sulle origini di
questi popoli. Così come vanno presi con le molle le testimonianze fornite dai chierici barbari che scrivono
dopo la formazione dei regni romano-barbarici (Paolo Diacono, Beda il venerabile, Iordanes, Gregorio di
Tour). Questi scrivono tutti intorno al VI secolo, quando la presenza barbara era più che affermata; inoltre,
sono tutti dei religiosi, quindi l'ideologia di riferimento è nettamente mutata. Quindi, il poter determinare
l'etnia barbarica solo attraverso questo tipo di fonti ci porta ad una non comprensione della stessa.
Le narrazioni di questi storici barbari sono volte a creare un'identità collettiva cristianizzata piuttosto che
delle accurate vicende storiche di quei popoli.
Dall’inizio dell’era cristiana i popoli barbarici si sono sempre formati in relazione con Roma, attraverso un
processo che possiamo raffigurare come un'interazione fra centro (Roma) e periferia (barbari).
I barbari e le loro élite volevano trarre beneficio dalle risorse di Roma e il modo più efficacie di farlo era
quello di accentuare le proprie capacità militari: questo gli permetteva spedizioni militari che portavano
bottino oppure tributi.
Inoltre, questa accentuazione dell'attitudine militare rispondeva bene anche al bisogno di soldati per
l'esercito dell'impero. Poiché interno dell’impero vi era una sempre più scarsità di manodopera nelle
campagne e poi attraverso la diffusione del colonato (condizione degli agricoltori vincolati per legge ai
rispettivi fondi), ciò aveva spinto gli imperatori romani a reclutare i legionari dell’esercito romano a in aree
periferiche e tra i barbari. Cosicché molti barbari vengono accolti nell'esercito: dapprima individui, poi
sempre più in gruppo, producendo una barbarizzazione dell'esercito. Peraltro, i soldati barbari, al termine
del servizio, avevano due possibilità: o restare nell’Impero assimilandosi ai cittadini o tornare nelle terre
d’origine dove vi portavano stili di vita appresi durante anni di servizio. Le stesse riscorse economiche e il
prestigio accumulato dagli ex legionari contribuiscono alla voglia di intraprendere questo tipo di carriera,
esaltando sempre di più la loro capacità di guerrieri (essi si specializzano sempre di più come soldati). La
capacità combattente diventa una caratteristica dei barbari.
inoltre, questa sempre più crescente interazione con Roma, unita al fatto che costoro che tornavano
vedevano il gran prestigio degli ex legionari, fa sì che anche nella periferia dell'impero si diffonde sempre
più non solo oggetti, moda, tessuti, manufatti romani ma anche idee che i romani avevano dei barbari e che
i barbari avevano dei romani. In questo complesso sistema di relazioni, i barbari tendono sempre più a
rappresentarsi con i termini in cui erano definiti dai romani e ricorrono e adottano gli stereotipi che erano
stati elaborati su di loro: forza, rozzezza, purezza morale, impiegando dei materiali culturali romani per
ricostruire il loro passato e rielaborare i loro miti di origine.
L'Impero Romano, tradizionalmente, aveva un baricentro mediterraneo. I barbari stanziati oltre il limes non
erano considerati come nemici mortali, quanto un posto da cui attingere o per la manodopera militare o da
tenere tranquilli con il pagamento di tributi. Però, a partire dalla fine del IV sec questo equilibrio entra in
crisi in modo irreversibile in occidente. Sottoposti alla pressione degli Unni, le varie e autonome tribù dei
Goti che vivevano oltre il Danubio e che avevano già instaurato un rapporto di consuetudini con l'Impero
Romano, si trovano a dover scegliere tra il dominio degli Unni (come faranno gli ostrogoti ovvero i goti
orientali), altri fuggono gli Unni (come i visigoti ovvero i goti occidentali) e si stanziano in Tracia. I visigoti si
ribellano quando l'imperatore Valente non rispetta i patti relativi al loro sostentamento: avevano
abbandonato le loro terre d'origini e dipendevano dal sostentamento romano. Quando Valente non gli dà
più questo sostentamento entrano in guerra: nel 378 sconfiggono l'esercito imperiale nella battaglia di
Adrianopoli. Battaglia che ha avuto un enorme eco presso i contemporanei anche perché Valente viene
ucciso in battaglia (prima morte di un imperatore per mano dei barbari), inoltre per la prima volta un
popolo barbaro tratta con l’impero da una posizione di forza.
Il nuovo imperatore, Teodosio (sostiene il cristianesimo elaborato a Nicea), non riesce a trovare una
soluzione definitiva per i visigoti che rimangono un elemento destabilizzate nei territori imperiali (Tracia,
Pannonia, Illirico). Alla sua morte divide l’impero tra i figli arcadio e Onorio con definitiva divisione tra parte
occidentale e orientale. La crescente minaccia degli Unni diventa il principale motivo di preoccupazione per
l’Impero Romano soprattutto in Occidente, la minaccia unna si risolverà prima grazie al generale Stilicone,
poi grazie alla vittoria di Ezio presso i Campi Catalaunici nel 451 e definitivamente con la morte di Attila nel
453.
La concentrazione delle risorse romane contro gli Unni permette a molti altri gruppi di barbari di agire
indisturbati, perché ritenuti un pericolo di minore entità: i Visigoti, ad esempio, decidono di lasciare la
Pannonia guidati dal capo Alarico e dopo un lungo peregrinare arrivano addirittura a saccheggiare Roma
nel 410, occupando poi definitivamente il sud della Gallia. Per i contemporanei il saccheggio di Roma è
stato un evento ben più terribile rispetto alla deposizione di Romolo Augustolo.
Fatto che viene ritenuto più terribile per le sorti dell'Impero Romano è il passaggio, tra il 406-407, del limes
del Reno da parte dei Vandali, degli Svevi, dei Burgundi e dei Franchi. Proprio i franchi occupano gran parte
della Gallia e della Spagna.
Fonti: barbari e cristianesimo.
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Lettera 6 di Girolamo sui barbari:
« Non indugerò sulle calamità del momento. Essere nell’esiguo numero dei superstiti non è merito
nostro, bensì misericordia del Signore.
Popoli ferocissimi e innumerevoli occuparono ogni angolo della Gallia. I Quadi, i Vandali, i
Sarmati, gli Alani, i Gepidi, gli Eruli, i Sassoni, i Burgundi, gli Alemanni, i nemici di Pannonia
possiedono quanto si trova fra le Alpi e i Pirenei, fra il Reno e l’Oceano, tutto devastando in un
impero su cui non resta che piangere. “Poiché Assur è venuto con loro”. La nobilissima Magonza è
stata messa a ferro e a fuoco; nell’interno della sua chiesa la gente venne scannata a migliaia. La
splendida città dei Remi, gli Ambiani, gli Atrebati, quei più lontani Morini, gli abitanti di Tournay,
di Nimes, di Strasburgo vennero trascinati in Germania. L’Aquitania e i nove popoli della provincia
di Lione e di Narbona non sono, eccettuate poche città, che una sola devastazione dove si perisce
all’esterno di spada, all’interno di fame».
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Descrizione del sacco di Roma, sempre da Girolamo:
«Mentre così vanno le cose a Gerusalemme, dall’Occidente ci giunge la terribile notizia che Roma
viene assediata, che si compra a peso d’oro la incolumità dei cittadini, ma che dopo queste
estorsioni riprende l’assedio: a quelli che già sono stati privati dei beni si vuol togliere anche la vita.
Mi viene a mancare la voce, il pianto mi impedisce di dettare. La città che ha conquistato tutto il
mondo è conquistata: anzi cade per fame prima ancora che per l’impeto delle armi, tanto che a
stento vi si trova qualcuno da prendere prigioniero. La disperata bramosia fa sì che ci si getti su cibi
nefandi: gli affamati si sbranano l’uno con l’altro, perfino la madre non risparmia il figlio lattante e
inghiotte nel suo ventre ciò che ha appena partorito».
A metà del V sec larga parte dell’impero occidentale è occupata e controllata da eserciti barbari alcuni dei
quali danno una sorta di continuità alla propria presenza accordandosi con l’autorità centrale o locale
definendo meglio le proprie identità etniche. È in questo momento in cui dal percorrere terre alla ricerca di
bottino allo stanziarsi, questi popoli definiscono la propria etnia. Si trattava di raggruppamenti di guerrieri
che avevano la caratteristica di eterogeneità: i capi riuscivano sempre più ad attrarre nuovi fedeli nel
proprio seguito. Capi barbarici riconoscevano l'autorità suprema dell'imperatore e miravano a mantenere
in vita le forme di governo romane. In questo si procede ad una riorganizzazione di mantenimento
dell'esercito romano: l'hospitalitas.
L'oriente rimane, a differenza dell'Occidente, sostanzialmente indenne dalla furia barbarica e questo
contribuisce ad acuire la distanza tra le due parti dell'impero, concorrendo alla loro divaricazione. Da
questo punto di vista si arriva alla deposizione dell'ultimo imperatore nel 476 da parte di Odoacre. Basta
solo un imperatore, poiché in occidente governano i capi degli eserciti barbarici, che hanno sostituito le
legioni romane. La carriera di Odoacre illustra in maniera abbastanza chiara i caratteri di questa epoca
ambigua, nella quale i rapporti tra barbari e romani sono strettissimi e le distinzioni non sono poi così nette.
