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Appunti di automazionedocx

RELÈ
Un relè è un dispositivo elettromeccanico utilizzato nell’impiantistica.
Elettro-meccanico: ha una parte elettrica (Bobina), ha una parte
meccanica (contatti).
La parte elettrica ha il compito di creare un campo magnetico (vuol dire
che diventa una calamita) in grado di spostare i contatti.
Quando accendo la bobina il campo magnetico prodotto attiva verso
sinistra il contatta (linea verde):
Quindi, tramite un relè possiamo attivare due differenti utilizzatori (nel
nostro caso sono due lampadine), semplicemente alimentando o meno
la bobina.
Naturalmente il disegno che abbiamo fatto adesso è piuttosto scomodo
ai fini di realizzare uno schema elettrico complesso. Bisogna trovare
una simbologia che permetta di semplificare il disegno.
La simbologia si divide in 2 parti:
-
Bobina: il simbolo della bobina è semplicemente
un rettangolo con due piccoli segmenti verticali
che indicano i morsetti ai quali sono collegati i fili.
Per identificare la bobina all’interno dello schema
(solitamente ne ho più di una, quindi devo dare a ognuna un
nome diverso), la sigla che si utilizza è KM1. Se ne avete altre
nello schema su utilizzeranno numeri progressivi, quindi KM2,
KM3, KM…
-
Contatti: il simbolo dei contatti è duplice perché i
contatti possono essere NC (normalmente chiusi)
oppure NO (normalmente aperti).
Il componente fondamentale del relè dal punto di vista dell’installatore
(elettricista) è lo zoccolo.
Cos’è lo zoccolo? Sostanzialmente rappresenta la morsettiera del relè,
cioè tutta la parte sulla quale si collegano i fili.
Sullo zoccolo si possono individuare lettere e numeri; questi ci
permettono di capire come fare i collegamenti.
In particolare:
-
-
A1, A2. Sono i morsetti che vanno alla bobina. Nel caso in cui si
utilizzassero relè in corrente continua (tipicamente 24V), A1
identifica il + (polo positivo), A2 identifica il – (polo negativo).
Attenzione: un collegamento sbagliato (cioè fili cablati al
contrario) può portare a un cortocircuito (quindi a un danno).
Contatti:
sono
identificati da delle
sigle (NC, COIL
(bobina), NO). Ogni
morsetto ha anche
un numero che
permette
di
identificarlo
in
maniera
univoca
nello schema.
ATTENZIONE: il comune e i suoi relativi contatti sono disposti in
verticale.
Lo zoccolo visto ha due comuni (quindi anche due NO e due NC);
tuttavia ne esistono anche a 4:
Come è fatto uno schema elettrico che utilizza dei relè?
ESERCIZIO:
Si vuole progettare un impianto nel quale sia necessario l’attivazione di
due relè simultaneamente affinché si attivi un motore. Il relè deve
funzionare alla tensione di 24 Vcc, mentre il motore funziona in
corrente alternata (230V ac). Disegnare lo schema elettrico.
Cosa c’è di importante in questo schema?
La cosa importante è che abbiamo utilizzato due alimentazioni diverse.
Ovvero: la bobina del relè è attivata in corrente continua a una tensione
di 24 V; il motore, invece, funziona in corrente alternata.
Quindi, in un relè è possibile utilizzare tensioni diverse tra bobina e
contatti. Quindi ho una perfetta separazione tra circuito di pilotaggio e
circuito di potenza.
AUTORITENUTA
Si può provare a collegare la bobina di un relè tramite un suo stesso
contatto e vedere cosa succede nel circuito.
ESEMPI SBAGLIATI DI APPLICAZIONE
-
Bobina in serie a un contatto aperto:
-
Bobina in serie a un contatto chiuso:
ESEMPI CORRETTI DI APPLICAZIONE
Il circuito appena visto è chiamato “autoritenuta”, ovvero è un circuito
che memorizza la pressione di un pulsante.
Attivato il pulsante di Start e poi tolta la pressione su di esso, la
lampada rimane comunque accesa fino alla pressione del pulsante di
Stop. Abbiamo quindi realizzato una piccola memoria (1 bit).
“ANIMAZIONI” di circuiti
1) Pulsante e relè
2) Pulsante e relè con autoritenuta
3) Pulsante e due relè con autoritenuta
PARAGONE CON LE MEMORIE ELETTRONICHE.
Supponendo di avere una fotografia (immagine) è possibile, con il tasto
destro (oppure guardando i dettagli se state usando un telefoto)
visualizzare la memoria occupata dalla fotografia.
