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margini e confini libro nuovo-Completo

Capitolo 1. Oltre il confine
Questo libro è stato scritto per confrontarsi con un pensiero sospeso tra lo sperimentare didattico
ed elaborazione di metodo. Viene a declinarsi il tema del margine indicato come cifra
caratterizzante della società contemporanea. L’endiadi (figura retorica per cui un concetto viene
espresso con due termini coordinati) “margini e confini”, si poneva l’obiettivo di dare luogo ad
una riflessione sulla inattualità concettuale della prospettiva dell’esclusione e della separazione.
L’obiettivo è quello di mettersi in gioco per ripensare alle proprie proposte didattiche, in una
quotidianità nella quale la richiesta di innovazione e di evoluzione dei presupposti tradizionali
della trasmissione educativa mette costantemente in gioco la popolazione “di qua” e “di là” della
cattedra. Non solo per la pressione dell’immediatezza del risultato (l’esame), ma anche per la
consapevolezza della proiezione professionalizzante di un percorso di studi finalizzato
all’insegnamento per il quale la richiesta di competenze trasversali e di strategie di comunicazione
didattica sembra talvolta relegare in una posizione sempre più accessoria la necessità di acquisire
contenuti disciplinari, determinando l’urgenza di ritornare alla consapevolezza epistemologica di
specifici settori scientifici, precondizione necessaria a ogni forma di disseminazione
intellettualmente professionale. La matrice di questa complessa esperienza è maturata nutrendosi
della prospettiva disciplinare della storia. Gli storici infatti sono chiamati a confrontarsi con
urgenza sui metodi e forme che la descrizione e l’interpretazione del passato devono assumere
per non rimanere esclusi dai meccanismi di trasmissione. La storia però rifiuta di piegarsi alle
logiche di una malintesa public history nel rispetto della disciplina. La riproduzione delle narrazioni
rischia di produrre una molteplicità di passati che impediscono la sopravvivenza dei modelli
tradizionali della trasmissione dei saperi storici, e non trova parole e immagini per raccontare una
storia attenta a tutte le forme del tempo. Questa cognizione diventa ancora più necessaria negli
spazi formativi destinati ai futuri insegnanti, perché bisognerebbe insegnare a insegnare che il
racconto della storia non è un modo per ordinare i fatti del passato secondo una scansione
cronologica, ma è trasmettere la capacità di intessere la rete di relazioni, di nessi di cause di
effetto, necessari ad avere la coscienza piena della complessità del presente.
2. Le tappe di un percorso
Il percorso seminariale denominato margine e confine ha preso forma nel 2012 ed ha coinvolto
docenti come Ciro Pizzo ma anche il preside Enrico Corbi ed altri colleghi che hanno risposto alla
richiesta di sperimentare una nuova formula delle loro lezioni. Un primo snodo concettuale è stato
quello denominato grammatiche della marginalità. Un approccio connesso al tentativo di
determinare attrezzi utili a restituire la problematizzazione del concetto di margine all’interno di
diverse tradizioni disciplinari. Un secondo è stato quello orientato a individuare linguaggi e
procedure di costruzione delle identità determinatesi all’interno delle comunità marginali. Lo
scopo di questo filone era quello di sollecitare l’attenzione verso la presenza di gruppi marginali e
spazi della differenza relegati nella dimensione altra. L’ultimo snodo è stato l’articolazione di un
confronto tra persone al margine e la strutturazione di assetti sociali più o meno inclusivi. Un
grande interesse e un’incisiva ricaduta ha stimolato l’appuntamento con Eraldo Affinati
organizzato da Silvia Zoppi all’interno del corso di letteratura italiana dal quale è emerso il bisogno
di una scuola per l’insegnamento gratuito della lingua italiana ai migranti nata dalla convinzione
che comprendersi sia il primo, necessario strumento di integrazione. La scuola Penny Wirton,
fondata Roma nel 2008 da Eraldo Affinati, nasce proprio da un sogno: insegnare la lingua italiana
ai migranti come se parlare, leggere e scrivere fossero acqua, pane e vino perché senza lingua non
si può vivere, senza nomi si muore. Ogni anno, dal 2013 al 2017, è stato dunque identificato un
tema attorno al quale programmare un ciclo di incontri con esperti e studiosi esterni ma anche con
esperienze di vita, con testimoni disposti a condividere il loro vissuto o i ricordi di un passato
personale, familiare, identitario.
2.2. Transizioni. 2013
Il tema lanciato come focus per la seconda edizione del seminario è transizioni ed era infatti
connessa all’idea dello scardinamento delle categorie tradizionali di spazio e tempo da far
confluire in una dimensione dinamica più coerente con la natura stessa della storia, aperta alla
dilatazione globale degli spazi e alla velocità che il nostro tempo ci impone. In questo nuovo ciclo
di incontri sono stati indicati come i confini del tempo: le riflessioni sui problemi posti sulla
necessità di mettere in discussione l’egemonia della dimensione europea e la visione del mondo
come oggetto conosciuto, insomma, un modo di attualizzare il metodo della comunicazione della
storia. Durante la seconda edizione, in un’aula affollatissima, gli studenti si sono trovati di fronte a
tre protagonisti della battaglia contro lo Stigma della disabilità, motivo di esclusione feroce,
tristemente radicato anche nelle società più evolute: una vera e propria guerra del nostro tempo,
vinta con l’arma dello sport e dell’impegno agonistico. Gianluca Attanasio, Immacolata Cerasuolo e
Pino Maddaloni hanno portato la testimonianza di un confine varcato con la forza dell’impegno,
ma hanno anche aperto uno squarcio sulla programmazione di spazi e percorsi di attraversamento
delle barriere, cominciando da quelle architettoniche e per finire alle logiche-emozionali che
devono facilitare la cultura dell’accoglienza.
2.3. Cittadinanze. 2014
Il ciclo trattato nel nuovo corso del seminario margini e confini è cittadinanze. Esso ha costruito
uno spazio polisemico per una progettazione di più lunga durata nella quale svolgere una
riflessione sulle frontiere politiche, sulle barriere formali e informali. Questione cruciale del
contemporaneo, l’inclusione nella rete dei diritti, costituisce infatti uno dei pilastri della
organizzazione politica e sociale delle comunità occidentali. L’incontro con Mariella Pandolfi,
antropologa dell’universitè de Montrèal che aveva vissuto in prima persona il conflitto nella ex
Jugoslavia e poi quello con Umberto Ranieri, sottosegretario agli esteri del governo italiano, hanno
offerto l’occasione per concettualizzare le dinamiche tra memoria e storia in un contesto “altro“
rispetto all’esperienza del privato. Il colloquio immaginato con il console dell’Ucraina avrebbe
dovuto raccontare la tragedia della fame imposta a quel popolo dalla strategia politica di Stalin. Un
appuntamento programmato per dipanarsi attraverso linguaggi diversi che si è trasformato in un
vero e proprio tuffo nella storia: nell’aula affollata dell’università irrompeva infatti la notizia del
bombardamento russo in Ucraina, costringendo il diplomatico ad abbandonare precipitosamente
l’incontro. Una dimostrazione per tutti i presenti, dell’impossibilità di tracciare confini certi del
tempo.
2.4. Cittadinanze. Solidarietà e diritti. 2015
L’edizione successiva del seminario si è proposta di affrontare il tema dell’inclusione. Per farlo, si
è scelto di focalizzare l’attenzione soprattutto sulla questione dei diritti. Un’analisi che si poneva il
problema di dimostrare l’emergere progressivo del diritto di avere diritti. Animatrice del progetto
mondodonna, la Condorelli, ha posto il problema della responsabilità non solo individuale di
trasmettere gli strumenti culturali per contrastare l’abitudine ad agire sulla base di convinzioni che
non hanno alcun fondamento scientifico, ma soprattutto di diffondere la consapevolezza che il
“prendersi cura” sia un elemento essenziale della progettazione pubblica e culturale, non un
problema confinato nella sfera dell’intimo e del privato.
2.5. Attraversamenti. L’intelligenza diagonale della storia. 2016
La V edizione del seminario ha trattato la questione dei linguaggi. Per partire ancora una volta
dalla storia, questo nuovo ciclo ha messo insieme testi e immagini nella conversazione che
Roberta Morosini, professoressa di letteratura italiana, ha mescolato astronomia e filosofia, storia
e psicanalisi, ed ha approfondito i problemi dell’intreccio tra divulgazione e narrazione; quindi il
punto cruciale è stato quello dell’incontro delle humanities con le scienze. La conclusione del ciclo
poi, si è voluta sospesa tra musica e teatro: un progetto realizzato grazie alla collaborazione di due
artisti che hanno creato un linguaggio del “qui” e “ora”.
2.6. Vulnerabili. Il sostegno alla marginalità dalla beneficenza ai diritti. 2017
L’ultimo ciclo seminariale ha riproposto la questione della solidarietà e dei diritti, e ha focalizzato
l’attenzione soprattutto sulle logiche di esclusione e di marginalizzazione. La testimonianza di
Francesco Dandolo è stata molto importante perché ha ripreso l’attività svolta nel centro storico di
Napoli dalla comunità di Sant’Egidio, per la gestione di una scuola di italiano per stranieri
prospettata come strumento e come canale di integrazione e inclusione. Un altro tema trattato
durante il corso è stato la nevralgica condizione femminile specialmente nel mezzogiorno da Anna
Bellavitis.
4. L’intelligenza diagonale della storia
La storiografia sta riscrivendo i percorsi di costruzione storica, delle identità dei popoli dell’Europa
e del mediterraneo. Durante il percorso, sono stati evidenziati temi come: processi di penetrazione
dei migranti e le reazioni dei residenti al loro arrivo; il reintegro dei migranti nelle loro
appartenenze originarie; l’incontro tra chi si muoveva e chi risedeva; l’adesione a identità nuove,
contaminate dalle culture di provenienza dei nuovi arrivati; verificare la diffusione di multiple
identites in alternativa ad un approccio sovrazionale. Tutto ciò può offrire attraverso la storia un
supporto importante alla costruzione della civiltà dell’accoglienza. Nascono grazie ai privati, enti
assistenziali, che avevano lo scopo di rafforzare identità e appartenenze attraverso strutture
dotate di regole e statuti condivisi. Tra le tante, ne è un esempio quello della confradia de nostra
senora de la soledad, una compagnia laica costituita da esponenti del governo di Spagna a Napoli
per sopperire alle esigenze di ricovero e di istruzione di donne in difficoltà (vedove e orfe).
Capitolo 2. Cantieri di Vittoria Fiorelli
Paradigmi orientali di cittadinanza (Ciro Pizzo).
In questo paragrafo è trattata la categoria dell’oriente, per capire dove finisce l’occidente e dove e
come quest’ultimo inizia a costruire il suo oriente. Said, un intellettuale palestinese, denuncia
come gli occidentali abbiano accompagnato il processo di colonizzazione, mettendo l’oriente in
una condizione di inferiorità già in partenza. Nel testo di Said, vi è la richiesta all’Europa di
smettere di pensare di essere superiore culturalmente ad altre arie del mondo. Oggi, si usa
l’aggettivo orientale associandolo all’Islam e alla guerra, dimenticando altre parti di Oriente.
