Capitolo 1. Oltre il confine Questo libro è stato scritto per confrontarsi con un pensiero sospeso tra lo sperimentare didattico ed elaborazione di metodo. Viene a declinarsi il tema del margine indicato come cifra caratterizzante della società contemporanea. L’endiadi (figura retorica per cui un concetto viene espresso con due termini coordinati) “margini e confini”, si poneva l’obiettivo di dare luogo ad una riflessione sulla inattualità concettuale della prospettiva dell’esclusione e della separazione. L’obiettivo è quello di mettersi in gioco per ripensare alle proprie proposte didattiche, in una quotidianità nella quale la richiesta di innovazione e di evoluzione dei presupposti tradizionali della trasmissione educativa mette costantemente in gioco la popolazione “di qua” e “di là” della cattedra. Non solo per la pressione dell’immediatezza del risultato (l’esame), ma anche per la consapevolezza della proiezione professionalizzante di un percorso di studi finalizzato all’insegnamento per il quale la richiesta di competenze trasversali e di strategie di comunicazione didattica sembra talvolta relegare in una posizione sempre più accessoria la necessità di acquisire contenuti disciplinari, determinando l’urgenza di ritornare alla consapevolezza epistemologica di specifici settori scientifici, precondizione necessaria a ogni forma di disseminazione intellettualmente professionale. La matrice di questa complessa esperienza è maturata nutrendosi della prospettiva disciplinare della storia. Gli storici infatti sono chiamati a confrontarsi con urgenza sui metodi e forme che la descrizione e l’interpretazione del passato devono assumere per non rimanere esclusi dai meccanismi di trasmissione. La storia però rifiuta di piegarsi alle logiche di una malintesa public history nel rispetto della disciplina. La riproduzione delle narrazioni rischia di produrre una molteplicità di passati che impediscono la sopravvivenza dei modelli tradizionali della trasmissione dei saperi storici, e non trova parole e immagini per raccontare una storia attenta a tutte le forme del tempo. Questa cognizione diventa ancora più necessaria negli spazi formativi destinati ai futuri insegnanti, perché bisognerebbe insegnare a insegnare che il racconto della storia non è un modo per ordinare i fatti del passato secondo una scansione cronologica, ma è trasmettere la capacità di intessere la rete di relazioni, di nessi di cause di effetto, necessari ad avere la coscienza piena della complessità del presente. 2. Le tappe di un percorso Il percorso seminariale denominato margine e confine ha preso forma nel 2012 ed ha coinvolto docenti come Ciro Pizzo ma anche il preside Enrico Corbi ed altri colleghi che hanno risposto alla richiesta di sperimentare una nuova formula delle loro lezioni. Un primo snodo concettuale è stato quello denominato grammatiche della marginalità. Un approccio connesso al tentativo di determinare attrezzi utili a restituire la problematizzazione del concetto di margine all’interno di diverse tradizioni disciplinari. Un secondo è stato quello orientato a individuare linguaggi e procedure di costruzione delle identità determinatesi all’interno delle comunità marginali. Lo scopo di questo filone era quello di sollecitare l’attenzione verso la presenza di gruppi marginali e spazi della differenza relegati nella dimensione altra. L’ultimo snodo è stato l’articolazione di un confronto tra persone al margine e la strutturazione di assetti sociali più o meno inclusivi. Un grande interesse e un’incisiva ricaduta ha stimolato l’appuntamento con Eraldo Affinati organizzato da Silvia Zoppi all’interno del corso di letteratura italiana dal quale è emerso il bisogno di una scuola per l’insegnamento gratuito della lingua italiana ai migranti nata dalla convinzione che comprendersi sia il primo, necessario strumento di integrazione. La scuola Penny Wirton, fondata Roma nel 2008 da Eraldo Affinati, nasce proprio da un sogno: insegnare la lingua italiana ai migranti come se parlare, leggere e scrivere fossero acqua, pane e vino perché senza lingua non si può vivere, senza nomi si muore. Ogni anno, dal 2013 al 2017, è stato dunque identificato un tema attorno al quale programmare un ciclo di incontri con esperti e studiosi esterni ma anche con esperienze di vita, con testimoni disposti a condividere il loro vissuto o i ricordi di un passato personale, familiare, identitario. 2.2. Transizioni. 2013 Il tema lanciato come focus per la seconda edizione del seminario è transizioni ed era infatti connessa all’idea dello scardinamento delle categorie tradizionali di spazio e tempo da far confluire in una dimensione dinamica più coerente con la natura stessa della storia, aperta alla dilatazione globale degli spazi e alla velocità che il nostro tempo ci impone. In questo nuovo ciclo di incontri sono stati indicati come i confini del tempo: le riflessioni sui problemi posti sulla necessità di mettere in discussione l’egemonia della dimensione europea e la visione del mondo come oggetto conosciuto, insomma, un modo di attualizzare il metodo della comunicazione della storia. Durante la seconda edizione, in un’aula affollatissima, gli studenti si sono trovati di fronte a tre protagonisti della battaglia contro lo Stigma della disabilità, motivo di esclusione feroce, tristemente radicato anche nelle società più evolute: una vera e propria guerra del nostro tempo, vinta con l’arma dello sport e dell’impegno agonistico. Gianluca Attanasio, Immacolata Cerasuolo e Pino Maddaloni hanno portato la testimonianza di un confine varcato con la forza dell’impegno, ma hanno anche aperto uno squarcio sulla programmazione di spazi e percorsi di attraversamento delle barriere, cominciando da quelle architettoniche e per finire alle logiche-emozionali che devono facilitare la cultura dell’accoglienza. 2.3. Cittadinanze. 2014 Il ciclo trattato nel nuovo corso del seminario margini e confini è cittadinanze. Esso ha costruito uno spazio polisemico per una progettazione di più lunga durata nella quale svolgere una riflessione sulle frontiere politiche, sulle barriere formali e informali. Questione cruciale del contemporaneo, l’inclusione nella rete dei diritti, costituisce infatti uno dei pilastri della organizzazione politica e sociale delle comunità occidentali. L’incontro con Mariella Pandolfi, antropologa dell’universitè de Montrèal che aveva vissuto in prima persona il conflitto nella ex Jugoslavia e poi quello con Umberto Ranieri, sottosegretario agli esteri del governo italiano, hanno offerto l’occasione per concettualizzare le dinamiche tra memoria e storia in un contesto “altro“ rispetto all’esperienza del privato. Il colloquio immaginato con il console dell’Ucraina avrebbe dovuto raccontare la tragedia della fame imposta a quel popolo dalla strategia politica di Stalin. Un appuntamento programmato per dipanarsi attraverso linguaggi diversi che si è trasformato in un vero e proprio tuffo nella storia: nell’aula affollata dell’università irrompeva infatti la notizia del bombardamento russo in Ucraina, costringendo il diplomatico ad abbandonare precipitosamente l’incontro. Una dimostrazione per tutti i presenti, dell’impossibilità di tracciare confini certi del tempo. 2.4. Cittadinanze. Solidarietà e diritti. 2015 L’edizione successiva del seminario si è proposta di affrontare il tema dell’inclusione. Per farlo, si è scelto di focalizzare l’attenzione soprattutto sulla questione dei diritti. Un’analisi che si poneva il problema di dimostrare l’emergere progressivo del diritto di avere diritti. Animatrice del progetto mondodonna, la Condorelli, ha posto il problema della responsabilità non solo individuale di trasmettere gli strumenti culturali per contrastare l’abitudine ad agire sulla base di convinzioni che non hanno alcun fondamento scientifico, ma soprattutto di diffondere la consapevolezza che il “prendersi cura” sia un elemento essenziale della progettazione pubblica e culturale, non un problema confinato nella sfera dell’intimo e del privato. 2.5. Attraversamenti. L’intelligenza diagonale della storia. 2016 La V edizione del seminario ha trattato la questione dei linguaggi. Per partire ancora una volta dalla storia, questo nuovo ciclo ha messo insieme testi e immagini nella conversazione che Roberta Morosini, professoressa di letteratura italiana, ha mescolato astronomia e filosofia, storia e psicanalisi, ed ha approfondito i problemi dell’intreccio tra divulgazione e narrazione; quindi il punto cruciale è stato quello dell’incontro delle humanities con le scienze. La conclusione del ciclo poi, si è voluta sospesa tra musica e teatro: un progetto realizzato grazie alla collaborazione di due artisti che hanno creato un linguaggio del “qui” e “ora”. 2.6. Vulnerabili. Il sostegno alla marginalità dalla beneficenza ai diritti. 2017 L’ultimo ciclo seminariale ha riproposto la questione della solidarietà e dei diritti, e ha focalizzato l’attenzione soprattutto sulle logiche di esclusione e di marginalizzazione. La testimonianza di Francesco Dandolo è stata molto importante perché ha ripreso l’attività svolta nel centro storico di Napoli dalla comunità di Sant’Egidio, per la gestione di una scuola di italiano per stranieri prospettata come strumento e come canale di integrazione e inclusione. Un altro tema trattato durante il corso è stato la nevralgica condizione femminile specialmente nel mezzogiorno da Anna Bellavitis. 4. L’intelligenza diagonale della storia La storiografia sta riscrivendo i percorsi di costruzione storica, delle identità dei popoli dell’Europa e del mediterraneo. Durante il percorso, sono stati evidenziati temi come: processi di penetrazione dei migranti e le reazioni dei residenti al loro arrivo; il reintegro dei migranti nelle loro appartenenze originarie; l’incontro tra chi si muoveva e chi risedeva; l’adesione a identità nuove, contaminate dalle culture di provenienza dei nuovi arrivati; verificare la diffusione di multiple identites in alternativa ad un approccio sovrazionale. Tutto ciò può offrire attraverso la storia un supporto importante alla costruzione della civiltà dell’accoglienza. Nascono grazie ai privati, enti assistenziali, che avevano lo scopo di rafforzare identità e appartenenze attraverso strutture dotate di regole e statuti condivisi. Tra le tante, ne è un esempio quello della confradia de nostra senora de la soledad, una compagnia laica costituita da esponenti del governo di Spagna a Napoli per sopperire alle esigenze di ricovero e di istruzione di donne in difficoltà (vedove e orfe). Capitolo 2. Cantieri di Vittoria Fiorelli Paradigmi orientali di cittadinanza (Ciro Pizzo). In questo paragrafo è trattata la categoria dell’oriente, per capire dove finisce l’occidente e dove e come quest’ultimo inizia a costruire il suo oriente. Said, un intellettuale palestinese, denuncia come gli occidentali abbiano accompagnato il processo di colonizzazione, mettendo l’oriente in una condizione di inferiorità già in partenza. Nel testo di Said, vi è la richiesta all’Europa di smettere di pensare di essere superiore culturalmente ad altre arie del mondo. Oggi, si usa l’aggettivo orientale associandolo all’Islam e alla guerra, dimenticando altre parti di Oriente. Questa etichetta è un’invenzione dei paesi europei. Nel mondo islamico, c’è una partizione fondamentale fra due contesti differenti: la terra con una maggioranza di religione islamica che definisce sé stessa la casa dell’islam, contrapposta alle terre dove non vi vige l’Islam definite le case della guerra. Per secoli, prima che sulla scena arrivasse l’Islam, la contrapposizione non era oriente e occidente, ma Europa e Asia, perché i greci, avendo un’alta considerazione di sé, sottolineavano le diversità dell’Asia, anche se in realtà li ammiravano e sono stati per loro fonte di grande ispirazione. Quindi parecchie zone hanno subito il fascino di questa alterità orientale tra cui anche Roma, ma oggi sembra invece che riemerga questa tendenza nei termini di contrapposizione tra dove finisce l’Asia e dove inizia l’Europa. Ancora oggi, gioca un ruolo essenziale, il peso degli immaginari dispotici orientali contro la civile Europa, due universi ideologicamente contrapposti. 