Ad esempio:
Quanti relè servirebbero per memorizzare questa fotografia?
Dobbiamo capire quanti bit di memoria occupa questa immagine.
Guardando su “proprietà” del file otteniamo: 39.588 byte.
Attenzione, per definizione un byte sono 8 bit, quindi abbiamo un totale
di 39.588*8=316.704 bit.
Quindi servirebbero 316.704 relè per memorizzare l’immagine che
abbiamo visto. Trasformato in peso, supponendo 50 grammi per ogni
relè, avremmo un peso totale di 0,05*316.704=15.835 kg.
Esercizio:
Progettare un circuito nel quale sia necessario premere simultaneamente
due pulsanti per attivare un motore. Una volta attivato, il motore
continua a girare indefinitamente finché uno dei due pulsanti di stop
non viene attivato. Il relè funziona a 24 V in corrente continua mentre il
motore funziona in corrente alternata.
Tabella di elenco dei materiali:
Componente
Pulsante
Relè (bobina)
Motore
numero
4
1
1
Esercizio:
Progettare un circuito nel quale sia necessario premere uno dei due
pulsanti di Start per attivare un motore. Una volta attivato, il motore
continua a girare indefinitamente finché entrambi i pulsanti di stop non
sono attivati. Il relè funziona a 24 V in corrente continua mentre i
motore funziona in corrente alternata. Inoltre una lampada rossa a 230V
segnala quando il motore è acceso.
Continua…
Automazione
Automazione, sostanzialmente, significa creare dei sistemi che possano
funzionare senza l’intervento continuo dell’uomo. Esempi tipici sono:
etichetta mento delle bottiglie, coloratura dei fogli, pulizia delle
automobili, realizzazione di pezzi meccanici, produzione completa di
un prodotto e trasporto dello stesso.
L’intervento dell’uomo in questi tipi di impianti è molto ridotto e in
generale si manifesta in due maniere: la prima è la manutenzione
dell’impianto stesso (la quale prevede il controllo dei sensori, controllo
degli attuatori); poi c’è una parte del lavoro umano è la creazione di
questo impianto (questa fase, che, ovviamente, è la più complessa,
riguarda diversi professionisti del mestiere: progettazione della parte
meccanica, progettazione della struttura dell’impianto, realizzazione dei
software di controllo dell’impianto (PLC), realizzazione meccanica con
relativo assemblaggio, realizzazione del cablaggio elettrico, collaudo).
Un ulteriore intervento umano, non sempre necessario, si verifica
qualora si vogliano implementare nuovi funzioni o modificarne alcune
già presenti.
Parti fondamentali di un impianto automatizzato (dal punto di vista
elettrico).
-
Sensori: sono gli strumenti attraverso i quali il sistema di
controllo “vede” cosa sta succedendo nell’impianto.
Sensori di prossimità: sono sensori che rilevano la presenza di
un corpo vicino ad essi.
Il più usato è il Proximity.
È un sensore di corpi metallici (perché
funziona tramite il campo magnetico).
Il cavo collegato al sensore ha tre fili di diverso colore:
blu (polo negativo)
Marrone (polo positivo)
Nero (segnale)
Il filo nero rappresenta il segnale, ovvero è un filo che si porta a
tensione alta (diventa positivo) quando un corpo metallico è
vicino al sensore; altrimenti ha un’uscita negativa (0V).
Esistono anche modelli con 4 fili: il quarto filo è simmetrico
rispetto al filo nero, ovvero dà segnale quando non c’è un corpo
vicino al sensore e ha uscita nulla quando il corpo è presente.
Solitamente la loro temperatura di funzionamento va da [-25;80]
[°C].
Prezzo [40;130] €.
Segnale di uscita è di tipo ON-OFF (digitali).
Solitamente questi sensori hanno un piccolo LED (giallo) che si
accende quando viene rilevata la presenza di un oggetto.
Solitamente è utile per verificarne il corretto funzionamento
mettendoci davanti un pezzo metallico (forbici o cacciavite).
Attenzione: questo tipo di sensore non funziona con l’alluminio,
materiale immune al campo magnetico.
Fotocellula: nome completo sensori a sbarramento. Sono sensori
in un certo senso doppi poiché prevedono un parte che produce
un fascio luminoso (non visibile all’occhio umano) e un secondo
componente in grado di rilevarlo. L’emettitore e il ricevitore
devono quindi essere allineati tra loro e hanno quindi due
involucri separati.
-
-
Se un oggetto si frappone tra emettitore e ricevitore viene
generato un segnale di avviso.