Questa etichetta è un’invenzione dei paesi europei. Nel mondo islamico, c’è una partizione
fondamentale fra due contesti differenti: la terra con una maggioranza di religione islamica che
definisce sé stessa la casa dell’islam, contrapposta alle terre dove non vi vige l’Islam definite le
case della guerra. Per secoli, prima che sulla scena arrivasse l’Islam, la contrapposizione non era
oriente e occidente, ma Europa e Asia, perché i greci, avendo un’alta considerazione di sé,
sottolineavano le diversità dell’Asia, anche se in realtà li ammiravano e sono stati per loro fonte di
grande ispirazione. Quindi parecchie zone hanno subito il fascino di questa alterità orientale tra cui
anche Roma, ma oggi sembra invece che riemerga questa tendenza nei termini di
contrapposizione tra dove finisce l’Asia e dove inizia l’Europa. Ancora oggi, gioca un ruolo
essenziale, il peso degli immaginari dispotici orientali contro la civile Europa, due universi
ideologicamente contrapposti.
2 Confini eurasiatici. I vincoli della lunga durata, i conflitti degli imperi e il disordine delle
nazioni.
Attualmente i confini dell’Europa sono segnati ad oriente dalla Russia e la Turchia ,d’altra parte i
confini meridionali e sudorientali sono perlopiù marittimi . Ed è proprio in tali confini che tra il
1989 -91 si sono addensati gran parte dei conflitti che hanno interessato tutto il mondo. A partire
dalla fine della seconda guerra mondiale : l’epicentro è il medio oriente , non a caso si sta facendo
strada la dizione di “Medio oriente allargato “ per indicare un’area che dal Marocco si estende
fino all’Asia centrale, all’afghanistan ,al Pakistan , all’india, al Bangladesh. Il motivo principale per
cui vi era tale conflittualità è che per secoli questo immenso territorio era stato governato da
grandi imperi multinazionali di varia natura e origine , che in modi differenti avevano governato le
relazioni fra etnie e religioni differenti . Ma nell’ultimo secolo a prendere il posto di questi imperi
multinazionali sono Stati multietnici e multi religiosi ed in qualche modo gli scontri si sono
moltiplicati arrivando cosi a guerre civili ,conflitti interstatali ,ma ciò che più di tutto prevale è
sempre una forte interdipendenza tra le conflittualità locali e la volontà di dominio delle grandi
potenze globali . Ricordiamo alcune svolte fondamentali , questo spazio ha vissuto la dissoluzione
dell’Impero ottomano inseguito alla prima guerra mondiale; il disgregarsi dell’Impero coloniale
britannico inseguito alla seconda guerra mondiale; il disgregarsi dell’impero coloniale francese
nell’ondata di decolonizzazione degli anni 50 e 60 del novecento. Altri due attori fondamentali di
questo enorme spazio a cavallo fra Europa , Asia ed Africa sono la Cina e l’Iran hanno subito
anch’esse profonde metamorfosi istituzionali e culturali . Oggi , in questo spazio si sono insediati
gli eredi degli antichi imperi , che mirano ad essere veri e propri attori globali: Russia , Cina ,India
,Turchia e Iran. Attualmente in questi stessi posti, attori globali vecchi e nuovi coesistono con i
nuovi stati , i cui confini sono stati definiti a freddo da una serie di mosse dei vincitori del
momento . Tant’è vero che emerge un evidente inadeguatezza tra essi su vari piani : etnico,
economico. Si pensi ai confini dell’Asia meridionale , i confini tracciati fra India e Pakistan dalla
spartizione del 1947 si sono rivelati affrettati e spesso paradossali , soprattutto in regioni abitate
molto fittamente dove i confini sono stati tracciati molto arbitrariamente dato che era impossibile
separare le popolazioni hindu e islamiche che vivevano lì da secoli mescolate . L’arbitrarietà di
questi confini ha prodotto scontri etnici e migrazioni forzate che hanno coinvolto milioni di
persone ,tanto da portare una profonda ostilità tra India e Pakistan che ancora oggi persiste.
D’altra parte emerge ambiguità anche parlando dei confini tra Europa e Asia ,questi non sono
confini naturali , e quasi mai sono stati confini politici ma hanno assunto una connotazione
simbolica di massima importanza. Saranno le guerre persiane a far emergere un’opposizione fra
l’Europa quale dominio della democrazia e della libertà e l’Asia quale dominio del dispotismo
imperiale . Tradizionalmente il confine tra Europa e Asia era collocato , come oggi , nel Mar Egeo
,nel Bosforo e nel Mar Nero , e arrivava fino alla foce del Don . Quando nel medioevo tali spazi
iniziarono ad essere coinvolti nelle vicende europee , il Don fu assunto come delimitazione dei due
continenti. Ma non essendo una barriera geografica completamente netta , nei secoli della
modernità il confine fu spostato sul Volga e poi lungo la catena degli Urali , che è la scelta ormai
universale adottata. Oggi che abbiamo compreso la storicità e la mutevolezza, della tradizionale
distinzione fra Europa ed Asia, gli storici e anche, fra gli altri, gli archeologi si sono chiesti se
l'enorme blocco eurasiatico (che ha una realtà integrale non solo geologica e ambientale, ma
anche culturale ed economica) non possa essere segmentato in nuove forme alternative, alla
divisione tradizionale. Progressivamente, è emersa l'idea di segmentare il blocco eurasiatico in
forme più aderenti a taluni loro aspetti geografici, ecologici, economici. È emersa cosi una
distinzione fra Eurasia esterna ed Eurasia interna.
L'Eurasia esterna è il territorio a diretto contatto con i mari e gli oceani temperati e caldi, è
percorsa dai bacini irrigui dei grandi fiumi, ed è stato il nucleo di un'agricoltura basata sulle
coltivazioni vegetali e sugli insediamenti stanziali , un modo . Qui, tutt’ora si trovano le aree più
densamente popolate del mondo ,in primo luogo la Cina ,l’India ,il Giappone ,l’Asia sud-orientale.
Sulla base di questa distinzione possiamo considerare la maggioranza delle regioni europee occidentali, centrali, meridionali, sudorientali - come componenti di una grande penisola
dell'Eurasia esterna, che è l'Europa stessa.
Per quanto riguarda l’Eurasia interna comprende la grande fascia che va dall’Ucraina fino al
Pacifico. Essa è dunque la sede di un nomadismo basato sull'allevamento, sviluppatosi peraltro in
stretta simbiosi con nuclei di popolazione adiacenti che adottano altri modi di vita: gli agricoltori
delle oasi steppiche e desertiche, come pure i cacciatori-raccoglitori delle foreste settentrionali.
Oltre alla Siberia settentrionale, l'Eurasia interna comprende in massimo parte quella che veniva e
viene chiamata Asia centrale, e prima ancora "Tartaria", cioè una serie di steppe e di deserti che va
dal Caspio alla Mongolia e, più a nord, dall’Ucraina alla Siberia meridionale. Pensando che la
massima parte del'Europa si trova in quella che abbiamo definito l'Eurasia esterna, forte è la
tentazione di considerare questa regione cosi segmentata politicamente, economicamente,
culturalmente come il motore della storia globale politica, economica, culturale e Eurasia interna
come una sorta di retrovia poco sviluppata. Il più delle volte, la percezione delle popolazioni del
Eurasia interna da parte degli imperi e dei regni dell'Eurasia esterna (come l'Impero romano,
l'Impero bizantino e I'Impero cinese ma, da questo punto di vista, anche la Russia moscovita) è
stata segnata dall'epiteto di "barbari" distruttori, è consistita nella visione di orde irrompenti ad
ondate a volte inesauribili e incontenibili, miranti principalmente al saccheggio e alla spoliazione
dei beni materiali delle civiltà stanziali, approfittando dei loro momenti di debolezza e di
transizione. Di queste popolazioni temute e insieme sottovalutate dagli imperi stanziali, la teoria è
molto lunga e articolata. Nella storia globale delle civiltà, oggi il ruolo dei nomadi dell'Eurasia
interna viene ad occupare un posto di grande rilevanza. In primo luogo dobbiamo ricordare come
ai nomadi delle steppe, molto probabilmente nell'attuale Ucraina, spetti verso il 4.000 a.C.
un'innovazione di importanza capitale: la domesticazione del cavallo e il successivo
accoppiamento dei cavalli domesticati con la ruota di origine mesopotamica. In un mondo in cui i
mezzi di trasporto terrestri erano inesistenti, le innovazioni prodotte da questo accoppiamento
(sia quelle pacifiche, i carri da trasporto, sia quelle belliche, i carri da guerra) diedero a questi
nomadi una moblità senza pari, che li portò presto ad espandersi in molteplici direzioni: verso
l'Europa centrale come verso i Balcani, l'Anatolia, l'Asia centrale, la Siberia meridionale. Una
diretta indicazione della rilevanza di queste espansioni nella storia globale sta nel fatto che con
ogni probabilità esse sono alla base della diffusione delle lingue indo-europee oggi parlate da gran
parte dei popoli d’Europa e da buona parte dei popoli dell’India e dell’altopiano iranico . Una
seconda, concomitante indicazione sta nel fatto che la cultura del cavallo raggiunse ben presto la
Cina, ove alcuni imperatori sono stati seppelliti nel loro carro da guerra e ove sembra che talvolta
le élites nomadiche abbiano preso il sopravvento . Molte coltivazioni agricole, molte tecniche
metallurgiche, molte tecnologie di vario genere che l'Europa e la Cina si sono scambiate nel corso
della loro storia plurimillenaria sono passate per i corridoi dell'Asia centrale. Tanto che già alcuni
millenni prima di cristo viene a crearsi un grande sistema commerciale eurasiatico, poi conosciuto
con il nome della "via della seta". La via della è stato il tramite per la diffusione e la mescolanza di
religioni e di varie forme di spiritualità : dall’India il buddismo ha raggiunto la Cina e poi l'estremo
oriente proprio seguendo itinerari. Soprattutto, nei secoli del nostro medioevo l'Eurasia interna è
stata un crocevia culturale di grandissima importanza, fondamentale anche per gli sviluppi
scientifici e filosofici dell'occidente: non a caso Richard Starr ha parlato di un "illuminismo
perduto" nella ricostruzione di una fioritura culturale di cui solo oggi iniziamo ad apprezzare la
rilevanza.
Per comprendere l'ingresso dell’Europa e del mondo nell’età moderna ,simboleggiato dalla soglia
del 1492 dall’”incontro colombiano”, dobbiamo concentrare il nostro sguardo sui decenni
antecedenti, quando l'Europa, nel contesto mondiale, si era trovata in una posizione molto fragile.
Come è noto, la data della presa di Costantinopoli, nel 1453, aveva costituito per l'Europa un forte
segnale d'allarme, sul piano simbolico come su quello strettamente economico. Una potenza
islamica, I'Impero ottomano, si era infatti impadronita, dopo una lunga serie di guerre di conquista
quasi sempre vittoriose, della roccaforte della cristianità orientale, sostituendosi agli eredi
legittimi dell'antico Impero romano. Né prometteva di accontentarsi di essere divenuta una
potenza mediterranea e tricontinentale : la sua ideologia propendeva per un'espansione continua,
sollecitata dall'esigenza di trovare nuove sedi per i gruppi di nomadi rimasti fedeli agli antichi modi
di vita dei turchi. Che l'Europa, almeno nelle sue regioni meridionali e centrali, costituisse un
nuovo fronte di espansione per gli ottomani non era una possibilità, ma una certezza.
