Terza edizione — Anno XXVII
n. 2 Aprile/Giugno 2019
Autorizzazione del Tribunale di
Verona n. 1056 del 15/06/1992
Poste Italiane SpA —
Spedizione in Abbonamento
Postale – 70% NE/VR
RIVISTA TRIMESTRALE
DI ARCHITETTURA E CULTURA DEL PROGETTO
FONDATA NEL 1959
Il caso Piano casa:
non c'è tre
senza quattro
—
La fortuna
della corte
Architettura
nuda
—
House
on the river
ISSN 2239-6365
Canale moderno
—
"M" come
madre terra
La Fiera di «muro»
nel Campo Marzio
di Verona
—
Che fai,
Lazzaretto?
2019
#02
Lung-agile
—
Cenna:
la tutela del
paesaggio
117
La piega e
il metallo
—
Itinerario:
Arrigo Rudi
a Verona
New Multimedia Showroom:
la tecnologia Sever
al servizio dei progettisti
Si è aperto il nuovo spazio interattivo
multimediale sviluppato da Sever
per offrire nuove opportunità alla comunicazione
e comprensione del progetto
La professionalità e il know how di SEVER, maturati in cinquant’anni
di esperienza, hanno visto negli ultimi anni il naturale sviluppo e
integrazione delle forniture contract anche nel settore alberghiero
e domestico.
01
Da qui l’esigenza di creare un nuovo format di presentazione multimediale
ed interattivo, gestito da un sistema domotico intelligente.
Il nuovo showroow di SEVER, offre una nuova possibilità di comunicazione
e coinvolgimento emozionale “dentro il progetto”. Uno spazio allestito
come luogo di incontro tra progettisti e committenti, all’interno del quale
le tecnologie della struttura permettono di visualizzare immagini, video,
progetti e clip multimediali.
03
L’elevata tecnologia utilizzata consente proiezioni in 4K
su schermi e monitor ad altissima risoluzione, controllati da telecamere
con sensori di presenza in modo tale che l’utilizzatore possa gestire
la presentazione anche con il solo ausilio del movimento delle mani.
All’interno dello Showroom sono collocate un’area
di consultazione/riunioni e un’area break.
SEVER mette a disposizione dei progettisti che vorranno farne uso la
propria struttura per la presentazione e/o condivisione dei loro progetti di
qualunque natura essi siano.
SEVER è partner e fornitore ufficiale AMG, AUDI, MERCEDES,
PORSCHE, SMART, VOLVO E VOLKSWAGEN.
02
01-02. Vedute dello Showroom multimediale ricavato
all’interno della sede Sever a Verona.
New Multimedia Showroom
03-04. Sezione e dettaglio del progetto esecutivo
dell’allestimento.
Sever Viale del Commercio, 10 37135 Verona
T 045 8250033 [email protected] www.sever.it
04
l’ìdentità
l’ìdentità
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Restauro in call
Testo: Cesare Benedetti
Dove eravamo rimasti? L’iniziativa “Gli architetti
e il restauro diffuso nel Veneto. Report 2017
sul restauro”, presentata nel convegno FOAV
(Federazione regionale degli Ordini degli
Architetti del Veneto) che si è svolto a Bassano del
Grappa il 22 ottobre 2016, ha avuto un seguito
nel successivo convegno regionale di Venezia (07
dicembre 2017) sul tema “L’architetto e il progetto
per il patrimonio costruito”.
In quell’occasione è stato presentato il report
NOTA sugli interventi di restauro realizzati nel
Veneto e raccolti dagli ordini provinciali tramite
una call for works a tutti gli iscritti.
La call, finalizzata ad una prima raccolta
di progetti, si è connotata come un invito a
segnalare restauri propri o di altri architetti
realizzati negli ultimi decenni nel Veneto,
con allegata una sintetica documentazione
esplicativa e illustrativa di ogni intervento
realizzato. Un’iniziativa dichiaratamente rivolta
117
ad interventi rappresentativi di una realtà diffusa,
tralasciando per un momento i “grandi restauri”,
per dare evidenza alle buone pratiche del lavoro
dell’architetto negli ambiti della quotidianità.
Gli obiettivi del report, così come evidenziato
nella relazione di presentazione, erano i seguenti:
– presentare interventi compiuti negli ultimi
decenni per argomentare la cura e la competenza
dell’operato dell’architetto in questo campo;
– contribuire a documentare nel territorio veneto le
caratteristiche del patrimonio edilizio storico, sia
di carattere monumentale sia di edilizia minore;
– raccogliere le testimonianze dei committenti,
degli esecutori, dei cittadini, degli amministratori
pubblici come parte integrante del racconto
dell’intervento e della sua ricaduta sulla società
civile;
– favorire il dibattito tra gli architetti e le
altre componenti essenziali dell’opera come la
committenza e l’impresa, al fine di chiarire i
rispettivi ruoli e ristabilire la sinergia necessaria al
conseguimento del risultato migliore.
La risposta alla call è stata significativa: 214 lavori
rappresentativi di una pluralità di committenza,
tipologia di beni immobili, caratteristiche
di intervento ma, soprattutto, di diverse
impostazioni e declinazioni di progetto, il tutto
catalogato e rappresentato a testimonianza di un
panorama variegato di interventi sul patrimonio
edilizio costruito. Una finestra sul patrimonio
edilizio storico di sorprendente bellezza, con
caratteristiche molto diversificate a seconda
dell’ambito territoriale, con edifici, costruzioni e
soprattutto luoghi poco conosciuti.
La documentazione pervenuta è stata inserita in
un unico format, sintesi dell’intervento: sei pagine
in formato A3, di cui la prima pagina recante
i dati identificativi dell’intervento e una breve
relazione descrittiva, mentre le pagine successive
sono dedicate a una sintetica documentazione
fotografica, suddivisa in prima e dopo, e alle tavole
grafiche di rilievo e di progetto. Gli interventi si
riferiscono principalmente ad alcune destinazioni
d’uso prevalenti: residenziale, turistico-ricettiva,
direzionale e in numero più esiguo a luoghi di
culto o altre destinazioni.
13
Questo lo stato dell’arte riferito al primo step
del progetto. Risulta evidente la necessità di
proseguire il lavoro in due direzioni: l’uno,
volto ad ampliare il numero di interventi
coinvolti e di soggetti interessati a partecipare al
censimento, l’altro a predisporre uno strumento
di consultazione digitale, interattivo e geo
localizzato, interrogabile per query di ricerca.
A questo la commissione FOAV, in collaborazione
con le commissioni degli ordini provinciali, sta
lavorando e lavorerà nei prossimi mesi per il
lancio di una nuova call intesa ad allargare la
rappresentatività dell’archivio in costruzione,
che sarà accompagnata dalla realizzazione di un
adeguato sistema informativo su piattaforma web.
Ma quali gli obiettivi del lavoro in corso, oltre a
quello più evidente e strumentale della costruzione
di un archivio digitale?
Il punto di mira non può che sottendere alla
più complessa operazione di promozione e
valorizzazione della figura e delle specificità del
lavoro dell’architetto rispetto al tema del restauro,
quale disciplina architettonica di primario valore
culturale e pubblico.
Nel documento redatto in esito al convegno
avvenuto a Venezia il 07 dicembre 2017, gli
architetti si propongono, tra gli altri, i seguenti
obiettivi:
– che sia riconosciuto e favorito il ruolo di
coordinamento progettuale, in termini sostanziali,
che la figura dell’architetto deve svolgere per dare
unitarietà di indirizzo e “anima” all’intervento,
attraverso il progetto e il cantiere; si propone
di conseguenza di interpretare “l’integrazione
delle prestazioni specialistiche” come la ricerca
progettuale di compatibilità tra i requisiti
necessari e richiesti (antisismico, energetico, ecc.)
e la conservazione e valorizzazione dei caratteri
peculiari del manufatto, considerata obiettivo
primario e irrinunciabile;
– che la committenza sia richiamata alla ricerca
delle qualità che devono essere compresenti
nell’intervento sul patrimonio, incentivata in
ciò anche dalla divulgazione degli esiti, quando
significativi, e dal riconoscimento del ruolo svolto;
– che siano riconosciuti il significato e
l’importanza degli apporti innovativi che
14
l’architetto può proporre all’interno degli
interventi di restauro-recupero, soprattutto
quando necessari a svolgere funzioni legate a un
utilizzo rinnovato; in ciò chiedendo di sviluppare
con gli enti di tutela un dialogo che miri alla
qualità progettuale e alla commisurazione degli
interventi.
Duplice finalità quindi del lavoro in corso, al quale
tutti gli iscritti interessati al tema sono invitati
a partecipare, soprattutto alla luce di una scarsa
attenzione rispetto al tema del restauro, disciplina
oggi certamente démodé nella percezione e
consapevolezza degli interlocutori istituzionali.
La normativa di ultima generazione, quella
della trilogia delle Leggi n. 14 2009-2017-2019,
ci propone i temi di grande attualità riguardo
la riqualificazione edilizia, la riqualificazione
urbana e la rigenerazione urbana, senza mai
affrontare il tema del restauro, quasi lo stesso
fosse “fuori tema”. Forse una fortuna, potremmo
pensare, perlomeno rispetto alla frenesia di
produzione normativa, spesso sovrabbondante e
contraddittoria ed effettivamente inutile, nel caso,
alla causa.
Ma come pensare ai grandi temi di densificazione
proposti dal Piano Veneto 2050 senza porre il
tema del restauro in tutte le sue sfaccettature?
Perché non porre i temi del credito e delle
premialità quale componente di un ragionamento
circostanziato, ma coraggioso, riguardo il progetto
di restauro?
Opportunità, quindi che si prospettano per una
valorizzazione del patrimonio culturale: ammesso
che al tema qualcuno si appassioni.
Consiglio dell’ordine
•
Presidente
Amedeo Margotto
•
VicePresidenti
Laura De Stefano
Matteo Faustini
•
Segretario
Enrico Savoia
•
Tesoriere
Daniel Mantovani
•
Consiglieri
Cesare Benedetti, Michele De Mori,
Stefania Marini, Diego Martini,
Leonardo Modenese, Michele Moserle,
Francesca Piantavigna, Chiara Tenca,
Morena Zamperi, Ilaria Zampini
070
odeon
060
odeon
013
professione
progetto
Restauro in call
di Cesare Benedetti
Architettura nuda
di Damiano Capuzzo
028
048
storia&progetto
017
editoriale
Il caso Piano Casa:
non c’è tre senza quattro
di Alberto Vignolo
“M” come madre terra
di Daniela Tacconi
036
020
PROGETTO
La fortuna
della corte
di Filippo Romano,
Leopoldo Tinazzi
117
odeon
Lung-Agile
di Tomàs Bonazzo
progetto
042
•
064
071
i sepolcri
Vittorio Filippini
di Federica Guerra
072
Canale moderno
di Nicola Tommasini
082
diverse
architetture
Motori a tutta birra
di Luisella Zeri
117
#design_vr
La piega e il metallo
di Laura De Stefano
86
itinerario
House on the river
di Angela Lion
PROGETTO
2019 #02
Che fai, Lazzaretto?
di Chiara Boccinger
Francesca Giudetti
Vedi Verona in digitale
di Federica Guerra
Arrigo Rudi a Verona
di Barnaba Rudi
054
saggio
La Fiera di «muro»
nel Campo Marzio
di Verona
di Stefano Lodi
067
odeon
La tutela del paesaggio
di Luciano Cenna
068
odeon
Nuove sinergie per
il social housing
di Stefania Marini
076
STUDIO VISIT/Off
Da Stoccolma a Porto
passando per Barcellona
e Reykjavik
di Irene Antolini
15
Il caso Piano casa: non c’è tre senza quattro
Rivista trimestrale di architettura e cultura del progetto fondata nel 1959
Terza edizione • anno XXVII n. 2 • Aprile/Giugno 2019
Direttore responsabile
Amedeo Margotto
Direttore
Alberto Vignolo
Editore
Ordine degli Architetti Pianificatori
Paesaggisti e Conservatori
della provincia di Verona
Via Santa Teresa 2 — 37135 Verona
T. 045 8034959 — F. 045 592319
[email protected]
Redazione
Federica Guerra, Angela Lion,
Luisella Zeri, Damiano Capuzzo,
Daniela Tacconi, Filippo Romano,
Leopoldo Tinazzi
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Concessionaria esclusiva
per la pubblicità
Promoprint
Paolo Pavan
T. 348 530 2853
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Art direction, Design &
ILLUSTRATION
Happycentro
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Stampa
Cierre Grafica
www.cierrenet.it
16
contributi a questo numero
Irene Antolini, Chiara Boccinger,
Francesca Giudetti, Tomàs
Bonazzo, Luciano Cenna,
Laura De Stefano, Stefano Lodi,
Stefania Marini, Nicola Tommasini,
Barnaba Rudi
Distribuzione
La rivista è distribuita gratuitamente
agli iscritti all’Ordine degli
Architetti Pianificatori Paesaggisti
e Conservatori della Provincia
di Verona e a quanti ne facciano
richiesta all’indirizzo https://
architettiverona.it/distribuzione/
referenze Fotografiche
Lorenzo Linthout, Michele
Mascalzoni, Marco Toté,
Simone Bossi
Gli articoli e le note firmate esprimono
l’opinione degli autori, e non
impegnano l’editore e la redazione
del periodico. La rivista è aperta a
quanti, architetti e non, intendano
offrire la loro collaborazione.
La riproduzione di testi e immagini
è consentita citando la fonte.
INDIRIZZI WEB
rivista.architettiverona.it
www.architettiverona.it/rivista
Si ringraziano
Antonio e Andrea Menegotti,
Maria Morganti, Federica Provoli
2019 #02
Opportunità, buoni propositi e contraddizioni nella ennesima edizione dello strumento legislativo
attorno al quale si sono imperniate le “vite degli architetti”
Testo: Alberto Vignolo
Foto: Lorenzo Linthout
Dopo lo speranzoso primo, il
redivivo secondo e il recidivo terzo,
eccoci dunque giunti al ribaldo
quarto. Ebbene si, lo spauracchio
della fine dei salvifici bonus che negli
ultimi anni hanno rimesso in moto
l’edilizia e dunque la progettazione
– indubbiamente un toccasana per
molti professionisti del settore– è
stato infine sventato dal varo, da
parte dell’ente regionale, di un
nuovo provvedimento approvato
lo scorso 27 marzo, che è parso da
subito come una nuova puntata dei
precedenti: anche se le differenze
non sono poche. Come in una
saga cinematografica interstellare
e padana con tanto di immancabili
sequel, ecco dunque l’atteso
117
ritorno degli Jedi volumetrici: che
l’ampliamento sia con voi!
La spasmodica corsa che ha visto gli
studi degli architetti lavorare giorno
e notte per godere fino all’ultimo
dei benefici del Piano Casa ancora
vigente, che sarebbe andato in
scadenza dopo una prima proroga
a fine marzo 2019 – corsa che ha
portato a un abnorme numero di
pratiche edilizie in tutti i comuni –
è stata dunque premiata sul filo del
traguardo dallo zuccherino del nuovo
strumento legislativo.
Ed ecco che, smaltite le notti
insonni, le stesse frotte di progettisti
si sono buttate come mosche sul
miele ad affollare gli incontri e
i convegni che tempestivamente
hanno propagandato con grande
enfasi le magnifiche sorti e
costruttive della veneta legge. Sul
merito della quale già fioriscono
le tournée con gli spiegoni e i
commentari, dando la stura al
generone dei funzionari regionali e
degli avvocatoni di filosofeggiare e
pontificare sulle gioiose novità.
Che senza dubbio non mancano,
anche grazie a un eccellente
lavoro di make-up da parte degli
esperti del marketing legislativo.
Le parole d’ordine infatti sono
le più attuali e condivisibili:
il dispositivo è intitolato alle
01
“politiche per la riqualificazione
urbana e l’incentivazione alla
rinaturalizzazione del territorio
veneto” con tanto di slogan
visionario e fiammeggiante (Veneto
2050). Più bonus per tutti, con un
menù di ampliamenti à la carte:
per la riqualificazione energetica,
per l’utilizzo di fonti rinnovabili,
per l’eliminazione delle barriere
architettoniche, per l’utilizzo di
materiali di recupero, coperture verdi
o pareti ventilate, per l’isolamento
acustico e per il recupero della acque
piovane, per l’utilizzo del BIM...
01. Come in un illusorio specchio
deformante, sembrano moltiplicarsi per
“n” volte le possibilità edificatorie per chi
sappia sfruttare i generosi bonus.
17
extra bonus infine (e bacio della
INA-Casa a partire dal medesimo
commissione edilizia?) con l’utilizzo
intento di favorire l’occupazione e
di crediti edilizi derivanti dalla
la ripresa economica. Tutt’al più ci
demolizione di edifici esistenti con
ritroviamo un pulviscolo di fuori
la conseguente rinaturalizzazione
scala, vistosi sopralzi e stiracchiate
del suolo, grazie a pindarici decolli e
estrusioni allo spasimo del metro
atterraggi delle volumetrie.
cubo guadagnato a furia di deroghe.
Tutto molto bello, e molto
Come sempre, però, sta al progettista
condivisibile nei principi e nei buoni
fare dell’occasione l’opera, del
propositi di larga prospettiva.
vincolo lo stimolo e del limite il
Nel mentre, però, rimane la cultura
vanto: ragione per la quale ci sono
del bonus
sicuramente
ereditata dai
ottimi esempi di
precedenti piani
architettura nati
« Nato come
casa: che però,
anche grazie ai
strumento anticiclico
nonostante
Piani Casa.
il Piano Casa non ha
le reiterate
Rimane il
generato significative
proroghe e
principio,
versioni evolutive,
reiterato di fatto
ricadute urbane come
avevano sempre
dalla nuova
un tempo fecero i
una efficacia
legge regionale
Piani INA-Casa »
temporanea,
veneta, che
mentre i
senza l’aiutino
generosissimi bonus divenuti
volumetrico non si muove foglia: bei
strutturali rischiano di annientare
tempi, quelli in cui era l’abilità e la
quel poco che resta delle previsioni
passione nei preliminari (ma anche
sulle potenzialità edificatorie
nei definitivi e negli esecutivi) per
determinate dai piani degli
fare conquiste (di un bel progetto).
interventi, rendendo aleatorie di fatto Ci siamo assuefatti all’uso di questo
le scelte in materia di governo del
viagra edilizio senza il quale non sale
territorio (ma è un processo in atto da più nessun ponteggio, non si rizza
tempo, quello della pianificazione “a
manco una gru. Ai grandi sforzi
posteriori”).
creativi per ammantare l’architettura
Nato come strumento anticiclico,
delle regole di eleganti slogan, forse
il Piano Casa non ha generato
dovrebbe seguire anche uno sforzo
significative ricadute urbane come
in direzione di un detox dalla cultura
un tempo, ad esempio, fecero i Piani
dell’emergenza fatta sistema.
•
02. La crescita: più venti per cento,
quaranta per cento, sessanta
per cento... nell’interpretazione di
Lorenzo Linthout.
02
18
2019 #02
117
19
PROGETTO
La fortuna
della corte
Una “casa nella campagna veronese” dalla immediata diffusione editoriale internazionale
propone il recupero di un fabbricato rurale con un innesto abitativo netto e seducente
Progetto: studio wok
Testo: Leopoldo Tinazzi, Filippo Romano
Foto: Simone Bossi
01
Verona
01
20
2019 #02
Sulla strada che da Chievo porta a Boscomantico,
all’interno di una corte rurale, si trova un lungo
edificio in pietra, adibito in parte ad abitazione e
in parte a rimessa. I ciottoli di fiume con cui è stato
costruito provengono dall’Adige, che scorre placido
nel suo largo alveo ad un centinaio di metri dalla proprietà. Tutt’intorno campi coltivati con alberi
da frutto e viti. Siamo ai confini di Verona, dove
inizia un territorio dai vaghi confini che si estende
ad occidente prima di diventare Valpolicella o Lago
di Garda.
È all’estremità ovest di questo corpo edilizio che si
concentra uno degli ultimi lavori dello Studio Wok.
Si tratta della ristrutturazione di una cascina sviluppata su tre livelli e della risistemazione dell’annesso giardino, in cui è stata realizzata una piscina.
L’intervento sulla casa ha previsto una serie di demolizioni, il ripristino e la modifica delle facciate e
una riprogettazione totale degli interni. La muratura esterna è stata liberata dall’intonaco, ricollegandosi così all’aspetto del resto del corpo di fabbrica.
Quello che è rimasto è diventato un edificio rustico,
scarnificato e dalle superfici grezze, che spicca per
contrasto rispetto alla linearità della
piscina dai bordi squadrati in pietra
bianca.
Il progetto ha avuto fin da subito
molta fortuna presso la stampa specializzata e, nonostante sia molto recente, si può considerare tra le più
celebri realizzazioni dell’architettura veronese. Le foto e i disegni della
country house hanno riempito le pagine dei più visitati siti di architettura,
nonché di alcune storiche riviste.
Per questo motivo abbiamo deciso di
implementare l’apparato iconografico dell’articolo con alcune immagini
inedite del modello di studio che ne
ha preceduto la realizzazione. Pensiamo, oltretutto, che queste siano il migliore punto di partenza per raccontare il progetto: la costruzione di un modello di architettura infatti si basa
necessariamente su una semplificazione formale e
costruttiva, in cui ciò che deve essere rivelato sono
la sostanza fisica di un volume e qualche dettaglio
significativo. Il disegno, per quanto dettagliato o
117
02
03
01. Il prospetto ovest con la piscina e
la grande magnolia che domina il
rapporto tra casa e giardino.
02. La corte agricola con la testata
ovest vista da un vialetto interno.
03. Pianta delle coperture della corte.
04. Dettaglio delle nuove cornici delle
finestre in Biancone.