Solitamente le distanze massime utilizzabili sono circa 50 [m];
Il costo varia indicativamente dai 40-140€. Alcune tipologie
hanno la possibilità di gestire l’allineamento del fascio
luminoso.
A ultrasuoni: solitamente sono utilizzati per la misura di livello
di cisterne o in generale contenitori di liquidi,
sorveglianza di aree delimitate e recentemente
sono stati montati sulle macchine automatizzate
per evitare la collisione con altre macchine.
Il principio di funzionamento si basa sulla
creazione di ultrasuoni, quindi suoni di
frequenze non udibili dall’uomo (maggiori di 16
kHz) la misura delle distanze viene effettuata
mediante la misura del tempo trascorso tra l’emissione e la
ricezione del segnale audio.
Meccanici: sono generalmente chiamati fine corsa e sono, di
fatto, dei pulsanti. Invece di essere premuti
da una persona sono premuti da un corpo in
movimento (scatolone, o un pezzo
meccanico). Solitamente hanno tre morsetti
che sono: comune (COM), normalmente
aperto (NO) e normalmente chiuso (NC).
Sono utilizzati perlopiù come sensori di sicurezza nel senso che
sono posti al termine di guide meccaniche oppure ai bordi di
diverse strutture. Sono quindi utilizzati come sensori extra
all’impianto: servono a bloccare un pezzo nel caso in cui i
sensori di prossimità non funzionino.
-
Potenziometro: è formato da un cursore che
può ruotare (o traslare in base ai modelli –
slider). Durante la rotazione (o lo
scorrimento) c’è una spazzola che striscia
su una resistenza non completamente
isolata. Questo fa in modo che in base al punto
in cui si trova il cursore sia possibile avere una
determinata tensione in uscita.
Il potenziometro ha tre morsetti (in generale non
sono viti ed è necessario effettuare una saldatura
a stagno); due di questi vanno
all’alimentazione (+, -), il terzo morsetto è
il segnale (analogico) da mandare al sistema
di controllo.
L’applicazione tipica di un potenziometro
rotativo e la misura (indiretta) di angoli; in particolar modo nelle
macchine che utilizzano bracci meccanici.
-
-
-
Termocoppie: sono sensori di temperatura. Cioè hanno un’uscita
in tensione che dipende dalla temperatura della sonda. In
generale sono la tipologia più utilizzata e permettono di coprire
un range di temperature misurabili piuttosto ampio; da circa 200°C a 1450°C. I vari tipi di termocoppie sono identificati da
una lettera. Ogni modello ha un suo range di temperatura e una
tensione massima di uscita, che solitamente vale qualche decina
di millivolt. Elenco delle termocoppie:
J
K
E
T
R
Tmin [°C]
0
-200
-200
-200
0
Tmax [°C]
750
1250
900
350
1450
Vmax [mV]
42
51
69
18
17
Siccome i valori di uscita della termocoppia sono molto piccoli,
per interfacciarla con un PLC (sistema di controllo
dell’impianto) è necessario un modulo apposito. Le termocoppie
hanno 2 fili, il filo bianco rappresenta il meno (polo negativo).
Termoresistenze: sono sensori di temperatura che hanno la
caratteristica di variare il valore della propria resistenza in
funzione della temperatura. Tipicamente i materiali utilizzati
sono il platino e il nichel. Le più utilizzate sono le PT100
(possono essere a 2 o 3 fili, quelle a tre fili permettono una
compensazione e quindi una maggiore precisione) che misurano
fino a 100°C; esistono anche nella versione a 4 fili, ma sono
utilizzate perlopiù nei laboratori che richiedono misure di alta
precisione. Esist0no anche le PT100, che misurano fino a
1000°C. Il prezzo si aggira sui 100€.
Celle di carico: sono sensori di forza quindi di peso. Sono
utilizzati, ad esempio, nelle bilance. Oppure nei sistemi di
sollevamento per controllare che non si superino i valori
massimi di sicurezza. Il loro principio di funzionamento si basa
sul fatto che un oggetto che si deforma cambia il valore della
propria resistenza. Si crea, quindi, un circuito a ponte:
Esempio numerico:
-
-
Dinamo tachimetrica: è un sensore di velocità. Praticamente è
un motore in corrente continua usato al contrario. Fornisce una
tensione in uscita proporzionale alla velocità di rotazione.
Solitamente è utilizzata per controllare la velocità di motori
abbinata a un sistema di controllo in retroazione. È dotata di
spazzole (come il motore in continua). Tipico valore di uscita è
60V/(1000rpm). Il costo varia dai 50 ai 300€.