2 Confini eurasiatici. I vincoli della lunga durata, i conflitti degli imperi e il disordine delle nazioni. Attualmente i confini dell’Europa sono segnati ad oriente dalla Russia e la Turchia ,d’altra parte i confini meridionali e sudorientali sono perlopiù marittimi . Ed è proprio in tali confini che tra il 1989 -91 si sono addensati gran parte dei conflitti che hanno interessato tutto il mondo. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale : l’epicentro è il medio oriente , non a caso si sta facendo strada la dizione di “Medio oriente allargato “ per indicare un’area che dal Marocco si estende fino all’Asia centrale, all’afghanistan ,al Pakistan , all’india, al Bangladesh. Il motivo principale per cui vi era tale conflittualità è che per secoli questo immenso territorio era stato governato da grandi imperi multinazionali di varia natura e origine , che in modi differenti avevano governato le relazioni fra etnie e religioni differenti . Ma nell’ultimo secolo a prendere il posto di questi imperi multinazionali sono Stati multietnici e multi religiosi ed in qualche modo gli scontri si sono moltiplicati arrivando cosi a guerre civili ,conflitti interstatali ,ma ciò che più di tutto prevale è sempre una forte interdipendenza tra le conflittualità locali e la volontà di dominio delle grandi potenze globali . Ricordiamo alcune svolte fondamentali , questo spazio ha vissuto la dissoluzione dell’Impero ottomano inseguito alla prima guerra mondiale; il disgregarsi dell’Impero coloniale britannico inseguito alla seconda guerra mondiale; il disgregarsi dell’impero coloniale francese nell’ondata di decolonizzazione degli anni 50 e 60 del novecento. Altri due attori fondamentali di questo enorme spazio a cavallo fra Europa , Asia ed Africa sono la Cina e l’Iran hanno subito anch’esse profonde metamorfosi istituzionali e culturali . Oggi , in questo spazio si sono insediati gli eredi degli antichi imperi , che mirano ad essere veri e propri attori globali: Russia , Cina ,India ,Turchia e Iran. Attualmente in questi stessi posti, attori globali vecchi e nuovi coesistono con i nuovi stati , i cui confini sono stati definiti a freddo da una serie di mosse dei vincitori del momento . Tant’è vero che emerge un evidente inadeguatezza tra essi su vari piani : etnico, economico. Si pensi ai confini dell’Asia meridionale , i confini tracciati fra India e Pakistan dalla spartizione del 1947 si sono rivelati affrettati e spesso paradossali , soprattutto in regioni abitate molto fittamente dove i confini sono stati tracciati molto arbitrariamente dato che era impossibile separare le popolazioni hindu e islamiche che vivevano lì da secoli mescolate . L’arbitrarietà di questi confini ha prodotto scontri etnici e migrazioni forzate che hanno coinvolto milioni di persone ,tanto da portare una profonda ostilità tra India e Pakistan che ancora oggi persiste. D’altra parte emerge ambiguità anche parlando dei confini tra Europa e Asia ,questi non sono confini naturali , e quasi mai sono stati confini politici ma hanno assunto una connotazione simbolica di massima importanza. Saranno le guerre persiane a far emergere un’opposizione fra l’Europa quale dominio della democrazia e della libertà e l’Asia quale dominio del dispotismo imperiale . Tradizionalmente il confine tra Europa e Asia era collocato , come oggi , nel Mar Egeo ,nel Bosforo e nel Mar Nero , e arrivava fino alla foce del Don . Quando nel medioevo tali spazi iniziarono ad essere coinvolti nelle vicende europee , il Don fu assunto come delimitazione dei due continenti. Ma non essendo una barriera geografica completamente netta , nei secoli della modernità il confine fu spostato sul Volga e poi lungo la catena degli Urali , che è la scelta ormai universale adottata. Oggi che abbiamo compreso la storicità e la mutevolezza, della tradizionale distinzione fra Europa ed Asia, gli storici e anche, fra gli altri, gli archeologi si sono chiesti se l'enorme blocco eurasiatico (che ha una realtà integrale non solo geologica e ambientale, ma anche culturale ed economica) non possa essere segmentato in nuove forme alternative, alla divisione tradizionale. Progressivamente, è emersa l'idea di segmentare il blocco eurasiatico in forme più aderenti a taluni loro aspetti geografici, ecologici, economici. È emersa cosi una distinzione fra Eurasia esterna ed Eurasia interna. L'Eurasia esterna è il territorio a diretto contatto con i mari e gli oceani temperati e caldi, è percorsa dai bacini irrigui dei grandi fiumi, ed è stato il nucleo di un'agricoltura basata sulle coltivazioni vegetali e sugli insediamenti stanziali , un modo . Qui, tutt’ora si trovano le aree più densamente popolate del mondo ,in primo luogo la Cina ,l’India ,il Giappone ,l’Asia sud-orientale. Sulla base di questa distinzione possiamo considerare la maggioranza delle regioni europee occidentali, centrali, meridionali, sudorientali - come componenti di una grande penisola dell'Eurasia esterna, che è l'Europa stessa. Per quanto riguarda l’Eurasia interna comprende la grande fascia che va dall’Ucraina fino al Pacifico. Essa è dunque la sede di un nomadismo basato sull'allevamento, sviluppatosi peraltro in stretta simbiosi con nuclei di popolazione adiacenti che adottano altri modi di vita: gli agricoltori delle oasi steppiche e desertiche, come pure i cacciatori-raccoglitori delle foreste settentrionali. Oltre alla Siberia settentrionale, l'Eurasia interna comprende in massimo parte quella che veniva e viene chiamata Asia centrale, e prima ancora "Tartaria", cioè una serie di steppe e di deserti che va dal Caspio alla Mongolia e, più a nord, dall’Ucraina alla Siberia meridionale. Pensando che la massima parte del'Europa si trova in quella che abbiamo definito l'Eurasia esterna, forte è la tentazione di considerare questa regione cosi segmentata politicamente, economicamente, culturalmente come il motore della storia globale politica, economica, culturale e Eurasia interna come una sorta di retrovia poco sviluppata. Il più delle volte, la percezione delle popolazioni del Eurasia interna da parte degli imperi e dei regni dell'Eurasia esterna (come l'Impero romano, l'Impero bizantino e I'Impero cinese ma, da questo punto di vista, anche la Russia moscovita) è stata segnata dall'epiteto di "barbari" distruttori, è consistita nella visione di orde irrompenti ad ondate a volte inesauribili e incontenibili, miranti principalmente al saccheggio e alla spoliazione dei beni materiali delle civiltà stanziali, approfittando dei loro momenti di debolezza e di transizione. Di queste popolazioni temute e insieme sottovalutate dagli imperi stanziali, la teoria è molto lunga e articolata. Nella storia globale delle civiltà, oggi il ruolo dei nomadi dell'Eurasia interna viene ad occupare un posto di grande rilevanza. In primo luogo dobbiamo ricordare come ai nomadi delle steppe, molto probabilmente nell'attuale Ucraina, spetti verso il 4.000 a.C. un'innovazione di importanza capitale: la domesticazione del cavallo e il successivo accoppiamento dei cavalli domesticati con la ruota di origine mesopotamica. In un mondo in cui i mezzi di trasporto terrestri erano inesistenti, le innovazioni prodotte da questo accoppiamento (sia quelle pacifiche, i carri da trasporto, sia quelle belliche, i carri da guerra) diedero a questi nomadi una moblità senza pari, che li portò presto ad espandersi in molteplici direzioni: verso l'Europa centrale come verso i Balcani, l'Anatolia, l'Asia centrale, la Siberia meridionale. Una diretta indicazione della rilevanza di queste espansioni nella storia globale sta nel fatto che con ogni probabilità esse sono alla base della diffusione delle lingue indo-europee oggi parlate da gran parte dei popoli d’Europa e da buona parte dei popoli dell’India e dell’altopiano iranico . Una seconda, concomitante indicazione sta nel fatto che la cultura del cavallo raggiunse ben presto la Cina, ove alcuni imperatori sono stati seppelliti nel loro carro da guerra e ove sembra che talvolta le élites nomadiche abbiano preso il sopravvento . Molte coltivazioni agricole, molte tecniche metallurgiche, molte tecnologie di vario genere che l'Europa e la Cina si sono scambiate nel corso della loro storia plurimillenaria sono passate per i corridoi dell'Asia centrale. Tanto che già alcuni millenni prima di cristo viene a crearsi un grande sistema commerciale eurasiatico, poi conosciuto con il nome della "via della seta". La via della è stato il tramite per la diffusione e la mescolanza di religioni e di varie forme di spiritualità : dall’India il buddismo ha raggiunto la Cina e poi l'estremo oriente proprio seguendo itinerari. Soprattutto, nei secoli del nostro medioevo l'Eurasia interna è stata un crocevia culturale di grandissima importanza, fondamentale anche per gli sviluppi scientifici e filosofici dell'occidente: non a caso Richard Starr ha parlato di un "illuminismo perduto" nella ricostruzione di una fioritura culturale di cui solo oggi iniziamo ad apprezzare la rilevanza. Per comprendere l'ingresso dell’Europa e del mondo nell’età moderna ,simboleggiato dalla soglia del 1492 dall’”incontro colombiano”, dobbiamo concentrare il nostro sguardo sui decenni antecedenti, quando l'Europa, nel contesto mondiale, si era trovata in una posizione molto fragile. Come è noto, la data della presa di Costantinopoli, nel 1453, aveva costituito per l'Europa un forte segnale d'allarme, sul piano simbolico come su quello strettamente economico. Una potenza islamica, I'Impero ottomano, si era infatti impadronita, dopo una lunga serie di guerre di conquista quasi sempre vittoriose, della roccaforte della cristianità orientale, sostituendosi agli