04
21
La fortuna della corte
PROGETTO
05. Schema assonometrico
delle fasi di progetto.
06. L’ingresso dal portico
del fienile.
07. Gli allineamenti delle
cornici in Biancone delle
finestre sul fronte verso il
giardino.
committente
Privato
Progetto architettonico
e direzione lavori
studio wok:
arch. Marcello Bondavalli
arch. Nicola Brenna
arch. Carlo Alberto Tagliabue
collaboratori
arch. Federica Torri
consulenti
Studio tecnico associato Breoni
(progetto strutturale, contenimento
energetico, sicurezza)
Simone Bellamoli (agronomo)
05
06
07
22
realistico, non ha lo stesso potere comunicativo. La
luce che entra tra le pareti di un modello è la stessa
che illuminerà il progetto costruito e può dare un
accesso privilegiato alle motivazioni e alle intenzioni dell’architetto.
Da queste immagini infatti la prima cosa che emerge è la volontà di creare con pochi semplici segni un
dialogo tra il corpo preesistente e i nuovi elementi
della ristrutturazione. Nella massa muraria del prospetto principale le cornici in Biancone delle nuove
finestre si allargano per allinearsi reciprocamente,
in una partitura di pieni e vuoti asimmetrica, ma
retta su questa griglia di incroci. Lo stesso ritmo
si trasferisce ai sottili listelli di schermatura della grande finestra ottenuta aprendo la parete sud e
dell’alta volta centrale, anch’essa recuperata demolendo. Questi elementi lignei ricordano per analogia le tamponature di alcuni fienili della zona.
Guardando il modello in sezione si nota come la distribuzione interna si accordi felicemente allo stato
originario dell’edificio e sfrutti con semplici seppur
sostanziose modifiche l’assetto dell’involucro esistente.
L’entrata avviene da un portico esterno sul lato est.
L’ingresso corrisponde con il soggiorno, spazio
centrale a tutta altezza, nel quale dal primo piano
si affaccia un ballatoio. Sul lato opposto all’ingresso si trova la volta a due livelli, lasciata libera dal
vuoto centrale e chiusa da una grande finestra che
incornicia la vista su una magnolia secolare, fulcro
del dialogo tra casa e giardino. La centralità di que-
2019 #02
imprese esecutrici
PFM contract, Verona (opere edili)
GF Arredamenti, Ardenno
(serramenti e arredi su misura)
Grassi Pietre, Nanto (pavimenti in
pietra)
Cronologia
Progetto e Realizzazione:
2018
08. Il fronte sud con il
serramento ligneo.
08
117
23
PROGETTO
09. Piante dei piani terra,
primo e sottotetto.
10-13. Modelli di studio:
vista del soggiorno,
sezione longitudinale,
dettaglio dell’infisso a
chiusura della volta e
veduta esterna notturna.
14-15. Dettagli sugli incastri
del grande infisso a
chiusura della volta
centrale.
09
12
10
13
11
24
2019 #02
La lievità del linguaggio dello Studio Wok si avvale principalmente di luce e chiarezza distributiva, trasformate in volumi netti e seducenti. La cura
nella progettazione emerge dall’essenzialità di alcuni dettagli, resa possibile dal disegno minuzioso
e dall’abilità costruttiva. Elementi che hanno portato questo intervento a diventare un esempio paradigmatico dell’abitare contemporaneo.
•
« La cura nella progettazione
emerge dall’essenzialità
di alcuni dettagli resa possibile
dal disegno minuzioso
e dall’abilità costruttiva »
GSPublisherVersion 0.0.100.100
GSPublisherVersion 0.0.100.100
sto spazio è stata arricchita da un rivestimento in
multistrato di betulla, che, riscaldandolo, ne esalta
la caratteristica di cuore dell’abitazione. La stessa
finitura si estende poi ai soffitti del soggiorno e del
corridoio, evidenziando tutto il volume della nuova
addizione.
A destra del soggiorno ci sono la cucina e un blocco
servizi, seguiti da una stanza per la lettura con un
camino in mattoni. Al primo piano si trovano tre
stanze da letto e al secondo una camera per gli ospiti. Tutti gli ambienti della casa sono molto luminosi
e trasmettono un generale senso di equilibrio e proporzione. Intenzione evidente già nelle immagini
del modello, dalle quali emerge un’atmosfera domestica e confortevole, in cui la luce svela la chiarezza degli spazi e in cui l’alternarsi dei materiali
sottolinea l’incastro dei volumi. L’intervento è infatti caratterizzato, come altri lavori dello studio,
117
dall’uso del bianco e del legno, lasciato al suo colore
originario. Così avviene anche per i pavimenti: al
piano terra le parti comuni sono rivestite da una
pietra vicentina color panna, mentre per i piani superiori è stato scelto un più intimo parquet. In tutta
la casa si avverte un ritmo scandito chiaramente tra
il riverbero delle parti bianche e i riflessi paglierini delle superfici lignee. L’illuminazione naturale
penetra in profondità e rischiara gli spazi più interni attraverso alcuni accorgimenti: gli accessi alle
camere sono fori pavimento-soffitto in cui le porte vengono agganciate solo sui montanti verticali,
senza traversa, lasciando correre più luce possibile dai soffitti negli spazi di circolazione. La stessa
funzione è assolta dai gradini piatti che collegano
primo e secondo piano. Qualche accento cromatico contraddistingue alcuni arredi fissi realizzati su
misura, come la cucina e i porta lavabi nei bagni.
14
15
25
PROGETTO
La fortuna della corte
16. Il soggiorno aperto verso il giardino e la
piscina.
17. Il ballatoio al primo piano con l’affaccio
sulla doppia altezza del soggiorno.
18. La scala.
19. Veduta sulla cucina.
20. Il soggiorno con l’ingresso sulla destra e
la zona pranzo sulla sinistra; sul fondo il
corridoio che porta alla scala interna.
21. La biblioteca con il camino in mattoni.
studio wok
Marcello Bondavalli, Nicola
Brenna e Carlo Alberto
Tagliabue compongono dal
2012 lo studio wok con base
a Milano. La loro ricerca è
incentrata sull’architettura, il
design e il paesaggio ponendo
grande attenzione alla qualità
dell’abitare. Partecipano a
diversi concorsi nazionali e
internazionali, grazie ai quali
ottengono premi e sono esposti
in mostre significative.
Con il recupero di un sottotetto
a Verona (cfr. AV 93, pp. 36-41)
hanno ricevuto una menzione al
Premio Architettiverona 2013.
www.studiowok.com
17
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21
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2019 #02
117
27
PROGETTO
Architettura nuda
È curioso notare come talvolta, in contesti familiari, basti l’inserimento di un elemento estraneo per
portare a nuovi equilibri, capaci di far scaturire una
diversa percezione di quello stesso ambiente, come
se apparisse nuovo. Si tratta spesso di una associazione d’immagini personale che la mente ricostruisce giocando tra i cassetti della memoria, prontamente resettata dalla preponderanza del raziocinio.
Il gioco si rende stranamente divertente quando
scopriamo che la stravaganza è comune, e che l’interpretazione scontata di ciò che pensavamo conoscere può non essere univoca.
Con tale curiosità ha inizio la visita di Casa V, un
edificio posto al limite tra un piccolo insediamento
abitativo perso nel leggero ondeggiare della campagna tra Castelnuovo e Salionze, che prende il nome
di Camalavicina, e l’ampio intorno coltivato a vigneti.
L’edificio si presenta semplice per forma, un parallelepipedo schiacciato nella faccia superiore a ricreare un profilo d’ali asimmetrico, interamente realizzato (e non rivestito) in legno, con diversi gradi
di porosità a seconda delle relazioni con l’interno.
Una casa in legno realizzata ai margini dell’abitato propone
l’efficacia di un linguaggio rivolto all’esperienza domestica del vivere
Progetto: arch. Márcio Tolotti - estudoquarto
Testo: Damiano Capuzzo
Foto: Michele Mascalzoni
01
Castelnuovo
del Garda
2019 #02
01. La casa in una veduta
dal giardino: l’aggetto
del basamento in
calcestruzzo a vista
suggerisce l’estensione
dello spazio domestico.
02. La trama verticale
di listelli in larice si
interrompe solo in
presenza delle aperture
arretrate sul filo interno.
03. Piante del piano terra e
del livello superiore.
« La forma a V della sezione
diviene in questo caso
un modello possibile che sintetizza
un processo inclusivo:
tecnologico, funzionale,
compositivo ed economico »
La sensazione è che sembri sorgere in un’area remota, ricreando uno specifico equilibrio con il paesaggio, e che sia progettato in modo da poter invecchiare alla stregua di un elemento naturale. Un
oggetto che proprio nell’essenzialità diviene capace
di una forte accezione scultorea e che appare come
una roccia o meglio un tronco (per coerenza materica), adagiato a margine dei vigneti allo scopo di
offrire riparo al di sotto di quel profilo a V che ne
giustifica il nome.
La mente inizia a giocare con le associazioni di immagini, l’occhio inquadra porzioni di paesaggio
sincere e seducenti, che rimandano a certe atmosfere sud americane, anche pensando ad affinità ti-
28
02
117
03
29
Architettura nuda
PROGETTO
04-05. Il portico d’ingresso
segna la distinzione tra
l’abitazione e gli annessi.
06. Veduta da nord con i
posti auto coperti e il
piccolo laboratorio al
piano superiore.
07. Disegni esecutivi:
sezione trasversale e
nodi di dettaglio.
márcio tolotti
Nato a Sao Mateus do Sul,
Brasile (1979) e laureato in
architettura al Politecnico di
Milano, pratica il mestiere con
articolato linguaggio grafico
visivo. Conclusa la scuola
d’arte, approfondisce la tecnica
del disegno a tratto diretto e
dei modelli per l’architettura,
scultura e fotografia. Dalla
perizia come disegnatore
per auto modelli seguita
all’esperienza nel settore edilizio
acquisisce metodo e capacità
nell’organizzazione del progetto.
Titolare di estudoquarto, con il
progetto di Prima Casa Passiva
intende rendere democratico
l’accesso alle costruzioni in Bio
Architettura.
06
04
05
30
pologiche con alcuni esempi cileni. La prima giustificazione a queste sensazioni arriva dialogando
in compagnia del progettista, il giovane architetto
Márcio Tolotti, laureato al Politecnico di Milano e
di recente trasferitosi a Verona dopo anni trascorsi
nel bresciano il quale, rivelando origini brasiliane,
condivide con noi lontani ricordi d’infanzia di abitazioni, fienili e piccoli annessi realizzati con uno
spirito che egli sente di ritrovare oggi nella propria
ricerca.
L’essenzialità dell’approccio progettuale è rivelata
dall’idea di impostare l’edificio ad una quota inferiore, circa 80 centimetri, a quella stradale, con
il duplice vantaggio di evitare dispendiose opere
di riporto, mantenendo inalterato il livello comune alle vicine abitazioni, e riducendo al contempo
l’altezza percepita del nuovo volume. È una scelta
2019 #02
che regala forza al sistema di ingresso, attraverso
una passerella in cemento a vista adagiata sul terreno che, staccandosi dal cancelletto nella recinzione,
accompagna una leggera discesa fino al porticato di
ingresso. La piastra in cemento si rivela essere il basamento del soprastante volume in legno, evitando
il pericoloso formarsi di umidità di risalita, ma al
contempo è un segno distintivo che, appena svincolato dal terreno, conferisce leggerezza alla geometria dell’edificio.
Le pareti esterne sono caratterizzate dalla scansione verticale di listelli in larice al naturale, privi di
trattamenti post-essicazione; il tempo ne modificherà le tonalità verso colori grigiastri, desaturati, in accordo alla volontà del progetto di mutare
specifiche condizioni per evolvere insieme al paesaggio, cosicché sia l’alternanza delle stagioni ad
irrobustire il legno rendendo minimi gli interventi
manutentivi.
La chiave di lettura sta nella ripetizione di un linguaggio semplice ed efficace che bene si contrappone ad un paesaggio ricco di immagini suggestive,
ma disseminato da tipologie architettoniche canonicamente indifferenti al luogo. La forma a V della
sezione diviene in questo caso un modello possibile che sintetizza un processo inclusivo: tecnologico,
funzionale, compositivo ed economico.
Il particolare profilo fa perno attorno al portico d’ingresso, zona di passaggio tra le porzioni di
117
giardino ad est e ad ovest, e funge da separazione all’interno dello stesso volume tra l’abitazione
orientata a sud e gli annessi a nord, comprendenti
due posti auto e un piccolo laboratorio nel sottotetto raggiungibile tramite la scala in legno che si diparte da un lato del portico.
Entrando nell’abitazione, il gioco della copertura
inclinata, la distribuzione spaziale e l’essenza del
materiale si rivelano subito con chiara pienezza. La
semplicità del volume lascia al legno delle superfici
e alla luce che filtra dalle grandi vetrate a sud e ad
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DISTINTA MATERIALI PARETI A TELAIO
Listone di testa 6x10*
Lottoneria di chiusura *
Tegola piana in cotto *
Listelli di appoggio sez. 3x3 *
Listelli di ventilazione sez. 4x4
membrana traspirante
tipo Stamisol sd>0.02 mt
DETTAGLIO 1
Pannelli di tamponamento idonei a specifice strutturali Ing. Consolaro:
_ osb tipo 3 da 15 mm/multistrato fenolico 15 mm (schede tecniche)
_ chiodi ring 2.8*60 per connessione osb/multistrato-telaio
Telai realizzati come da specifice strutturali Ing. Consolaro:
_ Legno tipo C24 80x80 mm
280 ml
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Tegola piana in cotto *
Listelli di appoggio sez. 3x3 *
Listelli di ventilazione sez. 6x4
membrana traspirante tipo Stamisol sd>0.02 mt
Isolante ISOROOF 20 mm, 240 kg/mc
Isolante SWUISSTHERM 40 mm, 150 kg/mc
Listelli di contenimento sez. 6x4
Isolante PHAVATHERM 160mm, 110 kg/mc
freno al vapore sd >2 mt
montanti verticali abitazione
montanti verticali box
montanti verticali magazzino
2,38 mt
2,08 mt
vedi disegno
_
pannelli verticali abitazione
100 mq
_
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pannelli verticali box
pannelli verticali magazzino
90 mq
Raddoppiare gli elementi a terra, soffitto e in corrispondenza
delle porte interne/ fissaggi con piastre come da specifiche strutturali
Ancoraggio a terra con tassellatura approvata dalla DL strutture
Arcoraggio a soffitto con idonee viti da carpenteria in legno
Prestare attenzione alle giunzioni/accostamento pannelli
Lasciare distacco/scuretto di 10 mm su tutti i lati
Verifiche misure architettoniche e da rilievo in opera
Lavorazioni da concordare con la DL architettonico
Verifiche misure architettoniche e da rilievo in opera
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DETTAGLIO 3
DETTAGLIO 2
pluviale diam 140 mm *
pavimento in legno
su sottostruttura*
rivestimento in larice*
perlinatura verticale
pavimento in
viroc sp 16 mm
pendenzato
membrana
impermeabilizzante
xlam 94 mm
copertura in
viroc sp 16 mm
pendenzato
membrana
impermeabilizzante
xlam 94 mm
persiana oscurante in larice*
perlinatura verticale su
telaio 4x4
DETTAGLIO 4
pavimento cls quarzo 10 cm
listone di testa 6x10
idem perimetrale
lattoneria di testa
idem laterale
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pavimento cls quarzo
10 cm
xps 8 cm 350 Kpa
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sagoma isolante 2° 3°
strato per posa pluviale
diam 140 mm *
S E Z I O N E
B
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PARTICOLARI COSTRUTTIVI
retina para insetti
TAVO LA
ESECUTIVO
02
listello in larice
finitura
fondazione in cls
xps sp 22 cm*
spessori reggi
telaio serramento*
bandella risvolto guaina
bituminosa 4 mm
autoadesiva 50 cm
esterno parete xlam *
DETTAGLIO 1 scala 1:5
DETTAGLIO 4 scala 1:5
striscia guaina
bituminosa 4 mm
autoadesiva 25 cm
sottoparete *
rivestimento in larice*
perlinatura verticale
DETTAGLIO 2 scala 1:5
rivestimento in larice*
perlinatura verticale
soffitto in larice*
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Dottore Architetto Márcio Tolotti
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07
31
PROGETTO
Architettura nuda
08. Il close-up di una parete
divisoria restituisce la
stratigrafia strutturale,
evidenziando come il legno
sia l’unico materiale del
progetto.
09. Il corridoio nella zona notte;
sulla destra l’armadiatura
che nasconde il cuore
tecnologico dell’intera
abitazione.
10. Nella zona giorno la sezione
crescente amplifica la forza
dell’unico materiale che
disegna l’intera geometria.
11
11
08
09
32
13
11. Il “ponte” che conduce
nel sottotetto regala
singolari scorci sul
soggiorno sottostante.
12. La zona della cucina con
le ampie aperture sul
giardino a sud e ovest.
13. Particolare di un porta
interna scorrevole
realizzata con
pannellatura OSB.
10
ovest il compito di accentuare o sfumare le forme,
al trascorrere delle ore. Nel pavimento ritroviamo il
basamento in cemento dell’esterno senza soluzione
di continuità, lisciato al quarzo con finitura satinata a cera. Il resto è legno. Si tratta dell’abete europeo utilizzato per la struttura in X-LAM lasciato a
vista su pareti, soffitto, scale e pavimenti del piano
primo, protetto da una vernice con finitura opaca a
base d’acqua che non ne altera il colore.
La distribuzione è organizzata sull’articolazione
elementare del volume; l’ingresso a doppia altezza
accoglie living e pranzo in un unico ambiente, con
cucina a vista realizzata (dal proprietario) in legno;
una scala conduce ad un piccolo ponte sospeso sulla
doppia altezza, che tagliandone il lato corto, accresce la tensione spaziale e diventa curioso elemento
di accesso al livello superiore, dove non sono previste dotazioni tecnologiche di alcun tipo, affinché
le attività che qui si svolgono seguano pedissequamente i ritmi naturali della giornata, quale strategia per porsi in armonia con la natura, con la casa,
con sé stessi. Esempio di un’attenzione al fruitore
che rivela l’elaborazione colta ed intelligente di una
modernità capace di interpretare il valore pragmatico dell’utilità dell’architettura.
Parallelamente alla zona giorno si sviluppa la parte
notte composta da camere con arredi fissi, al di sopra dei quali sono posizionate le canalizzazioni del
sistema di raffrescamento e riscaldamento. In posizione baricentrica tra zona giorno e notte si trova
il cuore tecnologico della casa, un grande armadio
a tutta altezza che gestisce i sistemi di pompa di
calore aria-aria e di produzione di acqua calda per
uso domestico, dal quale diviene possibile il monitoraggio continuo delle produzioni e dei consumi
dell’abitazione.
Sono molteplici gli aspetti attraverso i quali questo progetto introduce nuovi argomenti nella comprensione dell’edilizia di piccola scala. La ricerca
della veridicità tipologica, funzionale e materica
torna (finalmente) a porre al centro del processo
compositivo la dimensione stessa dell’uomo, rivolgendo attenzione al tema dell’abitare quale fondamento del progetto. Ne deriva uno spazio abitativo
carico di emozioni, il cui apice si realizza a pieno
proprio nelle persone che tale spazio abitano, come
2019 #02
12
117
33
Architettura nuda
PROGETTO
committente
Privato
Progetto architettonico
e direzione lavori
Estudoquarto srl
arch. Márcio Tolotti
strutture
ing. Diego Consolaro
Imprese
Abete Project (carpenteria in legno)
Cronologia
Progetto: 2016
Realizzazione: marzo-agosto 2017
dati dimensionali
Superficie lorda di pavimento:
250 mq
Importo lavori:
€ 250.000 (1.000 €/mq)
Classe energetica: A4
14
lo svelarsi di un’intima relazione nota solamente a
chi entri in sintonia con la casa stessa. Si potrebbe
pensare che la ricerca volta all’ottenimento di uno
stato quasi simbiotico tra l’oggetto (la casa) e il suo
fruitore, conduca tendenzialmente alla perdita di
quel sovrano diritto di progettazione storicamente
riconosciuto all’architetto, ma è certamente da questo ribaltamento che nasce la possibilità di giungere
a nuove opportunità tipologiche e diverse relazioni
dell’abitare, capaci di indurre a quel senso di appartenenza verso lo spazio domestico che la globalizzazione ha troppo spesso trascurato.
Soltanto nell’atto del congedarci, conversando sulle dinamiche della costruzione e sulle sensazioni di
una casa per certi aspetti estrema, riemerge il pensiero su quelle zone del mondo che si scoprono essenziali rispetto al dibattito attuale e ad un sentire comune che antepone all’immagine artefatta il
nudo paesaggio, e allo sterile mostrarsi, l’esperienza
domestica del vivere; i proprietari ci confidano la
loro passione per il Cile e per gli habitat sudamericani, e immediatamente si ricompone il mosaico
delle sensazioni dell’arrivo.
•
34
14-15. Le vedute di scorcio rivelano
l’essenzialità dell’impianto
sviluppato in lunghezza che
mantiene quasi ermetici i fianchi
per svuotare completamente le due
testate opposte.
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2019 #02
117
35
PROGETTO
House on the river
Un intervento abitativo contemporaneo nel nucleo storico di Pescantina affacciato sull’Adige
interpreta i caratteri del luogo facendone rivivere la memoria
Progetto: arch. Claudia Brentegani
Testo: Angela Lion
Pescantina
01
36
2019 #02
Ci troviamo a Pescantina, poco distante dalla città, giusto ai piedi della più rinomata collina veronese – la
Valpolicella DOC – e affacciati sul
fiume Adige: un affaccio che non è
semplicemente una metafora visto lo
stretto rapporto con il fiume che questa casa intrattiene. È questo il contesto dell’intervento firmato da Claudia
Brentegani, non ancora quarantenne
quindi a pieno titolo “giovane architetto”.