Encoder: è un trasduttore che permette di rilevare la posizione di
un albero che sta ruotando. Viene quindi collegato
meccanicamente a un motore che deve essere controllato. Ce ne
sono di due tipologie: relativo (detto anche incrementale),
assoluto.
Encoder relativo:
Questo sistema rileva
ogni passaggio di un
foto, quindi sta, di
fatto, misurando una
velocità.
Qual è il problema di
un encoder fatto così?
Il problema è che è
impossibile stabilire il verso di rotazione. Devo fare una
modifica che consiste nel sostituire i fori con delle asole e
nell’utilizzare due sensori sfasati tra di loro.
Encoder assoluto: questo tipo di encoder ha un’uscita con più
segnali (bit) che sono codificati in binario. Questo comporta la
necessità di fare una riflessione.
Questa versione in binario puro ha un difetto: più bit cambiano
valore simultaneamente (cioè più fili passano da vedere il disco
oscurato a vederlo trasparente, e viceversa). Perché è un
problema? Perché nel caso in cui la commutazione non sia
esattamente simultanea per qualche difetto di realizzazione o
limiti tecnologici, viene letto un valore sbagliato. Ad esempio:
Come si risolve questo problema? Per risolverlo è stato creato un codice
binario alternativo che ha la caratteristica di avere un solo bit che
cambia alla volta. Questo codice è chiamato Codice Gray.
-
-
Attuatori: Gli attuatori sono i componenti che realizzano dei
movimenti (anche piccoli). Esempi di attuatori sono i motori e le
valvole (movimento di un otturatore).
Motori: possono essere divisi e classificati secondi diversi
criteri. Quello che a noi interessa è il criterio della tipologia di
funzionamento in relazione alla tensione applicata. Abbiamo tre
suddivisioni dei motori: Motore ASINCRONO (un motore la cui
velocità di rotazione non è sincronizzata con quella fornica
esternamente); Motore IN CORRENTE CONTINUA (sono i
motori dotati di spazzole e che possono funzionare
semplicemente con un collegamento a delle batteria); Motori
SINCRONI (sono motori la cui velocità di rotazione è
determinata, nel senso che è fissata dall’esterno).
Motore in corrente continua: questo motore ha la caratteristica
di avere delle spazzole e dei collettori. Sono un dispositivo che
permette di far circolare corrente elettrica nei fili che sono
contenuti all’interno del rotore (il rotore è la parte in rotazione
del motore). Naturalmente non sarebbe possibile un contatto
diretto. Perché? Perché il rotore sta
girando, e quinti i fili verrebbero
strappati. Il sistema spazzole-collettore
permette il collegamento mediante un
contatto strisciante.
Come si pilota un motore in corrente continua? Cioè come
faccio a regolare la sua velocità?
Curva di coppia di un motore. È
semplicemente un grafico che mette in
relazione la coppia con il numero di
giri. In motore a corrente continua
questa curva è semplicemente una
retta.
Questa retta trasla parallela a se stessa
all’aumentare o al diminuire della
tensione applicata al motore. Quindi si potrebbe pensare che
sarebbe sufficiente modificare la tensione applicata al motore
per variarne la velocità. A questo punto, però, ho il problema di
come fare a cambiare la tensione di alimentazione. Ci sono
diverse strategie possibili, quella che viene utilizzata ormai da
decenni è la tecnica PWM (modulazione a larghezza di
impulso).
L’idea di base è quella di dare sempre al motore la tensione
massima (nel nostro caso 24V cc), ma alternare momenti di
accensione a momenti di spegnimento. Questa frequenza di
alternanza tra attivazione e disattivazione, è molto alta: si aggira
nell’ordine delle decine di kHz (quindi si ripete almeno 10000
volte al secondo).
-
-
Confrontando le due curve blu, abbiamo che:
Caso a: il tempo di attivazione è più piccolo di quello di
spegnimento. La media del grafico (rapporto l’area del grafico e
il tempo indicato sul grafico) è rappresentata dalla semiretta nera
orizzontale;
Caso b: il tempo di attivazione è lo stesso di quello di
spegnimento. La media del grafico è rappresentata, anche qui,
dalla semiretta nera orizzontale;
È chiaro che confrontando i due grafici, il valore della tensione
media è maggiore nel caso b). Quindi, poiché il motore sentirà
applicata una tensione maggiore rispetto al coso a), ruoterà più
velocemente.
Gestendo, quindi, il rapporto tra il tempo di attivazione e il periodo
totale (tempo di attivazione + tempo di spegnimento) è possibile
regolare la velocità di un motore di questo tipo.
-
Motore passo passo: solitamente viene chiamato “step motor”.