eredi legittimi dell'antico Impero romano. Né prometteva di accontentarsi di essere divenuta una potenza mediterranea e tricontinentale : la sua ideologia propendeva per un'espansione continua, sollecitata dall'esigenza di trovare nuove sedi per i gruppi di nomadi rimasti fedeli agli antichi modi di vita dei turchi. Che l'Europa, almeno nelle sue regioni meridionali e centrali, costituisse un nuovo fronte di espansione per gli ottomani non era una possibilità, ma una certezza. La nuova entità politica dell'Impero ottomano controllava gli sbocchi sul Mediterraneo e sul Mar Nero dei tradizionali itinerari commerciali della via della seta e della via delle spezie che da millenni collegavano l'occidente con l'oriente. Anche nel Medioevo questi sbocchi erano stati quasi sempre in mani islamiche, ma la storia dell'islam in questi secoli dopo l'età fondatrice delle dinastie omayyadi e abbasidi- era andata incontro a una sempre maggiore frammentazione politica, che aveva consentito agli attori europei di cogliere con abilità le lor opportunità commerciali. Basti come esempio l'intraprendenza della Repubblica di Genova, che nel trecento aveva fatto del Mar Nero una sorta di lago genovese, controllando una serie di ponti e di piazzeforti sulle sue coste. Al contrario, alla fine del quattrocento, l'Impero ottomano si poneva come una potenza compatta, che mirava anche a ricostituire una (relativa) unità politica dell'islam e soprattutto a riunificare autorità politica e autorità religiosa dell'islam, cosa che avverrà agli inizi del cinquecento, con la conquista dell'Egitto e, insieme, dei luoghi sacri dell'islam nella penisola araba: da allora il sultano ottomano potrà acquisire il titolo di califfo, capo spirituale dell'Islam . Nel tempo l'Eurasia interna sembrava aver prevalso sull'Eurasia esterna. Le varie stirpi turche si erano alla fine stanziate e avevano assunto una funzione dominante in molti dei centri delle civiltà tradizionali dellEurasia esterna: non solo nell'antico territorio dell'Impero bizantino, ma anche in Egitto, appunto, nella Siria, nella Mesopotamia, nei Balcani. Contemporaneamente all’espansione ottomana vi fu lo sviluppo di altri due imperi islamici che con le debite differenze , condividevano con l’impero ottomano le medesime caratteristiche dell’origine nomadica delle dinastie regnanti e della presa di possesso di territori di sviluppate civiltà agricole. Questi imperi islamici , anche se dotati di una certa tolleranza religiosa costruirono un nuovo centro civiltà dell’Eurasia basato su modi di vita dell’Eurasia interna. Proprio allora avvenne uno dei fatti più sorprendenti dell’intera storia del mondo. Data la fragilità europea ,quattro monarchie situate sul margine occidentale del continente, Spagna, Portogallo , Inghilterra e Francia , si impegnarono a tracciare nuovi itinerari commerciali , circumnavigando il continente africano e cercando l’oriente navigando l’occidente . Questa costituì una grande manovra di arricchimento per il centro eurasiatico degli imperi islamici . Alla fine , la colonizzazione del Nuovo Mondo trasformò tutti gli itinerari commerciali e tutti gli equilibri economici del mondo portando al trionfo a livello globale dell’estrema regione occidentale dell’Eurasia esterna. Come è noto , l’impero dei turchi ottomani volle anche prorogarsi come legittimo discendente dell’impero bizantino, continuando ad esercitare la sua autorità sulle regioni cerniera fra Europa e Asia . Ma proprio allora emerse un suo serio concorrente : il Granducato di Mosca . Quasi contemporaneamente ai primi viaggi di scoperta, il Granducato di Mosca, inizia la sua espansione in tutte le direzioni ,un’espansione che lo porterà a diventare uno degli imperi più estesi nell’intera storia del mondo ,nella veste di impero della Russia zarista. Fu infatti proprio nella seconda metà del 400, sotto il regno di Ivan III che furono poste le basi di quella politica estera espansiva che poi saranno una costante di tutte le istituzioni statali russe successive . Come primo passo riesce ad unificare politicamente tutta l’area culturale russa ponendo fine alla supremazia di centri come Novgorod e Tver. In secondo luogo, Ivan III si rifiuta di pagare il tributo ai mongoli dell’Orda d’Oro ed emerge vincitore della contesa successiva. In terzo luogo , il sovrano moscovita sposa in seconde nozze una principessa bizantina e legittima, realizzando la sua ambizione di costruire la discendenza naturale dell’antico impero. Così , agli inizi della modernità, insieme all’impero ottomano , sorge e si consolida un altro grande impero territoriale a cavallo fra l’Eurasia esterna e l’Eurasia interna. In un certo senso il percorso politico, geografico e simbolico dell'Impero russo è opposto e simmetrico a quello dell' Impero ottomano. Mentre l'Impero ottomano era sorto in seguito al dominio di una nuova élite nomade sui criteri delle antiche civiltà agricole, l’impero russo, basato fondamentalmente sull’agricoltura , finisce con l’esercitare la sua autorità sui popoli nomadi delle steppe, negli stessi territori che per molti secoli avevano visto il mosaico stratificato e aggrovigliato delle continue ondate migratorie delle popolazioni turche e mongole. Dapprima, nel cinquecento, la sua autorità inizierà ad estendersi sulle steppe del basso corso del Don e del Volga, nei secoli successivi, e ancora di più nel corso dell'ottocento, dilagherà nell'Asia centrale in senso stretto a partire dalla steppa kazaka e procedendo poi verso le catene montuose che separano questa regione dell'Eurasia interna dal subcontinente indiano, cioè dall'Eurasia esterna. I territori più estesi coinvolti dall'espansione dell’Impero russo erano però quelli dell'Asia settentrionale . Le porte della Siberia si aprirono ai russi con la conquista del khanato di Sibir, ma ben presto vennero raggiunti tutti i grandi fiumi siberiani e verso la fine del 600 , nell’estremo oriente l’impero zarista entrò in contatto con un’altra grande potenza: la Cina. Sin dai tempi antichi , le prime civiltà cinesi erano situate lungo il corso di quei grandi fiumi, la sua espansione ha proceduto in genere da settentrione verso meridione , raggiungendo anche l’Asia sud-orientale . Tuttavia la civiltà cinese nel corso del tempo ha subito anche la potente pressione dei popoli nomadi del nord e dell’ovest, e ha cercato di controbilanciarla. Le relazioni fra cinesi e nomadi sono state estremamente mutevoli , assumendo molteplici forme : cooperazione, complementarità, conflitti aperti , alleanze, e così via . In alcuni momenti erano i popoli dell’Asia centrale a conquistare la Cina; in altri momenti erano invece i popoli del nord a conquistarla insediandovi le proprie dinastie. Nel corso del 700, l’impero cinese si è dilatato verso occidente, prevalendo sulla civiltà tibetana e colonizzando quella regione di steppe e deserti che veniva chiamata Turkestan ,che oggi i cinesi chiamano “nuova frontiera”. La rapida metamorfosi della Cina non è concepibile senza la parallela espansione della Russia verso la Siberia orientale e l’Estremo Oriente. L’impero russo e l’impero cinese furono i primi stati nella storia ad accordarsi su una precisa delimitazione dei loro rispettivi confini . Questa alleanza fra Russia e Cina segnò il declino e poi la rapida fine dell’ultimo grande impero nomadico dell’Eurasia interna. Rapidamente le relazioni commerciali fra Europa ed Estremo Oriente abbandonarono gli itinerari terresti per concentrarsi sugli itinerari marittimi lungo le coste dell’Oceano Indiano e del Mar Cinese. Nei primi secoli dell’età moderna, infatti , mentre il cuore eurasiatico continuava ad essere caratterizzato dalla forma tradizionale degli imperi territoriali , le potenze dell’Europa occidentale avvilupparono il mondo con una nuova forma imperiale molto originale : gli imperi a rete . Invece che esercitare il controllo su territori congiunti e continui , gli europei si preoccuparono di rendere agevoli e sicure le rotte marittime : sulla terraferma divennero perciò importanti i punti strategici di appoggio. Mentre nelle loro rispettive madrepatria gli stati europei sviluppavano le forme istituzionali degli stati nazionali assoluti e sovrani , i loro territori di oltremare saranno caratterizzati da costanti oscillazioni fra dominio diretto e dominio indiretto. Gli iniziatori del nuovo tipo di impero a rete furono i portoghesi ,che nella loro rotta della “nuova via delle spezie che circumnavigava l’Africa per commerciare con l’India e con il sud-est asiatico peninsulare e insulare si dedicarono a stabilire isole di sovranità nei luoghi valutati più strategici. Isole di sovranità portoghese si insediarono dunque nell’Africa atlantica , nella costa africana dell’Oceano Indiano , in Arabia , nell’isola di Hormuz ecc. I continuatori e gli eredi dei portoghesi saranno i britannici. L’impero britannico , nel periodo dal 1890 al 1930 , diventerà l’impero più grande , per superficie , di tutti gli imperi della storia del mondo . Ed è un risultato paradossale, pur essendo rimasto un impero a rete finirà con l’esercitare la sua sovranità su territori ancora più estesi di quello del grande impero territoriale , ossia la Russia moderna . Nel corso del 19 secolo , il mondo è teatro di una prima guerra fredda , con occasionali scoppi di conflitti locali , il più importante dei quali è la guerra di Crimea , che vede scontrarsi proprio il maggiore degli imperi a rete e il maggiore degli imperi territoriali . In questo lasso di tempo la Russia aveva sviluppato la consapevolezza di essere una potenza euro-asiatica cercando dunque di fondere insieme caratteristiche tipiche dell’Eurasia esterna con caratteristiche tipiche dell’Eurasia interna. Da Pietro il Grande in poi, i sovrani russi ben compresero come gli stati dell'Europa occidentale si stessero assicurando la prevalenza sul piano mondiale grazie al controllo degli oceani delle rotte marittime che li attraversavano. Da questo punto di vista la Russia si trovava in una condizione scomoda: la sua collocazione non la rendeva una potenza marittima, e anche i mari a cui poteva avere più diretto accesso erano mari interni, facilmente controllabili da altre potenze. Cosi si sviluppò una vera propria ossessione, da parte russa tanto che nel settecento, una delle linee costanti della politica estera russa è il tentativo di allentare questo accerchiamento. Un primo fronte in cui la Russia ottiene buoni successi è la regione del Mar Baltico. In seguito, l'obiettivo prioritario diventa l’espansione verso le coste del Mar Nero tanto che anche l'Impero ottomano ottomano diventa un bersaglio costante delle mire zariste in quanto il Mar Nero, come è noto è collegato al Mediterraneo dagli stretti passaggi del Bosforo e dai Dardanelli, allora sotto controllo ottomano. L’ambizione russa di ottenere il sospirato approdo ai “mari caldi “ non ha come obiettivo soltanto il Mediterraneo ma anche il Golfo Persico e l’Oceano