La
nuova entità politica dell'Impero ottomano controllava gli sbocchi sul Mediterraneo e sul Mar
Nero dei tradizionali itinerari commerciali della via della seta e della via delle spezie che da
millenni collegavano l'occidente con l'oriente. Anche nel Medioevo questi sbocchi erano stati quasi
sempre in mani islamiche, ma la storia dell'islam in questi secoli dopo l'età fondatrice delle
dinastie omayyadi e abbasidi- era andata incontro a una sempre maggiore frammentazione
politica, che aveva consentito agli attori europei di cogliere con abilità le lor opportunità
commerciali. Basti come esempio l'intraprendenza della Repubblica di Genova, che nel trecento
aveva fatto del Mar Nero una sorta di lago genovese, controllando una serie di ponti e di
piazzeforti sulle sue coste. Al contrario, alla fine del quattrocento, l'Impero ottomano si poneva
come una potenza compatta, che mirava anche a ricostituire una (relativa) unità politica dell'islam
e soprattutto a riunificare autorità politica e autorità religiosa dell'islam, cosa che avverrà agli inizi
del cinquecento, con la conquista dell'Egitto e, insieme, dei luoghi sacri dell'islam nella penisola
araba: da allora il sultano ottomano potrà acquisire il titolo di califfo, capo spirituale dell'Islam .
Nel tempo l'Eurasia interna sembrava aver prevalso sull'Eurasia esterna. Le varie stirpi turche si
erano alla fine stanziate e avevano assunto una funzione dominante in molti dei centri delle civiltà
tradizionali dellEurasia esterna: non solo nell'antico territorio dell'Impero bizantino, ma anche in
Egitto, appunto, nella Siria, nella Mesopotamia, nei Balcani.
Contemporaneamente all’espansione ottomana vi fu lo sviluppo di altri due imperi islamici che con
le debite differenze , condividevano con l’impero ottomano le medesime caratteristiche
dell’origine nomadica delle dinastie regnanti e della presa di possesso di territori di sviluppate
civiltà agricole. Questi imperi islamici , anche se dotati di una certa tolleranza religiosa costruirono
un nuovo centro civiltà dell’Eurasia basato su modi di vita dell’Eurasia interna.
Proprio allora avvenne uno dei fatti più sorprendenti dell’intera storia del mondo. Data la fragilità
europea ,quattro monarchie situate sul margine occidentale del continente, Spagna, Portogallo ,
Inghilterra e Francia , si impegnarono a tracciare nuovi itinerari commerciali , circumnavigando il
continente africano e cercando l’oriente navigando l’occidente . Questa costituì una grande
manovra di arricchimento per il centro eurasiatico degli imperi islamici . Alla fine , la
colonizzazione del Nuovo Mondo trasformò tutti gli itinerari commerciali e tutti gli equilibri
economici del mondo portando al trionfo a livello globale dell’estrema regione occidentale
dell’Eurasia esterna. Come è noto , l’impero dei turchi ottomani volle anche prorogarsi come
legittimo discendente dell’impero bizantino, continuando ad esercitare la sua autorità sulle regioni
cerniera fra Europa e Asia . Ma proprio allora emerse un suo serio concorrente : il Granducato di
Mosca . Quasi contemporaneamente ai primi viaggi di scoperta, il Granducato di Mosca, inizia la
sua espansione in tutte le direzioni ,un’espansione che lo porterà a diventare uno degli imperi più
estesi nell’intera storia del mondo ,nella veste di impero della Russia zarista. Fu infatti proprio
nella seconda metà del 400, sotto il regno di Ivan III che furono poste le basi di quella politica
estera espansiva che poi saranno una costante di tutte le istituzioni statali russe successive . Come
primo passo riesce ad unificare politicamente tutta l’area culturale russa ponendo fine alla
supremazia di centri come Novgorod e Tver. In secondo luogo, Ivan III si rifiuta di pagare il tributo
ai mongoli dell’Orda d’Oro ed emerge vincitore della contesa successiva. In terzo luogo , il sovrano
moscovita sposa in seconde nozze una principessa bizantina e legittima, realizzando la sua
ambizione di costruire la discendenza naturale dell’antico impero. Così , agli inizi della modernità,
insieme all’impero ottomano , sorge e si consolida un altro grande impero territoriale a cavallo fra
l’Eurasia esterna e l’Eurasia interna. In un certo senso il percorso politico, geografico e simbolico
dell'Impero russo è opposto e simmetrico a quello dell' Impero ottomano. Mentre l'Impero
ottomano era sorto in seguito al dominio di una nuova élite nomade sui criteri delle antiche civiltà
agricole, l’impero russo, basato fondamentalmente sull’agricoltura , finisce con l’esercitare la sua
autorità sui popoli nomadi delle steppe, negli stessi territori che per molti secoli avevano visto il
mosaico stratificato e aggrovigliato delle continue ondate migratorie delle popolazioni turche e
mongole. Dapprima, nel cinquecento, la sua autorità inizierà ad estendersi sulle steppe del basso
corso del Don e del Volga, nei secoli successivi, e ancora di più nel corso dell'ottocento, dilagherà
nell'Asia centrale in senso stretto a partire dalla steppa kazaka e procedendo poi verso le catene
montuose che separano questa regione dell'Eurasia interna dal subcontinente indiano, cioè
dall'Eurasia esterna. I territori più estesi coinvolti dall'espansione dell’Impero russo erano però
quelli dell'Asia settentrionale . Le porte della Siberia si aprirono ai russi con la conquista del
khanato di Sibir, ma ben presto vennero raggiunti tutti i grandi fiumi siberiani e verso la fine del
600 , nell’estremo oriente l’impero zarista entrò in contatto con un’altra grande potenza: la Cina.
Sin dai tempi antichi , le prime civiltà cinesi erano situate lungo il corso di quei grandi fiumi, la sua
espansione ha proceduto in genere da settentrione verso meridione , raggiungendo anche l’Asia
sud-orientale . Tuttavia la civiltà cinese nel corso del tempo ha subito anche la potente pressione
dei popoli nomadi del nord e dell’ovest, e ha cercato di controbilanciarla. Le relazioni fra cinesi e
nomadi sono state estremamente mutevoli , assumendo molteplici forme : cooperazione,
complementarità, conflitti aperti , alleanze, e così via . In alcuni momenti erano i popoli dell’Asia
centrale a conquistare la Cina; in altri momenti erano invece i popoli del nord a conquistarla
insediandovi le proprie dinastie. Nel corso del 700, l’impero cinese si è dilatato verso occidente,
prevalendo sulla civiltà tibetana e colonizzando quella regione di steppe e deserti che veniva
chiamata Turkestan ,che oggi i cinesi chiamano “nuova frontiera”. La rapida metamorfosi della
Cina non è concepibile senza la parallela espansione della Russia verso la Siberia orientale e
l’Estremo Oriente. L’impero russo e l’impero cinese furono i primi stati nella storia ad accordarsi su
una precisa delimitazione dei loro rispettivi confini . Questa alleanza fra Russia e Cina segnò il
declino e poi la rapida fine dell’ultimo grande impero nomadico dell’Eurasia interna. Rapidamente
le relazioni commerciali fra Europa ed Estremo Oriente abbandonarono gli itinerari terresti per
concentrarsi sugli itinerari marittimi lungo le coste dell’Oceano Indiano e del Mar Cinese. Nei primi
secoli dell’età moderna, infatti , mentre il cuore eurasiatico continuava ad essere caratterizzato
dalla forma tradizionale degli imperi territoriali , le potenze dell’Europa occidentale avvilupparono
il mondo con una nuova forma imperiale molto originale : gli imperi a rete . Invece che esercitare il
controllo su territori congiunti e continui , gli europei si preoccuparono di rendere agevoli e sicure
le rotte marittime : sulla terraferma divennero perciò importanti i punti strategici di appoggio.
Mentre nelle loro rispettive madrepatria gli stati europei sviluppavano le forme istituzionali degli
stati nazionali assoluti e sovrani , i loro territori di oltremare saranno caratterizzati da costanti
oscillazioni fra dominio diretto e dominio indiretto. Gli iniziatori del nuovo tipo di impero a rete
furono i portoghesi ,che nella loro rotta della “nuova via delle spezie che circumnavigava l’Africa
per commerciare con l’India e con il sud-est asiatico peninsulare e insulare si dedicarono a stabilire
isole di sovranità nei luoghi valutati più strategici. Isole di sovranità portoghese si insediarono
dunque nell’Africa atlantica , nella costa africana dell’Oceano Indiano , in Arabia , nell’isola di
Hormuz ecc. I continuatori e gli eredi dei portoghesi saranno i britannici. L’impero britannico , nel
periodo dal 1890 al 1930 , diventerà l’impero più grande , per superficie , di tutti gli imperi della
storia del mondo . Ed è un risultato paradossale, pur essendo rimasto un impero a rete finirà con
l’esercitare la sua sovranità su territori ancora più estesi di quello del grande impero territoriale ,
ossia la Russia moderna . Nel corso del 19 secolo , il mondo è teatro di una prima guerra fredda ,
con occasionali scoppi di conflitti locali , il più importante dei quali è la guerra di Crimea , che vede
scontrarsi proprio il maggiore degli imperi a rete e il maggiore degli imperi territoriali .
In questo lasso di tempo la Russia aveva sviluppato la consapevolezza di essere una potenza
euro-asiatica cercando dunque di fondere insieme caratteristiche tipiche dell’Eurasia esterna con
caratteristiche tipiche dell’Eurasia interna. Da Pietro il Grande in poi, i sovrani russi ben
compresero come gli stati dell'Europa occidentale si stessero assicurando la prevalenza sul piano
mondiale grazie al controllo degli oceani delle rotte marittime che li attraversavano. Da questo
punto di vista la Russia si trovava in una condizione scomoda: la sua collocazione non la rendeva
una potenza marittima, e anche i mari a cui poteva avere più diretto accesso erano mari interni,
facilmente controllabili da altre potenze. Cosi si sviluppò una vera propria ossessione, da parte
russa tanto che nel settecento, una delle linee costanti della politica estera russa è il tentativo di
allentare questo accerchiamento. Un primo fronte in cui la Russia ottiene buoni successi è la
regione del Mar Baltico. In seguito, l'obiettivo prioritario diventa l’espansione verso le coste del
Mar Nero tanto che anche l'Impero ottomano ottomano diventa un bersaglio costante delle mire
zariste in quanto il Mar Nero, come è noto è collegato al Mediterraneo dagli stretti passaggi del
Bosforo e dai Dardanelli, allora sotto controllo ottomano. L’ambizione russa di ottenere il
sospirato approdo ai “mari caldi “ non ha come obiettivo soltanto il Mediterraneo ma anche il
Golfo Persico e l’Oceano Indiano . Ma l’obiettivo principale di questa espansione, oltre all’impero
ottomano è l’Impero persiano : nonostante varie conquiste locali, la Russia rimane comunque ben
lontana dal conseguire in qualche modo l’accesso all’Oceano indiano .
