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ampliamento dell’arte medica

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Prefazione alla prima edizione
O.O. 27 – Elementi fondamentali per un ampliamento dell’arte medica – Prefazione
Rudolf Steiner, il maestro la guida e l’amico, non è più tra i viventi. Una grave malattia, iniziatasi
con un esaurimento fisico, lo ha stroncato. Nel mezzo del suo lavoro egli dovette sostare: le sue forze,
che in così ricca ed inesauribile misura egli aveva prodigato nella sua opera entro la Società
Antroposofica, non bastarono più a vincere la malattia. E tutti coloro che lo amavano e lo veneravano
videro con immenso dolore come l’uomo che da tanti era amato, che tanti aveva aiutato, avesse dovuto
per sé lasciare libero corso al destino, conscio che potenze superiori erano all’opera.
Il frutto del comune lavoro fu steso in questo volumetto.
Come medico io non potei che accogliere senza riserve l’insegnamento dell’antroposofia il quale, in
particolare per la scienza medica, è una miniera inesauribile di nuovi spunti: trovai nell’antroposofia
una fonte di saggezza a cui sempre di nuovo si può attingere, capace di illuminare e di risolvere tanti
problemi della medicina oggi ancora insoluti. Sorse così tra Rudolf Steiner e me un’attiva
collaborazione nel campo della conoscenza medica, che si intensificò e si approfondì particolarmente
negli ultimi due anni così che fu resa possibile e realizzata la stesura in comune di un libro.
L’intendimento di Rudolf Steiner, per cui io avevo la più piena comprensione, era di rinnovare quello
che viveva negli antichi misteri e renderlo fecondo per la medicina. Da tempi antichissimi le istituzioni
dei misteri erano in stretta connessione con l’arte medica, e la conquista di conoscenze spirituali era
messa in rapporto con il guarire. Non si trattava ora di svalutai e in modo dilettantesco la medicina
scientifica: questa veniva pienamente riconosciuta. Si trattava di aggiungere al patrimonio di cognizioni
esistente quello che, per la comprensione dei processi di malattia e di guarigione, può derivare da una
vera conoscenza spirituale. Non si tendeva dunque a far rivivere l’atteggiamento animico istintivo degli
annulli misteri, ma si cercava un modo nuovo, corrispondente alla pienezza della coscienza moderna,
sollevata alla realtà spirituale.
Così si fecero i primi passi, mentre l’Istituto Clinico-Terapeutico, da me fondato ad Arlesheim, forniva
i dati sperimentali per le teorie qui illustrate. Fu intrapreso il tentativo di indicare una via per l’arte
medica a coloro che sentono la necessità di un ampliamento delle loro conoscenze mediche nel senso
qui prospettato.
Era nostra intenzione che a questo; volumetto seguissero altre pubblicazioni, frutto del comune lavoro.
Purtroppo ciò non fu possibile. Tuttavia, sulla scorta delle numerose indicazioni ed annotazioni che
sono nelle mie mani, mi propongo di pubblicare un secondo e forse anche un terzo volume.
Possa questo primo volume, il cui manoscritto fu corretto con gioia e con interiore soddisfazione da
Rudolf Steiner stesso tre giorni prima della sua morte, raggiungere tutti coloro che dagli enigmi della
vita cercano di arrivare alla comprensione della vita stessa nella sua magnificenza e grandezza.
Ariesheim-Dornach, settembre 1925 ITA WEGMAN
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|ELEMENTI FONDAMENTALI|Commenti disabilitati su 00 –
PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
I sensi e il mondo esterno.
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 09.04.1920
Sommario: I sensi e il mondo esterno. Sali di ammonio. Escrezione e secrezione. Attività del polmone.
Processo formativo dei denti e processo del fluoro. La peristalsi intestinale. Euritmia, danza e lavori
manuali. Processo formativo dentario e processo digestivo. Nux vomica. L’uomo come settemplice
metallo. Malattie acute e croniche. Lo stato depressivo. Valutazione scientifica-spirituale della
mentalità medica.
Se lo studio della medicina ha da svilupparsi in modo benefico per l’umanità, occorre che si realizzi
veramente quel che ho cercato di delineare nel corso di queste conferenze: una visione comprensiva
dell’intero organismo umano, sano e ammalato, nonché delle forze e delle sostanze extraumane, e dei
loro modi di agire, in generale. In tal modo verrebbe gettato un ponte fra l’impostazione scientificonaturalistica, che tende sempre più alla mera conoscenza delle malattie, e l’aspirazione a trovare rimedi
ed effetti curativi. Per poter percorrere con successo questa via è però necessario acquistare una
conoscenza complessiva dell’uomo, illuminandolo per così dire in senso scientifico-spirituale, partendo
dal rapporto in cui egli si trova oggi con il mondo esterno nel suo stato umano attuale. La connessione
col mondo esterno è massimamente sviluppata là dove i nostri sensi superiori entrano in reciproco
rapporto con esso, come ad esempio nell’occhio: sensi che in fondo hanno solo scarsi rapporti con
processi fisici interni all’organismo. Appena però si tocca la sfera dei sensi inferiori, quella dell’olfatto
o del gusto, ecco che il contatto esterno dell’uomo col mondo si va interiorizzando, Infatti si può dire
che nell’uomo la digestione non è, fino a un certo punto, che un proseguimento e una metamorfosi
dell’attività sensoriale. Fino al punto in cui gli alimenti vengono ceduti dall’attività intestinale
all’attività formativa della linfa e del sangue, e perfino ancora durante tale passaggio, in fondo tutto
quel che si svolge è un’attività sensoriale trasformata; essa agisce tanto maggiormente sul piano
organico, quanto più bassa è essa stessa attività sensoriale. Dobbiamo dunque riconoscere nel processo
digestivo (fino al punto ora indicato) la prosecuzione di un processo sensoriale gustativo.
Valutando giustamente questo fatto, si pongono anzitutto le basi per tutta la dietetica, e inoltre per la
conoscenza dei fattori salutari necessari per poter agire terapeuticamente proprio in questo campo. Si
potranno poi anche imparare a conoscere sistematicamente a poco a poco le alterazioni che possono
instaurarsi in questo ambito. Si provi infatti a seguire l’azione che sull’organismo umano esercitano,
poniamo, i sali di ammonio. Lo scienziato moderno dirà che i sali ammoniacali, ad esempio il cloruro
di ammonio, agiscono sul sistema nervoso motorio del cuore (appunto così si esprimerebbe la scienza
odierna).
Senonché questo sistema nervoso che sarebbe « motorio » è un’assurdità. Come ho ripetuto a
sufficienza, non esiste differenza tra i nervi di senso e quelli di moto, e perciò l’intera concezione è
assurda. Comunque, per quel che riguarda i composti ammonici, le cose stanno in modo diverso. Ciò
che importa è che finché i sali di ammonio conservano la loro azione (diciamo entro l’ambito che si
estende dal processo gustativo fino a quello della formazione della linfa e del sangue), sussiste
all’interno anche una continuazione dell’effetto gustativo; tale effetto gustativo prolungato è al tempo
stesso un processo nel corpo astrale e in questo provoca un’attività riflessa, consistente ad esempio
nella secrezione del sudore. Se si è in grado di concepire quella prima parte dell’attività digestiva
umana come un processo gustativo protratto, ci si dischiude veramente la vista sul processo della
secrezione del sudore, è in certo modo anche di quella urinaria. Osservando infatti con attenzione
quanto si svolge nell’ambito della digestione, si constata anzitutto che le sostanze alimentari vengono
accolte da parte dei diversi succhi digestivi del nostro organismo; questo è l’essenziale. Tutti i
fenomeni connessi si riducono in fondo più o meno all’azione solubilizzante esercitata dai secreti
digestivi sugli alimenti. A tale azione solubilizzante corrisponde poi una reazione, la quale consiste
nell’attività del fegato e della milza. Proprio per tale ragione abbiamo dovuto in precedenza collegare le
attività di questi due organi con l’ambito dell’acqua, cioè delle attività esercitate nell’elemento liquido.
In contrasto con l’azione solubilizzante che si esercita nel primo ambito digestivo, l’attività del fegato
ha invece l’effetto di rivestire le sostanze, in certo senso di avvolgerle, di far compiere per così dire a
ritroso il cammino delle modificazioni avvenute nella prima parte del processo digestivo.
Si può suscitare un’immagine di quanto avviene di essenziale, confrontando i processi ai quali ho
accennato, con due semplici fatti. Se io getto del sale nell’acqua calda, il sale sciogliendosi si
distribuisce in tutto il liquido. Questo processo ci può dare una immagine di quanto accade nel processo
digestivo fino all’assorbimento degli alimenti nei vasi linfatici e sanguigni. D’altra parte, osserviamo
alcune goccioline di mercurio, con la loro caratteristica tendenza ad assumere forma sferica, cioè a
racchiudersi, a configurarsi. Questo comportamento ci può dare un’immagine di quel che avviene nel
processo digestivo dopo l’assorbimento nei vasi linfatici e sanguigni, attività che ha luogo sotto la
direzione del fegato, con tutta la sua relazione col corpo astrale dell’uomo.
È veramente necessario che si impari a guardare in questo modo entro i processi organici, perché tale
atteggiamento ci porta ad osservare come nel mondo esterno avvengano la formazione dei sali e quella
mercuriale. Nel mondo esterno si può veramente leggere quello che deve operare all’interno
dell’organismo. L’uomo va sempre osservato in connessione col mondo esterno.
Possiamo ora seguire i sali di ammonio, quando trapassano nell’ambito della formazione del sangue e
lo alcalinizzano. Proseguendo nella loro via, essi ora agiscono dall’uomo inferiore sull’uomo superiore,
provocando in questo certe reazioni. S qui interessante notare che avviene un completo rivolgimento
dei processi in atto. Lo si può caratterizzare nel modo seguente: mentre nell’ambito inferiore della
digestione l’uomo superiore tende a operare con un’attività sensoriale, e precisamente gustativa, ora si
verifica il contrario: l’uomo inferiore comincia a tendere verso un’attività percettiva, e l’uomo
superiore verso quell’attività che agisce sulla percezione stessa. Ne consegue che, mentre prima si era
Verificata una specie di azione riflessa, di cui ho detto che parte dal corpo astrale, ora al contrario il
processo si svolge in modo che l’azione riflessa parte dal basso; in certo senso, l’azione riflessa
proviene dal basso, mentre l’azione primaria ha inizio dall’alto. Sì che in alto vengono stimolati a
un’attività più vivace gli epitali vibratili e viene stimolata la secrezione del polmone. Si ha quindi il
movimento contrario. Dapprima con il processo della dissoluzione viene messa in moto l’attività del
fegato. In seguito l’attività avvolgente del fegato provoca un’azione dissolvente, disperdente,
stimolante, dell’attività che le è situata al di sopra, cioè dell’attività polmonare; così invece del
dissolvimento in basso, si verifica una secrezione negli organi superiori.
Questa è la via che nell’organismo viene percorsa dalle sostanze in esso introdotte, partendo dal
processo di solubilizzazione, attraverso l’azione salina, per giungere all’azione configuratrice e infine a
quella disperdente che è paragonabile al processo dell’evaporazione e della combustione. Se dunque
aggiungiamo alle goccioline di mercurio un liquido in ebollizione che evapora continuamente (e
l’evaporazione può essere definita come un’azione fosforico-sulfurea), dove la sostanza inorganica è
per così dire infiammata, abbiamo davanti a noi l’immagine dell’attività che si svolge negli organi
dell’uomo inferiore, ma anche in quelle parti dell’uomo superiore che stanno in rapporto col polmone.
Tenendo presente questa attività interiore si può pervenire anche a formarsi dei concetti su quanto del
mondo esterno può venire accolto in essa. Si può così arrivare lontano, per esempio a quanto segue. Se
ricordate quello che abbiamo menzionato giorni fa, potrete riconoscere che tutto quanto si svolge nel
processo di formazione dei denti rappresenta un’attività molto periferica dell’organismo umano. Perciò
tale attività periferica diventa ben presto un’attività del tutto esteriore, mineralizzante, come ho già
detto; ma attenti a non fraintendere la cosa. Mi sembra che le mie considerazioni siano state un po’
fraintese. Io avevo detto che, siccome la formazione dei denti è un’attività così periferica, quando il
processo di mineralizzazione vi è già avviato e ci si trova di fronte ad alterazioni dentarie, è giustificato
l’intervento dentistico puramente tecnico-meccanico, l’otturazione e così via, dato che non è più
possibile intervenire utilmente coi farmaci. In tali condizioni non si può fare altro che trattare
meccanicamente quello che si è già mineralizzato.
Ritengo dunque senz’altro giusto il provvedere meccanicamente alle otturazioni, alle protesi e così via,
quando i denti sono guasti, perché a partire da un certo punto i denti non si possono più curare per via
interna. Bisogna invece preoccuparsi di curare in tempo dall’interno il processo di formazione del
fluoro, che è necessario anche per l’intero organismo: bisogna provvedere alla funzione che esercitano i
denti finché sono ancora sani, creando un surrogato per il processo formativo del fluoro
nell’organismo. Un tale surrogato può venire creato in un certo modo: occorre però tener conto del
processo di inversione che ho descritto poc’anzi.
Che cos’è in sostanza l’intero fenomeno della formazione dei denti, considerato nella sua realtà? È un
trasferimento del processo di mineralizzazione dall’interno all’esterno. Quando la seconda dentizione è
compiuta, il processo che spinge verso l’esterno la mineralizzazione è giunto al suo termine. Ora gli si
contrappone il processo di sessualizzazione il quale urge a sua volta verso l’interno. Il processo di
formazione dei denti e quello della sessualizzazione sono processi antitetici, che si contrappongono
l’uno all’altro come in un ritmo. Nella stessa misura in cui termina il processo di formazione dei denti,
si rende attivo dall’altro lato il processo di sessualizzazione. Considerando i fatti in questo modo si
riconoscerà che anche un altro processo, che nell’uomo si svolge verso l’interno e in direzione anteroposteriore, è polarmente opposto al processo del movimento formativo dei denti, e strettamente
connesso a questo. Si tratta del moto peristaltico dell’intestino; questi due processi sono intimamente
collegati fra loro. Tutto ciò che riguarda il moto peristaltico è dunque strettamente connesso con
quanto, dall’altra parte, provvede alla formazione dei denti. Il moto peristaltico intestinale è
strettamente connesso con l’utilizzazione del fluoro nell’organismo umano. Si può affermare
semplicemente che quando il moto peristaltico intestinale avviene con più intensità e più rapidità di
quanto dovrebbe verificarsi in base alle caratteristiche individuali di una persona, ciò si ripercuote in un
peggioramento della dentatura, e soprattutto sull’insieme delle azioni che il fluoro dovrebbe esercitare
di norma nell’organismo umano. Quando il dentista constaterà gravi guasti nei denti, egli dovrà perciò
consigliare che venga moderata l’intera attività peristaltica intestinale. Questo potrà realizzarsi sia
consigliando semplicemente del riposo (quando ciò sia compatibile con l’attività professionale del
paziente), sia prescrivendo rimedi che calmino un poco, ma non drasticamente, l’intensità dei moti
peristaltici intestinali.
La regolazione di questa attività è particolarmente importante. Essa viene favorita da un’attività ben
regolata degli arti, un’attività delle membra obbediente a leggi ben definite, alla quale ho già in
precedenza accennato: riguarda le mani e le braccia, le gambe e i piedi, e viene favorita soprattutto da
un regolato esercizio euritmico, in quanto con l’euritmia i movimenti vengono compenetrati
dall’anima. Se invece la ginnastica diventa troppo « fisica », si può avere un effetto esagerato in senso
sbagliato, ed è molto facile che si abbia addirittura un effetto contrario. È perciò ben comprensibile che
le comuni esercitazioni di danza (alle quali si dedicano soprattutto le ragazze) possano anch’esse agire
dannosamente sul processo dentario. Non c’è quindi da stupirsi che le ragazze (che in larga misura
esercitano le varie forme di danza) abbiano dentature peggiori dei ragazzi della stessa età. Ciò che piò
importa a questo proposito è infatti che i movimenti della danza siano compenetrati effettivamente
dall’anima, e che non si esageri nell’esercitarvisi. D’altra parte, anche nell’ambito dei movimenti delle
mani, quali si estrinsecano nei lavori a maglia, con i ferri o con l’uncinetto, basta esagerare per ottenere
l’effetto opposto a quello che si può conseguire con un’attività ben regolata.
Vediamo dunque che in effetti già nell’ambito dei movimenti meccanici e visibili si verifica
un’inversione di direzione. Anzitutto il processo formativo dei denti procede in direzione opposta a
quella del processo digestivo. Inoltre è molto importante il fatto che il moto inserito nel processò
digestivo è esattamente contrario alla normale direzione dei movimenti della deambulazione, cioè alla
capacità di muoversi in avanti. Questa opposizione ha una grandissima importanza per la
configurazione dell’uomo.
È proprio assai significativo il fatto che l’uomo possa camminare in avanti, mentre Io stimolo per la sua
evacuazione intestinale abbia la direzione opposta. Si possono persino ottenere buoni risultati in certi
casi di stitichezza, facendo eseguire esercizi ginnastici di marcia all’indietro. In questo modo si può
favorire lo svuotamento intestinale. Fatti e connessioni di questo genere possono diventare, da semplici
appunti empirici, conoscenze approfondite della natura umana, qualora si illumini con la scienza dello
spirito l’intera costituzione dell’uomo.
Vorrei ora attirare la vostra attenzione su qualcosa d’altro, e precisamente sulla singolare azione che
sull’uomo esercita la noce vomica (Nux vomica). Su che cosa si fonda la sua azione? La via migliore
per scoprire l’intima modalità della sua azione, è osservare una ben determinata condizione: il
malessere che segue a una sbornia. Tutti gli altri effetti della Nux vomica si possono poi comprendere
meglio, quando se ne sia ben osservata l’azione in soggetti che escono da una sbornia. Questo
caratteristico stato di malessere presenta un esatto rivolgimento di tutta l’attività organica umana. Esso
è la continuazione di un processo che si svolge in modo certo eccessivo nel primo tratto dell’apparato
digerente, e si manifesta quando la smodata introduzione di vino o di birra o di champagne raggiunge
con i suoi effetti i processi formativi della linfa e del sangue, e in tali processi trapassa. Allora gli
àmbiti dell’organismo umano il cui compito sarebbe quello di dissolvere, di rendere solubili le
sostanze, vengono trasformati in una specie di organo di senso. Invece di rivolgere al mondo esterno la
propria attività neuro-sensoriale, invece di mettersi in comunicazione col mondo esterno, scorgendo
fuori di sé la Terra e i suoi processi, l’uomo è costretto dal guaio in cui si è cacciato a percepire il suo
interno: in quelle condizioni, egli trova infatti al proprio interno un’attività divenuta molto simile
all’attività terrestre esteriore. Ed ecco che egli comincia a percepire la rotazione della Terra e il suo
letto comincia a girare in cerchio. Al di là della sua attività intestinale, nella sfera formativa della linfa e
del sangue si trova ora, vorrei dire, una specie di attività terrestre, una specie di mondo esterno: un
mondo esterno interiore! L’uomo ha fatto di sé un mondo esterno interiore e percepisce molto
spiacevolmente là dentro quel che non lo disturberebbe affatto, se lo percepisse all’esterno; la sua
interiorità infatti non è per niente adatta a diventare una Terra, anzi dovrebbe per l’appunto sottrarsi alla
Terra. Ma in quelle condizioni egli si costruisce dentro una vera e propria Terra, cioè qualcosa che
sarebbe in fondo molto più adatto ad essere percepito dall’esterno, se fosse possibile metterlo fuori e
circondarlo di spettatori. Egli si trova invece costretto a percepire mediante un’interiorità spostata verso
l’esterno.
In tali casi interviene per lo più un processo di guarigione naturale. Tuttavia, prima che questo processo
spontaneo di guarigione abbia inizio, la Nux vomica risulta efficace perché essa sopprime la sensibilità
verso quel mondo esterno interiore. Tale soppressione fa sì che al tempo stesso non venga disturbato il
processo esteriore che si svolge all’interno; l’azione curativa della Nux vomica che vi è connessa deriva
dal fatto che quella prosecuzione del processo gustativo metamorfosato viene attenuata, e non disturba
più quel die accade al di là di tale processo gustativo prolungato. Con ciò si produce una specie di
guarigione. Supponiamo ora che si verifichi la condizione opposta: che non si abbia un eccesso di quel
processo gustativo prolungato, bensì una attenuazione, per cui l’attività di solubilizzazione non si
svolge a sufficienza. Supponiamo dunque che nell’organismo umano ciò che viene introdotto dal
mondo esterno non si solubilizzi come di norma per inserirsi poi nel processo di salificazione, perché
l’attività interna risulta troppo debole a tal fine. In questo caso quel primo ambito dell’attività digestiva
funziona già per conto suo al modo che ci si propone di conseguire, quando si somministra la Nux
vomica, funziona così di natura, per un qualsiasi altro motivo; allora le sostanze non sufficientemente
solubilizzate cercheranno di adattarsi ad esso. Se non raggiungono una via d’uscita, esse infatti non
sono in grado di oltrepassare il limite esistente fra l’attività gustativa e digestiva, da un lato, e l’attività
formativa della linfa e del sangue, dall’altro. Perciò esse vanno in cerca di una via in direzione opposta,
e si presentano tutti i sintomi che si possono poi curare, favorendo semplicemente l’effetto
solubilizzante, mentre con la Nux vomica lo si inibisce. Usando invece la Thuya ci si può opporre con
successo a tutto quanto va cercandosi una via sbagliata. Ecco qui la contrapposizione polare fra la Nux
vomica e la Thuya, quale risulta dall’osservazione della natura umana. Questo ci mostra però anche
come si debba sempre tener d’occhio l’organizzazione umana complessiva; infatti le contrapposizioni
che si manifestano nell’organismo hanno un’importanza che non va certo sottovalutata.
Le attività che tendono a sospingere verso l’uomo superiore tutto quello che accade nell’uomo
inferiore, sono sempre più intense durante il sonno. Occorre una grande prudenza per caratterizzare il
sonno. È esatto dire che il sonno è uno dei migliori rimedi, ma questo vale solo se esso si estende per la
durata necessaria a ogni singolo individuo, né più a lungo, né meno. Un eccesso di sonno, rispetto alle
necessità individuali, è dannoso, è patogeno. Per effetto di un sonno troppo prolungato, un eccesso di
sostanze attraversano quella specie di limite, o di setaccio, di cui ho parlato, e che esiste fra la prima
parte dell’apparato digerente e l’attività formativa della linfa e del sangue. Del resto, a tale rischio
l’uomo è esposto sempre. Siccome l’organismo inferiore dorme sempre, l’uomo è di continuo esposto
ad ammalare nel sangue, a causa dell’organismo inferiore. L’uomo porta però in se stesso il rimedio
contro quel rischio, naturalmente in relazione alle esigenze dell’organismo normale. Quest’ultimo ha in
effetti la tendenza ad ammalarsi di continuo, per effetto del sonno, ma tale tendenza viene del tutto
controbilanciata dal contenuto in ferro del sangue. Il ferro è senz’altro il metallo più importante per
l’uomo; esso agisce al suo interno, in senso compensatorio nel caso in questione, e normalizzando tutto
quel che raggiunge proporzioni eccessive fra un processo e l’altro. Da quello che ho detto ora si
potranno comprendere le malattie dovute a difetto di ferro nel sangue, ma anche, d’altra parte, si potrà
aiutare l’organismo a superare i processi che lo disturbano dal basso verso l’alto, servendosi del ferro
diluito a sufficienza, sì che esso diventi realmente affine alla continua attività omeopatizzante esercitata
dall’uomo superiore. Gli altri principali processi metallici importanti per l’uomo vengono sostituiti
dalle attività dell’organismo umano, come abbiamo visto.
Vorrei ora riassumere ancora una volta brevemente da questo punto di vista ciò che scaturisce dallo
spirito complessivo di queste mie conferenze. Ho accennato anche oggi di nuovo all’attività formativa
della linfa e del sangue: essa è la contrapposizione polare di ciò che si manifesta nel processo di
mineralizzazione riguardo al rame. Esiste dunque un’affinità di tali processi col rame. Si pone perciò il
compito di comprendere che essi appartengono ancora all’uomo inferiore, però solo alla sua parte più
alta; per tale ragione sussiste un’affinità col rame, e precisamente una forte affinità con la forza
formativa del rame, quale esiste nella Terra. Infatti tutto quel che è connesso con l’uomo inferiore lo è
anche con i processi terrestri. È quindi una regola aurea per l’applicazione terapeutica del rame in
quella sfera, usarlo (naturalmente a dosi non eccessive, non dannose) a basse potenze, cioè in modo che
la sua azione sia ancora abbastanza simile a quella che esso svolge nella Terra.
Ora, come il processo formativo interno della linfa e del sangue è affine al rame, così è affine al fegato
e soprattutto al mercurio tutto dò che si trova al punto di transizione, ciò che in certo senso trasferisce il
processo digestivo esterno nel processo digestivo interno (quello che concerne la formazione del
sangue e della linfa). Quanto l’altro processo è affine al rame, tanto quest’ultimo è affine al mercurio,
ma per quel che concerne il mercurio bisogna prestare attenzione al fatto che essa possiede in fondo
una tendenza sferica, armonizzante, che è in certo qual modo connessa con l’azione reciproca fra quei
due processi. D’altra parte vengono regolati dalla funzione dell’argento quegli altri processi che pure
debbono svolgersi nell’uomo, affinché non penetri eccessivamente nel sangue il processo gustativo
prolungato: processi che vengono messi in moto dall’azione della Nux vomica e contrastati invece
dall’azione della Thuya.
Si schiude così il campo per indagare la natura esterna in questi suoi componenti e riconoscere in essa,
per così dire, l’essere umano scomposto a sua vòlta nei suoi; in tal modo si potrà inserire l’uomo (sia
sano, sia malato) nell’ambiente naturale col quale è tanto strettamente congiunto proprio mediante la
sua parte inferiore. Dunque ciò che dall’uomo inferiore ascende verso l’uomo superiore grazie ai
processi connessi col rame, viene regolato, equilibrato dalla contrapposta azione del ferro. Da questa
correlazione potete già dedurre che l’uomo ha bisogno di ferro, ha bisogno di un costante eccesso di
processi ferrosi, o per dirla in termini chimici: di ferro. Tutti gli altri metalli sono presenti nell’uomo
stesso sotto forma di processi. In un certo senso, l’uomo è un settemplice metallo. Solamente il ferro
però è presente appunto come ferro; gli altri metalli sono presenti solo come processi.
Allo stesso modo in cui è connesso col rame ciò che negli organi coopera con l’attività formativa della
linfa e del sangue, così è appunto connesso col ferro dò che si diparte dal polmone e si apre verso
l’esterno fino alla laringe.
Sono poi affini al processo formativo dello stagno le parti del cervello che servono piuttosto all’attività
interna del cervello stesso, che assomigliano vorrei dire piuttosto a un’attività digestiva del cervello e
corrispondono in qualche modo ai processi del trapasso dall’intestino ai vasi linfatici e sanguigni. I
processi formativi dello stagno compenetrano di forze animiche, e in tal modo regolano il processo
digestivo, nella sfera che ora ho caratterizzata.
Invece tutto ciò che è connesso piuttosto con le fibre nervose, con gli organi che (all’interno dell’uomo
superiore) sono il prolungamento degli organi di senso, è connesso con il piombo; si tratta inoltre di ciò
che corrisponde alle secrezioni del sudore e dell’urina.
Conoscenze come queste gettano luce sulla natura dell’uomo, e al tempo stesso forniscono, indicazioni
sul modo in cui dalle sostanze che circondano l’uomo si possono ricavare delle azioni terapeutiche,
partendo anche dalle reazioni che esse provocano. Dobbiamo avere ben presente che la scienza dello
spirito deve mettere in evidenza che certe cosiddette malattie mentali hanno la loro sede negli organi,
mentre certe malattie organiche sono strettamente connesse con azioni animico-spirituali. È questo un
capitolo arduo. Il materialismo procede; da un lato, con criteri meccanici o chimici nelle cosiddette
malattie fisiche, considerando l’uomo più o meno come una macchina; d’altra parte però, nella
caratterizzazione delle cosiddette malattie mentali, esso in fondo si limita alla sola descrizione dei
sintomi psichici, in quanto la concezione materialistica non scorge più la correlazione fra l’animicospirituale e il fisico-corporeo.
Questa stretta connessione ci si rivela però proprio se indaghiamo concretamente come siano
interdipendenti le condizioni psichiche e quelle corporee. Proviamo a chiederci che cosa favorisca la
comparsa delle malattie mentali. Quando l’uomo si ammala, possono manifestarsi dapprima certi
sintomi soggettivi, dolori, o altri disturbi dello stato generale. Tali sintomi (che sono più evidenti nelle
malattie acute e che si manifestano un po’ trasformati nelle malattie croniche) sono l’espressione, vorrei
dire, di ciò che l’uomo animico-spirituale fa per prima cosa, quando in un organo è presente un certo
danno: egli se ne ritrae. Il dolore non è che l’espressione del fatto che l’io e il corpo astrale si
ritraggono dal corpo fisico e dall’eterico; questo fatto può naturalmente accompagnarsi anche a una
retrazione del corpo eterico. L’essenziale della sensazione dolorosa sta però nel corpo astrale e nell’io.
Di regola, l’io in quelle condizioni è ancora abbastanza forte da percepire coscientemente la
controparte soggettiva del processo morboso dell’organo fisico. Quando invece la malattia diventa
cronica, il processo si ritira gradualmente dall’io; ne consegue die quanto avviene sul piano animico si
limita soltanto al corpo astrale, e quindi l’io non partecipa più a ciò che il corpo astrale soffre insieme
al corpo eterico. La malattia Organica può svilupparsi in modo cronico: i fatti acuti si cronicizzano. In
questa condizione i sintomi psichici coscienti si attenuano. Se vogliamo delineare una sintomatologia,
dobbiamo proprio penetrare in profondità nell’essere umano. Dobbiamo per esempio chiedere al nostro
paziente, non solo come si senta, o dove provi dolore, ma se dorma bene o male, e se abbia voglia di
lavorare. Dobbiamo cioè considerare come sintomi i fenomeni che si estendono a periodi di tempo più
lunghi e che sono connessi più a fondo col suo divenire; nelle malattie acute potremo invece apprezzare
come sintomo il suo stato di benessere o di malessere momentaneo soggettivo. Quando l’andamento si
avvia verso la cronicità dovremo prestare maggiore attenzione al corso generale della vita che non ai
singoli sintomi.
La malattia assume l’ordinario carattere cronico fisico quando l’intero processo può venire trattenuto
nell’organo ammalato, così che il corpo astrale e il corpo eterico partecipino effettivamente nel giusto
modo all’attività organica e vi immettano le forze necessarie. Se la costituzione del malato gli consente
di sopportare un’azione disordinata del corpo astrale nell’organo in questione (tramite il corpo eterico),
se egli è in grado di portare al di là di un certo punto critico il nesso abnorme del suo corpo astrale col
suo fegato (sì che il fegato non si accorga per così dire che il corpo astrale opera in esso
irregolarmente), allora il fegato può riprendersi, ma si abitua all’azione abnorme del corpo astrale.
Qualora tale condizione si protragga per un tempo sufficiente, il processo percorre la via inversa e
penetra nell’ambito psichico. Il fegato spinge entro l’ambito psichico ciò che dovrebbe invece
accogliere nell’ambito fisico: si verifica allora lo stato depressivo, la depressione. La disposizione a
questa cosiddetta malattia psichica si realizza dunque in certo senso per il fatto che il soggetto sopporta
delle malattie croniche fino al di là di un certo punto, fino all’instaurarsi di un rapporto abnorme col
corpo astrale.
Se un giorno si vorranno considerare in questo modo i problemi, si oltrepasserà lo stadio della
patografia. Oggi si parla molto di irregolarità nello svolgimento delle rappresentazioni o delle volizioni.
Fintanto però che si ignora come la singolare cooperazione del fegato, della milza e degli altri organi
addominali funga da supporto a ciò che, nella sua forma psichica più elevata, si manifesta come volontà
umana, non si riuscirà a trovare veramente la contro-immagine fisica corrispondente alla patografia
psichiatrica. Proprio nelle cosiddette malattie mentali si dovrebbe pensare a instaurare una terapia
fisica. Sembra contradditorio che la scienza dello spirito debba indicare una terapia fisica per le malarie
cosiddette dello spirito, e d’altra parte debba sottolineare la compartecipazione della sfera animica alla
guarigione delle malattie fisiche. Senonché questa apparente contraddizione è in rapporto col
formidabile contrasto fra l’uomo inferiore e l’uomo superiore. Sta in rapporto con l’inversione che si
verifica quando l’attività sensoriale attivata dall’esterno si trasforma in attività sensoriale interna (come
nella prosecuzione del processo gustativo); o quando ciò che si trova all’interno si scarica a sua volta
all’esterno, mediante il moto delle ciglia vibratili. In tali connessioni si trovano, se giustamente
riconosciute, le possibilità di giungere a un certo risultato.
Nel corso di queste venti conferenze mi sono dunque sforzato di presentarvi numerosi e svariati fatti e
correlazioni. Accingendomi a questo corso e ad affrontare tutti i problemi che si presentavano, mi
rendevo conto delle difficoltà, in particolare di quella della scelta del punto di partenza. Se infatti avessi
preso le mosse da conoscenze elementari, in venti conferenze non avrei certo potuto arrivare molto
lontano: si sarebbe potuto tutt’al più offrire un’indicazione della direzione in cui procedere.
Cominciando invece dal piano più alto, menzionando cioè una serie di fatti occulti, sarebbe stato
difficile costruire uft ponte verso la medicina contemporanea, e il tempo necessario sarebbe ancora
aumentato. Ih qualunque campo si riscontrino oggi gli estesi danni già prodotti dal materialismo, sorge
la necessità di operare in senso contrario. Vi prego di non voler considerare ciò che sto dicendo come
una presa di posizione preconcetta, ma di considerarlo espresso in modo amichevole. Io non intendo
parteggiare per nessuna posizione, ma vorrei solo esporre obiettivamente i fatti. C’è però qualcosa che
è lecito e doveroso affermare: in tutta la medicina allopatica dei giorni nostri si manifesta la tendenza a
giudicare l’uomo ammalato in base a certi effetti collaterali della malattia, tendenza che si manifesta
nella teoria batteriologica e che essenzialmente sposta l’attenzione su fenomeni secondari. La
conoscenza della biologia dei microrganismi potrebbe riuscire di grande utilità, se le si attribuisse solo
un’importanza ausiliaria. Le caratteristiche dei diversi bacilli possono infatti darci utili informazioni sui
processi che si stanno svolgendo, appunto perché una data specie batterica si sviluppa sempre sotto
l’influsso di ben determinati fattori primari. Lo si potrà constatare sempre di nuovo. Non solo nella
teoria batteriologica, però, ma nell’intera concezione generale della medicina allopatica, si mostra la
tendenza a prendere per primario ciò che è secondario (per esempio l’effetto dei bacilli sugli organi
umani), invece di osservare come l’organismo umano possa diventare portatore di certi microrganismi.
Non occorre che io esponga nei particolari i danni prodotti da una tale concezione, perché ritengo che
molti di voi li avranno già notati.
Bisogna dire però (e vi prego di perdonare la mia schiettezza) che neppure la medicina omeopatica, se
esaminata criticamente, ci -soddisfa del tutto. Essa ha certo il merito di mirare sempre alla totalità
dell’essere umano, di tener conto sempre degli effetti complessivi dei farmaci, sforzandosi inoltre di
gettare il ponte verso la conoscenza dei rimedi. Nella letteratura medica omeopatica incontriamo però
un altro inconveniente. Soprattutto in quella di argomento terapeutico vien fatto di disperarsi, perché
nel lungo elenco dei rimedi si scopre che ognuno di questi sarebbe efficace contro un numero enorme
di malattie. Non è facile nella letteratura omeopatica scoprire azioni terapeutiche specifiche dei singoli
farmaci: ognuno serve per moltissime malattie. Sp bene che per ora questa situazione non può
cambiare; tuttavia, anche questa è una via sbagliata. Questo difetto di orientamento può essere corretto
solamente procedendo nel modo in cui ho cercato di farlo in questo mio corso, almeno in termini
elementari e per accenni. È per questa ragione che ho cominciato scegliendo le nozioni elementari, e
non partendo per così dire dall’ultimo piano! I risultati potranno poi venir migliorati, ascendendo da
questa osservazione interiore della natura umana ed extraumana fino alla delimitazione della sfera
d’azione del singolo medicamento. Non ci si potrà però accontentare di studiare quel che accade con un
dato farmaco nell’uomo sano o nel malato. Bisognerà sforzarsi di studiare il mondo intero come una
grande unità e (come ho cercato di illustrare qui ieri, con un esempio) per studiare l’uomo si dovrà
seguire l’intero processo dell’antimonio nella natura esterna, per poi apprendere a collegarlo con
quanto l’antimonio stesso può fare all’interno dell’uomo. Procedendo in tal modo si giunge a
circoscrivere determinati ambiti del mondo esterno e a scoprirne le relazioni con l’uomo.
Come ho già detto, è stato questo genere di considerazioni a indurmi a mettere in evidenza, in queste
venti conferenze, le conoscenze elementari. La medicina naturista segue un certo istinto, cioè quello di
riportare l’uomo in modo naturale nel campo d’azione delle proprie forze di guarigione: diventa quindi
necessario conoscere su che cosa poggino tali forze di guarigione, e abbiamo mostrato che si fondano
in verità sulla reciproca azione dell’elemento terrestre e di quello extraterrestre. La medicina naturista
deve certo fare attenzione a non cedere troppo all’andazzo materialistico, al quale indulgono oggi tutte
le più diverse correnti della medicina. Ciò che conta è quindi la spiritualizzazione dell’intera sfera di
cui ci stiamo occupando. Bisogna però riconoscere con chiarezza che al giorno d’oggi il mondo è
fieramente avverso a questi pensieri. Sarà quindi necessario che il rimedio contro il materialismo venga
proposto anche e proprio da parte dei competenti e degli operatori nel campo medico terapeutico.
Quello che è stato da me tentato di sviluppare in queste settimane, e che forse sta solo muovendo i suoi
primi passi, non deve infatti venire scambiato per un incentivo al dilettantismo. Io apprezzerei
moltissimo che coloro i quali si rendono conto che qui d si sforza di lavorare proprio scientificamente,
contribuissero a combattere il dannosissimo preconcetto che in questa sede si svolga un’attività
dilettantesca. Dobbiamo certo tener conto e valerci anche di ciò che proprio la scienza moderna può
offrire. Ma in genere non si è disposti a riconoscere quello che qui realmente si vuole. Perciò càpitano
sempre di nuovo situazioni come quella che, prima di concludere, vorrei esporvi come esempio.
Vedete, in fondo è solo al medico che si può veramente spiegare l’importanza, ad esempio,
dell’euritmia per la costituzione umana. Anche la ragione per cui qui sorge l’edificio del Goetheanum si
può spiegare chiaramente soltanto al medico che abbia compreso l’alterno processo di interiorizzazione
e di esteriorizzazione, quale si svolge nell’organismo umano ed è stato descritto in queste conferenze.
Oggi è necessario parlare fondandosi su idee e conoscenze che ripugnano profondamente appunto al
materialismo degli incompetenti e alle correnti di pensiero tradizionali e superate. Si tratta qui di un
atteggiamento che dovrebbe essere combattuto proprio da parte dei competenti, perché non abbiano a
ripetersi episodi come quello che vi citerò ora. Il nostro buon amico M., partito ieri da qui, ha voluto
mostrare la sua buona volontà, indirizzando alla « Neue Zuercher Zeitung » un articolo sul
Goetheanum, qui a Dornach, e sull’euritmia: credeva di portare così un utile contributo. Ha ricevuto la
risposta seguente: « Egregio Signore, anche solo come oltraggio al paesaggio, la costruzione teosoficoantroposofica intitolata a Goethe sfugge ecc. Quanto all’euritmia, ne abbiamo avuto qui a Zurigo
alcune prove che non consentono appello. Grazie per la sua lettera. H. Trog, redattore dell’Appendice
letteraria. »
Vedete dunque come certi truogoli materialisti si oppongono a ciò che dallo spirito ha da venire nel
mondo! Questa è la condizione che ci troviamo di fronte: e bisognerebbe pur prestare qualche
attenzione al puzzo appestante che penetra nei nostri nasi, dal contenuto marcio di tali truogoli
materialisti.
Ho voluto menzionare questo aspetto della situazione alla fine del mio ciclo di conferenze. Un fatto
come quello citato dovrebbe giustificare la mia preghiera di voler considerare questo ciclo di
conferenze con un certo riguardo: esso ha segnato un inizio, e al suo inizio io mi son detto che era
difficile cominciarlo, per le ragioni che ho esposte poco fa. Ora però, che siamo alla fine, dico che
ancor più difficile è smettere! Mi dà infatti maggior dolore il non poter dire tutto quello che avrei
ancora da dire. Difficile è stato cominciare, più difficile è oggi il porre fine. Vi prego di accogliere nel
vostro indulgente giudizio tutto quanto è connesso ai pensieri espressi in queste parole, nel vostro
giudizio indulgente su quanto ha potuto essere espresso con l’inizio che abbiamo qui posto. Vi prego
anche (poiché con la vostra presenza personale avete mostrato quanto interesse portate all’inizio che
abbiamo posto) di voler accogliere come espressione di una cordialità non solo soggettiva, ma
assolutamente oggettiva, e diretta anche ad altri qui non presenti, il mio « Arrivederci a una prossima
simile occasione! »
Risposta conclusiva di Rudolf Steiner
alle parole di ringraziamento di un partecipante al corso
Questa che ho scelto, miei cari amici, è l’unica via per la quale io vorrei che la scienza dello spirito
riuscisse utile anche all’arte medica. Per certe ragioni che voi certo apprezzerete, anche in avvenire mi
atterrò sempre alla condotta che ho fin qui seguito: desidero che la scambievole azione che deve
effettuarsi tra la scienza dello spirito e l’attività terapeutica si realizzi soltanto fra me e coloro che alla
terapia sono addetti. Ovviamente io non vorrei mai intervenire in alcun modo di persona in qualsiasi
attività terapeutica pratica, come non l’ho mai fatto sinora. Questo deve restare riservato ai medici.
Invece dovranno esplicarsi in un rapporto fra la scienza dello spirito e i medici gli impulsi che potranno
scaturire dalla scienza dello spirito. In questo modo sarà più facile eliminare tutti i preconcetti correnti
ai quali non si potrà così aggiungere anche l’accusa che io svolga un’attività di guaritore. Ho sempre
cercato di evitarlo. Vi ringrazio!
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 20 – I SENSI E IL MONDO ESTERNO
Ereditarietà.
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 08.04.1920
Sommario: Ereditarietà. I ruoli dell’elemento maschile e di quello femminile. Diabete mellito e
malattia mentale. Emofilia. Antimonio. L’antimonio come effetto planetario. Coagulabilità del sangue e
formazione dell’albumina. Gli effetti dell’antimonio. Il guscio dell’ostrica. L’ostrica come alimento. Il
tifo addominale. La belladonna.
In queste due ultime conferenze cercherò di esporre la maggior quantità possibile di dati. Un corso
come questo non può che offrire un primo impulso alla conoscenza scientifico-spirituale delle vie che
le sostanze extraumane prendono nell’organismo umano e delle reazioni che vi provocano. Una
completa conoscenza del modo di agire di ima data sostanza apre infatti la via al suo uso come
farmaco, e consente inoltre di giudicare di persona in proposito: cosa assai preferibile al conformarsi a
semplici prescrizioni che esprimano perentoriamente le indicazioni di questa o quella sostanza. Anche
oggi prenderò le mosse da un punto in partenza lontano, per giungere poi a qualcosa di molto vicino.
Fra i problemi che sempre di nuovo mi vengono sottoposti ve n’è uno che senza dubbio interessa tutti
voi: è quello della ereditarietà, della trasmissione ereditaria. Essa occupa un posto di primaria
importanza nella valutazione delle condizioni sia dell’uomo sano (o almeno relativamente sano), sia di
quello ammalato.
Bisogna dire che l’ereditarietà viene studiata dalla scienza materialistica moderna in modo molto
astratto, viene cioè studiata in un modo che non risulta molto utile per la vita sul piano pratico. Se però
si affronta con serietà lo studio di un problema come quello dell’ereditarietà, si scopre qualcosa che
risulta molto sorprendente per chi considera le cose in modo esteriore, mentre per chi le considera
esotericamente il fatto costituisce una legge evidente. Si tratta che per tutto ciò che è importante per
l’uomo di apprendere sulle grandi connessioni universali, vi è un punto nel quale il nòcciolo della
questione si manifesta direttamente. C’è sempre qualcosa che, tramite un fatto esteriore, manifesta
quali forze nascoste, ma assai attive nell’uomo, siano presenti nella natura. A tali forze bisogna
attenersi, soprattutto nello studio dell’ereditarietà, perché d’altro lato tutto ciò che vi è connesso viene
di continuo disturbato, velato da illusioni, in modo da impedirne una corretta valutazione. Può darsi che
ci si sia formati un certo giudizio sull’ereditarietà, e che poi alcuni fenomeni non si accordino con quel
giudizio. Questo dipende dal fatto che, proprio in materia di ereditarietà, i fatti si presentano molto
annebbiati da illusioni, e precisamente per la ragione che in essi sono coinvolti l’elemento maschile e
quello femminile, secondo leggi precise, con difficoltà regolabili. I fatti avvengono secondo certe leggi,
ma il carattere di tali leggi non consente sempre una loro evidente regolazione. I fenomeni
dell’ereditarietà sono cioè soggetti a leggi, ma difficilmente regolabili. La posizione orizzontale dèi
giogo della bilancia è sottoposta a leggi ben precise; se però si aggiungono via via sempre nuovi pesi
sull’uno o sull’altro piatto, si avrà sempre una nuova oscillazione da una parte o dall’altra, e con
difficoltà si riuscirà a realizzare la posizione orizzontale conforme alla legge. Press’a poco analogo si
presenta il caso dei fenomeni ereditari: anche qui vige una legge, simile a quella che porta il giogo della
bilancia in posizione orizzontale. La legge si manifesta però con una forte variabilità derivante dal fatto
che nell’ereditarietà sono sempre impegnati l’elemento maschile e quello femminile. Ora, nel processo
ereditario l’elemento maschile trasmette sempre ciò di cui l’uomo è debitore all’esistenza terrena, alle
forze terrestri; l’organismo femminile invece è orientato piuttosto a trasmettere quanto proviene dal
cosmo extraterrestre. Si potrebbe dire che la Terra vanta sempre certi suoi diritti sul maschio, lo
organizza con le sue forze; la Terra è del resto la causa della sessualità maschile. Sulla donna vanta
invece per così dire sempre 1 suoi diritti il cielo, determinandone di continuo la configurazione, avendo
il sopravvento in tutti i processi organizzativi interni che ad essa si riferiscono. Questo fatto richiama
qualcosa di cui ho già parlato, e ne deriva quanto segue. Supponiamo che la concezione dia origine a un
essere femminile: questo tenderà a inserirsi sempre più nei processi di provenienza extraterrestre;
tenderà (se così mi è lecito esprimermi) ad essere sempre più accolto dalle forze del cielo. Quando
invece si sviluppa un essere maschile esso tende sempre più ad essere impegnato dalla Terra. Cielo e
Terra collaborano dunque effettivamente.