Indiano . Ma l’obiettivo principale di questa espansione, oltre all’impero ottomano è l’Impero persiano : nonostante varie conquiste locali, la Russia rimane comunque ben lontana dal conseguire in qualche modo l’accesso all’Oceano indiano . La distanza fra la costa dell'oceano dal territorio russo è considerevole e tuttavia, nel corso dell'ottocento, l'espansione dell’impero zarista nelle steppe nelle oasi dell'Asia centrale lo porta fino ai contrafforti delle catene montuose che separano, appunto, l’Asia centrale dall' Asia meridionale. Un passo ulteriore in questa direzione sembra dunque possibile. E’ proprio su questo fronte che i britannici non sono disposti a fare concessioni ai russi. E cosi i britannici arrivano sui contrafforti meridionali delle stesse catene montuose che vedevano i russi insediati sui contrafforti settentrionali. Fra russi e britannici si frappone soprattutto l'Afghanistan, uno stato assai multietnico che si era staccato di recente dall'Impero persiano. I britannici cercano di esercitarvi un controllo diretto, ma falliscono nell'impresa, e la sconfitta subita costituisce una delle peggiori umiliazioni della loro storia. Preferiscono allora gestirlo come uno "stato cuscinetto", per bloccare l'espansione russa. Alla fine dell'ottocento, attribuiscono all'Afghanistan la cosiddetta "appendice di Wakhan che ha la funzione di separare l’Impero britannico e l’impero russo. Le due guerre mondiali sono infatti caratterizzate dall’alleanza dei due antichi rivali di questa guerra fredda dell’ottocento , e dagli ambiziosi tentativi della Germania di combattere i suoi nemici sui due fronti , occidentale e orientale : nel giro di trent’anni , fallirà clamorosamente entrambe le volte. Potremmo inoltre dire a grandi linee che esistono legami precisi fra la guerra fredda che ha preso via l’indomani della seconda guerra mondiale e il “grande gioco” dell’ottocento. I legami sono ancora più forti se guardiamo all'altro versante delle parti in conflitto, e cioè all'Unione Sovietica. Sin dalla conclusione della guerra civile conseguente alla Rivoluzione del 1917, la politica estera sovietica è stata potentemente condizionata dall'obiettivo di ricostruire, sia pure sotto spoglie ideologiche molto diverse, confini, territori. Il primo passo, a conclusione della guerra civile, è stata la riconquista della Transcaucasia, dell'Asia aecentrale e dell'Ucraina, alle quali venne negato lo statuto di repubbliche indipendenti e alleate: la scelta che prevalse fu quella di inglobarle nell'Unione Sovietica con lo statuto ibrido di repubbliche federate, nominalmente autonome e di fatto dipendenti ancora dal dominio "grande russo", che ora assumeva le vesti del Partito invece che dell'Impero. Il secondo passo è stato, nel biennio 1939-40, uno spregiudicato allineamento all'espansionismo nazista per ricostruire i confini occidentali dell'impero zarista, con l'annessione della Polonia orientale, dei Paesi Baltici, della Bessarabia, della Bucovina. Anche la Finlandia venne attaccata e tuttavia essa riusci a mantenere la sua indipendenza, cedendo peraltro alcune aree di notevole importanza strategica. Il terzo passo, negli anni dal 1944 al 1949, è stato un allargamento del tutto inaspettato, che non aveva antecedenti, dello stesso fronte htale, verso l'Europa centrale. La guerra suicida della Germania aveva creato un vuoto di potere riempito appunto , anche se transitoriamente, dall'Unione Sovietica attraverso la nuova forma dell impero esterno degli stati vassalli "a sovranità limitata “. Non uguale successo ha, dal punto di vista sovietico , il perseguimento dell’antico obiettivo strategico dell’accesso ai “mari caldi “ . In realtà gli sforzi sovietici per destabilizzare Grecia, Turchia e Iran , durante e all’indomani della seconda guerra mondiale , sono notevoli. Nella seconda metà del ventesimo secolo mari e oceani avevano perso buona parte della loro funzione strategica, e tuttavia rimanevano arterie commerciali di grande importanza. Non dimentichiamo che le repubbliche dell'Asia centrale, allora ancora parte dell'Unione Sovietica,si erano già rivelate come ricchissime di gas petrolio e un accesso al mare per rimediare al loro strutturale isolamento sarebbe stato molto importante. Cosi per l'Unione Sovietica fu quasi naturale riprendere la spinta che l'aveva portata in Asia centrale e cercare attraverso il controllo del'Afghanistan, di valicare per la prima volta le catene che separavano il suo dominio dall'Asia meridionale. Ma sovietici subirono una sconfitta militare simile a quella avevano patito i britannici centocinquant'anni prima. I tre successivi sismi storici del novecento - la fine dell'Impe- russo, dell'Tmpero ottomano e dell'Impero austro-ungarico in conseguenza alla prima guerra mondiale; il ritirarsi dell'Impero britannico dall'India e dalla Palestina all'indomani della seconda guerra mondiale; la fine del "secondo Impero russo", cioè dell'Unione Sovietica, nel 1991 - si sono accompagnati e rafforzati a vicenda, lasciando un intreccio di stati i cui confini sono stati decisi in forma arbitraria, a seconda degli obiettivi privilegiati da chi di volta in volta aveva prevalso al momento. E così, non c'è da stupirsi che le instabilità più serie del mondo si siano concentrate in quest'area, che è situata in un'enorme fascia confinaria fra l’Europa esterna e l'Europa interna. Il “gran gioco” dei nostri giorni è aggravato e reso particolarmente complesso dal fatto che molte delle regioni di questo vero epicentro dei conflitti mondiali sono strategiche per gli approvvigionamenti di gas e di petrolio e che, ulteriormente, in alcune aree gli appelli catastroficamente distruttivi del jihadismo a sfondo islamico hanno conseguito i loro aberranti successi parziali . Queste potenze utilizzano , consapevolmente o inconsapevolmente , i vincoli ereditati dallalunga durata storica per generare nuove opportunità per il presente. Possiamo rivolgere la nostra attenzione ai due stati eurasiatici , Russia e Turchia, che segnano i confini orientali dell’Europa e che da secoli condizionano in tutti i modi possibili le regioni adiacenti . Per quanto riguarda la Russia di Putin, sono evidenti le continuità strategiche della sa politixca estera nello spazio ex-zarista e ex-sovietico. Una delle continuità più forti sta nella scelta economica di utilizzare al massimo le risorse fossili, di cui la Russia abbonda . Una ragione monto forte, dell’asse fra Putin e Trump è che ogi puntano entrambi sul ruolo dei loro paesi in quanto esportatori di energie fossili : entrambi hanno quindi interesse ad un prezzo elevato di queste materie prime. Un aspetto centrale e irrinunciabile della politica russa è l’alleanza con il governo della Siria e di Assad. L’aspetto più evidente è che i legami storici con la siria oggi consentono alla Russia di tenereuna presa diretta sul Mediterraneo , il “mare caldo” tanto agognato. Come è noto, Erdogan,l’attuale leader della Turchia che ha instaurato un regime forse ancora più autoritario di quello russo ha mostrato a lungo una totale ostilità nei confronti del regime di Assad. Parallelamente , nel corso degli anni la Turchia si era posta come concorrente della Russia in un complesso sistema di oleodotti e metanodotti che dovrebbe portare verso l’Europa le risorse del gas e del petrolio. Sorprendentemente , Erdogan si è avvicinato sempre di più alla Russia , creando rapporti di cooperazione anche sul piano della gestione delle risorse energetiche. E’ chiaro che l’avvicinamento a un leader dello stile autoritario come Putin va in parallelo all’allontanamento delle democrazie occidentali . Ma forse è il riconoscimento che la la Russia d’oggi persegue, un progetto neo-imperale ciò che attira maggiormente Erdogan, perché lui stesso da tempo vuole perseguire un progetto neo-ottomano : nei confronti della Russia , dunque la cooperazione entro progetti paralleli gli appare una scelta migliore della competizione. Oltre tutto bisogna capire che i confini , di qualunque natura essi siano , non sono mai né una semplice linea né una semplice fascia . I confini invece si dilatano , interessando tutta l’ampia rete di relazioni , materiali e immateriali , fra gli attori coinvolti , coinvolgendo conflitti , convivenze , migrazioni , economie e così via . Possiamo quindi far riferimento all’idea di borderscape “paesaggio confinario” intesa non solo come un’idea spaziale , ma che tocca molteplici dimensioni degli immaginari umani . Le origini religiose del conflitto nei Balcani. Premessa. L'area dei Balcani è stata interessata da grandi mutamenti, spesso violenti, dalla volontà dei singoli stati di primeggiare l'uno sull'altro rivendicando potere sui territori della penisola. La dissoluzione della Jugoslavia ha contribuito a dare una svolta storica ai Balcani ma anche all'Europa intera. Ma chi sono gli slavi? E da dove provengono? Costituiscono un'unica entità etnica, linguistica e culturale. Occupano oggi l'Eurasia e la porzione maggiore dell'Europa. L'immaginario collettivo di ogni popolo deriva dalla sua memoria storica. La religione ne costituisce una parte importante e viene utilizzata dalla politica per determinare un senso di identità e aumentare la coesione sociale e nazionale. Utilizzata e spesso manipolata dalla politica, la religione può essere sia strumento di pace che di guerra. Religione e politica. Fino alla fine degli anni 80 l'impatto dei fattori religiosi sulle relazioni internazionali era considerato non molto importante fino l'esplosione dell'Islam politico e allo scoppio delle guerre causate dal collasso degli Stati multi-etnici. I fattori religiosi giocano ruoli diversi a seconda delle diverse regioni e delle differenti pratiche religiose. Da un lato la religione è un elemento importante dell'identità culturale di ogni gruppo politico e sociale, dall'altro è mezzo potente per mobilitare il consenso e giustificare il ricorso alla violenza e alla forza militare. A volte le religioni possono stimolare conflitti soprattutto quando le gerarchie religiose provano ad espandere il proprio ruolo pubblico. Per intenderci vescovi, preti sono non solo strumenti di manipolazione ma anche manipolatori. Il radicalismo è il lato in ombra prodotto dalla degenerazione della religione, come della democrazia e del nazionalismo. Questi tre termini sono ambigui perché potrebbero giocare un ruolo sia per la pace interna sia per il conflitto. É bene dire però che i conflitti nella ex Jugoslavia non sono attribuibili a cause religiose ma piuttosto all'avidità di ricchezza e di potere del vecchio apparato comunista. Durante il conflitto le religioni sono strumenti importanti di propaganda e di identità e coesione nazionale ma non bisogna confondere le cause con gli strumenti. Da un sistema inclusivo ad uno esclusivo: la fine dell'impero ottomano e il conflitto dei Balcani. Quando i turchi si espansero verso i territori bizantini, erano numericamente pochi per cui furono obbligati