La distanza fra la costa dell'oceano dal territorio russo è considerevole e tuttavia, nel corso
dell'ottocento, l'espansione dell’impero zarista nelle steppe nelle oasi dell'Asia centrale lo porta
fino ai contrafforti delle catene montuose che separano, appunto, l’Asia centrale dall' Asia
meridionale. Un passo ulteriore in questa direzione sembra dunque possibile. E’ proprio su questo
fronte che i britannici non sono disposti a fare concessioni ai russi. E cosi i britannici arrivano sui
contrafforti meridionali delle stesse catene montuose che vedevano i russi insediati sui
contrafforti settentrionali. Fra russi e britannici si frappone soprattutto l'Afghanistan, uno stato
assai multietnico che si era staccato di recente dall'Impero persiano. I britannici cercano di
esercitarvi un controllo diretto, ma falliscono nell'impresa, e la sconfitta subita costituisce una
delle peggiori umiliazioni della loro storia. Preferiscono allora gestirlo come uno "stato
cuscinetto", per bloccare l'espansione russa. Alla fine dell'ottocento, attribuiscono all'Afghanistan
la cosiddetta "appendice di Wakhan che ha la funzione di separare l’Impero britannico e l’impero
russo.
Le due guerre mondiali sono infatti caratterizzate dall’alleanza dei due antichi rivali di questa
guerra fredda dell’ottocento , e dagli ambiziosi tentativi della Germania di combattere i suoi
nemici sui due fronti , occidentale e orientale : nel giro di trent’anni , fallirà clamorosamente
entrambe le volte. Potremmo inoltre dire a grandi linee che esistono legami precisi fra la guerra
fredda che ha preso via l’indomani della seconda guerra mondiale e il “grande gioco”
dell’ottocento. I legami sono ancora più forti se guardiamo all'altro versante delle parti in
conflitto, e cioè all'Unione Sovietica. Sin dalla conclusione della guerra civile conseguente alla
Rivoluzione del 1917, la politica estera sovietica è stata potentemente condizionata dall'obiettivo
di ricostruire, sia pure sotto spoglie ideologiche molto diverse, confini, territori. Il primo passo, a
conclusione della guerra civile, è stata la riconquista della Transcaucasia, dell'Asia aecentrale e
dell'Ucraina, alle quali venne negato lo statuto di repubbliche indipendenti e alleate: la scelta che
prevalse fu quella di inglobarle nell'Unione Sovietica con lo statuto ibrido di repubbliche federate,
nominalmente autonome e di fatto dipendenti ancora dal dominio "grande russo", che ora
assumeva le vesti del Partito invece che dell'Impero. Il secondo passo è stato, nel biennio 1939-40,
uno spregiudicato allineamento all'espansionismo nazista per ricostruire i confini occidentali
dell'impero zarista, con l'annessione della Polonia orientale, dei Paesi Baltici, della Bessarabia,
della Bucovina. Anche la Finlandia venne attaccata e tuttavia essa riusci a mantenere la sua
indipendenza, cedendo peraltro alcune aree di notevole importanza strategica. Il terzo passo, negli
anni dal 1944 al 1949, è stato un allargamento del tutto inaspettato, che non aveva antecedenti,
dello stesso fronte htale, verso l'Europa centrale. La guerra suicida della Germania aveva creato un
vuoto di potere riempito appunto , anche se transitoriamente, dall'Unione Sovietica attraverso la
nuova forma dell impero esterno degli stati vassalli "a sovranità limitata “. Non uguale successo
ha, dal punto di vista sovietico , il perseguimento dell’antico obiettivo strategico dell’accesso ai
“mari caldi “ . In realtà gli sforzi sovietici per destabilizzare Grecia, Turchia e Iran , durante e
all’indomani della seconda guerra mondiale , sono notevoli. Nella seconda metà del ventesimo
secolo mari e oceani avevano perso buona parte della loro funzione strategica, e tuttavia
rimanevano arterie commerciali di grande importanza. Non dimentichiamo che le repubbliche
dell'Asia centrale, allora ancora parte dell'Unione Sovietica,si erano già rivelate come ricchissime
di gas petrolio e un accesso al mare per rimediare al loro strutturale isolamento sarebbe stato
molto importante. Cosi per l'Unione Sovietica fu quasi naturale riprendere la spinta che l'aveva
portata in Asia centrale e cercare attraverso il controllo del'Afghanistan, di valicare per la prima
volta le catene che separavano il suo dominio dall'Asia meridionale. Ma sovietici subirono una
sconfitta militare simile a quella avevano patito i britannici centocinquant'anni prima. I tre
successivi sismi storici del novecento - la fine dell'Impe- russo, dell'Tmpero ottomano e
dell'Impero austro-ungarico in conseguenza alla prima guerra mondiale; il ritirarsi dell'Impero
britannico dall'India e dalla Palestina all'indomani della seconda guerra mondiale; la fine del
"secondo Impero russo", cioè dell'Unione Sovietica, nel 1991 - si sono accompagnati e rafforzati a
vicenda, lasciando un intreccio di stati i cui confini sono stati decisi in forma arbitraria, a seconda
degli obiettivi privilegiati da chi di volta in volta aveva prevalso al momento. E così, non c'è da
stupirsi che le instabilità più serie del mondo si siano concentrate in quest'area, che è situata in
un'enorme fascia confinaria fra l’Europa esterna e l'Europa interna. Il “gran gioco” dei nostri giorni
è aggravato e reso particolarmente complesso dal fatto che molte delle regioni di questo vero
epicentro dei conflitti mondiali sono strategiche per gli approvvigionamenti di gas e di petrolio e
che, ulteriormente, in alcune aree gli appelli catastroficamente distruttivi del jihadismo a sfondo
islamico hanno conseguito i loro aberranti successi parziali . Queste potenze utilizzano ,
consapevolmente o inconsapevolmente , i vincoli ereditati dallalunga durata storica per generare
nuove opportunità per il presente. Possiamo rivolgere la nostra attenzione ai due stati eurasiatici ,
Russia e Turchia, che segnano i confini orientali dell’Europa e che da secoli condizionano in tutti i
modi possibili le regioni adiacenti . Per quanto riguarda la Russia di Putin, sono evidenti le
continuità strategiche della sa politixca estera nello spazio ex-zarista e ex-sovietico. Una delle
continuità più forti sta nella scelta economica di utilizzare al massimo le risorse fossili, di cui la
Russia abbonda . Una ragione monto forte, dell’asse fra Putin e Trump è che ogi puntano entrambi
sul ruolo dei loro paesi in quanto esportatori di energie fossili : entrambi hanno quindi interesse ad
un prezzo elevato di queste materie prime. Un aspetto centrale e irrinunciabile della politica russa
è l’alleanza con il governo della Siria e di Assad. L’aspetto più evidente è che i legami storici con la
siria oggi consentono alla Russia di tenereuna presa diretta sul Mediterraneo , il “mare caldo”
tanto agognato.
Come è noto, Erdogan,l’attuale leader della Turchia che ha instaurato un regime forse ancora più
autoritario di quello russo ha mostrato a lungo una totale ostilità nei confronti del regime di Assad.
Parallelamente , nel corso degli anni la Turchia si era posta come concorrente della Russia in un
complesso sistema di oleodotti e metanodotti che dovrebbe portare verso l’Europa le risorse del
gas e del petrolio. Sorprendentemente , Erdogan si è avvicinato sempre di più alla Russia , creando
rapporti di cooperazione anche sul piano della gestione delle risorse energetiche. E’ chiaro che
l’avvicinamento a un leader dello stile autoritario come Putin va in parallelo all’allontanamento
delle democrazie occidentali . Ma forse è il riconoscimento che la la Russia d’oggi persegue, un
progetto neo-imperale ciò che attira maggiormente Erdogan, perché lui stesso da tempo vuole
perseguire un progetto neo-ottomano : nei confronti della Russia , dunque la cooperazione entro
progetti paralleli gli appare una scelta migliore della competizione. Oltre tutto bisogna capire che i
confini , di qualunque natura essi siano , non sono mai né una semplice linea né una semplice
fascia . I confini invece si dilatano , interessando tutta l’ampia rete di relazioni , materiali e
immateriali , fra gli attori coinvolti , coinvolgendo conflitti , convivenze , migrazioni , economie e
così via . Possiamo quindi far riferimento all’idea di borderscape “paesaggio confinario” intesa non
solo come un’idea spaziale , ma che tocca molteplici dimensioni degli immaginari umani .
Le origini religiose del conflitto nei Balcani.
Premessa.
L'area dei Balcani è stata interessata da grandi mutamenti, spesso violenti, dalla volontà dei singoli
stati di primeggiare l'uno sull'altro rivendicando potere sui territori della penisola. La dissoluzione
della Jugoslavia ha contribuito a dare una svolta storica ai Balcani ma anche all'Europa intera. Ma
chi sono gli slavi? E da dove provengono?
Costituiscono un'unica entità etnica, linguistica e culturale.
Occupano oggi l'Eurasia e la porzione maggiore dell'Europa. L'immaginario collettivo di ogni
popolo deriva dalla sua memoria storica. La religione ne costituisce una parte importante e viene
utilizzata dalla politica per determinare un senso di identità e aumentare la coesione sociale e
nazionale. Utilizzata e spesso manipolata dalla politica, la religione può essere sia strumento di
pace che di guerra.
Religione e politica.
Fino alla fine degli anni 80 l'impatto dei fattori religiosi sulle relazioni internazionali era
considerato non molto importante fino l'esplosione dell'Islam politico e allo scoppio delle guerre
causate dal collasso degli Stati multi-etnici.
I fattori religiosi giocano ruoli diversi a seconda delle diverse regioni e delle differenti pratiche
religiose. Da un lato la religione è un elemento importante dell'identità culturale di ogni gruppo
politico e sociale, dall'altro è mezzo potente per mobilitare il consenso e giustificare il ricorso alla
violenza e alla forza militare.
A volte le religioni possono stimolare conflitti soprattutto quando le gerarchie religiose provano ad
espandere il proprio ruolo pubblico. Per intenderci vescovi, preti sono non solo strumenti di
manipolazione ma anche manipolatori. Il radicalismo è il lato in ombra prodotto dalla
degenerazione della religione, come della democrazia e del nazionalismo. Questi tre termini sono
ambigui perché potrebbero giocare un ruolo sia per la pace interna sia per il conflitto. É bene dire
però che i conflitti nella ex Jugoslavia non sono attribuibili a cause religiose ma piuttosto all'avidità
di ricchezza e di potere del vecchio apparato comunista. Durante il conflitto le religioni sono
strumenti importanti di propaganda e di identità e coesione nazionale ma non bisogna confondere
le cause con gli strumenti.
Da un sistema inclusivo ad uno esclusivo: la fine dell'impero ottomano e il conflitto dei Balcani.
Quando i turchi si espansero verso i territori bizantini, erano numericamente pochi per cui furono
obbligati a stringere alleanze con i cristiani e ciò ha consentito forme di convivenza con gli ebrei, i
cristiani cattolici e ortodossi. Con la caduta dell'impero ottomano questo fenomeno di
integrazione sociale e culturale va progressivamente scomparendo sostituito da un nazionalismo
di stampo croato e serbo. Un elemento significativo nel rapporto tra religione e politica è portato
da Tito, il quale concede ai mussulmani un riconoscimento giuridico. Questo atto ha portato alla
politicizzazione delle religioni.
