Instantanés - Istantanee
Alain Robbe-Grillet nasce a Brest nel 1922. Ingegnere agronomo, scrittore, cineasta
(un esempio della sua produzione si può trovare qui: Glissements progressifs du plaisir), è
uno dei quattro maggiori scrittori del cosiddetto Nouveau Roman-Nuovo Romanzo
(scrittori pubblicati dalle Éditions de Minuit: Robbe-Grillet, Michel Butor, Nathalie
Sarraute, Claude Simon).
“Il Nouveau Roman non è una teoria, è una ricerca”, scrive Robbe-Grillet: si tratta in
effetti di un momento della letteratura francese (siamo tra il 1950 e il 1960 circa)
caratterizzato dal rifiuto della forma romanzesca tradizionale (rifiuto rivolto in
particolare alla trama, ai personaggi, alla verosimiglianza).
Famosissimo il suo quartier de tomate-quarto di pomodoro, i suoi romanzi più
conosciuti sono Le Gomme (1953), Il Voyeur (1955), La Gelosia (1957).
Muore a Caen nel 2008.
Pubblicata in Francia nel 1962 presso Les éditions de Minuit e in Italia nel 1963
presso Einaudi, la raccolta Instantanés-Istantanee, per quanto minuscola e poco
conosciuta, è un punto di vista interessante per guardare l'opera di Robbe-Grillet.
Proprio perché piccola, infatti, permette al lettore di individuarne meglio la struttura e
di prestare attenzione agli indizi, per arrivare infine a capire com'è fatta, e a che cosa ha
mirato, la ricerca personale dell'autore.
109 pagine nell'edizione francese, 73 in quella italiana, Instantanés è composta da sei
racconti, cinque dei quali pubblicati originariamente su rivista dal 1954 al 1962:
Trois visions réfléchies – Tre visioni riflesse (Il manichino, Il sostituto, La direzione
sbagliata)
Le chemin du retour – La via del ritorno
Scène – Scena
La plage – La spiaggia
Dans les couloirs du métropolitain – Nei corridoi della metropolitana (La scala
mobile-Un sottopassaggio-Dietro il portello)
La chambre secrète – La stanza segreta
Parlando di Robbe-Grillet è obbligatorio parlare di Roland Barthes (è stato detto che
non c'è Robbe-Grillet senza Barthes). Partirò quindi dalle osservazioni di Barthes sulla
scrittura di Robbe-Grillet:
[…] bisogna ricordare il fondo tradizionale sul quale si leva il tentativo di Robbe-Grillet:
un romanzo fondato da secoli come esperienza di una profondità.
[…] La scrittura di Robbe-Grillet è senza alibi, senza spessore e senza profondità:
rimane alla superficie dell'oggetto e la percorre in maniera eguale, senza privilegiare l'una
o l'altra delle sue qualità.
Il primo racconto delle Visions Réfléchies, Le mannequin – Il manichino, tre pagine
appena nell'edizione italiana, cinque in quella francese, conferma a prima vista questo
assunto: una caffettiera occupa nel testo una posizione primaria, all'inizio e alla fine del
testo e fisicamente al centro di un tavolo rotondo in una grande stanza, e da oggetto
comune che è diventa protagonista debordante, sostituendosi ai personaggi umani.
“Descrivere le cose” afferma Robbe-Grillet in Pour un Nouveau Roman, “[...] significa
piazzarsi deliberatamente all'esterno”. Ed è dall'esterno, infatti, che il lettore vede.
La caffettiera è sul tavolo.
È un tavolo rotondo con quattro gambe, ricoperto da una tela cerata a quadretti rossi e
grigi su un fondo neutro, un bianco giallastro che forse una volta era avorio – o bianco. Al
centro, una piastrella in ceramica fa da sottopiatto; il disegno ne è interamente
mascherato, o almeno reso irriconoscibile, dalla caffettiera che vi è posata sopra.
La caffettiera è in maiolica scura. È formata da una sfera sormontata da un filtro
cilindrico munito di un coperchio a forma di fungo. Il becco ha la forma di una S dalle curve
attenuate, leggermente panciuta alla base. L'ansa, se vogliamo, ha la forma di un
orecchio; ma di un orecchio mal fatto, troppo arrotondato e senza lobo, che avrebbe quindi
la forma di un'ansa da vaso. Il becco, l'ansa e il fungo del coperchio sono color crema.
Tutto il resto è di un bruno chiaro molto compatto, e brillante.
Sulla tavola c'è solo la caffettiera; davanti alla finestra, sulla destra, c'è un manichino e
dietro al tavolo si trova un camino con un grande specchio. In questo specchio si
riflettono metà finestra e un armadio a specchi. Così, per un gioco di riflessione di
riflessioni, nello specchio sopra il camino trovano posto tre metà di finestra: una riflessa
direttamente, le altre due riflesse in realtà nello specchio dell'armadio (due metà dritte,
una al rovescio: immagine, dunque, irreale). Nello specchio si vede anche, ovviamente, il
manichino, anzi tre. Il manichino centrale si trova
esattamente nella stessa direzione della caffettiera posata sul tavolo.
