Arte in teoria sempre riproducibile. Fusione e conio greci. Silografia, litografia, fotografia. Enorme accelerazione. Conquista un posto nell’arte e con il cinema retroagisce sull’arte tradizionale. Viene a mancare l’autenticità, la sua esistenza irripetibile, hic et nunc. Viene meno l’aura sottraendo il prodotto all’ambito della tradizione, si attualizza il prodotto. L’aura degli oggetti naturali, apparizioni uniche di una lontananza. E la perdita è quest’ultima è causata dall’esigenza di avvicinare le cose spazialmente e umanamente delle masse. Il desiderio di impossessarsi di un oggetto. Adeguamento della realtà alle masse. La riproduzione tecnica trasforma la funzione dell’arte che non si fonda più sulla tradizione ma sulla politica. La ricezione avviene secondo il valore culturale o espositivo. Accresce il valore espositivo e l’opera assume funzioni nuove. Con la fotografia quest’ultimo lo sostituisce e l’ultima trincea è il culto del ricordo, il volto dell’uomo. La prestazione dell’attore cinematografico viene presentata tramite una macchina, test ottici e perdita adeguamento. Si recita per una macchina e quindi l’attore perde la sua aura. Come l’uomo davanti allo specchio. Il cinema risponde con la costruzione della personalità fuori dagli studi. Ognuno può venir filmato. Perdita distinzione fra autore e pubblico. Pretesa dell’uomo moderno di essere riprodotto. Al cinema la reazione dei singoli è comportata dalla sua massificazione perché si da ad osservare ad una moltitudine. Colui che vede opera d’arte vi si immerge, la massa distratta fa sprofondare l’opera d’arte in sé. Pubblico esaminatore distratto.