All'origine delle guerre jugoslave svolte tra il 1991 e il 1999 ci fu la volontà di dominio dell’etnia
maggioritaria, quella serba, mal disposta a tollerare che il processo di emancipazione delle diverse
realtà nazionali portasse, dopo il crollo del muro di Berlino, a una soluzione di tipo confederale.
I serbi non accettavano l'idea di perdere una supremazia così avviarono l'occupazione manu
militari che però fallì.
Il secondo e terzo teatro di guerra jugoslavo, quello croato e bosniaco-erzegovese, furono
sconvolti da un feroce conflitto etnico. Le tre nazioni si affrontarono in una guerra complicata dalle
pretese egemoniche non solo dei serbi ma anche dei croati su una parte del paese. Il quarto teatro
di guerra, quello del Kosovo, ha caratteristiche proprie, dato che vi si confrontarono due etnie,
come quelle slave del sud, ma profondamente diverse per lingua e religione. Fin dal loro
insediamento nello Stato serbo, gli albanesi furono avvertiti dai serbi come un corpo estraneo da
distruggere e espellere con qualsiasi mezzo.
La crescente conflittualità nei Balcani ha spinto l'Europa occidentale e l'alleanza atlantica a dare
alcune risposte ad una situazione di crisi impellente. Anche l'azione delle Nazioni Unite è stata
lenta. Sarà infatti la Nato che rallentò prima e fermo poi, il feroce conflitto che dilaniava i popoli
balcanici alla ricerca di identità etniche e nazionali di riferimento. Il conflitto in questi diversi teatri
di guerra non fu né etnico né religioso ma fu una guerra civile causata dalla bramosia di potere. Le
religioni e i miti nazionali divennero mezzi di una mobilitazione politica nazionalistica, non le reali
cause della guerra. Le religioni divennero strumenti di guerra per mobilitare le opinioni pubbliche,
per rafforzare lo spirito combattivo dei soldati, per giustificare la guerra la violenza criminale e per
attivare il supporto internazionale di paesi istituzioni appartenenti alla loro stessa religione. Con la
continuazione della guerra tutte le religioni si radicalizzarono molto di più.
Il confine, luogo di conflitti e attraversamenti.
De-limitazioni: confini e conflitti nel lavoro di pace e nello scenario balcanico.
Un operatore di pace (peace keeper) è un civile non armato e non violento. L'operatore di pace è
un professionista che lavora sul conflitto, nel senso che prova a leggerne la dinamica complessiva,
prova a capire quali siano gli attori in campo, quali siano le motivazioni, i bisogni, gli obiettivi ecc.
Nel suo lavoro "sul" conflitto, l'operatore di pace lo studia, lo osserva, lo segue e prova a darne
un'immagine razionale, descrivendone il quadro complessivo. D'altra parte, l'operatore di pace
lavora "nel" conflitto, nel senso che si reca fisicamente sul posto, vi può andare nella fase in cui il
conflitto e attivo quindi durante la guerra oppure quando ancora non c'è conflitto armato quindi
non c'è ancora o non c'è più guerra. Dal 2004-2005 gli operatori di pace sono impegnati nei
Balcani, in quei contesti che rappresentano una testimonianza vivente del conflitto dei tempi
moderni. Quando si tratta dello scenario dei Balcani, come sfondo del conflitto etnico politico del
nostro tempo, ci si riferisce in particolare ai Balcani occidentali ovvero la ex Jugoslavia.
I Balcani occidentali: l'esplosione del confine e l'immanenza del conflitto.
I Balcani hanno rappresentato il contesto di una guerra di estrema drammaticità decisiva per i
destini dell'ordine mondiale. Là dove c'era un solo confine di Stato (quello della Jugoslavia
socialista) oggi ce ne sono molteplici, dentro e attraverso gli stati, perché si contano oggi sei paesi
(le ex repubbliche jugoslave, vale a dire, la Slovenia, la Croazia, la Serbia, la Bosnia Erzegovina, il
Montenegro e la macedonia e due regioni autonome all'interno di un paese (in Serbia, a nord la
Vojvodina ed a sud il Kosovo). Non solo "tra" ma anche "all'interno di" questi paesi vi sono dunque
dinamiche di conflitto e i casi salienti sono proprio la Bosnia ed il Kosovo. Inoltre, all'interno di
questa dinamica, la Bosnia e il Kosovo si rappresentano come Stato, all'interno dei quali si
moltiplicano le divisioni dei rispettivi confini. C'è, al contempo, un confine inter-statuale, tra Stati,
ed un confine infra-statuale, dove sarebbe il caso di porre l'aggettivo, "statuale"', fra virgolette,
essendo il Kosovo uno Stato particolare (non godendo del riconoscimento ufficiale da parte della
"comunità internazionale") sia dal punto di vista sostanziale, al suo interno (cioè composizione
sociale, etnica e comunitaria).
Sarajevo e Mitrovica: semantica del confine e connotazione di "città divisa"
Sono almeno due le dimensioni, o, se si vuole, le chiavi di lettura del confine nella sua interazione
con il conflitto: la prima, di tipo spaziale, incide direttamente sulla topografia dei luoghi e
l'organizzazione dello spazio urbano, modificando ed alterando la configurazione territoriale ed
urbanistica delle città; la seconda, di tipo semantico, interviene sulle strutture sociali e politiche.
Ci sono due Sarajevo. Una Sarajevo simile a quella che si conosceva diffusamente prima della
guerra, che rappresenta la città storica e monumentale, ed una Sarajevo, il cui nome è
propriamente Sarajevo orientale che è diversa per molti aspetti: la composizione urbanistica,
topografica, architettonica, sociale ed etnica. Ciascuna delle due, attraverso il "confine" che le
separa, guarda ad una delle due parti in cui il "conflitto" ha diviso la Bosnia, sostanzialmente lungo
la linea del fronte (di guerra) e della distinzione (delle etnie): la Federazione croato-musulmana, da
un lato, e la Republika Srpska, dall'altro.
Letture del simbolico:aspetto locativo ed aspetto figurale del confine nel conflitto.
Anche in città presenti in Italia, il confine segna un luogo, altera e modifica, struttura e destruttura
una città. Un esempio di città italiana di confine è Gorizia. Ci sono due Gorizia: c'è la Gorizia
italiana nel senso che ricade da questa parte del confine state e c'è Nova Gorica che si affaccia in
Slovenia, dove il confine di città è segnato da una piazza. Anche questa è una città divisa per
ragioni di guerra e che oggi vive in un contesto di pace negativa. L'Europa che in questo momento
è il continente di "pace negativa" per eccellenza, è in realtà una terra di infiniti luoghi di divisioni,
di confini e di conflitti: i Paesi Baschi, Cipro, i Balcani, le città di Sarajevo, Mitrovica. Se l'aspetto
"locativo" è importante, non meno decisivo è quello "simbolico". Mitrovica simbolicamente non
rappresenta in se il conflitto del Kosovo ma ha finito per incorporare questa dimensione.
Luoghi del conflitto e destrutturazione del confine
Come nel conflitto etnico, politico e religioso si attraversando le matrici di mille distinzioni e
separazioni, così, recandosi fisicamente in questi luoghi, in Bosnia e in particolare in Kosovo, si
percepiscono mille cose: quel ponte che avrebbe dovuto unire separa fisicamente e
sentimentalmente. Il confine è già di per sè immagine di conflitto ma non di guerra. Fino al luglio
2011 non c'era un confine fisico sul ponte di Mitrovica ma tutti sapevano che il ponte
rappresentava un confine di conseguenza nessuno da una parte all'altra lo attraversava. Il confine
quindi era nella testa delle persone perché non c'era nessuna barriera fisica. Solo dopo il luglio
2011 i Serbi hanno costruito un muro che non rappresenta un confine ma una barriera quindi vi è
una vera e propria separazione. Mitrovica è una città divisa in due, una parte è abitata da serbi e
l'altra dagli albanesi. I ponti a Mitrovica sono tre, uno principale e due laterali, tutti e tre barricati,
un lavoro sistematico che impedisce il passaggio.
Il conflitto non è solo degli Stati, degli eserciti ma anche delle persone spinte da conflitti economici
o politici.
Se guardiamo al caso della Bosnia tutto ciò risulta evidente. La Bosnia è sempre costretta a fare i
conti con il passato, l'anno 2014 e condensato di memorie e ricorrenze per la Bosnia perché 100
anni fa la prima guerra mondiale ebbe inizio proprio a Sarajevo.
Come ha detto Alexander Langer, pacifista e non violento, l'Europa è nata e morta a Sarajevo.
Anche in Kosovo i recenti accordi di pacificazioni non sono immuni a contraddizioni. Da una parte
riconoscono L'auto-determinazione dei serbi del Kosovo all'interno dei confini regionali, e dall'altra
aprono la strada all'adesione europea del Kosovo, senza tuttavia imporne un riconoscimento
internazionale come stato. I serbi del Kosovo si sentono serbi ma restano comunque nel Kosovo
perché quel luogo lo sentono come la loro casa. Nei Balcani occidentali c'è una forte connotazione
di famiglia patriarcale, la casa è importante per il radicamento della famiglia.
I serbi non vanno in Kosovo perché ci sono due checkpoint, da una parte e dall'altra del confine
amministrativo tra la Serbia centrale e il Kosovo nord.
5 Diritti delle persone nello spazio dell'Europa.
Luigi Manconi analizza questo tema partendo dall’analisi di un titolo di giornale “Esposizione
Universale” di cui evidenzia il termine esposizione che risulta essere la parola chiave del suo
intervento. Inizialmente pone l’attenzione sull’isola di Lampedusa dove arrivano gruppi di migranti
di ogni sesso ed età, in una condizione di nudità assoluta, si presentano esposte(da qui il richiamo
al termine esposizione). All’arrivo di queste persone, la loro esposizione è evidenziata dai fari della
polizia, dalle luci delle telecamere che mostrano la loro sofferenza. Secondo Luigi Manconi queste
persone devono essere collegate al libro di Primo Levi: “I Sommersi e I Salvati”. Applicando questo
titolo a coloro che sbarcano sull’isola di Lampedusa, i Sommersi sono coloro che non sbarcano e
che sono morti, le vittime del mare, mentre i Salvati sono coloro che arrivano e che vengono
soccorsi. Alcune immagini ci mostrano accanto a loro degli operatori umanitari il cui destino è
sconosciuto. Da questo momento il nome ”Salvati” viene sostituito da “clandestini”. Le due
categorie “Sommersi” e “Salvati” vengono sostituite da “Vittime” e “Clandestini”. Questo
cambiamento semantico è importante perché quando compare nel nostro linguaggio la parola
clandestino che evoca minaccia, insidia, ostilità, secondo Luigi Manconi si è già consumata una
catastrofe umanitaria. In Italia la parola clandestino designa il terrorista, colui che minaccia la
società e lo Stato, in poche parole il nemico. La conseguenza di ciò è che il nemico non può essere
titolare dei diritti di cui gode chi è parte della società nazionale perché è fuori dalla società e dai
diritti del cittadino. Tutto questo serve a Manconi per dire che i processi che formano l’idea di noi
e degli altri sono evoluzioni che si consumano quotidianamente e si risolvono nelle nostre
esperienze personali.
