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RIASSUNTI DI “LA FILOSOFIA NEL MEDIOEO. SECOLI VI-XV” – M. PEREIRA

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RIASSUNTI DI “LA FILOSOFIA NEL MEDIOEO. SECOLI VI-XV” – M. PEREIRA
Cap. 1 – Il pensiero medievale. Caratteri generali e approcci storiografici
Il Medioevo è un’era che va dal 500 al 1500 d.C. che vede un susseguirsi di trasformazioni della civiltà
occidentale dove la filosofia si era formata e diffusa in Grecia e a Roma.
Lo sviluppo del pensiero filosofico in questo millennio si divide in 2 tipi di impulsi:
1. Esterno, “sociologico”, legato alla disponibilità dei testi e alle forme istituzionali. Predominante fino alla
metà del XI sec.
2. Interno, lo sviluppo dottrinale, teologico e scientifico (sec. XI-XII) che promuovono lo sviluppo del
pensiero nella scolastica e che sopravvivrà fino all’età moderna.
Parallelamente a questi 2 impulsi, nel XIV sec. si svilupperà l’Umanesimo, in contrapposizione con la
filosofia e la teologia.
Alla fine del XVII sec. venne coniata la distinzione dei termini Antichità, Medioevo ed Età Moderna.
In questo periodo gli umanisti volevano rivendicare il distacco dal Medioevo, considerato come un’epoca di
decadenza e buia. Solo nell’800, in particolare in Germani e Francia, figure come Abelardo e Giovanni
Scoto Eriugena, ripresero interesse per il periodo medioevale.
Questa spinta verso gli studi medioevali si ebbe in ambito cattolico con la rivalutazione della scolastica,
contenuta nell’enciclica AeterniPatris. Nasce la Neoscolastica dove spicca la figura di Etienne Gilson, il
quale definisce la filosofia medioevale come “filosofia cristiana” che si sforza di trasformare la verità creduta
in verità saputa. Comprendere la rivelazione è la filosofia stessa.
Pierre Duhem, alla fine dell’800 approfondì la storia del pensiero scientifico della natura della filosofia
medioevale: sostiene che l’aristotelismo tardo-medioevale costituisce la base della scienza moderna
galileiana, dimostrando che vi è una continuità con l’epoca moderna fondata su paradigmi medioevali.
Cap. 2 – I luoghi dell’insegnamento filosofico
La sopravvivenza della cultura classica nell’Alto Medioevo fu dovuta principalmente ai monaci che
copiavano le opere dell’antichità. Essi utilizzavano questi scritti come oggetto dei loro studi, le così chiamate
arti liberali. I monasteri infatti erano i primi luoghi di insegnamento e la loro diffusione nell’Europa del Nord
e delle isole britanniche permise la conservazione dei manoscritti.
Tale attività è dovuta a figure quali Colombano e il suo discepolo Gallo, fondatori dei monasteri di Bobbio e
San Gallo, celebri per le loro biblioteche.
Carlo Magno progettò la grande riforma culturale (rinascita carolingia) che aveva come obiettivo quello di
organizzare le strutture amministrative del regno per mezzo dell’istruzione e la cultura ecclesiastica.
Le scuole carolingie infine divennero luoghi di dibattiti filosofici che vedono come figura di spicco
Giovanni Scoto Eriugena.
Le arti del trivio erano la grammatica, dialettica e retorica.
Fra il IX-X sec. nacquero scuole anche in ambito cittadino, per iniziativa ecclesiastica dipendenti dalle
autorità dei vescovi. Si introdussero nuove tematiche quali l’approfondimento delle arti del trivio, nuove
conoscenze matematiche e astronomiche, le arti meccaniche (agricoltura, architettura, medicina..) dette
anche “adulterine” perché il sapere si mischia con il fare.
L’insegnamento si era fatto più complesso e non si limitava più alla sola comprensione dei testi sacri, ciò
fece emergere una nuova figura, il chierico, cioè l’intellettuale e con la sua comparsa nacquero le università.
L’intellettuale erano un uomo celibe ed inserito negli ordini ecclesiastici minori, ma non legato al voto e
nemmeno alla vita monastica.
L’origine delle università non fu dappertutto uguale: a Bologna nacque da un’associazione di studenti, a
Parigi da studenti e professori e a Napoli per volere di Federico II.
Lo studio di Aristotele costituisce uno dei punti centrali di studio nelle università. Come emanato nel 1215
da Roberto di Courcon, si potevano studiare le opere di Aristotele della dialettica, mentre non si potevano
leggere quelle riguardanti la metafisica e la filosofia naturale: con questo divieto veniva ribadita la
scomunica lanciata dal sinodo parigino contro gli scritti aristotelici nel 1210.
Lo studio aristotelico mirava ad affermare la ricerca razionale e questa linea di pensiero finì per intaccare la
teologica agostiniana. Vennero condannati gli “avvertisti”, ovvero gli aristotelici radicali che seguivano il
metodo e l’interpretazione di Averroè.
Ciò che la chiesa non voleva era che si considerasse vera la filosofia di Aristotele e non la dottrina cattolica,
come se ci fossero “2 verità” opposte, che i filosofi pagani potessero trovare una verità opposta a quella
cristiana.
Oltre alla varie battaglie su Aristotele vi era un altro problema: la creazione delle 2 cattedre di teologia,
quella dei domenicani (fondatore Domenico di Guzman) e quella dei francescani (fondatore Francesco
d’Assisi). Lo scopo dei primi era quello di far fronte alle sette ereticali, come i catari. Ciò che fece insorgere
critiche fu il fatto che la povertà a cui devono stare i regolati on si concilia al mestiere dell’intellettuale nelle
università. Uno dei più accaniti avversari fu Guglielmo di Saint-Amour nel 1255.
Nel 1256 il Papa confermò entrambe le cattedre, designando Tommaso d’Aquino e Bonaventura da
Bagnoregio ad occuparle.
La nuova cultura filosofica si estese nelle corti e nelle città, agli inizi del ‘200 la curia di Federico II fu un
luogo di innovazione culturale, dove Michele Scoto realizzò nuove traduzioni dei testi aristotelici. La sua
corte si caratterizzava per una grande attenzione ai testi scientifici arabi.
Cap. 3 – Tradizioni testuali e nuovi generi di scrittura
La regola di S. Benedetto da Norcia pone la vita dei monaci sulla preghiera e sul lavoro: di quest’ultimo fa
parte anche la scrittura che ha permesso di salvare un grande materiale.
Nel monastero di Vivarium in Calabria si compila l’insieme delle discipline di età classica, le arti liberali
(chiamate così poiché rappresentavano le conoscenze di base di un uomo libero):
esse costituiscono le 7 discipline fondamentali, suddivise in:
1. Arti sermocinali: o del trivio: grammatica, dialettica e retorica.
2. Arti reali: o del quadrivio: aritmetica, geometria, musica e astronomia.
Nel regno visigotico della Spagna del VII sec, Isidoro di Siviglia costruisce la sua enciclopedia costituita da
20 libri; con il passare del tempo il genere si arricchisce di nuovi contenuti.
Tra il ‘200 e il ‘300 si assiste alla produzione delle prime enciclopedie in volgare: citiamo Brunetto Latini e
Conches.
Uno dei fattori più rilevanti di questa età scolastica fu il lavoro di traduzione, dovuto anche agli scambi
attraverso le crociate. Le opere scientifiche erano sopravvissute a Bisanzio dove si parlava ancora il greco e
da li erano state introdotte nel vicino oriente per mezzo dei cristiani nestoriani giunti in Siria.
Dopo la conquista della Siria da parte dell’Islam, le compagnie nate dalla predicazione di Maometto
assimilarono la cultura classica e avviarono un grande lavoro di traduzione di opere scientifiche. Qui spicca
la figura di Averroè, celebre per il suo commento ad Aristotele.
Con l’occupazione musulmana in Spagna e Sicilia, la cultura occidentale dette inizio ad un lavoro di
traduzione in lingua latina dei testi classici in lingua araba. La traduzione si svolgeva per mezzo di un
mediatore.
Nella scuola carolingia, il commento di un testo costituisce la forma predominante nelle produzioni scritte. Il
commento va dalla semplice glossa interlineare (spiegazioni di parole difficili) ai commenti veri e propri
dove il testo viene totalmente analizzato.
Le discussioni riguardanti gli aspetti della letteratura teologica abituarono i filosofi a praticare il metodo
questionativo, le cui basi furono poste da Abelardo e Gilberto de la Porrèe che si basava sull’uso del
sillogismo.
Si possono distinguere 2 momenti nel lavoro sui testi:
1. Lectio: lettura commentata. Permette di cogliere i diversi livelli di interpretazione, fino ai 4 sensi della
bibbia: letterale, allegorico, morale, anagogico. Può essere commentato dal maestro, oppure scritto da uno o
più discepoli, la reportatio. Le copie dei manoscritti venivano eseguite da copisti specializzati coordinati dal
libraio (stationarium) ai quali venivano affidati singoli fascicoli (peciae) del manoscritto ufficiale
(exemplar). Le singole peciae venivano poi riprodotte un certo n. di volte e assemblate per formare il
manoscritto. Era un procedimento molto costoso;
2. Quaestio: alcuni punti del testo vengono isolati e sottoposti ad un esame più minuzioso. Il maestro
esponeva la questione sottoforma di domanda e o lui stesso o il discepolo discuteva l’argomento. Si partiva
con un’ipotesi e infine il maestro giungeva ad una conclusione.
Questo era il procedimento sillogistico attuato da Aristotele, il ragionamento scientifico per eccellenza,
utilizzato fino al XVII sec.
Cap. 4 – La filosofia sulle altre sponde del Mediterraneo
L’epoca medioevale si caratterizza per un aspetto che la differenzia totalmente dall’età antica: il confronto
fra eredità culturali differenti sullo sfondo del difficile intreccio politico e antropologico tra civiltà cristiana e
di derivazione greco-romana e popolazioni barbariche, molto diverse per origine, cultura e strutture
economico-sociali. Per questo motivo si mantenevano a distanza.
Solamente nel V sec. con la divisione dell’impero romano d’occidente e quello d’oriente che le popolazioni
entrano in contatto. Questi contatti furono ripresi soprattutto durante l’impero carolingio.
Lo sviluppo della filosofia a Bisanzio fu caratterizzato dalla centralizzazione della vita culturale alla corte e
dall’utilizzo della lingua greca classica.
Gli scambi con l’occidente si intensificarono dal XII sec. fino a diventare sempre più importanti dopo il
concilio di Ferrare e Firenze (1438-1439) per riunificare le chiese d’occidente e d’oriente che vennero
separate con lo scisma del 1054.