Odoacre stesso era di identità etnica incerta. Il padre aveva vissuto presso la corte di Attila per una ventina
d'anni. Quando l'impero unno crolla nel 453 con la morte di Attila, Odoacre entra al servizio dell'esercito
romano e fa un'importante carriera militare. Le sue capacità politico-militari fanno sì che sia possibile il
cambiamento di potere a Roma e il riconoscimento di quello di un vero e proprio golpe da parte
dell'imperatore Zenone. Odoacre, cercando di dare un'impressione di continuità, impiega uno stile di
governo strettamente romano: conia delle monete dove si fa raffigurare con l'epiteto di Flavius, chiede a
Zenone il titolo di patrizio, insomma si comporta in maniera molto romana non diversamente da come,
qualche anno dopo, farà il re ostrogoto Teodorico che dopo pochi anni sconfigge Odoacre e si impadronisce
dell'Italia, di una parte della Gallia e dell'Illirico. Teodorico che darà vita al regno romano barbarico proprio
in Italia dal 493.
Da questo punto di vista, i regni romano barbarici sono vari e abbiamo un primo esempio in Italia.
Nel 476 quindi non si sono affrontate due civiltà distinte e in contrapposizione: Roma aveva avuto un ruolo
importante nella costruzione delle identità barbariche. Inoltre, nel V sec i barbari erano parte integrante del
sistema romano. La romanità non viene distrutta dai barbari, ma viene meno malgrado i barbari. La
deposizione di Romolo Augustolo è un episodio secondario in relazione a questo mutamento di scenari.
Consideriamo il 476 come la data di inizio del medioevo solo se consideriamo questa data simbolica, cioè
come il passaggio da un sistema a un altro.
Il mondo romano aveva una serie di caratteristiche tra cui l’omogeneità delle istituzioni e delle strutture
economiche e sociali. Le tasse permettevano di dare uno stipendio all’enorme esercito di professionisti, ai
burocrati, di mantenere la città di Roma, di garantire sicurezza e ricchezza ai senatori. Il lento e graduale
deterioramento dell’impero fino al suo crollo nella parte occidentale vede venir meno nel corso del V sec.
tutti questi elementi (si interrompe il processo di pagamento delle tasse, l’esercito sempre più retribuito
attraverso il possesso della terra - ogni guerriero deve provvedere al proprio armamento - le città
diventano più piccole, l’amministrazione diventa sempre più semplificata, il ceto senatorio diventa sempre
meno incisivo e si contrae e viene sostituito da una nuova aristocrazia più debole, meno colta, più
militarizzata). Non essendoci più l’omogeneità imperiale inizia un processo di regionalizzazione (contesti
sempre più locali e non internazionali). Di fatto, alla fine del V secolo, solo in occidente quindi inizia un
nuovo periodo storico, che definiamo medioevo caratterizzato da un mutamento di prospettiva essendo il
mediterraneo non più il centro dell’attenzione, ma è sempre più al centro la realtà locale.
Quali sono i regni romano-barbarici in Europa?
Come sono organizzati e strutturati quindi i regni romano barbarici? I barbari interagivano da secoli con
Roma, a muoverli era la volontà e la brama di godere dei benefici della civiltà romana. I nuovi re cercano di
imitare gli imperatori romani e cercano di tenere in vita le strutture politico-amministrative di Roma. I
barbari però avevano un altro tipo di cultura e altri valori rispetto a quelli senatori romani. Quindi, avviene
un cambiamento profondo delle forme di vita. Inoltre, in molte zone dell'occidente, le devastazioni della
guerra danno un colpo di grazia alle strutture romane. Quindi, molti regni romano-barbarici si devono
costituire su basi nuove e da qui deriva la tensione tra la riproposizione di modelli romani e delle
trasformazioni strutturali che impongono gioco-forza il rinnovamento della politica e della società. Vengono
elaborate delle soluzioni che sono differenti a seconda dei vari contesti regionali, sebbene i re romano
barbarici avessero alcuni obiettivi comuni come: creare istituzioni stabili, avere a disposizioni eserciti forti,
fornire un’identità comune ad eserciti molto compositi cercando di creare un popolo da quello che è una
compagine molto diversificata (questo avviene attraverso l’elaborazione di racconti delle origini ad esempio
e produrre delle leggi che siano comuni). Questo è propriamente il processo di etnogenesi.
Un altro problema dei nuovi re è quello di provare a far convivere le élite locali romane con i nuovi venuti,
grande problema in quanto la classe senatoria romana era cristiana e deteneva il controllo dei seggi
episcopali quindi la questione sia complica con intrecci che riguardano anche le scelte religiosi dei barbari
che solitamente sono pagani o ariani; al contrario dei romani d'Occidente che ormai erano niceni.
Inoltre, come ulteriore complicanza, le aspettative delle élite guerrieri e quelli delle dinastie che si
proponevano come regnanti differiscono almeno su due punti. I re cercano di costruire solidamente
l’istituzione monarchica rendendo ereditario il potere (obiettivo rispetto al quale il modello è quello
romano anche nella ricerca di uno stile di vita e status aristocratico), mentre i guerrieri volevano
semplicemente un re forte dal punto di vista militare e in grado di guidare verso la conquista; inoltre, una
volta che si è raggiunta con successo la conquista, le élite guerriere si interessano al possesso di terreni
entrando in conflitto con l’aristocrazia locale (i re quindi devono trovare un accordo tra le due parti che si
contendono i possedimenti terrieri). Tutti questi problemi spiegano come molti di questi regni romano
barbarici siano state delle realtà effimere venute meno nel corso di qualche decennio.
impoverimento culturale-amministrativo dovuto alla contrazione del sistema scolastico.
Longo 29 aprile: Visigoti, ostrogoti, vandali, franchi Islam e tesi Pirenne
In questo quadro molto complesso sono tre i popoli che sostanzialmente hanno conosciuto maggior
successo e che hanno avuto una storia più lunga.
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I vandali di Genserico (passaggio del Reno tra il 406-407). Attraversando la Francia, la Spagna e lo
stretto di Gibilterra riescono a conquistare l'Africa occidentale, ricca regione che corrisponde
all'attuale Algeria e Tunisia. La conquista di Cartagine, nel 439, consegna a Genserico la flotta
romana e una provincia ricchissima dove si mantiene una macchina statale (prelevare tasse e fare
infrastrutture) che si poggia su una struttura che si basa sul possesso della terra. Lo scontro tra i
conquistatori e i vescovi è durissimo (soprattutto riguardo il possesso della terra) e questo scontro
causa anche la cattiva fama che caratterizza i Vandali: essi diventano, attraverso la
rappresentazione che ne fanno i vescovi, che ovviamente detengono il potere culturale, dei terribili
e violenti saccheggiatori molto più di quello che furono (e diventano sinonimo di distruttori
irrazionali). Questo spiega anche come i vandali rimangono irriducibilmente ariani, proprio in
funzione anti-vescovile. Nonostante le tensioni il regno rimase abbastanza stabile soprattutto per il
possesso della flotta che permette il secondo sacco di Roma nel 453 e in generale il regno fiorisce
proprio per la ricchezza dei territori conquistati. Il regno dura fino a quando i bizantini, su iniziativa
dell’imperatore Giustiniano, decidono di riconquistare la parte Occidentale dell’Impero romano in
una campagna 533-535 guidata dal generale Belisario che riporta l’Africa sotto il controllo
dell’Impero bizantino;
I goti di Teodorico, che si insediano nella penisola italica. I Goti erano un gruppo di tribù insediate a
nord del Danubio e che da tempo erano sottoposte all’influsso romano. Nella seconda metà del IV
sec. il vescovo Ulfila diffuse tra i Goti il cristianesimo ariano e traduce la Bibbia nella loro lingua. Ciò
che permise l’aggiunta di un nuovo elemento identitario che si esprime nel loro uso della lancia e
del combattimento a cavallo. Intorno al 370, per l’avanzata degli Unni che provenivano dall’Asia
centrale, una parte dei Goti, chiamati Visigoti (ovvero Goti dell’Ovest) si rifugiano in Tracia, mentre
gli Ostrogoti, ovvero i Goti dell’Est, accettano la conquista unna e solo dopo la morte di Attila nel
453 ritornano autonomi. Quando Odoacre depone Romolo Augustolo, l’imperatore Zenone spinge
il capo degli Ostrogoti, Teodorico (cresciuto a Costantinopoli come ostaggio), a recuperare l’Italia
formando il regno ostrogoto nella penisola italica. Ovviamente l’Italia era la zona più romanamente
viva dell’Occidente e dove l’aristocrazia senatoria continuava ad avere grande importanza a livello
di possedimenti così come l’episcopato. In Italia quindi i proprietari terrieri erano soprattutto locali
e non era possibile pensare ad un regno che li escludesse. Quindi l’iniziativa di Teodorico si basa
sostanzialmente sulla separazione dei due popoli perché la fusione si sarebbe risolta
nell’assorbimento dei Goti nei Romani. Ai Goti viene riservato il potere militare invece ai Romani
vengono date le cariche civili, la distinzione viene mantenuta anche rispetto alla religione nella
separazione tra arianesimo e cristianesimo niceno (vengono espressamente vietati i matrimoni
misti). In questo modo Teodorico cercò di nobilitare il proprio potere monarchico come punto di
contatto e di mediazione tra due comunità nettamente separate. Teodorico in queste operazioni ha
successo, continue a vivere il sistema delle tasse, la burocrazia, le città e sulle ville come unità
produttive agricole, avvia anche un programma di edilizia monumentale, commissiona
all’intellettuale romano Cassiodoro una storia dei Goti che doveva esaltare il prestigio e
sottolineasse la lunga dinastia di Teodorico ovvero quella degli Amali. Questo disegno di Teodorico
fallisce in quanto le aristocrazie senatorie romane continuavano ad ambire alla restaurazione
dell’impero e quando lui muore senza figli maschi si apre una fase di instabilità politica che
permette l’operazione di riconquista progettata da Giustiniano, l'imperatore dOriente. La terribile
guerra greco-gotica dal 535 al 553 mostra che il tentativo di creare un popolo da parte di Teodorico
aveva avuto successo perché i Goti proprio identitariamente entrano in guerra per difendere il
regno contro la riconquista dell'Impero Romano d'Oriente. La riconquista bizantina è di breve
durata in quanto una nuova e definitiva conquista da parte barbarica sconvolge nuovamente gli
assetti territoriali e si tratta dell’invasione longobarda che nel 568 danno vita ad una occupazione
non unitaria, ma sono presenti solo in alcune zone della penisola. A lungo questa occupazione
longobarda convive con parti dell’Italia ancora bizantine (corridoio bizantino).