Alla fine della prima parte, scopriamo che la caffettiera si comporta a sua volta come
uno specchio – uno specchio però deformante:
Sulla parte sferica della caffettiera brilla un riflesso deformato della finestra, una sorta di
quadrilatero i cui lati sarebbero degli archi di circonferenza. La linea formata dai montanti
di legno, tra i due battenti, si allarga bruscamente verso il basso in una macchia piuttosto
imprecisa. Si tratta senza dubbio, ancora, dell'ombra del manichino.
Troppo minuziosa, la descrizione della caffettiera e dell'intera stanza, e troppo
esattamente orchestrata, per essere solo una descrizione. Fuorviante, certo, ma non del
tutto esaustiva né così satura come potrebbe sembrare. Infatti, di colpo, nella seconda
parte del racconto (evidenziata da una semplice spaziatura), al posto della figura umana
che probabilmente a questo punto ci si aspetterebbe, arrivano alcune stranezze, che
cominciano a dare un altro volto alla “freddezza” oggettiva mostrata fino a questo
momento.
La stanza è molto chiara, dal momento che la finestra è eccezionalmente larga, benché
non abbia che due ante.
Un buon odore di caffè caldo arriva dalla caffettiera che si trova sul tavolo.
Il manichino non è al suo posto: di solito lo si sistema nell'angolo della finestra dal lato
opposto all'armadio a specchi. L'armadio è stato messo là per facilitare le prove dei vestiti.
Il disegno del sottopiatto rappresenta una civetta, con due occhi grandi e un po'
spaventosi. Ma, per il momento, non si distingue niente, a causa della caffettiera.
Ecco arrivati, dunque, in sostituzione del personaggio classico, un occhio che svela gli
aspetti nascosti, una memoria che conosce le abitudini all'interno della stanza, un naso
che sente gli odori, e una mente che osservando deduce (dal momento che-benché).
Nient'altro. Il racconto finisce qui.
Non è inutile porre a questo punto l'accento sul fatto che la civetta, uccello notturno,
mette ovviamente lo sguardo in primo piano, così come è – di fatto – per tutta l'opera di
Robbe-Grillet (che abbandona, a un certo punto, la letteratura in favore del cinema); ma
nello stesso tempo, e tradizionalmente, la civetta rimanda sia a saggezza che a
demonicità.
Ritroviamo il manichino, o un suo simile, nel fantoccio di carta del secondo racconto,
Le remplaçant – Il sostituto: un alunno legge ad alta voce ai compagni un testo che
racconta di un presunto fatto storico. Il ripetitore (assistente del maestro, dunque un suo
sostituto) lo interrompe perché non legge bene. La classe guarda il fantoccio anziché il
libro, il ripetitore talvolta guarda all'esterno dove uno studente sta fissando un albero, e il
testo del libro, che tutti trovano noioso, è sostituito prima da un immaginario e poi dal
riassunto che ne fa un alunno.
Del riassunto viene però fatto uno strano resoconto all'imperfetto (si abbandona
dunque il passato remoto usato fino a quel momento: il rifiuto del passato remoto è
proprio del Nouveau Roman – ma come non ricordare qui André Breton che a supporto
della propria avversione per l'attitudine realista citava Paul Valéry e il suo presunto rifiuto
di scrivere frasi come “la marchesa uscì alle cinque”?):
Tuttavia dava troppa importanza a fatti secondari e, al contrario, menzionava appena, o
anche per niente, alcuni avvenimenti di primo piano. Poiché, oltretutto, insisteva più
volentieri sulle azioni che non sulle loro cause politiche, sarebbe stato ben difficile per un
auditore non esperto districare le ragioni della storia e i legami che univano le azioni così
descritte tra di loro come con i vari personaggi.
Questo passaggio, non privo di ironia, crea un parallelo piuttosto evidente con il tipo
di ricerca e di scrittura portata avanti da Robbe-Grillet e da tutto il Nouveau Roman:
abbandono della trama tradizionale, abbandono dei personaggi tradizionali, abbandono
della psicologia come terreno in cui scavare. A mio parere, ci troviamo qui, anche, di
fronte alla richiesta, al desiderio, forse, se non addirittura allo svelamento, di un lettore
più astuto, più esperto (un altro sostituto!), che richiama quello delineato da Nathalie
Sarraute in L'Età del sospetto: “Non soltanto il romanziere non crede più molto ai suoi
personaggi, ma il lettore, dal canto suo, non riesce più a crederci”.
Ne La mauvaise direction – La direzione sbagliata, assistiamo al passaggio
(sostituzione) da un paesaggio naturale, uno stagno sulla cui superficie si riflettono dei
tronchi – paesaggio, dunque, ancora una volta rovesciato, e all'interno del quale a un
certo punto arriva “un personaggio” e non una persona – assistiamo, dicevo, al passaggio
da un paesaggio a una scena:
La scena è di nuovo vuota. […]
Sul fondo delle strisce d'ombra, risplende l'immagine, tagliata in tronconi, delle colonne,
inversa e nera, miracolosamente lavata.