Dal contesto il progetto ha ricavato
l’inevitabile appellativo di House on
the River, che sembra evocare il titolo
di un film dalla trama ricca di colpi di
scena. È infatti l’iter progettuale nel
02
nostro caso a caratterizzare la vicenda, dando all’intervento una certa su- forte convinzione verso un’innovativa
spense.
volontà progettuale della progettista
Ubicato nel centro storico, l’edifi- hanno consentito di abbattere
cio preesistente poi ricostruito – un quelle convenzioni stereotipate che
fabbricato residenziale lungo e stret- convergono verso luoghi comuni, a
to tra i tanti – era però vincolato da volte – spesso – poco soddisfacenti
un grado di pronei risultati.
tezione che non
La presenza di
« La memoria del luogo
ne
permetteva
un committente
nella sua temporalità
almeno inizialaddetto ai lavori
mente neppure la viene evocata dal progetto e il carattere
demolizione; olsingolare
del
pensando all’utilizzo
tre a questo vinluogo
hanno
originario della riva con condotto
colo urbanistico,
la
il ponte di ferro, i burchi, progettista
particolarmente
a
restrittiva era la
elaborare
tre
le barche e i mulini »
fascia di rispetto
distinte proposte
legata al vincolo
con tre caratteri
idrogeologico.
diversi: tradizionale, contemporaneo
Entrambi gli aspetti sono stati e innovativo. Tali opzioni hanno fatto
superati grazie al dialogo con sì che l’amministrazione non avesse
il Genio Civile unitamente alla alcun dubbio nell’abbandonare l’idea
concertazione costruttiva con lufficio di una tradizione non più al passo
tencico comunale, permettendo così con i tempi, quasi a rappresentare un
che la ‘tipologia storica’ richiesta in falso storico, dando così via libera
prima battuta ritrovasse le proprie alla contemporaneità nel rispetto dei
tracce all’interno delle nuove luoghi e della memoria.
sembianze
architettoniche.
La L’educazione
alla
comprensione
grande capacità comunicativa e la dell’architettura e alla sua cognizione
117
01. Il fronte prospiciente la riva dell’Adige
nel centro di Pescantina con il nuovo
intervento.
02. Schizzo di studio del prospetto
principale.
03. Immagine d’epoca dei mulini sul fiume.
04. Particolare del rivestimento in legno del
prospetto principale.
03
04
37
PROGETTO
House on the river
05. Dettaglio dei listelli in legno della
facciata in posizione di chiusura.
06. La scala interna a sbalzo nel muro in
calcestruzzo a vista.
07. Fronte laterale e sezione trasversale di
progetto.
08. Piante dei due livelli dell’abitazione.
claudia brentegani
Laureata a Venezia nel
2005, inizia la sua attività
professionale nel 2006 nello
studio BC+V architetti con
radici a Pescantina. L’ambito
di lavoro si estende dal settore
privato a quello pubblico, alle
varie scale: dalla progettazione
architettonica e urbanistica al
restauro e recupero edilizio.
Con il Centro infanzia
“Bambi&Bimbi” realizzato a
Pescantina nel 2012 ha ricevuto
una menzione al Premio
Architettiverona 2013.
05
07
38
06
08
09
ha raccolto il consenso verso l’apertura
e la sensibilizzazione. “Sono per il
disordine pieno di vitalità più che per
l’ovvia unità – sostiene Claudia – , più
per la ricchezza di contenuti piuttosto
che per la chiarezza di significato”.
Pur trovando grande severità da
parte di una Commissione Edilizia
preparata, in particolare sui materiali
e sui relativi aspetti tipologici,
l’innovazione ha colto nel segno
dando vita ad un progetto che lascia la
propria traccia nel territorio.
Con il declassamento che ha
consentito una ‘mirata ricomposizione
ambientale’ volta al concetto di ‘corte
storica’, il fabbricato esistente è stato
così demolito per dare spazio ad una
nuova composizione architettonica.
La pianta dalla forma trapezoidale si
sviluppa su due piani e mezzo: il mezzo piano è dato dal rialzo imposto dal
Genio Civile per mettere in sicurezza
2019 #02
l’edificio rispetto alla quota di massima piena dell’Adige. Progettualmente, lo scalino ha permesso di dare un
valore aggiunto al piano inferiore,
adibito a servizi e camere da letto,
mentre il piano superiore è destinato
all’ampia zona giorno con la cucina.
La volumetria immodificata è ridistribuita conferendo visivamente un
più largo agio, non solo sul fronte
principale ma anche nella parte retrostante della corte a verde; il nuovo
fabbricato, staccandosi dall’edificio
retrostante, si pone come elemento di
nuovo respiro.
Lo skyline del fronte principale, serrato e continuo, non suggeriva certo
un recupero formale di carattere storico-testimoniale. L’insieme, di per
sé discontinuo, era privo di una memoria, che viene dal progetto evocata
grazie al processo cognitivo del luogo
nella sua temporalità, e ritrovata pen-
117
sando all’utilizzo originario della riva
con il ponte di ferro, i burchi, le barche e i mulini: tutti elementi che hanno determinato i codici costruttivi del
nuovo manufatto. Da qui gli elementi
lignei, declinati in verticale e in doghe orizzontali, attraverso una stratificazione del passato sopra il presente:
questo il sodalizio rappresentato nella sua sintesi attraverso la simbologia
della ruota.
La struttura è semplice – less is more
è il motto che Claudia fa proprio –,
dagli elementi in cemento armato a
vista a quelli in legno della facciata.
Oltre a caratterizzarne l’immagine
architettonica come elemento legato
alla memoria del luogo, i listelli della
facciata storica sono un elemento di
benessere climatico per l’abitazione,
in quanto funzionali alla schermatura
e al filtro della luce solare al variare
del giorno. La movimentazione della
www.claudiabrenteganiarchitetto.com
09. Corten e legno per il
fronte sul fiume in una
veduta di dettaglio.
10. Il rialzo di mezzo piano
dalla quota del suolo
mette in sicurezza
l’edificio in caso di piena.
10
39
PROGETTO
House on the river
11-12. Due vedute interne con la cucina e lo
sbarco della scala dal piano inferiore.
13. L’ingresso con il collegamento al piano
rialzato.
14. lI lungo corridoio che conduce alle
camere nel livello inferiore.
15-16. La grande vetrata affacciata sul fiume
nella zona giorno con il rivestimento
ligneo in posizione semi chiusa e aperta.
Committente
Eddi Leardini
Progetto architettonico
arch. Claudia Brentegani
direzione lavori
arch. Federico Bertoldi
BC + V architetti
collaboratori
arch. Lucia Cordioli
consulenti
ing. Carlo Magalini
(strutture e sicurezza)
impresa
Flli Leardini srl
Cronologia
Progetto: 2017
Realizzazione: 2017-2019
11
12
13
facciata, apribile meccanicamente
verso l’esterno, consente la vista
del fiume senza filtri e al contempo
l’affaccio per la manutenzione
delle grandi vetrate. Nelle facciate
secondarie, l’edificio è rivestito da
un intonaco a base di calce secondo
le declinazioni di colore dell’essenza
principale del rivestimento in legno
sul fronte principale, risvoltandosi in
parte nella fascia interna della corte.
Il tetto in lamiera brunita integra al
meglio la tecnologia moderna inserita
attraverso i pannelli fotovoltaici.
Questa semplicità concettuale espressa nelle forme e nei contenuti si è concretizzata in una costruzione articola-
40
14
ta e innovativa. Un segno deciso che
delicatamente s’impone nel contesto
della riva del fiume senza invaderlo;
un accorato messaggio in cui l’innovazione è la storia dei nostri tempi e
come tale punto di forza.
•
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2019 #02
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41
PROGETTO
Canale moderno
Un complesso edilizio ricostruito con un rilevante amplimento volumetrico rappresenta l’occasione
di declinare alcuni temi dell’architettura residenziale entro un linguaggio contemporaneo
Progetto: Studio Concreto
Testo: Nicola Tommasini
Verona
01
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2019 #02
Archiviata la lunga stagione del Piano Casa con il recentissimo passaggio
passaggio al nuovo scenario Veneto
2050, presentiamo in queste pagine
un intervento edilizio recentemente ultimato, risultato di una riuscita quanto difficile mediazione tra le
tanto discusse potenzialità edificatorie della terza generazione della legge
(con le conseguenti istanze di profitto
e sostenibilità economica dell’intervento) e un’attenzione ai temi del rapporto con la città e della qualità architettonica degli interventi edilizi.
L’intervento rappresenta, per i temi
anticipati, una sorta di caso tipico con
numerosissimi esempi nella nostra
02
provincia: la possibilità di ricostruire un complesso edilizio ampliando- piani; a tratti eterogeneo nel disegno
ne, in maniera rilevante, la volumetria urbano e senza una distintiva qualità
diventa anche l’opportunità di ripen- architettonica, a parte qualche sporasarne il rapporto con la città e di de- dica eccezione. Entro un contesto così
clinare alcuni temi dell’architettura usuale e senza una particolare connoresidenziale entro un linguaggio con- tazione o identità urbana specifica, il
temporaneo. La ricerca che lo studio progetto individua due fondamentali
di Carlo Alberto
temi: da un lato
Cegan ha persela proposta di
« Coerenza e qualità
guito con questo
un inserimento
progetto è quella del progetto architettonico urbano in contidi un equilibrio
nuità volumetrisono necessariamente
sul sottile crinaca con l’intorno
centrali e fondamentali
le di separazione
(rispettandone e
per la difesa della
tra le potenzialiconfermandone
qualità urbana
tà edificatorie, le
assi, allineamenspinte speculatiti ed altezze);
delle nostra città »
ve e i budget di
dall’altro esploprogetto e la cora, attraverso un
erenza e la qualità del linguaggio ar- linguaggio contemporaneo, il tema
chitettonico.
del passaggio tra lo spazio pubblico e
L’edificio fa parte di un tessuto edi- le residenze private, arricchendone il
lizio sorto ad ovest del tratto urbano confine.
del canale Camuzzoni, nei pressi del Dal punto di vista volumetrico il proquartiere dello stadio Bentegodi. È getto rifiuta l’idea del blocco unitario
un tessuto consolidato, risalente per per suddividere la potenzialità edila maggior parte a qualche decennio ficatoria da realizzare in più corpi.
fa, composto in prevalenza da palaz- L’edificio è composto da un corpo a
zine e condomini di quattro-cinque nord, più sottile, che si attesta su con-
117
01. Particolare delle schermature
alternate sui balconi del fronte
principale.
02-03. L’edificio in rapporto al
contesto dal ponte sul canale
Camuzzoni e in una veduta in
avvicinamento.
03
43
PROGETTO
Canale moderno
studio concreto
04
Diretto da Carlo Alberto Cegan,
Studio Concreto nasce
dall’opportunità di approfondire
il tema dell’abitare
contemporaneo legato
alle imprese di costruzioni
cooperative. Lo studio
si occupa di un ambito
disciplinare molto specifico,
cioè lo sviluppo tipologico
dell’edificio residenziale urbano,
caratterizzato da economicità
e sostenibilità, promosso
da imprese di costruzioni
cooperative. Studio Concreto
segue l’intero processo dalla
nascita, alla progettazione
architettonica, alla costruzione
dell’organismo edilizio,
lavorando fianco a fianco con il
promotore economico.
06
www.studioconcreto.it
07
05
04-05. Pianta di un piano tipo e del piano
terreno.
06-07. Sezione trasversale e fronte
principale sul canale.
08. La pensilina segna l’attacco a terra
dell’edificio separando l’ambito pubblico
della strada da quello privato degli
alloggi.
09. Particolare dei balconi d’angolo.
44
fine del lotto e da altri volumi più piccoli e ortogonali al primo che contengono altri spazi privati e il corpo scale
e disegnano il lato sud e l’ingresso
principale.
La scelta compositiva fondamentale,
dopo queste prime “azioni” insediative, è chiara: aggiungere alle masse
nette e squadrate dei volumi chiusi
tutta una serie di elementi puntuali, discreti e tecnici che individuano
logge e pensiline e che legano tra loro
le masse. In più, l’espressività di questa scelta è estremizzata grazie al forte contrasto tra la colorazione bianca
delle masse e il grafismo nero di tutti
gli altri elementi. L’immagine finale, soprattutto se si guarda la facciata
verso il canale, è quella di un’architettura ricca di spunti, volumi e ombre,
da cui emerge come elemento principale la lunga linea nera della pensilina
al piano terra e che diventa, salendo e
ripiegandosi su se stessa in copertura,
parte di costruzione delle logge. Sono
questi elementi – le addizioni – a rendere interessante il progetto, anche e
soprattutto perché consentono di modellare il rapporto tra spazio esterno
ed interno e quindi il passaggio dalla
dimensione pubblica a quella privata e
domestica degli alloggi.
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PROGETTO
Canale moderno
10. L’ingresso pedonale agli
alloggi.
11-12. Il nuovo edificio si
relaziona con il canale
Camuzzoni attraverso il suo
fronte principale.
Committente
Corte Ca’ Romana Cooperativa
Progetto architettonico
e direzione lavori
Studio Concreto
arch. Carlo Alberto Cegan
collaboratori
arch. Zeno Rossi
consulenti
ing. Davide Caiani (strutture)
ing. Alessandro Bacciconi (impianti)
ing. Stefano Chilese (sicurezza)
impresa esecutrice
Fedrigoli Cstruzioni (impresa
generale)
Prodomi (rivestimenti metallici e
oscuramenti di facciata)
10
La pensilina ne è forse l’esempio migliore: ha lo scopo di segnare con una
forte ombra il piano terra, chiarendo l’attacco al suolo dell’edificio, ma
allo stesso tempo consente di introdurre un certo dinamismo e novità
anche nello spazio urbano esterno,
identificando lo spazio semipubblico dell’ingresso principale – dove sostare o incontrarsi prima di accedere
all’interno – e allontanarlo dagli spazi
privati del piano primo. Interessante
è qui anche la scelta di chiudere completamente questa parte di piano terra verso la via pubblica (internamente
qui trovano posto le cantine) con un
muro e garantire la necessaria apertura agli alloggi al piano terra sul giardino sul retro.
Gli altri elementi dei piani superiori (parapetti in lamiera forata metallica o brise-soleil in legno-plastica),
poi, sebbene disegnati e realizzati con
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Cronologia
Progetto: 2015-2016
Realizzazione: 2016-2019
materiali non pregiati, mostrano una
certa qualità compositiva ed architettonica, data dalla loro capacità di
catturare e filtrare la luce e proteggere dalla vista le logge (è questa, forse,
una possibile evoluzione della veranda degli anni Sessanta?).
La qualità complessiva raggiunta da
questo intervento, equilibrando budget ed istanze speculative, piani casa e
volumetrie, disegno urbano ed architettonico, non è scontata e dimostra,
ancora una volta, quanto coerenza e
qualità del progetto architettonico
sono, necessariamente, centrali e fondamentali per la difesa della qualità
urbana delle nostra città.
•
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STORIA & PROGETTO
“M” come
madre terra
Il ricordo delle radici veronesi di Alessandro Mendini (1931-2019)
attraverso lo spazio vendita della cantina Menegotti per la quale fornì
la sua consulenza artistica
Villafranca
di Verona
Testo e Foto: Daniela Tacconi
Una cantina lungo la strada tra Villafranca
di Verona e Valeggio sul Mincio ci offre
l’occasione di ricordare uno dei più grandi
protagonisti del design italiano e di
ripercorrere ricordi, vicende e rapporti umani
che lo legano al territorio veronese.
Alessandro Mendini, fondatore assieme al
fratello Francesco del noto Atelier milanese,
frequentò per anni la nostra città e in
particolare Villafranca, da cui proveniva la
famiglia paterna: qui il padre Vincenzo era
conosciuto per la sua attività di avvocato,
il nonno invece possedeva una farmacia
all’angolo tra corso Vittorio Emanuele e via
della Pace. Suo padre sposò la figlia di un
imprenditore edile milanese e si trasferì a
Milano, dove Alessandro trascorse gli anni
delle scuole elementari in un ambiente
familiare borghese, rassicurante e ricco di
stimoli culturali e artistici. Il suo legame con il
territorio veronese rimase però saldo, tanto da
risultare residente nel Comune di Villafranca
dal 1931, anno della nascita, fino al 1962, e
da iscriversi subito dopo la laurea presso
l’Ordine degli Architetti di Verona, dove rimase
registrato fino al 1965.
La serenità dell’infanzia venne interrotta
bruscamente con lo scoppio della guerra, dalla
quale era necessario fuggire verso posti più
sicuri: Alessandro con la famiglia lasciò Milano
e cercò riparo presso la casa di campagna
degli zii a Bedizzole1 sul lago di Garda. Iniziò
così per lui un periodo cupo in cui entrò in
contatto con una realtà diversa da quella fino
ad allora a lui nota, fatta di bombardamenti,
fame, storie di partigiani, morte.
Frequentò a Verona il liceo scientifico
Messedaglia nella stessa classe della sorella
gemella Mia: erano anni solitari 2 trascorsi
in una città che portava ancora vive le ferite
del recente conflitto, un periodo che resterà
impresso nella sua memoria per il freddo, la
paura e la luce fioca degli ambienti 3.
Proprio la conoscenza dei dolori della guerra
diede origine probabilmente al suo personale
moto di ribellione artistica: la volontà di
contrastare la violenza del mondo divenne lo
01. La cantina Menegotti: i
pilastri inclinati in legno
lamellare raccordano la
copertura sporgente al
terreno.
02-03. La cantina in una
veduta notturna e
attaverso i filari dei
vigneti.
02
03
stimolo per ricercare sempre nel suo lavoro un
ideale di bellezza redentrice. Fu così che diede
vita a paesaggi costituiti da figure poetiche
che parlano all’interiorità piuttosto che alla
ragione; la sua era una ricerca continua,
costantemente tesa a raggiungere un’utopia in
realtà irraggiungibile.
Dopo il ritorno a Milano per frequentare
l’università, Alessandro mantenne sempre
vivi i rapporti con la terra d’origine; trascorse
diverso tempo nella casa di Villafranca e
nell’abitazione dei genitori a Verona sul colle
San Leonardo, una residenza di campagna
del Seicento situata nelle vicinanze del Forte
San Mattia. Anche dopo la morte del padre
Vincenzo, avvenuta nel 1981, i figli con le
rispettive famiglie vi tornarono spesso durante
i periodi estivi.
Alessandro ricorderà in seguito la casa del
padre per il suo arredo “severo, ostile, realista
e scostante come un museo” 4, i cui mobili
antichi nel gusto della vecchia borghesia
01
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STORIA & PROGETTO
04. Una delle prime proposte
dell’Atelier Mendini con una
pensilina retta da pilastrini metallici
e un portale totemico sormontato
da un cono dorato; in alto il logo a
forma di grappolo d’uva colorato.
05. ll portale proposto dall’Atelier
Mendini come accesso alla
proprietà, una M dalle aste
inclinate come i pilastri della
cantina.
06. Variante proposta dall’Atelier
Mendini con ampie vetrate filtrate
da frangisole.
07. Studi progettuali dell’Atelier
Mendini per la decorazione del
bancone bar in laminato.
04
05
08
06
veneta non si potevano toccare né
tantomeno accostare al moderno.
Ispirandosi all’arredo in stile
classico della casa del padre
realizzerà negli anni ‘80 la Poltrona
San Leonardo5.
Erano frequenti anche le sue visite
a Villafranca, dove c’erano parenti
e amici da trovare, la tomba di
famiglia da visitare, le proprietà
di cui occuparsi. Qui il padre di
Alessandro possedeva diversi
terreni, tra cui alcuni di quelli su
cui sorgono ora i vigneti della
cantina Menegotti.
Il nonno degli attuali titolari dell’azienda
agricola lavorava come fattore per i Mendini,
occupandosi fin dagli anni ’50 della coltivazione
delle vigne e delle prime vinificazioni; nel 1972
i Menegotti acquistarono dai Mendini alcuni
terreni e iniziarono ad imbottigliare i primi vini
col proprio nome, principalmente Bardolino
e Custoza. Da allora l’azienda è cresciuta
aumentando e diversificando i vini prodotti; alla
produzione di vino fermo si è aggiunta quella
di spumante prodotto con metodo classico,
che col tempo ha assunto un ruolo sempre più
importante all’interno dell’azienda.
Una decina di anni fa è sorta la necessità di
ampliare la cantina per creare un nuovo spazio
da dedicare all’affinamento degli spumanti e
un punto vendita adatto alle nuove esigenze
commerciali e di immagine dell’azienda.
Gli attuali proprietari hanno pensato bene
di rivolgersi per la consulenza artistica del
progetto ad Alessandro e Francesco Mendini,
con i quali la loro famiglia aveva mantenuto nel
tempo buoni rapporti.
Nelle prime proposte uscite dall’Atelier
milanese il nuovo showroom, affiancato ai
fabbricati preesistenti, è un volume circondato
09
08. Le volte azzurre della sala di affinamento
degli spumanti.
09. Iscrizione di Alessandro Mendini
all’Ordine degli Architetti di Verona con il
n. 54 (1960-1965)
10-11. Schizzi di Alessandro Mendini: la casa
di Verona e abaco dei mobili dalla casa di
Verona (in A. Mendini, Scritti di domenica,
a cura di L. Parmisani, Postmedia Books
2016).
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da un’alta pensilina retta da pilastrini metallici.
I muri, intonacati o con paramento in mattoni
faccia a vista, si interrompono in facciata con
l’apertura di ampie vetrate. L’ingresso in una
delle prime soluzioni è contrassegnato da
un portale totemico sormontato da un cono
dorato, luccicante archetipo di ispirazione
postmodernista. Il progetto abbraccia le
diverse scale, dall’edificio agli arredi interni.