Longobardi in Italia: pavia, Piemonte, toscana, si creano il ducato di Benevento e Spoleto.
L'occupazione longobarda convive per lungo tempo con la presenza bizantina nella costa adriatica
(esarcato di Romagna e marche del nord. Prende il suo nome dall'esarca, rappresentata
dell'imperatore in Italia), puglia, Calabria, Sicilia, ducato di Napoli e Roma.
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I visigoti, dopo la vittoria ad Adrianopoli, vagano per i territori dell’Impero ed infine si stanziano
nella Gallia del Sud grazie ad un patto con l’Impero invadendo in seguito la penisola iberica.
Combattono al fianco dei romani contro gli svevi, gli alani e i vandali. Creano un regno che ha come
capitale Tolosa.
Il regno visigoto è una costruzione che dura ben due secoli. Inizialmente anche in questo regno vi è
una divisione netta tra le popolazioni locali e quelle conquistatrici. I vandali riescono anche a
resistere alle spedizioni giustinianee con piccole perdite territoriali. Con il re Leovegildo (569-589)
diventano cattolici. Questo fatto consolida la monarchia e permette la nascita dei concili a che
diventano il perno della vita politica visigota in cui cresce sempre di più l’influenza dei vescovi.
Proprio nel contesto dei concili che venivano periodicamente riuniti a Toledo si afferma il rito
dell’unzione dei re con l’olio sacro che serve a consolidare il potere dei re e dei vescovi richiamando
l’esempio dei re del popolo eletto tramandato dal Vecchio Testamento. Il regno visigoto finisce non
l’invasione islamica, nel 711 gli arabi varcano lo stretto di Gibilterra e travolgono il regno visigoto
che diviene parte del califfato arabo.
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I franchi sono un popolo che si forma sul basso Reno a contatto con le legioni romane. Quando
crolla il limes i franchi occupano la zona ad occidente del fiume Reno, detta Austrasia (a est, in
Gallia del nord). Crollano le strutture romane perché debole era in questa zona la presenza
aristocratica romana. Il re Clodoveo crea il più duraturo regno romano barbarico e rafforza la
dinastia Merovingia (nome che proviene dal leggendario capostipite della dinastia Meroveo).
Clodoveo si afferma inizialmente come capo dei franchi e poi vincendo un generale gallo romano,
Siagrio, che aveva dato vita a un regno nella Neustria (a ovest, in Gallia del nord). Nel 496 Clodoveo
si converte dal paganesimo al cattolicesimo direttamente senza il passaggio per l’arianesimo.
Questa scelta ha delle motivazioni anche nel fatto che nelle zone conquistate i franchi
rappresentavano una maggioranza nella popolazione quindi diventare cattolici non era una
minaccia per la propria identità etnica. La storia dei franchi di Gregorio di Tours racconta che vicino
a Poitiers nel 507 i franchi sconfiggono i visigoti di Alarico che fuggono e Alarico cade per mano
dello stesso Clodoveo. Gregorio di Tours interpreta la battaglia come uno scontro tra cattolici e
ariani, quindi abbracciata la retta fede Clodoveo non avrebbe tollerato che parte della Gallia (quella
del Sud) rimanesse in mano agli eretici ariani (Clodoveo può quindi presentarsi come liberatori dei
cattolici). In questo modo si pone fine agli scontri che per il possesso di quella zona andavano
avanti da un secolo. Tutto questo porta alla legittimazione del potere di Clodoveo anche da parte
dell’imperatore d’Oriente che lo nomina console. Avviene una politica di integrazione tra
aristocrazia gallo-romana e aristocrazia franca senza rigide separazioni. La dinastia dei merovingi
rimane saldamente al potere fin quando nel 751 un vero e proprio colpo di stato da parte di Pipino
il Breve che era un maestro di palazzo della dinastia merovingia spodesta il re e con l’avallo dei
vescovi e del papa viene riconosciuto questa sua presa di potere cambiando la dinastia dai
merovingi ai carolingi (chiamati così da Carlo Magno, esponente più importante della dinastia).
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Conversione dal paganesimo al cristianesimo;
Ricerca del consenso e riconoscimento imperiale;
Raccolta delle leggi dei franci (leggi saliche);
Convoca il primo concilio di tutta la chiesa delle Gallie a Orleans nel 511.
Si compie l'espansione e l'etnogenesi del popolo franco, cioè il processo di costruzione dell'identità
etnico-culturale del popolo barbarico.
La vittoria di poiters gioca a favore dei franchi e della loro espansione.
Per quanto riguarda l’islam. Se durante l’età romana il Mediterraneo era stato un fattore di
unificazione, nel VII sec si appresta a diventare un fattore di divisione tra il polo latino, quello
greco-bizantino e quello dell’Islam. Lo storico Henri Pirenne è autore di una celebre tesi riguardante
la questione araba e la formazione dell’Europa secondo la quale le invasioni barbariche non hanno
alterato in maniera stravolgente i caratteri fondamentali del mondo romano, perché le città
continuarono a rimanere centri di scambio economico e di vita amministrativa e il Mediterraneo
continuò ad essere elemento di unità. Quando avviene l’espansione dell’Islam, si verifica la fine
dell’unità del Mediterraneo e lo sviluppo di un’economia basata sempre di più sull’agricoltura e
sempre meno sugli scambi commerciali. Questa tesi oggi non più seguita ma alla quale si riconosce
il merito di aver individuato la centralità dell’Islam nella formazione dell’Europa. Le obiezioni a
questa tesi sono che il sistema urbano era già in crisi prima dell’arrivo degli arabi e che i commerci
tra le diverse rive del Mediterraneo continuarono anche se ridotti soprattutto per alcuni prodotti
come il papiro e l’oro.
Longo 5 maggio: Carolingi, la signoria rurale, il feudalesimo
La creazione del regno dei Franchi da parte di Clodoveo
Inizialmente non era presente un organismo politico unitario ma tanti piccoli aggregati che si formano tra
IV e V sec tra il basso Reno e la Scheda e che sono guidati da capi militari.
Clodoveo, re dei franchi Sali ed iniziatore della dinastia Merovingia (dal mitico antenato Meroveo), unifica
tutti questi aggregati della Gallia romana ad esclusione della Provenza attraverso due tipi di azioni:
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elimina la presenza romana in maniera definitiva. Era rimasto solo il regno di Siagro che aveva
come capitale Soissont. Clodoveo lo sconfigge e conquista questo regno;
si scontra con le popolazioni germaniche in Gallia o scacciandole o attraverso azioni di protezioni.
Scaccia i visigoti dall’Aquitania, combatte contro Teodorico, alemanni e visigoti, ingloba tra i suoi
possedimenti il regno dei Burgundi e il regno dei Turingi.
In questo processo avviene la fusione tra gli elementi aristocratici gallo-romani con le élite franche
attraverso l’episcopato cattolico in virtù della rinuncia al politeismo pagano e della conversione di
Clodoveo nel 496 ad opera del vescovo Remigio eliminando ogni incomprensione tra le due
aristocrazie come invece avveniva tra i romani e le popolazioni di fede ariana.
Nel processo di costruzione di un nuovo ceto dirigente, l’aristocrazia franca impara anche a dare stabilità
alle clientele armate che ha intorno a sé e all’attività di fondazione di chiese e monasteri. Mentre la
compagine romana comincia sempre di più ad assumere lo stile militare dei franchi. In questo modo anche
l'episcopato si va modificando, sempre più scelto dal re tra i laici del suo seguito.
Gregorio, vescovo di tours, scrive la storia dei franchi presentando la figura di Clodoveo come un nuovo
Costantino.
Quando Clodoveo muore, l’influenza dei vescovi porta ad un progressivo abbandono dei modelli germanici
e ad una struttura dell’ordinamento pubblico diviso in contee ovvero distretti governati da conti che sono i
rappresentanti del re (“comes” ovvero compagno) e si occupano dell’amministrazione per conto del re.
Alla morte di Clodoveo rimane comunque una concezione patrimoniale dello stato che è caratteristica della
concezione franca. Il regno viene suddiviso in quattro parti per i quattro figli di Clodoveo anche se
l’unitarietà del regno è garantita dalla concentrazione delle quattro capitali (Reims, Parigi, Orleans e
Soissons) nella stessa regione intorno alla Senna.
I quattro regno sono:
 la Neustria (regione in cui maggiormente avviene il processo di fusione tra franchi e gallo-romani, tra la
loira e la senna),
l’Austrasia (regione indirizzata verso il cuore della Germania dove le tradizioni germaniche sono più forti),
l’Aquitania
Borgogna (ex regno dei burgundi).
Il vantaggio di questo tipo di spartizione consiste nell’evitare lotte fratricide, il limite è il rallentamento del
processo espansionistico franco.
L'inevitabile concorrenze degli indirizzi politici si viene restringendo nel VII sec in una lotta per l’egemonia
tra Austrasia e Neustria attraverso i maestri di palazzo dei due re.