Oltre all’influenza occidentale, dopo il XII sec. la filosofia islamica conobbe ulteriori sviluppi: sul piano
storico si può considerare la nascita del pensiero arabo-islamico come una conseguenza della riflessione sul
testo sacro (Corano). Si sviluppò una riflessione razionale sul Corano che si contrapponeva però ad una
interpretazione prescrittivo legale, così iniziò a formarsi il sufismo, movimento mistico.
La grande espansione dell’Islam dall’Arabia verso il Mediterraneo, mise i musulmani a contatto con la
cultura classica dei cristiani e degli ebrei che vivevano ei territori conquistati, assimilando solamente la parte
di cultura greca.
Con il califfato abbaside (750-861) e con la fondazione della Casa della Sapienza iniziò un’opera di
riflessione sulla possibilità di conciliare la filosofia greca e la religione. Alcuni personaggi di spicco furono
al-Kindi e al-Farabi.
L’islam unirà così la politica alla fede.
Avicenna: elabora la filosofia peripatetica. Vede la filosofia greca come strumento di “guarigione
dell’anima”. Per lui il mondo è stato creato dall’unico essere necessario, Dio. La conoscenza è resa possibile
all’intelletto umano dall’illuminazione che viene dall’intelletto agente. Egli distingue vari tipi di intelletto:
1. Intelletto materiale: potenzialità di conoscere che ogni uomo possiede;
2. Intelletto possibile: conosce i primi intellegibili;
3. Intelletto acquisito: insieme delle conoscenze acquisite attraverso l’unione con l’intelletto agente;
4. Intelletto santo: quello del profeta, capace di unirsi con l’intelletto agente.
Averroè: celebre per i suoi commenti di Aristotele in ebraico e in latino. Per lui l’intelletto possibile deriva
dall’unione del singolo uomo nell’atto conoscitivo potenziale e materiale, che è unico per tutta la specie
umana.
L’ebraismo si era confrontato con la filosofia ancora prima del cristianesimo.
Filone di Alessandria, scriveva in greco perché l’ebraico era considerato una lingua sacra e non veniva
utilizzata per filosofare.
Fra il IX e il XIII sec. il popolo giudeo si divide: Europa del Nord rimane più isolata rispetto alle comunità di
Spagna, Provenza e Italia dove l’atmosfera era più propensa agli scambi culturali. È nei paesi islamici che
l’ebraismo trovò maggiore integrazione, tanto da adottare l’arabo come lingua.
Cap. 5 – Eredi innovatori: Boezio, Dionigi pseudo-areopagita, Giovanni Scoto Eurigena
Boezio appartiene all’età classica, sia per la sua formazione che per la sua vita, anche se il suo lavoro
dedicato alla trasmissione del sapere classico e l’elaborazione del discorso filosofico-teologico che veniva
utilizzato per i dibattiti politici di Teodorico, lo collocano in età medioevale.
Nato da una famiglia senatoria, fu successivamente nominato console.
Tradusse opere di Aristotele e di Cicerone.
Egli potrebbe essere considerato sia aristotelico sia platonico.
È grazie a lui che la maggior parte della terminologia aristotelica è stata tradotta in vocaboli latini.
Il pensiero boeziano non si è formato in una scuola, bensì è il risultato della ricerca libera di un uomo: questo
lo accomuna a Cicerone. Però, mentre per Cicerone le discussioni filosofiche nelle scuole erano orientate a
proporre un modello di pensiero adatto al civis romano, per Boezio si trattava di salvare le strutture romane.
L’importanza di una lingua filosofica adatta e universale la troviamo nel proemio Eutychen et Nestorium,
dove riporta la differenza fra la posizione nestoriana, che vede cristo in 2 nature e 2 persone connesse in
un’unione morale. É la posizione di Eutiche (monofisismo) dove Cristo, pur risultando dalle 2 natura,
sussiste una sola natura, quella divina. Il trattato procede poi esaminando i diversi significati di “natura”.
Definizioni di Natura:
-La natura è propria di quelle cose che, in quanto sono, possono essere comprese in qualche modo
dall’intelligenze (definizione generale)
-Natura è ciò che può fare o ciò che può subire (sostanza corporea o incorporea)
-Natura è principio di movimento di per se e non per accidente (sostanza corporea)
-Natura è la differenza specifica che da forma a qualsiasi realtà (sostanza incorporea)
Definizioni di persona:
-Termine dal greco ypòstais, tradotto con il termine latino “persona” che dal punto di vista lessicale
corrisponde al greco pròsopa, maschera.
-Ypòstais, per i greci è la sostanza individuale di natura razionale.
Boezio in un’altra sua opera affronta il discorso fra il rapporto di creatore e creatura dove distingue l’esse
(essere in senso astratto) e l’id quod (soggetto esistente). Su questa fase distingue poi tra creatore e creatura,
si entra così nel problema del Sommo Bene.
Nel 523 Boezio difese Albino che era accusato di complottare a vantaggio dell’imperatore d’Oriente contro
il re goto e lo stesso Boezio venne poi accusato di sacrilegio ed eresia; fu ucciso per ordine di Teodorico.
Nella sua opera Boezio medita sui sommi bene che riguardano la vita dell’uomo.
La definizione di creatore come somme bene rende difficile la presenza del male nel mondo. La libertà di
agire dell’uomo nel mondo costituisce poi l’ultimo tema trattato. La contraddizione fra libertà umana e
necessità dell’ordine divino si risolve sottolineando la diversità del conoscere umano e quello divino rispetto
agli avvenimento futuri. L’intelligenza divina è eterna e l’eternità si trova fuori dai condizionamenti del
tempo. In Dio non vie è futuro ma un eterno presente.
Agli inizi del VI sec. apparve la figura di Dionigi, che in realtà è uno pseudonimo, negli ambienti
dell’impero d’Oriente. Egli sarebbe stato il primo vescovo di Parigi. Il trattato più ampio è quello sui nomi
divini dove viene affrontato il problema della teologia come ricerca intellettuale della conoscenza di Dio.
Esistono 2 vie per raggiungere la conoscenza divina:
1. Discensiva: dall’unità divina al molteplice creaturale. Si rintracciano attributi definiti a Dio come: uno,
bene, luce, amore…
2. Ascensiva: dal molteplice all’unità divina. Qui l’uomo si rende conto di non poter raggiungere mai la
conoscenza di Dio poiché è qualcosa di molto più grande rispetto a lui.
Nella sua essenza Dio è “privo di nome” poiché oltrepassa sia l’essere che il pensiero, ma è anche “dai molti
nomi” perché possono essergli attribuite tutte le proprietà degli esseri che derivano da lui.
L’universo, secondo Dionigi, è fatto da una serie di gerarchie. Le gerarchie ricevono dalla Tearchia divina (la
Trinità) l’essere e le energie spirituali per poi trasmetterle alle gerarchie inferiori. La gerarchia celeste è
composta da 3 ordini angelici, ciascuno dei quali è diviso in 3 sotto gerarchie: Serafini,
Cherubini, Troni – Dominazioni, Potenze, Potestà – Principati, Arcangeli, Angeli).
La gerarchia ecclesiastica continua quella angelica: il vescovo riceve l’illuminazione dagli angeli e la
trasmette attraverso la mediazione di presbiteri, diacono ai fedeli.
Giovanni Scoto Eurigena è un personaggio filosofico centrale durante la rinascita carolingia; è uno dei
pensatori più originali del Medioevo.
Egli affermava la necessità di utilizzare la ragione per interpretare la verità velata allegoricamente nel testo
sacro. Nell’850 viene inviato ad intervenire sulla controversia del monaco inglese Gotescalo, il quale
affermava la predestinazione divina, riprendendo ciò che diceva S. Agostino, ovvero che occorre la grazia
divina per la salvezza. Fu recluso in monastero.
Eurigena affermava che Dio ha dotato l’uomo di libertà di scelta. Affermare la doppia predestinazione
vorrebbe dire assegnare a Dio una doppia volontà. Fa l’es. del sole: “se io decido di guardarlo fisso mi
acceco, ma non per questo il sole dovrebbe essere considerato un male”.
Due sono i suoi assi portanti:
1. La struttura emanatistica: tutti i livelli del reale si strutturano secondo una gerarchia degradante
2. L’idea del ritorno: la struttura emanatistica è un processo che va dall’origine alla conclusione attraverso un
movimento di espansione e di implosione, o ritorno.
La sua opera principale è De divisione naturae dove ci da una definizione di natura.
Per il filosofo la mente umana struttura la conoscenza della natura attraverso una parte della dialettica: la
divisione (indica la discesa dall’universale all’individuo) e l’analitica (la risalita dall’individuale
all’universale).
Eurigena separa la Natura in 4 specie:
1. Quella che crea e che non è creata: indica il principio delle cose la spontaneità creatrice di Dio che crea
dall’assoluto al non essere;
2. È creata e crea: l’ idea archetipo, primo frutto della creazione divina;
3. È creata e non crea: il mondo, le creature in senso stretto;
4. Non crea né è creata: l’eternità, Dio alla fine della creazione (il riposo del settimo giorno).
L’essere umano, “immagine di Dio” è il punto nel quale la natura creata raggiunge la possibilità di compiere
il ritorno attraverso il riconoscimento, ad opera della ragione.
Il momento finale della storia, la resurrezione universale, vedrà il ricongiungimento dell’umanità a Dio della
ricostruzione della creazione originale, dove vengono abolite tutte le divisioni e la pena dei peccati.
Cap. 6 – Lo strumento della ragione alla prova del sacro
Tra i Padri considerati auctoritates dalla gerarchia ecclesiastica, ricordiamo fra i latini Tertulliano, Origene,
Ambrogio, Gerolamo e Agostino.
La questione sull’anima venne sollevata da Carlo il Calvo, egli interpellò i maggiori teologi della sua epoca
chiedendo se il legame dell’anima con il corpo implichi o no che essa sia circoscritta localmente da esso.
Alla questione rispose Ratrammo di Corbie che affermò la non-corporeità e non-localizzazione dell’anima.
Nell’856 si scatenò un altro dibattito riguardante il rapporto del sacro nell’Eucarestia con la natura materiale.
Ratrammo di Corbie, Pascasio, Gotescalo sostenevano la presenza solo spirituale del corpo di Cristo.
Un’altra questione era quella della dialettica: S. Agostino sostiene il valore della dialettica, la quale in sé non
è in contrasto con i misteri divini, anzi, risana e motiva la fede. Invece S. Pier Damiani, eremita, scrisse
molte opere trattando tematiche etiche dove il rifiuto della dialettica era stato finalizzato all’esaltazione delle
virtù necessarie della fede. Contrapponendo i “pescatori” ai “filosofi”, Damiani voleva accentuare la
necessità della forza e della magnanimità per una perfetta vita cristiana.