Viene studiato anche il logo aziendale, un
grappolo di uva stilizzato formato da acini
di colori diversi; immaginato riprodotto
sulle pareti, sui mobili, in facciata, rivela la
predilezione di Mendini per l’accostamento
puntillista di macchie colorate.
Alle prime ipotesi è seguito un nuovo studio
progettuale nato per assecondare le esigenze
dei proprietari, che reclamavano per la loro
azienda maggiore trasparenza. Mendini
voleva evitare di sovrapporre un tetto a falde,
elemento imposto da un vincolo paesaggistico,
a un volume trasparente, più adatto secondo
lui ad una concessionaria di auto che a una
cantina. Ne uscì la soluzione finale, quella
realizzata, in cui le vetrate strutturali risultano
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STORIA & PROGETTO
1 Intervista al «Corriere
della Sera», 4 marzo 2018.
2 A Mendini, Scritti di
domenica, a cura di
Loredana Parmisani,
Postmedia Books, 2016.
3 A Mendini, Il mio arredo,
in «Domus» 624, 1982.
4 Ibid.
5 Poltrona San Leonardo,
Matteo Grassi (produzione
1980-1989).
6 Intervista al «Corriere
della Sera», 4 marzo 2018.
12. La zona uffici della cantina Menegotti
al primo piano sopra lo showroom.
13, 15. Gli spazi dello showroom dominati
dal taglio diagonale del soppalco.
14. La scala interna che conduce alla zona
uffici.
16. La struttura in legno lamellare in corso
di costruzione (foto di cantiere).
17. Pianta del piano terra dello showroom
nella soluzione finale proposta
dall’Atelier Mendini.
12
14
arretrate al di sotto di una gronda molto
sporgente, che serve anche per schermare i
raggi solari nei mesi più caldi.
La struttura in legno lamellare del tetto,
proseguendo all’esterno nella gronda e nei
pilastri inclinati, fuoriesce dall’involucro
vetrato come un granchio dal suo carapace.
Lo showroom è uno spazio polifunzionale
a doppia altezza dedicato all’esposizione,
alla vendita dei vini e all’organizzazione di
degustazioni ed eventi; l’interno è dominato dal
taglio diagonale del solaio del soppalco, dal
quale gli uffici attraverso un parapetto vetrato
affacciano verso il vuoto sottostante. Il legno
oltre al vetro è il materiale prevalente, elemento
essenziale per una cantina che utilizza le botti
per l’affinamento dei vini; lo ritroviamo nella
struttura a vista della copertura, nei pilastri
esterni, nella scala che conduce al primo piano,
nella zona del bancone bar, negli espositori
dei vini studiati dallo stesso Atelier Mendini. Il
colore azzurro appare già nelle prime proposte
progettuali: se nello showroom occupa solo
15
alcune pareti, al piano interrato prende il
sopravvento coprendo completamente le volte
della sala dedicata agli spumanti. Negli studi
di Mendini il portale di ingresso alla proprietà
ha una forma che richiama una M dalle aste
inclinate come i pilastri della cantina.
La nuova cantina viene inaugurata nel 2011;
la sua struttura cattura l’attenzione di chi
percorre la strada tra Villafranca e Valeggio
grazie al forte carattere identitario che la
contraddistingue, così abbarbicata con i
pilastri al suolo come le radici delle vigne che
la circondano.
In quel territorio, dove affondano anche le
radici della sua famiglia, Alessandro Mendini
è da poco tornato definitivamente: al termine
di una vita vissuta da “stronzo designer
milanese”6, come una volta con la sua
disarmante autoironia si era definito, dopo aver
visto tante delle sue creazioni prendere il volo e
diffondersi in tutto il mondo, lo scorso febbraio
è stato sepolto vicino ai genitori nel cimitero di
Villafranca.
•
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SAGGIO
La Fiera di «muro» nel
Campo Marzio di Verona
Le vicende storiche relative alla più antica struttura fieristica della città le cui tracce sono riemerse
a seguito dei lavori di riconversione del comparto della ex caserma Passalacqua
Testo: Stefano Lodi
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L’esistenza dell’attività fieristica veronese è testimoniata a partire dal IX
secolo e prosegue ininterrottamente
nel tempo pur se localizzata in sedi
diverse. Quella che precede la collocazione all’interno del Campo Marzio1 risale al 1632 quando, per rilanciare la sofferente economia cittadina
dopo la pestilenza del 1630, il podestà
Andrea Cornaro ottenne di istituire
una fiera da tenere due volte all’anno
situandola in piazza Bra 2 . Le strutture erano costruite interamente da ‘casotti’ di legno e sono state più volte
distrutte dagli incendi: il rogo avvenuto nella notte del 28 ottobre 1712
sta alla base della decisione presa dalle autorità pubbliche di costruire una
fiera interamente in muratura, la prima del genere innalzata in Italia e forse in Europa.
Il grave danno generato dall’incendio
costrinse il Comune di Verona a cercare una soluzione che si concretizzò nel 1718 con l’elezione alla carica
di Provveditore di Comun di Scipione
Maffei3 il quale prese il controllo della situazione indirizzando le scelte del
consiglio e presentando egli stesso le
soluzioni architettoniche da adottare
sollecitato dalle pressioni dei mercanti che si proposero di erigere le strutture in muratura a proprie spese4.
La decisione venne presa in Consiglio il 17 febbraio 1718 mentre l’approvazione del Senato veneziano arrivò il mese seguente5. I lavori ebbero
inizio più tardi, in prossimità del 20
febbraio 1720 quando in consiglio si
deliberò di tenere conto de «le forme
che crederanno più proprie li mercanti» 6 , ma ulteriori intoppi portarono
solo nel 1722 all’apertura del cantiere.
Il primo problema fu dato dalla scelta del luogo: inizialmente la volontà
di non allontanarsi troppo da piazza
Bra aveva portato a considerare l’at-
117
Questo testo anticipa in sintesi parte di un
contributo di più ampio respiro sulla Fiera
di Campo Marzio e sull’area circostante
di prossima pubblicazione da parte dello
stesso autore.
02
Cittadella7.
La seconda
tuale piazza
ipotesi riguardò la vasta area di proprietà del monastero di Santa Maria
degli Angeli8 , l’attuale area tra corso
Porta Nuova e via Cesare Battisti. La
scelta definitiva individuò l’area più
adatta all’interno del Campo Marzio
Piccolo situato nella zona della città a
sinistra dell’Adige. Si trattava di un
ampio spazio urbano intramurale del
tutto sgombro da presenze edilizie e
completamente privo di vincoli proprietari se non quelli pubblici9. La
sua vasta area da secoli era un luogo
deputato alle esercitazioni militari, al
pascolo, forse in un primo momento all’orticoltura e dotata di proprie
recinzioni in muratura nelle quali si
aprivano alcuni passaggi; l’area era rimasta in parte acquitrinosa per il passaggio del Fiumicello.
01. Veduta attuale dell’area dove
sorgeva una parte della Fiera di
Campo Marzio (foto di Lorenzo
Linthout).
02. Planimetria della Fiera di Campo
Marzio ricavata da un’incisione
settecentesca edita da P. Berni e
inserita nel contesto urbanistico
attuale. Elaborazione di Simone
Melato.
1 A. Sandrini, Il Settecento: tendenze
rigoriste e anticipi ‘neoclassici’, in
L’architettura a Verona nell’età della
Serenissima (secc. XV-XVII), a cura di P.
Brugnoli, A. Sandrini, Verona 1988, I, pp.
294-299; N. Zanolli Gemi, Scipione Maffei
e la Fiera di Campo Marzo a Verona:
una discussa attribuzione, in Scipione
Maffei nell’Europa del Settecento, atti
del convegno (Verona 23-25 settembre
1996) a cura di G.P. Romagnani, Verona
1998, pp. 579-595; S. Zaggia, «Le città
delle cose»: architetture fieristiche nella
repubblica veneta del Settecento: Verona,
Bergamo, Padova, in La pratica dello
scambio. Sistemi di fiere, mercanti e città
in Europa (1400-1700), a cura di P. Lanaro,
Venezia 2003, pp. 257-261.
2 L. Moscardo, Historia di Verona, Verona
1668, p. 84; P. Zagata, Cronica della
città di Verona […] ampliata e supplita da
Giambattista Biancolini […] volume primo
della seconda parte, Verona 1749, pp.
280-281.
3 Sandrini, Il Settecento, p.295.
4 Archivio di Stato di Verona (ASVr), Antico
Archivio del Comune, reg. 123, cc. 5v-6r.
5 ASVr, Antico Archivio del Comune,
reg. 123, c. 77v-78r; Archivio di Stato di
Venezia, Senato Terra, filza 17 marzo 1718:
Sandrini, Il Settecento, p. 342.
6 ASVr, Antico Archivio del Comune, reg.
123, c. 62v.
7 S. Maffei, Verona Illustrata, parte terza,
Verona 1732, coll. 92-93.
8 Maffei, Verona Illustrata, col. 93.
9 G.M. Varanini, L’area di palazzo Giuliari
e del Campo Marzio nel medioevo (secoli
XII-XV), in Palazzo Giuliari a Verona. Da
residenza patrizia a sede universitaria,
a cura di L. Olivato, G.M. Varanini,
Sommacampagna 2009, pp. 13-34.
55
SAGGIO
Le vicende edilizie
attraverso i documenti:
una sintesi
10 ASVr, Antico Archivio del Comune,
processi, b. 29 n. 1335.
11 ASVr, Antico Archivio del Comune,
processi, b. 80 n. 1903.
12 La presenza di Peracca era stata
segnalata in BCVr, ms. 1426 [Memorie di
Belle Arti], c. 29r. Sulle sculture si veda
ora E.M. Guzzo, Schede sul patrimonio
artistico. Arredi medioevali e opere
erratiche, antiche e settecentesche, in
«Annuario storico zenoniano», XXIV/2017,
p. 241.
13 Maffei, Verona Illustrata, col. 96.
14 ASVr, Antico Archivio del Comune,
processi, b. 80 n. 1903, c. 4r.
15 S. Maffei, Rime e prose, Venezia 1718,
p. 376.
56
VeDI
VeDI
VeDI
16.
Due registri contabili permettono
di seguire le fasi di avanzamento del
cantiere e di individuare i nomi delle
figure professionali messe all’opera,
in particolare quello di Lodovico Perini. Il primo registro contiene annotazione che vanno dal novembre 1722
al maggio 172310. I pagamenti vengono effettuati alle maestranze (muratori, falegnami, lapicidi e facchini)
per la consegna del materiale e la posa
in opera sempre attuata sulla base
delle indicazioni e della supervisione
di Perini ‘ingegnere e architetto’.
Costante è il trasporto di terra per livellare il terreno intorno al perimetro
della Fiera e negli spazi interni e in
particolare modo nel settore che si
avvicina alle mura urbane e a quelle
del confinante convento di San Francesco di Paola. Le annotazioni dimostrano che furono poi messe all’opera
più squadre di muratori che attendevano all’innalzamento della struttura. Sono presenti inoltre varie indicazioni in merito alla copertura del
Fiumicello, in particolare con la realizzazione di un ponte in corrispondenza dell’ingresso principale.
Il secondo registro contiene dati da
maggio a dicembre del 172311. Nel
mese di giugno vennero collocate le
porte lignee agli ingressi laterali; nel
contempo Perini effettuò un sopralluogo mentre si terminò la costruzione del Tribunale dei Mercanti. In
quel mese si incontra il primo acconto di pagamento allo scultore Daniele
Peracca per la realizzazione delle statue raffiguranti San Zeno e San Pietro Martire da collocarsi sui pilieri
dell’ingresso principale (ora sistemate sul muro che fronteggia la chiesa
03
di San Zeno in Oratorio12): una delle due sarebbe stata saldata il 19 agosto. Il 26 venne pagato l’altro scultore
chiamato nel cantiere ovvero Giuseppe Antonio Schiavi autore delle scale che danno accesso al Tribunale dei
Mercanti realizzato su progetto di Perini e plausibilmente anche di altri
elementi della facciata sia architettonici che figurativi: i documenti tacciono al proposito mentre Maffei assegna
a Schiavi il rilievo della Madonna con
Bambino in facciata13. La parte scultorea di Peracca viene saldata in ottobre e comprende anche i basamenti
per le statue (indorate da Stefano Carteri) mentre Schiavi viene saldato per
il portale della vicina dogana14; i lavori si concludono nel dicembre del 1723
con la costante supervisione di Perini.
Nelle Rime e prose pubblicate a Venezia nel 1718 Maffei aveva presentato
per la prima volta la pianta della nuo-
va Fiera veronese in muratura: «in tal
genere la più bella in Europa»15 se
fosse stata messa in opera secondo le
idee espresse dal marchese. La realtà
dei fatti ottenuta durante le fasi di costruzione del complesso, diversa dalle
aspettative, avrebbe sollevato critiche
espresse da Maffei nella Verona Illustrata (1732). è probabile che l’esigenza di sottrarre una quantità più modesta di spazio al Campo Marzio avesse
portato a situare il complesso più vicino al convento di San Francesco di
Paola, con la conseguente decisione
di deviare il corso del Fiumicello per
portarlo al centro della Fiera. «... non
in un angolo e a ridosso della muraglia
pubblica, ma bisognava piantar la fabrica più in qua e lungo il Fiumicello,
che non piccolo ornamento aggiungeva, e delizia; e facendo tre ponti o passaggi, dovea quel di mezzo imboccar
una nobile porta [...] si sarebbe rispar-
2019 #02
03. P. Berni (editore),
Dissegno della fabbrica
fatta ad uso delle fiere
di Verona nell’anno
MDCCXXII.
04. G. Filosi, Pianta della
città di Verona (1937),
particolare.
miata la grossissima spesa, ch’è andata
nel coprire con lastre il rivo, e nel ragguagliare il terreno, che da una parte era molto più basso, essendosi poi
dovuto profondare per la metà della
fabbrica tanto più i fondamenti»16.
Maffei ci conferma dunque che il Fiumicello avrebbe dovuto stare accanto
ed esternamente al recinto della Fiera
la quale si sarebbe sviluppata a est del
suo corso mentre l’ingresso principale
avrebbe dovuto trovarsi sul lato occidentale (e non su quello settentrionale come poi è avvenuto) raggiungibile
attraverso un ponte sul Fiumicello.
04
i caratteri architettonici
La struttura ospitava 124 botteghe17
ed era sostanzialmente formata da un
recinto quadrato di circa 110 metri di
lato contenente sedici edifici chiamati a formare quattro gruppi di quattro
stabili dotati di altrettante piazze interne con pozzi nel mezzo. Il recinto
che conteneva il complesso era internamente costituito da una sequenza
di botteghe; su tre lati si aprivano gli
ingressi principali e in corrispondenza del centro del quarto lato era posto
il Tribunale dei Mercanti. Gli edifici
che si sviluppavano attorno alle quattro corti si aprivano verso l’interno
tramite portici; l’accesso alle corti era
ricavato agli angoli dei singoli corpi
edilizi ottenuti tagliando diagonalmente la superficie interessata. In tal
mondo rispetto agli ingressi principali tutto il complesso era interessato da
percorsi collocati in senso ortogonale
e diagonale che si incontravano nella piazza centrale di forma vagamente circolare. Il Fiumicello percorreva
l’asse principale del complesso e in
origine doveva essere scoperto, attra-
117
versato da tre ponti situati all’ingresso, sulla piazza centrale e davanti al
Tribunale dei Mercanti. La sua totale
copertura deve essere stata attuata in
tempi brevi se Maffei se ne lamenta
nella Verona Illustrata.
L’aspetto formale più significativo,
oltre a quello dei pilieri, si ritrova nella facciata del Tribunale dei Mercanti
il cui prospetto era caratterizzato da
quattro semicolonne ioniche, reggenti una trabeazione aggettante sui sostegni, il cui architrave si inflette al
centro in corrispondenza della sottostante immagine della Madonna con
il Bambino. Nelle tre campate, oltre
alla porta, stavano due finestre rette
da mensole mentre la parte sommitale era costituita da un tronco di timpano che reggeva un breve campanile
e, tra i montanti, si trovava un orologio proveniente dalla facciata della
Domus Nova in piazza dei Signori18
parzialmente crollata alla metà del
secolo precedente. Due statue laterali in posizione acroteriale e quelli che
sembrano essere due stemmi sotto i
salienti completavano il complesso
scultoreo. Nell’insieme la facciatina
che dipende dal barocchetto del tempo è un progetto che si dovrebbe addebitare a Perini: infatti l’edificio del
Tribunale manca nell’illustrazione di
Maffei del 171819. I pilieri che affiancano l’ingresso principale presentano
bugne incatenate al muro e sostenevano le due statue di Daniele Peracca che raffiguravano i santi Zeno e
Pietro Martire, patroni della città di
Verona che in questo modo celebrava
la propria responsabilità nell’iniziativa 20.
In merito ai fronti delle botteghe, che
sempre si sviluppavano su due livelli,
si può dire soltanto che erano preceduti da un portico solo negli affacci
delle quattro corti minori. La planimetria del complesso fieristico è
emersa in parte durante i recenti scavi
nell’area poiché le strutture edilizie,
dopo il progressivo abbandono iniziato durante l’età napoleonica, sono
state rasate poco sopra il livello pavimentale nel coso del XIX secolo.
16 Maffei, Verona Illustrata, coll. 94-95.
17 Per il conteggio: Biblioteca Civica di
Verona (BCVr), sezione stampe, 1.e.12.
18 Zagata, Cronica, p. 281.
19 Maffei, Rime e prose, p. 376.
20 L. Simeoni, Verona. Guida storicoartistica, Verona 1909, p. 337.
57
SAGGIO
05. La Fiera di Campo Marzio, in S. Maffei,
Rime e prose, Venezia 1178, p. 377,
particolare.
06. S. Avesani, Disegno della Fiera di
Verona (prima metà del XVIII secolo).
05
06
la fase progettuale:
il ruolo di Maffei e di Perini,
la presenza di
Francesco Bibiena
21 Maffei, Verona Illustrata, col. 93.
22 Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio
di Bologna, b. 132, X, [M. Oretti, Notizie
de’ professori del Disegno cioè Pittori,
Scultori ad Architetti Bolognesi e de’
Forestieri], c. 30; Zanolli Gemi, Scipione
Maffei, p. 582.
23 BCVr, ms. 2033 [G. Scherli, Brevi notizie
delle cose più rimarcabili di Verona], c. 22.
24 N. Zanolli Gemi, Considerazioni
sulla genesi del Teatro Filarmonico, in
L’accademia Filarmonica di Verona e
il suo teatro, saggi di E. Paganuzzi e
altri, Verona 1982, pp. 39-60; P. Marini,
Francesco Galli Bibiena (1659-1739), in
L’architettura a Verona, II, pp. 253-256;
D. Lenzi, Francesco Galli Bibiena. Teatro
Filarmonico di Verona, 1715-1731 [e
catt. 83a-83b], in I Bibiena una famiglia
europea, catalogo della mostra (Bologna,
Pinacoteca Nazionale, 23 settembre 20007 gennaio 2001), a cura di D. Lenzi, J.
Bentini, Venezia 2000 pp. 328-330.
25 Zanolli Gemi, Considerazioni, p. 50.
26 ASVr, Antico Archivio del Comune,
registri, n. 130, c. 44v; Sandrini, Il
Settecento, p. 342.
27 Maffei, Rime e prose, p. 376.
28 Maffei, Verona Illustrata, coll. 93-94.
58
I progetti per la realizzazione dell’impianto vengono presentati da più personalità, almeno per quanto riguarda
l’area della Cittadella. Ne rende conto lo stesso Scipione Maffei: nel 1715
«richiesto un tale d’ideare per ciò un
disegno, avea formato un quadrilungo, che quattro piazze pur bislunghe
conteneva, […]. Altri disegni si videro ancora, distinguendosi tra essi
come assai bizzarro quello del Sig.
Francesco Bibbiena, che in tavola si
conserva»21. Purtroppo non si hanno prove documentali di una proposta per la Fiera di Verona da parte di
Francesco Bibiena, notoriamente impegnato nella realizzazione di teatri,
scenografie e progetti per decorazioni murali. L’affermazione dell’erudito veronese (sostenuta nel secondo
Settecento in ambito bolognese dallo
storico Marcello Oretti 22 e riportata
anche in una fonte coeva scaligera 23)
appare senza dubbio veritiera, soprat-
07-08. Daniele Peracca, San Zeno, San
Pietro Martire in origine sui pilieri
d’ingresso della Fiera di Campo Marzio
e ora presso la chiesa di San Zeno in
Oratorio (foto di Lorenzo Linthout).
La fase edilizia: il ruolo
di Perini e degli scultori
tutto perché è lo stesso Bibiena, come
è noto, ad essere incaricato a partire
dal 1713 (nel 1716 sarebbero iniziati i lavori) della costruzione del teatro dell’Accademia Filarmonica 24.
La spia che conferma ancora una
volta l’esistenza di un qualche intervento dell’architetto bolognese è data
dal fatto che Ludovico Perini, figura
chiave nei lavori della Fiera, sarebbe
stato chiamato dal 1718 a seguire il
cantiere del nuovo teatro25 trovandosi direttamente a contatto con il suo
autore e formando un tandem professionale che potrebbe essere stato
coinvolto, almeno in una fase iniziale,
anche per la Fiera di «muro».
Non c’è dubbio che il peso di Maffei
sia stato definitivo non solo per condurre a termine tutta l’operazione: il
suo ruolo nell’impresa viene dichiarato nell’‘elogio’ che il Comune gli
riserva in una seduta (lui vivente, ma
infermo e vicino alla morte) il giorno
13 gennaio 1775: «il nostro marchese Scipione Maffei […] ebbe singolar
cura di giovare al commercio con la
Fiera in Campo Marzo della quale
essendo egli provveditore di Comu-
ne ne persuase l’erezione al consiglio
e con bene adattato disegno ne indicò
la struttura»26.