Vincono i Pipinidi di Austrasia con Pipino II di Heristal che dal 687 a 714 è l’arbitro assoluto del potere tra
Austrasia, Neustria e Borgogna mentre l’Aquitania diventa sempre più indipendente. Il successore di Pipino
II è Carlo Martello che estende il potere ad altre zone in particolare Alemagna, Turingia e Frisia e nella
battaglia del 732 a Poitiers arresta l’espansione araba che aveva travolto i visigoti in Spagna. Questa vittoria
porterà grande prestigio a Carlo Martello anche come campione della cristianità. Morendo Carlo Martello
nel 741 secondo l’uso patrimoniale franco divide il regno tra i propri figli (e non lasciando tutto al maggiore
di essi secondo l’uso del maggiorascato) Carlomanno (Austrasia, Alemagna e Turingia) e Pipino il Breve
(Neustria, borgogna e Provenza).
Carlo Martello (morto nel 743) quindi nel corso della propria vita si comporta esattamente come un re
essendo invece un maestro di palazzo. I maestri di palazzo assumono sempre più influenza e prestigio
essendo molto forti da un punto di vista militare. Per un periodo Carlomanno e Pipino il Breve non
riescono a vincere le opposizioni aristocratiche che vogliono sul trono un discendente della dinastia
merovingia ovvero Childerico III. Carlomanno abdica, si fa monaco a Montecassino e nel 750 Pipino prende
il potere.
Secondo la tradizione Pipino avrebbe scritto una lettera al papa Zaccaria in cui veniva chiesto se fosse
giusto che ad essere considerato re era chi deteneva il potere solo formalmente o se dovesse essere re chi
deteneva il potere effettivo ricevendo da parte del papa risposta affermativa rispetto alla seconda ipotesi
(riconoscimento e quasi legittimazione di un vero e proprio colpo di stato). Nel 751 avviene attraverso
l’ottenimento dell’assenso pontificio lo spodestamento dell’antica stirpe merovingia. Childerico III viene
rimosso.
Il papa unge volentieri i Pipinidi come re perché aveva necessità dell’aiuto dei franchi contro i longobardi.
Nel 754 papa Stefano II replica la cerimonia di unzione di Pipino riconsacrandolo dando vita quindi ad una
stretta unione tra papato e franchi in funzione anti longobarda.
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Fonte
Il potentissimo signore Pipino fu innalzato al trono per autorità e comando del papa
Zaccaria di santa memoria, per unzione del santo crisma ad opera dei beati vescovi della
Gallia e per elezione di tutti i Franchi. Dopo tre anni, per mano del pontefice Stefano, nella
chiesa dei beati martiri Dionigi, Rustico ed Eleuterio – dove è arcivescovo e abate il
venerabile Fulrado – in un solo giorno fu unto e benedetto re e patrizio, nel nome della santa
Trinità, insieme con i figli Carlo e Carlomanno. Nello stesso giorno, in quella stessa chiesa
dei beati martiri, il pontefice benedisse con la grazia dello Spirito Santo la sposa del re
potentissimo, la nobilissima Bertrada – devotissima e zelante del culto dei martiri – vestita
dei paramenti regali.
Contemporaneamente fortificò con la grazia dello Spirito Santo i principi dei Franchi e fece
a tutti loro divieto, pena la scomunica, di scegliere mai, per il futuro, un re di discendenza
diversa da quella di coloro che la misericordia divina si era degnata di innalzare e che su
intercessione dei santi apostoli – aveva voluto confermare e consacrare per mano del
beatissimo pontefice, loro vicario.
Clausola per l’unzione di Pipino, SS 15/1, p. 1.
Il papa unge volentieri i Pipinidi come re perché aveva necessità dell’aiuto dei franchi contro i longobardi
che lo minacciavano nel ducato di Roma. I longobardi spingono in Italia per creare un regno. Nel 754 il papa
Stefano II replica la cerimonia di unzione di Pipino riconsacrandolo dando vita quindi ad una stretta unione
tra papato e franchi in funzione anti-longobarda. I franchi diventano il nuovo popolo eletto come protettori
della Chiesa e si ape la strada di questa dinastia verso la supremazia in occidente.
Il re longobardo Astolfo era impegnato a togliere ai bizantini i possedimenti in Italia. Nell'anno 751 aveva
conquistato Ravenna e il ducato di Spoleto minacciando molto da vicino Roma provocando il viaggio del
papa in Francia in cerca di aiuto da parte di Pipino. In occasione di quel viaggio dovrebbe essere stata
formulata una promessa da parte di Pipino, detta "promissio carisiaca" ("promessa fatta a carisium", si
sarebbe impegnato a riconoscere i territori dell'Italia centro-meridionale). Questa promessa, però è
riportata solo nelle fonti del papa. Non sappiamo nemmeno se nelle trattative fu fatto riferimento al
famoso Constitutum constantini (donazione di Costantino, scoperto come falso da parte di Lorenzo Valla). È
proprio in questo periodo, metà VIII secolo, che si forma la tradizione del constitutum constantini
(Costantini si sarebbe impegnato a dare l'Italia e l'Occidente al papa di Roma).
Nel 755 Pipino scende in Italia e nella battaglia della chiusa di San Michele sconfigge i longobardi
costringendo Astolfo a rifugiarsi a Pavia e ad arrendersi. Dopo la promessa fatta da Astolfo di cedere al
papa Ravenna e i territori bizantini, Pipino ritorna in Francia. Però, rimangiandosi la promessa costringe
Pipino a fare nuovamente ritorno in Italia infliggendo una nuova sconfitta donando alla Chiesa di Roma i
territori bizantini.
Il re longobardo Desiderio inaugura una politica di distensione e di amicizia con i franchi facendo sposare le
sue figlie ai figli di Pipino. Ermengarda sarà poi ripudiata da Carlo Magno, da cui la tragedia del Manzoni.
Verso la metà del IX sec il monaco anglosassone Bonifacio cerca di convertire i frisoni e i sassoni, questa
azione di conversione avviene in accordo con papa Zaccaria e si viene definendo l’opera di evangelizzazione
anche dal punto di vista amministrativo attraverso la creazione di distretti ecclesiastici che facevano capo a
sedi fortificate che diventano sedi vescovili.
Le origini del feudalesimo e dei rapporti vassallatico beneficiari come base della potenza della famiglia
pipinide.
La forza dei Pipinidi si basa essenzialmente sulla capacità di usare delle clientele armate che finiscono per
costituire un vasto aggregato che si sovrappone all’apparato monarchico merovingio, consentendo a Pipino
il Breve di spodestare il sovrano merovingio senza incontrare resistenza. I maestri di palazzo Pipinidi
avevano potere militare rappresentato dal fatto che intorno alla figura del maggiordomo si aggrega un
insieme di giovani guerrieri chiamato “Trustis” oppure delle élite che avevano un comitato di uomini
armati.
Questi professionisti della guerra, finite le guerre di conquista vengono accasati dal re tra i suoi familiares in
cambio del servizio militare. L'ingaggio del guerriero avveniva attraverso avveniva con la cerimonia detta
dell’“omaggio” ovvero rendersi uomo di qualcuno in cui è fondamentale il vincolo di fedeltà personale tra
guerriero e signore. “Vassus” è un termine di origine celtica latinizzato che indicava il servitore e poi
adoperato per definire il cavaliere legato al suo signore da un vincolo di fedeltà. Questi guerrieri
combattono a cavallo e questo gli dà una potenza in più rispetto ai fanti. La ricompensa alla fedeltà ovvero
le terre concesse veniva chiamato “feudo” termine che in origine secondo la lingua franca significava
bestiame. Il feudo era un bene usato per sostenersi. Il temine latino per esprime il concetto di feudus è
“beneficium”.
Quindi, il legame vassallatico-beneficiario è questo patto tra il signore e un suo guerriero per cui attraverso
l’omaggio il guerriero presta fedeltà e in cambio ottiene un beneficio ovvero un bene di cui godere per
mantenersi (sé stesso, la famiglia, il cavallo e le armi). Molto forte è il vincolo di legame personale, un patto
personale.
Efficacia dell’armamento: questi uomini liberi (franchi= franco ovvero uomo libero) non erano solo forti
fisicamente, ma dovevano avere anche un buon armamento che non era più alla portata di tutti e di
qualunque uomo libero in quanto l’evoluzione della tecnica militare richiedeva un’armatura che costava
oltre 20 buoi da lavoro. L’attività militare diventa sempre più elitaria mentre tradizionalmente presso i
franchi qualunque uomo libero combatteva per il suo re. Si definiscono nuove tecniche di combattimento
come il combattimento d’urto a cavallo grazie all’introduzione della staffa di origine asiatica che cambia il
modo di combattere a cavallo, perché potendo inserire il piede nella staffa il cavaliere può reggere gli urti e
non è in pericolo di cadere da cavallo appena incontra resistenza. Siamo alla nascita della cavalleria
(protocavalleria).
Carlo Magno
Carlo Magno prosegue la politica espansionistica del padre e il suo dominio si impone su un territorio
vastissimo che comprendeva tutta l’Europa centrale, dalla Spagna al mare del nord fino al bacino inferiore
dell'Elba, al medio Danubio e all'Italia centrale. In più, erano sotto la sua influenza l'Italia del sud (rimasto
sotto il dominio del duca di Benevento), la Polonia, la Slovenia, l'Ungheria e la Croazia.