Non è infatti lecito interpretare quello che ho detto adesso come se avessi detto che il cielo agisce sulla
donna e la Terra sull’uomo. No: entrambi agiscono sia sull’uno che sull’altra; ma nella donna
l’equilibrio si sposta in direzione del cielo, nell’uomo verso le forze della Terra. Si tratta di un sistema
di leggi rigorose, però vi giuocano fattori variabili; da questo deriva una certa conseguenza. Grazie a
ciò che la donna racchiude nel proprio organismo, in essa viene di continuo contrastato ciò che è
terrestre. Vi è però questa circostanza singolare: l’elemento terrestre viene contrastato soltanto
nell’organismo femminile stesso, ma non nel germe che da esso scaturisce. La lotta fra il cielo e la
Terra entro l’organismo femminile si limita dunque a tutti i processi organici che stanno al di fuori della
formazione dell’ovulo, a tutti, esclusa la sfera della riproduzione; la donna si sottrae dunque di
continuo nella sua organizzazione alle forze inerenti al processo riproduttivo. Essa vi si sottrae con
l’intera sua organizzazione, eccettuata la sfera riproduttiva. Si può affermare che la tendenza a
trasmettere certi caratteri per via ereditaria si trovi nel maschio. Nella donna invece c’è la tendenza a
sottrarre se stessa all’ereditarietà; in compenso, essa possiede la maggiore tendenza ereditaria nelle sue
forze formative dell’ovulo.
Si potrà porre la questione: in che modo la società umana saprà opporsi alle forze nocive
dell’ereditarietà? Che le forze ereditarie non si arrestino né davanti al cosiddetto spirituale, né davanti
al cosiddetto fisico, risulta dal fatto che nelle famiglie in cui si hanno casi di malattie mentali, nel corso
delle generazioni si verificano facilmente anche dei casi di diabete. Si ha dunque la metamorfosi da un
campo all’altro. È perciò veramente importante chiedersi in che modo si possano sottrarre gli uomini a
certi dannosi effetti dell’ereditarietà. Contro di essi si può agire solamente in un modo: avendo cura di
mantenere nelle migliori possibili condizioni di salute il mondo femminile, attraverso il quale penetra
nel nostro processo terrestre l’influsso cosmico, extraterrestre; si otterrà così che, partendo
dall’organismo femminile, vengano continuamente combattuti i processi che trasmettono ai discendenti
i danni dovuti all’ereditarietà. Una società che abbia seriamente cura della salute delle donne, lotta
dunque contro l’influsso dannoso che le forze terrestri esercitano tramite l’ereditarietà; si fa appello
all’efficacia delle forze equilibratrici, provenienti dalla sfera extraterrestre, forze che possiedono il loro
« accumulatore » terrestre solo nell’organizzazione femminile. Ecco dunque un insieme di cognizioni
di grande importanza da tenere presenti.
Quello che ho detto ora vale per tutte le forze terrestri ed extraterrestri; è qualcosa di molto universale,
ma si manifesta con particolare evidenza nel caso della emofilìa, una delle malattie emorragiche.
Bisogna proprio far rilevare die non è lecito parlare in modo vago e generico dei fenomeni ereditari, ma
che al contrario occorre studiare in modo preciso i fatti concreti, là dove essi mettono in evidenza
l’ereditarietà. Si provi dunque a studiare i fenomeni legati all’ereditarietà negli emofilìaci. Si riscontra
il fatto singolare e ben noto che rappresenta l’espressione esteriore delle considerazioni da me fatte
prima: la tendenza alle emorragie si manifesta, in seno alla famiglia, solo nei discendenti maschi, ma
viene trasmessa solo dalle femmine. Una donna, figlia di un maschio ammalato di emofilìa, può
trasmettere la malattia ai suoi discendenti maschi, senza esserne lei stessa affetta. La donna ha ereditato
dalla sua famiglia la capacità di trasmettere il carattere ereditario; i maschi invece sono quelli che
ammalano della malattia conclamata, ma non la trasmettono alla loro prole, se non sposano donne
provenienti da una famiglia emofilìaci.
Analizzando questi dati, vi si può riscontrare la chiara conferma di quello che ho detto prima; i
fenomeni che si riscontrano nell’emofilìa mostrano assai meglio dei recenti esperimenti di Weismann
come vadano i fatti relativi all’ereditarietà. Una tale valutazione dei fatti risulta poi importante per la
conoscenza dell’organizzazione umana complessiva, e di quest’ultima bisogna appunto conoscere i
fattori che la influenzano.
In che cosa consiste in fondo la malattia emorragica? Lo si vede anche con un’osservazione
superficiale. Manca la capacità di coagulazione del sangue, sì che le più modeste lesioni (come quelle
che dànno luogo a una epistassi, o una comune operazione dentaria) possono condurre il soggetto al
dissanguamento, mentre di norma avviene la coagulazione del sangue a ogni piccola lesione o ferita.
Dunque l’essenziale perché si manifesti la malattia è l’assenza della normale capacità di coagulazione.
Il sangue deve cioè avere in sé qualcosa che si contrappone alla coagulabilità; e se quel fattore agisce in
modo eccessivo, esso non può venire neutralizzato dalle forze provenienti dall’esterno che di solito
cominciano ad agire quando appunto il sangue si coagula. Nella coagulazione del sangue abbiamo a
che fare con forze che agiscono da fuori. Se nel sangue è presente qualcosa che a quelle forze si
oppone, si verifica un’eccessiva fluidificazione del sangue, un’eccessiva tendenza alla Sua
fluidificazione.
Ora, questa forte tendenza alla fluidificazione del sangue sta in rapporto con l’intera organizzazione
dell’io umano. Non si tratta però di una connessione superficiale con la formazione dell’io umano.
Quel fenomeno è connesso con quanto nell’io umano opera come volontà, e non con quanto in esso
opera come rappresentazione. Dunque l’organizzazione che provoca nel sangue quella eccessiva
fluidificazione è connessa con ciò che nell’uomo rafforza oppure indebolisce la volontà. C’è un
episodio storico che dimostra come, interpretando le cose al modo giusto, si scoprano certi segreti della
natura. Dunque non solo la natura, ma perfino la storia ci mostra il celebre caso delle fanciulle
dell’Engadina, del quale alcuni di voi avranno sentito riferire. Quelle due fanciulle engadinesi hanno
realmente dato un esempio che può gettare viva luce sopra un modo di conoscere l’essere umano, del
quale la scienza medica ha bisogno. Quelle fanciulle engadinesi erano nate da famiglie di emofilìaci:
esse presero l’ardua decisione di non sposarsi, impegnandosi in tal modo personalmente nella lotta
contro la trasmissione dell’emofilìa.
Di un caso come questo bisogna però cogliere il punto essenziale. Non è certo una peculiarità di tutte le
fanciulle nate da famiglie emofilìache il sottrarsi in quel modo all’istinto di riproduzione. Per una
decisione di quel genere occorre l’esplicazione di una forte volontà soggettiva, quale opera nell’io e
non nel corpo astrale. Una tale volontà deve dunque essere stata presente in quelle due donne. Vale a
dire che nel loro io, nella loro volontà, operava qualcosa di connesso con le forze che sono in certo
senso attive proprio nei malati di emofilìa. Se tali forze vengono rafforzate coscientemente, un tale
rafforzamento può verificarsi più facilmente che in altri soggetti, non emofilìaci. Se si riconosce questo
fatto nel modo giusto, si potranno almeno in parte conoscere le forze che sono proprie del sangue e che
si esplicano in un’azione reciproca con il mondo extraumano. Osservando in tal modo le forze del
sangue connesse con la volontà cosciente, si giunge a scoprire la relazione generale esistente fra la
volontà umana e le forze extraumane. Ora, certe forze extraumane possiedono con le forze della
volontà umana un’affinità interna, dovuta al fatto che nel corso dell’evoluzione fu da ultimo espulso nel
regno della natura proprio ciò che ha a che fare con la volontà umana cosciente, con la volontà umana
in genere.
Si tratta dunque di studiare qualcosa che si trova nella natura esterna, come una specie di eliminazione
del processo di formazione dell’uomo, e che con tale processo dimostra una connessione grazie alle
proprie qualità. Questo quid è stato studiato nella natura per lungo tempo, ma oggi è molto difficile il
riconoscerlo, perché è così arduo ridestare nell’uomo intellettuale d’oggi le forze che erano rimaste
conservate nella medicina tradizionale fino al secolo diciottesimo. L’oggetto degli antichi studi ai quali
sto qui accennando è l’antimonio e tutto quello che vi si riconnette.
L’antimonio è infatti una sostanza molto singolare: ecco perché esso fu studiato tanto a fondo da molti,
fra i quali il leggendario Basilio Valentino. Basta osservare alcune delle qualità dell’antimonio per
riconoscere il modo strano in cui questa sostanza SÌ trova inserita nel processo complessivo della
natura. Anzitutto l’antimonio possiede la caratteristica di avere una straordinaria affinità con altri
metalli e con sostanze diverse: si combina cioè con molte sostanze, fra cui soprattutto con lo zolfo e i
suoi composti. Lo zolfo possiede in natura una sua azione specifica della quale abbiamo già parlato,
almeno per accenni. La tendenza dell’antimonio a combinarsi con i composti solforati di altre sostanze
mostra come esso è inserito nel processo della naturale ancora meglio lo dimostra un’altra sua
proprietà. Si tratta della sua tendenza a mostrarsi, appena possibile, cristallizzato sotto forma di fasci, di
ciuffi, cioè in forma lineare e tendente a sfuggire alla Terra. Un ammasso di cristalli lineari di
antimonio consente di vedere a occhio nudo le forze di cristallizzazione provenienti dal cosmo verso la
Terra. Infatti, nelle formazioni aghiformi e a fasci dell’antimonio agiscono le stesse forze di
cristallizzazione che di solito si manifestano in forme più regolari. La sostanza dell’antimonio rivela
dunque il modo in cui essa è inserita nell’intero processo della natura. Anche quello che accade nel
processo di raffinazione (cosiddetto metodo Saiger) indica molto decisamente come l’antimonio sia
addirittura la spia delle forze di cristallizzazione. Infatti con il processo di raffinazione si ricava
l’antimonio sotto forma di fibre sottili.
Un’altra qualità dell’antimonio è quella di ossidarsi, di bruciare in un certo modo, quando venga
surriscaldato. Il fumo bianco che allora si forma evidenzia una certa affinità per i corpi freddi ai quali
aderisce, formando i famosi fiori di antimonio: un altro fenomeno, questo, nel quale la forza di
cristallizzazione per così dire si scarica, appoggiandosi ad altri corpi.
L’aspetto più singolare è però la strana forza posseduta dall’antimonio di opporsi alle forze che, nel
corso di queste conferenze, ho definite come sotterranee: quelle che si esplicano nell’elettricità e nel
magnetismo. Trattando l’antimonio con l’elettrolisi, facendolo migrare al catodo, e toccando poi con
una punta metallica il precipitato antimoniale al catodo, l’antimonio dà luogo a piccole esplosioni.
Questa opposizione dell’antimonio all’elettricità, purché la si favorisca leggermente, è molto
caratteristica per il suo comportamento. Qui, nel caso dell’antimonio, possiamo realmente intravvedere
il modo in cui una certa sostanza si trova inserita nel processo naturale. Altre sostanze non lo rivelano
in modo altrettanto evidente.
Quel che si osserva qui in modo tanto evidente può venire compreso solo partendo dalla premessa che
le forze presenti in natura operano dappertutto; quando però certe sostanze le rivelano con particolare
intensità, vuol dire che in esse quelle forze sono particolarmente concentrate, localizzate. Ciò che
agisce nell’antimonio è però in fondo presente dappertutto. Dappertutto agisce, se mi è permesso
coniare questa espressione, una forza « antimonizzante ». La forza propria dell’antimonio opera anche
nell’uomo, regolarizzandone certe funzioni; in condizioni normali egli la riceve dalla sfera
extraterrestre, ricava per così dire dall’extraterrestre ciò che produce in modo concentrato l’antimonio.
In condizioni normali l’uomo non si rivolge alla forza antimonizzante entro la sfera terrestre, né a ciò
che si ritrova concentrato nell’antimonio, ma alla forza esterna, extraterrestre dell’antimonio. A questo
punto nasce naturale la domanda: che cos’è nella sfera extraterrestre questa forza antimonizzante?
Esprimendoci in termini planetari, si può dire che essa è la cooperazione dei pianeti Mercurio, Venere e
della Luna. Quando questi tre corpi agiscono non isolatamente, ma in collaborazione, essi non operano
secondo le loro rispettive qualità (affini al mercurio, al rame e all’argento), ma agiscono come nella
Terra agisce l’antimonio. Per studiare queste correlazioni, occorre ricercare l’effetto sull’uomo di quei
tre corpi celesti, quando le rispettive forze della Luna, di Mercurio e di Venere si neutralizzano a
vicenda, a causa delle posizioni del momento (opposizione, quadratura). Quando le forze dei tre corpi
celesti agiscono l’una sull’altra in modo da neutralizzarsi, si realizza la stessa interazione che è
connessa con l’azione dell’antimonio sulla Terra. In tutto ciò che sulla Terra è antimonio agisce,
partendo appunto dalla Terra, la stessa forza che da quei tre corpi planetari opera verso la Terra dalla
sfera extraterrestre.
Qui devo menzionare un altro fatto. La costituzione della Terra è tale che in fondo è errato, parlando di
un metallo come l’antimonio, tenere d’occhio solo il frammento che si tiene in mano. Tutto l’antimonio
presente nell’organizzazione della Terra costituisce un’unità, come un’unità costituiscono tutto l’oro o
tutto l’argento presenti nella Terra. Il singolo frammento ha poca importanza; estraendo dalla Terra un
singolo pezzo di antimonio, non si fa che frugare nel corpo antimoniale complessivo, incorporato nella
Terra.
Il singolo pezzo fa parte della totalità dell’antimonio terrestre. Abbiamo così descritto tutto quel che in
certo modo si rivela mediante l’azione dell’antimonio. Senonché in natura ad ogni azione si
contrappongono delle reazioni; i corpi configurati hanno origine proprio dal continuo alterno giuoco di
azione e reazione.
Dobbiamo quindi adesso andare alla ricerca delle forze contrastanti. Esse ci si rivelano, se siamo capaci
di riconoscere che le forze antimoniali agiscono sull’uomo quando qualcosa, che all’interno
dell’organismo umano è giustamente regolato, si espande all’esterno. Sono infatti proprio le forze
antimoniali ad operare nella coagulazione del sangue: lì opera il principio antimonizzante. Ovunque il
sangue presenti la tendenza a coagularsi entro la sua composizione, entro la sua corrente, è presente la
forza antimonizzante. Ovunque invece il sangue voglia sottrarsi alla forza coagulante, sono in azione le
forze contrarie. Negli emofilìaci ci si presentano dunque* stranamente, le forze anti-antimonizzanti.
Queste però sono identiche alle forze che (se mi è consentito) vorrei chiamare « albuminizzanti », «
proteinizzanti », favorevoli cioè alla formazione delle sostanze proteiche. Infatti sono le forze
favorevoli alla formazione delle proteine quelle che impediscono al sangue di coagularsi.
Perveniamo in tal modo a conoscere i rapporti tra le forze antimonizzanti e le forze albuminizzanti in
seno all’organismo umano. Sono convinto che lo studio del giuoco reciproco fra questi due tipi di forze
porterebbe a un approfondimento notevole delle conoscenze sui processi patologici e sui processi
terapeutici. Che cosa sono infatti i processi di tipo albuminizzante? Sono processi mediante i quali
vengono introdotte nell’organismo umano (e anche in quello animale), ai fini della formazione della
sostanza corporea stessa, tutte le forze plastiche, configuratrici. Le forze anti-monizzanti sono quelle
che rappresentano per così dire l’artista che dal di fuori conferisce le forme alle sostanze che formano
gli organi. Così le forze dell’antimonio hanno una certa relazione con le forze organizzatrici interne
degli organi.
Si distinguono ora i due tipi di processi in un dato organo, per esempio nell’esofago, e si tratta di una
distinzione importante. L’esofago possiede naturalmente un? sua struttura che noi possiamo seguire,
anche senza occuparci per adesso del processo che si svolge al suo interno, cioè di come vi fluisca il
cibo. Oltre alla sua struttura, si può prendere in considerazione la cooperazione dell’esofago con quanto
penetra da fuori nell’organismo umano. In astratto noi possiamo dunque distinguere i processi che si
svolgono all’interno dell’organo da quel che vi accade, quando esso colla- bora con ciò che proviene
dall’esterno. Si tratta di due processi diversi. All’interno dell’organo agisce la forza antimonizzante
dell’uomo. L’uomo è in realtà antimonio, ove si prescinda da tutto quello che in lui viene introdotto
dall’esterno. È proprio antimonio egli stesso! Quello che importa è che nella vita normale non si deve
sovraccaricare di questa forza antimonizzante la forza interiore di formazione degli organi. La forza
antimonizzante non deve essere apportata al processo vitale normale, altrimenti si avvelena
l’organismo, lo si stimola eccessivamente. Quando però è necessario stimolarlo di più, allora bisogna
fornirgli ciò che di norma non deve essere introdotto. Qui arriviamo all’azione terapeutica
dell’antimonio la quale (proprio per le peculiarità di tale sostanza) è specificamente diversa, a seconda
che l’antimonio venga somministrato per via esterna o per via interna. Somministrandolo per via
interna, bisogna tentare di prepararne una diluizione talmente alta, da farlo penetrare nell’uomo
superiore. Se ciò riesce, l’antimonio sarà molto stimolante in caso di disturbi della formazione degli
organi, di processi organici alterati. L’antimonio finemente dinamizzato potrà certo svolgere una parte
molto importante in talune forme di tifo addominale.
È invece diverso l’effetto che si può conseguire con l’antimonio con potenze meno elevate,
somministrandolo per via esterna, sotto formi di pomate o simili. Naturalmente può darsi che in certi
casi anche per via esterna convenga far ricorso alla forza dell’antimonio dinamizzato. In generale però
l’efficacia per via esterna viene ottenuta con l’uso di potenze meno elevate.
Ne risulta che questo rimedio tanto utile si inserisce nelle connessioni da me descritte, cioè in un
comportamento retto da una sua legge, ma al tempo stesso sottoposto sempre alle proprie oscillazioni.
Perciò ci si atterrà alla regola di usare di preferenza l’antimonio per via interna quando si tratti di
soggetti dotati di molta forza di volontà; lo si userà invece per via esterna in soggetti con volontà meno
forte. Queste distinzioni vanno proprio fatte. Fra le sostanze del regno minerale l’antimonio presenta
una intrinseca affinità con la volontà umana, nel senso che quanto più questa è cosciente, tanto più si
sente indotta a reagire all’azione dell’antimonio. La volontà dell’uomo agisce distruttivamente su tutte
le forze, da me prima descritte, che costituiscono il peculiare comportamento dell’antimonio. Invece
vengono favoriti dalle forze dell’antimonio, all’interno dell’uomo, gli impulsi organizzativi influenzati
dalle forze del pensiero, e soprattutto dalle forze inconsce di pensiero, come quelle che agiscono nel
bambino; l’antimonio collabora con tutte queste forze. Quando dunque si introduce nell’organismo
umano l’antimonio in un modo qualsiasi, consentendogli di agire con energia secondo le sue qualità,
nell’uomo si forma un robusto « fantasma ». Vengono subito stimolate le forze interne degli organi che
non possono più collaborare nel senso prima accennato con le sostanze introdotte nell’organismo
umano; ne conseguono vomito e diarrea, proprio perché l’azione dell’antimonio si ripercuote sugli
organi e non si estende alle loro vicinanze. Anche nella reazione che ne consegue risulta lo stesso
fenomeno.
Se si è organizzati in modo favorevole, si potrà combattere l’effetto dannoso dell’antimonio con una
sostanza alla quale ricorrono volentieri, per un certo loro istinto, molte persone che provano piacere a
mantenere sotto controllo tutte le loro funzioni circolatorie, e più in generale i loro processi ritmici. Su
tali processi ritmici esercita un’azione equilibratrice il caffè. Naturalmente non sto dando consigli a
nessuno; mi limito a descrivere i fatti. Sotto altri aspetti può riuscire infatti molto dannoso il sottrarre
all’io la regolazione dei processi ritmici; ma di questo adesso non parlo, bensì solo di certi fatti.
Quando l’uomo non è abbastanza forte per regolarli da sé, l’uso del caffè impone una certa regolazione
ai processi ritmici. Ecco perché nell’avvelenamento da antimonio il caffè rappresenta un antidoto, in
quanto ristabilisce il ritmo fra l’azione degli organi interni e quella delle sostanze esterne. Anche il
rapporto fra queste due azioni è regolato da un certo ritmo. In fondo, si fa uso del caffè perché abbia
luogo di continuo una ritmizzazione fra i nostri organi interni e ciò che accade degli alimenti introdotti,
nelle vicinanze degli organi.
Tutto ciò riporta la nostra attenzione verso un altro ambito: quello dei processi albuminizzanti.
Vengono cioè rafforzati tutti i processi che si trovano per così dire dall’altro lato: cioè là dove non si
esplica l’attività organizzativa intrinseca di ogni organo, bensì la loro attività esterna, per esempio
quella digestiva. Tutto quel che accade nei movimenti meccanici degli intestini e negli altri processi
legati alla digestione, tutto ciò è strettamente connesso con le forze albuminizzanti, con le forze
formatrici delle proteine, che sono al tempo stesso le antagoniste delle forze antimonizzanti.
Come ho già avuto occasione di accennare, l’ostrica e il suo guscio rappresentano un oggetto di studio
molto istruttivo. In misura minore, lo stesso fenomeno è già presente nella formazione calcarea del
guscio delle uova. Che cosa ne sta a base? che cos’è in realtà un guscio come quello dell’ostrica, o
come il comune guscio d’uovo? È un prodotto del quale la sostanza dell’uovo, o l’ostrica, si deve
sbarazzare, che deve espellere, perché se lo trattenesse dentro di sé ne verrebbe uccisa. La formazione
di un tale guscio ha semplicemente la funzione di salvare l’attività vitale. Quando si mangiano delle
ostriche si ingerisce dunque anche, per così dire, il processo vitale che esteriormente si manifesta nella
formazione del guscio. Permettetemi di esprimermi così davanti a voi; naturalmente, se dovessi parlare
in modo gradito alla scienza moderna, dovrei usare espressioni più forbite. Si mangia cioè al tempo
stesso questo processo vitale: cioè un processo albuminizzante, contrapposto al processo
antimonizzante. Con ciò si favorisce nell’uomo tutto ciò che conduce ai fenomeni propri del tifo
addominale. Il mangiare ostriche è un processo veramente interessante che favorisce la forza
configuratrice, la forza albuminizzante nell’addome. In tal modo la testa viene liberata da certi
gravami, da certe forze: quando si mangiano ostriche d si sente meno appesantiti dalle forze che
vorrebbero operare nella testa. Il capo ne risulta per così dire svuotato. Le forze albuminizzanti devono
essere di continuò prodotte, perché non si può lasciare la testa eccessivamente gravata dalle forze
configuratrici. Chi si nutre di ostriche porta però all’estremo tale processo, aspirando con tutte le sue
forze ad avere… la testa vuota. Con dò egli fa aumentare anche la possibilità della irruzione negli
organi addominali di certe forze delle quali ho parlato ieri, favorisce cioè la tendenza ad ammalare di
tifo. Potete quindi comprendere che in presenza di una tale tendenza si sia veramente indotti a usare il
trattamento antimoniale. Si otterrebbero dei buoni risultati nella lotta contro la tendenza al tifo,
ricorrendo all’uso contemporaneo dell’antimonio per via interna ed esterna, sotto forma soprattutto di
frizioni con pomate antimoniali e con la somministrazione di alte potenze di antimonio per bocca. Per
reazione si avrebbe un effetto regolatore sulla tendenza ad ammalare di tifo, perché le due forme di
applicazione si regolerebbero a vicenda.
Vedete come con questi criteri si cerchi sempre di porre l’uomo entro l’intero suo ambiente universale.
L’importanza di procedere in questo modo si rivela indagando il rapporto dell’uomo con certi fenomeni
naturali, dovuti al fatto che qualcosa reagisce in certo qual modo contro le forze terrestri dirette. Le
piante talora si difendono contro le forze terrestri dirette: in questo caso esse risparmiano molte delle
loro forze formative per il tempo della fioritura e della fruttificazione. La comune struttura vegetale che
sta a base delle piante commestibili si fonda appunto sul fatto che una ben precisa somma di forze
terrestri viene usata per formare la pianta. Se la pianta si oppone a tali forze terrestri, essa si espone alle
forze extraterrestri quando si giunge al momento della formazione del seme, del frutto; allora diventa
una di quelle piante che in fondo vorrebbero guardare il mondo alla maniera degli esseri appartenenti ai
regni superiori al regno vegetale. La pianta mostra cioè allora una specie di bramosìa di percepire: non
ha però un’organizzazione adatta a percepire, è rimasta pianta, ma vorrebbe sviluppare qualcosa di
simile all’occhio umano. Non può però sviluppare un occhio, perché possiede un corpo di pianta, non
quello di un animale o dell’uomo. Perciò diventa una pianta di belladonna, di Atropa belladonna.
Ho cercato di esporvi in modo un po’ immaginoso il processo che conduce alla formazione di questa
pianta, della belladonna. Già nelle sue radici sono presenti le forze che la porteranno a produrre le sue
bacche scure. Lo sviluppo della belladonna è affine alle forze che nell’organismo umano favoriscono la
configurazione; favorisce ciò che può realizzarsi solo nella sfera dei sensi, sollevando dunque per così
dire l’uomo dalla sfera della sua organizzazione in quella dei suoi sensi. Il processo legato
all’introduzione di piccole quantità dinamizzate di belladonna è straordinariamente interessante, e
molto simile a quel che accade in un risveglio accompagnato da sogni. In tale condizione il processo si
svolge per così dire su basi normali. Nell’uomo si ha una specie di effetto-belladonna ogni qualvolta, al
risveglio, non si è ancora in grado di percepire con i sensi, e le percezioni sensoriali sono ancora
fortemente commiste con la coscienza dei sogni. L’avvelenamento da belladonna consiste nel fatto che
lo stesso processo che ha luogo nel normale risveglio commisto a sogni, viene provocato dal veleno
della belladonna; in questo caso però l’alterazione diventa durevole, quei fenomeni di trapasso della
coscienza permangono, e la coscienza normale non riprende il sopravvento. È interessante constatare
che i processi provocati anche dagli avvelenamenti sono analoghi a quelli che, quando hanno luogo nei
giusti intervalli di tempo, fanno parte della normale organizzazione umana.
Come ho già detto, la belladonna tende, per così dire pazzamente, a diventare un essere umano. Si
potrebbe dire che il processo del risveglio dell’uomo ha in sé qualcosa della formazione della
belladonna: è simile a questa formazione, ma in misura attenuata, misurata, limitata appunto al
momento del risveglio. Volendo perciò alleggerire il corpo dai processi interni di proteinizzazione,
volendone attenuare gli eccessivi processi di albuminizzazione, deviandone l’azione dalla sfera
corporea a quella animica, sì da provocare allucinazioni invece di fenomeni corporei, si può
somministrare belladonna dinamizzata. Così facendo, si carica sull’anima qualcosa di cui si vuole
alleggerire il corpo. Questo è ciò che ci si presenta anche nel noto effetto tossico della belladonna, sia
pure in modo confuso e commisto ad allucinazioni. Naturalmente, se si agisce su una persona
impedendole di passare dalla condizione del risveglio a quella della veglia, costringendola a permanere
nello stato di dormiveglia, la si uccide. L’uomo è sempre in pericolo di vita durante il risveglio, ma il
risveglio avviene tanto rapidamente da fargli superare quel pericolo. Ecco le interessanti connessioni
fra quello che è per così dire normale, e che viene ricondotto alla giusta misura, e ciò che è contrario
alla normalità quando si estende oltre la giusta misura.
Questi sono i processi che, a mio parere, i medici antichi si sforzavano di seguire sempre di nuovo. Se i
medici antichi parlavano della creazione dell’omuncolo, in fondo questo vuol dire che con la loro
residua chiaroveggenza essi scorgevano qualcosa di simile al « fantasma » dell’antimonio. Nel
processo formativo materiale che essi realizzavano nel loro laboratorio, quando l’antimonio sviluppava
le sue forze, apparivano loro, proiettate dal loro proprio essere, le forze albuminizzanti avverse alle
forze dell’antimonio; proprio queste forze si rivelavano loro. Essi proiettavano fuori di sé quello che di
norma rimane racchiuso nell’organismo umano; allora appariva loro l’omuncolo, mentre si svolgeva il
processo nel quale l’antimonio assume le sue diverse forme. Essi scorgevano come omuncolo ciò che si
manifestava in quel processo di rispecchiamento.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 19 – EREDITARIETÀ
Cause di malattia.
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 07.04.1920
Sommario: Cause di malattia. Teoria bacillare. La tendenza delle piante a divenire animale. La
mineralizzazione delle piante. Il polmone come terra. Veglia e sonno. Il tifo. Malattie catarrali. Malattie
addominali. Andatura e statura. Disposizione all’influenza. Difterite. Meningite. Piorrea alveolare.
Processi salino, mercuriale e sulfureo nelle diverse età.
Penso sia proprio necessario che lo studio scientifico della medicina si estenda a quelle che potremmo
chiamare le vere origini dei fenomeni patologici. Nei tempi moderni si è sempre più affermata la
tendenza a prescindere dalle vere origini, per prestare invece attenzione ai fatti che si svolgono in
superficie. Da tale tendenza a fermarsi alla superficie dei fenomeni deriva che oggi nella medicina,
nella patologia corrente, all’inizio della descrizione di un quadro morboso si trovi spesso la menzione
del bacillo che ne viene considerato responsabile, cioè di qualcosa che è penetrato dall’esterno
nell’organismo umano. Ora, è naturalmente facilissimo controbattere le obiezioni mosse all’importanza
della penetrazione dei microrganismi, per la semplice ragione che l’esistenza stessa dei microrganismi
non ha più bisogno di essere dimostrata. Siccome per di più essi si manifestano in forme specifiche
nelle diverse malattie infettive, è ben comprensibile che tale specificità venga messa in evidenza,
insieme al rapporto fra una certa malattia e una data specie batterica.
Anche a una considerazione superficiale, questa concezione provoca però un errore consistente nel
fatto che essa prescinde del tutto dal fattore primario. Bisogna infatti tener presente che, se nel corso di
una malattia infettiva qualunque, in una qualsiasi parte del corpo si sviluppano dei bacilli in grande
quantità, è naturale che essi provochino nell’organismo dei fenomeni come può provocarli qualsiasi
corpo estraneo; per effetto della presenza dei bacilli possono ad esempio manifestarsi i più diversi
fenomeni infiammatori. Se tutto viene attribuito all’azione di quei bacilli, l’attenzione si concentra
appunto esclusivamente su questo fattore, mentre viene distolta dalla vera e propria origine della
malattia. Infatti sono i veri fattori primari a creare il terreno favorevole allo sviluppo dei
microrganismi. La nostra attenzione va dunque rivolta all’ambito delle cause primarie della malattia. A
tal fine devo ripercorrere le vie che già in precedenza abbiamo tracciate e sulle quali vorrei attirare di
nuovo brevemente la vostra attenzione.
Osserviamo ancora una volta l’intero manto vegetale che ricopre la Terra, la somma di tutta la
vegetazione terrestre. Come si è già detto, l’intera vegetazione non soltanto si sviluppa dalla Terra
verso lo spazio cosmico, ma viene altresì estratta dalla Terra ad opera di forze che agiscono da ogni
parte dell’universo. Queste forze contribuiscono alla crescita delle piante esattamente come vi
contribuiscono le forze provenienti dalla Terra. Esiste una continua reciproca collaborazione fra le
forze che agiscono sulle piante dalla Terra e quelle che operano su di esse dal cosmo extraterrestre. In
che cosa consiste questa azione che è di continuo presente nell’ambiente che ci circonda? Se le forze
provenienti dal cosmo si esplicassero pienamente, se esse afferrassero del tutto la pianta, se i pianeti
non provvedessero a limitarne la portata, a farle anche ritrarre, la pianta avrebbe sempre la tendenza
(dopo essere cresciuta dal gambo verso il fiore e il seme) a diventare animale. Esiste la tendenza al
diventar animale. Alle forze che agiscono provenendo dal cosmo si contrappone dall’altra parte, dalla
Terra, la tendenza a sopprimere l’esistenza vegetale, la tendenza alla mineralizzazione entro l’esistenza
vegetale.
Sto dunque mettendo in evidenza il fatto che l’esistenza vegetale è in mezzo fra la tendenza alla
salificazione, al depositarsi di minerali nella sostanza vegetale, e la tendenza all’infiammarsi, al
diventare animale. Questa duplice, opposta tendenza, è sempre presente nella natura esterna; è però
presente anche, interiorizzata, centralizzata, nell’organismo umano stesso. Per il fatto di avere i
polmoni, l’organismo umano è una vera piccola Terra; tutto quanto agisce dal polmone opera
nell’organismo umano verso il basso, proprio come le forze della Terra agiscono verso l’alto
nell’organismo vegetale. Tutto quello che, per mezzo della respirazione e dell’attività cardiaca, viene
incontro al ricambio polmonare interno, agisce in modo analogo all’elemento cosmico esterno (v. il
disegno seguente).
Nell’organismo umano esiste però la necessità che rimanga separato ciò che, partendo dall’intero
organismo, si concentra da ultimo nell’attività cardiaca, da quel che si organizza e finalmente si
concentra nel ricambio interno del polmone.
Queste due attività non debbono agire l’una sull’altra, se non per così dire separate da un diaframma
eterico o da un diaframma astrale. Sono due attività che devono essere tenute separate. Ci si può ora
chiedere se quella specie di « diaframma » (per esprimermi figuratamente) esista davvero. Esiste forse
un diaframma che impedisce alle attività della testa,’ del collo, dei polmoni di mescolarsi con l’attività
addominale e toracica, altrimenti che per tramite del ritmo respiratorio esteriore? Un tale « diaframma »
esiste di fatto, ed è costituito dal ritmo respiratorio stesso. Qui si perviene all’armonizzazione reciproca
dell’uomo superiore e dell’uomo inferiore. Quella che chiamiamo attività ritmica nell’uomo, quella
specie di fremito ritmico che si esprime sul piano fisico esteriore nel ritmo respiratorio, si trasmette
fino alle attività eterica e astrale. Essa tiene separate le forze terrestri dell’uomo superiore, le quali si
concentrano ancora fin entro i polmoni, dalle forze celesti dell’uomo inferiore, le quali agiscono dal
basso verso l’alto, tramite l’attività che si esprime nel cuore, analogamente a come esse, nel cosmo,
operano dalla periferia verso il centro della Terra.
Supponiamo ora che il ritmo in questione non funzioni regolarmente; sarà allora in disordine anche
quel « diaframma » (lo chiamo così figuratamente) che non esiste fisicamente, ma è provocato
dall’incontro dei due ritmi. Può allora accadere qualcosa di analogo a ciò che per le piante è
rappresentato da un’eccessiva attività della Terra. Se l’attività salificante della Terra diventasse
eccessiva, le piante diverrebbero troppo minerali. Nell’organismo umano, in quelle condizioni,
accadrebbe che la pianta eterica che in certo qual modo è inserita nel polmone e che emerge crescendo
dal polmone come la pianta fisica dalla Terra, promuova per così dire un indurimento del polmone.
Possiamo quindi constatare come di fatto questa tendenza della pianta verso la mineralizzazione possa
divenire eccessiva anche nell’organismo umano.
D’altra parte può diventare eccessiva anche l’opposta tendenza al divenire animale; se questo accade
nell’organismo, nella sua parte superiore viene a crearsi una sfera che non vi dovrebbe essere. Si crea
una sfera nella quale quegli organi vengono a trovarsi come in una sfera eterica favorevole alla vita di
microrganismi animal-vegetali. Non è necessario occuparci qui della loro provenienza; quel che ci
interessa è come venga a crearsi una sfera favorevole alla loro vita, una sfera che non dovrebbe esistere
affatto. La sua attività dovrebbe estendersi all’organismo intero, mentre non dovrebbe formarsi come
una specie di inclusione particolare. Se si estende su tutto l’organismo, essa favorisce la vita
dell’organismo intero. Quando invece si esplica come una piccola sfera di inclusione localizzata, crea
un’atmosfera favorevole alle condizioni di vita dei microrganismi, la cui presenza sarà poi facilmente
dimostrabile in molte malattie che colpiscono l’uomo superiore.
Per sciogliere l’enigma dell’influsso dei bacilli nell’organismo umano dobbiamo dunque risalire
all’attività ritmica e alla sua alterazione, che crea una sfera particolare al posto di quella generale,
diffusa su tutto l’organismo.
Proprio quel che accade per la vita vegetale sulla superficie della Terra è importante anche per la vita
esteriore degli animali e dell’uomo stesso. Anche sugli uomini e sugli animali agiscono certe forze,
provenienti dal cosmo extraterrestre, le quali si oppongono alle forze provenienti dall’interno (arancio
nel disegno precedente). Le forze provenienti dall’interno della Terra si localizzano per l’uomo in certi
organi delle sue parti superiori, mentre le forze affluenti da fuori della Terra si localizzano in organi
della sua parte inferiore. Anche in questo caso, i due tipi di attività ai quali ho ora accennato debbono
essere separati per così dire da una parete divisoria. La normale regolazione di tale separazione è
dovuta all’attività della milza. Anche qui vediamo dunque che il ritmo è operante nell’organismo
umano; in questo caso però si tratta di un ritmo diverso da quello respiratorio. Il ritmo respiratorio
consiste in oscillazioni brevi e si estende per tutta la durata della vita umana; esso deve svolgersi con
ordine, perché non si instaurino malattie nell’uomo superiore, o malattie che riguardino esclusivamente
quello. Infatti, anche nell’uomo superiore possono presentarsi malattie causate dal basso, dato che la
digestione si estende verso l’alto e altresì verso il basso. Sono distinzioni che vanno fatte. Non
dobbiamo concepire l’uomo suddiviso in modo schematico: al contrario, la sue diverse parti si
compenetrano. Tuttavia deve esistere una specie di parete divisoria fra ciò che agisce dall’alto come se
provenisse dalla Terra, e quel che agisce dal basso come se provenisse dallo spazio celeste. Di fatto noi
inviamo incontro alle forze provenienti dal nostro uomo superiore quelle del nostro uomo inferiore, e in
ogni singola individualità umana deve vigere un ritmo regolare fra quei due tipi di forze, ritmo che si
esprime nel giusto rapporto fra la veglia e il sonno. Ogni volta che siamo desti è presente una delle due
oscillazioni di tale ritmo, e quando dormiamo è presente l’oscillazione opposta. In tale ritmo alterno di
veglia e sonno si inseriscono (come onde minori) altri decorsi ritmici, o periodici, dovuti
semplicemente al fatto che anche durante lo stato di veglia noi siamo desti con la nostra parte superiore,
ma dormiamo con quella inferiore. Fra l’uomo superiore e quello inferiore ha luogo di continuo
un’attività ritmica che però è per coti dire inserita nell’alternanza di veglia e di sonno.
Supponiamo ora che avvenga una rottura della barriera che, come ho detto prima, è costituita dal ritmo
che si svolge fra l’uomo superiore e l’inferiore. In tal caso di solito accade che l’attività dell’uomo
superiore irrompa dall’alto entro l’addome. Avviene allora un’irruzione eterica: dò che dovrebbe agire
etericamente solo nell’uomo superiore irrompe invece nell’addome; avviene cioè una irruzione di forze
sottili. Per il fatto che nell’addome irrompono tali forze sottili, vi si forma, una di quelle sfere
localizzate che non dovrebbero esserci, una sfera che non dovrebbe trovarsi localizzata nel basso
ventre, ma essere diffusa in tutto l’organismo. La conseguenza di una tale irruzione è una specie di
avvelenamento, di intossicazione dell’addome: l’attività di questa parte non può più svolgersi
regolarmente, quando vi penetra in tal modo l’attività della parte superiore del corpo. Per di più, la
nuova sfera che vi si forma crea un’atmosfera favorevole allo sviluppo dei microrganismi animalvegetali. Se ne può dedurre che per effetto dell’irruzione dall’alto viene provocato ciò che nell’uomo
diventa il tifo addominale. Per effetto del fenomeno concomitante costituito dalla formazione di una
tale atmosfera localizzata nel basso addome, si creano le condizioni di vita favorevoli allo sviluppo del
bacillo del tifo.
Ecco che abbiamo separato chiaramente ciò che è primario da ciò che è secondario. Come risultato di
questa chiara separazione potremo poi distinguere le cause originarie di una tale malattia e gli eventuali
fenomeni infiammatori dovuti semplicemente alla proliferazione di una miriade di microrganismi
intestinali, soprattutto nell’intestino tenue. Tutto quello che accade fisicamente nell’intestino tenue,
compresa la presenza e l’azione dei bacilli (della cui provenienza non Occorre trattare perché essi non
possono proliferare, se non si è prima creata l’atmosfera locale adatta), tutta l’attività di quei minuscoli
esseri tra il vegetale e l’animale non è che la reazione al processo di irruzione dell’attività superiore
dell’uomo in quella inferiore.
Tutto ciò non è che un epifenomeno, una conseguenza. Il procedimento curativo andrà dunque
ricercato, non indirizzandosi verso i fenomeni secondari, ma verso ciò che è primario. Di queste cose
torneremo a parlare; se ne può trattare adeguatamente solo se si è in grado di risalire alle vere cause.
Ciò è quasi impossibile per la medicina ufficiale del nostro tempo, perché essa esclude un modo di
considerare i fatti che risalga dal processo materiale al processo spirituale. Di ogni evento materiale sta
però a fondamento lo spirituale. È cosa facile il disegnare il quadro morboso proprio del tifo
addominale tenendo presente quanto ho ora esposto. Basta considerare quanto frequentemente questa
malattia sia congiunta con fenomeni catarrali nei polmoni, e anche con alterazioni della coscienza. I
fenomeni catarrali nei polmoni derivano dal fatto che all’uomo superiore viene sottratto ciò che si
manifesta nell’uomo inferiore: una volta avvenuta quella irruzione, ciò che si manifesta nell’uomo
inferiore non è più presente in alto. Analogamente, gli organi che nell’uomo superiore rendono
possibile la coscienza normale, non possono più operare correttamente, quando sia avvenuta l’irruzione
nell’uomo inferiore di ciò che dovrebbe mediare la loro attività. Tenendo veramente presente questa
causalità primaria, ci si presenta l’intero quadro del tifo addominale.
La connessione fra i vari sintomi esteriori e apparentemente disparati, che di solito vengono sempre
osservati soltanto dall’esterno, può risultare talmente forte, da permettere addirittura di «dipingerli»
sulla base dei loro reciproci rapporti. In certe condizioni tutto ciò può anche agire con tanta forza nel
subcosciente, da far nascere davvero in qualcuno l’impulso a obiettivarlo per così dire profeticamente,
prima che esso si raffiguri in sintomi nell’organismo. L’uomo potrà allora sentirsi portato a dipingere
sotto forma di macchie di colore blu quello che gli si sottrae nella parte superiore del suo corpo, e in
forma di macchie rosse quello che gli si sottrae nella parte inferiore del corpo. Può darsi che si aggirino
nel mondo degli individui che si sentono chiamati a essere artisti, e non sarti o calzolai, ma che abbiano
imparato poco la tecnica pittorica. Potrà allora capitare che un tale individuo sia al tempo stesso
abbastanza forte (e non occorre che sia robusto di corporatura!) per soffocare continuamente nel suo
organismo delle malattie addominali che vorrebbero insorgere: egli allora potrà obiettivare sulla tela o
sopra una parete quei disturbi addominali, invece di accoglierli nel suo corpo. Nella pittura
espressionistica potrete trovare i frutti di questa strana attività. Provate a cercare in certi prodotti della
pittura espressionistica l’espressione dello stato di salute dell’artista, e precisamente in ciò che spicca
nei colori rossi e gialli l’espressione delle condizioni del suo ventre. Da tutto quanto si mostra in blu o
in viola si potrà ricavare un’idea di come il pittore si senta nelle parti superiori del suo corpo, nel
polmone e negli effetti dell’attività ritmica polmonare che si estende verso il capo. Cominciando a
prestare attenzione a cose di questo genere, si finirà per scoprire anche una singolare concordanza fra
l’attività che una data persona svolge in generale, e le qualità della sua organizzazione interna. Dal
modo in cui un uomo si esplica nella vita, si potrà imparare a intuire come funzioni il suo corpo. In
realtà è del tutto errato credere che l’attività psichica esplicata dall’uomo nel mondo esterno, il suo
aspetto, il suo comportamento dipendano solo dal suo sistema nervoso. Niente affatto: dipendono
dall’uomo intero, sono un’espressione dell’uomo intero. Si può imparare a scorgere intuitivamente già
nel bambino come sia conformato in realtà l’uomo dal punto di vista intellettuale, in che modo vada
incontro all’età adulta. Si può per esempio riconoscere che da bambino ha un’andatura sgraziata, un
incedere pesante, chi da adulto dovrà sopportare gli inconvenienti di un insufficiente accrescimento
staturale. Dal modo in cui un bambino poggia i piedi per terra, dal suo incedere più o meno pesante, ci
si può prefigurare intuitivamente il modo della sua crescita. Molti fenomeni analoghi ci indicano che
tutto il nostro modo di camminare, l’atto dell’incedere, non è che l’azione reciproca dei componenti
interiori dell’uomo, tradotta in movimento.
Sarebbe proprio desiderabile che queste cose fossero introdotte nello studio della medicina; ne esistono
infatti le più favorevoli premesse.
La massima possibilità di approfondirsi in queste cose si offre ai giovani di venti anni o poco più;
questo talento è già perduto per chi ha passato i trent’anni: nel quarto decennio di vita risulta molto più
difficile orientarsi su questo terreno. Certo, ci si può educare, d si può allenare a penetrare in questo
genere di intuizioni. Riportandosi indietro alle forze attive rimaste dall’infanzia d si può allenare a
questo modo di osservare l’essere umano, grazie a certe disposizioni sopravvissute in noi ai devastanti
effetti dei nostri studi medi e soprattutto di quelli superiori. Se però nel corso degli studi di medicina
fosse attribuito il giusto valore a un’anatomia e a una fisiologia approfondite, più attente agli intimi
processi dell’organismo, ne deriverebbero effetti straordinariamente benefici per ogni attività
terapeutica.
Allo stesso modo vanno considerate secondo le loro cause primarie anche le malattie che (pur avendo
cause primarie interne all’uomo) possono senz’altro manifestarsi anche in forma epidemica. Infatti in
tutti coloro che per esempio tendono ai disturbi di quel ritmo che vige fra il capo e il torace (ritmo di
cui quello respiratorio è l’aspetto più appariscente), esiste una predisposizione a subire fortemente gli
effetti di certi fenomeni atmosferici, e anche di certi eventi extraterrestri. A questi influssi resistono
invece bene altre persone, il cui sistema respiratorio funziona in modo regolare. Proverò ora a dare un
esempio, avvertendo però che naturalmente altri fattori causali possono sempre intervenire a loro volta,
complicando le cose; tuttavia, esponendo i fatti come faccio ora, credo che si possa capire di che cosa si
tratta. Supponiamo che durante un certo inverno gli effetti esercitati dal Sole (ma non intendo qui
l’azione della luce solare) risultino fortemente influenzati dai pianeti esterni: Marte, Giove, Saturno. Un
tale raggruppamento siderale produce durante l’invernò effetti diversi da quelli esercitati dalla sola
attività solare quando quei tre pianeti si trovano invece lontani l’uno dall’altro. In un inverno
caratterizzato da quel raggruppamento siderale anche i fenomeni atmosferici sono diversi dal solito;
inoltre nelle persone predisposte viene fortemente disturbata l’attività ritmica che si esercita fra la testa
e il torace, l’attività di cui la respirazione costituisce l’espressione più evidente. Si può dire: la tendenza
a lasciar esplicare regolarmente quel ritmo viene notevolmente rafforzata da una costellazione cosmica
come quella menzionata, per quanto concerne ad esempio gli individui nati da un ambiente sano, che
sono forti all’interno del loro organismo. Del resto, persone come queste possono anche apparire molto
gracili esteriormente. In esse è presente un ritmo respiratorio energicamente regolato, e di conseguenza
è molto fortemente regolato anche il ritmo testa-torace in generale. Un tale ritmo solidamente fondato
non si lascia con facilità determinare da fattori esterni: per disturbarlo, occorrono interventi pesanti. Per
contro, nei soggetti in cui questo ritmo di base decorre già per se stesso in modo irregolare, un influsso
extraterrestre come quello citato può agire molto fortemente; il ritmo già difettoso tende a subire
ulteriori danni. Candidati ad ammalarsi di influenza epidemica sono appunto i soggetti con disposizioni
di tal genere, residenti in zone della Terra particolarmente esposte a quel dato raggruppamento siderale.