L’impianto che Maffei aveva pubblicato nel 1718 nel volume Rime e prose sotto il capitolo Disegno di una fiera
di muro è sostanzialmente quello che
sarebbe poi stato realizzato27. Le differenze principali consistevano nel
numero maggiore di botteghe rappresentate dall’illustrazione e per il fatto
che anche nel lato meridionale (dove
poi si sarebbe trovato il Tribunale
dei Mercanti) era previsto un accesso uguale a quello che attraversava al
lato opposto. Anche nella terza parte della Verona Illustrata la struttura è
simile a quella che a tale data (1732)
era già stata costruita 28 e anche qui
non era prevista la presenza del Tribunale, inoltre ai quattro angoli non
si aprivano altrettanti accessi, ma stavano torri angolari che superavano
in altezza il muro confinante dotato
di merlature e attraversato da portali
dorici sormontati da timpani.
2019 #02
Lodovico Perini (1685-1731) è una
figura poliedrica di architetto, pubblico perito, notaio e storico da poco
messa in giusta luce29. Il silenzio di
Maffei (motivato da evidenti dissidi)
lo ha confinato in un ambito di studi marginali. Eppure la progressione
della sua attività, a partire dall’incarico di costruzione del seminario
maggiore dal 1708, lo qualificano
come il maggior professionista operante in città in quel tempo. Presso la
Biblioteca Civica di Verona un fascicolo raccoglie notizie di prima mano
di Perini30 tra le quali la trascrizione
di una lapide che si trovava nella Fiera e che faceva riferimento agli impegni del suo presidente e fabbriciere, il
marchese Girolamo Giona, e a quelli
dell’architetto (Perini appunto) conclusi nel 1725, l’anno della fine dei lavori accessori.
Una lettera ad un destinatario anonimo, già resa nota 31, illustra quanto
Perini, pur con la deferenza scontata
verso il marchese Maffei, non avesse avuto nessun indugio nel modificare quelle parti dell’impianto (come
l’apertura degli accessi agli angoli)
in ragione della superiorità della sua
specifica professione (quella di ingegnere e architetto) rispetto all’attività
del grande erudito.
La presenza di Giuseppe Antonio
Schiavi32 apre un ulteriore spiraglio
sulle pretese artistiche della nuova
impresa. Schiavi è un giovane scultore attivo fino a quel momento per la
parte figurativa di altari e per le statue (perdute e citate dalle fonti storiche settecentesche) del giardino di
villa Pompei ad Illasi 33. Questo edificio sarebbe stato ricostruito a partire dagli anni Trenta su progetto di
117
07
08
Alessandro Pompei che avrebbe poi
convocato lo stesso scultore per la realizzazione delle statue poste sulla
balaustra alla sommità della villa. Per
la storia dell’arte veronese si stabilisce
quindi una precoce circostanza che
collega Schiavi a Pompei, quest’ultimo attivo anni dopo sulla base delle
spinte e delle istanze di Maffei come
è ben noto per il Museo lapidario e la
Dogana di San Fermo. Lo stesso erudito veronese avrebbe poi affidato allo
scultore la realizzazione del busto-ritratto collocato nel pronao del teatro
Filarmonico.
Ben più difficile inquadrare la figura di Daniele Peracca, personaggio
sfuggente anche sul piano delle fonti e non solo su quello delle opere,
di numero limitatissimo34. Peracca
aveva realizzato già alcune sculture
per altari cittadini e si era mosso anche nel territorio trentino; più tardi
avrebbe ricostruito la chiesa cittadina
di Santa Maria del Paradiso mentre
solo recentemente gli è stata assegnata la responsabilità nell’innalzamento del nuovo tempio di San Lorenzo
a Pescantina 35. è utile osservare che
Peracca era stato anche l’autore di alcune delle sculture che rappresentavano santi e sante della religione domenicana nella manica del convento
di Santa Anastasia 36 realizzata assieme allo scalone da Francesco Bibiena 37. Dunque ecco un’ulteriore prova
dell’esistenza di un mondo professionale che coinvolge due artisti, o almeno dell’esistenza di un ambito di
committenza che li chiama entrambi in causa (come accade per la Fiera) analogamente alla doppia convocazione di Bibiena e Perini nel caso
del teatro e, ancora, in quello della
Fiera.
•
29 A. Sandrini, Lodovico Perini (16851731), in L’architettura a Verona, II, pp.
265-274.
30 BCVr, Carteggio Perini, b. 28, VII/2.
31 Zanolli Gemi, Scipione Maffei, pp.
586-588.
32 L. Rognini, Gli Schiavi (secc. XVI-XVIII),
in L’architettura a Verona, II, pp. 276-279.
33 A. Tomezzoli, Giuseppe Antonio
Schiavi. (Verona 1689-1768), in Scultura in
Trentino. Il Seicento e il Settecento, a cura
di A. Bacchi, L. Giacomelli, Trento 2003, II,
pp. 326-331.
34 D. Zannandreis, Le vite dei pittori,
scultori e architetti veronesi, a cura di G.
Biadego, ed. Verona 1891, pp. 408-409.
35 P. Rigoli, Un nuovo documento
sulla costruzione della parrocchiale
di Pescantina e una nuova ipotesi sul
progettista, in «Annuario Storico della
Valpolicella», pp. 255-260.
36 Zannandreis, Le vite, p. 408.
37 Marini, Francesco Galli Bibiena, p. 256.
59
I
Riflessioni sul complesso monumentale veronese: scenari possibili tra passato e futuro
a cinque anni dalla sua consegna al Fondo per l’Ambiente Italiano
Testo: Chiara Boccinger, Francesca Giudetti *
01
60
2019 #02
117
ODEON
ODEON
Che fai, Lazzaretto?
n una città ormai pienamente
consolidata da un punto di
vista urbano come Verona,
il Lazzaretto è un luogo vero,
nonostante sia stato a lungo offuscato
e passato nel dimenticatoio. Ma
se noi umani tendiamo spesso a
dimenticare, i luoghi no. Come
scrive il regista e fotografo Wim
Wenders, «I luoghi hanno memoria.
Ricordano tutto».
Il Lazzaretto veronese è stato per
secoli definito come una delle
costruzioni più pregevoli del
Cinquecento italiano. Un tempo
ricovero per i sofferenti, oggi iscritto
tra i “Luoghi del cuore” del FAI, il
Lazzaretto potrebbe essere la quinta
architettonica di un dipinto di De
Chirico; l’atmosfera triste, carica
di suggestioni misteriose genera
negli spettatori uno stato d’animo
di malinconica attesa. Il silenzio
metafisico è lo stesso che pulsa nel
complesso monumentale veronese:
assordante, lontano dai frastuoni
dell’abitato.
Dell’originario Lazzaretto veronese
costruito appena in tempo per la
peste del 1629, non rimangono che il
tempietto centrale e piccoli tratti di
fatiscenti mura. Le esili tracce rimaste
raccontano di una tragica storia
segnata da due distinte distruzioni: il
lato orientale fu, infatti, danneggiato
dai soldati fascisti. Il giornalista
Giuseppe Silvestri in un articolo
di “Verona libera” del 1945 ricorda
che «rotte a colpi di mitra le porte si
introdussero nel Lazzaretto, e dando
fuoco agli esplosivi, determinarono la
rovina del lato orientale»1. Il versante
occidentale, invece, fu danneggiato
il 20 maggio 1945 da una incauta
manovra di un abitante del luogo,
intento a recuperare materiale bellico
da rivendere.
01. Veduta del Lazzaretto
allo stato attuale
(Boccingher e Giudetti,
2018).
02. Anonimo,
Rappresentazione del
lazzaretto, stampa (?),
Biblioteca Civica di
Verona.
03. Destinazioni d’uso del
Lazzaretto nel tempo
(Boccinger e Giudetti,
2018).
02
Celebrazioni Sanmicheliane,
Un luogo ostile per alcuni, il
infatti, per volere dell’architetto
Lazzaretto: lontano dal centro della
Piero Gazzola, il “soprintendente
città, fuori dall’abitato e circondato
illuminato”, il tempietto centrale è
un tempo da mura invalicabili, oggi
stato ricostruito secondo la pratica
da recinzioni con divieto di accesso.
allora in voga del «com’era e dov’era».
Un luogo amato da molti altri; basti
Le fotografie storiche mostrano
pensare all’interesse crescente di
cittadini (e non solo) dagli anni Venti le fasi del restauro: la liberazione
dalle superfici
del Novecento
fino ad oggi.
« Non occorre cercare infestanti, la
L’archivio della
il mitico “strato” originale rimozione,
identificazione e
Soprintendenza
dell’opera bensì guardare classificazione dei
per i beni
le forme in cui ci è
blocchi marmorei,
architettonici
arrivato: la materia, la
il rinforzo
e paesaggistici
di Verona con
patina, i muri carichi delle della platea di
il suo regesto
lacerazioni delle guerre fondazione ed il
ricollocamento
di documenti
e delle esplosioni »
dei blocchi, la
inerenti il
ricostruzione
Lazzaretto
del tempietto fino all’imposta
contiene numerose testimonianze,
della cupola, compreso il tamburo
lettere, articoli di giornale,
in muratura e la cornice in pietra
considerazioni, preventivi di spesa
ad esso terminale. L’intervento
ed informazioni sulle attività di
di restauro per anastilosi che si è
tutela che hanno interessato questo
luogo nel tempo. È importante citare avvalso della ricomposizione di
parti originali del Tempietto, ha
il ruolo che ha avuto il restauro
visto l’utilizzo di materiali non
del 1960 sul futuro del complesso
coerenti (come il cemento) con il
monumentale. In occasione delle
03
61
ODEON
07
04
06
04. Lazzaretto di Verona, esterno, 1920 ca.,
Biblioteca Civica di Verona.
05. Tratti di mura dopo la pulizia e la messa
in sicurezza da parte del FAI.
06. J. C. Volkammer, Lazzaretto, fotografia
da stampa, 1714, Biblioteca Civica di
Verona.
62
05
progetto originario, e l’aggiunta di
nuovi elementi non distinguibili
dall’originale. Altri interventi
eseguiti dalla Soprintendenza di
Verona risalgono al 1983 con un
primo stralcio di lavori. Al 1988
risalgono indagini eseguite per
studiare la natura ferrosa del terreno.
L’area, infatti, era ancora disseminata
di residuati bellici inesplosi. Proposte
non realizzate si succedettero fino
alla concessione in uso al Fondo
Ambiente Italiano per diciotto anni
a partire dal 2014. Sarà forse perché
in Italia siamo spesso abituati a
dichiarare l’emergenza e solo dopo
a “curare”? Non sono solo Pompei
e la Domus Aurea a cadere a pezzi.
Anche il “nostro” lazzaretto rischia
di diventare macerie col passare
dei giorni, dei mesi, degli anni. Se
le rovine segnalano un’assenza, al
tempo stesso incarnano, anzi, sono
una presenza vivida e reale.
L’identità di questo luogo è ancora
sepolta dalle macerie?
Il mestiere dell’architetto, come ben
sappiamo, è talvolta lento, fatto di
pause e di interruzioni. Premessa
fondamentale rispetto alle fasi di
progettazione e realizzazione delle
opere di restauro è costituita dalla
ricerca storiografica che mostra
l’evoluzione di questo luogo nei
secoli. Scoperte risalenti a due anni
fa hanno portato alla luce celle semiintegre, con parti di pavimentazione
originale intatta e muri intonacati.
Eppure più recenti articoli suonano
così: “Mancano i soldi. Lavori fermi
al Lazzaretto”, “Al Lazzaretto non
si scava più”. E così, il Lazzaretto,
di dubbia paternità sanmicheliana,
rischia di cadere nuovamente
nell’oblio per mancanza di fondi
necessari per il proseguimento della
bonifica bellica.
Quali sono dunque oggi le
prospettive del Lazzaretto?
Il complesso monumentale veronese
è inserito in un contesto naturalistico
(Parco dell’Adige Sud) di primaria
importanza, sospeso tra architettura,
restauro ed archeologia. Quali
sono i possibili scenari? Restauro?
Conservazione? Consolidamento?
Ricostruzione? Nuova costruzione?
Studiandone la facies originaria,
si accetta in partenza il concetto
di autenticità diacronico, dove
la verità storica è frutto della
stratificazione secolare del manufatto
architettonico. L’interpretazione,
la comprensione del luogo e della
sua storia, del senso profondo che
questa architettura ha rivestito
in passato e che potrebbe avere
oggi, devono essere il primo passo
verso la definizione del progetto
di restauro. Se in passato, infatti,
il termine restauro indicava le
operazioni necessarie a riportare
un’opera alle sue condizioni iniziali
(qualora queste fossero state
compromesse), oggi con tale termine
si indicano tutte le tecniche idonee
a garantire una maggiore durata
nel tempo dell’opera. Il progetto di
restauro offrirebbe un’unica strada:
interventi puntuali di conservazione
e consolidamento sul tempietto
e sui tratti di mura, nel totale
rispetto della preesistenza, ovvero
il mantenimento dello status quo di
2019 #02
rudere. Impensabile sarebbe dunque
la ricostruzione, anche solo parziale
del complesso; si cadrebbe, così, in
un restauro di fantasia che, secondo
Cesare Brandi, pretende di riportare
l’opera al momento stesso della sua
creazione. Non occorre forse cercare
il mitico “strato” originale dell’opera,
bensì guardare le forme e le sagome
in cui ci è arrivato: la materia, la
patina, i muri privi di orpelli e
carichi delle lacerazioni delle guerre
e delle esplosioni. La loro fisicità, il
loro spessore ci parlano del passaggio
del tempo.
Il tempietto centrale, per lo più
intatto, meriterebbe probabilmente
un trattamento diverso: un restauro
conservativo, volto alla pulitura delle
parti e materiali che lo compongono.
Tutt’altro trattamento, invece,
sarebbe da riservare alle mura
perimetrali, ridotte allo stato di mero
frammento; in questo caso si prevede
un intervento di consolidamento
con operazioni caratterizzate da
«interventi minimamente invasivi
e se possibile reversibili, capaci di
frenare i processi di degradazione
del materiale ed il dissesto delle
strutture»2 .
Nonostante la funzionalità perduta,
il fine ultimo del Lazzaretto è la
conservazione della sua valenza
storica. L’integrazione senza che sia
117
ricostruzione è dunque ammessa.
Che cosa succederebbe se a questo
si affiancasse un nuovo luogo, una
addizione architettonica? Tutti questi
possibili scenari ovviamente sono
portatori di emozioni e, di fronte
ad un’amara nostalgia, crediamo
che questo luogo così magico vada
valorizzato e tutelato ad ogni costo.
«Arriverà un giorno in cui per
essere moderni sarà necessario
guardare al nostro passato e alla
nostra tradizione»– scriveva Alberto
Savinio. Allora forse dovremmo
avvicinarci, osservare, toccare, vivere
luoghi come il Lazzaretto di Verona,
impedire che questo si ri-sgretoli di
nuovo.
•
07. Prospetto nordovest delle mura con
sezione prospettica del
tempietto: analisi dei
materiali e del degrado
(Boccingher e Giudetti,
2018).
08. Il restauro per anastilosi
del tempietto del 1959
(Archivio fotografico
SABAP Verona).
09. Ipotesi di di progetto
con museo lineare sullo
sfondo (Boccingher e
Giudetti, 2018).
08
* Il presente lavoro nasce a partire dalla
tesi di laurea discussa presso l’Università
IUAV di Venezia da Chiara Boccingher
e Francesca Giudetti, Rovine in attesa:
progetto contemporaneo e valorizzazione
del Lazzaretto di Verona, relatore S.
Di Resta, correlatori A. Dal Fabbro, P.
Foraboschi, 2018.
1 Silvestri G., La distruzione del lazzaretto,
in «Verona libera», n.74, 1945, conservata
presso la Soprintendenza di Verona.
2 Marino L., Il restauro di siti archeologici
e manufatti edili allo stato di rudere, in
Ricerche: architettura, design, territorio,
DIDA Università degli Studi di Firenze,
febbraio 2019, p. 61.
09
63
Una esposizione racconta gli imponenti lavori infrastrutturali che mutarono radicalmente
l’area di San Giorgio tra ponte Pietra e ponte Garibaldi a Verona
Testo: Tomàs Bonazzo
ODEON
L
’Adige è lungo, davvero lungo. Gli
idrografi, dopo averlo metrizzato,
constatarono che era così lungo da essere
secondo solo al fiume Po (in Italia).
Dunque, se l’Adige è lungo, quant’è lungo un
lung-Adige? Una risposta precisa, in un intervallo
di spazio-tempo chiuso e limitato, viene divulgata
ed esposta da un’associazione ben scorrevole
sull’alveo dell’Adige: l’associazione Agile.
Il suo racconto epico inizia col canto delle gesta
di una commissione del Ministero dei Lavori
Pubblici (liquidato durante il governo Berlusconi
bis) che pianificò numerosi interventi per i fiumi
veneti durante il governo Mussolini. Fu allora
che re Priamo autorizzò che il cavallo superasse le
mura austriache nel lontano 1935. Qui, tra ponte
Pietra e ponte Garibaldi, si consumò dapprima
la demolizione di tutte le case di via sant’Alessio
e via Santo Stefano, e poi rinacque a Vita nuova
il lungadige “del Littorio”. Non si trattò di un
“ritocco” epidermico ma di un progetto giacobino
la cui spesa raggiunse i 2.116.000 del vecchio
conio (circa 2.268.897 € odierni). I lavori, assieme
alle trasformazioni ubique di pochi anni prima nel
quartiere di Borgo Trento e del ponte Garibaldi,
regalarono al lungadige, oggi di “san Giorgio”,
la sua geometria attuale: un piano inclinato con
quadri prativi e cornici in pietra bianca, che arretra
di alcuni metri per aerare una passeggiata siglante
il sacro vincolo tra l’uomo e l’acqua.
Con un balzo piucche-pindarico, dal contenuto al
contenitore, la Mostra Lung-Adige venne allestita
dal 21 gennaio al 9 marzo nei pubblici domini. Il
contenitore del contenitore, infatti, è la ben nota
Biblioteca civica, alma mater di iniziative culturali
Lung-Agile
02
03
01. Panoramica sul
lungadige “del Littorio”.
02-03. Planimetrie
prima e dopo i lavori,
rispettivamente 1907 e
1953.
04. I lavori in corso per la
costruzione del nuovo
lungadige.
05. Tavola di progetto del
nuovo ponte Garibaldi,
ing. arch. M. Dezzutti,
1932.
04
05
01
05
64
2019 #02
117
65
La tutela del paesaggio
“Ci mette il becco LC” a proposito delle norme di salvaguardia del territorio:
un obiettivo da perseguire grazie allo studio, alla sensibilità e alla consapevolezza del ruolo
lungadige
opere pubbliche nell’area di san
giorgio tra ottocento e novecento
Mostra a cura di:
Angelo Bertolazzi, Michele De Mori
Gruppo di lavoro:
Marco Cofani, Silvia Dandria, Enrico Mischi,
Johnny Nicolis e Davide Rizzi
Progetto Grafico:
Emilia Quattrina, Nicolò Tedeschi
Un progetto di:
Associazione AGILE
Biblioteca Civica di Verona
in collaborazione con:
Archivio di Stato di Verona
con il sostegno di:
Fondazione Cariverona
La Mostra è parte del progetto ARCOVER
(Archivi del Costruito del Territorio Veronese in
Rete), realizzato con il contributo di Fondazione
Cariverona; il progetto è volto alla digitalizzazione,
alla valorizzazione e alla condivisione del
patrimonio archivistico della città, capace di
raccontare le trasformazioni di Verona nel corso
del Novecento.
06
dotate di “senno”. L’epifania del racconto epico
Il filo rosso del continuum storico, senza alcun
è impressa dalle fotografie eseguite dal Genio
taglio e con intenti ginnici, collega il piano terra
Civile tra le due guerre mondiali, conservate per
al primo piano attraverso lo scalone in pietra.
intenzioni retrospettive nell’Archivio di Stato
L’epilogo istrionico viene rivelato nella sala stampe
e in quello Generale di Verona; esse sono le
vicino alla veronensia. E il corpo di Ettore ritorna al
ambasciatrici bicolori di un’età chiusa, il cui effetto padre, a Priamo.
traino stampa ancora i ricordi di abitanti e turisti
Nella stanza, le fotografie sono ordinate
del “presente”.
simmetricamente ai lati mentre, sul fondo,
L’allestimento, curato col sentire di un sarto, cuce
l’altare accoglie il trittico della memoria: altre
un fil rouge tra le nobili sale
gigantografie su pannelli
« il progetto è volto alla
nella ricerca di un tesoro:
raccontano i lavori
digitalizzazione, alla
lo scatto più notabile per
conclusi, il rinnovato
il fruitore incuriosito.
lungadige “del Littorio”,
valorizzazione e alla
L’avvio dell’esperienza
accompagnate da una
condivisione del patrimonio
taumaturgica si dirama al
archivistico della città, capace coerente ed aggiornata
piano terra tra l’accoglienza
pianta in cui la lettura
di raccontare le trasformazioni dell’alterazione urbana
e la sala Nervi (nella
di Verona nel corso
sezione ragazzi), tra le aule
risulta quasi cristallina.
del Novecento »
studio e le sale colonna e
L’invito della mostra
degli affreschi, trovando
alla non dimenticanza
una singolarità gravitazionale nella protomoteca:
è ovviamente riduttivo; la potenza dell’idea
infatti, qui, tre pannelli presentano “ricordi”
espositiva potrebbe richiamare a ciò che Cas
gigantografici di ancestrali cerimonie e protocolli
Wouters definisce “terza natura”, ovverosia una
edili, precedenti ai proverbiali lavori; esse sono la
riflessione consapevole dello spettatore sulle
scena di una pianta incorniciata di rosso che spiega
tradizioni radicate in una società civilizzata -nella
le configurazioni del luogo, nella distribuzione delle fattispecie tradizioni architetturali-, attraverso una
sue strade e dei suoi monumenti, saltando dunque
valutazione di quali aspetti culturali si è aderito,
dal punto di vista alla visione globale, dall’uomo al
quali serve aderire e quali sono sopravvissuti alla
monte Olimpo; e lo spettatore è l’attore principale.
propria utilità.