È un motore che ha delle particolarità: prima di tutto è un
motore che non può funzionare senza una scheda elettronica. È
necessario al suo funzionamento un sistema di commutazione
(che deve essere piuttosto rapido, e quindi non realizzabile
tramite relè; necessita di una scheda con transistor). La sua
caratteristica principale, grazie alla quale è piuttosto usato in
applicazioni di bassa potenza ma alta precisione, è il fatto di
essere un motore SINCRONO. Ovvero la sua velocità di
rotazione è completamente determinata dalla velocità di
commutazione della scheda elettronica.
Come funziona?
Praticamente il rotore (la parte che gira) è costituito da una serie
di denti sporgenti (di solito 50), mentre lo statore (la parte fissa)
ha delle sporgenze che sono dei magneti comandati dal sistema
di commutazione. L’alternanza di poli positivi e poli negativi
realizzata dal commutatore permette la rotazione del motore.
Questo motore si muove dello stesso angolo ad ogni
commutazione. Quindi, una volta fatto l’azzeramento degli assi
di una macchina, in base a quante commutazioni ho realizzato,
saprò esattamente in quale posizione sarà il motore, e quindi
anche l’oggetto meccanico che viene mosso. Ovvero, questo
motore non ha bisogno di sensori esterni che ne misurino la
velocità oppure la posizione.
ATTENZIONE: questo vale solo se il motore non perde il passo
ovvero se la coppia richiesta dal carico non supera quella che il
motore può fornire. Il questo il motore perde alcuni passi (non è
detto che si blocchi), quindi la sua posizione non è più nota e il
risultato è diverso da quello atteso.
PLC
Che cos’è? Tradotto in italiano, l’acronimo significa controllore logico
programmabile.
Quindi, in pratica, è come se fosse un piccolo computer le cui istruzione
possono essere programmate dall’utente.
Le istruzioni sono di vari tipi:
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-
-
-
Istruzioni logiche: che rappresentano contatti collegati in serie
oppure in parallelo (sono contatti simulati, che però realizzano
una certa logica);
Temporizzatori: cioè la possibilità di introdurre la variabile
tempo nei nostri circuiti. Possiamo, quindi, fare attivazioni
ritardate rispetto alla pressione dei pulsanti. Oppure spegnimenti
ritardati. Oppure posso fare intermittenze (luci lampeggianti);
Contatori: cioè circuiti che contano il numero di pressioni di un
determinato pulsante, e in base al numero preimpostato si
attivano. (Conteggio delle automobile che entrano/escono da un
parcheggio).
Regolare l’attivazione in base il giorno o alla stagione (tipo
termostato.
Ovviamente il PLC può anche attivare delle uscite che permettono di
alimentare relè, lampade, motori (in modo indiretto).
Come funziona nel complesso l’impianto automatizzato?
Il tipico schema di controllo di un processo è presentato in figura
Nello schema si possono individuare:
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-
Il Controllore: è il dispositivo (elettronico) che riceve in
ingresso i dati dai sensori e restituisce i segnali per gli attuatori,
negli azionamenti industriali il controllore è il PLC;
Attuatori: sono i componenti aventi la funzione di trasformare
un segnale di controllo in uno spostamento meccanico lineare o
rotativo, a cui risulta associata una notevole potenza (motori,
elettrovalvole ecc.);
Processo: è il sistema fisico da controllare, in genere descrivibile
mediante una funzione di trasferimento o, equivalentemente,
un’equazione differenziale di primo o secondo ordine;
Sensori: sono dispositivi in grado di misurare grandezze fisiche;
queste grandezze devono essere di norma trasformate in
grandezze elettrice e per questo motivo di parla di trasduttori;
In genere il trasduttore non è in grado di interfacciarsi
direttamente con il controllore e sono quindi necessari circuiti
(elettronici) di condizionamento del segnale (tipicamente una
amplificazione o un buffer). Questi circuiti, come vedremo,
possono essere realizzati con pochi componenti interconnessi tra
loro.
Si nota che il percorso delle informazioni all’interno dello schema
generale è chiuso, ovvero lo stato del sistema viene letto dal controllore
che può così effettuare i calcoli; questo tipo di circuito viene detto in
retroazione.
L’automazione di un processo prevede una conoscenza trasversale di
diverse materie: una conoscenza matematica del modello, una
conoscenza informatica per quanto riguarda la programmazione del
controllore, una conoscenze dei sensori e degli attuatori disponibili, ed
infine una certa familiarità con il cablaggio. Tutti questi componenti
devono coesistere senza disturbarsi l’un l’altro.