Campagne di Carlo Magno
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Campagna nell’Italia longobarda: dopo aver ripudiato la moglie, figlia del re longobardo, Desiderio
attacca i territori già consegnati al pontefice il quale (Adriano I) chiede l’intervento armato di Carlo
e nel 733 Carlo scende in Italia e sconfigge Desiderio, lo costringe a Pavia ovvero la capitale
longobarda e dopo 10 mesi di assedio lo fa prigioniero portandolo in Francia. Dopo aver vinto un
tentativo di rivolta operato dal figlio di Desiderio, Adelchi (che sarà costretto all’esilio presso la
corte d’Oriente), Carlo ottiene la corona di re dei longobardi → 774 diventa re dei longobardi, i
duchi longobardi accettano la sua corona e solo in un secondo momento (a seguito di una rivolta
degli stessi duchi) vengono immessi nel regno longobardo dei conti e vassalli franchi per aver
maggior controllo. Quindi anche in Italia iniziano i rapporti vassallatico-beneficiari, che rimpiazzano
i rapporti di casinghiato.
Concezione personale del potere: non è re di Francia e della Longobarda, ma re dei popoli "franchi"
e "longobardi".
Campagna contro gli Arabi: Carlo nel 778 conduce un corpo di spedizione oltre i Pirenei per
scacciare i saraceni o mori ovvero i musulmani di Spagna ma deve arrestare la campagna in quanto
dall’altra parte delle sue conquiste lo attaccavano i sassoni. Nella ritirata dalla Spagna avviene il
famoso episodio (linfa dei romanzi cortesi) della rotta dell’esercito di Carlo Magno a Roncisvalle. In
realtà, molti del seguito di Carlo Magno perdono la vita in quella occasione, tra cui il celebre
guerriero Orlando. L'Orlando che poi diventerà il protagonista dell'Orlando innamorato, una delle
tante declinazioni di questo filone dei romanzi cortese. Non sono stati tanto i saladini ad aver
causato la rotta, quanto un'avanguardia basca che assale i carolingi quando erano in ritirata.
Tra 801-13 condurrà nuova campagna in Spagna che si concluderà con un nuovo distretto chiamato
dai Marca Hispanica (marca: distretti amministrativi in zone strategiche ai confini dell’Impero).
Fronte settentrionale: per trenta anni Carlo combatte la resistenza dei sassoni a farsi convertire al
cristianesimo, essi cedono prima con la propria aristocrazia e poi anche con il popolo.
Difficoltà che Carlo incontra anche in Frigia (anch’essi sconfitti e incorporati nell’Impero) e con i
bavaresi (anch’essi sconfitti e incorporati).
Costruzione dell'ideologia del potere
Guidato dai suoi intellettuali imita Costantino (costruzione di un’ideologia del potere). Fonda una capitale
ad Aquisgrana ispirandosi a Costantinopoli e a modelli antichi per le forme degli edifici.
Nel frattempo, avviene una crisi di potere a Bisanzio. Nel 797 Irene prende potere accecando il figlio
Costantino VI. Nello stesso momento a Roma, nel 799, Papa Leone III è contestato dall’aristocrazia romana
che lo accusava di adulterio, aggredito mentre andava in processione a San Lorenzo in Lucina e
imprigionato nel monastero di Sant’Erasmo, portato in Germania grazie all’aiuto di Carlo ritorna a Roma
sotto scorta il 23 dicembre dell'800, dove è scagionato da un'assemblea di prelati dalle accuse che gli erano
state mosse. Due giorni dopo il processo e quindi il 25 dicembre nella Basilica di San Pietro, durante la
liturgia per la celebrazione del Natale, il papa incorona Carlo imperatore (fu chiamato Imperator e
Augustus). Primo impero nel medioevo.
Gli storici hanno discusso a lungo sulla paternità dell'iniziativa. È stata del papa o del sovrano carolingio?
Non è ben chiaro se è stata un'iniziativa della corte franca o del papa.
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Fonti
Carlo Magno è incoronato imperatore (800)
"Lo stesso giorno del santissimo Natale del Signore, quando il re, prima della messa, si alzò
in piedi dopo aver pregato alla confessione del beato apostolo Pietro, papa Leone gli pose
sul capo una corona e tutto il popolo romano acclamò: 'a Carlo, augusto, coronato da Dio
grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria'. E dopo che si furono cantate le lodi,
egli fu adorato dal pontefice al modo degli antichi principi, e deposto il titolo di patrizio, fu
chiamato imperatore ed augusto".
Annali Regi dei franchi
Il titolo di imperatore che Carlo avrebbe potuto ottenere da Costantinopoli (ritenuto unico depositario della
tradizione imperiale romana) gli viene invece conferito dal papa e provoca dapprima una reazione ostile da
parte di Costantinopoli (dove i sovrani di occidente erano considerati semibarbari). Nell’802, dopo vari
contrasti con l’Oriente, l’imperatore Michele I riconosce a Carlo il titolo di imperatore di Occidente in
cambio della cessione dell’Istria e della Dalmazia e della rinunzia da parte di Carlo ad ogni pretesa su
Venezia (che inizia ad acquisire la propria specificità).
L'ordinamento pubblico carolingio
Si trattava di un territorio vastissimo e differenziato nelle varie componenti territoriali che non poteva
esserci un ordinamento pubblico unico e omogeneo. Carlo Magno non aveva i mezzi né la volontà per
compiere una simile trasformazione giuridica.
Quindi, per quanto riguarda l’ambito del diritto privato rimangano in vigore gli ordinamenti già esistenti alla
costruzione carolingia; mentre vi sono dei cambiamenti per il diritto pubblico e per l’organizzazione
ecclesiastica.
In generale, si può parlare di un superamento dei regni romano barbarici anche se non si può
assolutamente paragonare alla complessità dell’ordinamento bizantino.
L'amministrazione centrale: la corte con tutti i funzionari era mobile spostandosi e garantendo un continuo
contatto con le realtà locali soprattutto nell’ambito delle regioni centrali (necessità di rapporti personali). Il
motivo di questo spostamento era la necessità di garantire i rapporti personali per affermare
continuamente la sua autorità.
Il palatium era la residenza personale del sovrano, dei suoi funzionari e dei suoi comites (i più intimi) è a
capo dell'amministrazione. In particolare, ci sono tre funzionari principali della corte carolingia e sono:
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l’arcicappellano (capo dei chierici del palazzo per gli affari ecclesiastici);
il cancelliere (ecclesiastico addetto alla redazione dei diplomi ovvero i documenti ufficiali emanati
da parte del re, delle lettere del sovrano e delle leggi);
il conte (o conti) palatino, cioè colui che è a capo dell’amministrazione della giustizia.
Tra questi vengono scelti i missi dominici cioè gli inviati da parte del sovrano che ogni anno (un
laico e un ecclesiastico) visitano le contee, le marche e i ducati per controllare l’operato dei vassalli.
I distretti territoriali dell'impero carolingio
Quando Carlo non stabilisce dei veri e propri regni da affidare ai figli (come nel caso dell’Italia) egli
tenta di creare veri e propri distretti con a capo funzionari pubblici con il titolo di “conti, che dovevano
amministrare la giustizia. Nelle terre di frontiera e nei distretti più delicati di punti di vista militare e di
confini dell'Impero, chiamati "marche", vengono posti funzionari chiamati per l’appunto “marchesi” (da
questo dipende il nome attuale della regione italiana). I distretti più grandi e con una più forte identità
etnica sono chiamati “ducati” e i rappresentati del suo potere sono i “duchi” (es. il ducato di Baviera).
Questi funzionari venivano reclutati sul posto e se necessario selezionati dai vassalli più diretti del re. I
conti, marchesi e duchi avevano tutti gli stessi compiti e concentravano nelle loro mani consistenti
territori, alcuni che gli provenivano dalla loro dinastia (allodi, cioè "di proprietà propria"), altri come
feudo (beneficio vassallatico). Sia che fossero allodi o feudi, venivano a diventare una proprietà sola. In
questa fase il sovrano non si opponeva al fatto che queste personalità tendevano a fondere in un’unica
proprietà le terre anche ottenute dal re in quanto l’interesse è indirizzato alla fedeltà. Venivano poi
controllati dai missi dominici che costituivano un fattore di equilibrio.
Longo 6 maggio
Le cause della crisi dell'Impero carolingio
Fondamentale è il privilegio di immunitas: si trattava di un privilegio che sottraeva al fisco le terre del
demanio imperiale; viene adottata in età merovingia e soprattutto in età carolingia per quanto riguarda
i monasteri e le chiese. Nelle terre immuni non poteva entrare nessun funzionario per riscuotere tasse,
compiere arresti o altri atti di polizia. Si creano delle isole di giurisdizione che sono sottratte al potere
del conte, del duca o del marchese ovvero chi esercita il potere pubblico.
L’attività legislativa veniva decisa in grandi assemblee annuali che si chiamavano “placiti” e che si
tenevano un paio di volte l’anno: una per i principali consiglieri e l’aristocrazia; l’altra a maggio aperta
anche per i consiglieri minori e ai vassalli regi. L’attività discussa ed elaborata nei placiti si traduceva in
“capitolari” ovvero leggi formate da brevi articoli circa l’ordinamento pubblico e l’organizzazione
ecclesiastica.
Organizzazione della politica ecclesiastica
Dal punto di vista teologico gli ecclesiastici di corte elaborano la concezione di un impero che di fatto
coincideva con la comunità cristiana, un impero retto dall’imperatore e dal papa. Dal punto di vista
concreto vescovi e abbati erano scelti dall’imperatore di buona levatura e competenti anche come
garanzia di un corretto funzionamento dell’ordinamento.
Le conquiste carolingie allargano di molto i confini dell’impero, inglobando nuove popolazioni spesso
pagane nelle quali dunque è importante portare il messaggio del cristianesimo.
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Province;
Diocesi;
Pievi.