Pier Damiani mette a dura prova lo strumento della dialettica , proponendo un’altra tematica: non ci sono
cose che Dio non possa fare tranne il male. Alla domanda se Dio possa far si che ciò che sia accaduto non sia
accaduto (es. fa si che Roma non sia mai stata fondata) egli risponde distinguendo il diverso significato di
tempo rispetto all’uomo e rispetto a Dio. Poiché Dio è eterno, tutto quello che ha potuto fare un tempo può
farlo oggi, perché il suo presente non si trasforma mai in passato, né il suo oggi diventa mai domani.
La sua potenza rimane fissa ed immutabile.
Damiani distingue poi la” natura come corso regolare delle cose e natura come manifestazione della volontà
di Dio” (Il miracolo non è contro natura). Successivamente limita la capacità della dialettica fondata sul
principio di non contraddizione: non può essere applicato a Dio poiché la sua infinita potenza non può essere
soggetta alle limitazioni, di conseguenza la natura delle cose è determinata dalla volontà divina.
Filosofia e ragione di fronte alla fede devono porsi davanti alla teologia come l’ancella alla sua padrona
(figura ripresa poi da S. Tommaso d’Aquino).
Damiani non vuole eliminare l’uso della ragione ma vuole riconoscerne i limiti davanti a Dio.
Con l’avvento dei regni barbarici, muta il rapporto tra stato e chiesa.
Agobardo di Lione lamenta la perdita del carattere spirituale nei sacerdoti, ormai immersi in questioni
politiche e mondane.
La politica di C. Magno fece si affidò all’imperatore il compito di moralizzatore e protettore delle istituzioni
religiose, utilizzando come scusa il “diritto divino” dei re. Altri elementi di centralizzazione si verificarono
con le norme emanate dal concilio di Aquisgrana per regolare il sistema delle chiese private e di organizzare
i monasteri che seguivano la regola di S. Benedetto da Norcia. Si venne quindi ad instaurare la teoria dei 2
poteri. Papa Gregorio VII riprende da Agostino dicendo che il potere secolare non viene da Dio ma
dall’orgoglio degli uomini. Dio ha però permesso che l’istituzione del potere secolare funzionasse come
rimedio per la natura corrotta degli uomini, di conseguenza è il papa ad essere la salvezza umana.
Cap. 7 – Anselmo d’Aosta: scolastico e mistico
L’uomo che cominciò a dare slancio alla scolastica fu l’abate S. Anselmo d’Aosta con la sua “prova
ontologica sull’esistenza di Dio”. Nell’opera Porslogon egli riporta 4 porte che dimostrano l’esistenza di una
natura superiore a ciò che esiste, autosufficiente, beata e dotata di immensa bontà, che conferisce l’essere a
tutte le cose e le rende buone.
Le prove sono:
1. Tutti mirano al bene. Deve essere un fondamento comune, il Sommo Bene, del quale tutte le cose
traggono la bontà per partecipazione;
2. Dimostra che il bene sommo è l’essere più grande che possa esistere, da cui tutto l’ordine delle cose create
riceve grandezza;
3. Distanza ontologica fra il creatore e le creature, ci si chiede se le cose esistono in virtù della somma
sostanza che ha fatto tutte le cose o perché è la materia di tutte le cose;
4. Il modo nel quale gli enti sono ordinati secondo una scala di perfezione, per giungere alla conclusione che
ci deve essere una natura somma e perfetta.
Queste prove si fondano su una concezione metafisica e realistica, di matrice agostiniana e platonica, che
verrà poi ripresa da S. Tommaso e altri filosofi medioevali.
Anselmo dedicò due opere alla ricerca sulle arti del trivio, cioè tra la corrispondenza tra il pensiero, espresso
dalla parola, e la realtà. Anselmo considera la correttezza del parlare quasi come un dovere morale, a motivo
del legame fra significato delle parole e la realtà delle cose.
Il punto di partenza di Anselmo è il diniego dello stolto di ammettere l’esistenza di Dio: non cerco di capire
per credere, ma credo per capire. Alla base di questa affermazione vi è l’attribuzione dell’essere reale, che
permette di dire che una sola cosa pensata è ontologicamente inferiore a una cosa dotata di esistenza.
Quando si dice “qualcosa di cui nulla può pensarsi più grande”, lo stolto che nega la sua esistenza intende
quello che sente. Ci sono infatti 2 modi di pensare: si pensa una cosa quando si pensa la parola che la
significa (appellatio, in questo caso si può pensare che Dio non esista) oppure quando si pensa ciò che la
cosa è (significatio, allora si pensa che Dio esista).
Invece secondo il monaco Gaunilone le parole non rinviano alla realtà, occorre sempre una realtà sensibile
che conferisce significato alle parole. Se si ammette che le parole abbiano un senso si ammette anche il
legame necessario fra il mondo del discorso e quello della realtà. Gaunilone sostiene che non si può dedurre
l’esistenza di un oggetto pensato per il solo fatto che esso esista nella nostra mente.
In un’altra sua opera Anselmo parla di libertà umana e divina e della predestinazione. La libertà non sta nel
“poter peccare” o “non poter peccare” perché se fosse così, Dio, che non può peccare, non sarebbe libero.
Libertà è il potere fare il bene ed è il frutto di una scelta. All’origine di questa scelta vi è la decisione di
rinunciare all’amore di sé per potere abbracciare Dio.
Dal 1092 la vita di Anselmo cambiò radicalmente: lascia il monastero di Inghilterra e va sul seggio
episcopale di re Guglielmo II. Il contrasto che si formò con il sovrano lo spinse in esilio.
La necessità dell’incarnazione di cristo viene spiegata con il fatto che solo un uomo-Dio poteva espiare fino
in fondo i peccati dell’umanità. Anselmo escluse il ricorso alla scritture, proprio per dimostrare con la
ragione il mistero della duplicità di natura nell’unicità di persona.
Morto il re Guglielmo II, Anselmo tornò in Inghilterra e fu richiamato da re Enrico.
Alcuni studiosi considerano Anselmo come razionalista, altri come religioso.
Cap. 8 – La filosofia nelle arti del linguaggio.
I fattori che definirono il XII sec. come un periodo di rinascita furono la ripresa demografica, le nuove
tecnologie che permisero l’incremento della produzione agricola e il miglioramento dello stile di vita, la
ripresa della vita economica con l’aumento della circolazione della moneta e la creazione di grandi fiere e
mercati, spettacoli ed incontri. Questi elementi di rinnovo erano ben visibili nella vita religiosa: il
movimento religioso si concentrò sul tema del ritorno alla vita evangelica.
Nel IV concilio lateranense (1215) vi fu la nascita di nuovi ordini religiosi. La riforma cistercense mostrò
l’interesse per il mondo terreno in ambito religioso.
Nelle città si fondarono anche altre forme di vita: i primi beghinaggi, case dove donne sole o uomini soli
vivevano una vita di devozione, lavoro e insegnamento senza però essere vincolati a regole monastiche.
Lo studio delle arti del Trivio aveva raggiunto una grande importanza nel XII sec. La logica era definita
come una dottrina della verità o falsità del linguaggio. Il problema era il rapporto fra linguaggio e realtà:
Aristotele dice che tale rapporto è mediato dal concetto, inteso come simbolo della cosa designata.
Ci si chiede se le affezioni che hanno luogo nell’anima sono una sorta di “calco” psicologico della realtà
esterna oppure la loro universalità è solo mentale, espressione della struttura psichica degli uomini.
Rispondono S. Anselmo e Gaunilone che daranno origine a 2 correnti: il realismo e il nominalismo.
La logica stoica proponeva un modello diverso da quello aristotelico: riteneva che il concetto fosse solo un
segno eliminando il problema della corrispondenza reale con la cosa designata. In questo modo la logica è
una scienza autonoma che verte sulle proprietà fondamentali del linguaggio.
La logica vetus è l’insieme degli scritti tradotti da Boezio, è l’interpretazione della logica aristotelica; la
logica nova comprende la teoria aristotelica dei sillogismi, l’esposizione del metodo scientifico e la teoria
della scienza e poi vi è la logica moderna che riguarda la riflessione sul linguaggio, la dottrina del
significato, sulle costanti logiche e sull’interferenza logica.
La posizione nominalistica considerava i concetti universali come puri e semplici termini del discorso.
Un’esponente di questi era Garlando Compotista che rifiutava di considerare il pensare alla logica come
qualcosa di diverso dalle parole. Per lui ciò che un termine significa consiste nella sua applicazione a una
determinata classe di oggetti (estensione), mentre l’intensione (il contenuto) è considerata come un aspetto
modale. Le parole vengono così raggruppate in categorie, non in base alle differenze di significato ma in
base al loro modo di significare.
Roscellino diceva che “un colore non è diverso da un corpo colorato”, negare che gli universali possedessero
una realtà significava escludere che molte cose coincidessero in un’unica realtà. In questo modo però si porta
ad escludere, sul piano teologico, la forma trinitaria. Per questo riteneva che la logica dovesse essere
applicata anche alla teologia.
Una grande riflessione sul realismo fu fatta da Guglielmo di Champeaux dove affermava che i generi
stanno alla specie e le specie agli individui come la materia sta alla forma: riteneva che i termini logici si
riferissero ad entità reali e non ad espressioni linguistiche.
Il più grande pensatore logico del XII sec. fu sicuramente Pietro Abelardo. Allievo di Roscellino e di
Guglielmo di Champeaux al quale però faceva molte critiche e attaccò un punto
del suo insegnamento: la dottrina degli universali. Guglielmo sosteneva che in tutti gli individui è presente
la stessa essenza e che la loro varietà è conseguenza di una molteplicità di accidenti. In seguito, dopo la
discussione con Abelardo, cambiò la sua teoria dicendo che la realtà non si trova negli individui
essenzialmente ma indifferentemente. Tale cambiamento voleva salvare la singolarità degli individui
appartenenti ad una stessa specie.
Abelardo distingue le immagini mentali dalle cose fisiche e dalle realtà dell’intelletto (idee o concetti).
I nomi e i verbi creano immagini all’ascoltatore. Il linguaggio si riferisce alle cose reali attraverso la
mediazione dei nomi. I nomi sono vox (se ci si riferisce al vocabolo o suono fisico) o sermo (entità
linguistica dotata di significato): un termine ha valore universale quando esprime un significato. Il nome
universale indica l’idea, il concetto di ciò a cui si riferisce (es. uomini, penso all’idea di uomo. Socrate,
penso ad una persona in specifico).
Questa soluzione del problema degli universali è detta concettualismo.
Dopo essere andato in clausura nel monastero di San Dionigi venne condannato dal Concilio di Soissons per
la concezione trinitaria.