I tre aggettivi dell'ultima frase rimandano chiaramente a un linguaggio fotografico.
Ritroviamo un'altra scena nel racconto La scène – La scena, in cui, per farla breve,
esiste una sovrapposizione, che potremmo benissimo definire confusione, ma senza
dubbio si tratta di un'altra sostituzione, tra il piano della realtà e il piano della recitazione:
un attore (il “personaggio presente sulla scena”), impegnato in una prova, viene
interrotto da una voce, dall'ampiezza anormale poiché proveniente da un megafono, e
ricomincia da capo la sua recitazione.
“Più forte!”, dice il megafono in sala.
“Adesso, qui, la mia vita, ancora...” pronuncia la voce naturale – quella del personaggio
sulla scena.
“Più forte!”, dice il megafono.
“Adesso, qui, la mia vita, ancora...”, ripete il personaggio alzando il tono.
Poi si immerge di nuovo nella sua opera.
Molto altro si potrebbe dire di Istantanee, scendendo nei dettagli di un livello di
lettura molto attento (velocemente cito i tre bambini del racconto La plage – La
spiaggia, in cui la descrizione della spiaggia e del movimento sincrono dei bambini
occupa una parte preponderante rispetto alla storia, alla narrazione in senso tradizionale,
che è esercitata, per di più, e solo alla fine, in maniera parziale, illusoria, direi infantile).
Mi soffermo soltanto, per finire, sulla S della caffettiera, che ritorna nel racconto La
chambre secrète – La stanza segreta, l'ultima delle Istantanee.
Questo racconto era stato scritto, all'origine, su richiesta, per una pubblicazione che
poi però non si era realizzata: la richiesta era di descrivere un quadro a scelta, e RobbeGrillet sceglie un dipinto immaginario attribuendolo a Gustave Moreau (a cui il racconto
è dedicato).
Il testo mette in scena un crimine sessuale, e inizia con una descrizione fatta dei soli
elementi fisici della vittima e dello spazio (definito anche “décor”, scenario) in cui si
trova. Dopo aver descritto una macchia rossa, la scena, il corpo, un uomo sul fondo,
ecco che
Un fumo leggero sale in volute […].
Finché, a partire da una riflessione sull'illuminazione della stanza:
È difficile anche dire da dove viene la luce. Nessun indizio, sulle colonne o al suolo, dà
la direzione dei raggi. Non c'è d'altra parte alcuna finestra visibile, nessuna fiamma. È il
corpo lattiginoso stesso che sembra rischiarare la scena […],
lo sguardo dell'osservatore si sposta sull'uomo, l'assassino, già rivolto verso l'uscita, in
direzione di una scala i cui gradini
[…] diminuiscono poi progressivamente via via che si innalzano, e abbozzano nello
stesso tempo un ampio movimento a elica […].
L'uomo, inoltre,
il piede sinistro sul secondo gradino e il destro già posato sul terzo, il ginocchio piegato,
si è rigirato per contemplare un'ultima volta lo spettacolo. Il lungo mantello flottante che si
è gettato in fretta sulle spalle, e che tiene con una mano all'altezza della vita, è stato
trascinato dalla rotazione rapida che ha appena riportato la testa e il busto nella direzione
opposta al suo cammino, un lembo di stoffa sollevato in aria come per effetto di un colpo di
vento; l'angolo, che si arrotola su se stesso in una S abbastanza larga, lascia vedere la
fodera di seta rossa con ricami d'oro.
Il suo sguardo, ancora attratto dal corpo della donna senza vita riversa sui cuscini, e la
ripetizione ossessiva delle S, rivelano il lato infernale e sadico del desiderio, in cui il
lettore è per forza di cose coinvolto.
Tutti questi elementi sono sufficienti a rivelare un piano testuale quantomeno duplice
delle Instantanee: l'oggettività dell'oggetto da un lato e la soggettività dello sguardo
dall'altro, che rimangono però due elementi indipendenti.
Instantanee ci mostra, come del resto affermava Bruce Morrissette (il quale,
rovesciando la visione totalmente “esterna” di Barthes, ha applicato agli oggetti di
Robbe-Grillet la funzione di correlativi oggettivi, cioè di sostegni psicologici), che
nell'opera di Robbe-Grillet opera una falsa immobilità: così come in un'istantanea è
possibile catturare un istante di immobilità che corrisponde in realtà a una piccolissima
frazione di movimento, gli oggetti freddi, esteriori, vuoti, “lavati” (per riprendere un
aggettivo importante nel testo) di Robbe-Grillet chiamano d'altra parte un soggetto che
osserva, interpreta, pensa e si muove per passione – che non è più, però, il
soggetto/personaggio/narratore tradizionale.
“Il punto di vista di un personaggio romanzesco deve trasformarsi”, dice Morrissette,
“in una sorta di pensiero-immagine (ogni pensiero proietta sul mondo una sequenza di
immagini deformate più o meno secondo il grado di desiderio, di timore, di emozione
del personaggio)”.