È importante quindi l’attività dei monaci missionari che sono spesso monaci che vengono dalle isole
anglosassoni che si riversano nel continente e portano avanti la missione di evangelizzazione. Il
clero era invitato alla vita in comune ovvero a vivere secondo una regola comune → L’epoca
carolingia è l’epoca di un’importante riforma del monachesimo. In età merovingia erano sorti,
grazie all’azione dei monaci anglosassoni e irlandesi, nuovi monasteri grazie anche al sostegno della
nobiltà franca. Nel tempo, abbati e badesse erano scelti direttamente dalle famiglie nobili franche
con una decadenza della religiosità e del credo. Carlo avvia anche una restaurazione monastica che
trova la sua realizzazione con il figlio Ludovico il Pio. Benedetto d’Aniane, consigliere e figura
importante della riforma carolingia in quanto impose a tutti i monasteri la regola benedettina (Ora
et Labora), che non era ancora così diffusa in Europa. Solo a partire dal 817 il monachesimo
benedettino di diventare per antonomasia il monachesimo per eccellenza, nei secoli precedenti
molte erano le forme di monachesimo. Viene inoltre innalzato il livello culturale dei monaci e tutti i
monaci devono studiare e devono avere un minimo di formazione culturale e quindi oltre al trivio e
al quadrivio come principale materie dell’insegnamento medievale, essi devono conoscere i
rudimenti del canto gregoriano e delle leggi canoniche.
Carlo Magno sembra che abbia voluto estendere l’istruzione a tutta la popolazione, sollecitando i
rettori delle pievi ad aprire scuole rurali per i fanciulli. →Grande riforma anche in senso culturale
ovvero la cosiddetta rinascita carolingia. C'erano due problemi di fondo: il clero era meno conto
(perché preso dall'aristocrazia) e considerando il territorio c'erano differenze di lingua e di scrittura
(onciale, merovingica). La liturgia aveva profonde differenze da una parte e dall'altra dell'impero.
Stiamo parlando della "rinascita carolingia". Esisteva una Schola Palatina, una sorta di accademia,
ad Aquisgrana che era formata da ecclesiastici e di intellettuali che contribuivano all’istruzione dei
figli del sovrano e dei vassalli tra i quali Paolo Diacono autore della Historia Longobardorum,
Eginardo che scrive la biografia di Carlo Magno (vita Karoli).
Al centro del programma culturale della Schola c’è il recupero dei testi classici per imparare meglio
il latino e la fine del particolarismo grafico attraverso l’adozione di una nuova scrittura ovvero la
minuscola carolina che è alla base della nostra stessa scrittura; scrittura chiara e diffusa in tutto
l’impero e che permette una comunità unitaria di comprensione (koiné).
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Fonte: Ammonitio generalis
Ai sacerdoti. Anche di questo preghiamo la vostra benevolenza: che i ministri di Dio
ornino i loro altari con l’onestà dei loro costumi, sia gli ordini di osservanza canonica che le
congregazioni sottomesse alla regola monastica; li esortiamo a condurre una vita onesta e
degna d’approvazione, come Dio stesso prescrive nel vangelo: così brilli la vostra luce di
fronte agli uomini, che, vedendo le vostre buone opere, glorifichino il Padre vostro che sta
nei cieli, in modo che, attratti dalle vostre rette abitudini di vita, molti si dedichino al servizio
di Dio, e possiate raccogliere non soltanto i fanciulli di condizione servile ma anche i figli
degli uomini liberi. E si formino scuole di ragazzi istruiti. In ogni monastero e vescovado si
sottopongano ad accurati emendamenti i Salmi, le note, il canto, i calcoli matematici, la
grammatica e i libri cattolici: perché spesso alcuni, pur intendendo pregare Dio come si
conviene, pregano male perché i libri non sono corretti. E non permettete che i vostri allievi,
leggendo o scrivendo, alterino il testo; se fosse necessario scrivere un vangelo, un salterio
un messale, il compito sia affidato ad uomini di età matura che vi si dedichino con ogni
diligenza.
In questo chiaro e semplice c'è un importante programma di rinnovamento culturale, che parte da
una serie di problemi:
1) gente ignorante;
2) non c'erano scuole;
3) si devono sottoporre a emendamenti tutti i testi della religione cristiana. In ogni monastero si
copiavano i libri necessari per il servizio divino;
4) fortissima differenza liturgica;
5) il clero non sapeva leggere e scrivere e faceva degli errori terribili.
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82. A tutti. Dovete anche preoccuparvi, dilettissimi e venerabili pastori delle chiese di Dio,
che quei preti che mandate a governare le vostre parrocchie, e nelle chiese a predicare al
popolo a Dio devoto, predichino rettamente e onestamente; e non dovete permettere che
qualcuno di loro si inventi qualcosa di nuovo e non contemplato nei canoni, secondo la sua
fantasia e non secondo le Sacre Scritture, e lo predichi al popolo. Ma voi stessi predicate
cose utili, oneste e rette, che conducono alla vita eterna, e insegnate agli altri a predicare le
stesse cose.
Ammonizione generale, KK 1, cc. 72, 82 (789).
(B) 6. Riguardo invece la dottrina, che per l’eccessiva incuria e l’apatia di qualcuno dei
preposti in ogni luogo viene del tutto meno, piacque che come è stato da noi stabilito così
sia osservata da tutti. È evidente che da coloro che per nostro ordine sono stati comandati
per insegnare agli altri nei luoghi designati venga fornito il massimo impegno, in modo che
a loro giovino le imprese scolastiche e si dedichino alla dottrina, come l’attuale necessità
sollecita vivamente. Per convenienza tuttavia di tutti provvediamo a questa pratica
separatamente nei luoghi più opportuni, affinché la difficoltà delle località site più lontano o
la povertà non sia giustificazione di nessuno. Essi sono: in primo luogo a Pavia presso
Dungal si riuniscano da Milano, da Brescia, da Lodi, da Bergamo, da Novara, da Vercelli,
da Tortona, da Aqui, da Genova, da Asti e da Como; a Ivrea lo stesso vescovo faccia questo
da sé; a Torino si radunino da Ventimiglia, da Albenga, da Vado e da Alba; a Cremona
apprendano da Reggio, da Piacenza, da Parma e da Modena; a Firenze si rivolgano dalla
Tuscia; a Fermo si radunino dalle città dello spoletino; a Verona da Mantova e da Trento; a
Vicenza da Padova, da Treviso, da Feltre, da Ceneda e da Asolo; tutte le restanti città si
radunino alla scuola di Cividale.
Capitolare di Corteolona, KK 1, c. 6 (825).
Sta formando il sistema scolastico.
La crisi dell'impero carolingio
In generale, si può dire che la crisi dell’impero carolingio che avviene dalla seconda metà del IX
secolo può essere circoscritta a tre livelli e ordini di problemi: dinastico, militare e ordinamento
pubblico
1. dinastico: di fatto si verifica un contrasto tra le forme di successione tipico del popolo
franco (spartizione del patrimonio paterno tra i figli) e il principio di successione imperiale,
che di per sé è indivisibile. Questo conflitto viene accentuato dai potenti aristocratici che
giocano un ruolo di destabilizzazione.
Successioni imperiale: Carlo divide l’impero secondo la maniera e la tradizione franca
nell’806 tra suo figlio Carlo (regno dei franchi e le conquiste orientali), Ludovico il Pio
(Aquitania), Pipino (Regno d’Italia e la Baviera). Carlo e Pipino muoiono e Ludovico
rimanendo l’unico figlio può ereditare tutto l’impero nell’814 (anno della morte di Carlo
Magno). Ludovico al suo primo genito Lotario consegna il titolo imperiale (Lotario mandato
in Italia dal padre impone al pontefice la Constitutio Romana, per la quale il pontefice oltre
ad essere eletto dal clero e dal popolo romano doveva anche prestare giuramento
all’imperatore prima di essere consacrato), a Pipino l’Aquitania e la Marca spagnola, a
Ludovico detto il Germanico la Baviera. Questo equilibrio non funziona e i tre figli si
ribellano al padre Ludovico, che li fronteggia allargando il fronte dei vassalli attraverso
benefici per avere alleati. Alla morte di Ludovico il Pio, Ludovico il Germanico e Carlo il
Calvo (che succede a Pipino) si ribellano al fratello Lotario, stipulano un patto giurato a
Strasburgo nell’842 (data importante in quanto Ludovico il Germanico fa giurare in lingua
tedesca; mentre Carlo il Calvo fa giurare il proprio esercito in francese → Giuramento di
Strasburgo: sappiamo che si parlavano delle lingue romanze differenti nelle varie regioni
dell’Impero. Si arriva al trattato di Verdun nell’843 con il quale Lotario deve accettare la
nuova divisione: la parte occidentale (Neustria, Marca spagnola e Aquitania) a Carlo il
Calvo; la parte orientale a Ludovico il Germanico (Corinzia, Baviera, Alemagna, Sassonia); a
Lotario rimane la parte centrale (Borgogna, Provenza e Regno Italico) dell’Impero
conservando, ma solo formalmente, il titolo imperiale.
Dopo la morte di Carlo il calvo, gli succede il figlio di Ludovico il Germanico detto Carlo il
Grosso che riunisce nelle sue mani nuovamente l’intera eredità carolingia ma a causa
dell’aggravarsi della situazione militare a seguito delle invasioni normanne Carlo il Grosso è
costretto a ritirarsi in monastero dove muore nell’887. Con lui ha fine la dinastia carolingia.
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2. crisi militare: dovuta a una nuova ondata di invasioni.
Dalla meta del IX sec arrivano nell’occidente europeo carolingio tre tipi di invasioni che costringono
ad una continua e costosissima allerta militare perché l’esercito è formato da vassalli a cui, in
cambio del servizio militare, vanno garantiti bene e possessi indebolendo il potere imperiale.