Egli ritenne di far ricorso alle dimostrazioni filosofiche per mostrare la convergenza del testo sacro con la
filosofia greca, cosa che scrisse nella sua opera Sic e non: si tratta di una raccolta di opinioni contrastanti
sulle verità della fede cristiana. Secondo lui i testi vanno sottoposti alla critica seguendo 5 regole: analizzare
il significato dei termini nel testo esaminato, indagare se i testi sono autentici, i testi devono poi essere
esaminati nel contesto complessivo dell’opera del loro autore e quando non è possibile risolvere le
opposizioni di opinioni si deve scegliere l’autore la cui dottrina è più certa nell’ambito dell’insegnamento
tradizionale della chiesa.
Negli ultimi anni Abelardo esamina il tema etico della libertà umana e sulla gestione della chiesa del
problema del peccato. Fa una distinzione fra vizio e peccato. Il vizio è un difetto dell’anima, una tendenza
sbagliata che però non implica anche l’atto. Il peccato è anche il “Non fare”, l’”omettere”, non sempre
indica un’azione malvagia, è la decisione interiore di andare contro il volere di Dio.
Cap. 9 – L’uomo, il mondo e Dio
La divisione classica della filosofia in logica, etica e teoretica si giustappone alle 7 arti (liberali). Esponenti:
il grammatico Bernardo di Chartrse e suo fratello Teodorico, Guglielmo di Conches, maestro di
Giovanni di Salisbury. I filosofi chartriani utilizzano materiali antichi per affermare convinzioni nuove, il
loro filosofo pagano di riferimento è Platone.
La comprensione dei testi antichi (l’allegoria) ha lo scopo di permettere una lettura filosofica della sacra
scrittura. Il tema al centro dell’attenzione era quello della creazione.
Teodorico: per lui la lettura della creazione si struttura sullo schema delle 4 cause (efficiente, formale, finale
e materiale). Queste 4 cause vengono identificate alle 3 persone della trinità e con la materiale primordiale
della creazione. Il padre è causa efficiente (crea), il figlio è causa formale (dà alla materia creata forma e
ordinamento) e lo spirito santo è la causa finale (ama e regge la materia).
Per lui e Guglielmo i 4 elementi della natura (terra, acqua, aria e fuoco) costituiscono la struttura base di tutti
i corpi creati, macrocosmo e microcosmo, attraverso la loro mescolanza tramite proporzioni aritmetiche.
Lo schema del cosmo è preso da Aristotele: una struttura di sfere concentriche al cui centro sta immobile la
terra. L’interesse per il cielo è legato al desiderio di comprendere il nesso sugli avvenimenti terrestri e sulla
vita degli uomini.
La lettura filosofica della creazione è indispensabile per analizzare il rapporto creatore-creatura.
Dio è unità, tutte le cose tendono a lui in modo naturale. In questo ambito vi è la figura di Gilberto de la
Porrée, egli riprende la distinzione fatta da Boezio, l’esse e il id quod est. Solo in Dio i 2 termini coincidono.
Fu accusato nel 1148.
Bernardo di Tour, letterato, molto interessato alla filosofia di Teodorico e ne tenta una traduzione in veste
poetica. Elabora la Cosmographia che si divide in 2 parti: nella prima si parla della formazione del mondo,
nella seconda della formazione dell’uomo. La conclusione contiene un’esaltazione della sessualità umana
che combatte contro la morte con le armi della generazione, rinnova la natura e non permette l’estinzione
umana. L’elemento che caratterizza la sua poesia è l’uso di personificazioni, quali Natura, Silvia (materia
prima), Nous.
Anche i 2 poemi di Alano di Lilla hanno molte allegorie, in un poema descrive il mito della formazione
dell’uomo dove conclude dicendo che la creatura umana è opera di Dio ma sempre attraverso la mediazione
della natura.
Nel XII sec. nasce la Scuola di san Vittore fondata a Parigi da G. Champeaux. Ugo da san Vittore, più
grande esponente della scuola, distingue i 3 saperi che l’uomo aveva prima del peccato originale: l’anima
aveva ricevuto l’occhio della carne per vedere il mondo, l’occhio razionale per vedere se stesso e l’occhio
della contemplazione con cui vedere Dio.
Nella sua opera distingue poi i 3 ruoli della filosofia: la ricerca di ciò che è l’uomo, da dove viene e infine
comincerà a meditare sulle opere del suo creatore.
La ricerca della verità appartiene alla filosofia teoretica, l’indagine della virtù costituisce l’etica e ciò che è
destinato ad alleviare il disagio è la meccanica.
Secondo lui all’origine della fede vi è l’amore e in seguito sviluppa una dottrina della contemplazione
distinta in 3 generi: immaginazione, ragione e intelligenza.
Cap. 10 – Le vie della sapienza: profezia, ricerca mistica, ermetismo
Il fermento religioso provocò nuovi modi di pensare, ci sono le sette religiose, tra cui i Catari che non
riconoscono l’antico testamento, l’incarnazione e la chiesa. Essi riformularono una dottrina dei sacramenti
legata alla valorizzazione dello spirito e dove la carne e la materia non avevano importanza. Ritenevano che
ricevuto il battesimo cataro diventassero perfetti e che di conseguenza potessero avere totale libertà anche sul
piano sessuale. Si diffusero nell’Italia del nord.
Un’altra setta è quella dei Fratelli del Libero Spirito con Gioacchino da Fiore: ritenevano la possibilità
degli uomini di farsi Dio per via della libertà dello spirito santo.
Tutte le sette danno centralità allo spirito santo.
Secondo Gioacchino da Fiore la storia si suddivide in 3 ere corrispondenti alle 3 persone della trinità: l’era
del padre → rigidità della legge; l’era del figlio → l’era media segnata dalla centralità della chiesa romana e
l’era dello spirito santo → i tempi nuovi segnati dallo spirito e dalla gioia.
Il succedersi delle ere è indipendente dal comportamento degli uomini.
Nell’era dello spirito (apocalisse) gli uomini nuovi faranno terrore alla chiesa.
Dio ha un piano: porta gli uomini dallo stato animali, a quello psichico, infine a quello spirituale.
Fu infine condannato dal concilio lateranense nel 1215.
S. Bernardo da Chiaravalle si oppose ai due mali che operavano a Parigi: la vendita della scienza nella
scuola e i tentativi di rendere certa la fede al giudizio della ragione (non si può comprendere Dio con la sola
ragione umana). Per lui la chiesa deve mantenere il suo primato nella vita degli uomini e affermare i valori
teocratici ampliando i confini della cristianità.
Bernardo ci dice che Dio non proibisce di sapere, ma di sapere più del necessario, quella che lui chiama
“vana e superba curiosità”.
Nel XII sec. si diffuse anche un altro tipo di sapere, quello di Ermete detto Trismegisto (3 volte grande) che
veniva identificato con il dio greco Mercurio. L’idea fondamentale nei testi ermetici è quella dell’unità del
tutto. L’uso dell’arte magica consisteva nel raggruppare le forze cosmiche, soprattutto le influenze degli
astri. Le medicine magiche utilizzavano sulla stessa base le proprietà occulte di erbe, animali e sostanze
minerali per operare la guarigione di corpi umani. Ermete è considerato il primo degli antichi sapienti che
conobbero lo spirito che governa il creato. La teurgia (magia rituale) consiste nell’atto degli uomini di
introdurre nelle statue degli dei da loro fabbricate. Il nome di Ermete è legato alla diffusione dei primi testi
alchemici, tradotti dall’arabo.
Uno dei primi testi di alchimia fu scritto da Morieno. Alcuni scolastici nel XII sec. avrebbero l’alchimia
nelle “arti meccaniche” dove entrava a far parte anche la
medicina. Gli alchimisti sostenevano che la loro arte provenisse dai processi più segreti della natura.
Cap. 11 – I lettori di Aristotele: filosofia e scienze nel XIII secolo
Una figura importante è lo spagnolo Domenico Gundisalvi, traduttore e filosofo. Egli distingue la filosofia
in filosofia pratica (apprendimento delle norme che presiedono al nostro agire) e filosofia teoretica
(conoscenza di tutte le altre cose esistenti). La pratica si suddivide etica (norme dell’agire personale),
economia (gestione dei beni) e politica (criteri della convivenza sociale). Questo è il modello della
strutturazione scolastica del sapere. La filosofia è la disciplina somma da cui derivano tutte le scienze che
sono parti o strumenti della filosofia. La logica diventa strumento di ogni sapere.
Insieme alle opere di Aristotele, venivano studiate molti altri libri sotto il nome di lui, come il Liber de
causis, commentato anche da S. Tommaso d’Aquino. In questo testo la struttura ontologica della creazione
veniva letta in termini emanatistici e fu uno degli strumenti che resero più agevole lo studio di Aristotele.
Papa Gregorio IX fece costituire una commissione che analizzasse i testi aristotelici per verificarne
l’autenticità e accertare che non vi fossero contenuti pericolosi per la fede. La concezione aristotelica
conteneva discorsi contrastanti alla tradizione agostiniana. Le idee di S. Agostino che avevano influenzato il
pensiero medioevale erano le seguenti:
1. La nozione di “scienza cristiana” che non tracciava una linea netta tra filosofia e teologia. La conoscenza è
il frutto della sapienza data da Dio, sviluppata in una dottrina di carattere platonico.
2. Affermazione del primato della volontà, ovvero dell’amore, sulla conoscenza.
3. Contro l’assoluta passività della materia. Per Agostino l’anima è una sostanza spirituale completa, non la
forma del corpo come per Aristotele: per questa ragione essa può separarsi dal corpo dopo la morte
dell’uomo e continuare la sua vita immortale. In Aristotele invece il corpo mantiene la propria forma anche
dopo la morte.
Il primo personaggio che si rese conto dell’inarrestabile assimilazione di Aristotele fu S. Alberto Magno,
domenicano. Egli studiò tutti i campi del sapere attraverso gli insegnamenti dei filosofo. Egli sostiene che
nella filosofia, la metafisica è la prima scienza; dalla metafisica derivano poi le scienze rivolte a un fine
pratico (come la medicina), quelle di carattere strumentale (logica) e le scienze meno elevate, come la fisica
e la matematica.
La creazione è un processo di emanazione dove le parole chiave sono fluxus e processus. Dio è all’origine,
causa prima che è pura luce, in essa l’essere si identifica con l’essenza, intelletto universale, causa di ogni
essere.
I cieli sono strumento della prima causa, poiché ne trasmettono le virtù nella materia. Le cause seconde sono
subordinate alla virtù di Dio. Questa struttura prova l’esistenza di Dio in quanto si può risalire alla prima
causa ripercorrendo verso l’alto l’emanazione dell’essere.
In ambito scolastica, S. Alberto divenne un’autorità poiché andava contro ogni usanza tradizionale. Il suo
discepolo più celebre fu S. Tommaso d’Aquino; anche Dante mostra una certa influenza albertina nella
Commedia.