a stringere alleanze con i cristiani e ciò ha consentito forme di convivenza con gli ebrei, i cristiani cattolici e ortodossi. Con la caduta dell'impero ottomano questo fenomeno di integrazione sociale e culturale va progressivamente scomparendo sostituito da un nazionalismo di stampo croato e serbo. Un elemento significativo nel rapporto tra religione e politica è portato da Tito, il quale concede ai mussulmani un riconoscimento giuridico. Questo atto ha portato alla politicizzazione delle religioni. All'origine delle guerre jugoslave svolte tra il 1991 e il 1999 ci fu la volontà di dominio dell’etnia maggioritaria, quella serba, mal disposta a tollerare che il processo di emancipazione delle diverse realtà nazionali portasse, dopo il crollo del muro di Berlino, a una soluzione di tipo confederale. I serbi non accettavano l'idea di perdere una supremazia così avviarono l'occupazione manu militari che però fallì. Il secondo e terzo teatro di guerra jugoslavo, quello croato e bosniaco-erzegovese, furono sconvolti da un feroce conflitto etnico. Le tre nazioni si affrontarono in una guerra complicata dalle pretese egemoniche non solo dei serbi ma anche dei croati su una parte del paese. Il quarto teatro di guerra, quello del Kosovo, ha caratteristiche proprie, dato che vi si confrontarono due etnie, come quelle slave del sud, ma profondamente diverse per lingua e religione. Fin dal loro insediamento nello Stato serbo, gli albanesi furono avvertiti dai serbi come un corpo estraneo da distruggere e espellere con qualsiasi mezzo. La crescente conflittualità nei Balcani ha spinto l'Europa occidentale e l'alleanza atlantica a dare alcune risposte ad una situazione di crisi impellente. Anche l'azione delle Nazioni Unite è stata lenta. Sarà infatti la Nato che rallentò prima e fermo poi, il feroce conflitto che dilaniava i popoli balcanici alla ricerca di identità etniche e nazionali di riferimento. Il conflitto in questi diversi teatri di guerra non fu né etnico né religioso ma fu una guerra civile causata dalla bramosia di potere. Le religioni e i miti nazionali divennero mezzi di una mobilitazione politica nazionalistica, non le reali cause della guerra. Le religioni divennero strumenti di guerra per mobilitare le opinioni pubbliche, per rafforzare lo spirito combattivo dei soldati, per giustificare la guerra la violenza criminale e per attivare il supporto internazionale di paesi istituzioni appartenenti alla loro stessa religione. Con la continuazione della guerra tutte le religioni si radicalizzarono molto di più. Il confine, luogo di conflitti e attraversamenti. De-limitazioni: confini e conflitti nel lavoro di pace e nello scenario balcanico. Un operatore di pace (peace keeper) è un civile non armato e non violento. L'operatore di pace è un professionista che lavora sul conflitto, nel senso che prova a leggerne la dinamica complessiva, prova a capire quali siano gli attori in campo, quali siano le motivazioni, i bisogni, gli obiettivi ecc. Nel suo lavoro "sul" conflitto, l'operatore di pace lo studia, lo osserva, lo segue e prova a darne un'immagine razionale, descrivendone il quadro complessivo. D'altra parte, l'operatore di pace lavora "nel" conflitto, nel senso che si reca fisicamente sul posto, vi può andare nella fase in cui il conflitto e attivo quindi durante la guerra oppure quando ancora non c'è conflitto armato quindi non c'è ancora o non c'è più guerra. Dal 2004-2005 gli operatori di pace sono impegnati nei Balcani, in quei contesti che rappresentano una testimonianza vivente del conflitto dei tempi moderni. Quando si tratta dello scenario dei Balcani, come sfondo del conflitto etnico politico del nostro tempo, ci si riferisce in particolare ai Balcani occidentali ovvero la ex Jugoslavia. I Balcani occidentali: l'esplosione del confine e l'immanenza del conflitto. I Balcani hanno rappresentato il contesto di una guerra di estrema drammaticità decisiva per i destini dell'ordine mondiale. Là dove c'era un solo confine di Stato (quello della Jugoslavia socialista) oggi ce ne sono molteplici, dentro e attraverso gli stati, perché si contano oggi sei paesi (le ex repubbliche jugoslave, vale a dire, la Slovenia, la Croazia, la Serbia, la Bosnia Erzegovina, il Montenegro e la macedonia e due regioni autonome all'interno di un paese (in Serbia, a nord la Vojvodina ed a sud il Kosovo). Non solo "tra" ma anche "all'interno di" questi paesi vi sono dunque dinamiche di conflitto e i casi salienti sono proprio la Bosnia ed il Kosovo. Inoltre, all'interno di questa dinamica, la Bosnia e il Kosovo si rappresentano come Stato, all'interno dei quali si moltiplicano le divisioni dei rispettivi confini. C'è, al contempo, un confine inter-statuale, tra Stati, ed un confine infra-statuale, dove sarebbe il caso di porre l'aggettivo, "statuale"', fra virgolette, essendo il Kosovo uno Stato particolare (non godendo del riconoscimento ufficiale da parte della "comunità internazionale") sia dal punto di vista sostanziale, al suo interno (cioè composizione sociale, etnica e comunitaria). Sarajevo e Mitrovica: semantica del confine e connotazione di "città divisa" Sono almeno due le dimensioni, o, se si vuole, le chiavi di lettura del confine nella sua interazione con il conflitto: la prima, di tipo spaziale, incide direttamente sulla topografia dei luoghi e l'organizzazione dello spazio urbano, modificando ed alterando la configurazione territoriale ed urbanistica delle città; la seconda, di tipo semantico, interviene sulle strutture sociali e politiche. Ci sono due Sarajevo. Una Sarajevo simile a quella che si conosceva diffusamente prima della guerra, che rappresenta la città storica e monumentale, ed una Sarajevo, il cui nome è propriamente Sarajevo orientale che è diversa per molti aspetti: la composizione urbanistica, topografica, architettonica, sociale ed etnica. Ciascuna delle due, attraverso il "confine" che le separa, guarda ad una delle due parti in cui il "conflitto" ha diviso la Bosnia, sostanzialmente lungo la linea del fronte (di guerra) e della distinzione (delle etnie): la Federazione croato-musulmana, da un lato, e la Republika Srpska, dall'altro. Letture del simbolico:aspetto locativo ed aspetto figurale del confine nel conflitto. Anche in città presenti in Italia, il confine segna un luogo, altera e modifica, struttura e destruttura una città. Un esempio di città italiana di confine è Gorizia. Ci sono due Gorizia: c'è la Gorizia italiana nel senso che ricade da questa parte del confine state e c'è Nova Gorica che si affaccia in Slovenia, dove il confine di città è segnato da una piazza. Anche questa è una città divisa per ragioni di guerra e che oggi vive in un contesto di pace negativa. L'Europa che in questo momento è il continente di "pace negativa" per eccellenza, è in realtà una terra di infiniti luoghi di divisioni, di confini e di conflitti: i Paesi Baschi, Cipro, i Balcani, le città di Sarajevo, Mitrovica. Se l'aspetto "locativo" è importante, non meno decisivo è quello "simbolico". Mitrovica simbolicamente non rappresenta in se il conflitto del Kosovo ma ha finito per incorporare questa dimensione. Luoghi del conflitto e destrutturazione del confine Come nel conflitto etnico, politico e religioso si attraversando le matrici di mille distinzioni e separazioni, così, recandosi fisicamente in questi luoghi, in Bosnia e in particolare in Kosovo, si percepiscono mille cose: quel ponte che avrebbe dovuto unire separa fisicamente e sentimentalmente. Il confine è già di per sè immagine di conflitto ma non di guerra. Fino al luglio 2011 non c'era un confine fisico sul ponte di Mitrovica ma tutti sapevano che il ponte rappresentava un confine di conseguenza nessuno da una parte all'altra lo attraversava. Il confine quindi era nella testa delle persone perché non c'era nessuna barriera fisica. Solo dopo il luglio 2011 i Serbi hanno costruito un muro che non rappresenta un confine ma una barriera quindi vi è una vera e propria separazione. Mitrovica è una città divisa in due, una parte è abitata da serbi e l'altra dagli albanesi. I ponti a Mitrovica sono tre, uno principale e due laterali, tutti e tre barricati, un lavoro sistematico che impedisce il passaggio. Il conflitto non è solo degli Stati, degli eserciti ma anche delle persone spinte da conflitti economici o politici. Se guardiamo al caso della Bosnia tutto ciò risulta evidente. La Bosnia è sempre costretta a fare i conti con il passato, l'anno 2014 e condensato di memorie e ricorrenze per la Bosnia perché 100 anni fa la prima guerra mondiale ebbe inizio proprio a Sarajevo. Come ha detto Alexander Langer, pacifista e non violento, l'Europa è nata e morta a Sarajevo. Anche in Kosovo i recenti accordi di pacificazioni non sono immuni a contraddizioni. Da una parte riconoscono L'auto-determinazione dei serbi del Kosovo all'interno dei confini regionali, e dall'altra aprono la strada all'adesione europea del Kosovo, senza tuttavia imporne un riconoscimento internazionale come stato. I serbi del Kosovo si sentono serbi ma restano comunque nel Kosovo perché quel luogo lo sentono come la loro casa. Nei Balcani occidentali c'è una forte connotazione di famiglia patriarcale, la casa è importante per il radicamento della famiglia. I serbi non vanno in Kosovo perché ci sono due checkpoint, da una parte e dall'altra del confine amministrativo tra la Serbia centrale e il Kosovo nord. 5 Diritti delle persone nello spazio dell'Europa. Luigi Manconi analizza questo tema partendo dall’analisi di un titolo di giornale “Esposizione Universale” di cui evidenzia il termine esposizione che risulta essere la parola chiave del suo intervento. Inizialmente pone l’attenzione sull’isola di Lampedusa dove arrivano gruppi di migranti di ogni sesso ed età, in una condizione di nudità assoluta, si presentano esposte(da qui il richiamo al termine esposizione). All’arrivo di queste persone, la loro esposizione è evidenziata dai fari della polizia, dalle luci delle telecamere che mostrano la loro sofferenza. Secondo Luigi Manconi queste persone devono essere collegate al libro di Primo Levi: “I Sommersi e I Salvati”. Applicando questo titolo a coloro che sbarcano sull’isola di Lampedusa, i Sommersi sono coloro che non sbarcano e che sono morti, le vittime del mare, mentre i Salvati sono coloro che arrivano e che vengono soccorsi. Alcune immagini ci mostrano accanto a loro degli operatori umanitari il cui destino è sconosciuto. Da questo momento il nome ”Salvati” viene sostituito da “clandestini”. Le due categorie “Sommersi” e “Salvati” vengono sostituite da “Vittime” e “Clandestini”. Questo cambiamento semantico è importante perché quando compare nel nostro linguaggio la parola clandestino che evoca minaccia, insidia, ostilità, secondo Luigi Manconi si è già consumata una catastrofe umanitaria. In Italia la parola clandestino designa il terrorista, colui che minaccia la società e lo Stato, in poche parole il nemico. La