•
66
2019 #02
Testo: Luciano Cenna
M
i domando perché, malgrado le leggi, le
restrizioni burocratiche e le specifiche
normative, del nostro straordinario
territorio non siamo riusciti a salvarne se non
brandelli. Eppure il percorso progettuale che
gli architetti devono affrontare per qualunque
progetto – ma non aggiungerei in qualunque
Comune italiano – è veramente complesso e
richiede una attenta applicazione, pazienza e
tenacia. Ne sono prova i regolamenti edilizi
comunali (specie quelli degli anni recenti) la cui
comprensione sembra disseminata da ostacoli per
la sottile mal celata volontà di farsi beffa degli
architetti (?). E quando il linguaggio si presenta
più comprensibile, sono le norme ad essere poco
convincenti: la loro applicazione non appare
pertinente, o è addirittura immotivata e sbagliata.
Per meglio chiarire il mio pensiero ricorrerò ad
un esempio che riguarda un Comune del Garda
dove “l’urbanistica” ha messo sotto tutela una
fascia pedecollinare totalmente edificata negli
anni ‘60/’70. Si tratta di un territorio occupato da
decine e decine casette di edilizia piccolo borghese
a due piani, oggi del tutto inefficiente sotto il
profilo abitativo e non rilevante sotto quello
117
ambientale.
Qual è allora il significato di questa misura
urbanistica, rigidamente normata dal PRG, se
non quello di mantenere in essere, tutelandone
la struttura complessiva, un ambiente urbano di
scarsa rilevanza e qualità? La domanda potrebbe
essere anche più esplicita: a quale scopo mantenere
in essere una zona urbana di scarsa qualità
proteggendola con la tutela paesaggistica? Forse
per evitare che il libero esercizio del costruire,
ancorché normato, possa rimodellare il sito sul
quale, e solo in quella circostanza, si potrebbe
apporre il vincolo di tutela paesaggistica? Se così
fosse, si dovrebbe ritenere che al principio di tutto
ci sia ancora una certa dose di pregiudizio sulle
possibilità di migliorare l’ambiente da parte del
costruire, o di pigrizia nello studiare un’articolata
ed adeguata normativa che, facendo ricorso anche
ad una certa complessità di regole, di incentivi e di
oneri, si prefigga di migliorare l’ambiente edilizio
accrescendone la vivibilità.
Ciò significa che il vincolo ambientale si dovrebbe
applicare a posteriori: quindi quando la zona,
urbanisticamente recuperata, potrebbe essere
giustamente tutelata. Cioè la tutela dovrebbe
essere un obbiettivo.
Infine come non pensare che all’urbanista non
interessi tanto la qualità, difficile da ottenersi,
quanto piuttosto l’ordine e la disciplina,
attribuendo a questi mezzi valori un valore intero.
Si può essere d’accordo che l’ordine è comunque
un intento utile in mancanza di obbiettivi più
alti, che in tanta parte del territorio italiano sono
mancati, con i risultati che tutti possiamo vedere.
Esempio calzante è il confronto tra un abitato
medioevale e un quartiere di edilizia speculativa
del dopoguerra: disordinato il primo, ma di alto
valore intrinseco, ordinato il secondo, ma di scarso
valore architettonico.
Tuttavia restiamo ben lontani dal credere che
ODEON
06. L’articolazione
della mostra nella
Protomoteca della
Biblioteca Civica.
la confusione ed il disordine edilizio bastino a
produrre mezza bellezza (quella a cui mirano gli
agglomerati urbani finto spontanei dei villaggivacanze o degli outlet): e fin qui si può concordare,
ma proseguendo con l’osservazione del paesaggio
italiano direi che, sotto il profilo della sua
conservazione, non è stata per la sola avidità che
l’abbiamo guastato, quanto per ignoranza di molti
e incompetenza ed ingordigia di alcuni. Questa
conclusione negativa non è necessariamente indice
di pessimismo per il futuro se verranno meglio
approfonditi, capiti e coltivati i legami storicoculturali tra le popolazioni e i luoghi dove la gente
lavora e vive. Non per niente è diventato luogo
comune parlare di “identità”. E quando si parla
di identità non c’è dubbio che si è vicini ad un
concetto di legame, di radici, di continuità che ci
associa al contesto fornendoci il primo livello di
rispetto del luogo. Il secondo livello lo si guadagna
con l’educazione, l’istruzione, la conoscenza,
lo studio e l’applicazione (con il secondo si può
fare l’architetto). Per il terzo, si richiede, oltre
lo studio, una particolare sensibilità e capacità
di muoversi nelle grandi dimensioni fisiche e
storiche: ci vuole la consapevolezza del ruolo.
Occorre il terzo livello per fare l’urbanista.
•
67
L’edilizia residenziale sociale nel territorio veronese: la complessità del quadro
e le implicazioni a livello urbanistico, economico, sociale e giuridico
Testo: Stefania Marini
Foto: Michele Mascalzoni
I
1 12 aprile 2019 alcuni dei principali
player delle politiche abitative territoriali
si sono riuniti presso il polo Santa Marta
dell’Università degli Studi di Verona per un
workshop che ha abbozzato un quadro fatto di
tematiche, visioni ed esperienze legate all’edilizia
residenziale sociale nel territorio veronese. Un
quadro che si presenta sfocato per la mancanza
di dati certi, non solo riguardo alla portata del
disagio abitativo in cui molti cittadini veronesi
riversano – aggravato certamente dalla crisi
economica –, ma anche rispetto alle condizioni
degli alloggi, siano essi di edilizia residenziale
pubblica che privata.
L’incontro è stata l’occasione per conoscere le
prime riflessioni emerse dal progetto di ricerca che
coinvolge il Dipartimento di Scienze Giuridiche
dell’ateneo veronese e che è stato promosso dalla
cooperativa sociale Sos Casa di Villafranca, che
dagli anni Novanta, nell’ambito del movimento
Emmaus, è impegnata ad offrire soluzioni abitative
economicamente sostenibili e accompagnamento
per l’inclusione sociale delle fasce deboli del
mercato abitativo.
La prospettiva giuridica introdotta dal professor
Paolo Duret e approfondita dal ricercatore
Paolo Saggiani si è focalizzata sul principio
di sussidiarietà espresso nell’articolo 118 della
Costituzione, il quale indica che le istituzioni
pubbliche devono favorire l’autonoma iniziativa
dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento
di attività di interesse generale: garantire
un’offerta abitativa adeguata anche per le fasce
deboli della popolazione rientra pertanto a pieno
titolo in questo principio. Gli spunti di ricerca
illustrati spaziano dal superamento degli attuali
strumenti normativi con l’esplorazione delle
68
01
forme di innovazione istituzionale introdotte
dai regolamenti di sussidiarietà e i patti di
collaborazione per l’amministrazione condivisa
di beni comuni, fino alla stipula di accordi
tra proprietari immobiliari e amministrazioni
comunali per ampliare l’offerta di alloggi a prezzi
inferiori a quelli di mercato da destinare ad
inquilini segnalati dai servizi sociali, fornendo
di fatto soluzioni integrative rispetto all’offerta
di edilizia residenziale pubblica, in una logica
sinergica e sussidiaria.
Dopo lo sguardo accademico, Reiana Doni
dell’Ufficio Edilizia della Regione Veneto ha
illustrato le modifiche introdotte dalla Legge
regionale 39 del 2017, aprendo la prospettiva verso
gli aspetti amministrativi dell’edilizia residenziale
pubblica. La recente legge fa leva su alcune
problematiche presenti nel sistema ERP, quali
le scarse entrate di tali enti, lo scarso ricambio
di inquilini, l’alto numero di alloggi inagibili e
la mancanza di risorse finanziarie. La norma ha
come principio guida l’equità, che deve essere in
2019 #02
117
01-02. Frammenti di un
quartiere veronese di
edilizia sociale.
ODEON
Nuove sinergie per il social housing
grado di bilanciare il diritto all’abitazione con la
necessità di gestione e rinnovo del patrimonio di
edilizia residenziale pubblica. Le modifiche più
rilevanti sono l’introduzione della locazione a
termine, che risponde alle esigenze di garantire il
rinnovo degli assegnatari; l’accesso alle graduatorie
e i criteri di determinazione dei canoni per favorire
chi è in condizioni di maggior disagio, secondo
Isee e indicatori di consumo della famiglia; e
infine l’elevazione del canone minimo.
A seguire, Claudio Stasio – ufficiale giudiziario
del Tribunale di Verona – ha descritto alcuni
aspetti legati ai provvedimenti di rilascio degli
immobili, i procedimenti di sfratto per morosità
e per pignoramento per mancato pagamento del
mutuo, da cui sono emersi il trend crescente a
seguito della crisi economica e la drammaticità
della portata del fenomeno in cui la situazione
veronese risulta la peggiore del Veneto.
Dopo gli interventi tematici, le rappresentanze
dei sindacati degli inquilini Sunia e Sicet e il
rappresentante di Confedilizia si sono confrontati
portando le rispettive visioni e azioni, che nel
complesso risultano ancora troppo divergenti
e poco incisive rispetto le necessità territoriali.
L’incontro è proseguito con la presentazione
di alcune buone pratiche collaborative che
favoriscono l’accesso all’alloggio a prezzi
economicamente sostenibili anche per fasce
deboli della popolazione, lanciando nuovi
stimoli per innovare i servizi abitativi. Tra
queste, l’esperienza del comune di San Bonifacio
narrata da Paola Ballini – responsabile dei
Servizi Sociali – risulta emblematica ed offre la
visione di un’amministrazione attenta a fornire
politiche abitative attive. In conseguenza alla crisi
economica, il livello di emergenza abitativa a San
Bonifacio si è fortemente innalzato, anche per il
fatto che il comune possiede un’alta percentuale di
cittadini stranieri e tale segmento di popolazione
è il più esposto alle problematiche abitative. In
modo virtuoso, dopo aver letto i bisogni del
territorio, l’amministrazione ha saputo dotarsi di
soluzioni creative, accompagnate anche da risorse
finanziarie, per far fronte ai problemi. Diversi i
progetti e gli strumenti avviati: la modifica delle
graduatorie di accesso agli alloggi comunali con
02
un adeguamento dei requisiti di accesso agli
alloggi basati sul principio di equità; il progetto
Abitare Sociale in collaborazione con un ente
del terzo settore e una parrocchia per aumentare
il numero di alloggi destinati all’emergenza
abitativa; l’apertura di uno sportello A.I.S.A. per
fornire servizi di intermediazione immobiliare in
collaborazione con la cooperativa Energie Sociali;
le esperienze di “co-housing sociale” tra sfrattati e
proprietari disponibili alla co-abitazione, che ,con
il supporto dei servizi sociali, hanno saputo creare
nuove relazioni sociali e stimolare un welfare di
tipo generativo.
Infine il presidente della cooperativa sociale Sos
Casa Renato Ferraro ha illustrato le potenzialità
del terzo settore in campo abitativo, senza
tralasciare le difficoltà di collaborare con le
amministrazioni e l’importanza di fare rete tra
organizzazioni per incidere sulle politiche e
moltiplicare le soluzioni per contenere le diverse
componenti del disagio abitativo. L’esperienza di
recupero e gestione di cinque alloggi di edilizia
residenziale pubblica di ATER a Villafranca
attuata dalla cooperativa è rappresentativa
dell’impegno a promuovere il diritto alla casa,
operando secondo il principio di sussidiarietà
per favorire l’interesse pubblico, affiancando
e stimolando ATER ad agire. In questo senso
l’azione della cooperativa interviene su più
livelli tra questi: la rigenerazione di beni comuni,
ossia il recupero di alloggi di edilizia residenziale
pubblica ad oggi dismessi perché inagibili; la
possibilità di garantire l’accesso all’alloggio a prezzi
sostenibili ad almeno cinque nuclei familiari;
l’accompagnamento sociale di tali nuclei per una
migliore qualità dell’abitare.
La complessità del quadro tracciato pone
l’accento sull’esigenza di adottare un approccio
multidisciplinare al tema, in quanto i fenomeni
legati al disagio abitativo e le politiche abitative
che si possono attivare hanno implicazioni a
livello di urbanistico, economico, sociale oltre
che sul piano giuridico. Fondamentale inoltre è
l’approccio multistakeholder per la costruzione di
servizi abitativi efficaci capaci di strutturare nuove
forme di governance coinvolgendo istituzioni
pubbliche, enti del terzo settore, abitanti e anche
attori privati.
•
69
I SEPOLCRI
Il riordino e la digitalizzazione di una importante raccolta di mappe e vedute della città
è l’esito di un lavoro di ricerca promosso dall’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di
Verona
Testo: Federica Guerra
N
V
Nessuno sfarzo, nessuno sfoggio monumentale, nessuna
valenza commemorativa accompagna la modesta sepoltura
di Vittorio Filippini (1914-1974): un semplice loculo perso nei meandri dei sotterranei del Monumentale. Ma dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto, pare che proprio
questa fosse la cifra di un personaggio che, pur molto attivo nella Verona del primo dopoguerra, mal si adattava
alla ribalta della cronaca. Laureato in Architettura a Venezia nel ’42, entra da subito nella cerchia degli allievi di
Ettore Fagiuoli, e con lui collabora agli allestimenti scenici
per l’Arena dal 1936 fino agli anni
Cinquanta. E intesse col Maestro
un legame profondamente umano
oltre che professionale, testimoniato dal commosso ricordo che
scrive in occasione della sua morte per il giornale «L’Arena». Ma fu
soprattutto un attento studioso di
storia urbana, specialista in topografia antica, ricercatore di storia
medievale e scrupoloso conoscitore del tessuto edilizio cittadino. A
queste passioni fanno seguito i numerosi articoli sul periodico «Vita Veronese» (L’edicola di C. Attisio, 1954; Di alcune divagazioni intorno a Ponte Pietra, 1956; Il Campidoglio
di Verona, 1957; Verona: il nucleo storico, 1962 e molti altri).
Questi interessi personali, accompagnati da una notevole
perizia nel disegno, gli valsero l’attenzione del Soprintendente Gazzola, che lo incaricò di numerosi restauri di edifici storici di Verona e provincia danneggiati dalla guerra:
per citarne solo alcuni, ricordiamo il Palazzo dei Diamanti, il Municipio, il Museo Maffeiano, la chiesa inferiore di
San Fermo, le chiese di San Procolo e San Bernardino e il
campanile di Grezzana, incarichi tutti svolti “con cosciente rispetto dell’architettura del passato”, come ebbe a dire
•
2019 #02
F
i l i p p i n i
Testo: Federica Guerra
el mese di maggio l’Accademia di
Agricoltura Science e Lettere ha ospitato
l’interessante mostra “VeDI – Verona
Documenting Images” sulla digitalizzazione,
riordino e valorizzazione delle stampe che
ritraggono Verona e il suo territorio attraverso le
vedute e la cartografia tra il Settecento e l’Ottocento
appartenenti al Fondo Carlotti. Va alle giovani
curatrici, Camilla Bertani e Chiara Contri, e al
sostegno della Fondazione Cariverona, il merito del
difficile lavoro di catalogazione di un patrimonio
imponente (4400 unità librarie e 1500 incisioni
di grande pregio), appartenuto al marchese Felice
Carlotti di Riparbella, già Accademico e bibliofilo
dilettante che setacciò per circa cinquant’anni il
mercato librario europeo, alla ricerca di edizioni
veronesi e di incisioni relative alla città e al
territorio scaligero. Durante i suoi numerosi viaggi
01
egli acquistò monografie, opuscoli, estratti e stampe
che lentamente andarono a formare quella ricca
attento dello studioso appare una città inedita, che
a metà Seicento, a metà Settecento e in epoca
collezione che trovò prima spazio nel suo palazzo di al di là dei monumenti storici permette di cogliere
austriaca, dove oltre all’evoluzione del paesaggio
Padova e venne poi donata all’Accademia nel 1990.
brani di città ancora integri dalle trasformazioni
agrario è perfettamente leggibile l’evoluzione
Da allora le stampe giacevano in precario stato 27.
di
più recenti. Si va da una Piazza Bra precedente alle
delle tecniche di rilevazione e rappresentazione
conservazione presso gli archivi, non consultabili
demolizioni ottocentesche, a un Corso Porta Nuova topografica oltre alle tecniche di riproduzione,
Verona at
sundiverso
rise dalla configurazione attuale, da un
e a rischio di deterioramento. Vista la delicatezza
assai
dall’acquaforte acquarellata fino alla litografia.
1850 circa
(1850
manoscritto
a lapis in acalce).
del supporto cartaceo, le curatrici hanno ritenuto
teatro
Filarmonico
settecentesco
una carrellata
L’opera di riordino della collezione è solo all’inizio,
Tecnica dei
mista
a colori,
foglio
142x214
mma riconoscere,
(montata su cartoncino:
276x380
mm)
indispensabile, per offrirle alla consultazione degli
ponti
che ormai
facciamo
fatica
ma speriamo
che le
istituzioni confermino
Note: Titolo manoscritto in calce. – Sotto il disegno a sinistra: Prout e a destra iniziali J.W. - Copia da una
studiosi, non solo riordinarle e classificarle, ma veduta disegnata
dagli scorcida
di una
Verona
sconosciuta
alla
veduta
l’interesse
per
quest’operazione
di alto valore
Samuel Prout tratta dalla serie dei volumi The landscape annual pubblicati
a Londra dal
soprattutto digitalizzarle e renderle fruibili, oltre
del
Giardino
Giusti
come
“orto
delle
meraviglie”.
Si
culturale.
1830 al 1834.
che nelle sale dell’Accademia, anche on line. Il
coglie, osservando la provenienza non solo italiana
Biblioteca
dell’Accademia
di Agricoltura
Scienze e Lettere di Verona, Fondo Carlotti, 10/29
lavoro ha restituito un primo corpo di stampe diVerona,ma
da tutta Europa
dei disegnatori
e degli incisori,
40 esemplari di importante valenza antiquaria: di
un interesse per la città che ha rappresentato per
Bibliografia: confronta: C. SINISTRI-C. PERINI, Verona nelle antiche stampe: catalogo delle stampe della città
norma, ciascun pezzo riporta incollato il ritagliodalla fine
secoli
un esempio
“città
suoun
perfetto
del sec.
15. alladi
fine
delideale”,
sec. 19.nel
Con
saggio introduttivo di G.P. Marchini, Verona, Libreria antiquadel catalogo ove esso venne acquistato; ciò significa
connubio
di
memorie
medievali
e
rovine
romane,
ria Perini, 1978, p. 174 (286).
che è possibile disporre di una serie di notizie molto soprattutto nella ricca sezione ottocentesca, dove
01. Verona at sun rise, 1850 circa.
preziose, quali la descrizione e la storia del pezzo,
Verona diviene la città romantica per eccellenza.
Verona, Biblioteca dell’Accademia
il valore commerciale stimato, il prezzo effettivo
Interessantissime infine le prime tre mappe
di Agricoltura Scienze e Lettere di
Verona, Fondo Carlotti, 10/29.
d’acquisto e il mediatore dell’affare. All’occhio
digitalizzate che ritraggono il territorio veronese
70
i t t o r i o
ODEON
VeDI
VeDI
VeDI
Vedi Verona in digitale
117
Gazzola stesso. Svolse anche attività di libero professionista realizzando alcune residenze private in città oltre al
restauro di edifici importanti, come casa Onestinghel in
piazza Bra e Casa Armellini in piazza Arsenale.
Ma la vicenda che lo fece conoscere al vasto pubblico fu
quella legata alla ricostruzione del Teatro Filarmonico. Filippini partecipò con Fagiuoli al concorso indetto dall’Accademia Filarmonica subito dopo la guerra, con un progetto dal motto erudito di “Euterpe”, che suscitò polemiche
tra i concorrenti e i membri della giuria: si diffuse l’accusa a
carico dei due partecipanti di aver
mostrato in anteprima il loro progetto ai membri dell’Accademia e
alle autorità cittadine, contravvenendo agli obblighi di anonimato
del Bando. A seguito di questa vicenda il loro progetto venne escluso
dalla seconda fase del Concorso, e
Filippini parve uscire di scena dalla vicenda. Tuttavia gli Accademici, dopo una lunga trafila burocratica che si risolverà in una vertenza
legale con i vincitori Scalpelli, Sciascia e Ferrante, decisero di negare l’esito del concorso e di ripescare il progetto
Filippini come il più adatto ad una ricostruzione dov’era e
com’era gradita alla maggioranza degli Accademici. Filippini stilò nel ‘56 solo un progetto di massima, poi portato a
termine dall’ing. Ugo Lado per la parte strutturale e per la
decorazione dall’ing. Vittorio Jacobacci in collaborazione
con lo storico dell’arte Renato Cevese. Già a fine anni ’60,
infatti, Filippini si era ritirato dalla vita professionale, morendo nel ’74 dopo una lunga malattia. In soli vent’anni di
attività professionale ci lascia testimonianza di una carriera
attiva nel recupero e nella salvaguardia del patrimonio storico della città che tanto profondamente aveva conosciuto.
•
71
La piega e il metallo
Enrico Girotti, designer veronese, e la sua grande passione per il filo metallico con il quale
intesse oggetti fluidi ed eleganti caratterizzati dal tratto grafico il più possibile continuo
Testo: Laura De Stefano
01. Ritratto di Enrico Girotti.
02. Quadro sinottico al tratto di
alcune sedute ed elementi
di arredo realizzati in filo
metallico.