Le condizioni che ho ora descritto costituiscono in realtà la premessa per le grandi pandemie
influenzali, ne forniscono il terreno.
Più complicate sono invece le premesse per un altro caso. L’insieme dell’attività ritmica dell’organismo
umano costituisce naturalmente una grande unità, quella appunto del suo sistema ritmico, ma diversi
altri ritmi rappresentano poi delle unità a sé stanti; fra di esse la più grossolanamente evidente è il ritmo
respiratorio, e inoltre tutti i ritmi che vengono influenzati dall’alternanza periodica della veglia e del
sonno. Può accadere che, a causa dell’indebolimento del ritmo superiore (testa-torace), si affermi in
misura eccessiva il ritmo inferiore. Quando il ritmo superiore è troppo debole, quando cioè è già
deviato dalla sua posizione normale, esso acquista la tendenza a farsi disturbare ancora di più dal ritmo
inferiore. Quest’ultimo (che si diparte dall’attività della milza e da altre attività di cui parlerò più oltre)
agisce troppo fortemente verso l’alto, e di conseguenza viene a crearsi la disposizione per una certa
ipertrofia del processo digestivo superiore, con tutte le sue conseguenze.
L’insieme di tali condizioni favorisce esso pure le condizioni di vita di determinati microrganismi. Ne
deriva il quadro di fatti infiammatori e anche di fenomeni di paralisi che si manifestano
nell’organizzazione superiore, e addirittura di accenni a proliferazioni organiche; in breve, il quadro
morboso della difterite. Si tratta, vorrei dire, di una specie di irruzione dal basso verso l’alto, in
contrapposizione a quella che dà origine al tifo, la quale si verifica invece dall’alto verso il basso, e il
quadro in questione ha appunto le cause che ho descritte.
Naturalmente, nel considerare questi problemi bisogna tener conto sempre anche dell’età nella quale i
fatti si svolgono. Si tenga presente che durante l’infanzia l’intera collaborazione fra l’uomo superiore e
quello inferiore (e quindi anche l’attività ritmica, mediatrice fra i due) è di necessità del tutto diversa
che nelle età successive. Nell’infanzia deve per esempio esercitarsi un’azione molto più forte
dell’uomo superiore su quello inferiore, di quanto avvenga nella vita adulta. In realtà il bambino «
pensa » assai più dell’adulto; per quanto strano possa sembrare il dirlo, è proprio così, solo che i
pensieri del bambino non giungono alla sua coscienza, ma penetrano nell’organismo, manifestandosi
nel suo modo di crescere, nelle sue forme. Questa realtà si esplica con particolare energia nei primi anni
di vita, durante i quali l’attività pensante viene utilizzata per le forze formative del corpo. Quando il
corpo non ha più bisogno di usare per sé tanta parte delle forze formative, allora per così dire esso le
accumula, le mette da parte, ed esse divengono le forze che stanno alla base della memoria. Perciò la
memoria si manifesta solo quando l’organismo ha meno bisogno delle forze formative. Infatti le forze
che stanno organicamente alla base della memoria sono frutto della trasformazione delle forze di
crescita e plasmatrici che nei primi anni di vita sono in modo particolare impegnate nello sviluppo
formativo dell’organismo. In fondo, tutto è basato sulla metamorfosi: tutta l’attività spirituale che ci si
presenta nell’uomo non è che una parte, riconvertita allo spirituale, di ciò che in un’età precedente
aveva operato nel corpo, quando lo spirito penetrava nella materia. Deve quindi risultare comprensibile
che proprio nel bambino debbano esser presenti forti difese contro certe azioni che si manifestano nella
parte inferiore del corpo: qui infatti si esplicano specialmente gli effetti di ciò che è extraterrestre. Se
un particolare raggruppamento stellare si presenta nel cielo, con una certa posizione di altri pianeti in
relazione al Sole, esso può agire in modo che ne risulti un forte rispecchiamento nell’addome umano.
Quali effetti ne risulteranno? Nell’adulto l’attività ritmica fra l’uomo superiore e l’inferiore ha già
raggiunto un certo stato di quiete, e perciò gli effetti di quel raggruppamento stellare saranno scarsi.
Nel bambino invece si verifica una forte reazione difensiva contro le condizioni cosmiche che vogliono
rispecchiarsi nella parte inferiore. Se dunque l’addome del bambino viene fortemente impegnato da una
particolare condizione cosmica, la sua parte superiore deve reagire con molta energia. Questo
straordinario impegno delle forze che nell’organismo infantile non dovrebbero essere impegnate in tale
misura nella parte superiore, provoca la meningite cerebrospinale epidemica. Possiamo qui dunque
riconoscere con chiarezza come dalla natura extraumana certi effetti si esplichino nell’uomo. Tenendo
presenti tali connessioni, possiamo veramente ricostruirci tutto il quadro della meningite, fino al
sintomo della rigidità della nuca. Infatti nel bambino quello straordinario impegno di forza, compiuto
dall’uomo superiore, deve provocare fenomeni infiammatori negli organi superiori, come nelle
membrane meningee del midollo spinale o del cervello, con tutti i sintomi che ne conseguono.
È proprio necessario imparare a osservare congiuntamente gli effetti reciproci delle diverse parti
dell’uomo, nonché quelli fra ciò che si trova in lui e ciò che sta nella natura extraumana, e perfino
extraterrestre. Non vorrei certo favorire con queste mie comunicazioni la manìa degli oroscopi, che io
considero da diversi punti di vista come una vera ciarlataneria, nel modo in cui si praticano oggi. Basta
avere la consapevolezza dei fattori che intervengono in questi fenomeni; vedremo in particolare che
una tale consapevolezza è necessaria per il processo terapeutico. L’importante non è certo infatti il
poter affermare che determinati fenomeni vengono provocati da un determinato rapporto di posizione
fra due o più astri: questo potrà tutt’al più servire per una diagnosi cosmica, ma ciò che importa è il
poter guarire. Perciò domani passeremo da queste nostre considerazioni a quelle concernenti le
sostanze, presenti nella natura esterna, che hanno carattere di sostanze difensive, di forze difensive
contro questo genere di azioni esercitate sull’organismo umano dall’esterno. Più in generale, sarebbe
proprio necessario che la conoscenza dell’uomo superiore e dell’uomo inferiore si affermasse nella
scienza medica, perché ritengo che dalla forza di tale conoscenza scaturirebbe una collaborazione dei
medici nell’interesse della salute umana. Quando il medico si specializza, perde l’interesse per la
totalità dell’essere umano. Non voglio dire che il medico non debba affatto Specializzarsi, poiché le
tecniche che vengono elaborandosi col passare del tempo conducono appunto alle diverse
specializzazioni. Con il moltiplicarsi delle specialità dovrebbe però d’altra parte crescere sempre più la
collaborazione, la socialità fra i medici specializzati.
Questo risulta anche dall’osservazione di un altro problema sul quale mi è stata rivolta una domanda:
quello della piorrea alveolare. Quando si verifica questa malattia, non si tratta mai di un processo
puramente locale, come taluni credono: per lo meno la predisposizione riguarda sempre l’organismo
intero e poi si localizza nella regione dei denti. Sarebbe per esempio molto bene (e dovrebbe diventare
consuetudine) che il dentista che cura un paziente affetto da piorrea comunicasse il fatto al medico
curante, in quanto la piorrea sta ad indicare che il paziente ha una certa probabilità di ammalare di
diabete. Ciò che si esprime nel diabete, e che abbiamo già in parte caratterizzato in precedenza, finché
rimane nell’uomo superiore è facile da curare, e costituisce il punto di partenza della piorrea alveolare.
Si presta però troppo scarsa attenzione al fatto che l’uomo inferiore può per così dire invadere la sfera
dell’uomo superiore, e in questo caso si verifica indebitamente o un impoverimento dell’uomo inferiore
o un arricchimento di quello superiore. Se in un primo tempo si manifesta semplicemente nell’uomo
superiore la tendenza verso il processo infiammatorio, si realizza una delle forme della malattia; se essa
si manifesta nell’uomo inferiore, si verifica il quadro opposto, la contrapposizione polare della malattia.
Proprio questo è tanto importante.
Risulterà perciò ben comprensibile che l’intero corpo eterico (il quale contiene tutte le forze di crescita
dell’essere umano) debba operare nell’infanzia in modo diverso che nelle età successive. Durante
l’infanzia esso deve intervenire molto più a fondo nella funzione fisica; devono esserci organi nei quali
il corpo eterico abbia in certo qual modo dei punti d’attacco diretti. Soprattutto nella vita fetale è
necessario che il corpo eterico abbia dei punti d’attacco diretti, per poter agire sul corpo fisico. Questo
vale anche per l’età infantile, durante la quale non solo si configurano le forme dell’organismo, ma ha
luogo un continuo accrescimento per il quale si deve impegnare al tempo stesso la forza formativa,
plastica. Perciò sono necessari degli organi come il timo, e fino a un certo grado anche la tiroide, che
hanno i loro compiti precipui nell’età infantile e più tardi regrediscono; nel regredire possono poi
degenerare, se in essi le forze fisiche agiscono con troppa energia.
Nell’età infantile è semplicemente necessario che nell’organismo abbia luogo un chimismo molto
attivo che più tardi viene sostituito da attività legate al calore. Si potrebbe dire che nel corso della sua
vita l’uomo percorre una via che può essere simbolizzata (ma nulla più che simbolizzata) dallo spettro
della luce: in questo distinguiamo una parte più chimica (blu, violetto), una parte luminosa (verde,
giallo), e una piuttosto calorica (il rosso). L’uomo passa per fasi della propria organizzazione che hanno
questa direzione (v. il disegno seguente). Nell’infanzia esso ricorre maggiormente alle attività di tipo
chimico; trapassa poi alle attività che operano mediante la luce, e più tardi ancora alle attività che
agiscono mediante il calore. Gli organi che consentono al corpo eterico di favorire nel corpo fisico il
chimismo, sono le ghiandole del tipo della tiroide, del timo e delle surrenali.
Proprio perché con tali organi è connesso in certo senso il chimismo, dipende in alto grado dalla loro
attività il colorito cutaneo, dipende cioè dall’attività eterica che ne sta alla base. Fra le funzioni delle
ghiandole surrenali vi è per esempio anche quella di condizionare il colorito della cute, più o meno
roseo o pallido. Una degenerazione delle surrenali dovrà manifestarsi anche nel colorito cutaneo. Basta
ricordarsi del quadro del cosiddetto morbo di Addison, legato a una degenerazione delle surrenali, nel
quale la pelle assume un colore bruniccio: si potrà così gettare uno sguardo in profonde connessioni
esistenti nell’organismo. Tutti questi fatti mettono in luce un certo chimismo che si svolge
nell’organismo umano. Esso è particolarmente attivo nella vita fetale; gli effetti del tipo della luce
hanno invece maggiore importanza per la vita a partire, diciamo, dal quattordicesimo anno in poi. Più
tardi ancora si affermano i processi che hanno a che fare con la sfera del calore.
In tutto questo si esprime qualcosa di molto importante per il corso della vita umana in generale. La
vita infantile, e ancor più la vita fetale, rappresentano infatti una specie di prevalente processo salino; il
periodo centrale della vita (ma piuttosto nella sua prima parte, più vicina all’infanzia) rappresenta una
specie di processo mercuriale; quanto all’età più avanzata, essa rappresenta (sotto l’aspetto che ho
caratterizzato adesso) una specie di processo sulfureo. Si potrebbe anche esprimere la cosa in
quest’altro modo: nell’età infantile si deve prestare la massima attenzione alla regolazione del processo
salino, nell’età intermedia a quello mercuriale, e nell’età più avanzata ai processi sulfurei o fosforici e
alla loro regolazione. Va dunque tenuto presente che nell’organismo umano c’è anche questa triplice
attività: un chimismo organizzato, un processo di luce organizzato, e un processo di calore organizzato;
o in altri termini: un processo salino, un processo mercuriale e un processo sulfureo organizzati. Se ne
può ricavare un’idea del modo in cui la vita nella sua totalità operi sull’uomo, promuovendone
l’organizzazione. Nel bambino il modo di vita (non solo l’alimentazione, ma tutto il suo agire)
favorisce l’azione di tipo chimico e produce effetti profondi nell’organismo. Nel ragazzo e nel giovane
il prevalente processo della luce opera così energicamente sull’intero organismo, da formare il germe di
tutto ciò che può provocare perfino disturbi psichici. Vorrei dire che nell’età giovanile si ha il massimo
della sensibilità per le impressioni del mondo esterno. Può avere grandissima importanza per l’intera
costituzione animica nella vita adulta, il fatto che nella giovinezza si sia esposti all’azione di una vita
esteriore costruita in modo logico o in modo illogico. Continuerò a parlare di queste cose nella
conferenza di domani, partendo dagli aspetti patologici per passare poi a quelli terapeutici.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 18 – CAUSE DI MALATTIA
I temperamenti umani
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 06.04.1920
Sommario: Sviluppo dei denti. Carie dentaria. L’esculina. La clorofilla. Superamento di certe
avversioni e formazione degli organi. Alte e basse potenze. I temperamenti umani. Processo nutritizio e
senilità mentale. La suggestione.
Nella misura in cui argomenti tanto complessi possono venire trattati in così breve tempo, riassumerò
oggi alcuni dei temi toccati nell’ultima conferenza, per cercare di illuminare tutto l’insieme traendone il
massimo frutto possibile. A tal fine sarà bene prolungare di due giorni questo corso, sebbene tutto
quanto ho esposto non possa essere che un inizio. Riallacciandomi a quanto dissi ieri, vorrei esporre
oggi qualche altro pensiero sullo sviluppo e sulla regressione della dentatura, e ritengo che queste
considerazioni possano gettar luce sull’uomo sano e malato, in generale. Gli argomenti svolti da me ieri
non vanno presi in senso spiccatamente materialistico: quel che più importa è che nei fenomeni esterni
(per esempio nel deterioramento dei denti) si impari a scorgere appunto solo il sintomo visibile di un
dato processo interiore, di un processo che si sottrae alla percezione esteriore e di cui i fenomeni
visibili sono la conseguenza.
L’intero processo della formazione dei denti potrà essere compreso osservandolo in connessione con
altri processi dell’organismo umano, apparentemente molto lontani da esso; per esempio collegandolo
con un fatto ben noto il cui vero significato si potrà però comprendere solo mettendolo in un giusto
rapporto con il processo di formazione dei denti. Si tratta del fatto che molte giovani donne hanno denti
perfettamente sani che si guastano però rapidamente dopo il primo parto. Questo fenomeno è atto a
mettere in forte luce la correlazione esistente fra i dolori dentari, la carie dentaria, e la costituzione
organica complessiva. Bisogna inoltre prendere in considerazione l’interessante relazione esistente fra
quanto avviene nei denti e la tendenza ai disturbi emorroidari. Tutte queste correlazioni dimostrano che
la formazione dei denti, cioè il processo più spiccatamente mineralizzante che si svolge nell’organismo
umano, è in stretta connessione con tutti i processi dell’organizzazione umana e che tale connessione si
manifesta fino all’estremità opposta del corpo umano.
Sulla valutazione del processo di formazione dei denti pesa molto il fatto innegabile che nella sua parte
più esterna, nel ri- vestimento del dente fuori delle gengive, l’organizzazione umana è veramente
abbandonata come un corpo minerale al mondo esterno; qui il rivestimento esterno, lo smalto, è quasi
del tutto separato dall’organismo; non vi si compiono più processi nutritizi e si tratta insomma quasi di
una sostanza inorganica. Credo di avere accennato già ieri che questo processo per così dire «
ascendente » ha meno importanza del processo catabolico che ha luogo continua- mente, durante tutta
la vita, nella formazione dei denti. Da un lato si deve senz’altro riconoscere’ che in questo punto
periferico dell’organismo umano, dove si sviluppa l’estremità del dente, l’organizzazione interna non
ha più molta parte nel processo costruttivo. D’altra parte non va però dimenticato che l’organizzazione
interna è connessa con il catabolismo, con i processi distruttivi, e che il problema del processo «
ascendente » è assai meno importante di quest’altro: come si può rallentare nell’uomo la tendenza
verso il processo di demolizione, di distruzione? Sarebbe infatti del tutto errato il ritenere che questo
processo distruttivo dipenda esclusivamente da fattori esterni. Ecco dunque il punto di vista del quale
va tenuto conto.
Importante è poi che la funzione del fluoro, in relazione con la formazione dei denti (di cui ho parlato
ieri), si svolge essenzialmente durante l’infanzia, cioè nell’età in cui il processo di formazione della
dentatura permanente (che si svolge dall’interno verso l’esterno) si va a poco a poco preparando nelle
profondità dell’organismo intero, molto prima che la seconda dentizione abbia inizio. Questo processo
formativo che coinvolge il fluoro raggiunge il suo punto culminante nel fatto che la sostanza che sta
alla superficie dei denti rappresenta per il fluoro una specie di equilibrio stabile, una condizione nella
quale esso è legato alla sostanza e in certo senso è in riposo. Tuttavia esso viene turbato nel suo riposo
quando i denti si guastano, andando incontro a fenomeni regressivi. Si tratta di eventi sottili che
partono dal dente e stanno in rapporto con un processo formativo che è dovuto al fluoro e che si
diffonde nell’intero organismo, estendendosi però a tutta la vita dell’uomo.
Ciò che ho detto ora condiziona tutto il trattamento profilattico della carie dentaria. Potrei anche dire
che l’impulso pedagogico che viene coltivato nella Scuola Waldorf è rivolto in gran parte a favorire un
sano sviluppo dei bambini, in particolare anche alla prevenzione del precoce deterioramento dei denti.
Va infatti notato come singolare il fatto che, proprio per quanto riguarda questi aspetti periferici
dell’organismo, moltissimo dipende da una corretta educazione negli anni dell’infanzia. Purtroppo per
adesso alla Scuola Waldorf abbiamo la possibilità di agire solo su bambini di età già un po’ troppo
avanzata, per quello che concerne i problemi della profilassi dentaria: bisognerebbe incominciare in
un’età più precoce. Tuttavia, poiché i denti non spuntano tutti insieme, bensì a poco a poco, e il
processo interno si fa sentire ancora per molto tempo, anche nei bambini di sei o sette anni si può
ancora conseguire qualche risultato, sebbene non in misura sufficiente. Quel che più importa è infatti
(come ho già detto) che si osservi con cura l’intero processo della dentizione, dal momento in cui
spunta il primo, dente. Mi è stato obiettato, non senza ragione, che una tale valutazione risulta difficile,
perché in quel momento non fa che spuntare bella e pronta la corona del nuovo dente, mentre il
processo complessivo era già predisposto invisibilmente da tempo. Questo è vero, ma non è solo
l’osservazione dei denti stessi che consente di farsi un’idea del processo formativo generale dei denti.
Si noterà ad esempio che tendono ad avere dentizioni difettose i bambini che nel quarto, quinto o sesto
anno di vita si mostrano maldestri nell’uso degli arti, soprattutto delle mani e dei piedi. Proprio nel
maldestro comportamento delle braccia, delle mani, delle gambe e dei piedi si rivela un tipo di bambino
che più tardi rivelerà difetti nel processo della seconda dentizione. Questo processo può venire
influenzato molto favorevolmente, insegnando il più presto possibile ai bambini a correre in modo
aggraziato, movendo i piedi con cura particolare, per esempio facendoli toccare l’uno con l’altro ad
ogni passo, eseguendo il cosiddetto « passo della pavoncella », o con altri simili esercizi. Questi,
applicati anche ad acquistare la massima possibile abilità con le mani, favoriscono in alto grado il
processo formativo dei denti.
Nella nostra Scuola Waldorf i ragazzi lavorano a maglia e all’uncinetto come le bambine: queste e
quelli hanno le stesse identiche occupazioni, e perfino i ragazzi più grandicelli lavorano ancora a
maglia con entusiasmo. Questa attività non viene praticata per un capriccio pedagogico, ma al fine di
rendere le dita abili e snodate, per far fluire l’anima sin nelle dita. Portando in tal modo anima sin nelle
dita, si favorisce proprio soprattutto il processo della formazione dei denti. Noti è certo indifferente che
un bambino di indole pigra venga lasciato a se stesso, seduto in un banco, o che invece lo si inciti a
correre, che lo si lasci crescere maldestro nelle sue mani o che lo si educhi a usarle con abilità. La cosa
non è indifferente, perché tutte le omissioni in questo campo si scontano più tardi con un precoce
deterioramento dei denti, naturalmente non nella stessa misura in tutti i bambini; si tratta certo di
fenomeni individuali, ma comunque si manifestano così. Possiamo dunque dire che quanto più
precocemente si comincia a disciplinare l’attività delle membra, tanto più si rallenta il processo di
deterioramento dei denti. È tanto difficile intervenire in tutto ciò che è connesso coi processi dentari,
che bisogna proprio tener conto anche di queste possibilità in apparenza così remote.
Ora ho qui davanti a me la domanda: in che modo il fluoro viene introdotto nell’organismo?
dall’esterno attraverso lo smalto, o tramite la saliva, ó attraverso la polpa dentaria o forse per via
sanguigna?
Vedete, il fluoro rappresenta un processo formativo dell’organismo umano, e non è poi tanto importante
l’indagare per quali vie esso venga assunto. Di regola è sufficiente pensare solo ai processi che passano
per la normale alimentazione, per il cui tramite vengono introdotte le sostanze contenenti i composti del
fluoro. Il normale processo di alimentazione fornisce già il fluoro a quei distretti periferici
dell’organismo in cui esso deve venire depositato. Il fatto importante è che in realtà il fluoro come tale
è molto più diffuso in natura di quanto di solito si creda. Se ne trova in notevole quantità nelle piante
più diverse, ma naturalmente si tratta sempre di quantità relative, perché il fabbisogno di fluoro è
minimo per l’uomo. Il processo formativo del fluoro è presente soprattutto nelle piante; in queste esso è
presente anche quando non è chimicamente rilevabile, e ne parleremo in modo più preciso fra poco. Il
fluoro è presente perfino nell’acqua potabile, sì che non occorre adatto aggiungerne dell’altro. Quello
che importa è che l’organismo sia capace di dominare il relativo processo di utilizzazione, che è molto
complicato. Volendo usare la terminologia consueta, si potrebbe dunque dire che il fluoro arriva alla
sua sede per via sanguigna.
Sorge poi il problema se lo smalto dentario venga ancora nutrito, dopo che i denti sono spuntati. No,
non viene più nutrito, e ciò dovrebbe già risultare da quanto ho qui esposto in precedenza; vi è però
qualcosa d’altro e a questo bisogna prestare attenzione. Si potrebbe dire che all’indagine scientificospirituale risulta che nel distretto in cui avviene la formazione dei denti, e tutto intorno, si svolge una
notevolissima attività del corpo eterico umano, un’attività che è libera, cioè scarsamente collegata con
l’organizzazione fisica. Una tale attività organizzativa libera, quale si può osservare appunto intorno
alle ossa mascellari, un’attività eterica in continuo movimento come questa, è del tutto assente
nell’addome limano. In quest’ultima sede l’attività eterica è strettissimamente collegata con l’attività
organica fisica; con questo fatto sono connessi i fenomeni da me menzionati prima. Con questo è
connesso il fatto che quando, come nella gravidanza, l’attività del corpo eterico si distacca
dall’organismo fisico, all’altro polo, cioè nella sfera dei denti, avvengono modificazioni importanti.
Analogamente anche le alterazioni di tipo emorroidario sono connesse con una separazione tra l’attività
del corpo fisico e quella del corpo eterico. Senonché il rendersi indipendente del corpo eterico, che
avviene a questo estremo dell’organismo, ha per conseguenza all’estremo opposto l’introduzione del
corpo eterico nell’organizzazione: ne consegue un effetto contrario, appunto in questa parte, cioè
l’effetto distruttivo. Ciò che esalta l’attività organica (come avviene in condizioni normali nella
gravidanza, e nel malato appunto per effetto della malattia, ma anche qui si tratta di attività organica
accresciuta) all’altro polo agisce pure come intensificazione di tale attività, ma soprattutto nel caso dei
denti è un’attività catabolica, distruttiva; è un rapporto da tenere ben presente.
A questo punto possiamo chiederci se, non risultando sufficienti gli effetti per così dire esterni del
fluoro, né i provvedimenti di ordine educativo, si debba passare a una vera terapia, e l’organismo
umano è talmente complesso che in certi casi la terapia dovrà certo intervenire in aiuto della pedagogia.
Infatti i fenomeni che si notano nei movimenti armonizzati delle mani e dei piedi, i progressi
nell’abilità degli arti, esprimono la costituzione generale e sono in realtà gli effetti del fluoro, constatati
macroscopicamente; l’effetto del fluoro si manifesta in ciò che è dato osservare alla superficie
dell’organismo e che si estende verso l’interno, nell’attività esterna che si prolunga internamente, e non
nelle determinazioni quantitative dei fatti, più o meno fantastiche. Infatti, non solo dallo stato dei denti
si possono dedurre gli effetti di una cattiva educazione, ma anche dal comportamento del bambino che
è inattivo e poco abile nei suoi movimenti. Occorre allora intervenire sull’organismo con misure
diciamo profilattiche. Può essere interessante fare un tentativo di cura con un estratto acquoso del succo
di corteccia dell’ippocastano (Aesculus hippocastanus), somministrando per via interna un estratto
fortemente diluito di esculina si può dunque tenere sotto controllo la conservazione dei denti, purché
non si intervenga troppo tardi.
Qui ci si presenta un’altra connessione interessante: nel succo della corteccia dell’ippocastano è infatti
presente qualcosa che contribuisce alla formazione dei nostri denti. Sempre si può scoprire nel mondo
esterno, nel macrocosmo, qualcosa che ha importanza nei processi costruttivi organici. Nel caso in
questione si verifica che nell’esculina è presente qualcosa che elimina, o inattiva il chimismo proprio
della sostanza in cui l’esculina è attiva. È infatti singolare che, proiettando su una soluzione di esculina
il cono dello spettro luminoso, dallo spettro vengono eliminati gli effetti chimici.
Questa eliminazione degli effetti chimici si può constatare anche introducendo nell’organismo l’estratto
acquoso molto diluito: deve però assolutamente trattarsi di un estratto acquoso. Si constata cioè
nell’organismo che questo superamento del chimismo, questo tendere esclusivamente alla
mineralizzazione è in fondo la stessa cosa del processo formativo dei denti. Solo che in quest’ultimo
caso quel che si verifica di solito esteriormente nell’estinzione del chimismo, è ancora compenetrato
dalle forze organizzatrici proprie dell’organismo.
In modo simile agisce perfino la comune clorofilla, però preparata diversamente. In fondo nella
clorofilla è presente, sia pure in forma leggermente diversa, la stessa forza che nell’ippocastano e in
altre piante si trova nella corteccia. La clorofilla però deve essere estratta con etere, e inoltre
l’applicazione deve avvenire per via esterna mediante frizionamento dell’addome. Frizionando
l’addome con clorofilla in estratto etereo si può dunque agire sull’organismo in modo da favorire la
conservazione dei denti, in modo simile a quando si usa l’esculina per via interna. Queste sono cose
che meriterebbero di essere provate e che non mancherebbero di fate un’impressione notevole, se i
risultati conseguiti venissero pubblicati nelle vostre statistiche. Infatti, una volta che l’intera polpa
dentaria sia distrutta, occorre tentare di far assorbire il fluoro dall’organismo intero: e questo allora non
sarebbe più compito della terapia dentaria generale.
Da tutto questo potete vedere quanto stretti siano i rapporti fra la terapia dentistica (nei limiti in cui
questa sia ancora possibile) e le forze di crescita complessive dell’organismo umano. Infatti, parlando
dell’esculina o della clorofilla, si accenna a forze essenzialmente connesse con certi finissimi processi
di crescita, indirizzati verso la mineralizzazione. Sta di fatto che l’uomo deve proprio pagare il suo
sviluppo superiore, verso lo spirito, al prezzo di una regressione del processo di formazione dei suoi
denti. Questo è constatabile anche da un punto di vista filogenetico: in paragone al processo formativo
dentario degli animali, quello che avviene nell’uomo rappresenta una regressione. Questo carattere di
processo regressivo è presente del resto anche in altri aspetti dell’organizzazione umana della testa.
Vi ho condotti così a certe forme di osservazione dei fenomeni che potranno acquistare importanza per
una valutazione complessiva del processo di formazione dei denti. Qualche altro elemento risulterà da
alcune considerazioni die vorrei ancora aggiungere: si tratta di un capitolo che in apparenza non fa
parte del tema ora trattato, e precisamente del problema dietetico che in realtà è connesso con i
fenomeni descritti. I problemi relativi alla dieta sono importanti non solo sul piano medico, ma anche
su quello sodale. Si potrà discutere a lungo se abbiano un senso e una ragion d’essere certe diete strane,
come quella chiamata dieta mazdaznan; bisogna però rendersi conto che, seguendo consigli di tal
genere, si diventa asociali. Qui davvero la sfera sodale confina con quella medica. Quanto più si ritiene
di aver bisogno per sé di qualcosa di speciale, riguardo alla dieta, e in genere riguardo a quanto offre il
mondo esterno, tanto più asociali si diventa. Uno dei significati dell’eucaristia sta nel fatto che Cristo
non abbia dato qualcosa di particolare a ognuno dei suoi discepoli, bensì a tutti la medesima cosa. Ha
grande significato sociale il creare la possibilità che d si ritrovi insieme fra uomini per mangiare e per
bere. Si dovrebbe trattare con una certa prudenza tutto quello che tende a ostacolare la sana natura
sociale umana. Se infatti l’uomo è abbandonato a se stesso (e non solo per le cose di cui è cosciente,
bensì anche per quanto opera in lui di organico), si destano in lui i più svariati appetiti e antiappetiti.
Non è neppure tanto importante prestare attenzione nel modo consueto a tali appetiti e antiappetiti. Se
infatti si sarà riusciti a sopportare qualcosa che in fondo si sarebbe portati a non sopportare, se cioè si
sarà vinto un antiappetito nel senso più generale (non solo come gusto soggettivo, ma inteso nei
riguardi della costituzione stessa, dell’intero sistema organico), si avrà conseguito per la propria
organizzazione un vantaggio maggiore che evitando per anni un alimento cui va la nostra avversione.
Nel superare la propria avversione per un dato alimento, nell’avere superato una tale avversione, si
compie (non figuratamente ma nel senso più proprio) il ripristino di un organo distrutto, o (se si guarda
al livello eterico) addirittura la formazione di un organo nuovo. La forza formativa degli organi si trova
infatti proprio nel superamento degli antiappetiti. A partire da un certo punto, il cedere ai propri appetiti
non giova agli organi: porta invece alla loro ipertrofia, alla degenerazione. Si danneggia
l’organizzazione, andando troppo in là nel cedere di fronte ad alimenti o bevande che l’organismo
vorrebbe tener lontani da sé a causa delle proprie alterazioni. Se invece si cerca di abituare
gradualmente l’uomo a ciò che non gli appare a tutta prima confacente, si rafforza sempre
l’organizzazione.
A tale riguardo la scienza moderna ha provveduto a nascondere quasi tutto quello che avremmo
bisogno di sapere. Infatti il principio della lotta per l’esistenza e della selezione naturale è davvero cosa
del tutto esteriore. Il Roux ha poi esteso tale principio addirittura alla lotta fra i diversi organi
dell’uomo. Ma questa concezione è davvero qualcosa di molto esteriore; soltanto se si è in grado di
osservare veramente quel che accade all’interno, si può trovare il senso dei fenomeni. Allora si deve
dire che ogni rafforzamento di un organo, sia nell’uomo, sia più in generale nella serie filogenetica,
deriva sempre dal superamento di un’antipatia. La configurazione di un organo è dovuta al
superamento di antipatie, mentre la crescita di un organo già esistente è dovuta al fatto di seguire certe
simpatie o inclinazioni, purché però non venga superato un certo limite. La simpatia e l’antipatia non
stanno solamente sulla lingua o nell’occhio: esse risuonano per così dire in tutto l’organismo. Ogni
organo ha le sue simpatie e le Sue antipatie: in esso si sviluppa un’antipatia verso ciò che in certe
condizioni lo ha edificato. Infatti ogni organo deve la sua configurazione proprio a ciò contro cui, una
volta formato, esso comincia a nutrire antipatia. La conoscenza di tali rapporti porterebbe molto più in
profondità le nostre nozioni sulla filogenesi; bisogna apprendere che il mondo esterno opera sugli
organismi in modo da suscitare al loro interno una difesa, una reazione che si scarica in antipatia, e che
proprio a questo è dovuto il continuo perfezionamento dell’organizzazione. Nel regno degli organismi
vince la lotta per l’esistenza quello che riesce meglio degli altri a superare certe antipatie interne,
sostituendole con la formazione di organi. Queste connessioni sono parte integrante del processo
formativo degli organi.
Proprio considerando tali fatti ci si presenta anche un punto di riferimento per riprendere in
considerazione il problema del dosaggio dei farmaci. Abbiamo constatato che nel processo formativo
stesso degli organi esiste una continua oscillazione dalla simpatia all’antipatia, e viceversa. Dalla
formazione di queste due tendenze e dal loro alterno giuoco dipende di fatto l’organogenesi. Un
rapporto analogo a quello esistente nell’organismo fra la simpatia e l’antipatia vige fra i bassi dosaggi
(intendo dire i bassi gradi di dinamizzazione, cioè quando le sostanze vengono usate come tali) e le alte
potenze dei medicamenti. L’alta potenza possiede un’azione opposta alla bassa potenza; ciò è connesso
con l’intera forza organizzativa. In un certo senso è giusto anche un altro fatto al quale avevo accennato
già ieri da un punto di vista differente: quel che agisce nell’organismo in un determinato modo nel
primo periodo della vita, nelle età successive agisce in modo opposto; d’altra parte, ciò che opera
nell’organismo può venir per così dire spostato in una sfera diversa. Su tali rapporti si fonda da un lato
l’origine della schizofrenia (o demenza precoce), e dall’altro il reperimento di quei distretti psichici
isolati che afferrano l’organizzazione nell’età adulta, mentre non dovrebbero afferrarla.
Questi problemi si chiariranno solo quando la scienza stessa tornerà ad essere almeno in parte
spiritualizzata, quando si rinuncerà a voler curare le cosiddette malattie mentali con metodi psicologico-spirituali; quando, in presenza di questa o quella cosiddetta malattia mentale, ci si deciderà a
ricercare quali organi siano ammalati. Al contrario, per quanto possa sembrare strano, sarebbe molto
più utile prestare attenzione ai fattori animici nelle cosiddette malattie fisiche, invece che nelle malattie
considerate psichiche. In queste ultime il quadro psichico ha un valore quasi soltanto diagnostico;
bisogna certo studiarlo, ma per trarre dalla sua osservazione indizi sulla localizzazione dei disturbi
presenti nell’organismo. Gli antichi avevano provveduto in questa direzione già nella loro
terminologia: non per nulla avevano assegnato a un certo tipo di disturbo psichico (l’ipocondria) un
nome dal suono schiettamente materialistico: la parola ipocondria significa press’a poco « presenza di
osso » o « di cartilagine », in basso, « nell’addome ». Gli antichi non avrebbero mai ricercato
primariamente l’origine di una condizione psichica se non in una malattia dell’addome, anche se
l’ipocondria avesse raggiunto il grado di follìa. Naturalmente bisogna essere capaci di riconoscere tutto
il cosiddetto ambito materiale come qualcosa di spirituale.
Oggi stiamo scontando il fatto che, come mentalità, il materialismo è la prosecuzione dell’ascetismo
cattolico. Questo ascetismo disprezzava la natura, e mediante il disprezzo della natura voleva
conquistare lo spirito. La moderna concezione del mondo si è appropriata di ciò che le faceva comodo
di quell’indirizzo ascetico, e ritiene che quanto accade nell’addome sia grossolanamente materiale e
che quindi non se ne debba tenere alcun conto per i fenomeni psichici. In realtà però le cose non stanno
così: in tutti quei processi agisce lo spirito e occorre sapere in qual modo vi agisca. Se mettiamo in
rapporto lo spirito che opera nell’organismo con lo spiritò che agisce in qualcosa di esterno, si tratta di
qualcosa di spirituale che collabora con qualcos’altro di spirituale. Bisogna abbandonare il « disprezzo
» per la natura e riuscire proprio a concepire di nuovo come spiritualizzata l’intera natura. Non è infatti
strano, ma straordinariamente significativo per il rinnovamento del pensiero medico, che nel tempo del
materialismo più spinto sia nata la manìa di usare nell’uomo diversi stati abnormi, come l’ipnosi o la
suggestione? Proprio nell’età del materialismo si sono diffuse pratiche che sembrano lontane
dall’ambito materiale, mentre si è perduta la possibilità di istruirsi sugli aspetti spirituali del mercurio,
dell’antimonio, dell’oro o dell’argento. È diventata essenziale la perdita della possibilità di informarsi
sulle qualità spirituali di ciò che è materiale, e perciò si vorrebbe curare lo spirituale in quanto tale,
come si fa anche nella psicoanalisi. Debbono invece affermarsi nuovamente delle concezioni sane per
quanto concerne le qualità spirituali della materia.
Non è certo il minore dei meriti della tradizione omeopatica, conservatasi per tutto il secolo scorso,
l’aver tenuto vivo il riconoscimento della spiritualità delle sostanze materiali. Anzi, questo è fra i punti
di maggiore importanza; purtroppo la comune medicina allopatica si è data sempre più alla fede che
nelle sostanze del mondo esterno si abbia a che fare solo con effetti materiali.
Questo stato di cose deve però indurre, nella diagnosi delle cosiddette malattie fisiche, a rivolgere
l’attenzione agli aspetti psichici, e viceversa a ricercare alterazioni fisiche quando spicca uno stato
psichico abnorme. Di fronte a una malattia fisica bisognerebbe sempre chiedersi: qual è il
temperamento proprio del paziente? Se una malattia si manifesta in un soggetto di natura ipocondriaca,
questa medesima ci indicherà che dovremo curarlo agendo energicamente sulla sua parte inferiore, cioè
con rimedi che agiscono materialmente, vale a dire con basse potenze. Se invece si riscontra in un
paziente (al di fuori della stato di malattia) un’indole sveglia e sanguigna, si dovrà senz’altro ricorrere a
potenze più alte. In sostanza, la condizione psichica di fondo è qualcosa che deve essere chiarito
proprio quando ci si trova di fronte a una malattia fisica. La condizione psichica di fondo ci si
manifesta in certo qual modo già nel bambino; è difficile che una schizofrenia si manifesti in un
soggetto che non abbia mostrato sin dall’infanzia una tendenza flemmatica, cioè ima disposizione
temperamentale che dovrebbe in realtà esplicarsi solo nell’età adulta, e neppur allora illimitatamente.
Di particolare importanza è poi la distinzione fra l’attività interna e l’interna passività: questa
differenza ha un grande significato. Basta tener presente che con i procedimenti curativi cosiddetti
psichici, per esempio mediante la suggestione, il paziente viene posto completamente sotto l’influsso di
un’altra persona e la sua attività viene in tal modo del tutto soppressa. E la soppressione dell’attività,
dell’iniziativa interiore dell’uomo, provoca anche nella vita esteriore conseguenze importanti per il
corso della vita; se poi essa si verifica già nell’infanzia, quelle conseguenze riguardano proprio il
processo dentario, e appunto per tutto il corso della vita ulteriore. Conto di riparlarne domani.
Io potrei per esempio ritenere necessario per me stesso di evitare certi alimenti e di ricorrere di
preferenza ad alimenti differenti; dopo quanto ho esposto poco fa, è importante mettere in rilievo un
fatto come questo. Io potrei dunque ritenere utile per me una certa dieta, e questa potrebbe rivelarsi
perfettamente confacente alle mie esigenze. Fa però una differenza notevole se io sia giunto a questa
dieta per mia personale esperienza e iniziativa, o se invece la stessa dieta mi sia stata semplicemente
prescritta dal medico. Non abbiatevene a male, prego, se lo dico in termini così crudi. Certo, dal punto
di vista materialistico sembra che una dieta debba produrre gli stessi effetti favorevoli, tanto nel caso
che io l’abbia trovata per istinto, che la sia venuta elaborando da me stesso, forse anche sotto la guida
del medico, quanto invece se io me la sia fatta semplicemente prescrivere dal medico. In un primo
tempo la dieta prescrittami dal medico produrrà i suoi effetti favorevoli, ma a lungo termine se ne
mostrerà purtroppo il rovescio: nella vecchiaia giungerei più precocemente alla regressione mentale,
mentre una partecipazione attiva alla scelta della dieta più confacente mi mantiene più a lungo
mentalmente agile. Certo anche altri fattori intervengono per condizionare il modo
dell’invecchiamento. Questo giuoco dell’attività o dell’inattività interiore viene compromesso
gravemente da tutte le cure su base suggestiva nelle quali ci si mette del tutto nelle mani altrui, non solo
in quanto si rinuncia al proprio giudizio facendo quello che l’altro prescrive, ma affidando al giudizio
altrui perfino la direzione della propria volontà. I trattamenti fondati sull’ipnosi e sulla suggestione
dovrebbero pertanto essere limitati al massimo. Vi si potrà ricorrere solo in casi eccezionali, quando si
possa ritenere che la compromissione della volontà (inevitabile in ogni trattamento del genere) possa
per altre ragioni riuscire innocua per quel dato paziente, e che gli si possa giovare temporaneamente
curandolo per via suggestiva. Però in linea generale proprio la scienza dello spirito ha il dovere di
mettere in evidenza i fattori terapeutici presenti negli effetti delle diverse sostanze, o in quelli
atmosferici o negli effetti di certi movimenti dell’organismo umano, cioè in tutti i fattori con i quali non
si esercita un’influenza spirituale diretta, ma si stimola un’attività, una iniziativa dell’essere umano, sia
essa cosciente o anche inconscia.
La grande importanza di questi problemi deriva dal fatto che proprio nella nostra età materialistica si
compiono in questo campo errori gravi. Contagiata da certe opinioni dominanti, già la pedagogia
vorrebbe adottare certe tendenze orientate verso i procedimenti ipnotici o suggestivi. L’introduzione di
tali tendenze nella pedagogia è qualcosa di orribile. Si vedrà chiaro in questo campo, quando si sarà
trovata la risposta a questa domanda: in che modo operano, al contrario, certe attività dell’organismo
umano che lo portano a essere desto, invece che a addormentarsi? Mentre l’uomo si addormenta, nella
sfera delle sue rappresentazioni si verificano dei movimenti che non sono seguiti da azioni della sua
volontà: nei confronti del mondo esterno l’uomo si mette in riposo, mentre sono in movimento certe
esperienze della sua coscienza. L’opposto accade nell’euritmia: qui si effettua proprio il contrario di un
addormentarsi, cioè uno stato di veglia più accentuato, in confronto ai fenomeni della coscienza
ordinaria. Con l’euritmia vengono soppresse le ipertrofie della vita rappresentativa che si hanno nel
sogno, e in cambio viene immessa nelle membra una sana esplicazione della volontà. La volontà vien
fatta fluire entro le membra nella sua organizzazione. Se poi si comincia a studiare il modo differente
col quale agiscono sull’uomo inferiore e sull’uomo superiore l’espressione euritmica delle vocali, o
l’espressione euritmica delle consonanti, si scopre che nell’euritmia può venir ricercato un importante
fattore terapeutico.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 17 – I TEMPERAMENTI UMANI
Il massaggio, regolatore di attività ritmiche
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 05.04.1920
Sommario: Il massaggio, regolatore di attività ritmiche. Significato del massaggio di singoli distretti
per l’organismo complessivo. L’emicrania. Terapia con i colori. Idroterapia. Importanza di imitazione e
autorità nella pedagogia. Schizofrenia. Psicoanalisi. Il materialismo. I denti. L’azione del fluoro.
Vedrete che nel corso di questa conferenza emergeranno a poco a poco i problemi che avete avuto la
gentilezza di sottopormi per iscritto: ho dovuto prima creare le basi per poter dare delle risposte
razionali. Oggi vorrei riallacciarmi a quanto ho e- sposto qui ieri, vale a dire al tema delle importanti
funzioni della milza nell’organismo umano. Di esse bisogna dire che si tratta di funzioni
eminentemente regolatrici della vita subcosciente dell’anima. Si fraintende l’intera entità umana se si
considera la milza come un organo di importanza secondaria. Questo errore, o questo equivoco, può
certo essere dovuto al fatto che le funzioni della milza vengono assunte con grande facilità dalla sola
milza eterica, appunto perché si tratta di un organo molto spiritualizzato; perfino altri organi possono
intervenire per sostituirsi ad essa. Ci si potrà per altro persuadere che l’azione della milza assume dei
caratteri singolari, quando dalla sfera del subcosciente la si solleva, un poco nella coscienza. Proprio
osservando la milza si può stranamente pervenire alla trattazione di un certo metodo terapeutico che in
tempi recenti ha acquistato interesse. Lo strano è che, per parlarne, noi prendiamo le mosse dalla
funzione della milza. È infatti possibile convincersi che leggeri massaggi sulla regione splenica
producono un effetto equilibratore sull’attività istintiva dell’uomo. Un delicato massaggio ripetuto sulla
regione della milza migliora per così dire gli istinti dell’uomo, conferendogli per esempio una
maggiore facilità nel riconoscere gli alimenti che gli si confanno, o rapporti più sicuri con quanto giova
o nuoce al suo organismo. Tuttavia questi massaggi sulla milza trovano subito un limite: appena
diventano troppo forti, rischiano di sconvolgere nuovamente del tutto l’attività istintiva. Occorre
dunque, proprio in questa procedura terapeutica, osservare rigorosamente il punto di svolta: non
bisogna esagerare con questo tipo di massaggi.
Come si spiegano questi fatti? Quando si pratica un massaggio sulla regione della milza, vi si indirizza
qualcosa che di solito non vi si trova, vi si proietta cioè la coscienza della persona che viene
massaggiata. Questo genere di trasposizione della coscienza, e di attrazione della coscienza in una certa
direzione, è un fatto ricco di conseguenze. Non è sempre facile descrivere con i rozzi strumenti del
nostro linguaggio abituale certe sottili modalità di azione dell’organismo umano. Per quanto possa
sembrare strano, esiste una forte azione reciproca fra l’inconscia attività dell’intelletto, che viene
mediata nell’organismo umano dalla milza (o meglio dalla sua funzione), e le funzioni coscienti
dell’organismo. Che cosa sono in sostanza le funzioni coscienti dell’organismo umano? Tutti i processi
fisici, nell’organismo accompagnati dai processi superiori coscienti, e in particolare dall’attività della
rappresentazione, esercitano in esso effetti tossici. Questo è un fatto al quale va prestata attenzione.