Poco dopo la fondazione dell’università di Parigi, quella di Oxford si caratterizzò per un forte legame con la
tradizione agostiniana. Un personaggio simbolico fu Roberto Grossatesta (1168-1253) che commentò
anche un testo aristotelico: Analitici secondi.
Per lui la conoscenza della natura è possibile attraverso l’acquisizione di elementi necessari e certi. Questo è
il problema dell’induzione. La definizione di un fenomeno è la definizione delle condizioni della sua
produzione, che Grossatesta identificò nelle 4 cause di Aristotele.
La scienza vera per lui è la matematica che insieme è conoscenza e dimostrazione.
Egli ritiene che la luce è la prima forma creata nella materia prima poiché si moltiplica e si estende in modo
uguale in ogni parte, traendo con sé la materia dalla quale non può separarsi. Tale visione è detta metafisica
della luce.
Il suo insegnamento cessò nel 1235 quando fu nominato vescovo.
Un secondo importante personaggio è Ruggero Bacone (1214), influenzato Grossatesta. Egli apre grosse
critiche nei confronti di A. Magno. Vedeva nell’accettazione dell’autorità la radice principale della
decadenza degli studi.
Bacone condivise le preoccupazioni dei suoi contemporanei e volle progettare una riforma della società
cristiana che sarebbe dovuta partire da una riforma degli studi.
Scrisse una grande enciclopedia delle scienze, lo scriptum principale, dove voleva organizzare le scienze con
un radicamento nella sacra scrittura. Alla base vi era innanzitutto l’individuazione delle 4 principali cause
d’errore: tendenza a nascondere la propria ignoranza, il produrre esempi da autori insicuri, la forza delle
cattive abitudini e l’accettazione dei pregiudizi comuni.
In secondo luogo, per Bacone, è fondamentale riconoscere l’unica sapienza contenuta nelle sacre scritture:
La filosofia procede attraverso lo studio delle lingue che permettono di attingere alle fondi senza mediazioni.
Lo strumento principale della filosofia è la matematica.
Per lui la parte del sapere principale è l’ottica, segue poi la scienza sperimentale. Il sapere si colloca al
servizio della teologia.
Il superamento della natura è per l’uomo il percorso privilegiato verso la futura felicità. Tale superamento è
possibile dalla conoscenza connessa con l’agire.
Cap. 12 – Filosofia aristotelica e teologia scientifica: Tommaso d’Aquino
San Tommaso d’Aquino fu nominato come il “Dottore angelico”, non ricoprì incarichi ecclesiastici né
responsabilità nell’ordine domenicano al quale apparteneva, la sua vita fu quella di un professore.
Nacque nel 1225 e prese a Parigi la cattedra di teologia nel 1252 dove appaiono temi in lui fondamentali: la
riflessione della teologia come scienza, la posizione contro i regolari e l’approccio critico al tema ella
profezia. La posizione che assume è aristotelica. Per gli studiosi S. Tommaso è sia filosofo che credente ma
queste posizioni sono ben diverse: il primo considera le proprietà secondo la loro natura, il secondo
considera nelle creature il loro riferimento a Dio.
Aristotele distingue 2 modi per costruire una scienza deduttiva:a partire dai principi auto evidenti, quelli noti
al lume dell’intelletto (es. la matematica) e a partire da principi che non sono noti di per sé ma che derivano
come conclusioni da una scienza superiore (es. la musica).
Le scienze del secondo tipo si definiscono subalterne e la teologia fa parte di esse poiché subalterna alla
rivelazione.
Sia il lume della fede che quello della ragione derivano da Dio.
S. Tommaso si incentra su un concetto della filosofia aristotelica, cioè sul concetto di atto che utilizza per
studiare la differenza fra creatore e creatura, fra essenza e atto di essere. Le creature, a differenza del Dio
creatore, non sono atto puro, non hanno la loro esistenza da se stesse, la ricevono da Dio, dunque sono
potenza.
La curia pontificia divenne un luogo di forte incremento intellettuale, qui si riunivano filosofi, scienziati,
traduttori e vi era una grande attenzione per le ricerche che avevano a natura e il corpo come oggetto.
Tommaso d’Aquino frequentò a lungo questi ambienti.
La fede cristiana non considera le cose per quello che realmente sono, ma come rappresentazione di Dio e
questo paragone è possibile mediante l’analogia, definita da lui come la possibilità di “predicare lo stesso
nome di diversi soggetti secondo un significato che è in parte lo stesso e in parte diverso”. Le analogie sono
di 2 tipi:
1. Analogia attributionis: qualcosa si predica di 2 soggetti in riferimento ad un terso (es. sia un cibo che un
corpo può essere definito sano in riferimento alla nozione di sanità);
2. Analogia proportionis: si predica di 2 soggetti in riferimento. E’ l’analogia fra dio e le creature.
Egli predica la dimostrazione di Dio attraverso le 5 vie:
1. La via del moto: basandosi su Aristotele che afferma che ogni corpo è mosso da un motore e non
potendosi muovere all’infinito è necessario ricorrere ad un primo motore, Dio;
2. La via della causa efficiente: nessuna cosa può essere causa di se stessa;
3. Distinzione tra essenza ed esistenza: vi sono cose che possono essere e non, infatti alcune cose nascono e
finiscono. E’ impossibile che tutto ciò che esista, esista sempre ciò che comincia ad esistere, esiste per la
forza di qualcosa che già esiste. Se questo non ci fosse non esisterebbe nulla, esso esiste poiché ha la causa
della sua necessità. Cioè che esiste, esiste perché è necessario. Bisogna però trovare qualcosa che sia
necessario di per sé e che sia la causa di necessità delle altre cose: Dio;
4. Nelle cose troviamo il bene, il vero, il mobile e altre cose simili di grado maggiore o minore, tale grado è
dato in riferimento assoluto che è anche la causa di quel genere: Dio
5. Desunta dal governo delle cose: cioè che è privo di intelligenza tenda al fine solo se è diretto da un essere
conoscitivo e intelligente. Vi è quindi un essere dal quale tutte le realtà naturali sono ordinate ad un fine:
Dio.
Formulò una dottrina dell’intelletto: l’intelletto è la facoltà dell’anima-forma del corpo.
Secondo S. Tommaso, Averroè aveva mal interpretato il De anima aristotelico. La conoscenza è intesa da
Tommaso come un caso particolare del passaggio dalla potenza all’atto. L’intelletto opera un processo di
astrazione e può essere universale (quando si estrae l’universale dal particolare, come l’animale dall’uomo) o
totale (quando per es. si dice che nell’uomo vi è l’umanità). Il processo di astrazione è reso possibile dal
lume naturale (inteso da Tommaso come intelletto agente) emesso da Dio nell’anima umana.
Nell’intelletto è stabilita l’individualità (l’oggetto della conoscenza rimane uguale ma cambia il modo di
intenderla dal singolo individuo) e da qui deriva la volontà e la libera scelta dell’uomo. Se l’intelligenza
avesse il primato sulla volontà, essa sarebbe costretta nella proprietà scelta soltanto se l’intelligenza le
presentasse il sommo bene, mentre questo on avviene perché l’intelletto conosce solo i beni finti.
Così come fede e ragione non sono in contrapposizione, fine naturale dell’uomo non è in contrasto con il fine
soprannaturale che è oggetto dell’opera divina di salvezza. La bontà che si realizza nella convivenza civile è
il primo gradino per raggiungere la santità che è il fine ultimo.
Cap. 13 – Le orme di Dio e il cammino dell’uomo: San Bonaventura da Bagnoreggio
Giovanni da Fidanza (Bonaventura) nacque nel 1217 a Bagnoreggio, essendosi gravemente ammalato
quando era piccolo, la madre lo aveva votato a Francesca d’Assisi. Una volta entrato nell’ordine francescano
iniziò a commentare la Scrittura come baccelliere biblico.
Bonaventura legge la filosofia aristotelica in chiave agostiniana. Se non aiutata dalla fede la filosofia
aristotelica cade in errore, è il caso della teoria dell’eternità del mondo, la dottrina dell’unicità dell’intelletto
e la necessità di intermediari nella creazione.
Per Boaventura la natura non produce le cose da sé, ma collabora soltanto portando in esse la forma.
La luce è la prima forma di tutti i corpi.
Bonaventura segue una triplice via per dimostrare l’esistenza di Dio: sostiene che è una verità impressa in
ogni intelligenza, proclamata da ogni creatura. La seconda via si sviluppa secondo 10 argomenti
schematizzati (es. principio prima: nelle cose c’è un prima e un dopo, la causa prima è Dio). Il velo delle
cose è sottile e lascia trasparire Dio con facilità. Il mondo sensibile è oggetto della scienza che viene distinta
dalla sapienza. L’unica ragione certa è data dalla scienza di Cristo.
La sua opera più famosa è l’Itinerarium mentis in Deum, essa vuole essere una guida per ascendere alla
contemplazione di Dio attraverso i gradini della realtà (natura e uomo) per poi compiere il balzo oltre
l’umano. Dalla natura si giunge a contemplare Dio attraverso 3 modi: considerando le cose in sé stesso,
guardandole con gli occhi della fede, scoprendo Dio nel loro interno. Il secondo gradino consiste nello studio
dell’uomo nel suo microcosmo e riconoscersi inferiore di fronte a Dio. Il terzo grado, lo studio delle potenze
dell’anima. Nell’anima riconosciamo l’azione personale a Dio. Poi riusciamo a contemplare l’essere divino
nell’unità della sua essenza e nella pluralità delle persone.
Questo è un percorso che comincia con la conoscenza e finisce con la contemplazione.
Cap. 14 – Verità in conflitto. Il dibattito filosofico alla fine del ‘200
Verso il 1230 cominciano a circolare le traduzioni di Averroè e di Aristotele a Bologna, Toledo e in Sicilia
alla corte di Federico II. Questo comportò un sempre più contrasto fra la visione aristotelica e il
cristianesimo. Anziché correggere Aristotele, la divergenza cominciò ad essere esplicitamente analizzata.
Questo atteggiamento battezzato dottrina della “doppia verità” mirava a tenere ben distinto l’ambito della
ragione naturale da quello della fede, affermando il primato di quest’ultima come verità assoluta; le altre
erano verità relative. In questo modo l’insegnamento della filosofia diventa una professione intellettuale
distaccata dal cristianesimo.
Il caposcuola della corrente interpretativa denominata come “averroismo latino” oppure “aristotelismo
radicale” è Sigieri di Barbante e venne denunciato per eresia nel 1276; fu ucciso da un servo impazzito.
Egli vuole strutturare la propria dottrina dell’anima in conformità dell’insegnamento di Aristotele, afferma
che sia il mondo che la specie umana, causati dal movimento eterno delle sfere celesti, sono eterni.
La struttura della realtà viene interpretata nei termini aristotelici di potenza ed atto.