Nell’ultimo quarto di secolo ogni giorno sono morte, a Lampedusa, 6/7 persone. Questa
situazione è nota a tanti italiani che però la ignorano. Secondo Manconi questa indifferenza nasce
dal fatto che gli essere umani hanno la convinzione che gli esseri umani non sono tutti uguali.
Tornando ai “salvati” , i migranti, Marconi racconta di aver incontrato un gran numero di essi nei
Centri di identificazione e di espulsione. I CIE sono costituiti da una grande gabbia al cui interno
c’è una gabbia più piccola e altre gabbie minori. In questi centri ci sono i migranti privi di titolo di
soggiorno in attesa di essere identificati ed espulsi. Le strutture attive oggi sono cinque. Nei CIE la
vita delle persone è serrata in una successione di sbarre , chiavi, chiavistelli. In essi le persone non
sanno quanto resteranno e questo crea una situazione di alienazione che costringe a vivere in un
presente assoluto che non prevede nessun tempo futuro.
Secondo Manconi le dottrine che definiscono i diritti umani hanno un fondamento essenziale nel
principio dell’Intangibilità del corpo: qualunque violazione fisica costituisce l’alienazione della
dignità della persona. A tale proposito Manconi analizza il termine Detenzione. Secondo la nostra
costituzione, la detenzione, è la privazione della libertà. Chi è considerato responsabile di un reato
viene sottoposto ad una pena che consiste nella limitazione o privazione della libertà. Se questa
oltrepassa i limiti del rispetto della persona, non è più esecuzione della pena ma violazione dei
diritti umani della persona reclusa.
Nel nostro sistema penitenziario esiste un regime chiamato 41 BIS al quale vengono sottoposti i
detenuti appartenenti alla criminalità organizzata. Lo scopo di questo carcere duro è quello di non
consentire al detenuto di avere rapporti con la criminalità organizzata.
Manconi parte da Lampedusa e arriva al 41 bis per farci riflettere sul fatto che i diritti umani sono
una questione che appartiene a tutte le fasi di sviluppo democratico. Egli torna poi alla questione
tra diritti e cittadinanza che risulta essere un tema delicato per la situazione italiana dove ci sono
tre diversi sistemi di relazione tra questi due elementi. Una prima forma è rappresentata dagli
“inclusi” che godono di essi in stretta relazione, ci sono poi gli “esclusi” a cui se ne impone una
situazione conflittuale e infine coloro che ne godono con andamento “intermittente”. L’italia
contemporanea vede crescere questi ultimi , cresce il numero di coloro che con il regime di
salvaguardie hanno una relazione incostante e che vengono continuamente allontanati e
riassorbiti. Questa è la condizione degli immigrati.
6 I diritti oltre la cittadinanza.
Giuliano Amato tratta il tema legato al rapporto tra diritti delle persone e la cittadinanza. Questo
tema va affrontato storicamente. Viene analizzata la questione della cittadinanza, ovvero il
presupposto formale che ammette le persone alla titolarità e al riconoscimento dei diritti. Questo
elemento ha subito variazioni nel corso del tempo e per questo motivo sulla questione incide il
superamento dello stato-nazione con la conseguente inattualità della cittadinanza intesa come
presupposto naturale del godimento dei diritti per le persone che vivono in ciascun paese.
Andando indietro nei secoli ci accorgiamo che nessuna garanzia poteva essere assicurata fino ai
confini di ciascun dominio. Per esempio in una stessa città, oltre alle differenze di status stabilite in
relazione al luogo, erano evidenti le distanze tra condizioni giuridiche determinate
dall’appartenenza ai ceti e ai gruppi professionali, a seconda che si fosse esponente della nobiltà,
della corporazione dei mobilieri che avevano diritti e obblighi diversi. Nella lunga fase che i libri di
storia definiscono anciem regime gli stati moderni hanno rafforzato le strutture burocratiche
amministrative, gli eserciti fino a quando a seguito di battaglie , la cultura politica dell’Europa
determina la nascita dello stato nazionale che cancella le differenze, sottoponendo le diverse
categorie di cittadini a una legge unica, valida per tutto il territorio. In questo contesto storico
quello che più colpisce la nostra coscienza democratica è che per molti regimi parlamentari
elettivi, il diritto di voto e la possibilità di accedere al parlamento sia stato riservato a chi
possedeva una proprietà, un reddito e successivamente a chi detenesse un minimo di
alfabetizzazione.
Secondo Amato, leggendo i libri di storia si ha la sensazione che la riunificazione nazionale sia stata
un fattore di inclusione che ha concesso uno status condiviso dagli abitanti di tutti gli Antichi stati
della penisola. Si dimentica però che vi è anche una rigida esclusione dei non-cittadini. Lo stato
Nazionale quindi ha bloccato le comunità entro i loro confini e irrigidito la condizione dello
straniero. Uno status simile a quello sancito nell’articolo 16 delle pre-leggi, regolato dal principio
della reciprocità. Una prassi secondo cui ogni stato trattava i cittadini degli altri paesi secondo le
regole adottate da questi ultimi nei confronti dei propri cittadini che si trovavano in quel territorio.
Nel XX secolo questa impostazione subisce un cambiamento che, sebbene non sia la conseguenza
immediata dei decenni dominati dai regimi totalitari, trova in questo periodo drammatico il
fondamento dei principi elementari della vita comune e del rispetto degli altri che diventeranno
pilastri del percorso della ricostruzione democratica. Amato riflette poi sul modo in cui i
contrattualisti hanno pensato la storia dello stato da loro conosciuto. Prima dell’organizzazione
collettiva, essi avevano immaginato un mondo di uomini liberi che per scelta decidessero di vivere
insieme. È però tutto mitico perché l’ uomo ha sempre cercato di vivere in piccole comunità per
garantirsi forza e protezione dai pericoli. Dato per certo che la vita sociale e l’organizzazione
collettiva facciano parte di una tendenza innata dell’essere umano , si passa a riflettere su un tema
centrale per i primi costituzionalisti, quello di trovare un confine tra le libertà non negoziabili
dell’individuo e quelle che decidiamo di affidare all’organizzazione collettiva, rinunciando ad esse
in nome del bene comune. Nel XX secolo c’è il dibattito sul giusnaturalismo, l’attribuzione agli
esseri umani di diritti intoccabili.
Arrivando ad una riflessione sulla situazione contemporanea, la prima grande carta dei diritti non
è quella prodotta dalla rivoluzione francese ma quella successiva alla seconda guerra mondiale. Si
trattava della conseguenza della stagione dei totalitarismi che ha dissociato i diritti umani dallo
status di cittadinanza, connettendoli a una dignità che ogni essere umano ha in quanto tale.
Si compie cosi una rivoluzione nel sistema delle leggi, ogni essere umano deve avere dei diritti. I
titolari dei diritti non sono cittadini ma tutte le persone , in quanto la libertà rappresenta per
ognuno, il primo diritto inviolabile.
Nonostante ciò, abbiamo molti atti internazionali che hanno la finalità di garantire i diritti ma che
finiscono per garantirli solo in parte. L’esempio più evidente sono i rifugiati che dovrebbero
godere degli stessi diritti di cui godono gli italiani e dovrebbero essere accolti nel nostro paese.
Non si spiega perchè ciò non accade se facciamo parte tutti del genere umano e dovremmo
riconoscere l’altro come persona dotata dei nostri stessi diritti .
Secondo Amato per trattare tutti allo stesso modo, bisogna realizzare l’altruismo.
7 Il diritto alla solidarietà
Stefano Rodotà contribuisce al tema generale del seminario incentrato sulla convinzione che la
solidarietà e i diritti non possono essere contenuti e governati dai confini.
La solidarietà è una questione legata alla nostra quotidianità, ne parla nei suoi discorsi il
Presidente della Repubblica, papa Francesco. Siamo tutti sempre pronti ad affermare che la
solidarietà deve essere esercitata , anche se non si capisce bene come e con chi. Perché nello
stesso tempo in cui si fa questo discorso, gli stati europei violano l’articolo 2 del Trattato di Lisbona
dove è scritto che l’Unione si prefigge di promuovere la pace , i valori, il benessere dei suoi popoli,
la coesione economica, sociale, territoriale. Secondo Rodotà non bisogna fermarsi alla
declinazione giuridica perché quasi sempre, la parola solidarietà viene utilizzata in modo vano e
contraddetta nella pratica. Egli elenca ambiti nei quali viene collocato l’esercizio della
SOLIDARIETA’.
1. I MIGRANTI: guardando alla storia dell’Italia, quando nel 1865 fu redatto il primo codice
civile, era stato formalizzato che lo straniero dovesse godere degli stessi diritti civili
garantiti ai cittadini. Coloro che si trovavano nel territorio italiano avevano benefici e
prerogative. La solidarietà cosi diventa un principio che attraversa i confini , cancella i
confini. Quando ci occupiamo dei migranti cancelliamo i confini perché pensiamo che il
riconoscimento dell’ umanità di queste persone prescinda dai paesi che hanno
attraversato.
2. L’AMBIENTE: quando ci fu l’incidente nucleare a Chernobyl, anche in italia si presero
precauzioni a tutela della salute, si consigliò di non mangiare insalata, di non bere latte
perché la nube tossica non rispettava i confini tra i vari stati. A tale proposito il trattato di
Kyoto affida la questione al principio di solidarietà tra i vari stati che si esprime con trattati
internazionali, convenzioni, ecc.
3. LA SOCIETA’: la solidarietà porta con sé altri due principi, eguaglianza e dignità. Quando si
sceglie di esercitare la condivisione e la fratellanza, non lo si può fare in modo selettivo,
escludendo individui e gruppi. Ognuno è “egualmente” destinatario della protezione e del
soccorso. Negare l’aiuto e il sostegno vuol dire rinnegare la “dignità” di uomo.
4. LA SALUTE: la tutela della salute non deve essere considerata un privilegio o un bene
destinato solo a coloro che economicamente possono permetterselo. La salute è un diritto
fondamentale che non può essere legata al mercato.
5. IL TEMPO: un elemento fondamentale della solidarietà è il tempo. Per esempio le pensioni
sono una forma di solidarietà tra chi lavora e chi ha lavorato. Si può affermare che la
solidarietà è una componente essenziale di tutto lì ordinamento giuridico che regola la
nostra vita.
1 Attraversamenti e s-sconfinamenti di genere nel mediterraneo medievale: RESTITUTA da
Ischia, la papessa Giovanna, il menestrello nicolette, il marinaio zinevra e altre.
Roberta Morosini nel suo libro intitolato IL MARE SALATO: spazio e attraversamenti, si interessa di
viaggi di uomini e donne e in particolare Analizza le condizioni di donne che attraversano lo spazio
non domestico, sempre come se fosse un confine, in particolare di quelle che ricorrono al
travestimento in abiti maschili per viaggiare in sicurezza per terra, o per il mare.