Proprio per effetto della sua attività di rappresentazione, l’organismo si intossica di continuo, e in fondo
esso compensa questi stati di intossicazione mediante l’attività volitiva inconscia. Nella milza si trova il
centro per le esplicazioni della volontà inconscia. Se compenetriamo di coscienza la milza,
influenzandola con i massaggi, noi ci opponiamo in certo modo alla forte azione intossicante che
proviene dalla nostra coscienza superiore.
Il massaggio della milza si può però effettuare anche interna? mente, non solo dall’esterno: può darsi
che qualcuno obietti che allora non si può chiamarlo un massaggio, ma è questione d’intendersi! Infatti
una specie di massaggio della milza si può realizzare anche nel modo seguente. Si metta il caso di una
persona nella quale si constati una forte attività organica interna dovuta a stati tossici. Questo abnorme
stato di coscienza della milza potrà venire influenzato favorevolmente consigliando a quel soggetto di
mangiare meno ai pasti principali, ma di mangiare più spesso: di alimentarsi cioè a intervalli
ravvicinati. Una tale maggiore suddivisione del numero dei pasti rappresenta una specie di « massaggio
» interno della milza, influenzandone in modo sostanziale l’attività. Naturalmente però si presenta
anche un inconveniente, come accade per tutto ciò che riguarda questi processi.
Nel nostro tempo frettoloso, con la maggior parte della gente inserita in attività esteriori impegnative,
proprio questa attività intensa influenza grandemente la funzione della milza. L’uomo infatti non fa
come certi animali che si mantengono sani sdraiandosi affinché la digestione non sia disturbata da
un’attività esterna; in questo modo essi proteggono l’attività della loro milza. L’uomo invece non la
protegge, quando si trova impegnato in un’attività esterna nervosa e frettolosa. Da ciò deriva che
gradualmente in tutta l’umanità civile l’attività della milza è diventata molto abnorme, per cui acquista
un’importanza particolare la possibilità di alleviarne le funzioni coi mezzi ai quali ho accennato.
Prestando attenzione ai delicati massaggi, esterni o interni, che si possono effettuare sulla milza, si
scoprono i rapporti fra gli organi umani che trasmettono l’inconscio e quelli che trasmettono le
esperienze coscienti. Queste osservazioni ci portano infatti a comprendere il significato del massaggio,
o almeno ce ne facilitano la comprensione. In effetti il massaggio ha una certa importanza e anzi in
determinate condizioni possiede anche un forte effetto terapeutico, sebbene esso agisca soprattutto sulla
regolazione dell’attività ritmica nell’uomo. Per ottenere dai massaggi il massimo effetto curativo è però
necessario conoscere bene l’organismo u- mano. Le considerazioni seguenti potranno facilitare la
comprensione di questi fatti. Si pensi all’enorme differenza che nell’organizzazione umana (non però in
quella degli animali) esiste fra le braccia e le gambe. Le braccia dell’uomo, che si muovono
liberamente, non essendo inserite nel sistema della gravità, hanno il loro corpo astrale congiunto assai
meno strettamente col corpo fisico, in confronto ai piedi dell’uomo. Nei piedi il corpo astrale umano è
molto strettamente congiunto col corpo fisico. Vien fatto di dire che nelle braccia il corpo astrale agisce
piuttosto attraverso la pelle dall’esterno verso l’interno; esso avvolge le braccia e le mani, esercita la
sua azione in certo senso come avvolgendole. Nelle gambe e nei piedi, invece, la volontà opera
fortissimamente mediante il corpo astrale in direzione centrifuga, irraggiando con energia dall’interno
verso l’esterno. Questa è la ragione della grande differenza fra le braccia e le gambe. Di conseguenza,
massaggiando le gambe e i piedi si compie un’attività del tutto diversa da quella che consiste nel
massaggiare le braccia e le mani. In quest’ultimo caso, il massaggio attira l’astrale dall’esterno
all’interno; per effetto di ciò, le braccia diventano apparati della volontà, molto più di quanto lo siano
di solito, e in tal modo si opera regolando il ricambio interno che si svolge fra l’intestino e i vasi
sanguigni. Dunque, massaggiando braccia e mani si agisce piuttosto sulla formazione del sangue.
Invece col massaggio di piedi e gambe si trasforma piuttosto il fisico in qualcosa di affine alla
rappresentazione, e si agisce regolarizzando il ricambio connesso con i processi di escrezione e di
secrezione. Proprio l’osservazione di questi effetti secondari del massaggio (in un caso, partendo dalle
braccia, si estendono alla regione interna, costruttiva del ricambio, nell’altro caso alla regione
escretoria) ci mostra quanto sia complicata la natura dell’organismo umano. Esaminando il problema
razionalmente, si scopre che ogni punto del nostro corpo è in qualche modo correlato con altri punti;
l’effetto dei massaggi si fonda proprio sulla corretta comprensione di tali correlazioni. I massaggi
praticati sull’addome avranno sempre effetti favorevoli, perfino sull’attività respiratoria, e questa
correlazione è particolarmente interessante. Procedendo dall’alto verso il basso, si constata che il
massaggio praticato subito al di sotto della regione cardiaca influenza più intensamente la respirazione;
se invece lo si pratica più in basso, si agisce più sugli organi della gola, del collo. Nei massaggi
praticati sul tronco, gli effetti sono dunque per così dire invertiti: quanto più si procede verso il basso,
tanto più vengono influenzati gli organi situati verso l’alto. Viceversa il massaggio delle braccia viene
potenziato dal contemporaneo massaggio praticato sulle parti più alte del tronco. Questi fatti rendono
evidenti le correlazioni delle diverse parti dell’organismo umano. Questa azione reciproca fra l’uomo
inferiore e quello superiore (e più in generale fra le diverse parti, anche distanti fra loro, dell’organismo
umano) si rende evidente anche in altri fenomeni, per esempio nell’emicrania.
In realtà l’emicrania ha il significato di una trasposizione nel capo di un’attività digestiva che dovrebbe
svolgersi in altre parti dell’organismo; perciò l’emicrania risente anche di tutto quello che impegna
troppo fortemente il restante organismo, come ad esempio il periodo mestruale. A proposito
dell’emicrania occorre menzionare che, per effetto di una tale attività digestiva dislocata per così dire
nella testa, i nervi del capo vengono gravati da un impegno che di solito non spetta loro. I nervi del
capo sono trasformati in nervi di senso proprio grazie al fatto che nella testa ha luogo solo un processo
digestivo (cioè di assimilazione) perfettamente regolato. Quando nel capo si svolge un’attività
disordinata, nel senso ora caratterizzato, i suoi nervi vengono privati del loro normale carattere di nervi
di senso. Perciò acquistano una sensibilità rivolta verso l’interno, verso processi per i quali l’organismo
interno non dovrebbe essere sensibile, e a tale sensibilità anormale sono dovuti i dolori e gli altri
disturbi propri dell’emicrania. Del resto; è ben comprensibile che si debba sentir poco bene chi, invece
di percepire il mondo esterno, si trovi all’improvviso costretto a percepire l’interno della propria testa.
Chi comprenda bene questa condizione non può die considerare un pacifico sonno come il miglior
rimedio contro l’emicrania; tutti i rimedi ai quali si ricorre di solito lo si è talora costretti a ricorrere,
sono infatti dannosi. Se si usano i comuni medicamenti allopatici, si provoca un ottundimento
dell’apparato nervoso divenuto sensibile, cioè una attenuazione della sua attività. Questo
intorpidimento di qualcosa che non dovrebbe essere intorpidito si può osservare con particolare
evidenza in certe circostanze: per esempio se un attore viene colto da emicrania, poco prima di dover
recitare, e preferisce in quel frangente nuocersi un poco, piuttosto che dover rinunciare alla recita. In
tali circostanze si mostra quanto sia delicato l’organismo umano, e come spesso si sia costretti dal
proprio inserimento nella vita sociale a peccate contro ciò che l’organismo esige. Ciò è perfettamente
naturale e va tenuto nel debito conto: qualche volta si è costretti ad accettate un danno imposto dalla
propria condizione sociale, e poi magari rassegnarsi a curarne le conseguenze che non mancheranno di
farsi sentire.
Quanto sia delicata la struttura del corpo umano risulta anche da un appropriato studio della terapia con
i colori e della terapia con la luce. Si tratta di forme di terapia che in avvenire dovranno essere prese in
considerazione con più attenzione di quanto non si sia fatto sinora. Si dovrà soprattutto approfondire la
differenza fra il vero e proprio effetto dei colori, che fa appello esclusivamente all’uomo superiore, e
l’azione della luce die opera in modo più obiettivo e fa appello all’uomo intero. Se si pone
semplicemente un soggetto in un locale, esponendolo per intero o in una sua parte all’azione di un
colore oggettivo o della luce, si provoca direttamente un effetto organico. In tal caso si tratta di
qualcosa che agisce sull’uomo dall’interno. Se invece l’esposizione viene fatta in modo da impegnare
la coscienza del soggetto, se si conta cioè sull’impressione soggettiva prodotta dal colore o dal fatto che
agisce la luce (per esempio ponendo la persona in un ambiente rivestito di certi colori, invece di
irradiarlo con la luce colorata), l’effetto è diverso, in quanto è condizionato da tutti gli organi collegati
appunto con la coscienza. Con una tale terapia soggettiva con colori si agisce senz’altro sull’io, mentre
con la terapia oggettiva con colori si agisce sul sistema fisico, e soltanto indirettamente, per tramite di
questo, sull’io. Non per questo si deve affermare che è inutile mettere dei soggetti ciechi in un locale
rivestito da un certo colore, perché essi non possono percepirlo e quindi non può aversi alcun effetto.
Non è così. In quelle condizioni si manifestano molto nettamente gli effetti di ciò che è sensibile e che
si trova per così dire sotto la superficie del sensibile. Anche per un cieco fa una differenza il trovarsi in
un ambiente colorato di rosso piuttosto che di blu: fa una differenza sostanziale. Se poniamo un cieco
in una camera con le pareti blu, noi operiamo su di lui in modo che l’intera sua organizzazione
funzionale si ritira dalla testa verso il rimanente organismo. Se invece lo poniamo in una camera con le
pareti rosse, la sua funzionalità si indirizza dal restante organismo verso la testa. Da ciò si può
veramente desumere che l’essenziale di questo tipo di terapia sta nel mettere in moto un ritmo ponendo
il soggetto alternativamente in ambienti colorati in modo oggettivo, l’uno con un colore, l’altro con
l’altro.
L’importante non è tanto esporre il soggetto al colore rosso o al blu, quanto spostarlo nella camera blu
dopo che era stato nella camera rossa, e viceversa. Questo è veramente importante. Se per una persona
io riconosco in linea generale la necessità di migliorare la funzionalità del restante organismo mediante
una forte stimolazione delle funzioni della sua testa, cercherò di spostarla da un ambiente blu in uno
rosso. Se invece mi propongo di migliorare le funzioni del capo mediante il rimanente organismo,
sposterò il soggetto da una stanza rossa in una blu. Sono osservazioni che in futuro non lontano ritengo
acquisteranno molta importanza. Come si vede, non si tratta di una terapia con la luce, bensì di un
trattamento mediante i colori.
Nella terapia dell’avvenire avrà senz’altro importanza il mettere in azione il giuoco reciproco fra la
sfera cosciente e quella incosciente. Tenendone conto, si imparerà anche a valutare correttamente la
singolare modalità di azione, poniamo, delle sostanze attive sull’uomo sotto forma di aggiunte ai bagni.
Fa una grande differenza se una qualunque sostanza applicata per via esterna agisce in modo da
provocare una sensazione di freddo, o se invece la si applica in modo da produrre un’impressione di
calore. L’impressione di freddo dovrebbe in fondo essere considerata nel senso che, se qualcosa
esercita un’azione rinfrescante, sia in un impacco, sia in un bagno, si tratta essenzialmente dell’effetto
della sostanza che opera terapeuticamente. Se invece viene esercitata un’azione accompagnata da
calore, per esempio mediante un impacco caldo, allora è quasi indifferente quale sostanza venga
aggiunta, quale sia la sostanza usata: in tal caso l’essenziale è l’effetto termico, e per un’applicazione di
calore è in fondo indifferente in che modo venga applicata. Nel caso di impacchi freddi sarà dunque
importante badare a come si possano opportunamente aggiungere all’acqua le diverse sostanze; perché
debbano dimostrarsi attive in acqua fredda, bisognerà che si tratti di sostanze solubili a bassa
temperatura. Al contrario, si otterranno scarsi effetti da tali sostanze solide usandole sotto forma di
impacchi o bagni caldi. Nel caso invece che si tratti di sostanze eteriche, fortemente aromatiche, esse
agiscono anche ad alte temperature. Quindi proprio in queste condizioni potranno esplicare tutta la loro
azione terapeutica le sostanze di tipo sulfureo, o fosforico, o lo zolfo stesso, usati in aggiunta all’acqua
del bagno.
Quel che importa è dunque osservare accuratamente i fenomeni che ho descritti, e a tal fine sarà molto
utile rendersi conto di una specie di fenomeno archetipico. È interessante notare che questo metodo di
mettersi di fronte una specie di fenomeno archetipico fu praticato estesamente nei tempi passati,
quando l’arte medica veniva esercitata soprattutto nei misteri. I problemi non venivano allora affrontati
in modo teorico, ma venivano espressi in certo qual modo mediante fenomeni esemplari, quasi come
dei modelli. Si diceva ad esempio: « Se tu introduci nel tuo organismo del miele o del vino, rafforzi
dall’interno le forze che agiscono su te dal cosmo ». Si potrebbe dire anche (e sarebbe la stessa cosa):
rafforzi le vere forze dell’io. Questa formulazione rende molto evidente la situazione. Oppure si diceva:
« Se invece frizioni il tuo corpo con una sostanza oleosa, indebolisci in te l’effetto dannoso delle vere
forze terrestri »: vale a dire delle forze che nell’organismo si contrappongono all’azione dell’io. Gli
antichi dicevano poi così: « Con un giusto equilibrio fra il dolce rafforzamento apportato per via interna
e l’indebolimento oleoso apportato per via esterna, si diventa vecchi ». Ovvero: « Togli al tuo
organismo il dannoso effetto terrestre, ungendoti con olio, e se sei in grado di sopportarlo, se non sei
troppo debole nella tua organizzazione, rafforza col miele o col vino le forze del tuo io: in questo modo
accrescerai le forze che ti porteranno fino alla vecchiaia ». Con formulazioni come queste si volevano
esprimere le cose in modo esemplare: ci si proponeva di indicare la via con fatti, non con dottrine.
Anche noi dovremo ritrovare la via a questo metodo. Ci si orienta infatti molto meglio fra le
diversissime sostanze del mondo esterno richiamandosi in tal modo a fenomeni in certo senso
esemplari, che non ad astratte cosiddette leggi di natura che in fondo si dimostrano vane, quando si
tratta di affrontare qualcosa di concreto.
Molti di questi fenomeni archetipici, esemplari, si possono enunciare con la massima facilità, e vorrei
darne alcuni esempi semplicissimi. Eccone uno: « Metti i piedi nell’acqua e susciterai nell’addome
forze stimolanti la formazione del sangue ». Questo è un fenomeno archetipico estremamente
indicativo. « Lavandoti la testa susciti nell’addome forze che regolano l’evacuazione». Fenomeni
archetipici di questo genere facilitano la comprensione, perché racchiudono in sé le leggi
dell’organismo, contengono la realtà. Enunciando cose come queste si dà espressione all’essere umano.
Infatti cose come queste non hanno senso, se non si pensa all’uomo; l’importante è appunto il fatto di
tener d’occhio l’uomo.
Le correlazioni che ho espresse ora si riferiscono prevalentemente a reciproci effetti spaziali
nell’organismo umano. Esistono però anche correlazioni temporali. Molto evidenti sono quelle che si
esplicano quando un bambino o un giovinetto vengono educati in modo talmente difettoso, che per tutta
la vita non riusciranno più a sviluppare ciò che dovrebbe venire sviluppato proprio nella giovinezza e
nell’infanzia, per essere poi utilizzato solo nell’età più avanzata. Vorrei esprimermi più chiaramente.
L’essere umano sviluppa già nella sua giovinezza certe forze che concorrono poi a configurare il suo
organismo; non tutto quello però che nell’organismo viene configurato durante la giovinezza trova già
nella giovinezza stessa la sua giusta utilizzazione. Durante la giovinezza noi configuriamo l’organismo
in modo da conservarne certe forze perché si esplichino soltanto nella vecchiaia. Vorrei dire che già nel
bambino si formano certi organi che non devono essere usati nell’infanzia, ma che non potrebbero più
essere edificati nell’età adulta, che rimangono di riserva, per essere usati più tardi, Tali organi di riserva
possono però venire impegnati prematuramente, per effetto di certi errori di ordine pedagogico; per
esempio quando non si tiene conto che durante il primo settennio di vita, fino all’inizio della seconda
dentizione, l’educazione del bambino deve essere fondata sull’imitazione, mentre nel secondo settennio
deve prevalere il ruolo dell’autorità. La mentalità materialistica odierna può naturalmente obiettare che
è impossibile che l’applicazione più o meno corretta dell’imitazione o dell’autorità abbia una tale
importanza; eppure è proprio così, perché gli effetti dei criteri educativi si fanno sentire fin
nell’organismo. Va solo tenuto conto della necessità che il bambino partecipi all’imitazione con tutta
l’anima sua. Può ad esempio essere di grande importanza il caso seguente. Si può suscitare in un
bambino una certa simpatia per un dato alimento, stimolando in lui l’imitazione della simpatia che
l’educatore stesso mostra per quell’alimento. In questo modo noi congiungiamo il principio
dell’imitazione con l’abitudine al desiderio di quell’alimento, siamo cioè in presenza di un espandersi
dell’istinto di imitazione entro l’organismo. Lo stesso può verificarsi nell’ambito della esplicazione del
principio di autorità. In breve, quando vengono impegnati già durante la fanciullezza organi (si tratta
certo di organizzazioni tenuissime) che veramente dovrebbero rimanere in riserva per l’età adulta, ne
deriva la terribile schizofrenia; questa è la vera origine della schizofrenia. Un’educazione corretta
rappresenta già una buona terapia. La schizofrenia finirà per scomparire, quando un giorno l’intera
educazione sarà stata messa al servizio della conoscenza fondata sulla scienza dello spirito, come l’ho
esposta nel mio libriccino L’educazione del bambino dal punto di vista della scienza dello spirito.
Nella nostra scuola Waldorf noi aspiriamo a realizzare questo ideale, per adesso solo a partire dal sesto,
settimo anno di età: non è ancora possibile estendere l’educazione ai bambini più piccoli.
Un’educazione fondata su questi princìpi impedirà appunto che l’uomo impegni troppo precocemente
gli organi che dovranno servirgli nell’età adulta. Queste considerazioni riguardano dunque una corretta
educazione.
Nella vita s’incontra però anche la condizione opposta: consiste nella mancata esplicazione di certe
azioni organiche che dovrebbero in fondo esplicarsi solamente durante la giovinezza. In effetti, per
tutta la durata della vita vengono impegnati anche gli organi che servono soprattutto per la fanciullezza
e la giovinezza, ma tale impegno deve avvenire con moderazione, altrimenti riesce nocivo. Tocchiamo
qui un ambito nel quale, per le cause più diverse, può introdursi nel pensiero umano una concezione
come quella della psicoanalisi, creandovi confusione. È proprio vero che non sono gli errori più grandi
a creare i danni maggiori, perché tali errori vengono confutati ben presto; i massimi danni si debbono a
concezioni che racchiudono un granello di verità, ma che vengono portate alle estreme conseguenze e
di cui poi si abusa.
In che cosa consistono i fattori che hanno favorito il sorgere della concezione che segue le vie segnate
dalla psicoanalisi? Per colpa del modo di vita in gran parte innaturale che si pratica oggi, l’uomo non si
adatta al mondo esterno nella misura in cui sarebbe necessario, e quindi molte cose che fanno certe
impressioni durante l’infanzia non vengono adeguatamente elaborate. Rimangono incorporate nella vita
dell’anima certe cose che non si incorporano nel modo giusto anche entro l’organismo. Tutto quanto
agisce nella vita psichica, per quanto lieve ne sia l’azione, estende infatti (o almeno dovrebbe
estendere) i suoi effetti sull’organismo. Nei nostri bambini però sono molte le impressioni talmente
anormali, da costringerle a rimaner limitate alla sfera psichica; non sono tali da potersi subito
trasformare in impressioni organiche; continuano ad agire come impressioni psichiche e rimangono
meri impulsi psichici, invece di partecipare allo sviluppo globale dell’uomo. Se quelle impressioni
avessero preso parte alla intera evoluzione organica e non fossero rimaste impulsi psichici isolati, esse
non impegnerebbero nella vita umana adulta gli organi destinati in fondo solo all’età avanzata e non ad
elaborare impressioni giovanili. In tali condizioni nell’uomo intero si sviluppa un’incongruenza: egli si
trova costretto a far agire delle « inclusioni » psichiche su organi che non vi sono più adatti. Allora si
verificano i fenomeni che si possono constatare mediante un metodo psicoanalitico correttamente
applicato. Catechizzando il soggetto si possono scoprire certi fatti della sua vita psichica che non sono
stati adeguatamente elaborati, e quindi operano dannosamente negli organi divenuti ormai troppo
vecchi per tale elaborazione. Ciò che importa rilevare è però che su questa via non si può mai giungere
a una terapia, ma soltanto a una diagnosi. Se ci si limita a usare la psicoanalisi come un mezzo
diagnostico, e si procede con tatto, il procedimento è in fondo qualcosa di giustificato. Non dovrebbe
però verificarsi quello che io potrei documentare con molte delle letterine che mi sono state
consegnate: cioè che gli psicoanalisti si servono proprio del personale infermieristico come di spie, per
cercare di tirar fuori in tutti i modi informazioni che poi si vogliono estorcere dal paziente con la
catechizzazione. Questo si verifica talmente spesso da doversi proprio parlare di terribili abusi. In
questa materia tutto dipende in realtà dall’atteggiamento morale delle persone implicate; se però si
prescinde da tali gravi inconvenienti, si può dire che per quanto concerne la diagnosi nella psicoanalisi
c’è del vero. Ma quanto alla terapia, non è mai possibile realizzarla col metodo proposto dagli
psicoanalisti. Questo dipende a sua volta da un fenomeno caratteristico del nostro tempo.
Un aspetto tragico del materialismo è il fatto che esso allontana da una vera conoscenza della materia,
la impedisce. Il materialismo infatti non è tanto dannoso alla conoscenza dello spirituale, quanto alla
conoscenza dello spirituale che è presente nel mondo materiale. Esso annulla la conoscenza del fatto
che con la sfera materiale sono sempre connesse azioni spirituali, impedisce quindi la ricerca dei fattori
spirituali proprio nell’ambito materiale; in questo modo viene impedita la necessaria conoscenza di
molti fatti della vita umana. A un materialista riesce impossibile attribuire alla materia tutte le qualità
che siamo venuti descrivendo nelle nostre considerazioni; egli considera fandonie tutti questi discorsi
che pretendono di attribuire alle sostanze materiali questa o quella qualità. Ciò significa però una
preclusione alla conoscenza della sfera materiale. Non si parla più di fenomeni « fosforici » o di
fenomeni « salini », ecc., perché tutto questo viene considerato come un mucchio di sciocchezze. Così
ci si allontana dalla conoscenza dello spirituale proprio nell’ambito materiale, si rinuncia alla
possibilità di studiare in modo corretto gli effetti delle forze formative. Soprattutto si rinuncia a
riconoscere che ogni organo umano ha in fondo una duplice funzione: l’una orientata verso la
coscienza, e l’altra in direzione opposta, verso il processo puramente organico.
Questa concezione è andata perduta soprattutto per quanto riguarda un ambito del quale intendo ancora
parlare: quello del significato da attribuirsi ai denti.
Dal punto di vista materialistico i denti vengono considerati più o meno soltanto come strumenti per la
masticazione. Essi però non sono soltanto questo. Che i denti abbiano una duplice natura risulta dal
fatto che mentre chimicamente essi risultano affini al sistema osseo, dal punto di vista embriogenetico
provengono invece dal sistema cutaneo. Proprio i denti posseggono una natura duplice, ma la loro
seconda natura è quanto mai nascosta. Confrontando la dentatura di un animale con quella dell’uomo,
si può constatare un fatto che ho menzionato nella prima conferenza di questo ciclo: proprio nella
dentatura degli animali si esprime fortemente quella tendenza verso il basso, quella soggezione alla
gravità, che avevo messo in evidenza nell’intero scheletro delle scimmie. Nella dentatura umana stessa
si manifesta in certo senso l’effetto della tendenza verso l’alto, della linea verticale rivolta in su. Ciò è
connesso col fatto che in realtà i denti non sono solamente organi della masticazione, bensì anche
importanti strumenti di suzione, di aspirazione; da un lato essi operano in modo meccanico verso
l’esterno, dall’altro però i denti esplicano una finissima azione risucchiarne, un’azione risucchiarne
spiritualizzata. Dobbiamo allora chiederci che cosa suggano Ì denti verso l’interno dell’organismo. Di
fatto, essi aspirano, succhiano (finché è loro possibile) il fluoro: i denti sono apparecchi per risucchiare
fluoro nell’organismo. L’uomo ha infatti bisogno di piccole quantità di fluoro nel suo organismo, e se
non ne ha… Beh, ora devo dire una cosa che forse vi scandalizzerà: se non ne ha, diventa troppo
intelligente, acquista un’intelligenza che quasi lo annienta! Per effetto dell’azione del fluoro,
l’intelligenza umana viene infatti limitata al livello di stupidità di cui noi uomini abbiamo per così dire
bisogno per essere giusto uomini. Di piccole quantità di fluoro si ha necessità come di un continuo
rimedio contro l’eccesso di intelligenza. Un precoce deterioramento della dentatura compromette
l’azione del fluoro e sta ad indicare un eccessivo impegno dell’attività fluoro-suggente dei denti.
Questa condizione è un indizio del fatto che per qualche ragione quel dato individuo cerca, per dosi
dire, di lottare contro la stupidità: si tratta di cose delle quali tornerò a parlare, anche se il tempo a
disposizione è ormai poco. Dunque l’uomo distrugge in certo qual modo i suoi denti, affinché l’azione
del fluoro non lo renda troppo sciocco. Si tenga presente questa sottilissima correlazione: ci si guastano
i denti perché non si diventi troppo stupidi! Se ne può ricavare la stretta connessione fra quel che da un
lato giova all’uomo, e quello che invece può nuocergli. In certe condizioni noi abbiamo bisogno
dell’azione del fluoro perché non divenga eccessiva l’intelligenza. D’altra parte possiamo nuocere a noi
stessi intensificando troppo l’azione del fluoro, e in questo caso la nostra attività organica rovina i
nostri denti.
Vi prego di riflettere a fondo su queste correlazioni, perché esse sono a loro volta in rapporto con altri
aspetti importantissimi dell’organismo umano.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 16 – IL MASSAGGIO, REGOLATORE DI ATTIVITÀ RITMICHE
Formazione e perdita di istinti
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 04.04.1920
Sommario: Gli uccelli e le forze planetarie. Formazione e perdita di istinti. Il diabete mellito:
debolezza dell’io. Il processo formativo vegetale Va incontro a un processo formativo animale. Il
processo formativo animale nell’uomo. Processo di desalificazione. Farmaci di origine vegetale. La
betulla bianca. La bolsa del pastore. La coclearia officinale. Lo scorbuto. La funzione della milza.
Oggi desidero prendere le mosse da un’osservazione che mi è stata fatta ieri, durante la conferenza,
da parte di una persona assai competente in materia, e cioè che queste mie conferenze sono tra le più
difficili da comprendere, fra tutte le conferenze di argomento antroposofico. Entro certi limiti devo
ammettere che questo è vero, ma si dovrà pure ammettere che non può essere diversa- mente. Proprio
dal fatto che quella osservazione è da considerarsi giusta si può però ricavare qualcosa di molto
istruttivo. Si prenda un caso in cui ciò che io dico riesce facilmente comprensibile: anzi, prendiamo due
casi di questo genere, uno addirittura evidente, l’altro invece meno ovvio per l’umanità attuale. Il caso
ovvio è l’affermazione che gli uomini del nostro tempo trovano una più che giustificata difficoltà a
comprendere cose come quelle che debbono essere esposte nel nostro contesto. Il merlo non troverebbe
nessuna difficoltà a capirle, e anzi ci dimostra praticamente di capirle benissimo! Il merlo infatti non è
un animale propriamente ascetico, e ogni tanto si mangia un ragno crociato; poi però si sente male, e
quando il suo malessere diventa forte, se nelle vicinanze c’è una pianta di giusquiamo, il merlo le si
accosta per cercarvi il rimedio che fa per lui. È proprio un farmaco, perché se non trova il giusquiamo,
il merlo muore in preda alle più tremende convulsioni. Ne viene preservato dal proprio istinto curativo
che lo spinge a ricercare il giusquiamo e a trarne col becco il rimedio di cui ha bisogno. Questo è il
fatto che risulta molto ovvio.
Ad esso è però affine un altro fatto che agli uomini d’oggi risulta appunto meno ovvio. In tempi molto
antichi gli uomini svilupparono istinti curativi simili; nei loro istinti viveva già qualcosa che più tardi ci
si presenta, più o meno concentrato, nella medicina ippocratica. Con riferimento alla giustificatissima
osservazione fatta qui ieri, può essere interessante studiare un poco la saggezza dei merli o di altri
uccelli, capaci di un comportamento simile a quello descritto. Che cosa avviene infatti realmente,
quando il merlo mangia il ragno velenoso? L’intera organizzazione del ragno crociato è strettamente
inserita in certe connessioni cosmiche, extraterrestri; da tali processi extraterrestri deriva appunto la
conformazione dei suoi arti e perfino il disegno che porta sul dorso: possiamo dire che il ragno crociato
ha in sé molta vita planetaria, extraterrestre. L’uccello è invece rimasto indietro, rispetto a quel tipo di
partecipazione alla vita dei pianeti, avendola per così dire piuttosto trasferita all’interno del suo
organismo. Quando mangia il ragno, le forze planetarie si rendono evidenti in esso: le forze planetarie,
ancora dotate della tendenza a configurarsi, vogliono compenetrare l’uccello e contro tale intervento
esso ha da combattere. Dal momento in cui il merlo ha mangiato il ragno velenoso, la sua volontà
interna diviene un riflesso della vita extra- terrestre. Ed ecco che il merlo ricerca la pianta
corrispondente, divenuta affine all’elemento terrestre, cioè all’opposto delle forze planetarie, proprio
per il fatto di essere spuntata dal terreno e di avere perfino trattenuto in sé, sotto forma di veleno,
qualcosa che essa non è capace di elaborare pienamente sotto l’influsso dei pianeti. A questa pianta
l’animale si accosta e vi cerca aiuto. Ciò è a sua volta da ricondursi al fatto che, appena il veleno del
ragno opera nel merlo, in quest’ultimo si desta l’istinto contrario, l’istinto di difesa. Dall’istinto
aggressivo si passa direttamente all’istinto difensivo; il fenomeno ci mostra nel modo più evidente
l’esplicazione di qualcosa di simile a quello che noi facciamo con un semplice movimento riflesso,
quando una mosca ci si posa sull’occhio e noi chiudiamo l’occhio o la scacciamo con la mano.
È straordinariamente importante osservare questi processi nel regno animale, e anche in quello
vegetale; tra l’altro, la loro osservazione dovrebbe contribuire a distruggere l’opinione che l’intelletto e
la ragione si trovino solo racchiusi nel nostro cranio! È come se l’intelletto e la ragione volassero
intorno a noi, perché l’istinto aggressivo e l’istinto difensivo che riscontriamo in certi uccelli
rappresentano un comportamento perfettamente ragionevole. Ecco dunque che vediamo in azione fuori
di noi un intelletto, una ragione esterni, e noi uomini non facciamo che partecipare all’azione
dell’intelletto esterno, della ragione esterna. Ne siamo partecipi, ma non li portiamo in noi. È
veramente una sciocchezza il dire che li portiamo in noi: noi ne siamo partecipi. L’uccello non vi
partecipa ancora nel senso di attribuire a un suo particolare organo l’istinto aggressivo o quello di
difesa; esso comprende quanto sta in lui piuttosto mediante il sistema polmonare, mentre noi uomini lo
comprendiamo già più mediante il sistema del capo; l’uccello esprime poi l’istinto di difesa col
giusquiamo mediante il suo sistema polmonare, perché esso pensa nel fondo del suo essere, e non alla
periferia. Noi invece abbiamo strappato il nostro pensare dal polmone e dal sistema ritmico. Forse
potremo parlare più precisamente anche di questo: con che cosa noi uomini pensiamo? Ad ogni modo,
noi non pensiamo più in una sede tanto « centrale », cioè non pensiamo più tanto coi polmoni e col
cuore, congiunti al cosmo, come invece pensano gli uccelli. Anche queste sono conoscenze che occorre
acquistare. Ci si può chiedere chi o che cosa abbia espulso da tutti noi gli ultimi residui degli istinti
mediante i quali siamo collegati con la natura. Bisogna rispondere che è stata l’istruzione scolastica, e
in particolare quella universitaria che in tutti i suoi aspetti arriva a impedire all’uomo l’esperienza della
totalità della natura. Le concezioni unilaterali oggi dominanti portano da un lato a una raffinata
intellettualità, dall’altro a una raffinata sessualità; nell’umanità moderna viene dissociato e spinto verso
questi due poli ciò che nell’umanità antica si svolgeva ancora al centro dell’essere umano.
Ma la possibilità di risanare la nostra attività scientifica dipenderà dal ritrovamento di una giusta
comprensione del mondo. Si dovrà appunto studiare mediante un’attività scientifica sana, ciò che oggi
purtroppo viene studiato con un’attività scientifica per così dire malata.
Riallacciandoci a quanto si è detto ieri, vogliamo oggi studiare ancora un poco l’essere umano in modo
che dall’osservazione risulti già un’indicazione per certi processi di guarigione, o terapeutici. Tale
orientamento del modo di osservare era molto sviluppato presso l’umanità delle origini: appena l’uomo
dell’antichità remota vedeva qualcosa di abnorme in una persona, gli si svelava anche il corrispondente
processo terapeutico. Queste doti andarono perdute per l’umanità moderna, per cui l’uomo d’oggi non
scopre facilmente con l’intuizione quello che l’uomo antico scopriva per istinto. D’altra parte, questa è
l’evoluzione: dall’istinto, attraverso l’intellettualismo, all’intuizione. Proprio la fisiologia e la medicina
sono fra le attività umane quelle che più soffrono a causa di uno sviluppo esclusivamente
intellettualistico; meno di altre attività umane esse possono svilupparsi nell’atmosfera
dell’intellettualismo. Prendiamo infatti un caso concreto, per esempio quello del malato di diabete. Che
cosa rappresenta in realtà il diabetico, nella sua evoluzione abnorme? Si potrà acquistare un’adeguata
conoscenza del diabete soltanto sapendo che tale malattia è dovuta a un io debole, a una debolezza
dell’organizzazione dell’io, incapace di dominare l’intero processo collegato con la formazione dello
zucchero. Occorre soltanto interpretare nel modo giusto i fatti. Sarebbe del tutto sbagliato credere che,
siccome si ha eliminazione di zucchero, sia presente un io troppo forte; no, si tratta di un io troppo
debole che non prende parte al processo organico in misura sufficiente ad effettuare in modo adeguato
la compenetrazione dell’organismo da parte dello zucchero. Questa è sostanzialmente la situazione, e
con essa è connesso tutto quello che può favorire il manifestarsi del diabete. Come è noto, si può
verificare un accenno di diabete quando ima persona eccede nell’ingestione di dolciumi e al tempo
stesso beve degli alcoolici; si ha un primo accenno che poi naturalmente scompare; ci mostra però
Come quel processo venga messo in moto, in quanto viene indebolito l’io che non riesce a dominare i
necessari processi metabolici. A questo punto occorre gettare uno sguardo alle diverse connessioni di
tali fatti, e qui debbo menzionare un concetto cui finora ho dato scarsa espressione, un concetto che
ricorre però assai spesso nelle domande che mi sono state sottoposte, e sul quale ritorneremo in modo
più preciso. Vedrete che terrò conto di tutte le domande rivoltemi, ma occorre prima preparare le
condizioni per poter dare risposte comprensibili. Giungo dunque al concetto della cosiddetta
predisposizione ereditaria che ha tanta parte nell’insorgenza del diabete.
A questo proposito va detto che proprio questa predisposizione ereditaria viene ad agire su un io
debole. In tutti i casi possiamo constatare una connessione fra un io debole (si potrebbe però anche
dire: un io che non opera con tutti i suoi complessi di forze) e la predisposizione ereditaria. Se infatti in
tutti vi fosse la disposizione al manifestarsi della tara ereditaria, ammaleremmo tutti. Che ciò non
avvenga è dovuto essenzialmente al fatto che ammalano di meno le persone dotate di un io ben
funzionante. Inoltre non va trascurata la circostanza che nel diabete intervengono talora molto
fortemente anche cause psichiche, per esempio certi fattori emozionali, in persone troppo eccitabili.
Perché? L’io è in fondo debole, e siccome è debole si limita ad agire piuttosto alla periferia
dell’organismo, a sviluppare col cervello un forte intellettualismo. In questi soggetti l’io non è però
capace di penetrare più a fondo nell’organismo, soprattutto nelle parti nelle quali ha luogo la vera e
propria elaborazione della proteina, la trasformazione dell’albumina vegetale in albumina animale.
L’attività dell’io non si estende in queste regioni; tanto più attivo comincia invece ad essere in queste il
corpo astrale. L’attività del corpo astrale infatti è massima là dove nell’uomo si svolge il processo
organico intermedio, per così dire fra la digestione, la formazione del sangue e la respirazione. Questo
processo organico di mezzo viene abbandonato a se stesso, per effetto della debolezza dell’io: si
sviluppano una quantità di processi autonomi, non connessi con l’uomo intero, bensì con l’uomo
centrale. Si può affermare che la disposizione al diabete si realizza quando l’io si esclude dai processi
interni. Ora tali processi interni, e soprattutto quelli secretori, sono a loro volta strettamente collegati
con la formazione dei sentimenti. Mentre l’io ricerca la sua principale occupazione mediante il
cervello, restano prive delle forze dell’io tutte le attività secretorie che hanno un carattere
prevalentemente oscillatorio, periodico. A ciò si deve il fatto che l’uomo perda il dominio su certi
influssi psichici che si manifestano come fenomeni affettivi. Qual è la ragione per cui noi possiamo
rimanere tranquilli anche se intorno a noi avviene qualcosa di emozionante? Rimaniamo tranquilli
perché siamo capaci di inviare il nostro intelletto fin nelle viscere, perché siamo realmente in grado di
non rimanere attaccati solo al cervello, ma impegniamo tutta la nostra persona. Quando pensiamo,
questo non ci è possibile: se siamo attivi in modo unilateralmente intellettuale, gli organi interni si
muovono per conto loro. In tali condizioni l’uomo è particolarmente accessibile ai moti affettivi; di
conseguenza le emozioni provocano certi loro processi organici, mentre avrebbero dovuto produrre
effetti diversi. Le emozioni non dovrebbero produrre processi organici già allo stato di movimenti
affettivi, ma dovrebbero prima essere compenetrate dall’intelletto e agire all’interno dell’uomo solo
dopo essere state da lui moderate.
È necessario rendersi conto che si tratta in sostanza di una debolezza dell’io. L’io è la parte dell’uomo
affine a quanto di più spiccatamente extraterrestre agisca su di lui, cioè a quanto è più periferico
rispetto alla Terra. Tutto ciò che agisce entro il nostro io si accosta a noi provenendo da molto lontano
dalla Terra. Dobbiamo quindi cercare di conoscere i processi affini a quelli che hanno a che fare col
nostro io, quelli che con l’io hanno qualche affinità, pur essendo extraumani; riusciremo così a
trasporre l’io in una sfera grazie alla quale esso possa, per così dire, apprendere a partecipare nel modo
giusto a ciò che è extra-terrestre.
Ora, l’io viene indotto dalla sfera extraterrestre a elaborare la propria organizzazione interna, o
centrale; questo medesimo processo si ritrova, nella sfera del terrestre, in tutti i punti in cui
l’extraterrestre stesso induce la Terra (sia quella minerale, sia quella ricoperta di piante) a produrre
degli oli eterei, o degli oli in genere. Questa è la direzione in cui dobbiamo procedere. Proprio come
l’io umano opera nell’occhio, mettendosi veramente in diretto rapporto col mondo esterno in quella
specie di propaggine del mondo esterno che è l’occhio, così dobbiamo mettere in relazione l’io col
processo formativo degli oli. Vi riusciremo nel modo migliore, cercando di elaborare dell’olio
finemente disperso nell’acqua di un bagno per curare dei pazienti con questo tipo di balneoterapia.
Sarebbe molto desiderabile che si ricercasse anzitutto quale grado di dispersione sia quello ottimale,
quante volte si debbano ripetere questi procedimenti, e così via. Comunque, è questa la via da seguire
per giungere a un trattamento del flagello del diabete. Come vedete, la comprensione del processo
esterno e della sua stretta connessione col processo umano interno crea le premesse per una fisiologia
umana-extraumana che al tempo stesso è una terapia. Questa è la via che promette dei buoni risultati.
Partendo da qui, vorrei indicare di nuovo il modo in cui l’uomo è propriamente affine all’ambiente, ora
che abbiamo acquistato concetti più concreti. Proviamo a osservare ancora una volta la flora terrestre,
tutto il manto vegetale della Terra: dal suolo esso tende verso l’alto, disperdendo le forze nel fiore,
raccogliendole poi di nuovo nel frutto. Di tale processo vediamo migliaia di singolari variazioni:
talvolta viene trattenuto nella formazione delle foglie ciò che di solito si trasfonde interamente nel
seme, e in tal caso le foglie diventano spesse, di tipo erbaceo; oppure s’ingrossano gli involucri dei
semi e certe forze vengono trattenute ancora all’ultimo momento. Insomma, troviamo tutte le variazioni
possibili.
Il processo formativo Vegetale non si esaurisce però in quel che si può considerare come effetto
dell’azione fisica, diciamo della Terra, o magari anche della contrapposta azione della luce. Quanto è
vero che la pianta porta in sé il corpo fisico e quello eterico, altrettanto vero è che nelle sue parti alte, là
dove l’extraterrestre viene in certo modo a contatto col terrestre, un elemento astrale cosmico si trova
in rapporto con l’esistenza vegetale espansa nei suoi corpi fisico ed eterico. Si potrebbe dire che nella
sua crescita la pianta va incontro a un processo formativo di tipo animale, senza però raggiungerlo. Al
suo interno, vorrei dire, la Terra è imbevuta del processo di formazione vegetale, mentre là dove si
trova anche l’atmosfera (nella cui direzione si sviluppano le piante) essa è imbevuta da un processo di
formazione animale che però semplicemente non giunge a compimento, un processo verso il quale la
pianta tende crescendo, senza peraltro raggiungerlo. Questo processo che noi vediamo fluttuare per così
dire sopra il fiorente mondo delle piante, e che nei confronti dell’intera Terra ha il carattere di un
cerchio, questo processo si ritrova dappertutto centralizzato negli animali stessi: qui esso è trasposto
all’interno. Gli animali si attribuiscono in certo qual modo ciò che si svolge al di sopra delle piante,
trasferendolo nel loro interno; ai loro organi (dèi quali essi si avvantaggiano in confrontò delle piante)
essi ricorrono per svolgere, centralizzata in un punto, un’attività che altrimenti si esercita sulla pianta
dalla periferia e dall’esterno.
Lo stesso processo di formazione animale è presente anche nell’uomo, ma qui opera più verso il centro
dell’intera organizzazione fisica; si svolge in tutto dò che avviene fra la digestione, la formazione del
sangue é la respirazione. In questo ambito l’uomo assomiglia maggiormente all’odierno processo di
formazione animale, per quanto riguarda il proprio processo formativo umano. È per questa ragione che
l’uomo fisico interno ha la massima affinità con le tendenze vitali del mondo vegetale, e perciò
possiamo sempre confidare di poter giovare all’uomo interno, ricorrendo alle forze e alle tendenze
vitali operanti nelle piante. Senonché l’uomo ha sull’animale un vantaggio: quello di non partecipare
solo al processo reciproco che si svolge fra l’elemento vegetale e l’elemento astrale, come l’animale;
l’uomo è implicato anche nel processo reciproco fra la sfera minerale e quella che si trova ancora più
alla periferia di quanto stia la sfera astrale. Possiamo dunque affermare che per l’uomo nella fase
attuale dell’evoluzione terrestre è caratteristico proprio il fatto di partecipare al processo di formazione
minerale. Proprio come nell’animale ha luogo una trasformazione delle sostanze proteiche, così
nell’uomo avviene di continuo un processo del tutto trascurato dalla scienza: un processo dotato di una
tendenza più periferica che non la trasformazione animale delle proteine, e che si svolge, se così
possiamo esprimerci, fra il cielo e il regno minerale. Volendo denominarlo in base al suo aspetto più
caratteristico, si potrebbe parlare di processo di desalificazione.
Nel nostro organismo è infatti sempre presente un ininterrotto processo di desalificazione, cioè la
tendenza a trasformare la formazione dei sali nel suo contrario: su questo si fonda in realtà la natura
umana, e anzitutto il nostro pensare umano che travalica la sfera animale.
In quanto uomo « periferico » (cioè non in quanto uomo « centrale » che è simile alla formazione
animale) noi ci opponiamo strenuamente alla salificazione; noi le opponiamo qualcosa, come l’animale
si contrappone alle comuni forze formative terrestri della proteina vegetale. In quella contrapposizione
stanno le forze che, per giovare all’uomo, vanno ricercate di preferenza nel regno minerale stesso, al
fine di poter curare certe malattie resistenti al trattamento esclusivamente fitoterapico. Vorrei dire che si
considera l’uomo troppo sotto l’aspetto animale, volendolo curare solo con rimedi vegetali. Si onora
l’uomo, presumendo che anch’egli partecipi a questa strenua lotta combattuta nell’ambiente
circondante la Terra e rivolta contro la mineralizzazione della Terra stessa; lo si onora offrendogli la
possibilità di partecipare a quella più strenua lotta, facendovi in certo senso intervenire l’io.
In fondo, ogni volta che curiamo qualcuno con la silice noi facciamo appello alla sua forza di spezzare,
di superare quel duro minerale; in tal modo mettiamo l’io in condizione di partecipare intensamente a
un processo che non avviene più affatto sulla Terra, bensì fuori della sfera terrestre, là dove vigono
forze tendenti a frantumare nello spazio cosmico tutto ciò che è terrestre- mente solido. Lo spazio
cosmico ha la peculiarità di frantumare minutamente tutto ciò che si agglomera e si consolida
nell’esistenza planetaria. Nella vita ordinaria noi questo lo facciamo di rado, raramente vi partecipiamo.
A un’attività di tal genere, che di solito è compiuta solo dallo spazio cosmico, partecipano più di tutti le
persone dotate di una natura matematica, quelle che si abituano a vivere molto in figure, in formule
matematiche. Questo tipo di pensiero si fonda infatti sulla frantumazione di ciò che è minerale; chi
invece ha una certa avversione per le matematiche, si limita piuttosto al solo processo di
desalificazione, e non può diventare interiormente un « frantumatore ». Questa è la differenza tra le
nature matematiche e quelle non matematiche. Ora, questa opposizione al processo di mineralizzazione
della Terra sta alla base di moltissimi procedimenti terapeutici.
Anche queste nozioni facevano semplicemente parte degli istinti di aggressione e di difesa dell’umanità
antica. Quando l’uomo antico avvertiva in sé una certa debolezza nel pensiero, egli ricorreva a qualcosa
di minerale; grazie alla frantumazione interiore di quel minerale, egli riacquistava la capacità di
mettersi in armonia con forze extraterrestri situate molto lontano.