L’anima intellettiva è quindi in qualche modo unita al corpo e qualche modo separata ad esso e in quanto
separata è unica, poiché l’anima intellettiva ha l’essere separato dalla materia perciò non deve moltiplicarsi
con la moltiplicazione della materia e nemmeno con la moltiplicazione dei corpi umani.
Egli distingue 2 tipi di forme:
1. Materiali: costituiscono il corpo e ne sono costituite;
2. Quelle che costituiscono il corpo senza esserne costituiti.
L’esistenza dell’uomo non dipende dal corpo. L’intelletto si unisce ad un corpo già “informato” dalla facoltà
immaginativa. Sigieri afferma il distacco dell’intelletto dal corpo, e insieme, la loro unità operativa. Da
questo deriva una posizione etica che mira alla “felicità mentale” come massima realizzazione umana che
rifiuta i castighi corporali. La felicità consiste per Sigieri nel congiungimento dell’intelletto con le
intelligenze separate e con Dio ed è possibile raggiungerla attraverso la via filosofica.
Anche Boezio di Dacia afferma che il bene supremo possibile all’uomo in relazione alla facoltà razionale del
suo intelletto è la conoscenza del vero e il suo godimento. La beatitudine suprema è raggiungibile a coloro
che desiderano la conoscenza. La felicità si conquista in questa vita, non in un’altra.
Nei primi decenni dopo la morte di S. Tommaso, le sue dottrine rappresentarono una novità avversata dai
teologi fedeli alla tradizione. Nella corrente tradizionale ricordiamo l’inglese Roberto Kilwardby, generale
dell’ordine domenicano in conflitto con Aristotele; Giovanni Peckham francescano di Oxford che riprese la
corrente di Bonaventura.
La filosofia di S. Tommaso per il suo carattere di novità rispetto alla tradizione agostiniana, ebbe una lenta
penetrazione.
La stretta relazione fra filosofia e teologia è data dall’applicazione a quest’ultima del metodo scientifico.
Giovanni Scoto, francescano, sottolinea la diversità tra filosofia e teologia, affermando che il filosofo con le
sole sue forze non può parlare di Dio. Studiò sia ad Oxford che a Parigi e successivamente insegnò ad
Oxford.
Il compito del teologo per Scoto è la determinazione del fine a cui tende l’uomo e dei mezzi a sua
disposizione per raggiungerlo. Se il fine della vita del credente è la visione di Dio, ci si deve chiedere se
questo sia raggiungibile attraverso la filosofia: la risposta è negativa. I filosofi sostengono la perfezione della
natura, negando la perfezione del soprannaturale.
L’uomo, secondo la filosofia, può attingere a tutte le conoscenze attraverso l’azione della natura, invece la
conoscenza del fine ultimo dell’uomo è possibile solo tramite la rivelazione, attraverso la teologia, poiché
l’intelletto dell’uomo è limitato.
Secondo Scoto, in origine l’uomo era stato creato da Dio per poter conoscere l’essere in quanto tale, ma dopo
il peccato originale questa conoscenza è possibile ma in maniera imperfetta: perciò il discorso sull’essere non
può essere sviluppato in teologia, bensì deve farlo la metafisica.
Il nostro intelletto che è fatto per conoscere l’essere assoluto, allo stato attuale lo conosce solo come primo
principio delle cose sensibili. Definire l’essere come univoco è ciò che consente all’intelletto umano di
trascendere i concetti formati a partire dall’esperienza sensibile.
L’intelletto possiede la capacità di elevarsi ai livelli più astratti della conoscenza fino all’essere in quanto
essere, ma nel mondo mortale non riesce a prescindere dall’oggetto sensibile perché rimane legato ai sensi.
Il vero procedimento intellettivo è a priori, poiché l’intelletto di per sé è caratterizzato dall’attività.
La metafisica si distingue dalla teologia e dalla fisica, i cui concetti non sono “semplicemente semplici” e si
ricavano per astrazione dalle “contrazioni” dell’essere.
Il concetto di univocità è diverso rispetto a quello della fisica e metafisica. Per la fisica è “univocità naturale”
in quanto le cose convergono in un’unica natura; mentre per la metafisica l’univocità è un concetto comune
in assoluto. Solamente quest’ultima raggiunge in perfetta purezza Dio e può dimostrarne la sua esistenza.
Per G. Scoto gli esseri creati sono caratterizzati da una reale contingenza, facendo una critica nei confronti
dell’aristotelismo. Scoto rifiuta una distinzione tra esse ed essentia e adotta la dottrina della pluralità delle
forme. Secondo lui l’anima intellettiva non viene fusa nell’organismo umano perché esso costituisce un
corpo dotato di forma in grado di accoglierla. Piuttosto da la forma che ha la capacità di accogliere l’anima.
Scoto quindi elimina la differenze tra l’esistenza e l’essenza e introduce la distinzione formale sul piano
ontologico: non si moltiplica l’essenza ma si hanno più soggetti (es. tanti cavalli sono individui diversi ma
tutti appartengono alla specie equina). Sul piano gnoseologico: distinzione fra genere e specie.
Anche essenza ed essere sono distinti.
L’identità attuale è quella dell’individuo, oggetto dell’atto conoscitivo, che contiene in sé la certezza
dell’esistenza del conosciuto.
La distinzione formale per Scoto è la possibilità della conoscenza astrattiva, la conoscenza dell’oggetto
conosciuto in relazione ad altri.
L’oggetto reale non è puramente individuale, se così fosse non si spiegherebbe come l’intelletto possa
astrarne concetti di carattere generale.
Mentre la natura comune non è né una realtà, né un concetto logico. É una indifferentia dell’unità reale di
natura.
Successivamente vi è un dibattito teologico legato all’onnipotenza divina, è potentia absoluta o potentia
ordinata? La potenza ordinata è il sistema della natura e della grazia stabilito da Dio, al cui interno egli opera
mediante le cause seconde create. L’idea di potenza assoluta invece presuppone una “riserva” di potere da
parte del creatore che può intervenire nel creato anche sconvolgendone le leggi.
Questa distinzione conduce ad una duplice possibilità di interpretare il miracolo: nel primo caso è visto come
un miracolo, nel secondo invece come espressione di una volontà del tutto libera.
Con la Riforma Luterana l’universo sarà visto come un orologio messo in moto da un Dio orologiaio che
compiuta l’opera iniziale di avviamento, resta del tutto indifferente al successivo funzionamento del
meccanismo avviato.
La distinzione della potenza si era estesa sul rapporto fra possibilità e volontà di Cristo.
Secondo Scoto è possibile dimostrare non solo che Dio esiste ma anche che è infinito, unico e semplice. Però
ci sono altre qualità di Dio che non si possono conoscere se non con l’aiuto della rivelazione: una di queste è
l’onnipotenza, la quale Scoto la distingue rispetto all’infinità di potenza poiché si dice onnipotente solo se è
in grado di produrre in modo immediato una infinità di effetti.
L’aspetto più innovativo della dottrina di Giovani Scoto dell’onnipotenza riguarda il suo rapporto con altre 2
proprietà di Dio, quelle di essere un agente assolutamente libero e indipendente dal tempo.
Scoto considera che un agente è libero quando è in grado di produrre un determinato effetto nel medesimo
momento in cui produce quello opposto. Applicando a Dio questo principio occorre però tenere a mente della
sua indipendenza rispetto al tempo e quindi la sua libertà consisterà nel mantenere sempre il potere di
produrre effetti diversi ed opposti rispetto a quelli che in realtà produce.
Da questo punto di vista Scoto recupera una distinzione nella teologia scolastica tra ciò che Dio fa in base
alla sua potenza assoluta e in base alla sua potenza ordinata: tale distinzione ha sempre avuto il significato di
sottolineare come Dio non sia legato necessariamente all’ordine che ha creato.
Scoto però darà un contenuto filosofico nuovo a questa distinzione: la potenza assoluta di Dio può essere
definita come il potere che egli ha di produrre sempre qualsiasi stato di cose alternativo a quello che produce.
Si può quindi dire che il discorso delle 2 potenze mon implica l’introduzione di una qualsivoglia distinzione
di Dio, bensì soltanto un modo per distinguere il corso degli eventi voluto da Dio.
L’unico principio a cui nemmeno Dio contravviene è quello logico di non contraddizione, ma esso è posto da
Dio e non imposto a lui.
Raimondo Lullo non ha una formazione universitaria, ma laica ed è un cavaliere destinato al servizio del re.
La sua prima opera fu la Logica del Gatzel; verso i 30 anni cambiò totalmente la sua vita in seguito ad una
visione del cristo crocifisso.
Lullo scrive tutti i suoi testi in catalano e poi li traduce. Alcuni dei suoi scritti sono in arabo, lingua che
aveva deciso di imparare per convertire i musulmani. L’obiettivo della sua vita era fare tanta più attività
missionaria possibile.
Attua 3 tipi di dimostrazione:
1. Per equivalenza: mediante cose uguali l’una con l’altra. Es. quando si dimostra che Dio non può peccare
perché il suo potere è della stessa essenza della sua volontà.
2. Effetto provato dalla causa: il sole splende, perciò è giorno
3. Causa provata dal suo effetto: è giorno, perciò il sole splende.
Nella sua opera Ars demonstrativa Lullo crea uno schema composto da 16 lettere dell’alfabeto che
rappresentano gli attributi divini, le facoltà dell’anima intellettiva, i principi della logica, le virtù e i vizi, i
concetti della logica, della filosofia e del diritto. Le combinazioni di queste lettere permettono di formare
tutte le proposizioni possibili.
Questo sistema facilitava la “dimostrazione” del sistema trinitario.
È impossibile citare tutti i suoi scritti ma si possono dividere in: opere poetiche e mistiche, opere teologiche,
pedagogiche scritte in volgare, scientifiche e cosmologiche, opere antiverroistiche, i sermoni e le operette
scritte durante gli ultimi ani.
Muore nel 1314, su pensa fosse stato lapidato dai musulmani.
Cap. 15 – La filosofia di un credente: San Guglielmo di Ockham
San Guglielmo di Ockham nasce nel 1280 in Inghilterra, non prosegue gli studi poiché accusato di eresia da
un cancelliere universitario.
Nelle Sentenze egli rifiuta una qualsiasi concordanza tra fede e filosofia come invece proponeva S.
Tommaso. Quella di Guglielmo è la “dottrina d’un credente” che incentra il problema della filosofia cristiana
nella creazione.
Il nominalismo (concezione filosofica che nega ogni esistenza reale alle entità astratte) di Guglielmo è un
nominalismo logico: la logica deve essere considerata come una scienza del linguaggio, è un sapere pratico.