conseguenza di ciò è che il nemico non può essere titolare dei diritti di cui gode chi è parte della società nazionale perché è fuori dalla società e dai diritti del cittadino. Tutto questo serve a Manconi per dire che i processi che formano l’idea di noi e degli altri sono evoluzioni che si consumano quotidianamente e si risolvono nelle nostre esperienze personali. Nell’ultimo quarto di secolo ogni giorno sono morte, a Lampedusa, 6/7 persone. Questa situazione è nota a tanti italiani che però la ignorano. Secondo Manconi questa indifferenza nasce dal fatto che gli essere umani hanno la convinzione che gli esseri umani non sono tutti uguali. Tornando ai “salvati” , i migranti, Marconi racconta di aver incontrato un gran numero di essi nei Centri di identificazione e di espulsione. I CIE sono costituiti da una grande gabbia al cui interno c’è una gabbia più piccola e altre gabbie minori. In questi centri ci sono i migranti privi di titolo di soggiorno in attesa di essere identificati ed espulsi. Le strutture attive oggi sono cinque. Nei CIE la vita delle persone è serrata in una successione di sbarre , chiavi, chiavistelli. In essi le persone non sanno quanto resteranno e questo crea una situazione di alienazione che costringe a vivere in un presente assoluto che non prevede nessun tempo futuro. Secondo Manconi le dottrine che definiscono i diritti umani hanno un fondamento essenziale nel principio dell’Intangibilità del corpo: qualunque violazione fisica costituisce l’alienazione della dignità della persona. A tale proposito Manconi analizza il termine Detenzione. Secondo la nostra costituzione, la detenzione, è la privazione della libertà. Chi è considerato responsabile di un reato viene sottoposto ad una pena che consiste nella limitazione o privazione della libertà. Se questa oltrepassa i limiti del rispetto della persona, non è più esecuzione della pena ma violazione dei diritti umani della persona reclusa. Nel nostro sistema penitenziario esiste un regime chiamato 41 BIS al quale vengono sottoposti i detenuti appartenenti alla criminalità organizzata. Lo scopo di questo carcere duro è quello di non consentire al detenuto di avere rapporti con la criminalità organizzata. Manconi parte da Lampedusa e arriva al 41 bis per farci riflettere sul fatto che i diritti umani sono una questione che appartiene a tutte le fasi di sviluppo democratico. Egli torna poi alla questione tra diritti e cittadinanza che risulta essere un tema delicato per la situazione italiana dove ci sono tre diversi sistemi di relazione tra questi due elementi. Una prima forma è rappresentata dagli “inclusi” che godono di essi in stretta relazione, ci sono poi gli “esclusi” a cui se ne impone una situazione conflittuale e infine coloro che ne godono con andamento “intermittente”. L’italia contemporanea vede crescere questi ultimi , cresce il numero di coloro che con il regime di salvaguardie hanno una relazione incostante e che vengono continuamente allontanati e riassorbiti. Questa è la condizione degli immigrati. 6 I diritti oltre la cittadinanza. Giuliano Amato tratta il tema legato al rapporto tra diritti delle persone e la cittadinanza. Questo tema va affrontato storicamente. Viene analizzata la questione della cittadinanza, ovvero il presupposto formale che ammette le persone alla titolarità e al riconoscimento dei diritti. Questo elemento ha subito variazioni nel corso del tempo e per questo motivo sulla questione incide il superamento dello stato-nazione con la conseguente inattualità della cittadinanza intesa come presupposto naturale del godimento dei diritti per le persone che vivono in ciascun paese. Andando indietro nei secoli ci accorgiamo che nessuna garanzia poteva essere assicurata fino ai confini di ciascun dominio. Per esempio in una stessa città, oltre alle differenze di status stabilite in relazione al luogo, erano evidenti le distanze tra condizioni giuridiche determinate dall’appartenenza ai ceti e ai gruppi professionali, a seconda che si fosse esponente della nobiltà, della corporazione dei mobilieri che avevano diritti e obblighi diversi. Nella lunga fase che i libri di storia definiscono anciem regime gli stati moderni hanno rafforzato le strutture burocratiche amministrative, gli eserciti fino a quando a seguito di battaglie , la cultura politica dell’Europa determina la nascita dello stato nazionale che cancella le differenze, sottoponendo le diverse categorie di cittadini a una legge unica, valida per tutto il territorio. In questo contesto storico quello che più colpisce la nostra coscienza democratica è che per molti regimi parlamentari elettivi, il diritto di voto e la possibilità di accedere al parlamento sia stato riservato a chi possedeva una proprietà, un reddito e successivamente a chi detenesse un minimo di alfabetizzazione. Secondo Amato, leggendo i libri di storia si ha la sensazione che la riunificazione nazionale sia stata un fattore di inclusione che ha concesso uno status condiviso dagli abitanti di tutti gli Antichi stati della penisola. Si dimentica però che vi è anche una rigida esclusione dei non-cittadini. Lo stato Nazionale quindi ha bloccato le comunità entro i loro confini e irrigidito la condizione dello straniero. Uno status simile a quello sancito nell’articolo 16 delle pre-leggi, regolato dal principio della reciprocità. Una prassi secondo cui ogni stato trattava i cittadini degli altri paesi secondo le regole adottate da questi ultimi nei confronti dei propri cittadini che si trovavano in quel territorio. Nel XX secolo questa impostazione subisce un cambiamento che, sebbene non sia la conseguenza immediata dei decenni dominati dai regimi totalitari, trova in questo periodo drammatico il fondamento dei principi elementari della vita comune e del rispetto degli altri che diventeranno pilastri del percorso della ricostruzione democratica. Amato riflette poi sul modo in cui i contrattualisti hanno pensato la storia dello stato da loro conosciuto. Prima dell’organizzazione collettiva, essi avevano immaginato un mondo di uomini liberi che per scelta decidessero di vivere insieme. È però tutto mitico perché l’ uomo ha sempre cercato di vivere in piccole comunità per garantirsi forza e protezione dai pericoli. Dato per certo che la vita sociale e l’organizzazione collettiva facciano parte di una tendenza innata dell’essere umano , si passa a riflettere su un tema centrale per i primi costituzionalisti, quello di trovare un confine tra le libertà non negoziabili dell’individuo e quelle che decidiamo di affidare all’organizzazione collettiva, rinunciando ad esse in nome del bene comune. Nel XX secolo c’è il dibattito sul giusnaturalismo, l’attribuzione agli esseri umani di diritti intoccabili. Arrivando ad una riflessione sulla situazione contemporanea, la prima grande carta dei diritti non è quella prodotta dalla rivoluzione francese ma quella successiva alla seconda guerra mondiale. Si trattava della conseguenza della stagione dei totalitarismi che ha dissociato i diritti umani dallo status di cittadinanza, connettendoli a una dignità che ogni essere umano ha in quanto tale. Si compie cosi una rivoluzione nel sistema delle leggi, ogni essere umano deve avere dei diritti. I titolari dei diritti non sono cittadini ma tutte le persone , in quanto la libertà rappresenta per ognuno, il primo diritto inviolabile. Nonostante ciò, abbiamo molti atti internazionali che hanno la finalità di garantire i diritti ma che finiscono per garantirli solo in parte. L’esempio più evidente sono i rifugiati che dovrebbero godere degli stessi diritti di cui godono gli italiani e dovrebbero essere accolti nel nostro paese. Non si spiega perchè ciò non accade se facciamo parte tutti del genere umano e dovremmo riconoscere l’altro come persona dotata dei nostri stessi diritti . Secondo Amato per trattare tutti allo stesso modo, bisogna realizzare l’altruismo. 7 Il diritto alla solidarietà Stefano Rodotà contribuisce al tema generale del seminario incentrato sulla convinzione che la solidarietà e i diritti non possono essere contenuti e governati dai confini. La solidarietà è una questione legata alla nostra quotidianità, ne parla nei suoi discorsi il Presidente della Repubblica, papa Francesco. Siamo tutti sempre pronti ad affermare che la solidarietà deve essere esercitata , anche se non si capisce bene come e con chi. Perché nello stesso tempo in cui si fa questo discorso, gli stati europei violano l’articolo 2 del Trattato di Lisbona dove è scritto che l’Unione si prefigge di promuovere la pace , i valori, il benessere dei suoi popoli, la coesione economica, sociale, territoriale. Secondo Rodotà non bisogna fermarsi alla declinazione giuridica perché quasi sempre, la parola solidarietà viene utilizzata in modo vano e contraddetta nella pratica. Egli elenca ambiti nei quali viene collocato l’esercizio della SOLIDARIETA’. 1. I MIGRANTI: guardando alla storia dell’Italia, quando nel 1865 fu redatto il primo codice civile, era stato formalizzato che lo straniero dovesse godere degli stessi diritti civili garantiti ai cittadini. Coloro che si trovavano nel territorio italiano avevano benefici e prerogative. La solidarietà cosi diventa un principio che attraversa i confini , cancella i confini. Quando ci occupiamo dei migranti cancelliamo i confini perché pensiamo che il riconoscimento dell’ umanità di queste persone prescinda dai paesi che hanno attraversato. 2. L’AMBIENTE: quando ci fu l’incidente nucleare a Chernobyl, anche in italia si presero precauzioni a tutela della salute, si consigliò di non mangiare insalata, di non bere latte perché la nube tossica non rispettava i confini tra i vari stati. A tale proposito il trattato di Kyoto affida la questione al principio di solidarietà tra i vari stati che si esprime con trattati internazionali, convenzioni, ecc. 3. LA SOCIETA’: la solidarietà porta con sé altri due principi, eguaglianza e dignità. Quando si sceglie di esercitare la condivisione e la fratellanza, non lo si può fare in modo selettivo, escludendo individui e gruppi. Ognuno è “egualmente” destinatario della protezione e del soccorso. Negare l’aiuto e il sostegno vuol dire rinnegare la “dignità” di uomo. 4. LA SALUTE: la tutela della salute non deve essere considerata un privilegio o un bene destinato solo a coloro che economicamente possono permetterselo. La salute è un diritto fondamentale che non può essere legata al mercato. 