Ora, è possibile osservare la natura extraumana in modo tale, da poter per così dire toccare con mano
quanto siano giustificati questi punti di vista; l’osservazione consente realmente di verificarli bene. Per
cercar di seguire un tale processo di verifica, proviamo a osservare una pianta che sotto questo riguardo
presenta un grande interesse: la betulla (Betula alba). In fondo, la betulla si oppone già per conto suo in
duplice modo all’ordinario processo formativo vegetale: non vi partecipa. Il processo formativo
vegetale ordinario si realizzerebbe, se si potesse mescolare quel che si svolge nella corteccia della
betulla con quel che invece accade nelle sue foglie, e specialmente nelle foglioline giovani primaverili,
che presentano ancora una sfumatura di colore bruniccio. Se si mescolassero tra loro questi due
processi distanti l’uno dall’altro, sì che il principio attivo nella corteccia della betulla cooperasse nella
stessa sede con ciò che agisce invece nelle sue foglie, ne scaturirebbe una meravigliosa pianta erbacea
fiorifera. La betulla ha origine dal fatto che i processi che si svolgono nella formazione delle proteine
legata alla vita, nel suo caso vengono trasferiti nelle foglie in misura maggiore di quanto accade di
solito; nelle sue foglie si concentra in certo modo il processo formativo proteico, mentre in cambio
nella corteccia si conserva il processo di formazione dei sali potassici. Nelle altre piante, diverse dalla
betulla, in quelle che rimangono erbacee, quei due processi confluiscono in modo che già nella radice il
processo di formazione dei sali di potassio si compenetra col processo di formazione delle proteine. La
betulla invece respinge verso l’esterno, nella corteccia, ciò che la radice prende dalla terra, e dopo aver
compiuto tale espulsione spinge nelle sue foglie quel che di solito le altre piante mescolano con quanto
è tratto dalla terra. Per effetto di questo comportamento, la betulla si indirizza ad agire in due modi
diversi sull’organismo umano.
Da un lato, la sua corteccia (che contiene come si è detto i sali potassici adatti) si prepara ad agire
soprattutto quando ci proponiamo una desalinizzazione dell’organismo umano, ad esempio in presenza
di eruzioni cutanee; nell’uomo si proietta cioè verso la periferia, e vi agisce terapeuticamente, quel che
nella betulla si è gettato verso il basso, nella corteccia. D’altro lato, con le foglie che conservano le
forze formative proteiche si ricava dalla betulla un principio curativo che si rivolge verso l’uomo «
centrale », agisce su di esso e può dimostrarsi un buon rimedio nella gotta e nel reumatismo. Volendo
poi potenziare ancor più l’intero processo, si potrà arrivare alla parte minerale della formazione della
betulla: si prenda il suo legno, se ne prepari un carbone vegetale, e si otterranno attivissime forze
curative per l’ambito viscerale, intestinale: cioè per la parte dell’organismo interno dell’uomo che in
certo senso si affaccia sul mondo esterno. Bisogna imparare a scorgere nella forma esterna delle piante
il modo in cui esse agiscono sull’uomo. Lo studio della betulla ci, può condurre all’immagine seguente:
volendo trasformare immaginativamente la betulla entro l’uomo, per ricavarne forze curative per
l’uomo intero, bisognerebbe raffigurarsela rovesciata. Le forze della sua corteccia e del suo legno
vanno fornite alla pelle dell’uomo, alla sua periferia, mentre quel che la pianta rivolge verso il mondo
esterno va indirizzato all’interno dell’organismo umano. L’intero albero della betulla viene in tal modo
introdotto (per così dire rovesciato) nell’uomo; naturalmente questa non è altro che un’immagine, ma
in essa possiamo riconoscere che tutto quell’insieme è salutare per l’uomo.
Nelle piante che sviluppano energicamente la formazione delle radici e le forze di queste, si depositano
per effetto di tale azione sali di potassio e di sodio; questa tendenza a trattenere le radici nello stadio di
pianta erbacea, sul piano curativo si manifesta come capacità di curare le emorragie, ma anche la
calcolosi, la renella, e così via. Una pianta che potrebbe riuscire utile in questo modo, nelle emorragie
interne, nelle formazioni calcolose renali, ecc., sarebbe la borsa del pastore {Capsella bursae pastorìs).
Ora cerchiamo di immedesimarci in un’altra pianta interessante: la comune coclearia (Cocblearia
officinalis). Essa contiene degli oli sulfurei e per questo fatto agisce, mediante lo zolfo, direttamente
sulle sue stesse proteine. Ora lo zolfo è la sostanza minerale che agisce sulla proteina favorendone le
forze formative. Se si svolge troppo pigramente, il processo di formazione delle sostanze proteiche
viene accelerato dall’aggiunta di un processo sulfureo. Questo è in sostanza ciò che ha elaborato
organicamente in sé una pianta come la coclearia. Per il fatto di crescere in determinati terreni, di essere
cioè inserita nella natura in un modo ben determinato, la coclearia è condannata ad esplicare processi
proteici troppo lenti; a questo pone rimedio, per un meraviglioso istinto di natura, la presenza degli oli
sulfurei che invece stimolano quei processi.
Va però tenuto conto che altro è un processo proteico accelerato da fuori, e altro un processo proteico
che si svolge con la stessa celerità, ma per forza propria. Naturalmente sono numerose le piante nelle
quali si trovano processi di formazione proteica che decorrono con la stessa velocità di quello della
coclearia, ma non si tratta di processi dovuti all’intervento di un principio accelerante sopra un
principio di inerzia. Questa continua cooperazione di un principio di inerzia con un principio di
accelerazione (cooperazione dovuta, nel caso della coclearia, alla sua duplice affinità interna) rende
questa pianta molto adatta a un adeguato trattamento di malattie come lo scorbuto; infatti nello
scorbuto si svolge un processo molto simile a quello ora descritto.
Io ritengo che si possa giungere ben lontano, ove ci si educhi a riflettere così, congiuntamente, sui fatti
che avvengono nella natura e su quelli che hanno luogo nell’uomo. Con una tale disciplina si perviene a
percepire queste affinità tanto importanti. Si perviene però anche a una comprensione dell’essere
umano, quale non è possibile acquisire in altro modo; l’uomo infatti non può venir compreso
interamente, se non partendo da ciò che è extraumano, e d’altra parte l’extraumano può essere
compreso soltanto con la conoscenza dell’uomo. Bisogna saper studiare congiuntamente queste due
sfere dell’esistenza.
A questo punto, vi prego di non voler considerare inutile che io aggiunga qui oggi ancora alcune
considerazioni che ci saranno di grande utilità nei prossimi giorni: riguardano le singolari funzioni della
milza nell’organismo umano.
Il funzionamento della milza nell’organismo umano è caratterizzato dal tendere fortemente verso il
piano spirituale. Per tale ragione, in un ciclo di conferenze sulla fisiologia occulta dissi una volta che se
si estirpa la milza, subentra molto facilmente il corpo eterico (la milza’ eterica); essa è dunque l’organo
che può essere sostituito con la massima facilità dalla sua controparte eterica. D’altra parte, la milza è
meno strettamente connessa col ricambio, in confronto agli altri organi addominali; pur essendo poco
coinvolta nel ricambio vero e proprio, la milza è però strettamente connessa con la regolazione del
ricambio. Che cosa è la milza, in realtà? All’indagine scientifico-spirituale la milza si presenta come
l’organo deputato a stabilire di continuo un’armonia fra il ricambio puro e semplice e quanto invece si
svolge nell’uomo piuttosto sul piano animico e spirituale. Come in fondo tutti gli organi (quale più e
quale meno), la milza è in alto grado un acuto organo di senso subcosciente, e nell’uomo reagisce
molto vivacemente al ritmo della introduzione degli alimenti. Le persone che mangiano di continuo
provocano in sé un’attività della milza del tutto diversa da quella che hanno invece quelli che mangiano
con ordine. Lo si può constatare soprattutto nella irregolare attività splenica nei bambini che mangiano
spesso di nascosto: in questi casi, l’attività della milza è aritmica, quasi convulsa. Quella caratteristica
della funzione splenica risulta anche dall’osservazione della milza quando non si verifica assunzione di
cibo: durante il sonno, infatti, essa giunge a una condizione di profondo riposo, però intendendo il
riposo come qualcosa di corrispondente appunto alla natura di quell’organo. La milza è infatti l’organo
che l’uomo animico-spirituale possiede per percepire il ritmo dell’assunzione del cibo; nel
subcosciente, essa suggerisce all’uomo che cosa deve porre in opera, per controbilanciare almeno in
parte l’effetto dannoso di un’alimentazione disordinata, aritmica. In tal modo la milza rivolge la sua
attività non tanto al ricambio in senso stretto, quanto ai processi ritmici, al ritmo che dovrebbe venirsi a
creare fra l’introduzione degli alimenti e il ritmo respiratorio propriamente detto. Fra il ritmo
respiratorio e l’assunzione degli alimenti (che non è proprio molto regolata e ritmica) si trova
semplicemente inserito un ritmo intermedio, condizionato appunto dalla milza. Mediante il ritmo della
respirazione l’uomo viene disposto a vivere entro i rigorosi ritmi dell’universo; per effetto
dell’irregolarità della propria alimentazione, egli disturba di continuo quel ritmo cosmico rigoroso. La
milza funge da mediatrice.
Questo è un dato di fatto che l’osservazione dell’organismo umano può confermare direttamente. Si
provino a studiare i dati anatomici e fisiologici, alla luce delle correlazioni ora esposte, e le si
troveranno confermate fin nei minimi particolari. Da un lato risulteranno confermate anche
esteriormente dalla collaborazione della milza nell’organismo, e precisamente dalla derivazione quasi
diretta dell’arteria splenica dall’aorta; dall’altro, il collegamento con la funzione alimentare risulta
documentato dall’appartenenza della vena splenica al sistema portale e quindi dal suo stretto rapporto
col fegato.
Qui il ritmo per metà esteriore, e per metà interiore, e anche il non-ritmo dell’alimentazione, si
coordinano e si regolano reciprocamente. L’attività della milza si trova inserita fra l’uomo ritmico e
l’uomo del ricambio, e molti difetti del funzionamento della milza dovranno venire corretti fondandosi
su questa conoscenza della connessione tra il sistema respiratorio (o anche quello circolatorio) e il
sistema del ricambio, connessione mediata appunto dalla milza. Non è affatto strano che la scienza
materialistica trascuri molto la fisiologia della milza, perché la scienza materialistica ignora la triplice
struttura dell’organismo umano, che consta dell’uomo del ricambio, dell’uomo della circolazione e
dell’uomo dei nervi e dei sensi.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 15 – FORMAZIONE E PERDITA DI ISTINTI
Il lavoro dell’io sui componenti della natura
umana
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 03.04.1920
Sommario: Forza di giudizio e chiaroveggenza. Il lavoro dell’io sui componenti della natura umana. Il
processo infiammatorio. Lo studio dell’organizzazione dell’occhio come via alla percezione del corpo
eterico. Terapia della tendenza alle infiammazioni. L’occhio come processo infiammatorio. L’orecchio
come processo tumorale. Lo studio della formazione dell’orecchio, come via alla percezione del corpo
astrale. Il rosmarino e la stimolazione delle forze dell’io. L’arnica e la stimolazione delle forze astrali.
Ho riflettuto a lungo se esporre o meno il contenuto del capitolo che dovrò ora affrontare, sia pure in
maniera sommaria a causa della ristrettezza del tempo a nostra disposizione. Ho deciso di esporlo, dopo
tutto, sebbene si tratti di argomenti sui quali si viene inevitabilmente fraintesi. Da un lato, certe persone
si sforzano da molto tempo di mostrare che le affermazioni dell’antroposofia costituiscono un insieme
confusionario, e muovono i loro attacchi in questa direzione. Di recente è emersa invece l’opinione che
non si possa più procedere con questa tattica: le nozioni trasmesse dall’antroposofia sembrano
concordare troppo con quanto risulta, retrospettivamente, dallo studio dei misteri antichi; perciò ora
qualcuno costruisce la nuova obiezione che io sarei un traditore dei misteri. Si troverà sempre la
possibilità di sferrare attacchi, da una parte o dall’altra. Non potendo più affermare che le cose da me
dette sono errate, ecco che ci si mette a proclamare che è molto grave il fatto che io le abbia
comunicate!
Oggi vorrei anzitutto sottolineare questo: occorre rendersi ben conto che con l’osservazione fisica
dell’uomo si afferra veramente solo una piccola parte dell’essere umano. Ciò dipende dal fatto, non
difficile da valutare, che nell’uomo sono presenti il corpo eterico, il corpo astrale e l’io, i quali agiscono
di continuo sull’organismo umano, elaborandolo, ma si sottraggono naturalmente del tutto a una
valutazione fisica esteriore, e dico esplicitamente «valutazione», considerando i temi che sto per
trattare. Malgrado ciò non è tuttavia impossibile che, muniti di buona volontà, ci si educhi ad introdurre
per così dire nella propria intelligenza, nel proprio giudizio razionale, i frutti della chiaroveggenza. In
tal modo non si sarà certo ancora progrediti fino a una veggenza che percepisca realmente delle
immagini, ma si perverrà invece a una forma di giudizio capace di stabilire un rapporto solido e valido
con le immagini chiaroveggenti.
Si rifletta ora su quanto segue: volendo prendere le mosse per così dire dall’altro uomo, dall’uomo non
materiale, si constata che Pio lavora sull’essere umano e nell’attuale periodo dell’evoluzione lavora
soprattutto sul corpo fisico umano. Nell’umanità attuale l’io è ancora poco capace di dominare il corpo
eterico. Il corpo eterico viene ancora dominato dall’io durante l’infanzia, in modo assai ottuso e
incosciente: più tardi questo dominio cessa. Un forte influsso dell’io sul corpo eterico persiste nell’età
adulta solamente nelle persone che hanno conservato una forte fantasia. In generale però nelle persone
che diventano razionali e aridamente intellettuali sussiste un notevole influsso dell’io sul corpo fisico,
mentre è scarso il suo influsso sul corpo eterico.
Se si è acquistata un’adeguata rappresentazione di ciò che ho ora definito come l’influsso sul corpo
fisico, non si sarà poi tanto lontani dal potersi anche raffigurare che l’io lavora sull’organizzazione
fisica complessiva, inserendo in essa una specie di impalcatura. Nel nostro corpo fisico è realmente
inserita una specie di tenuissima impalcatura; tale sottile impalcatura inserita nel corpo fisico,
continuamente presente in esso, può venire considerata come una specie di « fantasma » dell’uomo.
L’uomo porta con sé un’impalcatura impressa dall’organizzazione del suo io, una sottilissima
impalcatura inserita nel corpo fisico per mezzo delle forze del corpo eterico. Nel corso della sua vita
l’uomo perde però gradualmente la forza di compiere in modo cosciente quell’inserimento, mentre essa
sussiste in modo semi-cosciente, sognante, nell’attività creativa fantastica.
Non sarà difficile comprendere che quell’impalcatura, costruita dall’io entro l’organismo umano, in una
certa misura rappresenta propriamente un corpo estraneo. È proprio un corpo estraneo, in un certo
grado, e infatti l’organismo umano ha la continua tendenza a difendersi contro quell’impalcatura.
Soprattutto durante il sonno esso si sforza ogni notte di rovinarla. Anche se nella vita ordinaria noi la
percepiamo assai scarsamente, non va dimenticato che quell’impalcatura ha sempre la tendenza a
disfarsi nell’organismo, a frammentarsi, e che per effetto di ciò essa diventa di continuo la misteriosa
causa di fenomeni infiammatori nell’organismo.
È dunque molto importante tener d’occhio i fatti menzionati: l’io costruisce ed inserisce effettivamente
entro l’organismo umano una specie di « fantasma » contro il quale l’organismo si difende come contro
un corpo estraneo; questo corpo estraneo ha la costante e reale tendenza a frammentarsi, a disfarsi in
seno all’organizzazione umana. Per conseguire ima visione razionale di tale impalcatura inserita
nell’uomo, è utile studiare dal punto di vista psico-fisiologico la struttura dell’occhio umano. Infatti
tutto quel che si svolge fra l’occhio e il mondo esterno, o meglio fra l’anima e il mondo esterno tramite
l’occhio, rappresenta per così dire in coltura pura l’edificazione di un’impalcatura: e precisa- mente in
modo tale che, fra la vera impalcatura dovuta all’io e quanto si origina dall’azione scambievole
dell’occhio e del mondo esterno, vige un rapporto che io ho studiato molte volte, proprio in individui
ciechi o divenuti ciechi. In tali soggetti si può assai bene confrontare il reciproco rapporto fra il «
fantasma » normale per la maggioranza degli uomini, che viene incluso nell’organismo per effetto della
funzione visiva, e quell’altro « fantasma » dovuto realmente all’attività dell’io nell’organismo.
Volendo esprimere graficamente i fenomeni in questione, potrei dire: mediante il processo visivo viene
inserito nell’organismo un « fantasma », un’impalcatura, rispetto al quale l’altra impalcatura (inserita
ad opera dell’attività dell’io) viene a trovarsi un poco più in profondità, più versò l’interno (bianco e
giallo nel disegno seguente). Quello che sta più all’interno rivela un evidente accenno di forze fisiche.
È appunto un « fantasma » quasi fisico quello che viene introdotto da parte dell’io, una vera
impalcatura; invece ciò che viene trasmesso dall’occhio stesso è ancora etere. È interessante constatare
che nei miopi queste due impalcature sono ravvicinate (il bianco da me disegnato si trova più vicino al
giallo), mentre nei soggetti ipermètropi quella che ho disegnato in bianco, l’impalcatura bianca, è
spostata verso l’esterno.
In breve, con lo studio dell’organizzazione dell’occhio di una persona si può pervenire ad afferrare
razionalmente il corpo eterico che si presenta allora simile a quella che ora ho chiamato
un’impalcatura. In nessun altro modo è possibile educarsi meglio a scorgere qualcosa del corpo eterico
di una persona, che prestando attenzione alla sua organizzazione oculare. Tutto il resto finisce poi per
consentire uno spontaneo orientamento. Se ci si abitua a fare attenzione al modo di guardare di una
persona, da vicino o da lontano, e poi ci si apre all’impressione prodotta, si andrà educando la propria
sensibilità per la percezione del corpo eterico. Se poi ci si aiuta anche con la meditazione, non riuscirà
più tanto difficile l’ascendere dall’aperta osservazione di quanto l’organizzazione dell’occhio produce
nell’uomo, alla contemplazione del corpo eterico.
Ci si potrà poi convincere anche di altro. Il processo connesso con l’organizzazione degli occhi è
sempre presente nell’uomo, ed è qualcosa di normale, ma affine a qualcosa che invece può manifestarsi
in modo abnorme.
Esso è normale appunto nella vita ordinaria, mentre qualcosa di simile appare in tutte le infiammazioni,
in tutti gli stati infiammatori. Si può veramente affermare che un’eccessiva intensità della formazione
di quell’impalcatura (che nel corpo fisico assomiglia al corpo eterico) fornisce l’occasione a processi
infiammatori e alle loro possibili conseguenze. Potrete forse rendere più precisa e rafforzare un’iniziale
comprensione di questi fatti, prendendo in considerazione l’acido formico, che si ricava dal regno
animale, e usandolo per via esterna. Nel modo migliore si potrà studiare questo tipo di applicazione,
procedendo così: proviamo a somministrare l’acido formico alla più alta diluizione, per esempio
aggiungendolo in altissima diluizione all’acqua dei bagni. Procedendo in tal modo, somministrando
cioè l’acido formico per via esterna alla massima diluizione come aggiunta ai bagni, si realizza un
consolidamento della linea gialla del disegno precedente: un consolidamento di quella impalcatura. Si
perviene dunque a un consolidamento dell’impalcatura, nel senso che, per l’azione dell’acido formico
applicato in quel modo, l’io viene per così dire domato, indotto a compenetrare quell’impalcatura. Se
un paziente ha tendenza ai fatti infiammatori, procedendo in questo modo le infiammazioni si possono
dominare; infatti quell’impalcatura tende allo sfacelo infiammatorio solo se non è energicamente
compenetrata dall’io: l’io e quell’impalcatura devono essere congiunti. Si possono congiungere grazie
al menzionato uso dell’acido formico aggiunto all’acqua del bagno in alta diluizione, perché in questo
modo le forze dell’acido formico vengono potenziate.
Quando si affrontano questi argomenti occorre sviluppare una sensibilità per i sintomi: in particolare,
bisogna osservare se i fenomeni infiammatori si manifestano in soggetti con tendenza all’obesità.
Infatti il trattamento esterno, cioè la menzionata applicazione dell’acido formico, di origine animale,
può dare buoni risultati solo se si trovano associati i due complessi sintomatici della tendenza ai
fenomeni infiammatori, da un lato, è della tendenza all’obesità dall’altro. Si otterranno sempre
eccellenti risultati quando, in presenza di pazienti con forte tendenza all’obesità, si avrà al tempo stesso
la fondata presunzione che l’impalcatura di cui ho parlato stia per crollare, cosa che si potrà dedurre
anche da altri sintomi di cui dirò fra poco. Queste sono dunque le connessioni di cui occorre tener
conto.
La scienza dello spirito possiede a tale proposito una conoscenza che deve fare una strana impressione
all’uomo d’oggi, ed è questa: ciò che deve svolgersi nell’organismo umano perché gli occhi si formino
nel giusto modo, corrispondente alla lunga storia evolutiva dell’uomo, in fondo è una specie di
processo infiammatorio continuamente spostato nella zona della normalità, cioè non pervenuto
all’esplosione patologica. Raffiguratevi gli stessi processi che operano nell’infiammazione, ma
trattenuti, rallentati, per così dire compressi, e avrete il processo formativo dell’occhio nell’organismo
umano. Perciò si può ricavare un’impressione della maggiore o minore tendenza ai processi
infiammatori, anche solo dall’aspetto degli occhi di un individuo; con un certo allenamento si imparerà
a riconoscere quella tendenza. Le esperienze che possiamo fare della funzione visiva umana stanno
veramente in stretta relazione con le osservazioni del corpo eterico. Quando si parla dell’esistenza e
della percezione del corpo eterico, si conta naturalmente sul processo interiore della meditazione che
porta alla vera chiaroveggenza; esiste però anche un processo educativo esteriore. Sforzandosi di
vedere i processi di natura nel giusto modo, si giunge a procurarsi una conoscenza razionale di queste
cose. Gli organi veri e propri della chiaroveggenza debbono essere formati per via interiore; il giudizio
invece si elabora a contatto col mondo esterno. Se noi elaboriamo in maniera più intima e approfondita
il nostro giudizio, partendo dal mondo esterno, il giudizio va per così dire incontro al processo della
meditazione che di solito è il più intimo e profondo e procede dall’interno verso l’esterno.
A questo punto qualcuno potrebbe a ragione chiedere: ma non si possono allora seguire tali processi
anche negli animali? Ora i tratti essenziali di quanto si svolge nell’uomo si possono osservare molto
imperfettamente, ove si ricerchino nel regno animale. Ho messo in evidenza spesso nelle mie
conferenze pubbliche ciò che vorrei ora qui definire con maggior precisione.
In genere la gente ragiona così: un occhio è un occhio, un organo è un organo, per esempio il fegato è
fegato, il polmone è polmone, e così via. Ma non è vero. L’occhio dell’uomo è certo l’organo cui
corrisponde l’occhio dell’animale, ma è modificato dal fatto che nell’uomo è presente l’io. Lo stesso
vale per gli altri organi; ma per quel che accade nell’organo (e che ha la massima importanza
soprattutto nel malato) è più importante tale compenetrazione da parte dell’io che non quello che si
manifesta nell’organo animale, non compenetrato dall’io. Di questo si tiene sempre troppo scarso
conto; la gente non si stanca mai, in questo campo, di ragionare così: ecco qui un coltello; il coltello è
un coltello, e perciò io dichiaro che un coltello equivale a un altro, comunque sia conformato. Ma se
uno è un coltello da tavola e l’altro è un coltello da caccia non si potrà intestardirsi ad affermare che «
un coltello è un coltello ». Lo stesso vale per l’affermazione che si possa spiegare allo stesso modo
l’occhio umano e quello di un animale. È semplicemente assurdo pretendere di stabilire il criterio di
spiegazione di qualcosa in base alla sua sola apparenza, in particolare il voler fondare uno studio sulla
sola apparenza esterna. Lo studio fondato sugli animali impedisce di cogliere in modo corretto certi
aspetti nell’uomo, perché questi ci si presentano in modo giusto solo avendo coscienza del fatto che
nell’uomo sono proprio gli organi situati alla periferia ad essere più degli altri compenetrati e
configurati dall’io.
L’orecchio umano è invece configurato in modo del tutto diverso dall’occhio. Come ci si può educare a
una comprensione razionale dell’occhio, avvicinandosi in tal modo alla visione chiaroveggente del
corpo eterico, così ci si può educare anche a una comprensione razionale dell’orecchio. Ci si può
dunque educare a scorgere nel giusto modo il dato di fatto che nell’organismo umano, come in quello
animale, è inserito l’orecchio, ma che nel caso dell’uomo la sua formazione è compenetrata
dall’organizzazione dell’io. Studiando in questo modo la formazione dell’orecchio, si scopre che essa è
collegata a qualcosa che si trova più profondamente all’interno dell’organismo umano, in modo simile
a come la formazione dell’occhio (nell’ambito del corpo eterico) è collegata con qualcosa che si trova
situata più alla periferia. Si può riuscire ad orientare le proprie forze di osservazione verso la
formazione dell’orecchio e riconoscere che anche l’io ha a che fare con tale processo formativo, come
con quello dell’occhio. Anche l’io inserisce nell’organismo una specie di impalcatura che in questo
caso è un po’ diversa da quella caratterizzata in precedenza. Affine a questa impalcatura che qui viene
inserita è la totalità che nell’organismo sta alla base della formazione dell’orecchio. Posso dunque
disegnare un’ulteriore impalcatura (v. disegno precedente), in azzurro, che si trova più all’interno di
quella disegnata in giallo, e che meno di questa si estende negli arti con la sua attività organizzativa: è
un’impalcatura che, se venisse estratta dall’uomo, non avrebbe braccia e gambe, ma solo dei monconi.
È dunque per così dire un’impalcatura rimasta ferma a un gradino infantile; e del resto è anche assai
meno differenziata verso il capo, che non l’altra impalcatura. D’altra parte si scopre che proprio a
questa impalcatura corrispondono le forze organizzatrici della formazione dell’orecchio umano e
dell’intero processo uditivo: la disegnerò in violetto. Anche questa impalcatura nell’organismo umano
possiede una sua peculiarità: può diventare in certo senso abnorme, se l’io agisce troppo energicamente
all’interno. In precedenza abbiamo menzionato il caso in cui l’io agiva troppo energicamente in
superficie.
Per studiare a fondo tali rapporti, possiamo valerci dell’aiuto delle osservazioni sintomatologiche
seguenti. Nelle persone che tendono più o meno spiccatamente alla magrezza, che non hanno tendenza
all’accumulo di grassi, l’io agisce con eccessiva energia verso l’interno e rafforza l’impalcatura di cui
si è detto da ultimo. Questa impalcatura ha però un’altra peculiarità, in confronto con la precedente:
quella di proliferare internamente. Mentre la prima impalcatura tende a disfarsi, a crollare, a
frantumarsi, quest’ultima tende invece a proliferare interiormente. Essa va elaborata soprattutto in due
direzioni. Anzitutto nel senso di impedirle di proliferare per effetto di un ritrarsi dell’io, che si
manifesta come una specie di scintillìo; infatti la proliferazione o il disfacimento dell’impalcatura sono
sempre legati al fatto che l’io non si trova giustamente inserito in essa e che tende a uscirne. Se l’io
fuoriesce dall’impalcatura e inoltre è abbastanza forte da mantenersi nell’organismo, ne derivano certe
conseguenze psichiche, come l’ipocondria, o corporee, come la stitichezza o altri fenomeni simili.
D’altro lato l’io può anche essere troppo debole per conservarsi integro quando in tal modo ne esce;
può darsi che esso in certo senso si spezzi proprio come io, che cioè non sia l’impalcatura (il correlato
dell’io) a dare motivo alla frattura, ma proprio l’io stesso. Pensate un po’ che strano fenomeno ci si
presenta qui! Si ha il fenomeno che l’io è tanto debole che suoi frammenti si radicano nell’organismo;
essi si radicano perché una persona organizzata in questo modo, quando si addormenta, non è sempre in
grado di portare con sé integralmente quello che fuoriesce. L’io rimane in frammenti nell’organismo e
vi si ipertrofizza sul piano animico. Gli organismi che hanno queste proliferazioni dell’io animico (le
quali si manifestano soprattutto in disturbi del sonno) appartengono a persone che tendono alla
formazione di tumori. Il processo al quale stiamo in questo momento alludendo è infinitamente
importante. Tendono alla formazione di tumori le persone che non dormono bene per il fatto che
quando si addormentano rimangono indietro nel loro organismo frammenti dell’io. Ecco dunque che ci
troviamo di fronte a quei frammenti di io che sono i veri moventi della formazione di tumori, anche
maligni, e che stanno in stretto rapporto con l’intero complesso sintomatico ora elencato. È proprio
come se da una parte stessero l’ipocondria e la stitichezza, e dall’altro la tendenza alle proliferazioni
interne, alla formazione di tumori maligni, quando l’organismo non è capace per così dire di cavarsela
con l’ipocondria e con la stitichezza. Di queste cose intendo parlare ancora; per ora vogliamo tenerne
presente soltanto le linee generali.
Ci si può persuadere anche con l’osservazione esterna che le cose stanno così, e precisamente
considerando in modo diverso quello che ho già esposto prima. Avevo detto che si può venire a capo
dei disturbi legati al primo processo formativo, usando per via esterna l’acido formico animale
altamente diluito e aggiunto all’acqua dei bagni. Possiamo provare a usare per via interna lo stesso
acido formico animale diluito e opportunamente preparato, osservandone l’azione in soggetti magri:
esso influenza la formazione dei tumori, riducendo in soggetti magri la tendenza ai tumori.
Si tratta di fenomeni che occorre proprio osservare a livello macroscopico; essi ci mostrano
eloquentemente come si dovrebbe acquistare la sensibilità per percepirli a livello macroscopico,
imparando a connettere fra loro da un lato l’intero quadro strutturale-costituzionale dell’uomo, e
dall’altro certi fenomeni che si manifestano nel malato. Si apprende in tal modo come si debba
distinguere l’azione di un farmaco, se usato per via esterna o invece per via interna. Proprio il
confronto fra l’uso esterno e quello interno di uno stesso rimedio può dare dei chiarimenti
preziosissimi. Ancora una volta la scienza dello spirito possiede una conoscenza molto chiarificatrice,
in relazione a questa seconda parte dell’organizzazione umana, cioè all’orecchio. Si tratta di questo: in
fondo, tutte le forze che concorrono alla formazione dell’orecchio umano vanno nella stessa direzione
delle forze che, se scatenate, portano alla formazione di tumori interni. La formazione dell’orecchio
all’interno del nostro organismo si fonda sopra un processo che risulta deviato verso l’ambito della
normalità, in quanto la forza formatrice di tumori è stata fermata al punto giusto. L’orecchio è un
tumore all’interno dell’uomo, esteso però nell’ambito della normalità. Dal punto di vista del processo
dello sviluppo la formazione dell’occhio è affine al processo infiammatorio, la formazione
dell’orecchio è affine al processo tumorale. Nell’uomo esiste questa singolare relazione fra i processi
normali e quelli patologici: si tratta in fondo degli stessi processi che in un caso procedono con la loro
velocità giusta, nell’altro con una velocità sbagliata. Se in natura non esistesse il processo
infiammatorio, nessun essere potrebbe vedere; gli esseri sono capaci di vedere, semplicemente perché
nell’intera natura si trova inserito il processo infiammatorio. Di questo processo è però propria una
certa velocità; se gli viene impressa una velocità sbagliata, esso diventa appunto il processo
infiammatorio patologico nell’uomo. Analogamente, in natura ha la sua importanza il processo
proliferativo di tipo tumorale, dotato di una giusta velocità. Se lo si sopprimesse, nessun essere al
mondo potrebbe udire. Se gli si attribuisce una velocità sbagliata, ne deriva tutto ciò che si manifesta
nella formazione dei miomi, dei carcinomi, dei sarcomi. Ne torneremo a parlare.
Non è possibile inserire nel giusto modo entro l’organizzazione umana ogni singolo processo morboso,
se non si è capaci di ricercarlo per così dire nella sua controimmagine normale, o « sana ».
L’organizzazione umana si fonda infatti semplicemente sulla realtà che certi processi, che si trovano
sparsi alla periferia dell’intera natura, si interiorizzano poi in direzione del centro. Invece di trattare
tanto estesamente certi fenomeni, la fisiologia dovrebbe prestare attenzione a certi altri, che pure sono
noti, ma di cui non è riconosciuta la grande importanza. Si può ad esempio constatare facilmente, anche
su scala macroscopica, che la pelle ricopre tutto il corpo, ma poi si ripiega su se stessa, rivestendo con
le sue prosecuzioni le parti interne. Questa inversione delle funzioni ha una grande importanza, quale la
si osserva per esempio nel passaggio dalle guance, dalle parti esterne del viso, a quelle interne,
cominciando dalle labbra. Qui si trovano, visibili nell’uomo esterno, le tracce dei processi che si
dovrebbero studiare attentamente nell’embriologia, dove tutto si svolge con invaginazioni e
ripiegamenti. Proprio seguendo questi fatti, facendo attenzione alle sottili differenze nella reazione
all’acido formico, se applicato sulla pelle esterna o se invece applicato sulle mucose, proprio da tali
accurate osservazioni si potrebbero ricavare conclusioni significative. Quest’ultimo non è che un
esempio elementare delle regole generali che ho esposte per esteso. Coltivando studi di questo genere si
riconoscerà tutta la diversità esistente fra le parti dell’organizzazione umana che si ripiegano
etericamente verso l’esterno e quelle che invece tendono a diventare centrali, interiorizzandosi: le une e
le altre sono fra di loro polarmente contrapposte.
Ne va tenuto conto in quanto segue: ci si può ora chiedere a che cosa corrisponde il secondo « fantasma
» che ho indicato in azzurro (v. disegno precedente). Rispondo: il « fantasma » segnato in azzurro è
nell’organismo un’impalcatura fisica che ha semplicemente la tendenza a proliferare. Il suo aspetto
normale è in rapporto con la formazione dell’orecchio. Si provi a educarsi a osservare nell’uomo
l’organizzazione dell’orecchio e in particolare la sua tendenza a immergersi verso l’interno
dell’organismo, e la si confronti con l’organizzazione visiva. Si tenga anche conto che il processo
visivo si svolge nella sfera eterica, quello uditivo invece nell’aria, ciò che fa una grande differenza. Le
sostanze che si trovano più verso il basso, nella serie dei ponderabili e degli imponderabili, sono
connesse con le parti dell’uomo maggiormente spostate verso l’interno dell’organismo. Tutto ciò che
sta piuttosto in rapporto con l’eterico è invece connesso con le parti più esterne, più periferiche
dell’uomo.
Nella linea disegnata in violetto (v. il disegno precedente) è infatti accennato quel che vive nel corpo
astrale umano. Educandosi a osservare e a giudicare l’essere umano per quanto concerne
l’organizzazione dell’orecchio, si perviene a percepire per così dire un sostituto per la visione
chiaroveggente del corpo astrale. L’imparare a osservare la funzione visiva educa all’osservazione del
corpo eterico; l’imparare a osservare la funzione uditiva educa all’osservazione del corpo astrale.
Si possono poi fare dei rilievi molto interessanti osservando persone nate o diventate sorde, e si
scopriranno certe profonde connessioni naturali. Si provi a osservare come certe persone nate sorde
avrebbero avuto la tendenza ad ammalare già nell’infanzia delle più gravi forme di tumori, se non
fossero appunto nate sorde. Qui si tratta naturalmente di aiuti offerti dalla natura: tali fatti ci portano già
nella sfera che non può venire compresa entro la singola organizzazione umana fra nascita e morte,
bensì nell’ambito delle vite terrene ripetute; solo su questo piano si possono creare certi conguagli.
Seguendo fino a un certo grado i fenomeni, si giunge al punto nel quale si afferrano le vite terrene
ripetute.
Se si cerca di stimolare l’uomo alla sua periferia, si rafforzerà sempre quello che ho caratterizzato
descrivendo le relazioni fra l’io e la sua impalcatura. Qualora si ritenga necessario rafforzare l’io
dell’uomo, si potrà scegliere la via di un’educazione, oppure la via di un intervento terapeutico. Purché
si sia in grado di avvertire la tendenza ai fenomeni infiammatori, si constaterà sempre la necessità di
rafforzare nell’uomo l’attività dell’io, in modo che questa si inserisca adeguatamente nel suo «
fantasma », nella sua impalcatura; infatti l’impalcatura non cadrà preda del disfacimento, se l’io vi si
sarà inserito nel giusto modo.
Un notevole rafforzamento dell’attività dell’io, che lo porterà ad inserirsi perfettamente in quella
impalcatura, si può conseguire ad esempio mediante bagni con aggiunta di succo di foglie di rosmarino
in alta diluizione. La stimolazione periferica dovuta al succo di rosmarino consente all’io di operare
validamente, nell’ambito dell’azione esercitata sull’uomo dal succo di rosmarino finemente suddiviso.
In un effetto del genere si manifestano infatti cose molto singolari.
Osservando il modo in cui l’occhio umano è inserito nell’organismo, si constata che il processo visivo
si fonda sul fatto che l’io può compenetrare un organo che è per così dire quasi tratto fuori
dall’organismo umano. Nell’occhio il processo animale è infatti presente in assai scarsa misura: tutto è
trasferito nella struttura fisica dell’organo. Il processo visivo è fondato sul fatto che l’uomo stesso
(l’uomo interiore, animico-spirituale) compenetra l’organo che qui non è affatto animale,
identificandosi in certo senso con una struttura esterna, non più solo con l’interiorità. Se ci si identifica
con un muscolo, si tratta di un’identificazione col processo formativo dell’uomo, di un’identificazione
che parte dall’interno; quando invece ci si identifica con l’occhio, in fondo ci si identifica col mondo
esterno. Per tale ragione io definii una volta quest’organo come un’insenatura del mondo esterno entro
l’organismo umano. È come un golfo del mondo esterno che si protende nell’organismo; ed è proprio
un fatale errore della fisiologia dei sensi il non tener conto di questa condizione, perché ne derivano le
favole della « soggettività » delle percezioni, e così via. Oggi infatti non si tiene alcun conto che in
quella oggettività inserita nell’organismo noi partecipiamo a una parte del mondo esterno. Da oltre un
secolo e mezzo si fonda la fisiologia dei sensi sopra una presunta « soggettività » perché non si riflette
che qui il mondo esterno si spinge in noi con le sue propaggini e che con i nostri sensi noi prendiamo
parte al mondo esterno. Se si comprende bene questo fatto, si potrà comprendere giustamente anche
l’azione svolta da ima data sostanza, usata per via esterna. Raffiguriamoci la pelle con i suoi pori e i
processi che vi si svolgono (v. il disegno seguente). Se nell’acqua di un bagno sono presenti goccioline
di rosmarino finemente disperse, è facile comprendere che fra le goccioline e la pelle ha luogo uno
scambio di azioni; avviene qualcosa di simile alla stimolazione di un organo di senso. Tale processo
sensoriale stimolante agisce sull’io umano, favorendone l’inserimento nella propria impalcatura.
Se le cose vengono fatte nel modo giusto e naturalmente in tempo utile, cioè quando non è ancora
troppo tardi, si può perfino riuscire a stimolare la pelle del capo con la diluizione di rosmarino aggiunta
all’acqua, contrastando così il processo periferico della caduta dei capelli. Occorre però procedere nel
modo giusto. Ecco dunque che abbiamo mostrato come un rimedio possa agire alla superficie, alla
periferia dell’organismo umano.
Ammettiamo ora che la corretta collaborazione dell’io con l’organizzazione umana venga disturbata
dall’esterno. L’io non è infatti certo soltanto un punto, ma un punto che opera tutt’intorno a sé. Tale
azione significa ih fondo che la forza di configurazione, la forza organizzativa dell’io si diffonde,
compenetrandola, in tutta l’organizzazione umana. Supponiamo ora che in un punto qualsiasi agisca
dall’esterno un- fattore traumatico, per cui venga interrotta da fuori la stretta cooperazione fra l’io e la
forza organizzativa umana: in tal caso si renderà necessario far affluire in quel punto qualcosa che
provenga dalla organizzazione astrale (che è di un gradino inferiore a quella dell’io) e che compenetri
l’organismo in modo da facilitare all’io l’esplicazione delle sue forze curative, là dove si è manifestato
un intervento dannoso esterno. Se si vuole indurre il corpo astrale (il quale, come risulta già dalla
posizione del suo « fantasma », si trova più verso l’interno) a intervenire in aiuto, allora non si ricorrerà
a un bagno, bensì a un panno di lana imbevuto di arnica, cioè a un impacco con amica. Applicando un
impacco a base di arnica sopra una distorsione o ima contusione, o qualcosa di simile, là dove ha agito
un insulto traumatico dall’esterno, per cui l’io è stato indebolito nella sua efficienza, è come se si
facesse appello al corpo astrale, come se gli si dicesse: vieni qui, vieni fuori, dà una mano all’io! Ecco
dunque un altro esempio di un intervento curativo che agisce in superficie, alla periferia dell’essere
umano.
Osservazioni come questa forniscono realmente una base per confrontare tra loro le diverse sostanze
del mondo esterno, per imparare a distinguere quelle che tendono soprattutto alla diffusione, alla
dispersione, con le quali il mondo esterno viene in aiuto alla periferia dell’organismo (e tali sostanze
vanno usate come aggiunte al bagno, per sostenere l’io), e quelle che, come soprattutto l’arnica, vanno
usate per attirare il corpo astrale (il quale a sua volta soccorre indirettamente l’io). Non è possibile
identificare il modo di agire di queste sostanze, senza fondarsi sulle realtà dell’io e del corpo astrale.
Solo basandosi su queste conoscenze si potrà fondare una teoria del trattamento delle malattie per via
esterna e per via interna.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 14 – IL LAVORO DELL’IO SUI COMPONENTI DELLA NATURA UMANA
Attività del corpo eterico
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 02.04.1920
Sommario: Attività del corpo eterico. Formazione di tumori e infiammazioni, conseguenza di
irregolari attività del corpo eterico. Polarità fra processo di formazione tumorale e processo
infiammatorio. Viscum. Carbo vegetabilis. Quadri morbosi psichiatrici, conseguenza di processi
organoformativi irregolari. Effetti di caffè e tè. Il consumo di zucchero.
È molto probabile che la scienza medica orientata in senso prevalentemente materialistico si avvicini
a quella fondata piuttosto sopra una concezione scientifico-spirituale, cominciando da tre serie di fatti
che ci apprestiamo ora a trattare: anzitutto lo studio di quanto concerne i tumori e la loro eventuale
terapia; poi lo sforzo per conseguire ima concezione veramente razionale delle cosiddette malattie
mentali, e infine le conoscenze terapeutiche necessarie per l’uso di medicamenti per via esterna, sotto
forma di pomate, frizioni e simili. Non si può sperare di risolvere con le consuete indagini fisiche i
problemi connessi con la formazione dei tumori, fino a quella del carcinoma vero e proprio, senza che
certe conoscenze tratte dalla scienza dello spirito indichino almeno la direzione, l’orientamento. La
psichiatria si muove oggi in condizioni tristi, soprattutto perché da essa è tanto difficile trovare un
ponte (mentre in natura ve ne sono dappertutto) verso gli altri campi della patologia e della terapia.
Ritengo quindi che sarà in quei due campi che d si adatterà più facilmente a prendere in considerazione
il pensiero scientifico-spirituale. Si dovrà in particolare tener conto di tutto quello che la scienza dello
spirito può dire in proposito; basta del resto scorrere le opere da me pubblicate e vi si troveranno molte
nozioni utilizzabili per chiarire quei due ordini di problemi. Bisognerà soprattutto tener conto
dell’attività complessiva del corpo eterico nell’organismo umano.
Non si dovrebbe proprio affermare che si debba assolutamente essere chiaroveggenti per parlare
dell’attività del corpo eterico nell’organismo umano. Molti, processi, semplicemente opposti a quelli
del corpo eterico, sono infatti in grado di mostrarci che questo è inattivo, o per lo meno funziona male.
Per giungere a una concezione valida in questo settore sarà necessario prendere in seria considerazione,
da un lato ciò che è connesso con i processi infiammatori e che sulla loro base si sviluppa, e dall’altro
lato quel che concerne le formazioni tumorali e che, partendo da esse, distrugge l’organismo umano.
Nella lotta contro i tumori si aspira giustamente, si ha il giustificato ideale di poter un giorno rinunciare
all’intervento del chirurgo; si tratta di un’aspirazione oggi non ancora realizzabile, a causa delle
condizioni igienico-sociali che dovranno esse pure venire trasformate, parallelamente agli altri
progressi. Il problema è quello di trovare come sostituire il bisturi del chirurgo, con i suoi successi e i
suoi insuccessi. Senza dubbio, molti che oggi sono favorevoli all’intervento chirurgico semplicemente
per mancanza di altre sufficienti conoscenze, si convertiranno all’atteggiamento opposto quando
saranno state presentate nuove informazioni in questo campo.
Non occorre certo che io esponga qui ora tutta l’essenza dei processi infiammatori, anche nei loro
aspetti particolari nei diversi organi. Posso certo affermare che si tratta di fatti ben noti. Non si conosce
però il processo unitario che aleggia per così dire al di sopra di tutti i diversi processi infiammatori.
Tale processo unitario può essere caratterizzato dicendo che in ogni caso di vera infiammazione (sia
essa molto circoscritta, sia invece molto estesa), che può condurre poi alla formazione di lesioni
ulcerose, l’indagine scientifico-spirituale riscontra che il corpo eterico umano è attivo nella sua totalità:
si può sempre contare sulla certezza di poter intervenire in qualche modo per ricondurre il corpo eterico
alla distribuzione normale della sua attività che si era affievolita in una sola direzione. Si può contare
sul ripristino dell’azione normale dell’intero corpo eterico. In quei casi l’attività del corpo eterico
risulta soltanto indirizzata verso direzioni particolari, mentre il corpo eterico sano deve estendere la
propria attività in tutte quante le direzioni dell’organismo. Si può anche affermare che è possibile
trovare certe reazioni (ne riparleremo più avanti) capaci di stimolare il corpo eterico, divenuto
inefficiente nei confronti di un dato sistema organico, indirizzando in quella direzione la sua piena
attività; ciò è però possibile solo se il corpo eterico è sano nel suo complesso.
Diversa è la situazione in tutti i casi di formazioni tumorali. Qui certi processi del corpo fisico si
comportano direttamente come nemici del corpo eterico, certi processi del corpo fisico si ribellano
semplicemente contro l’attività del corpo eterico, per cui quest’ultimo cessa addirittura di essere attivo
nelle zone in questione del corpo fisico.
Il corpo eterico possiede però una grandissima facoltà di rigenerazione: con i mezzi dell’indagine
scientifico-spirituale si può sempre osservare che è possibile dominare la situazione, purché si riesca ad
allontanare l’ostacolo, eliminando il nemico che si oppone all’attività del corpo eterico in una
determinata regione. Possiamo dunque dire: nei tumori si tratterà di provocare con un’attività naturale
l’eliminazione delle attività fisiche contrastanti il corpo eterico, sì che quest’ultimo possa tornare ad
esplicare la sua attività nella zona in cui ne era impedito.