La logica dirige il nostro intelletto dettando le regole delle sue operazioni: le proposizioni le quali
costruiscono le scienze reali (es. la fisica) e le scienze razionali (es. oggetti mentali come la matematica).
Le proposizioni sono di 3 tipi: pensate (In mente), proferite (a voce) o scritte. Si possono scomporre in parti
semplici che sono parole o nel caso di quelle pensate, in concetti.
Gli universali sono concetti, segni che indicano un “stare per” qualcos’altro. Al logico non interesserà
l’aspetto ontologico ma piuttosto verificare se una proposizione è vera, se soggetto e predicato “suppongono
per” la stessa cosa.
Questa è la dottrina della suppositio. Guglielmo distingue 3 intervalli di suppositio:
1. Suppositio mentalis: si ha quando un termine sta per se stesso in quanto termine (es. uomo è un nome di 2
sillabe, correre è un verbo..)
2. Suppositio personalis: quando un termine indica una realtà nella sua individualità (es. un uomo corre)
3. Suppositio simplex: implica solamente un concetto mentale.
Il realismo è considerato da Ockham assurdo perché deriva da una deduzione che va oltre le premesse.
Egli critica la distinzione di S. Tommaso ritenendo che universale e singolare siano la stessa cosa,
differiscono solo per la ragione.
Per S. Guglielmo la volontà divina si identifica con la sapienza, poiché in Dio non ci sono distinzioni, esso è
la semplicità assoluta di cui gli attributi divini sono segni diversi di una stessa cosa.
Non esistono le idee perché l’idea di creatura è la creatura stessa.
S. Guglielmo colloca la potenza assoluta di Dio in un momento logicamente anteriore a quello della
creazione. Dio può fare alcune cose in base alla potenza ordinata (es. le leggi ordinate e istituite da Dio) ed
altre in base alla potenza assoluta (ciò che Dio ha stabilito di produrre in seguito o che non lo abbia stabilito).
Questo però non significa che Dio abbia 2 diverse potenze.
Secondo Okham la conoscenza si fonda su 2 principi: principio di economia e il principio della possibilità.
Okham dichiara poi che in filosofia ci si deve rivolgere ad Aristotele ed elabora le sue teorie fisiche:
-Riduzione della quantità alla sostanza
-Negazione di una realtà del movimento distinta dalla realtà del corpo che si muove
-Negazione della realtà assoluta del tempo se non nell’anima
Su queste basi egli ritiene che si possa affermare che il mondo è creato da Dio in ab aeterno e che non è
assurda l’esistenza di un infinito in atto.
La via nuova introdotta da Okham e i suoi contenuti sembravano però nuocere al cancelliere Giovanni
Lutterell: Okham venne denunciato al pontefice che lo convocò ad Avignone e lo rinchiuse in un convento
francescano nel 1324. Il processo però non arrivò mai ad una conclusione poiché egli riuscì a fuggire dal
convento assieme a Michele Cesena, il generale dell’ordine francescano accusato perché fautore del
movimento degli spirituali.
L’impianto teleologico del pensiero politico di Okham differenzia totalmente i suoi scritti da quelli degli
“averroisti politici”, Giovanni di Jandun e Marsilio da Padova che, come lui, si schierarono con Ludovico
il Bavaro.
Per Okham l’indipendenza del potere temporale da quello spirituale discende da una riaffermazione della
priorità del primato apostolico, che riguarda solamente le cose dello spirito e dalla constatazione della
ininfluenza del potere civile che riguarda i beni inferiori che non servono al raggiungimento del fine ultimo
dell’uomo: la beatitudine.
Il primato del papa secondo lui non è una signoria ma un servizio: esso è limitato dai sovrani e dai fedeli. E
gli non può limitare la libertà dei cristiani né costringerli a credere a verità che non siano contenute nella
Sacra Scrittura.
Okham dichiara che la Chiesa è il popolo dei credenti, dicendo così egli dava il suo sostegno al gruppo dei
francescani micheliti (seguaci di Michele da Cesena), il cui ideale era la restaurazione della semplicità
evangelica in tutta la Chiesa e l’abbattimento di ogni forma di proprietà e potere, perché l’avanzare diritti
sulle cose e sulle persone è fare violenza alla volontà di Dio.
Egli morì a Monaco probabilmente nel 1347.
Il nominalismo di Okham trovò un notevole successo sia in Francia che in Inghilterra.
Cap. 16 – Riflettere sulle trasformazioni. La filosofia alla fine del Medioevo
Giovanni di Jandun si colloca inizialmente nell’atmosfera del primo ‘300. La posizione anticoncordista di
Giovanni è il frutto di un aristotelismo integrale: per lui infatti la sottomissione alla fede può richiamarsi
soltanto alla consuetudo ma questa viene a sua volta giudicata negativamente dal punto di vista filosofico,
come fonte di errore.
Marsilio da Padova (1280-1342) fu il teorico più avverso alla dottrina ierocratica della plenitudo potestas
del papa. La sua opera principale, il Defensor Pacis fu interamente dedicato a Ludovico il Bavaro: il punto
fondamentale è la Politica di Aristotele che egli si propone di integrare individuando così la causa nelle
pretese del papa di volersi erigere a sovrano. La pace è il desiderio naturale degli uomini che da solo
giustifica la ricerca dei mezzi per attuarlo: il compito dei filosofi è questa ricerca.
Il personaggio fondamentale tra i cosiddetti calculatores (nome con cui si indicava un gruppo di filosofi
facenti capo al Merton College di Oxford) è Thomas Bradwardine il quale con una sua opera riallaccia al
dibattito agostiniano sulla predestinazione. Egli riafferma la potenza assoluta di Dio e sostiene che la libertà
umana sia basata sull’onnipotenza divina.
Molti dei temi affrontati dai calculatores, li ritroviamo nelle ricerche dei magistri artium, parigini della metà
del secolo: ricordiamo Nicola Oresme, il primo a scrivere di filosofia in francese il quale da moltissima
importanza alla matematica. Il De mutationibus monetarum è uno dei primi trattati autonomi sulla teoria
della moneta. Fu elaborato tra il 1356 e il 1358. Oresme rifiuta la concezione tradizionale aristotelica della
moneta come simbolo o misura del valore, egli infatti afferma che è uno strumento di scambio per le
ricchezze naturali, che ha un valore proprio che a sua volta è determinato dalla sua composizione (es. oro,
argento, rame).
Fu proprio la corte pontificia a favorire nel corso del XIII secolo le ricerche alchemiche e mediche. La
pratica delle medicine non era mai cessata durante l’epoca medioevale, anzi era una delle attività più
rilevanti dei monasteri benedettini. Verso la fine del XII secolo si raccolsero i testi associati
all’insegnamento medico e furono soprannominati come Articella. Con la traduzione del Canone di
Avicenna però si verificò un arricchimento che comportava un mutamento di prospettiva fondamentale per
lo sviluppo della medicina.
Una volta legittimata a livello istituzionale, la medicina universitaria diventa rapidamente una dottrina
sempre più ricca e complessa. I 4 umori, ovvero i fluidi che governano tutte le dinamiche organiche del
corpo umano, vengono messi in rapporto con i 4 elementi con le qualità elementari fondamentali: il sangue è
legato al calore e all’aria; la bile nera o malancolia al freddo e alla terra; il flegma all’umido e all’acqua; la
bile gialla o colera alla siccità e al fuoco. Le loro interazioni costituiscono la base per la spiegazione della
fisiologia e della patologia: dal loro squilibrio hanno origine le malattie.
Arte meccanica tesa a procurare ricchezza: l’alchimia che nel XIV secolo conosce un grande consenso e
sviluppo. Essa però non si occupa di un oggetto naturale dato (come ad esempio la medicina fa con il corpo
umano), pretende di costruirsi il proprio oggetto a partire dalle regole della natura per portare la natura stessa
ad una perfezione che con le sue sole forze essa non è in grado di raggiungere. Manipolando quindi la natura,
l’alchimista riesce a costruire e diffondere la propria perfezione: si tratta dell’elixir. Le successive ricerche
porteranno all’identificazione di quest’ultima con l’alcool distillato dal vino per mezzo del quale è possibile
estrarre i principi attivi delle sostanze vegetali usate come fermaci, ottenendo quindi medicine più efficaci.
Arnaldo da Villanova, medico di Bonifacio VIII, identificava il prodotto della ricerca alchemica, la pietra
dei filosofi con la funzione salvifica di Cristo.
Mentre gli alchimisti si dedicavano a questo tipo di ricerca, nel ‘200 si intraprese il dibattito sulla felicità: se
per gli averroisti il fine era mondano e si realizzava attraverso la copulatio dell’intelletto, secondo i teologi la
felicità per gli uomini si identificava nella visione di Dio.
Negli ultimi anni del XIII secolo ebbe molto successo il libro di Margherita Porete, beghina, dove il tema
della felicità e della copulatio diventano la meta di un percorso di perfezione che coinvolge il corpo e gli
affetti. L’anima attraverso l’annientamento ha raggiunto la perfezione.
L’unione in vita con la fonte della conoscenza è lo scopo del percorso dello Specchio delle anime semplici di
Margherita dove vuole introdurre gli “smarriti” sulla via della perfezione spirituale.
Questo libro venne condannato nel 1309 da Goffredo da Fointanes e l’autrice venne bruciata al rogo l’anno
successivo.
Giovanni Eckhart (1275-1327), domenicano discendente da una famiglia nobile della Turingia, si era
formato nella scuola di Colonia che era caratterizzata dalla presenza dei discepoli di Alberto Magno che ne
avevano sviluppato i temi neo platonici e avicenneisti: Ulrico di Strasburgo il quale aveva elaborato
nell’opera Summa de bono il tema metafisico della derivazione degli enti da Dio come fluxus; e Teodorico
di Freiberg, domenicano, nei suoi scritti lo schema neoplatonico si collega al simbolismo della luce. La sua
gnoseologia, legata al modello agostiniano, culmina nella dottrina della visione beatifica che consiste nella
conversione dell’intelletto agente a Dio.
Accanto a questi 2 autori troviamo anche Bertoldo di Moosburg che nella sua opera del 1327 affrontò tutti i
problemi della metafisica platonica, costituendo un elemento di transizione fra il platonismo medievale di
impianto agostiniano e chartiano e la ripresa del pensiero platonico in età rinascimentale.
Il legame del Maestro (Meister) Ekhart con la ricerca religiosa della provincia teutonica è testimoniata
soprattutto dai Sermoni scritti in prova tedesca del 1314. Egli scrisse anche in latino e fra le fonti del suo
pensiero spiccano lo pseudo-Dionigi, il Liber de causis, Proclo.