Lo scopo che l’autore si propone è di mostrare che lo sconfinamento fuori dallo spazio domestico
va di pari passo con lo sconfinamento di Genere e la perdita dell’identità, a meno che non ci sia un
miracolo come la santa africana RESTITUTA.
“Attraversamenti” infatti è il tema proposto dalla professoressa Vittoria Fiorelli nell’ambito del
seminario Margini e confini, Si presta come la categoria epistemologica più adatta
all’interpretazione liquida, dove con liquidità si intende uno spazio liquido (il mediterraneo) che
per le sue caratteristiche intrinseche di mobilità e ibridità si costituisce luogo privilegiato del
racconto nel Decameron e nel De mulieribus di Boccaccio.
Il mare, che sempre il mediterraneo nel Decameron, È il protagonista di 10 storie.
Inoltre Morosini cerca di Illustrare come la terra o il mare rappresenti spazio strutturale per le
donne che li attraversano come accade nei racconti di Boccaccio.
Il mare è spazio di esilio ma anche di incontro, spazio di frammentazione, che fa emergere le
differenze tra due regni o due forze fisiche o morali, di separazione, dove il mare elemento di
libertà per coloro che l’attraversano.
Mobilità e identità.
Chi viaggia? soprattutto gli uomini, ma le strade sono pericolose e lo sa bene Rinaldo s’asti
( decam ll 2) Che viene attaccato dei briganti. Nel ricco libro di viaggi del medioevo, le donne sono
assenti. Le Donne non viaggiano per commerci, per le missioni militari o diplomatiche e tanto
meno per piacere, per fare scoperte o esplorazioni. Eccetto il caso, della regina di Etiopia, detta
Saba, che parte dall’isola di Meroe e abbandonando il suo meraviglioso regno , va a
Gerusalemme, attraverso l’Etiopia l’Egitto la costa del Mar Rosso e il deserto arabico per sentir
parlare Salomone.
Le donne viaggiano come Pellegrine, come La nobildonna di Guascogna che parte da Cipro per
recarsi al santo sepolcro, Ma nel suo viaggio di ritorno è assalita da un branco di ruffiani.
Ma Fino a che punto era pericoloso il mondo fuori le mura della città?
Le guerre, le distruzioni avevano luogo in città ma soprattutto in campagna.
In Letteratura, almeno, la nozione del viaggio nelle sue dimensioni era ignoto nel mondo
femminile, forse perché il viaggio era messo in rapporto all’azione, al movimento, al mondo
esterno, al pubblico; le donne sono associate alla nozione di permanenza e raramente esse
viaggiano per scoprire, per esplorare. La mobilità è solo un’illusione per alcuni viaggiatrici poiché
esse attraverso le acque del Mediterraneo in quanto il padre gli ha dati in sposa un re.
Quasi alla fine del XIV secolo una miniatura della storia di AgnoLella mostra quel che potrebbe
essere definito come la localizzazione del pericolo per le donne in un “Interspazio”, Un luogo che si
trova a metà, fra l’interno e l’esterno occupato da un protagonista femminile. Vediamo che nella
terza storia della V giornata La vittima dei pericoli del mondo esterno è AgnoLella. In fuga dai
briganti che hanno attaccato sia lei che il suo fidanzato Pietro in una selva, fuori Roma, dove erano
passati per allontanarsi dei genitori contrari al loro amore, Agnolella vede una casetta dove trovo
un buon uomo e sua moglie di anziana età. I due avvertono alla giovane dei rischi delle male
brigate che di notte e di giorno per le contrade fanno danni e reggono dispiaceri, e il pericolo per
la sua incolumità di donna , ma Agnolella risponde che preferisce essere straziata dagli uomini che
essere sbranata dalle fiere dei boschi. Al mattino difatti fu costretta a nascondersi nel fienile
perché arrivo una gran brigata di malvagi uomini, che si presentarono alla piccola casa dei due
anziani coniugi. Essi non trovarono Agnolella ma il suo cavallo che il buon uomo raccontò di aver
trovato per caso e portato dentro per salvarlo dei lupi. L’esterno è infestato di malintenzionati,
uomini che irrompono delle case della buona gente, mangiano la loro carne.
2 Restituita
Boccaccio nel Decameron Illustra la storia di due giovani protagonisti, Giovanni da Procida Che
ama RESTITUTA Che vive nella vicina isola di Ischia, non lontano da Napoli. Ogni giorno andava da
Procida a Ischia per vederla, qualche volta anche di notte, e c’erano volte che, quando non trovava
una barca disponibile su cui imbarcarsi, vi era andato perfino a nuoto. Ma Restituta viene rapita un
giorno d’estate, mentre raccoglie conchiglie sulla costa da un gruppo di alcuni giovani siciliani.
La storia di RESTITUTA Ricorda espressamente quello di una santa che nel 429 a.C. e ancora oggi
celebrata a Lacco Ameno nell’isola d’Ischia, una vergine e martire di Cartagine. Insieme a Altre
donne Cristiane, viene condotta dei soldati romani, al tempo di Diocleziano, davanti al console
Anulino il quale la tortura perché adorasse gli idoli e rinunciassi alla fede. Dopo innumerevoli
torture venne martoriata e messa in una nave piena di resina e pece, materiali infiammabili,
perché venisse bruciata viva in mezzo al mare. Ma a bruciare, fu, per volontà di Dio che invia un
vento miracoloso, la nave degli assalitori. Restituta Ringrazia Dio per la grazia ricevuta e gli chiede
di inviargli degli angeli per condurre il suo corpo martoriato e la sua imbarcazione a salvo.
La restituzione delle acque alla terra della donna scampata all’ira dei suoi persecutori, invita a
considerare le modalità di attraversamento per le donne dello spazio Marino e di quelle terrestre.
La barca della Santa delinea lo spazio della terraferma quale luogo della sicurezza, mentre quella
dei marinai siciliani ribadisce la pericolosità del margine del confine, tra terra e mare.
Tornando alla storia di Boccaccio, i marinai siciliani, quando si accorgono di quanto sia bella,
vedendola tutta sola, decidono di portarla via con Se. La portano in Calabria e cominciano a litigare
fra loro per chi dovesse impossessarsi della ragazza, perché ognuno la voleva per sé. Diversamente
dalla santa di cui porta il nome non ci sono angeli a portarla in salvo: Restituta, come tutte le altre
donne viaggiatrici che attraversano il mare, o la terraferma nel Decameron, non viene graziata di
alcun miracolo. Poiché i siciliani non arrivano ad un accordo, per non rovinare il rapporto di
amicizia e di affari per colpa della ragazza decisero di sbarazzarsene di portarla al re Federico ll di
Sicilia a Palermo.
3 Nicolette.
Piuttosto insolita nel panorama delle viaggiatrici nel Mediterraneo è nicolette protagonista di un
poemetto del Xlll secolo. La storia è scritta da un vecchio prigioniero, un soldato reduce della
prigionia presso i saraceni. Essa racconta di una giovane prigioniera saracena, Nicolette. Prelevata
dalla lontana Cartagine e fu collocata nella città di Beaucaire. Aucassin È innamorato di nicolette ,
ma suo padre si oppone al loro amore soltanto sulle basi della provenienza geografica e religiosa
della ragazza: lei è e Rimane una prigioniera di origine saracene e per questo il padre di Aucassin
Maledice la terra da cui è la proviene.
Qual è il ruolo del mare in questa novella? Il mare non è menzionato ma è presente fin dall'inizio e
anzi informa strutturalmente la storia, dal momento che tutte le vicissitudini nel romanzo, gli
ostacoli all'amore fra Nicolette e Aucassin e la guerra fra i due conti, sono tutti collegati all'arrivo
di Nicolette in Francia, attraverso il mare in quanto prigioniera (saracena) di una terra (straniera).
Fin dall'inizio il mare delimita la sua dislocazione spaziale e quindi anche culturale fino al punto da
dominare l'intera storia, con notevoli risvolti circa la questione del genere e dell'identità: il
problema reale di essere di una terra straniera è il fatto che sia una ragazza saracena che viene
convertita al cristianesimo e battezzata mentre era prigioniera. Tutta la sua vita è vissuta per
compensare la sua dislocazione spaziale e la ricerca di una terra. Quando si riunisce con Aucassin,
la prima domanda che Nicolette, che lo guarda come al suo capitano, gli fa è: «Aucassin, amore
mio, in che terra andremo?»
I due viaggiano e arrivano in aperto mare una grande e meravigliosa tempesta s’abbatte sul
vascello e li spinge da una terra all’altra e finalmente gettano ’ancora nel porto del castello di
Torelore.
In modo piuttosto strano nessuno dei due sembra aver paura del mare e di essere consapevoli dei
suoi pericoli. Nicolette non sembra avere alcun timore del viaggio in mare e non sembra capirne i
pericoli, mentre quando entra nella foresta ha paura delle bestie selvagge, leoni, cinghiali e
serpenti nella boscaglia, e. si raccomanda a Dio.
Mentre sono felice innamorati, al castello i saraceni arrivano e catturano uomini e donne, inclusi
Aucassin e Nicolette. Li legarono e li gettarono lui su una nave e lei su un’altra. Una grande
tempesta divise le due navi. Così nicolette è nuovamente prigioniera è ancora una volta attraversa
il mare.
Il vascello di Aucassin approda vicino al castello di Beaucaire Dove la gente del luogo lo riconosce e
lo riporta a casa sua dove scopre che i genitori sono morti. Il vascello dove Nicolette arriva a
Cartagine, che la sua terra, su a casa.
Il mare determina la separazione di Nicolette dalla sua terra, e cosi fa un'esperienza di dislocazione
culturale e attraverso il mare viene a trovarsi riunita con il padre, il re di Cartagine, nuovamente
nella sua terra. II mare l'ha unita ad Aucassin, ma ha anche causato la loro separazione. Tuttavia
Nicolette è di nuovo a Cartagine, ma si sente ancora dislocata culturalmente dal momento che non
appartiene più al luogo dove ora si trova.
4. Sconfinamenti di genere: il travestimento da uomo, il mare e l'identità.
L'esperienza di Nicolette in termini di dislocazione e identità la differenzia dalle altre eroine, e
l'avvicina moltissimo ad alcune donne che pur forzate a viaggiare nel Decameron, è capace di
prendere iniziative e modificare il proprio destino, in particolare a Zinevra (II. 9), con cui condivide
il motivo del vestirsi da uomo per sopravvivere al viaggio in mare. Non è la tempesta del mare a
determinare la vita di Nicolette e Zinevra, ma le decisioni che fanno in momenti di pericolo.
Nicolette, anziché accettare passivamente di andare sposa ad un ricchissimo re scelto dal padre re
di Cartagine, decide di scappare segretamente durante la notte.
Vaga e arriva al porto, dove alloggia con alcune donne povere in una casa vicino alla riva. Allora,
servendosi di Erbe, si tinge la testa il viso, così la sua carnagione Diventò tutta nera e scolorita,
indossando giacca e mantello, camicia e calze, si vestì di menestrello.
Intanto Aucassin piange sulla propria sfortuna perché non sa dove sia e dove cercare la sua amata.