Un tale intervento assumerà grande importanza nel trattamento del carcinoma. Purché lo si osservi
correttamente, il carcinoma mostra senz’altro, malgrado le sue svariate forme, di rappresentare una
rivoluzione di certe forze fisiche contro le forze del corpo eterico. Il fatto che in certe formazioni
carcinomatose interne si constatino zone di sostanza dura (che sono presenti come tendenza, pur
rimanendo meno evidenti, anche nei carcinomi situati più in superficie), mostra come la formazione
fisica prenda il sopravvento sulla corrispondente formazione eterica in quella data sede. Studiando in
modo giusto questi due gruppi di fenomeni, si giunge per così dire a toccar con mano che i processi
infiammatori e ulcerosi rappresentano esattamente il polo opposto delle formazioni tumorali. I due tipi
di patologia rappresentano realmente dei contrasti polari. Quando dico che queste cose si possono
toccar con mano, vi prego di ricordare le esperienze che si possono fare con un carcinoma che si
sviluppa in superficie: molto spesso capita di confonderne le lesioni con pseudo-ulcerazioni, almeno
sotto certi aspetti. Si dovranno pertanto indirizzare gli studi a chiarire sempre meglio quella polarità.
Ora la conoscenza di questi fatti è disturbata spesso da certe denominazioni non proprio antiche, ma
piuttosto medievali, riferibili a un passato niente affatto remoto. Non è infatti del tutto giusto chiamare
« neoformazioni » i tumori in genere; essi lo sono tutt’al più nei senso banale che prima che si
formassero non c’erano! Non lo sono invece nel senso che essi nascano sul terreno dell’organismo
stesso, delimitato dalla pelle. Per il fatto che il corpo fisico, in un certo processo, si pone talmente in
opposizione al corpo eterico, la corporeità esterna si subordina in certo modo anche al mondo esterno,
alla natura nemica dell’uomo, e la formazione tumorale apre un ampio accesso ai più disparati influssi
esterni.
Si dovrà quindi studiare anche la controimmagine di tutti questi fatti: e per cominciare qui vi addito
nella natura extraumana lo studio dello sviluppo del vischio. È necessario rivolgere la nostra attenzione
al modo in cui le diverse specie di vischio si sviluppano su altre piante, ma non è neppure questo ciò
che più importa. Per la botanica l’essenziale è certo la natura parassitaria del vischio. Per lo studio del
rapporto fra la natura extraumana e quella umana è ancora più importante notare che, per il fatto di
crescere su altre piante, su alberi, il vischio è costretto a compiere la propria vegetazione con un ritmo
annuale diverso. Esso ad esempio ha già conchiuso, la sua fioritura prima che gli alberi su cui alligna si
rivestano di foglie in primavera; il vischio è dunque una specie di pianta invernale e assume certi
atteggiamenti vorrei dire aristocratici: esso non si espone in pieno alla massima intensità estiva dei
raggi solari, in quanto si protegge col fogliame degli alberi. In base ai processi da noi menzionati l’altro
ieri, dobbiamo sempre considerare il Sole soltanto come il rappresentante dell’azione della luce; questo
potrebbe costituire l’oggetto di considerazioni di fisica e non può essere trattato qui per esteso. Certo,
non è possibile evitare del tutto l’uso di certi termini, entrati nel nostro linguaggio per effetto di una
concezione non del tutto giusta della natura. Comunque, l’essenziale di quanto riguarda il vischio è il
modo in cui esso cresce e si sviluppa per il fatto di essere il parassita di altre piante; per questo appunto
esso si appropria di certe forze particolari. Tali forze possono essere caratterizzate nel modo seguente;
grazie ad esse il vischio non vuole tutto ciò che invece vogliono le forze organizzati ve normali che si
sviluppano in linea retta verticale, mentre invece vuole ciò che le forze di questo tipo non vogliono. Il
problema si chiarirà affrontandolo in questo modo: disegnando nel modo più schematico (v. il disegno
seguente), possiamo segnare un punto del corpo fisico umano, le cui forze si ribellano all’attività
complessiva delle forze eteriche; queste ultime, trattenute e respinte, si ingorgano: di conseguenza ha
origine ciò che sembra una neoformazione, e in tale situazione è proprio il vischio a sapersi
contrapporre a quella insaccatura. Il vischio riattira in quella sede le forze che vorrebbero evitarla.
Tale attività può essere dimostrata con un esperimento, ove se ne presenti l’occasione. Si potrà
constatare chiaramente quella tendenza del vischio ad opporsi alla direzione dell’organizzazione
umana, osservando come il vischio agisca sul secondamento. Esso infatti trattiene nell’organismo
umano la placenta, si contrappone cioè à quel che vuole l’orientamento verticale dell’organizzazione.
Questa azione di ritenzione della placenta, cioè di opposizione all’organizzazione normale, rappresenta
una delle caratteristiche essenziali del vischio. Tale sua attività risulta naturalmente assai meno
evidente quando si tratti di processi più fini, meno grossolani, ma che si fondano sullo stesso principio
per cui avviene la ritenzione di placenta. La medesima attività che il vischio manifesta in opposizione
all’organizzazione orientata verticalmente, in maniera tanto appariscente, si ritrova nei quadri che
possiamo ricavare della sua attività in generale. Una volta constatato che il vischio si oppone alle
tendenze del corpo eterico, quando quest’ultimo per esempio non vuole afferrare nella misura giusta il
corpo fisico, si può far agire il vischio e si vedrà il corpo eterico impadronirsi del fisico in misura
eccessiva, con insorgenza di accessi convulsivi. In altri casi, proprio con l’uso del vischio si può
provocare la sensazione di star continuamente per cadere. Sono fenomeni che si ricollegano anche al
fatto che il vischio favorisce essenzialmente le polluzioni.
Si può dunque vedere in molti modi (e anche, come si è detto, con la provocazione di attacchi
epilettiformi) che il vischio ha in sé la tendenza ad agire in contrapposizione all’organismo umano. Ciò
non è connesso tanto col suo carattere di parassita, quanto col fatto che il vischio riesce per così dire a
ottenere per sé un trattamento di favore dalla natura intera! Per esempio, il vischio si è messo in mente
di non seguire il ciclo normale delle stagioni: non fiorisce in primavera e poi mette i frutti, ma fiorisce e
fruttifica per conto suo in pieno inverno. Così facendo, esso conserva le forze capaci di contrapporsi
all’andamento usuale degli eventi. Se non suonasse troppo scandaloso, si potrebbe dire, osservando le
formazioni del vischio e le leggi della natura, che nel caso del vischio la natura è impazzita e fa ogni
cosa fuori tempo! Sono però proprio queste le qualità di cui ci si dovrà servire quando è il corpo fisico
umano ad essere impazzito, cosa questa che si verifica per esempio proprio nella formazione del
carcinoma. Dovremo dunque sviluppare una comprensione proprio per questo tipo di connessioni.
Il vischio è dunque certamente il medicamento che, dinamizzato in modo opportuno, dovrà un giorno
sostituire il bisturi del chirurgo per quanto riguarda le malattie tumorali.
Bisognerà soltanto trovare il modo di usare giustamente soprattutto i frutti del vischio, senza però
trascurare altre forze del vischio stesso, per ottenerne un vero farmaco.
Uno degli aspetti anomali riguardanti il vischio è anche il fatto che la sua fecondazione è condizionata
dall’intervento del volo degli uccelli: il vischio non potrebbe propagarsi, se gli uccelli non
trasportassero di continuo le sostanze fecondanti da un albero all’altro. Per di più (ed è un altro aspetto
curioso) le sostanze fecondanti debbono prima passare attraverso l’organismo degli uccelli: vengono
introdotte e poi escrete, per potersi poi sviluppare sopra un altro albero. Tutte queste cose sono atte a
farci guardare a fondo nel processo formativo del vischio, purché lo si osservi in maniera adeguata. In
base a tali considerazioni, si tratterà di ricavare la sostanza collosa del vischio, di mescolarla con una
sostanza diluente e di ricavarne a poco a poco un’elevata dinamizzazione.
Si dovrà poi cercare di riconoscere certe affinità specifiche per i diversi organi (tornerò a parlarne più
avanti), a seconda della specie di pianta sulla quale il vischio alligna. Un altro fattore importante
consisterà nell’associare alla sostanza collosa del vischio certe sostanze di natura metallica, con le quali
essa coopererà; tali sostanze metalliche potranno naturalmente venir ricavate anche dal contenuto
metallico di altre piante. Come esempio, dirò che il vischio parassita del melo, mescolato con sali
d’argento, potrà senz’altro fornire un farmaco altamente attivo per tutti i carcinomi del basso ventre.
Si comprenderà certo che io parli di queste cose con cautela, perché se da un lato la tendenza che in
esse si esprime è assolutamente valida e fondata su solide basi di ricerca scientifico-spirituale, d’altra
parte nell’istante in cui comincia il processo terapeutico ha inizio anche la totale dipendenza dalle
modalità di preparazione della sostanza del vischio, poiché in fondo non esistono le conoscenze
necessarie per attuare quel processo nel giusto modo. Qui la scienza dello spirito potrebbe operare in
modo favorevole, solo collaborando strettamente e continuativamente con l’ambito clinico,
collaborazione tanto utile alla medicina in generale. Ma i rapporti fra la scienza dello spirito e la
medicina sono oggi tanto difficili, appunto perché la struttura sociale odierna non consente lo
svolgimento parallelo delle due attività: l’osservazione clinica e l’indagine scientifico-spirituale.
Proprio tale constatazione può però insegnarci che solo la congiunzione di quelle due attività condurrà
a risultati fecondi. Si tratta dunque di raccogliere effettive esperienze nel campo in questione, poiché
mai si potranno affermare idee come quelle che ho esposte, se non si consentirà al mondo esterno di
disporre almeno di qualche verifica documentata, come relazioni cliniche o simili. Se ne ha bisogno,
più per una necessità esteriore che per ragioni intrinseche.
Si riuscirà anche a dimostrare che l’azione del vischio si fonda veramente sui fatti che ho esposti:
basterà procedere in modo sistematico. Ricordiamo: in base alle considerazioni fatte giorni fa, i tronchi
degli alberi hanno il significato di escrescenze della sostanza terrestre stessa: sono delle specie di
collinette che contengono, certo, l’elemento vegetale e sulle quali crescono poi le altre parti dell’albero
(foglie, ecc.). Quando poi vi alligna anche il vischio, le radici di quest’ultimo procedono verso la terra,
in quanto la pianta parassita se la prende comoda in cima all’albero. È quindi prevedibile che si possa
fare un’esperienza simile con piante che col vischio abbiano in comune l’atteggiamento follemente
aristocratico, ma non la qualità vagamente « bohèmienne » del parassitismo! E infatti, se ci si metterà a
studiare nelle piante invernali le loro tendenze contrarie alla tendenza normale dell’organismo umano
(anche alla normale tendenza ad ammalarsi), ci si potrà attendere die tali piante, stimando conveniente
di fiorire in inverno, possano produrre effetti simili a quelli del vischio. Si estenderà allora la serie degli
esperimenti alla rosa di Natale (Helleborus niger) e si potrà constatare che gli effetti sono in realtà
molto simili. Bisognerà però tener conto del contrasto che ho già caratterizzato (almeno in via
preliminare) fra l’elemento maschile e quello femminile. Con l’elleboro non si potranno conseguire
risultati evidenti nelle donne, mentre gli effetti saranno tangibili nei maschi, in nasi di tumori della
sfera genitale, valendosi di alte potenze, come ho indicato per il vischio.
Nel compiere studi di questo genere bisognerà veramente prestare molta attenzione a che una pianta
fiorisca in inverno, piuttosto che in estate, e che ricavi la sua efficacia dal fatto di comportarsi come il
vischio o se invece tende più del vischio verso la terra. Il vischio non gradisce di accostarsi
direttamente alla terra, a differenza dell’elleboro nero, il quale è perciò più affine al sistema di forze
maschili; ho infatti spiegato un paio di giorni fa che quest’ultimo sistema è piuttosto affine alla sfera
terrestre, mentre il sistema di forze femminili è più affine alla sfera extraterrestre. Tali fattori vanno
appunto tenuti nella dovuta considerazione. Si tratterà in particolare di acquistare una certa conoscenza
dei processi della natura: ecco perché ne ho caratterizzati alcuni, poco fa, in un modo alquanto speciale,
valendomi per le forze attive nella natura di certi attributi (come quelli di aristocratico, di bohémien, di
follìa), concetti che, per quanto estranei, nondimeno possono risultare adeguati a caratterizzare i
comportamenti di certe piante.
Una volta acquistate tali rappresentazioni, si rileverà anche la caratteristica differenza fra l’attività di un
farmaco somministrato per via esterna e quella per via interna. Prima di poter prendere in
considerazione nel giusto modo questa differenza, bisognerà però acquisire ancora qualche altra
cognizione. Ad esempio, per certe malattie che compaiono adesso, malattie in certo senso nuove,
bisognerà studiare in un modo particolare il procedimento terapeutico: per esempio converrà esporre
semplicemente, per un tempo piuttosto lungo, il Carbo vegetabilis al metano, lasciandolo immerso in
questo, e procedere alla triturazione solo dopo che il carbone si sarà ben bene impregnato di metano. In
tal modo si disporrà di un rimedio attivo per via esterna in forma di pomata o simili, soprattutto se si
effettua la triturazione con sostanze che ne possono favorire l’azione ulteriore. Si tratta semplicemente
di elaborare il metodo tecnico adeguato, cosa senz’altro possibile. Se ad esempio la triturazione verrà
effettuata con talco, si potrà ottenere un rimedio attivo per via esterna, sotto forma di pomata o simili.
Dovremo però acquistare una vera conoscenza dell’essenza di un tale processo; e non lo si
comprenderà a fondo senza un radicale risanamento del modo di pensare in psichiatria. Per l’indagatore
dello spirito (potete credermi! ) già il termine « malattia dello spirito » suona quanto mai irritante, È
infatti assurdo parlare di « malattia dello spirito », in quanto lo spiritò è sempre sano e in fondo non
può nemmeno ammalarsi. Parlare di « malattie dello spirito » è insensato; in tutti i casi, lo spirito viene
disturbato nella sua capacità di estrinsecarsi da parte dell’organismo fisico: non si tratta mai di una vera
malattia della vita psichica o spirituale stessa. I disturbi che si manifestano hanno sempre solo valore di
sintomi.
A questo punto occorre però imparare a conoscere il significato dei singoli sintomi concreti.
Ammettiamo dunque di trovarci di fronte, prima alla predisposizione e poi all’evoluzione di quella che
si potrebbe chiamare una manìa religiosa, o qualcosa di simile: i termini usuali sono sempre molto
approssimativi e confusi, ma bisogna pur servirsene. I fenomeni che si presentano sono naturalmente
soltanto dei sintomi; tuttavia, di fronte a sintomi del genere si dovrà pur cercare di formarsi un quadro
dell’intero sviluppo. Quando si sarà riusciti a farsi un tale quadro, bisognerà osservare con attenzione il
soggetto, ricercando eventuali abnormità nel processo di formazione dei polmoni: non nella funzione
respiratoria, bensì nel processo formativo dei polmoni stessi, nel loro ricambio. Infatti, neppure il
termine « malattia cerebrale » è del tutto giusto. Se è del tutto errato il parlare di « malattie dello spirito
», l’espressione « malattia del cervello » è sbagliata per metà, in quanto le alterazioni che si sviluppano
nel cervello sono in fondo sempre fenomeni secondari. Il fattore primario, in quelle malattie, non si
trova mai nella parte superiore dell’uomo, bensì in ciò che si svolge nell’uomo inferiore. Il fatto
primario sta sempre negli organi, nei quattro sistemi organici del fegato, o dei reni, o del cuore o dei
polmoni. Nei pazienti che tendono alle forme di delirio in cui si estingue l’interesse per la vita
esteriore, e in cui predomina il rimuginare interiore e si manifestano idee deliranti, la cosa più
importante è farsi un’idea della natura del processo di formazione del polmone. Questo è proprio
straordinariamente importante.
Altrettanto importante è un’accurata indagine sull’efficienza del sistema epatico nelle persone che
presentano un comportamento di particolare testardaggine, di ostinazione, di prepotenza: sono, questi,
indizi di una rigidezza del sistema concettuale, di caparbietà nel non volerlo modificare. Nelle persone
con tali caratteristiche è sempre il chimismo interno ad essere disturbato; perfino ciò che si è soliti
definire come « rammollimento cerebrale » ha il significato di un fenomeno secondario. Proprio nelle
cosiddette malattie mentali il fattore primario si trova nei sistemi organici, anche se talora è piuttosto
difficile da rilevare. Siccome si trova nei sistemi organici, è talora sconsolante il constatare come
proprio il trattamento spirituale risulti particolarmente inefficace in queste condizioni, mentre al
contrario esso può riuscire utile in certi casi di vere malattie organiche. Bisognerà proprio abituarsi a
trattare con farmaci le malattie mentali; questo è l’essenziale ed è questo il secondo campo in cui la
corrente medica esteriore dovrà lasciarsi indicare la via per avvicinarsi alla scienza dello spirito.
In questo campo lo psicologo veramente esperto sarà in fondo il miglior osservatore. Infatti moltissime
risorse si troveranno nella vita psichica, con la sua grande varietà, e con le possibilità che essa offre, di
agire talora solo per accenni: occorre però conquistarsi a poco a poco un’adeguata capacità di
osservazione. Posso spiegarmi con un esempio, per la semplice ragione che l’uomo non è un essere
semplice, per quanto concerne le sue capacità, intese anche come effetti dell’organizzazione corporea,
la quale dopo tutto è lo strumento per l’organizzazione spirituale. Per quanto possa sembrare strano, è
realmente possibile che qualcuno sia dotato di qualità per qui si è costretti a considerarlo un debole
mentale; eppure quel tale produce frutti che si possono considerare brillanti e geniali. Ciò è possibile
perché una persona di intelligenza debole proprio per questa sua qualità può essere facilmente
suggestionabile, può cioè rispecchiare in sé i misteriosi influssi del suo ambiente. In questo campo si
possono fare le più interessanti osservazioni di patologia culturale. Naturalmente non occorre far nomi,
relativi ai risultati di siffatte indagini, e se non vengono fatti nomi, anche la fiducia in tali affermazioni
può risultare scossa, ma comunque nomi non se ne possono fare! Soprattutto nell’ambito del
giornalismo esiste la caratteristica che in fondo certe teste deboli possono diventare buoni giornalisti,
proprio perché la loro debolezza mentale consente loro di non esprimere la loro opinione personale,
bensì l’opinione del loro tempo. L’opinione del tempo si rispecchia in loro, sì che talora gli scritti di
giornalisti di scarsa intelligenza sono molto più interessanti degli scritti di giornalisti dall’intelligenza
vivace e originale. Si apprende molto meglio quel che pensa l’umanità dagli scritti di giornalisti poco
intelligenti, che non da quello di giornalisti di forte intelligenza, sempre desiderosi di formarsi una
propria opinione personale. Certo, è un caso estremo che però nella vita si verifica sempre di nuovo:
avviene quello che si può definire un vero mascheramento della condizione clinica. Uno stato di
debolezza mentale non viene riconosciuto, perché ciò che si manifesta può risultare a tutta prima uno
scritto addirittura geniale. Ora nella vita di tutti i giorni questo non importa poi molto, perché dopo
tutto non fa alcun male che i nostri giornali siano scritti da persone di scarsa intelligenza, purché
pubblichino solo cose buone, non è vero? Ma proprio nei casi estremi, quando la cosa supera il limite
critico e si entra nel terreno della patologia, occorre acquistarsi una visione assai libera da preconcetti
che consenta di cogliere appunto l’aspetto psico-patologico di certe persone. Non si potrà più giudicare,
allora, fondandosi sui modi in cui è stata mascherata l’attività psichica, bensì in base a sintomi più
profondi. Si dovrà dunque sempre tener presente che in nessun altro campo è tanto facile cadere in
errore, quanto nell’osservazione della condizione psichica: infatti ciò che più importa non è per
esempio che qualcuno esprima dei pensieri intelligenti, ma che abbia o meno la tendenza a ripeterli più
spesso del necessario. Quel che più conta è il modo in cui un tale esprime i suoi pensieri; molto più
importante del fatto che i pensieri siano acuti oppure sciocchi è la tendenza a ripeterli molte volte,
oppure quella ad omettere certi pensieri, sì che vengano meno le connessioni logiche. Un tale può
essere perfettamente sano eppure stupido, stupido nei limiti fisiologici, non patologici. Un’altra persona
potrà esprimere pensieri intelligenti, ma essere predisposta a una cosiddetta malattia mentale, o anche
ammalarne effettivamente, ciò che potrà rivelarsi (più che con altri segni) nel fatto che egli Soffra di
omissioni di pensieri o di inutili ripetizioni di pensieri. Chi va soggetto a ripetersi spesso, porta; sempre
in sé una disposizione connessa con un irregolare processo formativo del polmone. Chi invece soffre di
omissioni di pensieri porta sempre in sé certe connessioni con un processo epatico irregolarmente
funzionante. Vi sono poi anche le altre alterazioni psichiche, per così dire intermedie, collegate con la
funzionalità degli altri organi interni.
Anche questo genere di problemi si può per così dire studiare osservando la vita. Si può per esempio
osservare (e ne ho parlato talora anche in pubblico) che certe sostanze vengono usate come alimenti o
come generi voluttuari (e non come farmaci, almeno nel senso ordinario): così il caffè che esercita un
effetto evidente e marcato su certi aspetti sintomatici della vita psichica. In fondo, non si dovrebbe
tendere a conseguire quegli effetti, perché essi non fanno che impigrire l’anima, se ci si affida ad essi;
tuttavia, la loro esistenza è innegabile. Con l’uso del caffè si può sostituire la propria insufficiente
facoltà logica: l’uso del caffè può cioè effettivamente disporre l’organismo a fornire maggiori forze per
l’attività logica di quante se ne abbiano senza l’uso del caffè. Perciò i giornalisti dotati della mentalità
corrente dovrebbero bere molto caffè, per faticare meno a collegare logicamente i loro pensieri. Questo
vale per uno degli aspetti. D’altra parte, l’uso del tè ci impedisce di collegare pedantescamente un
pensiero con l’altro, cioè di riuscire sempre noiosi, esponendo (nel/ caso estremo) a chi ci ascolta tutto
il nostro processo logico, con precisione, ma non certo in modo brillante. L’uso del tè si sarebbe dovuto
consigliare a certe professioni, ora un po’ in decadenza, per apparire ricchi di spirito senza però esserlo
interiormente, per apparire tali solo per effetto di un genere voluttuario. Come il caffè è ima buona
bevanda per giornalisti, così il tè è una efficacissima bevanda per diplomatici, una bevanda che
favorisce notevolmente l’abitudine di esporre pensieri disordinati, gettati lì, ma che possono far
sembrare ricco d’ingegno chi li enuncia.
È importante imparare a conoscere e ad apprezzare tali cose, perché con un atteggiamento morale
adeguato si potrà comprendere che quelle facoltà andrebbero favorite con mezzi diversi da quelli
dietetici. Tuttavia queste correlazioni sono istruttive, sia dal punto di vista naturalistico, sia da quello
culturale; per esempio è significativo lo scarsissimo consumo di zucchero che si faceva in Russia,
confrontato con l’uso molto abbondante nei paesi anglosassoni. Si potrà scoprire che, purché certi
effetti non vengano annullati da uno sviluppo dell’anima, l’estrinsecazione dell’essere umano
rispecchia assai fedelmente le sostanze che vengono introdotte nell’organismo: così nel russo, che si
esprime grazie a un certo abbandono al mondo esterno, che possiede uno scarso senso dell’io
(sostituibile tutt’al più teoricamente, e dipendente dallo scarso consumo di zucchero), e così
nell’inglese, dotato di un forte senso della propria personalità, fondato su basi organiche e collegato al
forte consumo di zucchero. Si badi però che quel che conta non è tanto il fatto del consumare, quanto
l’impulso a quel consumo. Infatti l’uso di un dato alimento si sviluppa dal bisogno che se ne risente, dal
desiderio di quel godimento, ed è quindi importante prestare attenzione proprio a queste cose.
Tenendo conto che la vera origine delle cosiddette malattie mentali (o psichiche) va ricercata nei
sistemi organici dell’uomo inferiore, la nostra attenzione viene attirata su certi scambievoli effetti,
importanti dal punto di vista patologico e terapeutico. Bisognerà sempre prendere in considerazione i
reciproci effetti fra ciò che ho semplicemente definito come l’uomo inferiore e l’uomo superiore, tanto
in campo patologico, quanto in campo terapeutico, altrimenti non si potrà mai acquistare chiarezza sul
modo in cui operano gli influssi esterni che noi ci proponiamo di esercitare sul malato. Fa una grande
differenza se si applica a un malato del calore (o dell’acqua) sulla testa o sui piedi.
Non si riuscirà però mai a stabilire un vero criterio in tali problemi, se non si terrà conto delle grandi
differenze fra il funzionamento dell’uomo inferiore e quello dell’uomo superiore. Degli influssi esterni
sull’uomo tratteremo perciò in seguito, nella misura in cui ci sarà possibile nell’ambito che ci siamo
proposti.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 13 – ATTIVITÀ DEL CORPO ETERICO
L’albumina e i sistemi organici
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 01.04.1920
Sommario: Le acque di Levico e di Roncegno. L’ossigeno, l’azoto e il rapporto io/corpo astrale –
corpo eterico/corpo fisico. L’albumina e i sistemi organici. L’albumina vegetale. Rapporti fra ossigeno,
azoto, carbonio e idrogeno da un lato, e rene, fegato, polmone e cuore dall’altro. Metodica meditativa.
La radiazione del ferro: la reazione dell’albumina. Carbonio vegetale e carbonio animale. Fluoro,
magnesio, silicio. Acidi e basi. Digestione e formazione di sali.
L’osservazione delle connessioni, talora singolari, tra certi dati di fatto extraumani e certi altri dati di
fatto che riguardano l’interno dell’uomo, dovrebbe far sorgere un sentimento di fondo nell’animo di
coloro che hanno il compito di curare e di far guarire i malati. Una tale osservazione può infatti
dischiudere significative intuizioni, proprio per quanto concerne la conoscenza dei farmaci. Come
esempio vorrei menzionare le acque di Roncegno o di Levico: esse sembrano proprio (si fa per dire!)
preparate da un buon spirito, al fine di predisporre già nella natura esterna una serie di forze capaci di
giuocare un ruolo favorevole nell’organismo umano. In quelle acque termali le forze del rame e quelle
del ferro si trovano in reciproche proporzioni mirabilmente bilanciate (ne tratterò più particolarmente
nei prossimi giorni), e tale rapporto viene poi posto sopra una base più ampia dalla presenza
dell’arsenico: verrebbe proprio fatto di pensare che in tali realtà del mondo esterno si trovi già
predisposto qualcosa di utile per certe condizioni patologiche dell’uomo. Può certo accadere che acque
termali come quelle menzionate riescano straordinariamente nocive per taluni individui; tuttavia
proprio anche nei casi meno favorevoli risulterà che il principio generale che qui si studia è fecondo di
risultati; Questa validità del principio generale va messa in evidenza soprattutto oggi, quando si trattano
tali problemi; osservando questi fenomeni si offre infatti la possibilità di imbattersi in certi fenomeni
patologici i cui sintomi in fondo si vanno manifestando solo ai giorni nostri. Non va dimenticato che
attualmente molti osservatori liberi da pregiudizi hanno riconosciuto che in certe zone della Terra
esistono condizioni particolari le quali provocano particolari forme di malattie. E non dimentichiamo
neppure l’interesse notevole che deve suscitare il fatto che oggi perfino la comune influenza si
manifesta in modo estremamente singolare. Essa risveglia infatti delle condizioni morbose latenti alle
quali l’organismo sarebbe predisposto, ma che di norma vengono mantenute allo stato di latenza ad
opera delle forze contrarie presenti nell’organismo; quelle condizioni latenti potrebbero rimanere tali
per tutta la vita, ma invece si manifestano per effetto della sopravvenuta malattia influenzale.
Tutto questo costituisce un nodo di problemi che mi propongo di mettere a fondamento delle mie
prossime conferenze. Per fruire di un punto di partenza fecondo, vorrei accennare a un’altra singolare
concordanza che però si rivela in tutto il suo profondo significato soltanto all’indagatore dello spirito. È
noto che nell’atmosfera l’ossigeno e l’azoto si trovano in una certa combinazione lassa che in realtà
non è nemmeno possibile definire con esattezza, dal punto di vista fisico o chimico. In quanto uomini
terrestri noi siamo interamente coinvolti nell’attività che si sprigiona dall’ossigeno e dall’azoto; è
quindi presumibile che debba avere un’importanza particolare il rapporto che l’ossigeno ha con l’azoto
nella nostra atmosfera, il principio stesso che regola quel rapporto.
La scienza dello spirito ci mostra il fatto significativo che con qualsiasi cambiamento della
composizione dell’aria, che tenda a spostare in un senso o nell’altro la proporzione normale ossigenoazoto, sono connessi anche certi disturbi del sonno. Questo fatto ci induce a esaminare più a fondo in
generale il rapporto in questione e quanto vi si cela. Vi è noto che la scienza dello spirito distingue
nell’essere umano questi quattro elementi costitutivi: il corpo fisico, il corpo eterico, il corpo astrale e
l’io. Voi sapete inoltre che i fatti ci costringono a dire che con l’addormentarsi l’io e il corpo astrale
escono, in certo qual modo, e al risveglio rientrano; per altro, questi cambiamenti di rapporti vanno
intesi piuttosto in senso dinamico che spaziale. Durante il sonno il corpo astrale rimane dunque
congiunto con l’io, e il corpo eterico congiunto col corpo fisico. Perciò dobbiamo tener presente che
nello stato di veglia esiste fra il corpo astrale e l’io da un lato, e il corpo eterico e il corpo fisico
dall’altro, una connessione meno stretta di quelle che vigono fra io e corpo astrale, nonché fra corpo
eterico e corpo fisico.
La connessione è più lassa. Tale connessione più lassa fra la parte superiore dell’uomo (io e corpo
astrale) e la sua parte inferiore (corpo eterico e corpo fisico) rispecchia fedelmente il rapporto non
stretto che esiste nell’atmosfera fra l’ossigeno e l’azoto. Questi due rapporti si corrispondono in un
modo singolarissimo e mirabile. La composizione dell’aria esterna è tale da fornire al tempo stesso il
valore del rapporto per la connessione fra il corpo astrale e il corpo eterico, e rispettivamente fra il
corpo fisico e l’io a quelli congiunti.
Tale constatazione potrà indicarci come tener conto della composizione dell’aria, se cioè siamo in
grado di mettere a disposizione dei pazienti un’aria di giusta composizione, o se essi invece dovranno
rinunciarvi. Possiamo però anche penetrare più a fondo negli aspetti fisiologici del problema,
giungendo fino a percepire direttamente quella corrispondenza. Se passiamo in rassegna tutte le
sostanze che sono presenti nell’organismo umano e vi svolgono qualche funzione, troveremo che esse
sono tutte combinate con altre sostanze: esse sono presenti come combinazioni, oppure in soluzione. In
forma libera solamente l’ossigeno e l’azoto sono presenti nell’organismo umano: vediamo dunque che
le sostanze che compongono l’aria esterna svolgono un ruolo speciale nell’organismo stesso.
L’ossigeno e l’azoto, nella loro azione reciproca, si trovano proprio al centro dei processi materiali
nell’organismo umano. Essi hanno a che fare con le funzioni dell’organismo, e precisamente come le
sole sostanze che agiscono allo stato libero, che non consentono modificazioni alla loro attività da parte
di altre sostanze con esse combinate nell’ambito dell’organismo umano. Ne risulta che non solo ha
importanza quello che della natura esterna, extraumana, possiamo ritrovare e seguire entro l’organismo,
ma anche il modo in cui esso vi opera, se cioè la sua attività si svolge in forma libera Oppure
combinata ad altre sostanze. È infatti molto caratteristico che nell’organismo le diverse sostanze
acquistano delle affinità del tutto particolari. Se dunque introduciamo una certa sostanza, mentre
un’altra sostanza si trova già nell’organismo, può appunto manifestarsi quell’affinità. Seguendo
ulteriormente tale pensiero, esso ci conduce a una ben determinata intuizione che la scienza dello
spirito deve mettere in evidenza. È noto che alla base dell’organismo vegetale, di quello animale fi di
quello umano si trovano le sostanze proteiche o albuminoidi. Per la chimica moderna i principali
componenti delle proteine sono le quattro sostanze più importanti della natura organica: il carbonio,
l’ossigeno, l’azoto e l’idrogeno, alle quali si associa lo zolfo che compenetra per così dire con
un’azione omeopatizzante l’attività delle altre quattro sostanze.
A questo punto è necessario che ci facciamo un’idea di come propriamente si realizzi la funzione
interna dell’albumina, delle sostanze proteiche. La chimica contemporanea, in base alle sue premesse,
afferma naturalmente che la sostanza proteica ha la configurazione imposta dalle sue forze interne. Ne
deriva di necessità che si considerano identiche cose che non lo sono affatto, neppure nella misura in
cui tali si considerano. Anche se si ammettono certe differenze, di identità non è lecito parlare. È infatti
solo una conseguenza della concezione atomistica della struttura delle proteine il fatto che si
concepisca la proteina vegetale come qualcosa di sostanzialmente simile alla proteina animale, come
qualcosa di almeno chimicamente identico. Ma le cose sono del tutto diverse: una più esatta
osservazione dell’organismo umano ci pone dinanzi al fatto che la proteina vegetale neutralizza la
proteina animale, e specialmente quella umana: esse si contrappongono polarmente fra di loro e l’una
annulla in sostanza gli effetti dell’altra. Bisogna proprio riconoscere questa realtà singolare: le funzioni
della proteina animale sono tali da venire pregiudicate, o addirittura parzialmente o del tutto annullate
da parte delle funzioni della proteina vegetale. Questo fa sorgere la domanda: in che cosa consiste
realmente la differenza tra le proteine che compaiono nell’organismo animale e soprattutto in quello
umano, e le proteine vegetali? Nei giorni scorsi ho dovuto menzionare spesso il ruolo importante, nei
confronti dell’ambito extraterrestre, meteorologico, dei quattro sistemi organici rappresentati dalla
vescica urinaria, dai reni, dal fegato, dal polmone, ai quali si aggiunge poi il sistema cardiaco. Che cosa
rappresentano, considerati più in profondità, questi quattro sistemi organici che hanno tanta parte nei
rapporti fra l’uomo e la sfera esterna, meteorologica?
Il significato di questi quattro sistemi organici è quello di essere gli artefici della struttura delle proteine
umane. Dobbiamo dunque studiare quei quattro sistemi organici, e non le forze molecolari o
atomistiche dell’albumina, se vogliamo scoprire le cause della sua natura, del suo comportamento;
dobbiamo considerare la struttura interna delle proteine come una risultante di quanto promana da quei
quattro sistemi organici. L’albumina umana è proprio il risultato della loro cooperazione. Con ciò si
esprime anche qualcosa sull’interiorizzazione di certi effetti esterni nell’uomo; ciò che la chimica
ricerca nella struttura delle sostanze deve essere trasferito all’interno dei sistemi organici. Perciò
l’albumina umana non è pensabile nella struttura che è la sua, nell’ambito della sfera terrestre. Essa non
può conservare la propria struttura se non rimane sotto l’influsso di quei quattro sistemi organici: deve
assolutamente modificare la propria struttura.
Diversamente stanno le cose per la proteina vegetale: essa non si trova sotto l’influsso di quei quattro
sistemi organici, almeno apparentemente: sta però sotto un influsso diverso. La proteina vegetale si
trova sotto l’influsso dell’ossigeno, dell’azoto, dell’idrogeno e del carbonio, nonché sotto l’influsso
dello zolfo, il quale è sempre presente anche nella natura meteorologica esterna e trasmette le funzioni
di quei quattro elementi. Nella proteina vegetale quelle quattro sostanze disperse nell’atmosfera
esercitano un’azione uguale a quella che nell’uomo esercitano il cuore, il polmone, il fegato e così via.
Nella natura extraumana le quattro sostanze possiedono forze formative simili a quelle che entro la
natura umana sono contenete in forma individualizzata nei quattro sistemi organici. È importante tener
presente che con i nomi di ossigeno, idrogeno, ecc. non vanno intese solo le forze interne proprie delle
cosiddette sostanze note alla chimica; queste sostanze vanno sempre concepite come dotate di forze
formative e in costante reciproco rapporto; i loro effetti contribuiscono al patrimonio di ciò che è
terrestre. Volendo entrare nei particolari, si potrebbe identificare l’azione dell’ossigeno che sta nel
mondo esterno con quella del sistema organico renale-urinario (v. il disegno seguente). Il carbonio che
svolge all’esterno le proprie forze formative va correlato all’interno col sistema polmonare, non però
inteso come apparato della respirazione, bensì considerato nelle forze formative proprie del polmone.
L’azoto va messo in relazione col sistema del fegato, l’idrogeno con il sistema del cuore. L’idrogeno
esterno è realmente il cuore del mondo esterno, l’azoto ne è il fegato, e così via.
Sarebbe desiderabile che l’umanità d’oggi non solamente acconsentisse a riconoscere queste cose, ma
che le scoprisse ed elaborasse di sua iniziativa. Se si considera che il sistema del cuore è affine alle
forze formative dell’idrogeno, si riconoscerà senz’altro anche l’importanza che l’attività dell’idrogeno
ha per tutta la parte superiore dell’uomo. In certo senso lo sviluppo dell’idrogeno verso l’uomo
superiore provoca la trasformazione di ciò che nell’uomo inferiore tende all’animale, la trasformazione
in un quid propriamente umano, che tende verso le rappresentazioni, i pensieri. A quest’ultimo
proposito però avevo dovuto dirvi che si perviene a un certo influsso extraterrestre, identificabile col
piombo. Abbiamo definito il piombo, lo stagno e il ferro come forze connesse con l’uomo superiore.
Oggi non esiste certo ancora una forte tendenza a riconoscere un fatto come questo; non è molto forte
l’inclinazione a estendere l’osservazione dall’uomo verso l’esterno, e a riconoscere nell’azione del
piombo qualcosa di speciale, connessa a sua volta col fatto che l’uomo si fa preparare dal cuore
l’idrogeno di cui ha bisogno, idrogeno che poi funge da veicolo alla preparazione dell’apparato del
pensare. L’inconscio progredire dell’evoluzione umana forzerà tuttavia gli uomini a riconoscere questi
fatti, anche senza alcuna esplicita opera di propaganda. Il piombo svolge infatti un suo ruolo nella
natura extraumana, anche se lo si considera solo in certe sue funzioni: l’umanità moderna non può più
negarlo, dato che fra i prodotti di trasformazione del radio la scienza, oltre alla liberazione di elio, ha
trovato proprio il piombo. Proprio come è stato trovato il piombo (anche se il peso atomico non
corrisponde ancora esattamente, lo si considera appunto come piombo), così si finirà per trovare io
stagno, e anche il ferro, l’unico metallo che pur essendo per sua natura extraumano, al tempo stesso
interviene nella natura umana. Ritengo che ormai si possa lasciarsi persuadere anche da considerazioni
nuove, dato che le scoperte sull’energia radiante stanno a indicare mirabilmente che si sta per così dire
uscendo fuori nella natura extraumana, e che si sta giungendo ai metalli, non solo nella forma
grossolana in cui si trovano nella Terra, bensì anche alle loro forze provenienti dalla sfera extraterrestre.
Queste cose oggi vanno pur dette, e proprio la comparsa, nel nostro tempo, di certe malattie nuove ci
induce a osservare che di tali cose va senz’altro tenuto conto.
A questo punto deve interessarci particolarmente quel che nel mondo esterno è carbonio, o idrogeno, o
ossigeno, o azoto, nei loro reciproci rapporti mediati dallo zolfo: tutto ciò viene assunto e
individualizzato interiormente per l’uomo da parte dei quattro sistemi organici. Se si considera
correttamente un rapporto come quello ora indicato, si comprenderà quanto a fondo si guardi entro
l’uomo, purché lo si osservi in questo modo. Non ci si stupirà più, allora, che quanto nell’uomo è
involontario, sottratto cioè all’intervento diretto delle sue funzioni spirituali, venga messo in relazione
con l’intera natura extraumana. Perché d’altra parte è vero anche questo: l’uomo è così fatto, che
dispone, mettiamo, di un sistema renale; ma questo sistema (come ognuno degli altri) ha la tendenza a
divenire l’uomo intero. In fondo, ognuno di quei quattro sistemi organici tende sempre a estendersi
all’uomo intero. Si vorrebbe dire: il rene, con tutte le sue funzioni, vuol diventare l’uomo intero, e così
pure il cuore, il sistema del fegato, il sistema del polmone.
Per persuadersi di realtà come queste, è importante non solo osservare, ma anche imparare a sentire
come si possano rilevare in noi certi effetti del mondo extraumano. A questo proposito è quasi
inevitabile indicare qui in modo netto il confine tra l’ambito della scienza naturale e quello della
scienza dello spirito. Se si porta avanti la propria vita meditativa di medico, armonizzandosi sempre più
con essa, e imparando a sentire se stessi in quanto esseri umani meditanti, si perviene in realtà ad
acquistare una sempre più concreta e reale conoscenza di se stessi. Questa autoconoscenza concreta e
reale non è davvero di poco conto, là dove si tratta di compiti positivi, come ad esempio l’attività
terapeutica svolta nella propria vita. Col progredire nella meditazione ci si avvede che nel proprio
organismo si acquista coscienza di fatti che prima erano del tutto inconsci. Bisognerà solo rendersi
conto di quello che in tal modo va emergendo nella coscienza; ci si avvedrà allora di qualcosa di cui per
adesso è ancora difficile parlare in conferenze pubbliche, o anche in conferenze per non medici, in
quanto ne scaturirebbe una certa tendenza. Se di certi fatti (e su di essi, di natura elementare, attirerò
l’attenzione fra un momento), se di tali fatti si parlasse già oggi in cerchie più ampie, dato
l’atteggiamento morale prevalente nell’umanità, subito verrebbe posta la domanda: ma perché non si
sfrutta tale possibilità? Ecco che si pretende che io mi metta a meditare, ma io posso conseguire lo
stesso risultato con minore sforzo: basta che introduca nel mio organismo questa o quella sostanza! —
Certo, è più comodo introdurre qualcosa invece di meditare, ma così facendo, l’uomo va in rovina
proprio sul piano morale.
Dato l’atteggiamento morale dei nostri giorni, la gente non esiterebbe a preferire alla meditazione
l’ingestione, o comunque l’introduzione di una qualsiasi sostanza che in un primo tempo potrebbe in
apparenza favorire l’iniziale acquisizione di risultati simili a quelli della meditazione. È realmente
possibile. Se infatti si pratica per un certo tempo seriamente la meditazione, cercando anche di rendersi
conto dei suoi effetti, ci si accorge a un certo punto di acquistare coscienza dell’azione radiante del
ferro, con la medesima certezza con cui si sa di avere mani per afferrare o piedi per camminare. La
consapevolezza dell’azione del ferro si risveglia veramente con la certezza diretta che abbiamo delle
nostre mani, o dei piedi o della testa, e dei loro movimenti. Quel che si rende evidente è la coscienza di
sentirsi come un fantasma di ferro, Ora accennavo al fatto che qualcuno potrebbe a questo punto
affermare che, con l’uso di qualche sostanza, si può esaltare la sensitività per il ferro contenuto nel
proprio corpo, conseguendo un effetto simile. Ciò è effettivamente vero, per alcune fasi della
meditazione. Insorgerebbe però il pericolo che qualcuno cominciasse a fare degli esperimenti in questa
direzione, al fine di conseguire in modo facile la cosiddetta « chiaroveggenza ». Procedure di tal genere
sono state seguite spesso. Se si tratta di prove fatte, per così dire, come sacrifici a favore dell’umanità, è
una cosa diversa; ma se invece vengono fatte per curiosità, esse distruggono dai fondamenti
l’atteggiamento morale dell’anima umana. Il van Helmont già citato fu uno di coloro che compirono
molti esperimenti su se stesso in tale direzione, e che in questo modo scoprì di fatto molte delle cose
esposte poi nei suoi scritti. Mentre in Paracelso le conoscenze emergono dal suo intimo come per forze
ataviche, e si ha la sensazione che egli le porti realmente in questo mondo da un mondo sovraterrestre,
il van Helmont conseguiva conoscenze singolari introducendo questa o quella sostanza nel suo
organismo. Lo si può dedurre dal carattere delle sue descrizioni, e inoltre mi sembra che egli vi accenni
esplicitamente in certi passi. Quella sensitività interiore per l’azione radiante del ferro è il primo
risultato che si può conseguire, è un’esperienza che permette di sentire una singolare azione irradiante
che si diparte dall’uomo superiore, diramandosi poi verso tutte le membra. Si consegue chiaramente la
visione, la nozione diretta del fatto che si sta mettendo in azione nel proprio organismo il ferro, o
meglio la sua funzione, le sue forze.
Per poter raffigurare schematicamente questa radiazione del ferro, occorre menzionare anche che essa
non è adatta ad agire come tale, al di là dell’organismo umano. Si ha sempre la sensazione che ciò che
va irradiandosi si localizzi nell’organismo, vi rimanga trattenuto. In ogni parte interviene qualcosa in
senso contrario, qualcosa che condiziona l’arresto delle forze radianti del ferro (v. il disegno seguente).
È come se il ferro emanasse verso la periferia irradiazioni positive e gli si contrapponesse una
irradiazione negativa, e precisamente sotto forma quasi di onde sferiche.
Sono questi i due tipi di percezioni che si hanno: l’elemento radiante e l’esperienza dell’ostacolo contro
il quale si urtano le radiazioni del ferro, l’esperienza di non riuscire a passar oltre e soprattutto di non
poter varcare la superficie del corpo.
A poco a poco ci si avvede che a irradiare in senso opposto è la forza della proteina: mediante il ferro si
introduce nell’organismo un complesso funzionale al quale si contrappone tutto ciò che proviene dai
quattro sistemi organici menzionati in precedenza. Essi si contrappongono; questa lotta è
continuamente presente nell’organismo, ed è la prima cosa che può essere percepita mediante una
visione interiore. Procedendo nello studio della storia spirituale dell’umanità, ci si può proprio
accorgere chiaramente che la medicina ippocratica e perfino ancora quella galenica lavoravano
valendosi dei residui di tali osservazioni interiori. Galeno non era più in grado di percepire gran che
personalmente, però disponeva di molte tradizioni di tempi più antichi e le annotò. Leggendoli in modo
adeguato, si vedono trasparire negli scritti di Galeno molte tracce dell’antica medicina fondata sulla
chiaroveggenza atavica che già con Ippocrate cominciò il suo declino; ecco perché proprio negli scritti
galenici si possono trovare nozioni tanto importanti, relative ai processi di guarigione naturali.
Seguendo i fatti ai quali abbiamo accennato, si perviene allo studio di queste due polarità nell’intero
organismo umano: le radiazioni menzionate e ciò che ad esse si oppone, trattenendole. È importante
tener d’occhio questi fatti, perché tutto ciò che tende a formare, sostanza albuminoidea (nel modo che
ho descritto) ha sempre a che fare con effetti di arresto, mentre tutto quanto di metallico viene
introdotto nell’organismo ha a che fare con gli effetti radianti. Esistono certo importanti eccezioni,
estremamente caratteristiche, dalle quali (proprio perché sono così caratteristiche) si possono ricavare
profonde conoscenze su tutta questa singolare cooperazione di forze che nell’organismo umano si
affermano provenendo dalle più diverse parti dell’universo. Ai fini di tale conoscenza è naturalmente
necessario portare più oltre certi accenni già fatti da me in precedenza, e che si potranno sviluppare nei
particolari. Come esempio, mi limiterò a menzionare il fatto che nelle piante il carbonio difetta di
qualcosa che di regola è in fondo sempre presente nel carbonio animale, cioè di un certo contenuto di
azoto (possiamo constatare questo fatto nel Carbo vegetabilis del quale ci siamo occupati ieri). Questo
fatto condiziona il comportamento del tutto diverso che il carbone vegetale e quello animale hanno
nella combustione. E questo a sua volta produce la tendenza del carbonio animale ad essere coinvolto
nella produzione di sostanze come ad esempio la bile, o il muco o perfino il grasso. La differenza die
possiamo scorgere fra il carbone animale e quello vegetale ci porta a osservare il modo in cui i metalli
in genere operano nell’organismo umano, a differenza delle sostanze non metalliche. Ho detto dunque:
sostanze che irradiano e sostanze die trattengono la radiazione, che la arrestano.