03. Biocamino Wild, Monadi
(2013).
www.enricogirotti.com
01
02
03
72
“Il materiale è l’elemento più importante di ogni progetto. Tu lo tratti
bene e lui, in qualche modo, ricambierà il tuo affetto”. Per parlare di Enrico
Girotti mi piace partire da questa frase di Piet Hein Eek, designer olandese uscito dall’Accademia di Design di
Eindhoven nel 1990, che in poco tempo è passato dall’autoproduzione dei
suoi pezzi a possedere una factory di
100mila metri quadrati con 90 dipendenti a Eindhoven, dove convivono
l’ideazione, la realizzazione e l’esposizione di un progetto.
Anche Girotti è un designer veronese che ha fatto della parola maker la
propria caratteristica distintiva. Laureato in Disegno Industriale presso lo
IUAV di Venezia, nelle sue realizzazioni ha instaurato un forte legame tra
il processo creativo e quello produttivo, miscelando formazione tecnica
e personale ricerca espressiva. Freelance dal 2002, collabora con importanti aziende e disegna prodotti utilizzando diverse tecnologie. Conosce
e sperimenta lavorazioni su materiali
che vanno dall’imbottito al legno e al
metallo, suo grande amore, ricercando un continuo scambio e condivisione tecnica e comunicativa tra l’ambito
dell’arredamento “morbido” e dell’arredamento “duro”. Ciò che contraddistingue il suo lavoro è lo stretto legame tra creazione e produzione di un
oggetto, all’interno di un processo realizzativo unitario. Se le conoscenze
di materiale e le tecniche che si possono sfruttare aumentano, crescono anche le possibili combinazioni creative.
Co-founder di Monadi assieme all’architetto Elia Perbellini, ha realizzato allestimenti in ambito retail, allestendo vere e proprie scenografie che
culminano a Pitti Uomo con l’installazione “Maker” costruita completamente in filo metallico piegato, soluzione che esalta l’esilità del metallo
mantenendone la sua funzione strutturale. Da questa sperimentazione,
con l’intento di dare piena espressione alle sue idee, nasce l’ispirazione per
lapiegaWD, il brand personale fondato nel 2017, che rappresenta la sintesi della ricerca di tutti gli anni di formazione e collaborazione con le varie
aziende.
Enrico Girotti gestisce tutto il processo di creazione di un oggetto, dal
primissimo pensiero creativo alla piegatura finale del ferro: utilizza il metallo come fosse un materiale flessibile, creando oggetti fluidi ed eleganti
caratterizzati dal tratto grafico il più
possibile continuo, come quello di una
matita che definisce il bordo tra ciò
che è vuoto e ciò che è pieno.
Il pensiero allora ritorna all’Olanda,
con la speranza che anche da noi possano sorgere e crescere factory dove le
idee, i materiali, le tecnologie e l’esposizione trovino luogo. Se là funziona,
perché non potrebbe funzionare anche da noi?
MAke
NUBOLI
Pitti Uomo
Artemide
2014
2015
ll design di Make nasce scomponendo lo spazio in esili elementi sempre più picco-
Lampada a sospensione progettata con Guido Matta in polietilene opale stampato
li, che nella loro unione creano strutture, contenitori e ambienti espositivi arricchiti
con tecnica rotazionale. È un oggetto luminoso al cui interno c’è una sorgente lu-
da giochi di sovrapposizioni, trasparenze e contrapposizioni di volumi. L’elegante
minosa circolare, che deriva dalla ricerca di trattare la luce emessa quasi fosse un
minimalismo dell’installazione evidenzia le diverse collezioni, evocando il principio
campo magnetico che, grazie alla disposizione delle ipotetiche spire magnetiche,
dell’artigianalità contemporanea. Progettato assieme all’architetto Elia Perbellini
possa creare centralità.
ODEON
#DESIGN_VR:
su commissione di Pitti Uomo per i “Nuovi Maker “
•
2019 #02
117
73
74
CERTOSA
ARMONIC
Twils
lapiegaWD
Produzione limitata Enrico Girotti
2015
2017
2017
Il giroletto sottilissimo enfatizza la leggerezza di Calvin, ulteriormente accentuata
Certosa e Certosina rappresentano l’elogio di un archetipo di seduta nordica in
Linea di tavolini dal piano vibrante, caratterizzato da una gamma di suoni che appar-
dalla decisa svasatura delle snelle gambe in legno. Il risultato è una silhouette ag-
legno realizzata invece in filo di metallo che, in un gioco sinuoso, forma la struttura
tiene alla trama geometrica dei tagli. Un tracciato visibile fissa i passaggi dall’interno
graziata, estremamente lineare e contemporanea, piacevole da qualunque punto
e lo schienale piegato con molta attenzione per renderlo confortevole. Le gambe
verso l’esterno, da un centro in divenire a una forma che le contiene e viceversa.
d’osservazione la si guardi, ideale per il free standing.
sagomate in una sezione trapezoidale creano un design articolato, slanciando la
L’acciaio tagliato a laser è dello stesso
seduta. Per esterni è prevista con seduta in metallo perforato.
tipo con cui vengono creati i diapason.
2019 #02
ODEON
CALVIN
COSETTE
AMARONE
lapiegaWD
lapiegaWD
2018
2018
Sono tre le geometrie ideali, il cerchio, il raggio e la linea che materializzate nel filo
Seduta che nasce progettualmente dall’incontro di due sole superfici contrappo-
metallico giocano a creare forme che determinano vuoti e pieni, in una composi-
ste, tratteggiate da una sequenza di fili metallici sagomati che ne rivelano la ge-
zione geometrica inaspettata. L’esilità del filo metallico è in un rapporto apparen-
nesi geometrica. Tutti gli elementi che compongono Amarone sono attentamente
temente incompatibile con la forza e la
saldati utilizzando tecniche artigianali
durezza del metallo.
di qualità.
117
75
Architetti veronesi raccontano la loro
esperienza professionale “fuori dalle mura”
Da
Stoccolma
a Porto
passando per
Barcellona e
Reykjavik
76
01
Testo: Irene Antolini
Cura: Stefania Marini
Irene Antolini, architetto veronese, dal 2004 opera
all’estero. Le abbiamo chiesto di raccontare il suo
percorso professionale che l’ha portata a radicarsi in
Portogallo mettendo alla prova la sua capacità di
adattamento nel contesto internazionale e avendo
l’opportunità di valorizzare la propria creatività
in diversi campi della progettazione, dal restauro
architettonico all’interior design, specializzandosi
infine nel lighting design. (S.M.)
Ai tempi dell’università (IUAV di Venezia)
guardavamo con ammirazione le opere di
architetti stranieri pubblicate nelle pagine patinate
di «Casabella» o di altre riviste. L’architettura
iberica di Souto de Moura, Alvaro Siza e Carlos
Ferrater, tra gli altri, sortiva in noi studenti quel
fascino del minimalismo dai volumi puri, bianchi,
immacolati. Il messaggio che ci veniva trasmesso
relativamente al panorama architettonico
Italiano, anche dagli stessi docenti, era di una
certa disillusione. Si pensava che all’estero, sì, era
possibile fare “Architettura” con la A maiuscola
mentre in Italia, a causa della speculazione e di un
ambiente politicamente corrotto, la legislazione e
la burocrazia avevano avuto il sopravvento sulla
qualità architettonica.
Il progetto Erasmus a Stoccolma, culminato
con la mia tesi di laurea sul recupero di un’area
ex industriale dismessa nella periferia di
2019 #02
Stoccolma, è stato il primo vero ponte con una
realtà architettonica straniera. Questa esperienza
ha instillato in me la curiosità per le differenze
culturali in un contesto globalizzato, per come
esse influiscano sullo sviluppo della pratica
architettonica. È stato così che ha avuto inizio
il mio percorso nomade attraverso paesi europei
che in seguito sarebbero stati colpiti dalla crisi
economica: la Spagna, l’Islanda e il Portogallo.
L’avvio del percorso è avvenuto a Barcellona con
un anno di tirocinio presso lo studio di Carlos
Ferrater: era il 2004, e la città catalana viveva
ancora un momento di auge architettonica.
Ferrater era considerato una archistar e il suo
studio attraeva un grande numero di neolaureati
da tutto il mondo, desiderosi di mettere in
pratica e di condividere tutta la loro conoscenza
e inventiva. Un ambiente quindi molto fertile e
ottimale per l’apprendimento dal punto di vista
creativo e tecnico.
Presto però capii che Barcellona sarebbe stata per
me, come per moltissimi altri giovani, solamente
una città di passaggio. Era un ambiente frenetico
e molto stimolante, ma il cosmopolitismo non
era profondo: avevo la sensazione che non ci
fosse la volontà di integrare gli stranieri, bensì di
utilizzarli intelligentemente.
Dalla Spagna la mia migrazione è proseguita
verso il Portogallo, stabilendomi nella città
di Porto nel 2006. All’epoca il Portogallo era
poco globalizzato: non era ancora avvenuta
la gentrificazione dei centri storici, nelle
città era ancora diffuso il piccolo commercio
tradizionale e si respirava quell’atmosfera del
tutto locale che rende i luoghi interessanti e
attraenti. Ciononostante, a causa di leggi sugli
affitti risalenti all’epoca della dittatura e ancora
congelate, i centri urbani avevano un aspetto
fatiscente: erano luoghi abbandonati, non ancora
presi di mira dagli investitori immobiliari né tanto
meno dalla speculazione, e vi abitavano le classi
sociali meno abbienti.
In quelle circostanze capii che il settore del
recupero e della riabilitazione in Portogallo
sarebbero stati il futuro. Cominciai ad
interessarmi a questo settore e a dedicarmici
assieme all’architetto Alexandre Ferreira come
117
02
01. Ritratto di Irene Antolini; a destra pianta
di progetto di recupero di villa rurale nel
nord del Portogallo (2018).
02. Progetto di concorso (primo classificato)
per la riconversione di un isolato nel
centro di Reykjavik, Islanda (2007).
03. Recupero di un’abitazione unifamiliare
nel centro storico di Porto (2015).
04. Casa privata a Porto: realizzazione di
pezzi unici di arredo (2016).
03
04
77
05-08. Progetto di
ristrutturazione di un
edificio degli anni Trenta
a Porto da riconvertire
in abitazione ed uffici
a Porto. In fase di
realizzazione (2019).
socio: cercavano attivamente investitori interessati
e presentavamo loro progetti di investimento. Ma
era ancora troppo presto, il momento del boom del
recupero sarebbe ancora tardato ad arrivare.
Inaspettatamente mi si presentò un’opportunità
lavorativa in Islanda: fui invitata a partecipare
assieme ad uno studio islandese ad un concorso
per la riconversione di un intero isolato nel centro
di Reykjavik. Era il progetto di un complesso
multifunzionale con galleria commerciale, sala per
spettacoli, art point, abitazioni, uffici, parcheggio
sotterraneo e hotel con 110 camere. Mi trasferii in
Islanda per tre mesi per lavorare a questo concorso,
e il risultato arrivò: il nostro progetto si classificò
al primo posto. Purtroppo però, per cambiamenti
che sopraggiunsero nella amministrazione politica
di Reykjavik, il progetto non fu mai costruito.
L’Islanda viveva ancora un periodo di entusiasmo
finanziario, il costo della vita era alle stelle e
c’erano parecchie opportunità per un paese di
dimensioni così ridotte. Ritornai così a vivere
in Portogallo ma continuai a lavorare per clienti
islandesi fino a quando, un bel giorno dell’anno
05
06
08
78
06
« Oggi mi divido tra l’attivitá
del lighting design e il recupero
architettonico, settore
che negli ultimi cinque anni
sta vivendo un vero e proprio boom
in Portogallo »
2008, mentre stavo lavorando al progetto esecutivo
per una sede della banca islandese Landsbankinn,
ricevetti la telefonata dei clienti che mi invitarono
a chiudere ed archiviare quel lavoro perché la
banca era ufficialmente fallita. Il 2008 fu l’anno
che segnò l’inizio della crisi economica che colpì
in modo trasversale tutti i paesi europei, e non
solo.
In quell’occasione trovai opportunità e interesse
per un mercato di nicchia nell’ambito del design,
che si trasformò in seguito nella mia attività
principale: il lighting design legato a eventi
temporanei e festivi. Un settore che ha le sue
origini nel mondo artigianale, del tutto locale,
delle luminarie. In Portogallo, così come nel sud
2019 #02
09-12. Disegni di progetto e
immagini del recupero di
una villa rurale nel nord del
Portogallo (2018).
10
09
Italia, c’è sempre stata una fortissima tradizione di
feste popolari. São João a Porto e Santo António
a Lisbona sono i patroni delle due principali città
portoghesi. La festa religiosa diviene un pretesto
per festeggiamenti molto sentiti, dal carattere del
tutto profano, partecipati da popolazione di tutte
le fasce d’età e di ogni classe sociale. Durante
questi periodi si vive ancora un’esperienza dal
sapore autentico, in cui domina il carattere della
tradizione locale portoghese e passa in secondo
piano la recente faccia globalizzata e gourmet delle
città.
In Portogallo esistono aziende che fino a qualche
decennio fa si sono occupate esclusivamente di
luminarie per le feste popolari, e hanno sviluppato
l’arte del costruire delle vere e proprie architetture
di luce. Sono piccole e medie imprese che
custodiscono il segreto del “saper fare” manuale,
che lavoravano originariamente con strutture in
legno, poi sostituito dal metallo, con lampade a
incandescenza – dismesse poi a favore dei LED
– e con materiali vari che potenziano gli effetti
di riflessione o diffusione della luce. Negli ultimi
decenni alcune di queste realtà aziendali hanno
saputo adattarsi a nuove esigenze del mercato,
117
12
11
79
13
13-14. Mondo Verde e
Albero di Natale di
triangolazioni, sculture di
luce visitabili realizzate
per le festività di fine
anno a Parigi, La
Défense (2018).
15. Code di Pavone,
realizzazione di
un intervento di
illuminazione di fine
anno per Bond Street,
Londra (2014).
14
80
orientando la loro attività verso settori analoghi,
come ad esempio la realizzazione di installazioni
effimere e temporanee per festival di lighting
design nazionali e internazionali.
Una buona parte del mio lavoro oggi consiste
nell’ideazione e progettazione di installazioni
luminose per una di queste imprese (Castros
Iluminações Festivas). La maggior parte dei
progetti per tale azienda sono stati sviluppati
per essere installati in ambienti outdoor e a scala
urbana, e sono stati realizzati in luoghi geografici
diversi, non solo in Europa ma anche in Medio
Oriente e in Africa. In Europa hanno coinvolto
rinomate strade di importanti città come Oxford
Street e Bond Street a Londra, la Défense a
Parigi, Promenade du Paillon a Nizza, Corso
Como a Milano; a Dubai e in altri Emirati Arabi
le installazioni luminose sono state allestite per la
partecipazione a numerosi festival; in città africane
dell’Angola, Costa d’Avorio, Gabon e Mali sono
stati illuminati a festa interi quartieri e edifici
emblematici.
É interessante notare il carattere doppiamente
effimero dei manufatti che nascono
da questo settore del design.
Effimero in quanto si tratta di
strutture e installazioni provvisorie,
ma anche per il fatto che questi
prodotti si basano sulla luce,
elemento del tutto impalpabile e
fugace.
Se ci chiediamo quale sia il motivo
del successo a scala mondiale di
questa nostra attività, credo che la
risposta risieda in un duplice motivo:
in parte negli effetti commerciali
della globalizzazione, per cui un
prodotto che ha successo a Londra o
a Parigi rapidamente viene richiesto
e acquistato in svariati luoghi
16
del mondo. Ma in parte anche in
una ragione sociologica più profonda, cioè la
trasversalità della socialità intrinseca dell’Essere
Umano e la necessità di appartenenza al gruppo,
che fanno sì che il commemorare eventi e date
socialmente marcanti con festeggiamenti collettivi,
siano esigenze comuni a paesi così distanti e così
diversi culturalmente ed economicamente.
17
15
2019 #02
Oggi mi divido tra l’attività del lighting design e il
recupero architettonico, settore che negli ultimi
cinque anni sta vivendo un vero e proprio boom in
Portogallo.
•
16. Canneto di luce, illuminazione
permanente nella downtown di
Dubai (2012).
17. Nuvole di luce, intervento di
illuminazione concepito per
Corso Como a Milano. Progetto
vincitore del concorso di lighting
design LED Festival (2010).
18. Castello fiabesco, architettura
di luce realizzata a Nizza
in omaggio al castello di
Neuschwanstein in Germania
(2015).
18
117
81
{DiverseArchitetture}
MOTORI
A TUTTA BIRRA
Un’officina a Castelnuovo del Garda e
motociclette storiche da personalizzare per
appassionati di Café racer, sono gli elementi
con cui nel 2015 Luca Danese dà origine
all’avventura di Apache Custom Motorcycles. La
trasformazione del brand in una vera e propria
attività imprenditoriale ha reso necessaria
la ricerca di un luogo iconico per lo sviluppo
Un contenitore multifunzionale riunisce attività che nascono dalle passioni imprenditoriali dei soci
attorno agli innesti architettonici di Nico Sandri che hanno rimesso in moto gli spazi
delle attività. Da ottobre 2018, la svolta
con un nuovo spazio che è officina, showroom e
quartier generale e l’ingresso di due nuovi
soci, Carlo Battaglino e Mark Hartmann.
Apache Custom Motorcycles “abita” il
primo piano interrato del complesso di Largo
del Perlar 22, posizione toponomastica che
sintetizzata nella sigla LP 22 dà il nome ai
Testo: Luisella Zeri
nuovi locali. L’accesso avviene in realtà
dalla secondaria via del Perlar tramite una
ripida rampa di garage e un ampio portone
scorrevole in metallo dove una maniglia rossa
cattura lo sguardo ed invita ad entrare.
Lo spazio che oggi accoglie
02
03
l’attività di Danese e soci
non è nuovo all’eco di motori
roboanti: al piano terra trovava
posto fino a quindici anni fa una
concessionaria di auto di lusso,
che nei locali al piano primo
interrato svolgeva attività di
officina correlate alle operazioni
Nome
lp22 - apache custom
motorcycles
di pre e post-vendita.
Inizialmente l’aspetto del
locale era quello di un ambiente
vuoto, spartano e meramente
Luogo
via del perlar - verona
Attività
Officina, showroom,
customizzazione moto
d’epoca
Contatto
www.apachecustoms.it
funzionale a cui si aggiungevano
consistenti problemi tecnologici
dovuti ai tanti anni di chiusura.
Nonostante inizialmente lo spazio
dovesse rimanere fortemente
legato a quella che era sempre
stata la sua funzione, l’ampia disponibilità
sfera di prodotti rendendo sempre più urgente
carte in tavola, anche perché all’attività
sviluppare. Ecco quindi che l’interrato di
di metri quadri ha ben presto rovesciato le
di customizzazione si stava lentamente
affiancando una piccola produzione di magliette
stampate e birre artigianali. Il marchio
stava sostanzialmente ampliando la propria
01
82
2019 #02
05
04
117
la necessità di uno spazio dove poterli
Largo del Perlar diventa un vero e proprio
vuoto da cui partire per la ricerca di una
nuova identità visiva.
Il progetto dello spazio, a firma
01. Il varco separato da bandelle di
plastica divide la zona del lavaggio
moto.
02, 05. Grazie alla sua flessibilità lo
spazio può accogliere diversi eventi.
03. Particolare della lama di acciaio a
pavimento.
04. Il grande blocco lapideo nell’area
cucina.
83
{DiverseArchitetture}
dell’architetto Nico Sandri – alcuni suoi
lavori sono stati pubblicati su «AV» nei
numeri 106 (pp. 16-23) e 114 (p. 107) – è
uno spartitraffico o la segnaletica di una
uno spazio iconico e rappresentativo
un’officina, che si scorge attraverso grandi
aperture dalla forma irregolare, e ancora
una sala riunioni, uffici, una sala pose e
poi all’improvviso una cucina. E se già una
certa promiscuità di funzioni stride con
l’idea tutta olio e grasso di uno spazio
dove i motori sono di casa, una domanda
sorge spontanea: perché una cucina? Che
poi, chiamarla in questo modo forse è
approssimativo, perché appena ci si imbatte
nello spazio destinato a questa funzione,
la prima cosa che si nota è un grande tavolo
di marmo bianco, una sorta di “scultura
funzionale” realizzata da un’azienda veronese
che opera nel settore della lavorazione della
pietra per il design e l’architettura.
La cucina diventa così il nodo attorno
al quale si declinano le varie attività.
Lo spazio è flessibile, soprattutto l’ampio
corridoio centrale che può accogliere
veicoli in esposizione e contemporaneamente
eventi delle più disparate tipologie. Il
tema della strada, del motore,
dei chilometri macinati rimane
sotteso in ogni ambiente anche
se aprendo una o l’altra porta
cambiano gli scenari. La sala
riunioni è dominata da un
gigantesco tavolo rotondo in
marmo bianco.
In parallelo, l’ambiente
di lavaggio delle moto è
caratterizzato da un varco
industriale in strisce in
plastica trasparente, mentre
i bagni danno l’impressione
di essere improvvisamente
catapultati in un autogrill, con
lo spazio dominato da lavabi
07
84
LP 22, da un enorme salone vuoto diventa
così, con pochi tocchi secchi, essenziali e un
carreggiata stradale. Poi troviamo ovviamente
08
fa certo dimenticare dove ha origine tutto.
dominato da una lama di acciaio a pavimento
che attraversa il vano centrale, evocando
06
uno sfondo giallo-stazione di servizio che non
comuni, specchi a tutta parete e
2019 #02
minimo catalogo di materiali da costruzione,
fortemente legato al mondo dei motori ma
aperto a chiunque riesca a sposare il pensiero
di chi lo ha fondato. La tensione fra l’aspetto
industriale dell’officina e quello ricercato
dell’abitazione è in continua alternanza.