Lei invece è molto più positiva e impegnata verso il proprio destino. Dopo tre o quattro giorni a
Cartagine, lei pensa alla strategia migliore per andare e trovare Aucassin. Sa che per poter
attraversare liberamente il mare deve vestirsi da uomo: se non proprio come un marinaio come la
Zinevra di Boccaccio. Da uomo e da menestrello Nicolette trova la propria voce ed è capace di
cambiare il proprio destino: viaggia per le campagne fino a quando arriva il castello proprio nel
posto dove si trova Aucassin. Insomma cantando e narrando nei panni di un giullare negro la sua
vicenda, Nicolette ritrova una sua identità di donna. Quando arriva al castello canta per Aucassin
Quello che è successo oltremare a partire dal momento che sono stati catturati insieme a
Torelore.
Anche la risposta di Aucassin al giullare Si concentra su quella terra lontana, e su come darebbe
una grossa somma e farebbe qualsiasi cosa per riportarla indietro. Quando Nicolette lascia
Aucassin Va dritta a casa dei Visconti suo tutore viene riconosciuta accolta e chiede di dire ad
AucassinChe Nicolette è venuta da paesi lontani e cercarti.
In questo modo Nicolette rimani la donna di una terra lontana dall’inizio e la fine della storia. In
questo racconto i ruoli del genere sono poco marcati visto che dovrebbe essere Aucassin ad
andare alla ricerca di Nicolette mente è lei che tenta di trovare una strategia per trovare lui.
5 Zinevra << trasformarsi tutta in forma d’un marinaro, verso il mare se ne venne>>
Boccaccio nel Decameron racconta il viaggio di una donna di nome Zinevra in termini mercantili e
marittimi.
Zinevra è sposata e possiede Tutte le qualità di la donna ideale, ma anche di un uomo infatti viene
elogiata da lo stesso marito, ella è esperta di contabilità, è superiore al mercante medio per le sue
capacità di cavalcare, di praticare la falconeria, di leggere scrivere e tenere i conti. Sono proprio
queste qualità a rendere la protagonista una donna libera. Zinevra Si traveste da un uomo
marinaio per sfuggire alla rabbia del marito che vuole ucciderla, perché fu accusata falsamente di
averlo tradito . Il marito ordina un tuo familiare di ucciderla con un coltello.A questo punto Zinevra
fa una richiesta che le salva la vita e che coincide con il suo travestimento da uomo e la partenza.
Cosi vestito con un giubbotto e un cappuccio da uomo, durante la notte, sola e sconsolata, si recò
a una villetta che era nei paraggi. Qui, come avviene per Nicolette, la donna si procura da una
vecchia signora tutto ciò di cui ha bisogno per completaree perfezionare la sua trasformazione non
solo in uomo ma in marinaio: con la camicia si fa un paio di calzoni corti in tela di lino, e il farsetto
del familiare viene accorciato e accomodato al suo corpo femminile. A questo punto salpa da
Genova su una nave catalana e si dirige verso la città di Alessandria d’Egitto.
6.Ispicatrea e la figlia del re d’Inghilterra: traverstirsi da uomo.. e “mettersi in via”
Boccaccio, nel suo,De mulieribus, racconta di Ipsicratea la quale si traveste da uomo per
accompagnare suo marito nei suoi viaggi in mare e in terr, poiché, diversamente dal motivo di
Nicolette e Zinevra, la donna non tollera l’assenza del marito. Mentre per le altre, il travestimento
da uomo rappresenta la fuga dal mondo maschile, e dai suoi pericoli, Ispicratea sceglie di
abbandonare il noto per l’ignoto e di sprofondare nel mondo maschile rinunciado volontariamente
alla sua identità femminile per vivere paradossalmente il suo amore con il suo uomo. Alla fine fu
uccisa proprio dal marito.
Vediamo che anche la giovane figlia del re d’Inghilterra, scappa in abiti maschili religiosi, vestita di
bianco da abate, dall’inghilterra fino a roma per evitare il matrimonio imposto dal padre re di
scozia, troppo vecchio per una giovane donna come lei.ma la vera identità dell’abate viene svelata
al lettore, prima ancora che la donna inglese lo confessasse al papa. Durante il suo viaggio,
incontra Alessandro di cui si innamora, e durante una sosta notturna, Alessandro viene sistemato
vicino all’abate, la quale fece in modo che alessandro venisse a sapere della sua identità femminile
e alla fine alessandro accetta l’offerta di sposarla. Come Zinevra, anche lei decide di traverstirsi da
uomo per in vista di un viaggio verso l’ignoto, ma a differenza di Zinevra dove il viaggio avviene per
mare, per la giovane d’Inghilterra il viaggio avviene in terra ferma.
7. Papessa Giovanna
Un’altra donna, dall’Inghilterra a Roma decide di traverstirsi da uomo e indossare abiti religiosi:
colei che passerà alla storia come la PAPESSA GIOVANNA. Quando era ancora una giovane donna
fu amata da un uomo per il quale fuggì di casa e lo seguì in Inghilterra dove lui era andato a
studiaree decide di cambiare nome in abiti di uomo. Quando il giovane morì, lei decise di non
tornare donna e di non legarsi ad un altro uomo. Poco più tardi, alla morte di leone v fu nominata
papa e fu chiamata Giovanni. Tuttavia, Boccaccio condanna le gesta di questa donna, perché a
differenza delle altre donne, che decidono di vestirsi per sfuggire ad un pericolo, come nel caso di
Zinevra e la principessa d’Inghilterra dove Boccaccio condivide pienamente questa scelta, nel caso
di Giovanni, condanna questa scelta perché inganna il popolo. Ella, rimasta gravida, alla fine diede
alla luce un figlio.
8. Giovanna- regina di Gerusalemme e di Sicilia, La protettrice delle strade e delle città
Il profilo di Giovanna regina è di tipo geografico-spaziale. Boccaccio delinea i confini e rivolge
l’attenzione ai popoli che abitano le sue terre e ne esalta l’abbondanza dei prodotti utili alla vita.
La regina diventa in seguito a queste premesse di geografia e di storia umana, colei che si erge
protettrice dei luoghi e della sicurezza per chi l’attraversa e in questo modo la regina porta a
termine un’impresa che nessun re ha mai seguito: la sicurezza delle strade.
13. macchine per rendere invalicabili i confini: Alan Turing come essere umano
Alan Turing si chiede se le macchine possono pensare e apre le porte alla ricerca in un campo che
prende il nome di “intelligenza artificiale”. Quando un essere umano non vede i suoi interlocutori
pone delle domande,e non sa se a rispondere sarà un uomo o la macchina. A questo punto, se la
macchina sarà in gradi di formire risposte che potrebbero ingannare l’interlocutore, allora sarà
dimostrato che la macchina è in grado di pensare. Questo è il famoso TEST DI TURING.
L’intelligenza artificiale è un inganno, e altri ricercatori, muovendosi sulla scia di Turing definiscono
con più precisione l’imitazione chiamandola simulazione. Quindi inganno, imitazione, simulazione.
Il gioco d’imitazione proposto da Turing prevede che , l’osservatore, ponendo domande, dovrà
capire se a rispondere sarà una donna o un uomo. Turing, infatti , non prende in considerazione le
sfumature identitarie degli individui, cioè appartenenti ad un sesso o un altro. Il modello
dicotomico, codifica L’ETEROSESSUALITA’, ed esclude l’omosessualità e la bisessualità. Difatti,
Turing era omosessuale, ma combattè questa differenza e cercò di negarla a se stesso, ma quattro
anni dopo aver pubblicato questo articolo, nel 1954 viene assassinato per situazioni politiche.
Turing, passò glu ultimi anni della sua vita distrutto perché fu costretto a rivelare la sua
omosessualità e fu pubblicamente costretto a curarsi per questa “malattia” e per questo fu
mitizzato come personaggio. Infatti, per cercare di sfuggire dalla sua omosessualità, immaginò un
mondo perfetto dove ogni imperfezione è negata e cercò di idealizzare una macchina dove ogni
contraddizione è negata e costruì la macchina per rassicurare se stesso e per tenere a bada le
proprie pulsioni e finisce così per dire: “nega te stesso, sii come una macchina”. Turing sogna una
macchina priva di difetti umani, una macchina libera dalle sofferenze degli uomini, per mantenersi
nei confini della norma, cioè pur di tenermi lontano dalla mia sofferenza, accetto di subordinarmi
ad una macchina che mi imponga le normi sociali. Infatti, Turing teme la diversità e non concepisce
la differenza. DIVERSITA E DIFFERENZA ci propongono due modi di guardare.
Entrambi i concetti definiscono un movimento, mentre la diversità si riferisce ad una norma da
rispettare, la differenza invece ci parla di un movimento senza una precisa meta, cioè un continuo
spostamento, quindi la diversità stabilisce dei confini mentre la differenza li attraversa. In
conclusione, “la macchina di turing” è il cuore che accompagna l’uomo in ogni momento della vita,
e negli anni sessanta del secolo scorso, “al computer-macchina progettata per escludere zone
grigie”, nasce quella per espolarle, e sta all’uomo scegliere la macchina e il modo di usarla. Ù
14, Cartoline del passato. Da esperimento didattico a pratica di public digital history
“cartoline del passato” è stato un sperimento didattico finalizzato alla lettura critica dell’immagine
fotografica e al suo recupero in quando fonte della storia. L’obiettivo era quello di trasformare la
memoria familiare, privata e ricongiungerla a quella collettiva e condivisa. Il temo preciso era la
FOTOGRAFIA come fonte di storia, agente di storia e mezzo per raccontare la storia. La questione
della fotografia viene scelta proprio per il suo potere evocativo,ossia la capacità di influenzare i
comportamenti collettivi, le scelte politiche e l’identità di gruppo. Nella fase operativa del
progetto, gli studenti hanno attinto alle fotografie conservate nei loro album di famiglia ed ognuno
di loro ha compilato una scheda contenenti le info di base. Poi agli studenti si è chiesto di
procedere con la stesura di una bibliografia e di un testo per raccogliere gli elementi fondamentali
che emergevano dalle fotografie nel modo più oggettivo possibile. Per consentire a tutti l’accesso,
è stato creato un archivio fotografico. Così nasce “cartoline del passato” in modo da far emergere
come una fotografia dal valore familiare, possa acquisire le potenzialità di un documento.
L’archivio viene organizzato su una piattaforma di Facebbok, per coinvolgere non solo gli studenti
partecipanti al corso, ma anche altri utenti al di fuori dell’ambito universitario, infatti il numero dei
follower si è fatto via via più consistente. Dalla metà dell’ottocento ad oggi, la fotografia ha
accompagnato e documentato la vita familiare in quanto gli album di famiglia un oggetto
identitario attraverso il quale le famiglie hanno costruito la loro storia. Infatti, proprio per il suo
valore, la fotografia diviene oggetto di studio di molti storici. L’elaborato finale degli studenti
consisteva in un filmato di sintesi del lavoro svolto durante il corso con lo scopo di congiungere la
memoria familiare con la storia. Tutti i video sono stati poi caricati in un canale youtube
Quindi, in conclusione, non è stato un lavoro finalizzato alla valutazione del docente, come spesso
accade, ma uno sforzo creativo in cui i giovani sono stati chiamati a esprimersi in ambito pubblico
e aperto.