Osservando questa azione polarmente antagonista, si perviene a cose molto importanti.
Nell’esposizione delle nozioni fonda- mentali della scienza dello spirito abbiamo dovuto ricordare
spesso i diversi periodi che si susseguono nella vita dell’uomo: il periodo dell’infanzia, sino all’inizio
della seconda dentizione, il secondo periodo che va fino alla pubertà, e infine il terzo periodo che dura
sin verso il ventunesimo anno. Tali periodi sono realmente connessi con profondi processi
dell’organismo umano. Possiamo dire che nel primo periodo l’intera attività organica dell’uomo sembra
limitarsi, concentrarsi sulla produzione, sull’inserimento dell’impalcatura solida. Il punto finale di
questo sviluppo si raggiunge appunto quando da essa spuntano i denti permanenti. È evidente che tale
tendenza al consolidamento dell’organismo, ancora in gran parte liquido, deve essere connessa con
tutto il processo di formazione della figura umana, e soprattutto con le sue parti periferiche. A questo
proposito è molto significativo che in tutti i processi ora menzionati va attribuita una parte essenziale a
due sostanze a cui di solito si presta poca attenzione: il fluoro e il magnesio. Proprio nei processi
dell’organismo infantile, prima della seconda dentizione, il fluoro e il magnesio svolgono un ruolo di
primo piano, nell’alta diluizione, vorrei dire, in cui essi sono presenti nell’organismo. Il processo del
consolidamento dell’organismo è una continua azione reciproca tra le forze del magnesio e quelle del
fluoro; queste ultime assumono nell’organismo umano quasi la parte di uno scultore che plasma la sua
materia, ne arrotonda le forme, per trattenere le forze radianti; le forze del magnesio agiscono invece
come dei raggi, organizzano i fasci di fibrille nelle ossa, perché vi si possa poi organizzare la sostanza
calcarea. Non è affatto un’assurdità, bensì un’affermazione quanto mai conforme a dò che avviene in
natura, il dire che perché si formi un dente lo « scultore » fluoro ne elabora le forme e la grandezza, il
cemento e lo smalto, mentre il magnesio fornisce e vi immette ciò che dal fluoro deve venire elaborato.
Ecco perché è tanto importante realizzare un giusto equilibrio nella prima infanzia tra l’apporto di
magnesio e l’apporto di fluoro; se tale equilibrio è difettoso, si constaterà sempre un precoce
deterioramento della dentatura. Sin dal primo dente bisogna cominciare a sorvegliare la dentizione,
osservando se lo smalto si sviluppa scarsamente o se i denti tendono a restare troppo piccoli; ne
riparlerò in seguito, per ora vorrei accostarmi per gradi all’argomento. Con una dieta adeguata, Oppure
con l’apporto di fluoro o di magnesio opportunamente preparati, bisognerà provvedere ad ovviare
all’uno o all’altro di quei due inconvenienti. Questo genere di osservazioni ci consente di gettare lo
sguardo proprio nel processo di formazione dell’uomo. L’azione reciproca e contrapposta del magnesio
e del fluoro (cioè di due elementi nettamente extraumani, quanto alla loro costituzione sostanziale) si
riscontra nella prima infanzia perché in questa età l’essere umano è davvero solo una parte del mondo
esterno. Il fluoro viene attinto dal mondo esterno, extraumano, il quale contrasta l’azione radiante del
metallo.
Se invece consideriamo il terzo settennio della vita umana, qui entra in giuoco in modo analogo la
necessità di un rigoroso equilibrio tra il ferro e l’albumina, ossia l’intera formazione delle proteine. Se
tale equilibrio è disturbato e se non entrano in giuoco forti azioni tendenti ad annullare gli effetti del
turbato equilibrio, cioè di una difettosa azione reciproca fra la proteina e il ferro, allora si manifestano
fenomeni che assumono l’aspetto dell’anemia, della clorosi. Se si vuole veramente comprendere quel
che si svolge nel malato, non basta davvero l’osservazione approssimativa dell’uomo durante il suo
sviluppo, limitandosi a constatare certi sintomi, come la carie dentaria che si va preparando già molto
precocemente e che conduce poi ai guasti diffusi della dentatura, oppure gli aspetti chimici più
evidenti, in casi di anemia.
Vi è già noto, almeno approssimativamente, quali metalli partecipino alla costruzione interna
dell’organismo umano. Non vi sono coinvolti proprio quei metalli che sotto certi riguardi vi ho
presentati come i più importanti: il piombo, lo stagno, il rame, il mercurio, l’argento e l’oro, ad
eccezione del ferro. Salvo quest’ultimo, essi non partecipano direttamente al funzionamento
complessivo dell’organismo umano, ma non per questo sono meno importanti per l’uomo. Se andiamo
alla ricerca della sostanza che partecipa alla formazione della parte più periferica dell’organismo
umano, troviamo il silicio; ne ho già parlato. Tuttavia, quel che accade nell’uomo non si trova per così
dire soltanto racchiuso entro la sua pelle; dobbiamo al contrario affermare che l’uomo è inserito entro
processi cosmici. Come entro l’organismo umano hanno importanza le sostanze che vi sono ben note,
così proprio i metalli ora ricordati sono attivi per l’uomo, anche se fuori dell’organismo umano.
Solamente al ferro è affidata per così dire la parte del mediatore fra ciò che dell’uomo si trova
racchiuso entro la sua pelle e quanto invece sta fuori di esso. Di conseguenza possiamo dire: l’intero
sistema che si esplica nella processualità del polmone (e che tende poi a sua volta a diventare l’uomo
intero) si trova in stretta connessione col rapporto dell’uomo con la vita universale della natura.
Bisogna proprio rendersi conto che si coglie solo una parte dell’uomo, se si limita l’osservazione ai
risultati dell’esame anatomico. Questa parte non è per l’appunto la totalità dell’essere umano: è ciò che
si contrappone a quel quid extraumano che però appartiene all’uomo e che a sua volta consiste nelle
azioni di piombo, stagno, rame ecc., nelle azioni cioè che esistono fuori dell’entità umana. Anche
volendo considerare l’organizzazione umana solo nel senso scientifico corrente, non dovremmo mai
delimitare l’uomo nei confini della sua pelle. Per l’uomo hanno infatti importanza non soltanto le
azioni che si sprigionano in certo qual modo dall’interno verso l’esterno, ma più in generale tutte le
azioni che comunque imprimono una certa direzione ai suoi processi organici. In modo molto
significativo si potrà desumerlo da quanto segue!
È noto che certe sostanze agiscono nell’organismo umano semplicemente per il fatto di essere legate a
basi, oppure ad acidi, oppure in forma cosiddetta neutra, in forma di sali. Tuttavia questo
comportamento contrapposto di acidi e basi, e la loro neutralizzazione nei sali, non esaurisce tutta la
problematica; occorre tener conto anche di come la triade di acidi, basi e sali si inserisca entro la
direzione complessiva delle forze organiche dell’uomo.
Si scoprirà che tutto quel che è basico (alcalino) possiede la tendenza a favorire i processi che hanno
inizio, diciamo, dalla bocca e si estendono alla digestione, procedendo dall’avanti all’indietro. Tutti gli
altri processi che. decorrono in questa direzione sono connessi con il principio alcalino. Le basi hanno
dunque a che fare con la direzione « avanti-dietro », gli acidi invece con la direzione contraria. Solo
tenendo presente il contrasto fra l’aspetto anteriore dell’uomo e quello posteriore si giunge a
comprendere la contrapposizione fra gli effetti sull’uomo delle sostanze basiche e quelli delle sostanze
acide. L’elemento salino è invece diretto verso la Terra, in direzione perpendicolare agli altri due: esso
si riversa in tutte le azioni che decorrono dall’alto verso il basso. Bisogna dunque tener conto di queste
tre direzioni, se si vuole riflettere sul modo in cui l’uomo si inserisce in ciò che è basico, in ciò che è
acido e in ciò che è salino. Ecco qui dunque un altro esempio di come l’osservazione dell’uomo possa
gettare un ponte fra la chimica esteriore dei metalli e la sfera fisiologica, grazie alla comprensione delle
forze direzionali. Ecco che risalta anche tutta l’affinità del salino con la Terra, mentre l’elemento basico
e quello acido, nel loro complesso, tendono a muoversi in cerchio intorno alla Terra, in opposte
direzioni. Di conseguenza, imparando a conoscere in un certo modo le direzioni funzionali inerenti
all’organismo, si può apprendere anche a intervenire terapeuticamente su di esse. A tale proposito è
molto importante la possibilità di procedere al trattamento per via esterna, mediante frizioni con
pomate o altri preparati che agiscano dall’esterno. Qui si dovrà studiare che cosa sia attivo in una certa
direzione, se somministrato per via esterna. Può darsi che in certe condizioni l’azione di un cerotto
senapato o quella di una pomata metallica (purché naturalmente preparata in modo adeguato) riescano
altrettanto utili all’organismo di una somministrazione per via interna. Da quanto ho detto risulta però
chiaro che occorre prestare attenzione a come viene applicata la terapia esterna; non è infatti
indifferente, di fronte a un dato quadro patologico, se un cerotto viene applicato in uno o in un altro
punto del corpo. L’essenziale è infatti che con l’applicazione in una certa parte del corpo venga
stimolata la reazione contro la forza nociva. Non sarà certo sempre la cosa giusta il procedere a
un’applicazione grossolanamente localizzata sulla parte dolente o irritata.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 12 – L’ALBUMINA E I SISTEMI ORGANICI
La chimica e la preparazione dei medicamenti
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 31.03.1920
Sommario: Garbo vegetabilis. La chimica e la preparazione dei medicamenti. Formazione del carbone
e processo dell’ossigeno. Produzione originaria di luce nell’uomo superiore. Patologia renale.
L’atmosfera, le zone di calore e luce, e la patologia umana. Kalium carbonicum. Il processo formativo
del guscio dell’ostrica. Formazione della Terra. Formazione del polmone: la respirazione. Fame e sete e
loro correlazioni organiche.
Ieri le nostre considerazioni si sono concluse con un argomento del tutto diverso da quello che era
stato il nostro punto di partenza; anche oggi prenderò le mosse dalla trattazione di una particolare
sostanza, per poi cercar di sviluppare l’insieme. Si è dimostrato necessario accostarci al nostro compito
per così dire in cerchi sempre più stretti, e tale necessità è dovuta in parte all’oggetto stesso del nostro
studio, in parte alla limitazione del tempo disponibile. Non possiamo permetterci di seguire la via
scientifica che prende le mosse dagli assiomi, per procedere poi agli sviluppi più complicati.
Oggi mi propongo di indicarvi un campo di osservazioni che ci porterà avanti di un passo sul nostro
cammino, e prenderò le mosse dal Carbo vegetabilis. Come ieri abbiamo studiato la cicoria e la fragola
di bosco, così oggi studieremo quel che si riferisce a questa sostanza singolare, così facilmente
reperibile, ma che è fra le più singolari sostanze che esistano al mondo. Ci si accorgerà nel modo
migliore che, purché si acceda a una reale osservazione della natura, si è subito costretti a tener conto di
un orizzonte più ampio di quello che è disposta ad osservare l’indagine scientifica attuale.
Nella conferenza tenuta ieri sera dal dottor K. è stato detto che la chimica del futuro dovrebbe diventare
qualcosa di diverso; ciò è molto interessante, tanto più che è stata più volte pronunciata la parola «
fisiologia », con la quale si accennava alla necessità di costruire un ponte fra la sfera chimica e quella
fisiologica. Ascoltando quella conferenza, il mio pensiero correva spesso a diversi argomenti dei quali
non è ancora possibile parlare in pubblico, perché mancano realmente ancora le premesse per la loro
comprensione. Il carbonio infatti si trova anche nella natura extra-umana, in quella natura che vorrei
chiamare apparentemente extra-umana. Che cosa dobbiamo infatti considerare come extraumano, nella
natura? In fondo, nulla, perché tutto quel che ci si presenta come extra-umano è stato allontanato,
espulso dall’uomo, nel corso dell’evoluzione. L’uomo dovette affrontare talune fasi della sua
evoluzione nelle quali potè penetrare solo grazie al fatto che certi processi si svolgono nel mondo
circostante, offrendogli la possibilità di introdurre nel suo proprio interno certi altri processi. In fondo,
è dunque sempre presente un contrasto, ma anche un’affinità tra certi processi esterni e certi altri
processi interni.
Devo dire che i concetti esposti ieri sulla necessità che la chimica diventi affine alla fisiologia (forse
non mi esprimo molto esattamente, ma chi ha ascoltato ieri la conferenza del dottor K. mi capirà di
certo) hanno fatto riecheggiare in me certi interessanti pensieri esposti domenica scorsa dal dottor S.
Egli aveva affermato la necessità di illuminare con la scienza dello spirito ciò che sta a base dei
procedimenti di omeopatizzazione. A un certo punto aveva espresso un pensiero che ha occupato anche
me, posso dire da vari decenni: il pensiero che anche i medici omeopatici hanno un certo timore di
cadere nel misticismo, di finire in odore di misticismo.
La ragione per occuparmene sta in alcune ben determinate opinioni che derivano però’ assolutamente
da certe realtà. Nei procedimenti terapeutici omeopatici l’essenziale non sta tanto nelle sostanze,
quanto nelle operazioni che su di esse si compiono per prepararle, per esempio nel caso dell’acido
silicico o, mettiamo, del carbone vegetale. Vi prego di non fraintendere queste mie parole: per
caratterizzare chiaramente le cose, occorre pur sempre esprimersi in modo un po’ radicale! Dunque
l’essenziale sta nel procedimento di preparazione. Io mi sono occupato molto del problema di che cosa
avvenga realmente quando si vogliono preparare dei medicamenti omeopatici: e ciò vale anche, in
questo caso, per le preparazioni fatte col metodo Ritter (come è stato confermato dal dottor R.), anche
se la signorina Ritter stessa non lo ammette. Nasce dunque il problema di che cosa avvenga quando si
preparano medicamenti omeopatici: e proprio nella preparazione sta l’essenziale, nell’intero processo
della preparazione della sostanza in questione. Che cosa si fa realmente, quando si usa l’acido silicico,
quando lo si elabora fino alle alte potenze? Si opera tendendo verso un certo punto. Ora, in natura tutto
si basa in fondo sopra processi ritmici. Nella preparazione di quei medicamenti si procede verso un
punto zero, percorrendo un certo cammino durante il quale si mettono in evidenza le proprietà presenti
in partenza in quella data sostanza. Ma proprio come il proprietario di un patrimonio che continua a
spendere, perviene infine a un punto zero, al di là del quale non solo non c’è più il patrimonio, ma si
trapassa nei debiti, così avviene anche per le qualità materiali delle sostanze esterne. Si resta in certo
modo entro gli effetti di tali sostanze, finché poi si giunge a un punto zero: oltre questo, non si
manifestano più gli effetti delle sostanze, intese nel loro stato ponderabile. Procedendo ancora più oltre,
non è che tutto quanto sparisca semplicemente: si manifesta invece l’opposto, e da quel punto in poi
questo « opposto » viene attivamente introdotto nel mezzo ambiente. Io ho sempre veduto nel mezzo
adottato per la lavorazione omeopatica, per introdurre la sostanza attiva, gli effetti contrari a quelli delle
sostanze di partenza. Il medium (la sostanza inerte che serve da supporto) riceve una configurazione
diversa; proprio come io divento un altro, se dà proprietario di un patrimonio divento debitore, così una
sostanza trapassa alla condizione opposta, conferendo poi al suo ambiente la condizione opposta che
prima aveva avuto in sé. Si potrebbe dire: una sostanza possiede determinate proprietà; io la porto a
quantità via via sempre più piccole, avvicinandomi per così dire a un punto zero. Allora quella sostanza
acquista una proprietà nuova: quella di irradiare le sue proprietà precedenti nell’ambiente che la
circonda, stimolando in modo specifico il mezzo con il quale viene trattata. Tale stimolazione può
consistere nel provocare direttamente l’azione contraria cui ho accennato; l’azione contraria può però
essere provocata anche solo portando la sostanza in questione ad uno stato in seguito al quale (anche
per esposizione alla luce) essa per esempio dia luogo a una fluorescenza o a una fosforescenza. Si è in
tal modo provocata la reazione alla irradiazione nell’ambiente circostante. Sono questi i dati di cui
occorre tener conto. Non si tratta certo di cadere nel misticismo, ma di osservare finalmente la natura
nella sua vera attività, di osservarla in modo da prestare la dovuta attenzione al suo procedere ritmico,
anche per quanto concerne le proprietà delle sostanze. Questo è per così dire un motivo-guida per
arrivare a conoscere in che cosa consistano gli effetti. Quando si procede a una dinamizzazione, si
perviene prima a un punto zero oltre il quale si trovano effetti opposti. Ma non è tutto: sulla via che si
estende al di là del punto zero si può giungere a un altro punto zero, il quale vale ora per questi effetti
contrari. Oltrepassando anche quest’altro punto zero, si può pervenire ad effetti ancora più forti: essi
operano nuovamente nel senso degli effetti della sostanza di partenza, pur essendo di natura del tutto
diversa. Sarebbe quindi un compito attraente là rappresentazione grafica, sotto forma di curve, degli
effetti che risultano dalla dinamizzazione. Si scoprirebbe allora che le curve dovrebbero venire
costruite in modo singolare. Prima bisognerebbe costruire una tale curva; quando poi si raggiunge il
punto in cui certe basse potenze (per altro già attive) cessano di agire, e in seguito cominciano ad agire
nuovamente solo potenze più alte, quando cioè si è raggiunto un secondo punto zero, bisognerebbe
compiere una svolta ad angolo retto e disegnare la continuazione della curva verso lo spazio, in fuori. È
questo un argomento che tratterò più a fondo nel corso di queste conferenze e che è strettamente
connesso con l’affinità dell’uomo con l’intera natura extra-umana.
Affrontando ora lo studio del Carbo vegètabilis, chi osserva i fatti più appariscenti dirà: se introdotto a
forti dosi, il Carbo vegetabilis provoca un ben determinato quadro morboso il quale, secondo
l’opinione dei medici omeopatici, può essere trattato mediante la dinamizzazione della medesima
sostanza.
Che cosa si presenta allo scienziato dello spirito quando prende in considerazione il carbone vegetale?
Anzitutto egli si sente indotto a indagare nella natura extra-umana come stiano le cose riguardo al
carbone del mondo esterno, al carbone fossile, nel quale il processo di mineralizzazione è più avanzato.
Si scopre allora che nell’intero processo terrestre il carbone partecipa sostanzialmente all’utilizzazione
dell’ossigeno.
Nel processo terrestre il contenuto di carbone della Terra funge da regolatore per il contenuto di
ossigeno dell’ambiente che sta intorno alla Terra. Si giunge proprio alla conoscenza che (se, come è
necessario, essa viene considerata un organismo) la Terra è soggetta a un processo respiratorio, con il
quale è connesso il suo contenuto di carbone. Una chimica come quella che è stata proposta qui ieri si
svilupperà solo quando si avrà appreso a considerare « l’essere carbone » in connessione col processo
respiratorio umano o anche con quello degli animali.
Nei processi che si svolgono fra la formazione del carbone nella Terra e l’attività dell’ossigeno intorno
alla Terra, nell’aria, l’indagine scientifico-spirituale scorge qualcosa che le si rivela proprio come la
tendenza a diventare animale. E questa tendenza al divenire animale si può in fondo caratterizzare solo
in un modo che può destare scandalo. Bisogna infatti affermare che fuori, nei processi che si svolgono
fra la carbonizzazione della Terra e le attività dell’ossigeno nell’atmosfera, si trova un quid che evoca
certe entità, vere entità eteriche le quali (all’inverso di quanto avviene per il regno animale) si
allontanano continuamente dalla Terra, tendono di continuo a sfuggire alla Terra. L’animalità viene
compresa solo se la si considera come ciò che viene tenuto insieme dalla Terra, e che poi emerge
appunto nell’insieme dei processi animali, in contrapposizione alla « de-animalizzazione » della Terra
alla quale ho or ora accennato. Quando introduciamo nell’organismo umano del Carbo vegetabilis non
avviene perciò niente di meno che una introduzione di ciò che rappresenta la tendenza verso
l’animalità. I fenomeni che seguono a tale introduzione (eruttazioni, flatulenza, fino alla diarrea putrida
e alla formazione di emorroidi, nonché d’altra parte a dolori brucianti) nel loro insieme derivano dal
fatto che viene re-introdotto nell’organismo umano il processo dell’animalità che l’uomo espulse da sé
nel corso dell’evoluzione, per poter essere uomo. Questo ci permette addirittura di affermare che,
somministrando all’uomo alte dosi di Carbo vegetabilis, lo si stimola a difendersi contro il processo del
divenire animale che è stato in lui introdotto. Egli si difende facendo valere in sé le forze di cui dispone
per il fatto di avere espulso l’animalità nel corso dell’evoluzione.
Col fatto di avere estromesso l’animalità dalla nostra evoluzione è collegata la possibilità (e so di
esprimere qualcosa di sorprendente, ma è proprio così) di sviluppare effettivamente nel nostro
organismo luce originaria. Nell’uomo superiore noi siamo in effetti produttori originari di luce, in
contrapposto all’uomo inferiore, dove possediamo i necessari organi di difesa contro la totale
animalizzazione, al fine di poter acquistare la facoltà di produrre luce in proprio. Questa è una delle
profonde differenze fra l’uomo e il mondo animale: mentre gli animali possiedono per sé come l’uomo
altri processi spirituali superiori, essi non possiedono la facoltà di produrre in misura sufficiente luce
nell’interiorità.
Sto toccando qui un capitolo, vorrei dire, proprio doloroso della scienza moderna; però non posso
tacerlo, per la semplice ragione che non è possibile evitarlo se si vogliono comprendere i rapporti tra
l’uomo e il mondo extra-umano. Il grande ostacolo per una conveniente comprensione degli effetti
delle diverse sostanze, e soprattutto dei farmaci nell’organismo umano, è rappresentato dalla legge
della conservazione dell’energia, e anche dalla legge della conservazione della materia. Queste leggi,
enunciate come leggi universali della natura, si trovano nel contrasto più assoluto col processo
evolutivo dell’uomo. L’intero processo nutritizio e digestivo non è infatti ciò che ritiene la concezione
materialistica. Questa ritiene in fondo che le sostanze (atteniamoci per ora al caso del carbonio) si
trovino prima fuori di noi; poi il carbonio viene assunto dall’organismo, dopo essere stato
adeguatamente elaborato, viene dunque assunto, sì che finiamo per avere in noi, sia pure in particelle
minutissime, quello che ci ha fornito il mondo esterno. Per tale concezione non vi è in fondo differenza
fra il carbonio che è fuori e quello che portiamo con noi nell’organismo. Eppure la cosa non sta così.
Nell’organismo umano esiste infatti la possibilità che l’uomo inferiore distrugga del tutto, in un primo
tempo, il carbonio extra-umano, eliminandolo addirittura dallo spazio, per poi generarlo nuovamente in
modo originario, nell’effetto contrario.
Le cose stanno proprio così: nell’organismo umano è presente un focolaio per la produzione delle
sostanze che sono extra-umane, e al contempo esiste la possibilità di distruggere tali sostanze.
Naturalmente la scienza d’oggi non potrà accettare un’affermazione come questa, perché essa
concepisce gli effetti delle sostanze esclusivamente come un movimento ininterrotto delle loro minime
particelle. Essa ignora del tutto la vita delle sostanze, la loro formazione e la loro morte; non sa nulla di
come abbiano luogo nell’organismo umano la morte e il ritorno alla vita delle sostanze. Con questa rivivificazione del carbonio è collegata la produzione di luce che, d’altro lato, ha luogo nell’uomo
ordinario. Questo processo di formazione di luce all’interno va incontro per così dire all’azione della
luce esterna. L’uomo superiore è organizzato in modo che la luce esterna e la luce interna agiscano
reciprocamente l’una sull’altra, interferiscano l’una nell’altra; anzi, l’essenziale della nostra
organizzazione si fonda sul fatto che là dove la luce esterna e la luce interna debbono cooperare, noi
siamo in grado di impedir loro di fondersi reciprocamente; le teniamo al contrario separate, sì che esse
agiscano l’una sull’altra, ma non si congiungano. In quanto noi ci esponiamo alla luce esterna, sia con
l’occhio, sia anche con la pelle, viene in certo senso eretta in ogni punto una barriera tra la luce interna,
originaria nell’uomo, e la luce operante da fuori. La luce operante esteriormente ha in fondo solo il
significato di uno stimolo alla formazione della luce interna. Accogliendo in noi la luce da fuori, noi ci
facciamo stimolare alla produzione della luce interna.
A questo punto si tratta di comprendere ancora meglio tutto il processo in questione. Esaminando ciò
che nell’uomo partecipa alla demolizione della sostanza-carbone, si perviene ai reni e agli organi
urinari in genere, nonché alla loro attività rivolta verso l’alto. Cosicché ci avviciniamo, all’interno
dell’uomo, al processo dei reni quando rivolgiamo la nostra attenzione al processo che nel mondo
extra-umano è connesso col carbone. Si apre così al tempo stesso una via all’uso nell’uomo di un
prodotto qual è il Carbo vegetabilis. Cominciando dalle malattie meno importanti, si potrebbe dire che
una via risulta dal fatto che col Carbo vegetabilis si ha la possibilità di contrapporsi alla
animalizzazione dell’uomo che porta alla nausea. L’intero quadro morboso caratteristico del Carbo
vegetabilis consiste in fondo nella nausea e nella estensione della nausea all’interno dell’uomo. Il polo
attivo opposto a tale quadro morboso è costituito dal processò opposto nell’uomo, connesso con la
funzione del sistema renale.
Di fronte a un quadro morboso simile a quello che si può provocare artificialmente con alte dosi di
Carbo vegetabilis, si potrà favorire l’intero processo renale mediante alte potenze di Carbo vegetabilis:
lo si stimolerà, opponendosi in tal modo al processo morboso che è simile agli effetti del Carbo
vegetabilis introdotto in alte dosi. Nello studio di questo rimedio sarebbe pertanto essenziale lo scoprire
in che modo si comporti nei confronti della sua dinamizzazione l’intero processo renale dell’uomo.
In questo contesto il processo renale può operare anche contrapponendosi attivamente al processo
digestivo: può cioè intervenire contro un certo disturbo della digestione (che si presenta come
fenomeno secondario nel quadro morboso del Carbo vegetabilis), mettendo in opera per questo suo
intervento risanatore la sua attività polarmente contrapposta rispetto a quel disturbo della digestione
intestinale.
Ai processi cui va soggetto il Carbo vegetabilis si contrappone dunque da un lato la formazione di luce.
Potrete comprendere complessivamente quanto ho detto adesso, valendovi dell’immagine che ora
traccerò. Raffiguriamoci la Terra (v. il disegno) qua in basso; essa è circondata dall’aria, e al di sopra
dell’aria vi è qualcosa d’altro. È ciò che si potrebbe a tutta prima denominare una specie di manto di
calore della Terra. Se si percorresse lo spazio che circonda la Terra, si troverebbero infatti condizioni
caloriche del tutto diverse da quelle terrestri, condizioni che susciterebbero grande stupore se fossero
conosciute dalla gente. A una certa distanza dalla Terra ciò che si trova nelle forze del calore svolge un
ruolo simile a quello che l’atmosfera stessa svolge al di sotto del manto termico menzionato. Nel
disegno ho segnato la zona calorica extraterrestre, nonché quella dell’aria (cioè l’atmosfera). Al di là
della zona in cui opera il calore si trova il contrapposto della zona dell’aria, una sfera cioè in cui tutto si
comporta in modo contrario a ciò che avviene nell’atmosfera. In questa zona (segnata nel disegno come
« luce ») viene per così dire annullata l’esistenza dell’aria, mentre per effetto della soppressione
dell’aria si sprigiona da questa zona quello che ci viene inviato come luce.
È una vera assurdità il credere che la nostra luce terrestre provenga dal Sole; è una fantasia (piuttosto
fatale) dei fisici e degli astronomi. La nostra luce terrestre proviene dalla zona ora indicata: ivi essa
scaturisce, viene prodotta, ivi essa cresce come le piante crescono qui da noi sulla Terra (cfr. il
disegno). È dunque giustificato raffermare: se l’uomo produce in sé luce originaria, neoformata, questo
è dovuto al fatto che, grazie ai suoi processi formativi, l’uomo si è riservato di fare ciò che altrimenti
avviene solo in quella zona lassù, al fatto che l’uomo porta in sé la fonte di qualcosa di extra-terrestre.
Certamente quella fonte extra-terrestre agisce sull’intero mondo vegetale, e agisce anche sull’uomo
stesso, così come opera dall’esterno sul mondo delle piante: tuttavia con una parte di sé l’uomo si trova
trasferito lassù.
Ci si può ora chiedere: se da un lato ci accostiamo alla Terra un po’ di più di quanto lo sia la sfera
dell’aria, forse che, dall’altro, penetriamo più a fondo nell’essere umano? Se dalla sfera aeriforme ci
avviciniamo maggiormente alla Terra, perveniamo a tutto ciò che è liquido: al di sotto della zona aerea
possiamo ammettere senz’altro la zona dei liquidi. Quest’ultima possiede essa pure la sua
controimmagine all’esterno, ancora più in alto della zona della luce. Anche in questo caso, nella zona
esterna tutto è diverso, polarmente contrapposto a ciò che avviene nella zona dei liquidi: lassù cresce
per così dire qualcosa, come nella zona precedente cresce la luce: si tratta delle forze chimiche, che
crescono lassù e operano sulla Terra (cfr. il disegno). È infatti assurdo ricercare nelle sostanze stesse,
sulla Terra, gli impulsi per gli effetti chimici; essi non si trovano sulla terra, ma vanno incontro alla
Terra dalle regioni menzionate.
L’uomo però ha a sua volta in sé qualcosa che opera in lui come avviene lassù: egli ha in sé per così
dire un chimico; ha in sé qualcosa della sfera celeste nella quale si trova l’origine delle azioni chimiche.
Ciò che nell’uomo agisce così è localizzato precisamente nel fegato. Merita di essere studiata la
singolare attività svolta dal fegato nell’organismo umano, l’ampia sua partecipazione, da un lato alla
composizione del sangue, con una specie di azione risucchiarne, mentre d’altro lato agisce mediante la
secrezione biliare come un regolatore dell’intera preparazione del liquido sanguigno. Osservando tutta
questa molteplice attività del fegato, vi si dovrà scorgere, se studiato a fondo, ciò che presenta la
chimica vera, poiché la realtà della nostra chimica esteriore non si può affatto trovare sulla Terra. Essa
va considerata come un’immagine speculare della sfera chimica extra-terrestre. Questa può però essere
studiata anche mediante le mirabili azioni compiute dal fegato umano.
Possiamo ora procedere oltre, dal Carbo vegetabilis e dai suoi effetti per così dire interni mettendolo in
rapporto con gli alcali, per esempio con il carbonato di potassio (Kali carbonicum), e provocando così
certi effetti nell’organismo umano. In genere, tutto ciò che è fortemente alcalino agisce più in
profondità verso l’interno dell’organismo, verso i processi epatici, mentre ciò che è in rapporto col
Carbo vegetabilis tende nei suoi effetti verso il sistema renale. Potremo così percepire una evidente
azione reciproca fra tutto quello che è alcalino e i processi del sistema epatico. Se si studiasse a fondo
tutto quello che è alcalino, si troverebbe che esso sta in relazione col divenire vegetale dell’uomo e con
l’eliminazione del regno vegetale dall’evoluzione umana, come tutto ciò che è affine al carbone è in
rapporto con la animalizzazione dell’uomo.
Nelle conferenze precedenti ho già accennato a un processo che è importante se dalle azioni che si
svolgono in natura si vogliono ricavare gli effetti che si esercitano sull’uomo. Si tratta del processo di
formazione del guscio dell’ostrica. Qui si procede dalla risultante che nasce dall’accompagnarsi del
carbone col potassio, a quella della combinazione col calcio. Questo processo del concorrere del
carbone col calcio viene però attenuato, nel guscio dell’ostrica, dal fatto che qui concorrono forti azioni
legate al fosforo. Nel guscio dell’ostrica collaborano tutti questi fattori, insieme ad alcuni altri dovuti
alle forze marine circostanti.
Osservando il processo di formazione del guscio dell’ostrica, procediamo di un passo nella conoscenza
del rapporto fra l’uomo e la natura extra-umana. Se dalla sfera dell’acqua scendiamo verso il basso (v.
il disegno precedente), perveniamo a ciò che vorrei chiamare il consolidamento, la formazione del
solido, della terra. Si è oggi quasi imbarazzati nell’usare i termini di terra, acqua, aria e fuoco, perché
sono bollati dal ridicolo nell’opinione generalmente diffusa che gli antichi erano proprio un po’ stupidi
a parlare di quei quattro cosiddetti elementi. Qui, nell’ambito dei nostri studi, possiamo permetterci
almeno di accennare qualche volta a tali fatti. Senonché anche la formazione della solida terra ha la sua
contro-immagine fuori, nel mondo extraterrestre. Tale controimmagine è rappresentata dalla
formazione della vita, è realmente l’origine del processo di vitalizzazione. Si tratta delle forze della
vita, le quali provengono dunque da ancora più lontano delle forze chimiche: quelle forze di vita
vengono completamente uccise, fatte morire, in seno alla Terra nel mondo extra-umano, entro
l’elemento propriamente terroso (cfr. il disegno precedente).
A questo punto vorrei inserire una considerazione che potrebbe interessare qualcuno dei presenti. La
nostra Terra andrebbe soggetta a un continuo proliferare di formazioni viventi, quasi di carcinomi, se da
parte dell’extraterrestre non venisse contrapposto il processo che viene svolto in direzione della Terra
da parte del pianeta Mercurio, il processo mercuriale. È importante che almeno una volta queste cose si
siano pensate. Nella formazione del guscio dell’ostrica noi scorgiamo quasi come trattenuto a un
gradino inferiore ciò che si svolge nella formazione della Terra in generale e che potremo anche
denominare l’elemento che conferisce forme entro il divenire delle sostanze. Il guscio dell’ostrica non
viene inserito totalmente nella formazione della Terra soltanto per il fatto che esso ha ancora certi
rapporti col mare, con l’acqua, e quindi trattiene in certo modo il processo di solidificazione a un
gradino precedente, consolidandosi cioè a un gradino precedente della formazione terrestre. I lombrichi
non sono in grado di fare ciò perché non possiedono un guscio, e tuttavia da essi si dipartono certi
effetti. Si può quindi validamente affermare che se non esistessero i lombrichi non vi sarebbero
neppure le forze formative all’interno della terra. I lombrichi partecipano in modo essenziale allo
svolgimento del processo di formazione della Terra. Nel loro insieme i lombrichi costituiscono
qualcosa che va oltre la formazione del guscio dell’ostrica, qualcosa che ha certi rapporti con la Terra
intera, come li ha il guscio dell’ostrica. Grazie alla loro azione non si realizza una formazione di gusci
d’ostrica, bensì quel che si trova nel terreno coltivabile, nell’humus, e in tutto ciò che gli è affine e che
ne scaturisce.
Se ora andiamo alla ricerca nell’uomo del processo ancora più interno di quello affine alle forze
chimiche, quello cioè che è connesso col fegato, è naturale il premettere che occorre riferirsi a un altro
organo. È il polmone che entro l’organismo umano va considerato in duplice modo. Esso è anzitutto
l’organo destinato al processo respiratorio, ma per quanto possa sembrare strano, lo è in modo soltanto
esteriore. Il polmone è al tempo stesso l’organo che regola nel più profondo dell’uomo il processo di
formazione dell’elemento terra. Se, procedendo dall’esterno verso l’interno, cominciando dal processo
digestivo, attraverso quello della formazione del rene, poi della formazione del fegato, si giunge fin su
al processo di formazione del polmone, vale a dire a ciò che forma interiormente il polmone
(prescindendo dal fatto che questo organo serva funzionalmente alla respirazione), se si studia questo
ultimo si scopre che esso è l’opposto di quello che si manifesta nella formazione del guscio dell’ostrica.
Nel suo processo di formazione del polmone, l’organizzazione umana ha fatto proprio, ha introdotto in
sé quello che nell’universo esterno si trova al di là della zona chimica (v. il disegno precedente).
Basta osservare il quadro morboso reale, provocato in certe condizioni nell’uomo dal carbonato di
calcio, per scoprire che esso è strettamente connesso con tutti i processi che sono propri della vita
intrinseca del polmone. È però difficile sceverare tali processi da quelli che nel polmone si svolgono
sotto l’effetto del processo respiratorio. Proprio per il polmone, in quanto serve all’organizzazione
umana in due diverse direzioni, occorre però tener conto che esso ha dei compiti funzionali verso
l’esterno e altri compiti funzionali verso l’interno. Le degenerazioni del polmone vanno ricercate in
processi simili a quelli che si svolgono nella formazione del guscio d’ostrica e naturalmente anche in
altri affini, come quello della lumaca.
Ci stiamo così avvicinando, dalla parte opposta, a quello a cui ci siamo avvicinati ieri: ieri però il
cerchio potè chiudersi meglio, ma ci riusciremo anche in questo caso nei prossimi giorni. Ci stiamo
dunque avvicinando a riconoscere nell’attività dei reni, del fegato, dei polmoni qualcosa che,
svolgendosi all’interno dell’uomo, corrisponde verso l’esterno alle attività svolgentisi rispettivamente
nell’aria, nell’acqua e nella terra solida. All’attività che si compie nell’aria corrisponde tutto quello che
si riconnette in senso largo al sistema renale, alle funzioni urinarie. Ciò che è affine a tale sistema,
considerato nelle sue parti più interne, cioè i reni, è in grado, in determinate condizioni, di provocare la
dispnea, l’affanno di respiro: ed è proprio questo sintomo che si presenta in alto grado come effetto
postumo della introduzione di Carbo vegetabilis. Possiamo dunque dire che le ragioni più profonde dei
disturbi del sistema respiratorio vanno ricercate in realtà nel sistema renale.
Per tutto quello invece che è connesso con l’elemento liquido, acqueo, le ragioni più profonde vanno
ricercate nel fegato. Come la dispnea e la regolazione del respiro, il fabbisogno di respiro, sono
connessi col sistema renale, così la sete è connessa col sistema del fegato. Sarebbe proprio un compito
interessante quello di studiare negli effetti epatici i reciproci rapporti fra le diverse qualità della sete
umana. Con la intima costituzione del polmone, in certo senso con il ricambio interno del polmone,
sono poi strettamente connessi i fenomeni della fame e quanto vi si ricollega.
La fame, la sete e il bisogno di respirare sono certamente connessi da un lato, nell’ambito del
ponderabile, con la terra, l’acqua e l’aria. Altri fatti stanno invece in rapporto con le loro
controimmagini, fuori, nell’universo. Si può inoltre capire che, quando abbiamo bisogno di una
stimolazione da parte della luce, perché è indebolito ciò che in noi produce la luce originaria,
neoformata, il meglio sarà ricavare dalla luce stessa tale stimolazione: si giunge così a giustificare certe
terapie fondate sulla luce. Non sempre però i bagni di luce sono realmente bagni di luce, ed è
importante tenerne conto. In realtà i bagni di luce sono infatti un’esposizione alla zona chimica, più
intensa di quella a cui si è esposti di solito sulla Terra. Nella maggior parte dei bagni di luce è attivo in
realtà ciò che affluisce come chimismo da fuori, e che naturalmente accompagna la luce. Come ho
accennato nello schema (v. il disegno precedente), dietro a quel chimismo si trovano le forze vitali che
in certo qual modo sono presenti anch’esse, quando si fa agire sull’uomo più intensamente la luce o
un’azione chimica.
Purché si eviti dunque un’azione eccessiva (naturalmente quello che conta è sempre la giusta misura) di
ciò che affluisce dal cosmo, portato dalla luce, le azioni chimiche e anche le azioni vitali che
accompagnano la luce esercitano un effetto quanto mai benefico.
Per finire, vorrei menzionare solo di sfuggita che a questo punto non vi stupirete più del fatto che la
scienza attuale non riesca a farsi un’idea dell’origine della vita. Infatti, nelle regioni in cui essa la
ricerca si trova soltanto la controimmagine della vita, vale a dire la morte, e questo per effetto
dell’azione di Mercurio. La vita andrebbe invece ricercata là fuori nel cosmo, dove la scienza non vuole
cercarne l’origine. Essa infatti si rifiuta di penetrare nell’extra-tellurico; se proprio non può farne a
meno, dà anche a quest’ultimo una veste materialistica (come hanno fatto taluni). È infatti una
bellissima traduzione materialistica dell’azione delle forze di vita provenienti dal cosmo, quella
dell’ipotesi che i germi della vita siano caduti sulla nostra Terra provenendo da altri corpi celesti. Ecco
dunque che quei germi di vita vengono trasportati attraverso tutti gli ostacoli, provenendo da altri corpi
celesti, per poi apparire sulla nostra Terra, e c’è perfino chi ha prospettato l’ipotesi che i meteoriti siano
serviti loro da veicoli! Vedete dunque che nel nostro tempo si è giunti perfino a credere di aver spiegato
qualcosa con una simile teoria materialistica. Come ci si illude di avere spiegato quello che si osserva
su scala macroscopica, trasferendolo su scala microscopica od ultramicroscopica, al livello di molecole
o di atomi, così si crede di avere spiegato l’origine della vita semplicemente avendola trasferita altrove.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 11 – LA CHIMICA E LA PREPARAZIONE DEI MEDICAMENTI
Relazione dell’organismo umano col regno
vegetale e col regno minerale.
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 30.03.1920
Sommario: Modalità d’azione di Anisum vulgate, Cichorium intybus, Equisetum arvense, fragola di
bosco, lavanda, melissa. Relazione dell’organismo umano col regno vegetale e col regno minerale.
Qualità terapeutiche dei minerali e dei minerali contenuti nelle piante. Diversi tipi di alimentazione; la
dieta cruda. La cottura come processo risanatore. L’uomo periferico e l’uomo centrale. Digestione,
secrezione, formazione dell’urina e del sudore. La sifilide. La formazione dell’organismo femminile.
Significato ontogenetico dell’elemento femminile e di quello maschile.
Fa parte del carattere di questo corso piuttosto la ricerca del metodo con cui fecondare lo studio della
medicina, che l’addentrarci in molti particolari che in fondo hanno sempre solo un’importanza relativa.
Proprio lo studio metodico della connessione dell’uomo con la natura extraumana dovrebbe però essere
adatto a fornire a ognuno gli strumenti per poter compiere da sé osservazioni dei fenomeni naturali.
All’inizio di questa conferenza vorrei perciò menzionare alcuni fatti che ci possono indicare la via per
fare qualche scoperta in un determinato campo.
La vera e propria indagine scientifico-spirituale, seguendo certe linee direttive, è naturalmente in grado
di mettere in luce alcuni fatti che possono poi venir verificati proprio nel modo indicato dal dottor S.
nella sua conferenza di ieri. D’altro lato, occupandosi di queste cose, se ne ricavano indicazioni anche
per altre. Vorrei quindi oggi accennare a un paio di esempi che possono essere significativi. Rimaniamo
per ora nell’ambito dei vegetali e osserviamo ad esempio come l’anice, Anisum vulgare, agisca
sull’organismo umano in generale. Constatiamo che il suo effetto caratteristico è quello di favorire le
secrezioni in genere: l’anice agisce come diuretico, stimola la secrezione del latte e anche quella del
sudore. Ci chiediamo quale sia la ragione di questa sua azione. Proprio in questa pianta troviamo che la
sua efficacia dipende dalle particelle di ferro, o di sali ferrosi, in essa presenti e finemente dispersi;
possiamo quindi percepire chiaramente che l’azione dell’anice dipende dal fatto che la processualità
che di solito si svolge nel sangue per effetto del ferro, viene per così dire estratta dal sangue e sospinta
per qualche tempo nella regione situata al di sotto del sangue. Proprio in certe piante possiamo studiare
bene come i loro effetti si estendano ai diversi ambiti organici, perché esse agiscono molto fortemente
sulla regione intermedia dell’organismo, fra l’esterno e l’interno, fra la superficie del corpo e il cuore.
Possiamo quindi ricavarne linee direttive per ricerche da compiere razionalmente nel campo della
farmacologia.
Consideriamo ad esempio una pianta che sotto questo aspetto è per così dire quasi una maestra della
natura stessa, cioè il Cichorium intybus. Purché lo si voglia, la cicoria consente di fare le più svariate
osservazioni sull’organismo umano. Da un lato possiamo scoprire che essa è un rimedio contro la
debolezza digestiva, è attiva cioè su organi posti a diretto confronto col mondo esterno; dall’altro lato il
Cichorium intybus è attivo anche sul sangue, favorendo i processi che in esso debbono compiersi e
impedendo l’insorgenza di processi perturbatori nello stesso liquido sanguigno. È infine assai
significativo che il Cichorium estenda la sua azione curativa anche a processi molto periferici, in certe
condizioni perfino agli organi del capo, ma soprattutto a quelli della gola e del petto, ai polmoni. Lo
studio di questa pianta è tanto interessante proprio perché essa esplica azioni tanto intense sulle più
diverse parti dell’uomo; le possiamo scorgere distribuite quasi a ventaglio. Se ci chiediamo la ragione
dell’efficacia della cicoria nella debolezza digestiva, troviamo che essa dipende dalla sostanza estrattiva
amara, presente nel Cichorium, che si manifesta nel suo sapore forte. Le sostanze estrattive amare, che
hanno ancora un carattere fortemente vegetale, sono dotate di una particolare affinità con tutte le
sostanze che non sono ancora state molto elaborate dall’uomo e che si trovano ancora in certo modo in
uno stato simile a quello in cui si trovano nel mondo esterno.
Dobbiamo avere ben presente che le sostanze del mondo esterno vengono ancora poco elaborate nel
primo tratto digestivo che arriva fino allo stomaco; poi vengono ulteriormente elaborate, per comparire
infine nel sangue, al di là dell’intestino, molto trasformate. Appaiono poi completamente trasformate
alla periferia, nel sistema osseo, nel sistema nervoso e nel sistema muscolare. Ora, le sostanze estrattive
hanno una forte affinità con le sostanze esterne ancora poco o nulla elaborate.
Il Cichorium intybus contiene però anche dei sali alcalini, sali di potassio, e soprattutto nel potassio
dobbiamo ricercare quel che agisce entro il sangue. Scorgiamo dunque proprio nel Cichorium intybus
come si separino le forze. Quelle proprie delle sostanze estrattive, a causa della loro affinità, sono
dirette verso gli organi della digestione. Invece le forze proprie dei sali alcalini posseggono un’affinità
diversa e sono dirette verso gli organi collegati con il sangue o verso il sangue stesso. Vi è inoltre
presente acido silicico in grande quantità, e questo agisce al di là del sangue, fin negli organi della
periferia, attraverso il sistema nervoso e il sistema muscolare fin dentro il sistema osseo. È come se il
Cichorium intybus ci indicasse: eccomi qua, io mi lascio dividere in tre in modo da agire su tutte e tre
le parti dell’organismo umano. Questi sono gli esperimenti che la natura compie sotto i nostri occhi, e
che sono in realtà molto più significativi degli esperimenti che noi siamo in grado di compiere. La
natura è infatti molto più ricca di intenzioni di quanto possiamo esserlo noi stessi quando le poniamo
dei quesiti con i nostri esperimenti.