Saraceni da sud, nome utilizzato per indicare popolazioni di varia origine etnica accumunate dalla
conversione all’Islam. I saraceni sono dei musulmani, ma sono gente di varia origine etnica e che
proviene dall'Africa del nord. Dopo che l'espansione territoriale era stata bloccata dai sovrani
carolingi nell'VIII secolo con Poiters, l'unico accrescimento che aveva avuto l'islam era stata la
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conquista della Sicilia nell'827-902. Si tratta soprattutto di incursioni via mare di pirati che si
limitano a razzie sulla costa seguite da fughe veloci (una importante fu il saccheggio della basilica
vaticana nell'866), spesso queste incursioni diventano avamposti da cui partono altre incursioni,
come l'emirato di Bari o in Provenza. Questo stato di costante allerta e tensione militare porta ad
una sempre maggiore importanza dei guerrieri professionisti. Questa fase saracena tenda ad
esaurirsi nel secolo X.
Ungari (o magiari) da est, popolo nomade di cavalieri provenienti dalle steppe della Russia centrale
che combattevano a cavallo utilizzando un arco. Caratteristica che li rendeva temibili avversari,
attaccano per la prima volta i territori germanici nell’862 e diventano sempre più pericolosi con lo
stabilimento nella pannonia dove indirizzano spedizioni di saccheggio un po' in tutte le regioni
dell’impero; fase che si chiuse alla fine del X sec perché avviene una prima conversione religiosa
degli ungari e poi perché si ha una riorganizzazione importante del regno di Germania grazia alla
dinastia sassone degli Ottoni, nel 955 Ottone I sconfigge gli ungari nella celebre battaglia di
Lechfeld. Rispetto ai saraceni, le incursioni ungare produssero meno danni materiali rispetto a
quelle saracene. Normanni da nord. Svedesi detti rus che si indirizza come espansione verso Europa
orientale dando via a organizzazione politica e territoriale incentrata su Kiev, altri flussi verso
Islanda e Groenlandia ovvero terre disabilita, altre iniziative verso l’Europa condotte dagli uomini
del nord detti per l’appunto normanni o vichinghi che si dirigevano sia verso isole britanniche sia
verso il continente che grazie alle navi agili potevano risalire i fiumi.
Rollone, capo normanno in quadrato nel 919 nel sistema feudale carolingio
3. 910: crisi politico istituzionale e dissoluzione dell’ordinamento pubblico. Pluralità di poteri.
Alla base della debolezza del sistema carolingio vi era l’impossibilità di disporre dei mezzi
necessari da parte del sovrano per imporre efficacemente la propria volontà. I funzionari
non erano stipendiati e l’unica forma di pagamento era la concessione di terra cioè i feudi.
Crollato il prestigio dell’imperatore dopo la morte di Carlo magno, la situazione degenera
in quanto la fedeltà si basa sul prestigio personale del sovrano quindi di fatto si verifica una
rete di poteri locali in lotta tra di loro che è il contrario dell’immagine della società feudale
a forma piramidale. Tre attori principali che concorrono al proliferare dei poteri: conti
(trasformazione da comitato a contea), nel capitolare di Quierzy dell’877 emanato da Carlo
il calvo: stabiliva che la contea o il feudo doveva essere soggetta ad un'amministrazione
provvisoria quando un vassallo moriva in battaglia poteva lasciare il potere ad un figlio
(interpretato come diritto all’ereditarietà dell’ufficio), l’ereditarietà dei feudi minori sarà
concesso nel 1037 da Corrado II con la Constitutio de Feudis. Le aree dominate da conti e
marchesi si trasformano da circoscrizioni pubbliche a domini dinastici-signorili → gli storici
preferiscono quindi parlare di contee e marchesati e non più di comitati e marche. Si
formano le cosiddette signorie di banno1 (“esercizio di comando con prerogative di tipo
pubblico”). Se un tempo la causa della frammentazione dell’impero veniva attribuita ai
rapporti vassallatico-beneficiari minando all’ordinamento dal suo interno perché i feudi
sempre più erano considerati patrimonio personale ed ereditario, tuttavia il fenomeno
appare oggi più complesso e riguarda anche gli stessi conti che non riuscivano ad
1
Signorie di banno. Banno è un termine franco che significa potere di comando, con prerogative di tipo pubblico. Si
preferisce parlare di signorie di banno, cioè una signoria che esercita poteri di natura pubblica. Giustizia, difesa del
territorio, imposizione di carattere militare a prescindere che siano provviste o meno da una delega formale da parte
della monarchia. Si formano grandi signorie immunitarie, perché lo scontro tra poteri locali avveniva tra le signorie
monastiche e vescovi che avevano ricevuto immunità durante l'epoca carolingia. I signori laici tentano di esercitare i
poteri che avevano i conti; gli enti religiosi sviluppano la loro autonomia, liberandosi dai poteri laici. I conti vogliono
imitare l'autonomia dei signori.
esercitare un’egemonia sul territorio se non grazie a ulteriore rete di vassalli che non
dipendono dal re ma dal conte. Signori laici, signorie ecclesiastiche e conti.
Passaggio da età carolingia all’età signorile rurale dell'anno 1000 (fine età carolingia-xii secolo).
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Mutamento politico istituzionale: da una organizzazione unitaria basata sull’autorità regia,
esercitata da ufficiali di nomina regia e imperiale si sostituisce una molteplicità di centri autonomi
di poteri che sono patrimonio di singole famiglie (signori laici/ecclesiastici amministrano la giustizia,
richiedono prestazioni economiche, riscuotono imposte).
Mutamento sociale: mentre nella società carolingia gli uomini liberi erano un insieme omogeneo,
inseguito c’è una netta divisione tra chi ha il diritto di fare la guerra e chi non può. Diventano
sempre più importanti i guerrieri di professione.
Nascono nuove forme di prelievo della ricchezza del lavoro contadino, cioè aumenta la pressione
fiscale dei signori (mutamento economico).
Mutamento insediativo sul territorio, il paesaggio si arricchisce di fortezze e nuovi villaggi coagulati
intorno alla fortezza/ castelli.
Descrizione della signoria
metà XI secolo: cellula base dell'organizzazione sociale ed economica della società occidentale.
La denominazione nelle fonti è varia, si parla di “dominatus”, “districtus” etc. Gli storici italiani preferiscono
parlare di signoria rurale per distinguerla dalla signoria cittadina del tardo medioevo. Si tratta di una vasta
aria rurale in cui l’elemento saliente è il castello dove vive una parte della popolazione dei contadini e un
gruppo dei cavalieri che sono uniti al signore da un tipo di rapporto vassallatico-beneficiario. All’interno del
castello si trova il signore chiamato “dominus” e che vive assieme alla famiglia, ai servitori e ai suoi fedeli. Ci
sono tre tipi di rapporto con la terra: la riserva signorile diretta (parte di proprietà diretta del signore) che il
signore fa coltivare dai lavoratori della sua casa o da altri contadini che però devono al signore delle corvè
(giornate di lavoro obbligatori e gratuiti), terreni gestiti indirettamente ovvero terreni che pur appartenenti
al signori sono gestiti tramite rapporti di affitto o concessioni (in cambio dell’affitto si dovevano dare al
signore giornate di lavoro nella riserva stessa del signore ovvero le corvè più un canone di affitto costituito
o dai prodotti agricoli o da versamenti in denaro), le terre non signorili ovvero i terreni di piccole proprietà
dei contadini stessi, di cui sono i proprietari diretti i cavalieri legati al signori o dell’autorità ecclesiastica.
In generale il potere signorile si caratterizza per due caratteri fondamentali: il carattere territoriale
(tendenza ad estendere il proprio potere a tutti i residenti della zona e a tutti i beni fondiari, tendenza ben
esplicata dalla metamorfosi del termine “districtus” che diventa da diritto di costringere e punire a
territorio dove si esercita questo diritto) e “allodialità del potere” (chiamato così dallo storico Tabacco)
(nonostante l’esistenza iniziale di una dimensione pubblica di questi poteri si verifica un’assimilazione di
questi poteri come bene patrimoniale). Questo potere consiste nei compiti di difesa militare, di riscossione
delle imposte e di amministrazione della giustizia.
Longo 12 maggio
La costruzione del primato pontificio e i rapporti tra papato e impero
Due temi:
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La formazione della monarchia papale, con prerogative pubbliche. Processo che riguarda molti
secoli.
Formazione dello stato della chiesa.
Per la formazione dello Stato della Chiesa bisogna considerare che si parla di un periodo lunghissimo
che dall’VIII sec. arriva fino al XIX sec.
Prima della nozione di Stato della Chiesa si forma la nozione di patrimonialità. Nel medioevo centrale i
territori sui quali il vescovo di Roma ha una influenza, non solo di tipo religioso ma anche temporale,
prendono il nome di Patrimonium Beati Petrii. Le origini sono antiche e riguardano i “patrimonia” locali
che erano blocchi di proprietà fondiarie che la Chiesa di Roma aveva (lungo l’Appia, in Sicilia, in
Romagna) e dal cui sfruttamento si traevano le risorse per i rifornimenti alimentari per Roma. Roma,
come le città antiche in generale, era un luogo non di produzione economica ma soprattutto centro di
consumo che necessitava di continuo approvvigionamento. Quando nel V sec. crolla il sistema pubblico
romano (nel corso del V secolo e nel Vi con la formazione dei regni romano-barbarici),
l’approvvigionamento diventa un compito del vescovo di Roma. L’attribuzione al Santo è impersonale e
quindi evita l’identificazione con una persona fisica e quindi permette la conservazione e la
trasmissione nel tempo del Patrimonium. Anche a Roma, come nel resto della comunità cristiana, il
vescovo tra V e VI sec assume le prerogative di funzionario della res pubblica romana in quanto i
vescovi venivano di norma dalle antiche famiglie senatorie ereditando quindi i compiti delle autorità
civili. L’esempio più eclatante è sicuramente quello di Gregorio Magno, papa tra 590 al 604,
proveniente da una famiglia dell’aristocrazia senatoria e che di fatto assume tutte le funzioni cittadine
esautorando il duca bizantino che nominalmente era il legittimo rappresentate dell’autorità imperiale
nel ducato romano. Tra i vescovi il rapporto è decisamente orizzontale anche se il vescovo di Roma ha
un primato spirituale sugli altri essendo la sede di Roma fondata da Pietro. Il vescovo di Roma ha
primato spirituale e dogmatico. Inoltre, papa Gelasio I nel 494 sostiene il principio delle due autorità
che sostengono il mondo ovvero il potere imperiale e la sacra autorità dei pontefici → si riconosce
quindi una funzione universale al vescovo di Roma e una superiorità almeno in materia di fede. (il
termine pontefice nel corso dei secoli tende sempre più ad identificare il vescovo di Roma perché il
termine stesso indica un ponte tra la comunità e Dio).