5. IL TEMPO: un elemento fondamentale della solidarietà è il tempo. Per esempio le pensioni sono una forma di solidarietà tra chi lavora e chi ha lavorato. Si può affermare che la solidarietà è una componente essenziale di tutto lì ordinamento giuridico che regola la nostra vita. 1 Attraversamenti e s-sconfinamenti di genere nel mediterraneo medievale: RESTITUTA da Ischia, la papessa Giovanna, il menestrello nicolette, il marinaio zinevra e altre. Roberta Morosini nel suo libro intitolato IL MARE SALATO: spazio e attraversamenti, si interessa di viaggi di uomini e donne e in particolare Analizza le condizioni di donne che attraversano lo spazio non domestico, sempre come se fosse un confine, in particolare di quelle che ricorrono al travestimento in abiti maschili per viaggiare in sicurezza per terra, o per il mare. Lo scopo che l’autore si propone è di mostrare che lo sconfinamento fuori dallo spazio domestico va di pari passo con lo sconfinamento di Genere e la perdita dell’identità, a meno che non ci sia un miracolo come la santa africana RESTITUTA. “Attraversamenti” infatti è il tema proposto dalla professoressa Vittoria Fiorelli nell’ambito del seminario Margini e confini, Si presta come la categoria epistemologica più adatta all’interpretazione liquida, dove con liquidità si intende uno spazio liquido (il mediterraneo) che per le sue caratteristiche intrinseche di mobilità e ibridità si costituisce luogo privilegiato del racconto nel Decameron e nel De mulieribus di Boccaccio. Il mare, che sempre il mediterraneo nel Decameron, È il protagonista di 10 storie. Inoltre Morosini cerca di Illustrare come la terra o il mare rappresenti spazio strutturale per le donne che li attraversano come accade nei racconti di Boccaccio. Il mare è spazio di esilio ma anche di incontro, spazio di frammentazione, che fa emergere le differenze tra due regni o due forze fisiche o morali, di separazione, dove il mare elemento di libertà per coloro che l’attraversano. Mobilità e identità. Chi viaggia? soprattutto gli uomini, ma le strade sono pericolose e lo sa bene Rinaldo s’asti ( decam ll 2) Che viene attaccato dei briganti. Nel ricco libro di viaggi del medioevo, le donne sono assenti. Le Donne non viaggiano per commerci, per le missioni militari o diplomatiche e tanto meno per piacere, per fare scoperte o esplorazioni. Eccetto il caso, della regina di Etiopia, detta Saba, che parte dall’isola di Meroe e abbandonando il suo meraviglioso regno , va a Gerusalemme, attraverso l’Etiopia l’Egitto la costa del Mar Rosso e il deserto arabico per sentir parlare Salomone. Le donne viaggiano come Pellegrine, come La nobildonna di Guascogna che parte da Cipro per recarsi al santo sepolcro, Ma nel suo viaggio di ritorno è assalita da un branco di ruffiani. Ma Fino a che punto era pericoloso il mondo fuori le mura della città? Le guerre, le distruzioni avevano luogo in città ma soprattutto in campagna. In Letteratura, almeno, la nozione del viaggio nelle sue dimensioni era ignoto nel mondo femminile, forse perché il viaggio era messo in rapporto all’azione, al movimento, al mondo esterno, al pubblico; le donne sono associate alla nozione di permanenza e raramente esse viaggiano per scoprire, per esplorare. La mobilità è solo un’illusione per alcuni viaggiatrici poiché esse attraverso le acque del Mediterraneo in quanto il padre gli ha dati in sposa un re. Quasi alla fine del XIV secolo una miniatura della storia di AgnoLella mostra quel che potrebbe essere definito come la localizzazione del pericolo per le donne in un “Interspazio”, Un luogo che si trova a metà, fra l’interno e l’esterno occupato da un protagonista femminile. Vediamo che nella terza storia della V giornata La vittima dei pericoli del mondo esterno è AgnoLella. In fuga dai briganti che hanno attaccato sia lei che il suo fidanzato Pietro in una selva, fuori Roma, dove erano passati per allontanarsi dei genitori contrari al loro amore, Agnolella vede una casetta dove trovo un buon uomo e sua moglie di anziana età. I due avvertono alla giovane dei rischi delle male brigate che di notte e di giorno per le contrade fanno danni e reggono dispiaceri, e il pericolo per la sua incolumità di donna , ma Agnolella risponde che preferisce essere straziata dagli uomini che essere sbranata dalle fiere dei boschi. Al mattino difatti fu costretta a nascondersi nel fienile perché arrivo una gran brigata di malvagi uomini, che si presentarono alla piccola casa dei due anziani coniugi. Essi non trovarono Agnolella ma il suo cavallo che il buon uomo raccontò di aver trovato per caso e portato dentro per salvarlo dei lupi. L’esterno è infestato di malintenzionati, uomini che irrompono delle case della buona gente, mangiano la loro carne. 2 Restituita Boccaccio nel Decameron Illustra la storia di due giovani protagonisti, Giovanni da Procida Che ama RESTITUTA Che vive nella vicina isola di Ischia, non lontano da Napoli. Ogni giorno andava da Procida a Ischia per vederla, qualche volta anche di notte, e c’erano volte che, quando non trovava una barca disponibile su cui imbarcarsi, vi era andato perfino a nuoto. Ma Restituta viene rapita un giorno d’estate, mentre raccoglie conchiglie sulla costa da un gruppo di alcuni giovani siciliani. La storia di RESTITUTA Ricorda espressamente quello di una santa che nel 429 a.C. e ancora oggi celebrata a Lacco Ameno nell’isola d’Ischia, una vergine e martire di Cartagine. Insieme a Altre donne Cristiane, viene condotta dei soldati romani, al tempo di Diocleziano, davanti al console Anulino il quale la tortura perché adorasse gli idoli e rinunciassi alla fede. Dopo innumerevoli torture venne martoriata e messa in una nave piena di resina e pece, materiali infiammabili, perché venisse bruciata viva in mezzo al mare. Ma a bruciare, fu, per volontà di Dio che invia un vento miracoloso, la nave degli assalitori. Restituta Ringrazia Dio per la grazia ricevuta e gli chiede di inviargli degli angeli per condurre il suo corpo martoriato e la sua imbarcazione a salvo. La restituzione delle acque alla terra della donna scampata all’ira dei suoi persecutori, invita a considerare le modalità di attraversamento per le donne dello spazio Marino e di quelle terrestre. La barca della Santa delinea lo spazio della terraferma quale luogo della sicurezza, mentre quella dei marinai siciliani ribadisce la pericolosità del margine del confine, tra terra e mare. Tornando alla storia di Boccaccio, i marinai siciliani, quando si accorgono di quanto sia bella, vedendola tutta sola, decidono di portarla via con Se. La portano in Calabria e cominciano a litigare fra loro per chi dovesse impossessarsi della ragazza, perché ognuno la voleva per sé. Diversamente dalla santa di cui porta il nome non ci sono angeli a portarla in salvo: Restituta, come tutte le altre donne viaggiatrici che attraversano il mare, o la terraferma nel Decameron, non viene graziata di alcun miracolo. Poiché i siciliani non arrivano ad un accordo, per non rovinare il rapporto di amicizia e di affari per colpa della ragazza decisero di sbarazzarsene di portarla al re Federico ll di Sicilia a Palermo. 3 Nicolette. Piuttosto insolita nel panorama delle viaggiatrici nel Mediterraneo è nicolette protagonista di un poemetto del Xlll secolo. La storia è scritta da un vecchio prigioniero, un soldato reduce della prigionia presso i saraceni. Essa racconta di una giovane prigioniera saracena, Nicolette. Prelevata dalla lontana Cartagine e fu collocata nella città di Beaucaire. Aucassin È innamorato di nicolette , ma suo padre si oppone al loro amore soltanto sulle basi della provenienza geografica e religiosa della ragazza: lei è e Rimane una prigioniera di origine saracene e per questo il padre di Aucassin Maledice la terra da cui è la proviene. Qual è il ruolo del mare in questa novella? Il mare non è menzionato ma è presente fin dall'inizio e anzi informa strutturalmente la storia, dal momento che tutte le vicissitudini nel romanzo, gli ostacoli all'amore fra Nicolette e Aucassin e la guerra fra i due conti, sono tutti collegati all'arrivo di Nicolette in Francia, attraverso il mare in quanto prigioniera (saracena) di una terra (straniera). Fin dall'inizio il mare delimita la sua dislocazione spaziale e quindi anche culturale fino al punto da dominare l'intera storia, con notevoli risvolti circa la questione del genere e dell'identità: il problema reale di essere di una terra straniera è il fatto che sia una ragazza saracena che viene convertita al cristianesimo e battezzata mentre era prigioniera. Tutta la sua vita è vissuta per compensare la sua dislocazione spaziale e la ricerca di una terra. Quando si riunisce con Aucassin, la prima domanda che Nicolette, che lo guarda come al suo capitano, gli fa è: «Aucassin, amore mio, in che terra andremo?» I due viaggiano e arrivano in aperto mare una grande e meravigliosa tempesta s’abbatte sul vascello e li spinge da una terra all’altra e finalmente gettano ’ancora nel porto del castello di Torelore. In modo piuttosto strano nessuno dei due sembra aver paura del mare e di essere consapevoli dei suoi pericoli. Nicolette non sembra avere alcun timore del viaggio in mare e non sembra capirne i pericoli, mentre quando entra nella foresta ha paura delle bestie selvagge, leoni, cinghiali e serpenti nella boscaglia, e. si raccomanda a Dio. Mentre sono felice innamorati, al castello i saraceni arrivano e catturano uomini e donne, inclusi Aucassin e Nicolette. Li legarono e li gettarono lui su una nave e lei su un’altra. Una grande tempesta divise le due navi. Così nicolette è nuovamente prigioniera è ancora una volta attraversa il mare. Il vascello di Aucassin approda vicino al castello di Beaucaire Dove la gente del luogo lo riconosce e lo riporta a casa sua dove scopre che i genitori sono morti. Il vascello dove Nicolette arriva a Cartagine, che la sua terra, su a casa. Il mare determina la separazione di Nicolette dalla sua terra, e cosi fa un'esperienza di dislocazione culturale e attraverso il mare viene a trovarsi riunita con il padre, il re di Cartagine, nuovamente nella sua terra. II mare l'ha unita ad Aucassin, ma ha anche causato la loro separazione. Tuttavia Nicolette è di nuovo a Cartagine, ma si sente ancora dislocata culturalmente dal momento che non appartiene più al luogo dove ora si trova. 