L’ineffabilità divina, che in Agostino e Tommaso aveva portato alla formulazione di una via eminentia cioè
il riferire a Dio la negazione di tutte le limitazioni che il nostro intelletto può concepire), in Ekhart si afferma
come ineffabilità assoluta. Tutto porta a credere che Ekhart fosse convinto di non professare una dottrina
dell’essere diversa da quella di Tommaso, ma la convinzione che il nascondimento di Dio sia nel fondo
dell’anima porta verso un’idea agostiniana.
La ricerca di Dio è per Agostino una condizione neoetica e per Tommaso il principio di metafisica cristiana,
per Ekhart è il movimento verso l’essere nascosto nell’anima.
Ekhart riconosce l’interna dinamica divina trinitaria. Per Ekhart la totalità dell’essere si identifica in Dio con
la sua purezza, poiché in esso è negazione di negazione, non si oppone al nulla. Nel nulla delle creature si
trova nascosto lo stesso Dio e allora la creatura, nulla per se stessa, è essere in sé. L’essere delle creature è
l’essere di Dio.
Le posizioni di Ekhart portavano vedute inquietanti che furono poi alla base della sua postuma condanna, di
lui e delle sue dottrine, nel 1329. Le sue dottrine non rimasero confinate nella scuola, si riversarono
nell’attività di predicatore che egli svolse a partire dal 1314, come vicario generale dell’ordine domenicano a
Strasburgo e nell’attività di direttore spirituale della Valle del Reno.
Dall’attività teleologica di Ekhart si sviluppò una corrente mistica che costituisce uno dei più grandi fermenti
di rinnovamento religioso precedente alla Riforma Luterana.
Le esperienze di vita religiosa completamente libera da vincoli istituzioni emerse drante il XII secolo e che le
restrizioni ecclesiastiche del IV Concilio Lateranense (1215) non erano riuscite a spegnere del tutto,
rivivevano nella comunità religiosa di Rysbroek nella foresta di Groenendal come presso i Fratelli della Vita
Comune a Deventer. Durante questi sviluppi, con il nome di devotio moderna, il cancelliere parigino Jean
Gerson combatté duramente, infatti secondo lui la Chiesa non può porsi come esclusiva struttura di
mediazione fra gli uomini e il sacro.
Cap. 17 – Differenze e novità sul confine del Medioevo
Nel XV secolo il moltiplicarsi delle università e la diffusione nel centro e nel nord Europa della cultura
elaborata nelle sedi tradizionali si accompagnò ad una cristallizzazione delle diverse posizioni scolastiche
nella contrapposizioni delle “vie”, cioè dei più rappresentativi sistemi filosofici elaborati fra ‘200 e ‘300: la
via di Tommaso, la via moderna di Okham, la via di Scoti e la via antiqua (seguaci di posizione albertiste).
L’appartenenza ad una scuola non impediva aperture verso altre modalità di pensiero e dottrine. Un autore di
rilievo che esemplifica la possibilità di far convivere diverse dottrine è Eimerico da Campo, seguace della
via antiqua e magister a Colonia dal 1428 al 1438: accanto all’impostazione albertista, manifestò un grande
interesse per la filosofia di Raimondo Lullo, in particolare per le sue dottrine metafisiche e cosmologiche.
La numerosa attribuzione a Lullo di opere alchemiche attirarono l’attenzione sul lullismo che venne
largamente valorizzato nella Firenze del ‘400, soprattutto da Pico della Mirandola. E nella Parigi del ‘500
le sue opere furono edite da Jacques Lefévre.
L’interesse per il lullismo è uno dei segni che, accanto alla continuità dell’insegnamento scolastico, stavano
fermentando nuovi interessi e i germi di una nuova cultura, prodotta principalmente da intellettuali laici.
Il movimento più importante fu sicuramente l’Umanesimo dove il suo primo esponente fu Francesco
Petrarca, il quale si distacca dall’identificazione della filosofia con l’aristotelismo, polemizzando contro la
metafisica e fisica scolastica. In questo modo Petrarca inaugura uno stile di pensiero che riprendeva in
termini nuovi la ricerca di matrice agostiniana della verità, coniugandola con i mutamenti posti dalle
trasformazioni della realtà civile.
I primi umanisti, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini e Lorenzo Valla, volsero lo sguardo al passato,
trovando nella cultura letteraria antica lo stimolo per un profondo rinnovamento.
La diffusione delle discussioni filosofiche al di fuori delle scuole, recepì nuovi stimoli e soprattutto in
Francia trovò un singolare sbocco l’opera di Christine de Pizan, di molta importanza per l’emergere del
dibattito su uguaglianza tra uomo e donna che sarebbe poi proseguito in età moderna.
Nata a Venezia, arrivò in Francia da bambina con il padre, Tommaso da Pizzano, medico e astrologo del re:
ricevette una buona cultura che la salvò diventando scrittrice quando nel 1390 rimase vedova. Nella sua
opera più celebre La Cité des Dames, rivendica per le donne l’educazione, denunciando la mancanza di essa
nella radice di quella inferiorità femminile che la tradizione misogina continuava a proclamare; ella propone
la valorizzazione politica delle virtù attribuite alle donne e che dovrebbero essere prese come modello etico
per tutta l’umanità.
Alla fine del Medioevo l’Università costituiva il terzo soggetto di potere dopo la Chiesa e gli Stati
(sacerdotium, regnum, studium): i magistri detenevano il monopolio sia della produzione istituzionale del
sapere e della sua trasmissione, sia dell’accesso alle professioni di maggiore prestigio all’epoca, il diritto e la
medicina. Quest’ultima non poteva essere esercitata se non da chi avesse ricevuto la licentia di una
università: di conseguenza molte donne vennero delegittimate.
Ad esempio la medica Jacoba Felicia doveva essere molto brava, come mostrarono i suoi pazienti chiamati
in tribunale in un processo contro di lei all’università di Parigi, ma nonostante la sua bravura, non avendo la
licenza medica, ella non poteva praticare questa professione e soprattutto perché le donne non erano magistre
e non potevano diventarlo.
Nicola Cusano, grande pensatore del ‘400, si caratterizza per la tematizzazione del rapporto fra finito e
infinito nel rapporto fra Dio e mondo e per la sua originale dottrina della conoscenza come “dotta
ignoranza”. Egli viene considerato come il primo filosofo moderno, mentre il tempo, la sua formazione e
l’impostazione del suo pensiero risalgono ancora all’età medioevale. Nella sua riflessione riprese anche temi
della tradizione platonica medioevale, in particolare chartiana e della tradizione tedesca mistica speculativa.
La sa opera principale De docta ignorantia del 1440, contiene gli elementi fondamentali del suo pensiero e
costituisce uno dei grandi classici della storia della filosofia occidentale.
La metafora della conoscenza intesa come docta ignorantiaè per Cusano l’immagine di un poligono che,
aumentando i lati all’infinito, si avvicina in definitivamente al cerchio senza però mai diventarlo.
La valorizzazione della conoscenza matematica viene anche applicata alla conoscenza della realtà sensibile
nel De coniecturis, dove la mente umana si serve del numero. Il numero è l’esemplare (archetipo) in cui la
mente divina e quella umana convergono; ed è nel conoscere basato sul numero e sulle figure che la mente
umana può comprendere il modo di essere degli esseri nel principio divino e nella creazione.
L’Uno richiama il tema ermetico della sfera infinita; la dotta ignoranza permette una nuova dimostrazione
dell’esistenza infinita di Dio attuata attraverso l’uso delle immagini matematiche.
Sul piano cosmologico Cusano rifiuta la cosmologia aristotelica: prima di Copernico, egli scardina la
concezione tradizionale del mondo aprendo così la via a Giordano Bruno.
Un’altra opera fondamentale di Cusano è il De pace fidei, è un dialogo fra religioni che presenta la prima
espressione filosofica dell’idea che la modernità avrebbe elaborato: la tolleranza. La coincidenza degli
opposti in Dio porta Cusano a concepire un progetto di “pace nella fede” basato sulla valorizzazione delle
differenze religiose. Nella sua opera prende in considerazione le 3 religioni monoteistiche e le analizza e sul
piano dottrinale va oltre l’idea di un confronto e di stabilire la superiorità di una sulle altre.
La centralità di Cristo viene riproposta ma attraverso una argomentazione filosofica che lo presenta come
simbolo dell’unione tra finito ed infinito.
Un’altra conseguenza della presa di Costantinopoli fu l’arrivo in Italia di una seconda ondata di filosofi e
teologi bizantini, che rafforzarono i contatti e gli scambi che avevano già avuto inizio all’epoca del Concilio
di Firenze e di Ferrara (1438-1439).
A interessare i rapporti con gli umanisti italiani furono studiosi come Giorgio Gemisto Pletone (1360-1453
ca.), Giorgio Scolarios (patriarca di Costantinopoli dal 1453), Giorgio di Trebisonda (1395-1492),
Giovanni Bassarione (1408-1472): venendo in Italia essi portarono con sé le opere di Platone. Si apriva
così, con Platone la stagione della filosofia rinascimentale.
Il segnale di cambiamento era netto: per quanto Platone fosse il più autorevole dei filosofi antichi, i pensatori
medioevali non lo avevano conosciuto direttamente. Nel Medioevo lo sviluppo della filosofia latina era
avvenuta con Aristotele, le cui opere logiche erano state lo strumento della ragione fin dall’epoca di Boezio e
dalla rinascita carolingia, mentre la fisica, la metafisica, l’etica e la politica avevano costituito le fondamenta
del pensiero del XIII secolo.
La fine del Medioevo è quindi segnata dalla rottura tardo scolastica e con la dipendenza da Aristotele che
caratterizza la filosofia nelle università e dall’imporsi del nuovo interesse verso Platone, i quali attraverso le
traduzioni di Ficino e Pico della Mirandola costituirono le fonti principali della filosofia rinascimentale.
Accanto a queste ebbe un notevole sviluppo anche la filosofia ebraica di autori come Hazdai Crescas (m.
1410), Isaac Abranel (1437-1508) ed Elia Delmedigo (1460-1497) che introdussero nelle discussioni
filosofiche delle tematiche cabalistiche.
Rispetto ad altre forme di pensiero la censura fra Medioevo e Rinascimento non fu netta né immediata
conseguenza delle critiche umanistiche alla filosofia scolastica. Solamente la Rivoluzione Scientifica
avrebbe scalzato totalmente la cosmologia e la fisica aristotelica.
Quello che rimase con più forza e vigore fu l’istituzione medievale universitaria, che come ambiente di
produzione e trasmissione del sapere sopravvisse l’età d’oro della Scolastica dove era nata e i cui metodi di
insegnamento rimasero a lungo immutati.
Nell’epoca della modernità, XVI e XVII secolo, si sviluppò nelle università europee una vera e propria
“seconda scolastica” che fiorì nella penisola iberica. Sull’opera scolastica di Francisco Suarez si esercitò il
filosofo che inaugurò la vicenda del pensiero moderno, René Descartes.
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