Ruolo del Liber Pontificalis, fonte importantissima in quanto si tratta del libro in cui a Roma vengono
scritte tutte le biografie dei vari vescovi della città. La fonte riflette il punto di vista della sede romana.
La formazione del Patrimonium come rivendicazione di un’entità politico-territoriale è molto ben
evidente nella fonte. Il Liber registra con un linguaggio ambiguo nella terminologia tutte le acquisizioni
territoriali utilizzando il termine “donare”, “concedere” etc. Alcuni passaggi importantissimi sono: la
donazione di Sutri del 728 in cui il re longobardo Liutprando che aveva occupato il castello di Sutri lo
restituisce e lo dona ai santissimi Pietro e Paolo (inoltre, Sutri era già un patrimonio della Chiesa quindi
non si può considerare la donazione come un allargamento del Patrimonio ma è importante che viene
segnalato nel Liber che in questo modo comincia a formare il corredo di documentazione giuridico
servito poi da base per le rivendicazioni dell’autorità della Chiesa di Roma). È questo il periodo di
elaborazione di celebri documenti falsi, come la Donazione di Costantino, per rivendicazioni di tipo
territoriale.
Carlo Magno nel momento in cui viene incoronato ripete la promessa già fatta dal padre Pipino
(promissio carisiaca), Ludovico il Pio fa un vero e proprio pactum con papa Pasquale I nell’817 (Pasquale
esorta l’imperatore a difendere le cause di San Pietro). Di fatto si parla di restituire al papa una serie di
territori tra cui anche l’esarcato con capitale Ravenna. Ovviamente l’arcivescovo di Ravenna, figura
molto autorevole, non era incredibilmente entusiasta dell’essere sotto il controllo diretto del pontefice
(sede ravennate che non voleva essere inglobata nell’autorità di Roma). Fase quindi di rivendicazioni
che costituiscono dei tasselli su cui nel corso dei secoli si costruirà il primato pontificio.
Per l’alto medioevo sono soprattutto i sinodi e i concili che regolano le questioni ecclesiastiche. I re e gli
imperatori all’interno del contesto carolingio, nel quale il rapporto vassallatico era una struttura
fondamentale, ad avere una grande autorità in materia di religione e sui vescovi e abbati i quali sempre
di più sono legati a loro (e ai quali spesso sono attribuite anche funzioni di tipo amministrativo).
In questo periodo quindi bisogno considerare la Chiesa come una galassia di sedi più o meno autonome
che discutono le principali questioni riguardanti la religione attraverso concili e i re e gli imperatori
hanno una forte influenza.
Tra XIII e IX sec inizia un rapporto molto stretto tra Chiesa romana ed impero in Occidente proprio ad
iniziare dal momento in cui la Chiesa avalla il colpo di stato della dinastia carolingia a scapito della
dinastia merovingia.
Tra IX-X sec, periodo contrassegnato dalla dissoluzione dell’Impero carolingio. Si tratta di una Chiesa
fortemente legata all’amministrazione dei regni basti considerare l’istituto dell’immunità (le
prerogative del potere pubblico non funzionavano per territori come quelli delle abbazie o del
vescovato) e l’esenzione (ulteriore privilegio che riguarda soprattutto le abbazie per cui erano esenti in
tutto o in parte dalla giurisdizione diocesana ovvero dal controllo dei vescovi riconoscendo come
proprio vescovo direttamente il vescovo di Roma→ abbazia in questo modo legata alla Chiesa di Roma
che contrastava quindi il potere ei vescovi delle altre diocesi).
Durante la cosiddetta ottoniana (età in cui sono imperatori i dinasti degli Ottoni) (dal 962 al 1024) si
consente anche la ripresa di importanza della Chiesa di Roma. Non esisteva la figura del vescovo-conte,
il titolo di conte che riguardava vescovi dell’impero non giustifica l’ipotesi di una dipendenza
dell’episcopato dal regno ed è dovuto soprattutto alla necessità di evitare l’ereditarietà dei feudi. Si
tratta di un sistema di interrelazione tra controllo regio ed autorità ecclesiastica. Tuttavia, le aspirazioni
dell’imperatore non attecchivano a Roma dove bisognava fare i conti con le famiglie delle élite romane
che detenevano il potere. La sede romana quindi si trovava in una situazione di crisi dal punto di vista
religioso perché se il papa era sempre di più una carica a cui miravano le principali famiglie romane
rischiava quindi di diventare in questo modo una carica soprattutto politica a scapito delle funzioni
religiose. Ciò fa sì che gli Ottoni si sforzino nel riformare dal punto di vista religioso il clero. Il processo
della riforma della Chiesa dell’XI sec. inizia già con gli imperatori. Vengono quindi promossi al soglio
pontifico uomini fedeli all’imperatore e preparati da un punto di vista religioso e culturale (Silvestro II
papa protetto e amico intimo dell’imperatore Ottone III ed era anche un uomo di eccezionale cultura).
Nel corso dell’XI sec., a partire da Enrico III il controllo si estende anche a Roma. La sensibilità degli
imperatori alla riforma della Chiesa si attua concretamente anche nella sede romana. Ben 5 papi
tedeschi si succedono e sono tutti legati al trono imperiale. Enrico III si inserisce in un triplice scisma
deponendo i tre papi e imponendo un altro papa collegando Roma al potere imperiale. Si tratta di un
intervento considerato dalla storiografia cesaropapista ma che i contemporanei approvavano. C’era
una preoccupazione sincera da parte dell’imperatore nella direzione della riforma. (riforma della
Chiesa, non riforma gregoriana che fa riferimento a uno di questi papi ovvero papa Gregorio VII ma non
si può attribuire solo a lui un movimento che dura ben 50 anni). L’imperatore Enrico III poteva
intervenire nelle questioni della Chiesa perché continuava a mantenere quel titolo di patricius
romanorum che era già stato di Carlo Magno nel senso di protettore della Chiesa, inoltre l’imperatore
stesso era unto dall’olio consacrato e dunque poteva intervenire nelle questioni ecclesiastiche. (la
riforma della Chiesa quindi non è la lotta della Chiesa contro l’Imperatore, l’inizio parte proprio dal
potere imperiale seriamente preoccupati per la simonia e il nicolaismo -ovvero matrimonio o
concubinato del clero-, considerati i due mali più gravi).
Dopo questo periodo, il papato comincia gradualmente a svincolarsi dall’influenza della corte tedesca.
Enrico III muore nel 1056 e il proprio erede Enrico IV è un fanciullo e sarà quindi la madre a governare,
l’imperatrice Agnese e due arcivescovi della chiesa tedesca detengono il potere entrando in conflitto
con la Chiesa di Roma. Fase di contrasto su come condurre la riforma e su chi fosse la suprema autorità
universale. È in questo momento che con papa Niccolò II viene emanato un decreto nel 1059 che
stabilisce il ruolo dei cardinali per l’elezione del papa e non più dall’imperatore (cui viene lasciato una
semplice funzione onorifica) e dai laici. (si tenta di svincolare l’elezione del papa da qualsiasi altro
attore che non sia interno alla Chiesa di Roma) Inizia uno scontro tra papato e impero, scontro politico
ed ecclesiologico. 1059 decretum in electione papae: viene stabilito il ruolo dei cardinali per
l'elezione del papa.
Gregorio VII è eletto nel 1073 ed era stato a lungo nel gruppo di riformatori della Chiesa di Roma. Nel
1075 egli emana il Dictatus Papae→ si punta a formulare il primato della Chiesa romana con 27
formulazioni secche. Queste idee creano scandalo in quanto gli altri vescovi di sedi importantissime
sono invece abituati ad una gestione di autonomia. Il Dictatus comporta l’appropriazione da parte del
papato delle prerogative imperiali e spirituali, si riproduce una sorta di imitatio imperii.
Le lotte tra papa e impero per chi sia la suprema autorità in terra hanno un momento di composizione
nel concordato di Worms (leggere VORMS) 1122 tra papa Callisto II ed Enrico V che prevede che la
nomina dei vescovi spetta al papa ma l’imperatore può dire la sua soprattutto nella nomina dei vescovi
dei territori della Germania (ma maggiormente servivano nella fedeltà all’imperatore). In sostanza si
pongono le basi per la chiesa verso un modello teocratico che avrà un momento fondamentale con
Bonifacio VIII alla fine del XIII sec.
Gli esiti fondamentali della riforma della Chiesa sono che si ha una vera e propria distinzione tra clero e
laici, idea del primato universale della Chiesa di Roma.
Dal ‘200 le rivendicazioni della chiesa e dell’impero saranno sempre meno accettabili per la formazione
dei regni.