Se il blu profondo della sala riunioni
ricorda una grotta, le vetrate a soffitto
che portano luce nell’interrato sono state
scelte fra quelle che generalmente vengono
posizionate nelle abitazioni.
09
10
Il pavimento in resina, che è
servito per livellare i dissesti
preesistenti, si contrappone
al ripulisti impiantistico del
soffitto. Se cerchiamo giubbotti in
pelle e tatuaggi che occhieggiano
da gilet sfrangiati, rimaniamo
delusi, perché nonostante
il brand inizialmente si sia
rivolto a un generico pubblico
interessato a customizzare
la propria moto, nel tempo
l’immagine del cliente ideale
si è sempre più delineata in un
appassionato che ama i motori
ma li interpreta come elementi
11
di design che potenzialmente potrebbero
completare l’arredo del proprio salotto.
Apache Custom Motorcycles continua a
perfezionare l’idea del proprio progetto di
marketing. La customizzazione delle moto
è diventata anche quella di altri mezzi,
al secondo piano interrato dell’edificio
viene messo a disposizione un servizio
di rimessaggio per auto, le magliette
stampate sono ora una vera e propria linea
di abbigliamento venduta sull’e-commerce
online che attraverso fiere o negozi retail e
la piccola tiratura di birre è ora una gamma
nazionale. Attraverso il concept dello spazio
LP22 Danese e i suoi soci coronano, fino alla
prossima idea, il loro progetto: trasformare
un sogno in una filosofia in cui anche altri si
possano rispecchiare.
•
12
06. Lo specchio posto in
corrispondenza dell’ingresso
amplifica il logo LP 22.
07. Planimetria.
08. Compresenze: moto e cucina.
09-10. Veduta di cantiere e schizzo per
uno dei tagli irregolari nella parete
che divide il vano cenrale dagli
altri spazi locali destinati alle varie
funzioni.
11. Particolare del piano cucina con un
complemento di arredo lapideo.
12. LP 22 in assetto meeting room.
completa di varie ricette in più formati
distribuita in gran parte del territorio
117
85
6
VERONA
1
117
2
148 ALLOGGI GES.CA.L.
Via Brenta-via Bacchiglione- via Tartaro
1968-1970
CONDOMINIO LUNG. CAMPAGNOLA
Piazza Arsenale
1969-1970
5
Arrigo Rudi
a Verona
4
3
7
8
2
9
10
11
14
12/13
Verona
1 km
1
Testo: Barnaba Rudi
VIA BRENTA, VIA BACCHIGLIONE, VIA
8 – RESTAURO
APPartamento
TARTARO - 45.415588, 10.965407
VICOLETTO CIECO POZZO SAN
1 – ALLOGGI GES.CA.L.
Foto e disegni: Archivio Progetti IUAV (materiali originali)
Foto: Lorenzo Linthout (campagna attuale)
Il progetto, realizzato in collaborazione
con un pool di professionisti, riguarda
un insediamento Ges.Ca.L nel quartiere
delle Golosine su un’area di 26.000 mq di
cui 4.970 occupati da quattro edifici per
complessivi 148 alloggi di diversa tipologia
e superficie. L’apporto di Arrigo Rudi si è
limitato all’organizzazione tipologica dei
“blocchi”, il primo con quattro piani fuori
terra più porticato e due ali a tre piani più
porticato, gli altri con quattro piani fuori
terra più porticato. In ciascun blocco i
corpi scale servono due alloggi per piano.
Forse per la sua assoluta estraneità all’uso
dell’automobile, ha ricercato una soluzione
distributiva che consentisse di preservare
la viabilità pedonale. Non potendo
realizzare volumi interrati, per ovvie
ragioni economiche i garage, tutti collocati
nell’area centrale retrostante i fabbricati,
sono raggiungibili da una strada ribassata
interna, attraversata da passerelle di
collegamento e con attigue scale di risalita.
1
La piccola palazzina di quattro piano fuori
terra, posta all’angolo tra il lungadige e
Piazza Arsenale, prospetta sull’attiguo
ponte di Castelvecchio. Al piano rialzato
un grande appartamento con accesso
esclusivo ed uno studio, nei restanti livelli
tre appartamenti per piano dei quali, quelli
posti agli ultimi due livelli, godono, sui
due lati verso l’Adige, di ampie terrazze
aggettanti. Anche in questo caso lo sporto
di copertura possiede una geometria
parzialmente autonoma dal sottostante
impianto architettonico.
2
MARCO - 45.443159, 10.996394
È da parecchio tempo che mi si
chiede di adempiere all’impegno
di produrre una schedatura, sotto
forma di percorso, degli episodi
di edilizia privata e convenzionata realizzati da mio padre, Arrigo Rudi, sul territorio comunale
di Verona. Un compito a cui mi
ero sottratto sino ad oggi ritenendo che, in aggiunta ai lavori
già pubblicati nell’esaustiva ed
unica monografica a lui dedicata1 e qui sinteticamente riportati, ciò che rimaneva da testimoniare dell’operato di questo tipo
nella sua città, fosse da ritenersi
marginale e per alcuni versi accidentale.
Oggi mi sono ricreduto. Penso sia cosa giusta, da parte mia,
sempre affettuosamente ricordarlo.
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Nel 1980, vinto il concorso a cattedra come professore ordinario
di Allestimento e Museografia
presso l’Istituto Universitario di
Venezia, il suo percorso professionale prese indiscutibilmente
un’altra strada. Si concretizzarono molti incarichi fuori dal territorio veronese e dal Veneto al
caro prezzo di un lento ma inesorabile processo di emarginazione
che lo vide scomparire, suo malgrado, dalla scena cittadina nella
veste di progettista, sempre nondimeno rivolgendo a Verona, sino
in fondo, la propria vis polemica e
il proprio impegno civile.
Tali addenda sono una quindicina, di cui solo otto sono reperibili perché custoditi da un decennio tra le collezioni dell’Archivio
Progetti dello IUAV mentre i re-
stanti, perdendosi ogni traccia di
tipo documentale, sono individuabili oramai soltanto nell’elenco cronologico del suo curriculum generale. Uno soltanto, per
le dolorose vicende professionali
che lo hanno caratterizzato, credo sia doveroso non menzionare.
Le aggiunte riguardano nel dettaglio tre complessi d’edilizia
sovvenzionata, tre piccoli “condomini” di iniziativa privata costruiti da tre diverse imprese edili con intenti speculativi, e infine
due ville, la prima sulle Torricelle, la seconda in località Santa
Maria in Stelle, tutti lavori compresi in un decennio tra il 1968 e
il 1978.
•
1 Cfr. Arrigo Rudi. Architettura,
restauro e allestimento, a cura di
V. Pastor, S.Los e U. Tubini, Marsilio,
2011.
2 – COND. CAMPAGNOLA
PIAZZA ARSENALE
45.441310, 10.987451
9 – ristrutturazione e
integrazione edifici
3 – VILLA G. MONDADORI
VIA PORTA CITTADELLA
45.437081, 10.993944
V. DEI COLLI - 45.454616, 10.996323
4 – COND. LA FORESTA
VIA DELLE AGOSTINIANE
45.466980, 10.987279
10 – COND. TEODORICO
VIA INTERRATO REDENTORE
45.444840, 11.002937
11 – CASA TANSELLA
5 – VILLA TOMEZZOLI
VIA CARDUCCI
AVESA- VIA PAIOLA
45.476198, 10.989161
45.442320, 11.006460
6 – VILLA PUTTINI
S. MARIA IN STELLE - V. CORNELIANO
45.495186, 11.035289
7- CASA JERIMONTE
VIA PONTE PIETRA
45.447322, 10.999560
12/13 – CASA ALBERGO
PER ANZIANI
VIA N. MAZZA
45.438899, 11.008655
14 – COND. BELLA AURORA
VIA FAINELLI – 45.440729, 11.034166
consulta la mappa
su google maps:
https://goo.gl/maps/
q6jcSHHB7kgnSC8V9
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VILLA GIORGIO MONDADORI
Viale dei Colli
1967-1975
CASE GES.C.AL. LA FORESTA
Via delle Agostiniane
1971-1972
ristrutturazione villa tomezzoli
Avesa - Via Paiola
1977-1983
villa puttini
Santa Maria in Stelle - Via Corneliano
1973-1975
L’edificio ad ”elle”, su due livelli, appena
sotto il Santuario della Madonna di
Lourdes, sulle Torricelle, in Viale dei Colli,
ha il suo fronte principale a sud, sudest. L’impianto bifamiliare si sviluppa su
di una balza, 4 metri circa sotto il livello
della strada. Una teoria di ampie terrazzebelvedere, ridimensionate in corso d’opera,
permettono l’affaccio sulla città sottostante,
il lato corto guarda in direzione della chiesa
di San Giorgio in Braida e la cattedrale
del Duomo, il fianco lungo prospetta sul
declivio ad est della Valdonega.
Trattasi di un piccolo edificio ad Avesa,
finanziato con i fondi della legge n.60
del 1963, Gestione Case Lavoratori.
L’impostazione distributiva è alquanto
semplice. Nel piano terra i garage per i dieci
appartamenti previsti ed una ampia zona
porticata su “pilotis”; al piano scantinato,
servita dalla scala e dall’ascensore, la
centrale termica collegata all’esterno da
una scala autonoma dal porticato e le
cantinole; al primo, secondo e terzo piano,
organizzati attorno ad un nodo scale
centrale, tre appartamenti pressoché eguali
costituiti da cucina-pranzo-soggiorno, tre
camere da letto e doppi servizi, disposti
a trifoglio attorno al nodo scale centrale.
All’ultimo e quarto livello un ultimo
Si tratta del restauro e ristrutturazione di
una abitazione del XIX secolo composta da
un corpo centrale a tre piani e barchesse
laterali. Per quanto concerne le facciate
si è provveduto a ripristinare, ripulendo le
superfetazioni perpetrate nel corso degli
anni, la leggibilità del partito architettonico
originario. All’interno la progettazione ha
preso in esame l’inserimento al piano terra
di un nuovo nucleo servizi su cui gravitano
la cucina, l’atrio ed il salotto, nonché la
formazione di nuovi elementi strutturali in
sostituzione o a supporto dell’impianto
esistente, quali travi e pilastri in ferro.
Il complesso, suddiviso in due unità
distinte, una per piano, possiede un’ampia
superficie seminterrata. La semplice
articolazione volumetrica è costituita da
due blocchi contrapposti in cemento
armato e mattoni dotati ciascuno di una
copertura ad un’unica falda. Un corpo scala
“condominiale” elicoidale si sviluppato
all’interno di un cilindro mozzato in
cemento armato faccia a vista.
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3
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appartamento come il sottostante, mentre
la restante superficie è occupata da uno
stenditoio condominiale e da una ampia
terrazza.
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Il progetto riguarda la ristrutturazione ed il
restauro di un piccolo edificio “terra-cielo”
sull’Adige con ingresso da Via Ponte Pietra.
Prima dei lavori l’immobile era organizzato
per livelli indipendenti: una drogheria al
piano terra e tre piccoli appartamenti ai
livelli superiori serviti da un corpo scala
comune. Ora tutti i piani formano un’unica
residenza, con nuove destinazioni d’uso
a seconda degli impalcati: le cantine
all’interrato, lo studio al pianoterra, la zona
notte al primo piano, la zona giorno per
pranzo e cucina al secondo, il vasto salone
passante al terzo ed infine, il soppalco nel
sottotetto che si affaccia sul salone. Una
struttura autonoma autoportante sorregge i
nuovi solai, la nuova scala in acciaio lungo il
muro in aderenza, un ascensore ed i piccoli
locali di servizio, lasciando a disposizione
dei vani maggiori i due affacci sul fiume e
sulla Via.
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casa jerimonte
Via Ponte Pietra
1985-1987
7
L’intervento di restauro, riguardante un
appartamento cinquecentesco in centro
storico a Verona, ha restituito, celata sotto
strati di intonaco e di vernici accumulatisi
nei secoli, chiara seppur frammentata
testimonianza della propria originaria
magnificenza. Il progetto è risolto con
la stesura di pochi eloquenti segni: i
profili dei due camini in ferro, una serie di
arredi disegnati e dimensionati secondo i
parametri suggeriti dalle proporzioni delle
zoccolature degli affreschi, Il volume a
“scatola” del bagno padronale, il nuovo
controsoffitto nella zona ospiti, vista
l’impossibilità di recuperare i soffitti originari
e poco altro.
10
ristrutturazione e integrazione
complesso di edifici
Via Ponte Cittadella
1978-1979
restauro appartamento
Vicoletto cieco Pozzo San Marco
1987-1992
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L’edificio progettato occupa, accorpandoli,
i primi due lotti dell’isolato verso Ponte
Cittadella. Il primo, costituito dai relitti
salvatisi dalla distruzione bellica e dallo
scoperto ottenuto dalla rimozione delle
macerie, il secondo, con accesso esclusivo
da Piazza Cittadella, dove sono tuttora
riconoscibili un edificio dalla facciata
neoclassica ed uno ad “L” verso Via
Adigetto. Per la parte bombardata la
ricostruzione si è mossa dalla rilettura,
scevra da velleità mimetiche, dell’impianto
preesistente, per la parte esistente,
mantenendo le strutture orizzontale,
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condominio teodorico
Via Interrato Acqua Morta
1970-1972
9
verticali e le facciate si è perpetrata
una riorganizzazione degli spazi interni
conservandone l’impianto tipologico.
10
Quanto realizzato, su iniziativa dell’impresa
edile Faccioli-Vesentini, risulta oltremodo
discostarsi dal impianto di progetto
originario. L’impostazione generale
prendeva infatti spunto dal complesso
articolato dei fatiscenti edifici in essere, tra
Via Interrato Redentore e Vicolo Orologio,
che furono demoliti per fare spazio al
nuovo complesso. L’attuale immobile, la cui
direzione lavori fu dell’ing. Angelo Vesentini,
ha conservato parte dell’impostazione
distributiva, ma vede oltremodo
semplificata sia l’originale autonoma
geometria della falde di copertura che il
partito architettonico dei prospetti, che
sarebbero dovuti essere generati dalla
naturale aggregazione degli elementi
determinati le singole unità abitative.
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casa tansella
Via Carducci
1988-1992
Trattasi del restauro di questo piccolo
complesso edilizio risalente alla prima metà
del settecento. L’edificio consta di tre piani,
composti ciascuno da un appartamento,
che si affacciano su Via Carducci, oltre che
ad un interrato ed un sottotetto. L’intervento
ha riguardato il risanamento statico delle
strutture portanti e la riorganizzazione
distributiva della casa tramite la fusione dei
tre livelli in un’unica abitazione. I nuovi corpi
scala in acciaio consentono di realizzare
delle nuove relazioni sia spaziali che
funzionali.
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restauro e trasformazione
ex caserma in casa-albergo
per anziani - i lotto
Via Nicola Mazza
1968-1969
restauro e trasformazione
ex caserma in casa-albergo
per anziani - ii lotto
Via Nicola Mazza
1968-1969
Il primo lotto riguarda la rifunzionalizzazione
dell’ex convento di San Cristoforo e
della Formosa. Il progetto di restauro
elimina il volume storico perpendicolare
alla retro-facciata, eseguito dopo il 1820
quando il convento di San Cristoforo
venne trasformato in magazzino militare,
parzialmente danneggiato dagli eventi
bellici. L’originale portico del XIV secolo,
parzialmente conservato al piano terra,
non viene riproposto ai piani superiori,
proponendo su tutti i soprastanti tre piani,
uno spazio chiuso, coperto e calpestabile.
Il secondo lotto di completamento è
caratterizzato da una facciata che si
presenta con gli incontrovertibili segni della
continuità. Declina infatti al suo interno un
portale d’ingresso del tutto simile a quello
del primo lotto su via Nicola Mazza. Viene
conservato il ritmo delle bucature ed una
corrispondenza simmetrica attraverso un
susseguirsi di sedici arcate sovrapposte su
due piani. Anche in questo caso, come per
il primo lotto, rimane inalterata la facciata
storica su Via Mazza.
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case ges.ca.l. bella aurora
Via Fainelli
1968-1969
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L’edificio residenziale, finanziato in base
alla Legge n. 60 del 14 febbraio 1963,
ospita dodici alloggi in Borgo Venezia.
L’edificio è distribuito su quattro piani,
con tre appartamenti per piano di taglio e
distribuzione diversa, serviti da un unico
corpo scale. Gli appartamenti, tutti dotati
di doppi servizi, sono stati organizzati,
nel rispetto delle normative Ges.Ca.L,
rispettivamente con due, tre o quattro
camere da letto. Nella realizzazione è stata
posta particolare attenzione alla formazione
di adeguati spazi di servizio per l’uso
collettivo.
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Una giornata importante per Modo+, lo show room di design d’interni diventato il punto di incontro per architetti,
designer e per tutti coloro che amano il bello e la qualità nell’abitare.
1.500 metri quadrati a disposizione di Professionisti e Clienti in cui ogni singolo complemento di arredo trasmette
un’emozione che prende forma e spazio, dando vita ad ambienti davvero unici.
Ogni volta che Modo+, apre le porte per un Evento, quest’ultimo diventa un segno importante nel panorama del
design.
Quest’anno i partner di Modo+ sono a dir poco internazionali, con una storia e radici che ne fanno esempi di
italianità nel mondo a tal punto da poter essere considerati ambasciatori del nostro Paese.
Un evento che ha avuto due momenti importanti.
La parte dedicata agli architetti, che ha ottenuto anche il Patrocinio dell’Ordine degli Architetti della Provincia
di Verona, con la presenza di Poltrona Frau, azienda nata nel 1912, protagonista dell’arredamento made in Italy
e ambasciatrice dell’eccellenza italiana in tutto il mondo.
I relatori sono stati introdotti dall’architetto Laura De Stefano, Vicepresidente dell’Ordine degli
Architetti di Verona.
Nello specifico:
Paradiso Usberti: Sales and Operative Director – Divisione Custom Interiors di Poltrona Frau.
La sua relazione ha preso in esame l’intervento di Poltrona Frau nella fornitura ed installazione di 2100
sedute per la “Grand Hall” della Elbphilarmonie di Amburgo.
La Elbphilarmonie di Amburgo progettata dagli architetti svizzeri Herzog & de Meuron inaugurata
nel gennaio 2017 è il nuovo punto di riferimento culturale per la città di Amburgo.
Poltrona Frau Contract ha fornito ed installato 2.100 sedute per la “Grand Hall” ovvero la sala principale
destinata ai concerti e posizionata al centro del progetto a 50 metri di altezza.
Il nuovo complesso, che sorge dal recupero di un edificio industriale, ospita 3 auditorium, un hotel
e 45 residenze private.
L’architettura esterna si compone di due elementi divergenti sia dal punto di vista storico che da
quello estetico: antico e nuovo sono riuniti in un modo affascinante.
MIRKO SPLENDIANI: Product Design & Development Manager – Divisione Residenziale di Poltrona Frau
Ha illustrato il concept e le caratteristiche del divano Let it Be.
Evento MODO+ / Poltrona Frau
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Ispirato a un celebre pezzo dei Beatles, il divano Let it Be
esprime fin dal nome la sua filosofia rilassata
e accogliente, lontana da ogni formalismo e convenzione.
Il progetto di Ludovica e Roberto Palomba raccoglie
e rielabora anche l’idea antichissima del triclinio romano
dove ci si sdraiava, si mangiava, si conversava, si oziava.
E proprio questa libertà d’uso è il principio cardine di un
divano pensato come rifugio domestico attrezzato,
uno spazio polivalente da vivere secondo i propri ritmi.
Poltrona Frau ha la ricerca nel suo DNA che ha portato
l’Azienda a collaborazioni con più di 200 architetti e designer
da tutto il mondo.
Realizzazioni di pezzi senza tempo come Chester e Vanity Fair
fino ai successi attuali firmati come le collezioni firmate
da Jean- Marie Massaud, Roberto Lazzeroni e Ludovica + Roberto
Palomba.
Sempre attenzione a materie prime di altissima qualità
mantenendo il suo fulcro nella pelle.
Poltrona Frau conta oggi 3 divisioni: Residenziale, Interior in Motion
e contract.
Una seconda parte dedicata a tutti i Clienti di Modo+ con la
presentazione della Collezione Cockpit, le sedute da ufficio disegnate
dal Centro design Ferrari e prodotte da Poltrona Frau.
Le Cockpit sono state create per celebrare i 70 anni della Casa di
Maranello e racchiudono tecnologia e sartorialità.
Ineco Spa, concessionaria Ufficiale Ferrari per il Triveneto ha portato
all’attenzione dei Partecipanti dell’Evento 2 dei gioielli prodotti da Ferrari:
la Portofino e la GTC4 Lusso ed ha dato a tutti la possibilità di poter
mettersi alla guida di questi capolavori su quattro ruote che tutto il mondo
ci invidia.
Il successo dell’evento è testimoniato dalla partecipazione di 100 architetti e
da un numero di oltre 700 convenuti, per una serata di design e di buon gusto.
Non poteva certamente mancare MASI con i suoi vini dall’Amarone
alle Bollicine Canevel, ultimo arrivo in casa Masi.
Andrea e Federico Conati sono ancora una volta riusciti a convogliare
nell’innovativo contenitore di Modo+ realtà che operano in settori diversi
ma che hanno in comune il talento, il gusto, l’orgoglio, la visione.
Realtà che hanno contribuito e contribuiscono a creare quello che universalmente
è conosciuto come “Italian Style”.
Main partner:
Via Fontego, 10
San Pietro in Cariano - VR
T +39 0456831568
[email protected] / modopiu.it
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