4. Sconfinamenti di genere: il travestimento da uomo, il mare e l'identità. L'esperienza di Nicolette in termini di dislocazione e identità la differenzia dalle altre eroine, e l'avvicina moltissimo ad alcune donne che pur forzate a viaggiare nel Decameron, è capace di prendere iniziative e modificare il proprio destino, in particolare a Zinevra (II. 9), con cui condivide il motivo del vestirsi da uomo per sopravvivere al viaggio in mare. Non è la tempesta del mare a determinare la vita di Nicolette e Zinevra, ma le decisioni che fanno in momenti di pericolo. Nicolette, anziché accettare passivamente di andare sposa ad un ricchissimo re scelto dal padre re di Cartagine, decide di scappare segretamente durante la notte. Vaga e arriva al porto, dove alloggia con alcune donne povere in una casa vicino alla riva. Allora, servendosi di Erbe, si tinge la testa il viso, così la sua carnagione Diventò tutta nera e scolorita, indossando giacca e mantello, camicia e calze, si vestì di menestrello. Intanto Aucassin piange sulla propria sfortuna perché non sa dove sia e dove cercare la sua amata. Lei invece è molto più positiva e impegnata verso il proprio destino. Dopo tre o quattro giorni a Cartagine, lei pensa alla strategia migliore per andare e trovare Aucassin. Sa che per poter attraversare liberamente il mare deve vestirsi da uomo: se non proprio come un marinaio come la Zinevra di Boccaccio. Da uomo e da menestrello Nicolette trova la propria voce ed è capace di cambiare il proprio destino: viaggia per le campagne fino a quando arriva il castello proprio nel posto dove si trova Aucassin. Insomma cantando e narrando nei panni di un giullare negro la sua vicenda, Nicolette ritrova una sua identità di donna. Quando arriva al castello canta per Aucassin Quello che è successo oltremare a partire dal momento che sono stati catturati insieme a Torelore. Anche la risposta di Aucassin al giullare Si concentra su quella terra lontana, e su come darebbe una grossa somma e farebbe qualsiasi cosa per riportarla indietro. Quando Nicolette lascia Aucassin Va dritta a casa dei Visconti suo tutore viene riconosciuta accolta e chiede di dire ad AucassinChe Nicolette è venuta da paesi lontani e cercarti. In questo modo Nicolette rimani la donna di una terra lontana dall’inizio e la fine della storia. In questo racconto i ruoli del genere sono poco marcati visto che dovrebbe essere Aucassin ad andare alla ricerca di Nicolette mente è lei che tenta di trovare una strategia per trovare lui. 5 Zinevra << trasformarsi tutta in forma d’un marinaro, verso il mare se ne venne>> Boccaccio nel Decameron racconta il viaggio di una donna di nome Zinevra in termini mercantili e marittimi. Zinevra è sposata e possiede Tutte le qualità di la donna ideale, ma anche di un uomo infatti viene elogiata da lo stesso marito, ella è esperta di contabilità, è superiore al mercante medio per le sue capacità di cavalcare, di praticare la falconeria, di leggere scrivere e tenere i conti. Sono proprio queste qualità a rendere la protagonista una donna libera. Zinevra Si traveste da un uomo marinaio per sfuggire alla rabbia del marito che vuole ucciderla, perché fu accusata falsamente di averlo tradito . Il marito ordina un tuo familiare di ucciderla con un coltello.A questo punto Zinevra fa una richiesta che le salva la vita e che coincide con il suo travestimento da uomo e la partenza. Cosi vestito con un giubbotto e un cappuccio da uomo, durante la notte, sola e sconsolata, si recò a una villetta che era nei paraggi. Qui, come avviene per Nicolette, la donna si procura da una vecchia signora tutto ciò di cui ha bisogno per completaree perfezionare la sua trasformazione non solo in uomo ma in marinaio: con la camicia si fa un paio di calzoni corti in tela di lino, e il farsetto del familiare viene accorciato e accomodato al suo corpo femminile. A questo punto salpa da Genova su una nave catalana e si dirige verso la città di Alessandria d’Egitto. 6.Ispicatrea e la figlia del re d’Inghilterra: traverstirsi da uomo.. e “mettersi in via” Boccaccio, nel suo,De mulieribus, racconta di Ipsicratea la quale si traveste da uomo per accompagnare suo marito nei suoi viaggi in mare e in terr, poiché, diversamente dal motivo di Nicolette e Zinevra, la donna non tollera l’assenza del marito. Mentre per le altre, il travestimento da uomo rappresenta la fuga dal mondo maschile, e dai suoi pericoli, Ispicratea sceglie di abbandonare il noto per l’ignoto e di sprofondare nel mondo maschile rinunciado volontariamente alla sua identità femminile per vivere paradossalmente il suo amore con il suo uomo. Alla fine fu uccisa proprio dal marito. Vediamo che anche la giovane figlia del re d’Inghilterra, scappa in abiti maschili religiosi, vestita di bianco da abate, dall’inghilterra fino a roma per evitare il matrimonio imposto dal padre re di scozia, troppo vecchio per una giovane donna come lei.ma la vera identità dell’abate viene svelata al lettore, prima ancora che la donna inglese lo confessasse al papa. Durante il suo viaggio, incontra Alessandro di cui si innamora, e durante una sosta notturna, Alessandro viene sistemato vicino all’abate, la quale fece in modo che alessandro venisse a sapere della sua identità femminile e alla fine alessandro accetta l’offerta di sposarla. Come Zinevra, anche lei decide di traverstirsi da uomo per in vista di un viaggio verso l’ignoto, ma a differenza di Zinevra dove il viaggio avviene per mare, per la giovane d’Inghilterra il viaggio avviene in terra ferma. 7. Papessa Giovanna Un’altra donna, dall’Inghilterra a Roma decide di traverstirsi da uomo e indossare abiti religiosi: colei che passerà alla storia come la PAPESSA GIOVANNA. Quando era ancora una giovane donna fu amata da un uomo per il quale fuggì di casa e lo seguì in Inghilterra dove lui era andato a studiaree decide di cambiare nome in abiti di uomo. Quando il giovane morì, lei decise di non tornare donna e di non legarsi ad un altro uomo. Poco più tardi, alla morte di leone v fu nominata papa e fu chiamata Giovanni. Tuttavia, Boccaccio condanna le gesta di questa donna, perché a differenza delle altre donne, che decidono di vestirsi per sfuggire ad un pericolo, come nel caso di Zinevra e la principessa d’Inghilterra dove Boccaccio condivide pienamente questa scelta, nel caso di Giovanni, condanna questa scelta perché inganna il popolo. Ella, rimasta gravida, alla fine diede alla luce un figlio. 8. Giovanna- regina di Gerusalemme e di Sicilia, La protettrice delle strade e delle città Il profilo di Giovanna regina è di tipo geografico-spaziale. Boccaccio delinea i confini e rivolge l’attenzione ai popoli che abitano le sue terre e ne esalta l’abbondanza dei prodotti utili alla vita. La regina diventa in seguito a queste premesse di geografia e di storia umana, colei che si erge protettrice dei luoghi e della sicurezza per chi l’attraversa e in questo modo la regina porta a termine un’impresa che nessun re ha mai seguito: la sicurezza delle strade. 13. macchine per rendere invalicabili i confini: Alan Turing come essere umano Alan Turing si chiede se le macchine possono pensare e apre le porte alla ricerca in un campo che prende il nome di “intelligenza artificiale”. Quando un essere umano non vede i suoi interlocutori pone delle domande,e non sa se a rispondere sarà un uomo o la macchina. A questo punto, se la macchina sarà in gradi di formire risposte che potrebbero ingannare l’interlocutore, allora sarà dimostrato che la macchina è in grado di pensare. Questo è il famoso TEST DI TURING. L’intelligenza artificiale è un inganno, e altri ricercatori, muovendosi sulla scia di Turing definiscono con più precisione l’imitazione chiamandola simulazione. Quindi inganno, imitazione, simulazione. Il gioco d’imitazione proposto da Turing prevede che , l’osservatore, ponendo domande, dovrà capire se a rispondere sarà una donna o un uomo. Turing, infatti , non prende in considerazione le sfumature identitarie degli individui, cioè appartenenti ad un sesso o un altro. Il modello dicotomico, codifica L’ETEROSESSUALITA’, ed esclude l’omosessualità e la bisessualità. Difatti, Turing era omosessuale, ma combattè questa differenza e cercò di negarla a se stesso, ma quattro anni dopo aver pubblicato questo articolo, nel 1954 viene assassinato per situazioni politiche. Turing, passò glu ultimi anni della sua vita distrutto perché fu costretto a rivelare la sua omosessualità e fu pubblicamente costretto a curarsi per questa “malattia” e per questo fu mitizzato come personaggio. Infatti, per cercare di sfuggire dalla sua omosessualità, immaginò un mondo perfetto dove ogni imperfezione è negata e cercò di idealizzare una macchina dove ogni contraddizione è negata e costruì la macchina per rassicurare se stesso e per tenere a bada le proprie pulsioni e finisce così per dire: “nega te stesso, sii come una macchina”. Turing sogna una macchina priva di difetti umani, una macchina libera dalle sofferenze degli uomini, per mantenersi nei confini della norma, cioè pur di tenermi lontano dalla mia sofferenza, accetto di subordinarmi ad una macchina che mi imponga le normi sociali. Infatti, Turing teme la diversità e non concepisce la differenza. DIVERSITA E DIFFERENZA ci propongono due modi di guardare. Entrambi i concetti definiscono un movimento, mentre la diversità si riferisce ad una norma da rispettare, la differenza invece ci parla di un movimento senza una precisa meta, cioè un continuo spostamento, quindi la diversità stabilisce dei confini mentre la differenza li attraversa. In conclusione, “la macchina di turing” è il cuore che accompagna l’uomo in ogni momento della vita, e negli anni sessanta del secolo scorso, “al computer-macchina progettata per escludere zone grigie”, nasce quella per espolarle, e sta all’uomo scegliere la macchina e il modo di usarla. Ù 14, Cartoline del passato. Da esperimento didattico a pratica di public digital history “cartoline del passato” è stato un sperimento didattico finalizzato alla lettura critica dell’immagine fotografica e al suo recupero in quando fonte della storia. L’obiettivo era quello di trasformare la memoria familiare, privata e ricongiungerla a quella collettiva e condivisa. Il temo preciso era la FOTOGRAFIA come fonte di storia, agente di storia e mezzo per raccontare la storia. La questione della fotografia viene scelta proprio per il suo potere evocativo,ossia la capacità di influenzare i comportamenti collettivi, le scelte politiche e l’identità di gruppo. Nella fase operativa del progetto, gli studenti hanno attinto alle fotografie conservate nei loro album di famiglia ed ognuno di loro ha compilato una scheda contenenti le info di base. Poi agli studenti si è chiesto di procedere con la stesura di una bibliografia e di un testo per raccogliere gli elementi fondamentali che emergevano dalle fotografie nel modo più oggettivo possibile. Per consentire a tutti l’accesso, è stato creato un archivio fotografico. Così nasce “cartoline del passato” in modo da far emergere come una fotografia dal valore familiare, possa acquisire le potenzialità di un documento. L’archivio viene organizzato su una piattaforma di Facebbok, per coinvolgere non solo gli studenti partecipanti al corso, ma anche altri utenti al di fuori dell’ambito universitario, infatti il numero dei follower si è fatto via via più consistente. Dalla metà dell’ottocento ad oggi, la fotografia ha accompagnato e documentato la vita familiare in quanto gli album di famiglia un oggetto identitario attraverso il quale le famiglie hanno costruito la loro storia. Infatti, proprio per il suo valore, la fotografia diviene oggetto di studio di molti storici. L’elaborato finale degli studenti consisteva in un filmato di sintesi del lavoro svolto durante il corso con lo scopo di congiungere la memoria familiare con la storia. Tutti i video sono stati poi caricati in un canale youtube Quindi, in conclusione, non è stato un lavoro finalizzato alla valutazione del docente, come spesso accade, ma uno sforzo creativo in cui i giovani sono stati chiamati a esprimersi in ambito pubblico e aperto.