Sotto quest’aspetto è molto interessante anche l’Equisetum arvense: anch’esso si rivela molto efficace
contro la debolezza digestiva, ma a sua volta produce effetti periferici molto intensi. Se ci chiediamo
quale sia la base degli intensi effetti periferici dell’Equisetum arvense, la risposta sarà: il suo contenuto
di acido silicico. In tal modo, con un semplice studio comparativo (e quel che ho detto adesso si può
applicare alle piante più svariate, studiando veramente la botanica dal punto di vista medico), si potrà
trovare che tutto quel che è ancora simile alla qualità vegetale, che si manifesta come sostanza
estrattiva, ha una sua affinità con il tratto digestivo, mentre quel che ha già una tendenza allo stato
minerale, cioè l’acido silicico, vuole per così dire procedere assolutamente dal centro verso la periferia
dell’uomo e qui agisce anche in senso terapeutico.
Addirittura splendida per la sua efficacia è poi una pianta molto modesta, ma quanto mai istruttiva:
Fragaria vesca, la fragola di bosco. La sua azione viene però assai poco osservata, perché la fragola
viene mangiata dagli uomini, la cui organizzazione ne maschera per così dire l’azione. Proprio in un
caso del genere, in cui un’azione terapeutica viene per lo più mascherata, si potrebbero condurre
esperimenti su persone in certo modo ancora sensibili, quelle cioè che di solito non mangiano fragole.
Risalterebbe allora tutto il valore che ha la fragola di bosco. Da un lato infatti essa è capace soprattutto
di normalizzare la formazione del sangue; essa favorisce in tutti i modi la formazione del sangue, e
quindi la si può usare in soggetti che non si rendono immuni verso le fragole nutrendosi di esse. Perfino
in certi casi di diarrea, ad esempio, certe forze che si manifestano in modo anormale nell’addome
provocando appunto diarrea, vengono ricondotte nella loro sede normale, nel sistema sanguigno.
Da un lato si ha dunque nella fragola di bosco una forza essenzialmente emopoietica e dall’altro è
presente l’acido silicico, che per sua natura tende a portare verso la periferia quanto si trova all’interno
dell’organismo. Pensate un po’ che cosa meravigliosa è mai la fragola di bosco! Grazie al suo
contenuto di acido silicico essa ha la tendenza a sviluppare una certa forza fino alla periferia
dell’organismo. Quando poi una certa forza si sviluppa alla periferia dell’organismo, si presenta un
pericolo: se si dirige verso la periferia un eccesso di acido silicico, può accadere che la forza diventi per
così dire incontrollabile, se non vengono dirette contemporaneamente verso la periferia sufficienti
sostanze nutritive, vale a dire se non si è arricchito a sufficienza il sangue, in modo da provvedere di
sostanze nutritive il processo causato dall’acido silicico. La fragola di bosco è dunque un modello
esemplare: si prepara da sé allo stesso tempo il sangue che deve venir spinto alla periferia. In modo
meraviglioso essa ci mostra che cosa occorre fare per aiutare il processo suscitato dall’acido silicico
alla periferia dell’organismo umano. In diverse specie (e gli esempi si potrebbero moltiplicare) la
natura ci propone delle conoscenze meravigliose, purché si abbia l’intuizione necessaria per
interrogarla nei punti giusti.
In questa prospettiva possiamo prestare attenzione anche a qualche altra pianta, per esempio studiando
l’azione terapeutica, abbastanza ampia, della lavanda, Lavandula officinalis. Troveremo che la lavanda
ha una forte efficacia terapeutica per tutto quel complesso sintomatologico che vorrei chiamare
debolezza psichica negativa: deliqui, debolezza nervosa, paralisi. La lavanda agisce alla periferia
dell’organismo umano in modo da spingere fuori il corpo astrale che in tal modo perde il suo potere sul
corpo fisico.
A proposito delle piante, e più in genere delle sostanze efficaci negli stati nervosi negativi, se così li
vogliamo chiamare, ci si può chiedere se esse siano efficaci anche in certi altri stati nervosi negativi, in
qualche modo opposti ai primi, ad esempio in caso di mestruazioni scarse. Si troverà che tali sostanze
agiscono sempre sia in una direzione, sia nell’altra. Una pianta particolarmente attiva in ambedue le
direzioni è ad esempio la melissa: essa è molto efficace in casi di vertigine, di deliqui, ma stimola
anche fortemente le mestruazioni.
Ho citato questi esempi per mostrare come si possa seguire il processo vegetale esterno nella sua
somiglianza con il processo che si svolge all’interno dell’uomo. Si dovrà però tener conto del fatto che
la pianta è in realtà affine solo a una parte dell’essere umano. Su tale constatazione vorrei far riflettere
tutti coloro che un po’ fanaticamente vorrebbero limitarsi alla sola fitoterapia, un orientamento che pure
esiste ai giorni nostri. L’uomo è realmente costituito in modo da contenere in sé tutti i regni della
natura, oltre al regno umano che di lui consiste; egli fu in passato affine a tutti gli altri regni della
natura, per quanto riguarda i suoi processi formativi e i suoi stadi evolutivi. L’uomo espulse in certo
modo da sé tutti gli altri regni della natura e in certi casi oggi può accogliere nuovamente in sé parte di
quanto aveva espulso. Si tratta proprio di un processo di reintroduzione nell’uomo, ed è molto
importante riconoscere che di questo si tratta.
Nel processo terapeutico noi dobbiamo reintrodurre nell’organismo umano per primo quello che fu
espulso per ultimo. Prescindendo per ora dal regno animale, a cui accenneremo più avanti, noi abbiamo
espulso da noi stessi il vero e proprio regno minerale solo dopo il regno vegetale; dobbiamo quindi
renderci conto che è un’unilateralità voler stabilire una connessione esclusivamente fra l’uomo e il
regno vegetale. Tuttavia il regno vegetale è sempre molto istruttivo, perché dopo tutto la pianta non
agisce terapeuticamente solo mediante la propria natura vegetale, bensì anche mediante ciò che di essa
appartiene al regno minerale.
Ecco perché il regno vegetale rimane istruttivo. Tuttavia bisogna tener presente che la pianta rielabora a
sua volta uria parte di quello che proviene dal regno minerale, e che quanto da essa è stato rielaborato è
meno efficace, come rimedio, di ciò che invece non è stato ancora trasformato. Così ad esempio l’acido
silicico elaborato dalla pianta, una volta inserito nel processo vegetale, è come rimedio meno efficace
dell’acido silicico presente nei minerali. Quest’ultimo richiede dall’organismo uno sforzo molto
maggiore per venire assimilato, per venir ricomposto in un’unità, di quel che richiede l’acido silicico
presente nel regno vegetale.
Occorre insistere sempre di nuovo sul fatto che l’uomo deve sviluppare una forza tanto maggiore,
quanto più intensa è la forza che gli si contrappone. Non vi è dubbio che gli si contrappone una forza
più intensa quando si trova a dover assimilare delle sostanze minerali, e a superarne le forze, che
quando deve assimilare solo dei vegetali. Su ciò si basa anche la differenza fra l’alimentazione
vegetariana e quella carnea. Vi prego di considerare questa mia affermazione solo come un inciso,
perché non intendo qui fare propaganda per un qualsiasi regime alimentare; non voglio assolutamente
prendere posizione per l’uno o per l’altro tipo di alimentazione, ma intendo solo esporre le cose come
stanno. Nutrendoci di soli alimenti vegetali, noi uomini dobbiamo compiere l’intero processo, da cui
almeno in parte ci libera l’animale in quanto ha già elaborato i vegetali per un certo tratto. Si potrebbe
esprimere la cosa in questo modo: il processo, compiuto dalla pianta fino a un certo punto, viene
condotto oltre dall’animale, di modo che il processo in questione, quello della formazione dell’animale,
si arresta a un certo punto mentre nel caso delle piante si arresta prima. Chi si nutre di carne non
compie la parte del processo che è compiuta dall’animale: lascia che sia l’animale a compierla per lui.
L’uomo che si nutre di carne non sviluppa quindi in sé le forze che dovrebbe invece sviluppare se si
nutrisse di soli alimenti vegetali ai quali dovrebbe far compiere con le sue forze quel tratto di cammino.
Nutrendosi con alimenti vegetali, l’organismo deve suscitare al suo interno tutt’altre forze che quando
si nutre di carne. Tuttavia le forze necessarie per superare la natura vegetale e portarla al livello
animale, sono sempre presenti: se non vengono usate, rimbalzano per così dire all’interno
dell’organismo e ivi si esplicano. Esse agiscono allora in modo da disturbare e stancare profondamente
l’uomo. Bisogna pure sottolineare perciò che con la dieta vegetariana si consegue una diminuzione
sostanziale dell’affaticabilità: l’uomo acquista una maggiore capacità di lavoro, perché è abituato a
suscitare al suo interno forze che, quando si nutre di carne, non vengono suscitate, e possono addirittura
provocare dei perturbamenti nell’organismo. Ho già detto che non sto facendo della propaganda. So
bene che anche medici omeopatici mi hanno ripetuto spesso che si rischia di far ammalare di
tubercolosi le persone alle quali si toglie l’abitudine di nutrirsi di carne. Può darsi, ma quanto ho ora
esposto è il puro e semplice dato di fatto incontrovertibile. Sono naturalmente disposto ad ammettere
che oggi esistono organismi che non sopportano un’alimentazione esclusivamente vegetariana e che
hanno bisogno anche di alimenti carnei. Si tratta allora di una condizione individuale.
Ora, se si riconoscerà la necessità di creare in terapia anche un certo rapporto con il regno minerale e
con le sue forze, si perverrà a un diverso atteggiamento terapeutico. Questo è un problema del quale ci
si è già occupati, ma che a mio parere potrà venir risolto solo in questo modo, potrà venir compreso
soltanto da un punto di vista scientifico-spirituale.
Un altro problema molto importante per i suoi riflessi terapeutici è a mio giudizio quello
dell’alimentazione con cibi cotti o con cibi crudi. Anche qui non si tratta di essere favorevoli a questa o
a quella tesi, e anzi a questo proposito meno che mai vorrei essere considerato come un propagandista.
Occorre invece indagare oggettivamente come stiano in realtà le cose. Nutrendosi dei suoi abituali cibi
cotti e assimilandone le forze, l’uomo compie esteriormente operazioni che l’organismo deve compiere
in certo modo da sé quando ha da digerire dei cibi crudi. La cottura dei cibi e la loro preparazione
alleggeriscono l’uomo di un’attività che egli dovrebbe compiere se mangiasse cibi crudi. Ora le cose
stanno così: noi siamo costituiti in modo da avere un certo rapporto con tutta la natura alla nostra
periferia mentre al centro dell’organismo (di cui fa parte anche la digestione) ci separiamo dalla natura,
ci individualizziamo. Volendo raffigurarci questo rapporto dell’uomo con la natura, si potrebbe dire:
alla sua periferia (verde nel disegno seguente) l’uomo è inserito nel cosmo intero, mentre si
individualizza, si separa dal cosmo, nella digestione, che arriva fino alla formazione del sangue (rosso
nel disegno). Nel tratto digestivo l’uomo compie quindi processi che non corrispondono più
esattamente ai processi esterni: in questa sede si afferma la sua peculiarità nei confronti dei processi
esterni, più che in altre sedi dove egli è inserito in essi totalmente. Aggiungerò qualcosa d’altro che
renderà la cosa meglio comprensibile.
In questi giorni ho parlato del fatto che l’uomo è inserito nell’intero universo, che in lui operano le
forze formative del piombo, dello stagno, del ferro (specialmente nell’ambito che qui ho disegnato in
verde). Nel distretto che ho disegnato in rosso agiscono invece le forze formative del rame, del
mercurio e dell’argento. Il pareggio è effettuato dall’oro, cioè dalle forze localizzate soprattutto nel
cuore. Parlare dell’uomo in questo modo è come parlare di un dito, considerandolo come una parte
dell’intero organismo. Analogamente l’uomo viene considerato come una parte inserita nell’intero
universo. In questo distretto (cfr. il disegno) si ha la contraddizione, in quanto con la digestione e i
processi ad essa collegati l’uomo si distacca dal processo cosmico generale; d’altra parte egli se ne
distacca anche e si individualizza nell’attività del pensiero e della vista. Accade quindi che l’uomo
persegua per così dire caparbiamente un fine preciso trasformando le sostanze alimentari mediante il
processo della digestione. Questa caparbia pretesa si manifestò nell’istinto che spinse a cuocere gli
alimenti per accogliere nel proprio organismo le sostanze fornite dalla natura. Se esse venissero
introdotte nell’organismo tali e quali, in modo diretto, gli uomini sarebbero in media troppo deboli per
poterle elaborare direttamente in tali condizioni.
Per esprimermi con un paradosso, se gli alimenti non venissero cotti, l’alimentazione dovrebbe essere
un continuo processo terapeutico. A causa della più netta contrapposizione polare con l’ambiente, se gli
alimenti non venissero cotti, nutrirsi vorrebbe dire curarsi in continuazione. Perciò il mangiare cibi
crudi è piuttosto un processo curativo, mentre il nutrirsi di cibi cotti è piuttosto un processo nutritivo.
Ritengo che questa affermazione sia molto importante: la dieta con cibi crudi rappresenta una vera e
propria forma di terapia, in confronto all’alimentazione con cibi cotti. Vorrei ancora sottolineare che
tutti i cibi cotti esercitano un’azione per così dire ridotta, limitata al distretto che nel disegno ho
raffigurato schematicamente in rosso (v. il disegno precedente). Invece tutti gli alimenti che vengono
introdotti crudi nell’organismo (come la frutta o simili) oltrepassano quel distretto, estendendo la loro
azione fino alla periferia, dove ad esempio il sangue viene stimolato a portare la sua forza nutritiva.
Ci si potrà convincere di quanto ho appena detto, con esperimenti che sono senz’altro opportuni:
cercando di far seguire per un certo tempo ai pazienti trattati con Silicea una dieta a base di alimenti
crudi, si vedrà che in tal modo l’efficacia dell’acido silicico aumenta notevolmente. L’acido silicico ha
la tendenza ad agire alla periferia in senso formativo, nel senso di riparare le deformazioni (non parlo
certo di deformità grossolane, ma di quelle che non si manifestano direttamente sul piano anatomico,
bensì su quello funzionale). È dunque possibile favorire l’azione dell’acido silicico alla periferia,
fornendogli nel corso della terapia adeguate sostanze nutritive. Proprio a queste sostanze nutritive
intendo far riferimento, dal punto di vista metodologico, perché risulta talmente interessante seguirne il
corso, e anche perché ritengo che questi problemi vengano studiati troppo poco. O meglio, vengono
studiati, ma solo in modo empirico, senza ricercarne le leggi; perciò risulta tanto difficile ricavare
qualche soddisfazione dai risultati delle relative osservazioni.
Naturalmente in tutti questi problemi va tenuto il massimo conto della singola individualità. Nelle
conferenze precedenti ho perciò detto che in questo campo non è quasi possibile fare un’affermazione
qualunque che, sotto certi aspetti, non possa anche risultare errata. Occorre avere certe linee direttive,
anche se in un caso particolare poi si deve ammettere di non poter ad esempio prescrivere una dieta di
cibi crudi, perché la costituzione individuale di quel paziente potrebbe favorire effetti indesiderati.
Dunque, in un certo caso quella dieta si potrà prescrivere, in un altro no. Malgrado ciò, rimangono
giuste le considerazioni fatte in proposito.
Solo con riflessioni di questo genere si può guardare veramente a fondo nella costituzione umana nel
suo complesso. Dobbiamo infatti distinguere chiaramente, da un lato, le parti periferiche dove l’uomo è
realmente più inserito nell’intero universo: le potremo influenzare solo introducendo nell’organismo
umano sostanze minerali che stanno tanto lontane rispetto all’uomo. Dall’altro lato abbiamo il distretto
che nel disegno ho tracciato in rosso, sul quale possiamo senz’altro agire con sostanze di origine
vegetale, ma anche introducendo nell’organismo rimedi che agiscono per il loro attuale carattere salino,
cioè tutti i sali dell’acido carbonico. Invece le sostanze alcaline hanno riferimento con l’equilibrio fra le
due polarità (giallo nel disegno precedente). Abbiamo quindi: carbonati, sostanze alcaline, silicati o lo
stesso acido silicico.
Queste considerazioni indicano dunque l’affinità dell’uomo con la natura circostante. Vediamo in certo
modo l’uomo diviso in due parti, con una parte mediana che provoca un movimento oscillatorio fra di
esse. Dobbiamo riconoscere che una tale osservazione dell’uomo periferico e dell’uomo centrale,
individualizzato, ci permette di approfondire la conoscenza di tutta la natura. Infatti l’uomo periferico è
più affine alle forze extraterrestri, come risulta appunto dall’efficacia delle sostanze minerali, a loro
volta in realtà dipendenti dai pianeti e dalle costellazioni. L’uomo centrale invece, in quanto
individualizzato, è affine a tutte le forze terrestri. D’altronde l’affinità con tutte le forze terrestri, che si
manifesta nel sistema digestivo, permette all’essere umano di pensare, e in genere di svilupparsi in
quanto uomo.
Possiamo considerare il dualismo presente nell’uomo come un dualismo fra quel che di extraterrestre,
di cosmico si trova in lui, e il vero e proprio elemento terrestre. A tutta prima risulteranno chiaramente
predisposti nell’organismo umano sia elementi extra- terrestri, sia elementi terrestri. Già ieri ho
accennato al modo in cui le qualità della periferia, dell’universo extraterrestre, si rispecchino
nell’uomo, grazie al fatto che egli possiede un’organizzazione spirituale e anche un’organizzazione
digestiva polarmente contrapposta a quella. A tali rapporti ho fatto spesso riferimento. Quindi tutto quel
che è connesso con le secrezioni digestive e con quella specie di secrezione del cervello che sta a base
dell’attività spirituale, tutto ciò ci indirizza verso l’uomo periferico, verso l’uomo celeste. Per quanto
possano suonare strane e paradossali, le cose stanno proprio così. Invece i processi liquidi o aeriformi
connessi con la formazione dell’urina e del sudore ci indirizzano verso l’uomo terrestre, in quanto si va
individualizzando. Occorre proprio attribuire una grande importanza a questi due poli divergenti della
natura umana.
Purtroppo nella nostra epoca non ci si è mai decisi (almeno per quanto ne so io) a prestare attenzione a
questa dualità della natura umana, ai fini di trarne spunti per la terapia. Le considerazioni che andiamo
facendo dovrebbero infatti ravvicinare tra loro la patologia e la terapia, campi che non devono rimanere
separati. Questa considerazione mi spinge anche a orientare verso la terapia tutte le mie enunciazioni,
di modo che ogni conoscenza acquistata nel campo della patologia susciti pensieri fecondi per l’azione
terapeutica. Perciò vado esponendo le cose in questo modo; con molta facilità si potrebbero muovere
obiezioni, se non si tenesse conto di questo orientamento verso la terapia.
Consideriamo ad esempio la sifilide. Per conoscerne l’origine esterna si dovrà certo prestare attenzione
in ogni caso alla necessità del contagio: perché la sifilide si manifesti con un quadro conclamato dovrà
certo avvenire il contagio, almeno approssimativamente. Se però ci si limita a tale constatazione, si
viene portati a considerare, anche nell’ulteriore decorso, esclusivamente la patologia. Infatti, per usare
un paragone piuttosto grossolano, il contagio, anche nel caso della sifilide, non è molto più importante
del fatto che, perché si abbia una botta sulla testa, si deve pur venire colpiti da una pietra o da qualche
altro oggetto. Ovviamente, questo è giusto: non si formerebbe un bernoccolo senza aver ricevuto un
colpo o un sasso in testa. Ma una tale constatazione non porta dà sola a deduzioni utili per la terapia.
Potrà essere importante da altri punti di vista, per esempio da quello sociale, il modo in cui una pietra
ha colpito la testa di qualcuno, ma non ha la minima importanza per la conoscenza dell’organismo e per
conseguire la guarigione. Occorre indagare nell’organismo u- mano e scoprirvi i fattori che contano per
la terapia. Anche per la terapia della sifilide sono molto importanti le cose di cui ho parlato: grazie ad
esse si chiarirà appunto il procedimento terapeutico da seguire. Le considerazioni che ho svolte non si
propongono tanto di progredire nella patologia, quanto di gettare un ponte fra la patologia e la terapia.
Con ciò vorrei caratterizzare il fatto che le nostre considerazioni scaturiscono da un certo spirito, cosa
che risulterà ogni giorno più evidente. Esiste attualmente la tendenza a studiare la patologia come fine a
se stessa, senza tener conto della terapia; perciò anche il pensiero viene distolto da: considerazioni
fruttuose che, seguite in modo giusto, risulterebbero molto importanti per la ricerca di procedimenti
terapeutici. Così ad esempio il problema seguente: quale importanza ha per l’organismo umano la
dualità fra l’uomo periferico, per così dire cosmico, e l’uomo centrale, terrestre? Ambedue queste parti
dell’uomo sono sistemi di forze che si estrinsecano in modo diverso. Tutte le forze della periferia si
estrinsecano come forze configuratrici. L’ultimo atto, vorrei dire, delle forze della periferia si manifesta
all’estrema periferia dell’essere umano, conferendogli la sua figura umana.
Si provi a studiare il comportamento dei capelli nei confronti dell’acido silicico, osservando come alla
periferia dell’uomo la forza formativa dell’uomo stesso cooperi con la forza formativa propria della
silice. Si può addirittura studiare la misura in cui l’uomo lascia agire su di sé la silice, o invece si
oppone al suo intervento, proprio dal potere che l’acido silicico esercita o non esercita sulla formazione
del capo umano. Naturalmente non bisogna mai perdere di vista l’intera costituzione dell’uomo;
tuttavia, osservando complessivamente tutti i calvi che si incontrano, se ne può ricavare un’idea di
quanto la gente sia disposta ad accogliere in sé il processo configuratore proprio dell’acido silicico, o
quanto invece vi si opponga. Questo finisce per risultare all’osservazione diretta, anche senza una vera
chiaroveggenza, purché si accetti di prestare attenzione al modo di agire della natura stessa. A
manifestarsi sono di preferenza forze di configurazione, ma non a livello cellulare: sono forze
configuratrici totali che trovano la loro ultima espressione nella figura dell’uomo stesso. Naturalmente
fa parte della forma complessiva dell’uomo anche l’intera configurazione della pelle, che può essere
più o meno ricoperta di peli, e così via. Invece nelle parti più centrali dell’uomo, connesse piuttosto col
carbonio e con l’acido carbonico, è presente una tendenza dissolutrice della forma. La nostra vita
consiste di fatto in ima continua volontà dell’uomo di distruggere, di dissolvere la propria forma,
mentre d’altra parte la forma stessa vuole di continuo ricostituirsi grazie alle forze cosmiche. In quanto
uomini viviamo in una continua tendenza a deformare la figura umana, mentre tali « deformazioni »
vengono continuamente riparate dal cosmo. Nell’uomo c’è dunque anche questa dualità di processi
formativi e di processi deformanti i quali cooperano nell’organizzazione umana. Rappresentiamoci ora
da un lato le forze configuratrici provenienti dalla periferia, dal cosmo (le frecce dall’alto nel disegno
seguente); esse agiscono entro l’uomo e si incontrano nel cuore con le forze terrestri.
Ho già esposto in precedenza il modo in cui il cuore crea un « pareggio » fra quei due tipi di forze.
Supponiamo ora che le forze periferiche operanti nell’uomo si arrestino prima di arrivare all’ingorgo
dovuto al cuore, nell’organizzazione del cuore stesso (nel disegno, le frecce da destra). Supponiamo
dunque che si arrestino prima di arrivare al grande ingorgo nel cuore, che si verifichi una specie di preingorgo; avverrebbe allora qualcosa che, sia pure in misura ridotta, mostrerebbe come si svolge
nell’uomo il processo di configurazione cosmico, extraterrestre. Supponiamo ora che si arrestino prima
di arrivare al cuore anche le forze contrapposte, che agiscono in direzione del cuore partendo dalla
digestione e dalla trasformazione del processo digestivo. In tal caso le forze terrestri si arresterebbero
qui (nel disegno, a destra). Si avrebbe allora qui un arresto e una concentrazione di tutte le forze che
agiscono nell’uomo configurandolo spiritualmente-fisicamente: azione collegata con tutte le secrezioni
nel capo, nell’intestino, che però non si contrappone direttamente all’attività cardiaca, ma che prima
crea una specie di attività para-cardiaca. Qui invece si ha una specie di para-digestione, in quanto si
arrestano (prima di incontrarsi con le altre) le forze provenienti dalla Terra che agiscono nell’uomo in
senso deformante, che tendono a dissolverne la figura. L’espressione organica di quella dualità, una
volta instauratasi nell’uomo, sono gli organi sessuali: in un caso quelli femminili, nell’altro caso quelli
maschili (cfr. il disegno).
È possibile studiare l’apparato genitale femminile considerandolo nella sua dipendenza dalle forze
configuratrici cosmiche, periferiche. È d’altra parte possibile studiare l’apparato genitale maschile fin
nelle sue singole forme, considerandolo nella sua dipendenza dalle forze dissolvitrici terrestri.
Ecco la via per comprendere in modo veramente scientifico l’organizzazione umana anche fino a questi
distretti organici. Questa è poi anche la via per poter studiare il modo in cui certi rimedi di origine
vegetale, portatori di forze configuratrici, possono agire in senso costruttivo nell’utero, anche in
soggetti nei quali le forze configuratrici siano paralizzate. Studiando in questo modo le forze formative
nell’organismo umano, si arriva anche a scoprire realmente le forze formative nel regno vegetale e in
quello animale. Più avanti entrerò nei particolari, per ora posso soltanto accennare alle connessioni più
ampie. Un’embriologia reale si potrà delineare solo quando questi fatti saranno stati compresi. Oggi
non possediamo una embriologia reale, perché non si presta alcuna attenzione all’intensa azione con
cui le forze cosmiche agiscono all’inizio dello sviluppo embrionale; le forze del cosmo infatti
fecondano l’organismo femminile non meno del seme maschile. I primi stadi dello sviluppo embrionale
umano debbono assolutamente venir considerati in base alla connessione dell’uomo con il cosmo. Quel
che viene introdotto dal seme maschile si manifesta solo più tardi, quando le forze configuratrici che il
cosmo vuole introdurre nell’organismo femminile vengono in certo senso « deformate »: l’impulso
proveniente dal cosmo, che tende a formare la figura complessiva, viene per così dire specializzato dal
seme maschile e indirizzato verso la configurazione dei singoli organi. La partecipazione
dell’organizzazione femminile tende all’organizzazione complessiva dell’essere umano; la
partecipazione dell’elemento maschile, le forze del seme maschile tendono alla specializzazione, alla
differenziazione dei diversi organi, alla loro configurazione, cioè a una deformazione della figura
complessiva unitaria. Potremmo dire che mediante le forze femminili l’organizzazione umana tende ad
assumere una forma sferica; mediante il seme maschile invece l’organizzazione umana tende a
differenziare questa sfera nei diversi organi: cuore, reni, stomaco e così via. Nel femminino e nel
mascolino ci si presentano direttamente queste polarità di Terra e cosmo. Questo è un altro dei punti sui
quali può rinascere un grande rispetto per la saggezza primordiale dell’umanità; si comincia ad
ascoltare con sentimenti diversi il mito di Urano (il cielo) che feconda Gea (la Terra), o di Crono che
feconda Rea. Non è solo un vago sentimentalismo mistico la venerazione profonda che possiamo
provare per tali antichissime, importanti intuizioni. In un primo momento può sorprendere, e quasi
scandalizzare, che qualcuno che comincia a comprendere queste cose si lasci andare ad esclamare: ma
c’è più fisiologia nella mitologia, che nella scienza moderna! Io posso capire che un’affermazione
come questa risulti sconvolgente, tuttavia essa racchiude molta verità.
Quanto più si progredirà, tanto più si riconoscerà l’inidoneità del metodo moderno (che non coglie più
nulla di queste connessioni) a condurre realmente alla comprensione dell’organizzazione umana.
A tale proposito non vorrei perdere l’occasione di menzionare ancora una volta che nulla di quanto
vado dicendo è ricavato dallo studio di cose antiche. Il contenuto delle mie considerazioni è veramente
ricavato solo dai fatti stessi. Posso fare talvolta riferimento a certe concordanze con la saggezza
primordiale, ma non da questa è ricavato quanto vi sto esponendo. Soltanto seguendo con cura i
processi da me caratterizzati nasceranno le concezioni che possono poi ricondurci a qualcuno dei
contenuti della saggezza antica; Per esempio non riconoscerei mai come mio compito quello di
conseguire certi risultati mediante lo studio, poniamo, di Paracelso; talvolta però sento forte il bisogno
di ricercare negli scritti di Paracelso come egli abbia descritto certe cose che io ho trovato da me. Vi
prego dunque di comprendere in questo senso quanto cerco di esporre. Comunque è un fatto che,
quanto più ci approfondiamo nello studio dell’organizzazione umana dal punto di vista della scienza
dello spirito, tanto più cresce la nostra venerazione per la saggezza antica. Questo problema però andrà
trattato naturalmente in un altro campo della conoscenza, e non in questa sede.
Domani proseguirò con le nostre considerazioni, dopo avervi concesso di « digerire » quanto vi ho
detto sulla provenienza del femminino e del mascolino dalle due menzionate dualità. Come vedremo
domani, essa ci addita connessioni ancora più profonde.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 10 – RELAZIONE DELL’ORGANISMO UMANO COL REGNO VEGETALE E COL REGNO
MINERALE
I processi meteorologici e gli organi.
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 29.03.1920
Sommario: I processi meteorologici e gli organi. Significato di aria, acqua e suolo per l’ammalarsi di
certi organi e per la loro guarigione. Processi dell’acido silicico e dell’acido carbonico, polarmente
contrapposti nell’organismo umano. Differenziazione dei processi escretori e loro rapporto con i due
processi suddetti e di questi con i metalli. Olfatto e gusto.
Nella mia esposizione di ieri mi ero proposto una specie di accostamento dell’organismo umano alla
natura extraumana. Proprio nelle azioni reciproche relative ai sensi dell’olfatto e del gusto possiamo
riconoscere l’intima connessione fra l’organizzazione umana e la natura extraumana. Studi di questo
genere, che esaminano il rapporto fra l’uomo e la natura extraumana, vengono effettuati perché per la
scienza dello spirito è importante l’accostare strettamente fra di loro il procedimento terapeutico e i
processi propri dell’organizzazione umana. In terapia si tratta sempre di comprendere quali fattori
risiedano nei mezzi terapeutici che si somministrano al corpo, sia che si agisca chimicamente, sia
fisiologicamente, sia fisicamente, e quali funzioni l’organismo possa svolgere nello stato di salute,
mentre non le può compiere nello stato di malattia. Bisogna imparare a connettere strettamente nel
pensiero il processo esterno e quello che si svolge nell’organismo umano.
Questi due tipi di processi raggiungono la loro massima vicinanza nelle percezioni dell’olfatto e del
gusto; in tutto ciò che concerne gli altri sensi essi sono più distanti l’uno dall’altro. Ad esempio, la vista
e la digestione sono già abbastanza distanti l’una dall’altra, intendendo qui per digestione (in senso
stretto) tutti i processi che avvengono fra la masticazione dei cibi nella bocca e la loro elaborazione da
parte delle ghiandole intestinali. Vorrei riferire solo questo ambito alla digestione: il resto fa già parte
dello svuotamento, sia che si tratti del passaggio verso l’interno dell’organismo, cioè dell’assimilazione
delle sostanze, sia che si tratti invece dello svuotamento verso l’esterno, che vorrei chiamare
escrezione. Chiamerò dunque escrezione quanto si trova al di là della parete intestinale con le sue
ghiandole.
Nel caso della vista, i corpi che ci si presentano nel mondo e- sterno racchiudono, trattengono in certo
modo in sé quello che invece nei processi dell’olfatto o del gusto emerge più alla superficie; è quello
che nel processo olfattivo si distacca dalla natura circostante, extraumana, per rendersi percepibile a noi
uomini. In altri casi rimane racchiuso nelle sostanze della natura extraumana, e allora… noi lo
guardiamo! Guardando ciò che si presenta nelle forme e in altre qualità visibili, noi percepiamo fuori di
noi il principio formativo, lo stesso che nel processo olfattivo si manifesta però in modo sostanziale.
Vorrei dire: dovremmo seguire all’esterno, nel mondo delle piante, nel mondo dei minerali, l’essenza
che si manifesta all’odorato, e troveremmo che quello stesso principio appare nel mondo esterno nei
processi di formazione e configurazione.
L’opposto si ha nel processo digestivo che fa proprio in certo modo quel che si manifesta al gusto, e
torna a nasconderlo nell’organismo. È molto importante sottolineare che finora siamo stati costretti a
descrivere la natura esterna all’uomo, così come essa non viene percepita coscientemente. Sono infatti
presenti anche nell’uomo le connessioni cosmiche che abbiamo potuto constatare. L’uomo è soggetto
alle forze di Saturno, di Giove e così via. Questo tipo di connessione sta però estremamente nascosto
nelle profondità dell’organizzazione umana; se non fosse tanto ostico alla mentalità contemporanea, si
potrebbe dire che nell’uomo la sfera astronomica è la più inconscia è dà luogo ai processi più reconditi
dell’organismo umano.
Vi sono organi che in certo qual modo tornano a schiudere dall’interno l’organismo umano. Essi lo
mettono in relazione con quanto avviene nelle vicinanze della Terra, con la sfera meteorologica,
concepita però nel senso più lato. Se nella terapia non ci si limita a guardare alle sostanze terapeutiche,
ma si osservano anche i processi di guarigione, allora bisogna tener conto delle relazioni fra l’uomo e il
processo meteorologico in senso lato.
Nell’organismo umano possiamo distinguere le funzioni soggette prevalentemente agli influssi
astronomici, da quelle che risentono piuttosto della sfera meteorologica: naturalmente bisognerà
applicare un metodo d’osservazione alquanto accurato.
In un primo momento potrà certo risultare un po’ sconcertante il criterio con cui si deve procedere a
tale distinzione, ma in seguito esso si rivelerà come la base migliore per la terapia. Prendendo in
considerazione gli Organi che si aprono alla sfera meteorologica (mentre altri, situati più in profondità,
si aprono a quella astronomica), dovremo annoverare fra essi anzitutto il fegato, e poi tutto quello che
ha struttura vescicolare e che perciò è rappresentato proprio dalla vescica urinaria. Per quanto possa
sembrare strano, la vescica ha un’importanza straordinaria dal punto di vista della patologia. Possiamo
poi prendere in considerazione il polmone, che si apre verso l’esterno nella funzione respiratoria. Sotto
un certo rispetto, inoltre, anche il cuore fa parte degli organi nei quali l’intero organismo si apre verso
l’esterno, verso la sfera meteorologica. Questo riuscirà senz’altro comprensibile a chi abbia afferrato
nel modo giusto quanto ho detto nella conferenza precedente. Effettivamente questi organi sono in
relazione con certi precisi impulsi meteorologici. Si potrà studiare quello a cui sto qui accennando, solo
tenendo conto della relazione fra l’uomo e il mondo circostante e soprattutto della relazione fra
l’attività dell’uomo e il mondo che lo circonda.
Vorrei soprattutto incitarvi a fare un serio tentativo di ricondurre tutte le malattie del cuore che avrete
modo di osservare ai turbamenti dell’attività umana. Si dovrebbero fare delle ricerche sul modo diverso
in cui si configura l’attività cardiaca, mettiamo di un contadino che non smette quasi mai di lavorare
nei campi, rispetto a quella di chi, per esempio per motivi professionali, sia costretto a viaggiare molto
in automobile o anche in treno. Sarebbe molto interessante compiere a tale proposito ricerche
approfondite. Si troverebbe che la disposizione alle malattie di cuore dipende essenzialmente dal fatto
che la persona in questione rimanga ferma, mentre il veicolo in cui si trova, cioè il treno o
l’automobile, è in movimento. L’abbandono passivo al movimento deforma in certo modo tutti i
processi che si incontrano nel cuore.
Ora, tutto ciò che si svolge così nel mondo dell’uomo è connesso con le modalità con cui egli si
riscalda. Si scopre così l’affinità dell’attività cardiaca con l’impulso del calore nel mondo col quale
l’uomo è connesso. Si può constatare che, se l’uomo sviluppa sufficiente calore con la propria attività,
questa quantità sufficiente di calore prodotto nel processo vitale è al tempo stesso la misura della salute
del suo cuore. Bisognerebbe sempre persuadere i malati di cuore a compiere da sé dei movimenti
vissuti molto intensamente. Sono convinto che fra poco più di un decennio si sarà diventati più prudenti
nel giudicare, e qualcuno dirà: è singolare, però, che certi pazienti abbiano conseguito, grazie
all’euritmia, un’attività cardiaca normale! La pratica dell’euritmia infatti regolarizza sostanzialmente i
movimenti volontari compenetrati dall’anima, anzi li reinserisce nelle leggi che sono loro proprie.
Perciò non sarà male il dire che proprio da questo punto di vista si dovrebbe richiamare l’attenzione, in
casi di irregolarità della funzione cardiaca, sui salutari esercizi che possono venir ricavati dall’euritmia.
Passiamo ora alle manifestazioni di un’insufficiente attività della vescica nell’organismo umano. Forse
quello che sto per esporre a tale proposito può sembrare un po’ dilettantesco, ma a torto, perché si tratta
di considerazioni più scientifiche di molte altre che oggi vengono considerate tali. La vescica è
essenzialmente un organo con funzione traente: nell’organismo essa agisce, vorrei dire, in quanto è una
cavità, è una cavità che trae a sé. La sua azione dipende in fondo dalla circostanza che in quel punto
l’organismo è cavo. L’azione della vescica sul resto dell’organismo è simile a quella di una bolla di gas
nell’acqua. Supponiamo di avere una bolla di gas, cioè una bolla di sostanza rarefatta, circondata da
ogni parte da acqua, cioè da una sostanza più densa. L’azione esercitata dalla bolla è simile a quella
della vescica urinaria sull’organismo umano. Vale a dire che, nei confronti dell’azione esercitata dalla
vescica, l’uomo disturba questa funzione organica quando ha poche occasioni di compiere
correttamente certi movimenti interni: ad esempio, se non presta un’adeguata attenzione all’atto stesso
della introduzione dei cibi, se inghiotte senza masticare, turbando così tutto il processo della digestione,
o quando non mantiene la giusta misura di riposo e di moto durante la digestione stessa, e così via.
Tutto quel che turba la motilità interna turba anche quella che si potrebbe chiamare la vita della
vescica. L’uomo è fatto veramente così: gli si può forse ancora prescrivere del movimento
compenetrato di anima, quando si sospettino certe irregolarità cardiache, ma sarà meno facile indurlo a
regolare i suoi movimenti interni, perché questi fanno parte delle sue abitudini. Se ne verrà però subito
a capo, cercando di curare mediante fattori meteorologici un individuo poco incline a concedere al suo
corpo il giusto riposo, o perché inghiotte i cibi troppo in fretta, o perché disturba in qualche altro modo
la sua digestione. Gli si può consigliare di ricercare un’aria più ricca di ossigeno, nella quale egli dovrà
respirare in modo più intenso, per cui dovrà inconsciamente prestare più attenzione al processo
respiratorio. La regolazione del processo respiratorio si ripercuoterà sulla regolazione degli altri
processi organici. Trasferendo (meglio se in modo naturale) una persona sofferente di irregolarità nella
funzione vescicale in un’aria più ricca di ossigeno, un certo compenso si verificherà già per questo solo
cambiamento del modo di vita.
Particolarmente importante è l’osservazione del fegato, il terzo organo connesso con la meteorologia
esterna nel senso più lato del termine. Anche se in apparenza il fegato si trova racchiuso nell’organismo
umano, esso è in realtà quanto mai soggetto agli influssi del mondo esterno. Se ne troverà conferma nel
fatto che le condizioni del fegato dipendono sempre dalla qualità dell’acqua locale. In realtà
bisognerebbe sempre conoscere la composizione dell’acqua di una data località, per poter giustamente
apprezzare le condizioni del fegato degli abitanti. Il gusto stimola lo sviluppo del fegato; se avvenisse
in misura eccessiva favorirebbe la degenerazione del fegato. Un eccessivo godimento dei cibi equivale
per l’uomo alla degenerazione del fegato. Porta alla degenerazione del fegato il godimento interno, cioè
la prosecuzione del godimento che dovrebbe limitarsi al palato e alla lingua, ma che prolunga invece
all’interno del corpo la sensazione di mangiare dei cibi piacevoli e simpatici oppure spiacevoli e
antipatici. Perciò è necessario osservare questi fatti e tentare di abituare le persone afflitte da un
qualsiasi danno epatico (cosa spesso molto difficile da accertare) a studiare il proprio gusto. Sarà certo
assai difficile studiare a fondo l’intimo nesso fra la vita del fegato e la qualità di una certa acqua
potabile, perché i fattori di dipendenza sono straordinariamente sottili; occorrerà ad esempio tener
conto del fatto che nelle località in cui l’acqua è assai ricca di calcio, disturbi del fegato sono diversi da
quelli prevalenti in località con acqua povera di calcio. Sarà quindi opportuno ricordare che la vita del
fegato viene favorita dalla eliminazione del calcio dall’acqua, per quanto possibile. Naturalmente
bisognerà trovare i metodi adatti per realizzarla.
La vita dei polmoni è strettamente collegata alla costituzione del suolo del luogo in cui si vive. Fa una
grande differenza se si abita in una regione come questa dove ci troviamo ora, a terreno
prevalentemente calcareo, o se invece si abita su suolo siliceo, su rocce granitiche. A seconda della
natura del suolo varia assai la vita dei polmoni dell’uomo; il polmone infatti dipende essenzialmente
dalla qualità del suolo su cui si vive. Uno dei primi compiti di un medico che si stabilisce in una certa
regione dovrebbe essere quello di studiare a fondo la geologia della regione. Tale studio equivale
veramente allo studio dei polmoni di quella regione. Bisognerà poi rendersi chiaro conto che la
condizione peggiore è quella in cui il polmone di un individuo non è affatto in grado di adattarsi
all’ambiente.
Non si deve però fraintendere quel che sto dicendo a tale proposito. Affermando la dipendenza del
polmone dall’ambiente, alludo alla struttura interna del polmone, non alla respirazione. Certo, la
respirazione dipende a sua volta dalla buona o meno buona funzionalità, dovuta alla struttura interna,
ma ora, parlando di questa dipendenza, mi riferisco alla struttura interna del polmone. Che essa tenda
verso una sclerosi, un indurimento o invece alla formazione di catarro o a fatti simili, dipende
essenzialmente dalla natura dell’ambiente. D’altra parte il polmone risente molto del lavoro fisico: esso
viene! sicuramente danneggiato da un sovraffaticamento fisico.
Queste connessioni ci indicano nel senso più ampio le dipendenze del polmone, del fegato, della
vescica e del cuore, cioè degli organi interni aperti verso l’esterno, aperti agli influssi meteorologici. In
ogni caso di malattia di questi organi si dovrà quindi sempre tentare di contribuire alla guarigione con
una terapia fisica. I risultati ottenuti con la terapia fisica nelle malattie di questi organi saranno in certo
modo duraturi. Supponiamo che si sia riconosciuta in un paziente una certa debolezza dei polmoni e
che egli sia del tutto inadatto a vivere in una certa regione; se lo avremo indotto a trasferirsi in un’altra
regione più adatta a lui, gli avremo reso il migliore dei servizi. Spesso proprio per gli organi situati al di
sopra dei polmoni si possono conseguire risultati straordinari col cambiamento totale sia della
residenza, sia del modo di vita. Con questo genere di provvedimenti si può invece fare ben poco per gli
organi situati al di sotto del cuore. Bisogna però rendersi chiaramente conto che nell’organismo ogni
cosa agisce in modo reciproco su ogni altra: in presenza di ogni fenomeno occorre stabilire se esso non
sia per caso l’effetto di una nascosta correlazione. Ad esempio, trovandosi di fronte a una
degenerazione dei vasi cardiaci, bisognerà chiedersi se non si tratti in realtà di una tendenza alla
degenerazione del polmone, e se quindi non convenga affrontare la malattia partendo da questa
tendenza alla degenerazione del polmone.
Così abbiamo per lo meno indicato tutti gli organi che mettono l’uomo in rapporto con la sfera
meteorologica. Soltanto dietro all’ambito meteorologico, da esso nascosta, si trova poi nel mondo
esterno la sfera astronomica, la quale è presente anche all’interno dell’uomo. La sfera meteorologica si
manifesta all’interno dell’uomo nell’ambito del polmone, del fegato, della vescica e del cuore; nel
mondo esterno essa si esaurisce nella terra solida e negli elementi dell’aria, dell’acqua e del calore.
Dietro tutte queste manifestazioni della sfera meteorologica, all’interno e all’esterno dell’uomo, si
trovano i processi formativi dei vegetali e dei minerali. Ai processi formativi dei vegetali e dei minerali,
che stanno tanto vicini alla sfera astronomica, extraterrestre, si contrappone polarmente tutto quel che
nell’uomo sta dietro il processo meteorologico, che quindi è situato più all’interno rispetto ai quattro
sistemi organici menzionati. La relazione fra quel che si manifesta esteriormente nella pianta e nel
minerale e quel che nell’uomo sta per così dire dietro il polmone, il fegato e così via, è meno evidente.
Perciò è senz’altro molto più difficile lo studio dei processi di guarigione che riguardano questo
ambito. Si può però trovare una via razionale rendendosi conto che in un certo modo e in qualche parte
l’uomo ha sempre in sé la tendenza organica a compiere il contrario di quanto avviene nel mondo
esterno.
Prendiamo un esempio concreto, quello dei processi legati all’acido silicico. Questi processi si
compiono anzitutto e nel modo più appariscente ovunque si formino dei silicati, come il quarzo e
minerali simili. Tali processi hanno la loro controimmagine nell’organismo umano; essi stanno alla
base di altri processi ancora, ai quali purtroppo oggi si presta troppo scarsa attenzione. Questi ultimi si
svolgono nella terra coltivata, nonché fra questa e la Terra in generale (che è appunto ricca di silice) e
gli organi vegetali che si affondano nella terra, cioè le radici. Anche tutto quel che ricaviamo dalle
piante quando ne prendiamo le ceneri ha un’intima affinità col processo della silice che si svolge nel
mondo esterno.
Il processo della silice nel mondo esterno ha per altro la sua controimmagine all’interno dell’uomo, e
precisamente negli organi che si trovano per così dire al di sopra dell’attività cardiaca, in direzione
dell’attività dei polmoni (intesa però nel senso dell’attività formativa del polmone stesso) e in direzione
del capo. Là, nell’ambito di quel che si svolge più in alto dell’attività del cuore, si trova il polo opposto
all’intero processo della formazione dei silicati nel mondo esterno. Quel processo organico interno
consiste essenzialmente in un’ampia e profonda « omeopatizzazione » (se mi si consente ancora una
volta, come nelle conferenze precedenti, l’uso di questo termine) nel processo di formazione dei
silicati, proprio del mondo esterno. Può accadere die ci si trovi dinanzi a un quadro morboso i cui
sintomi indichino una sede situata al di sopra dell’attività cardiaca: i relativi fenomeni patologici
potranno poi sfociare nei diversi altri disturbi.
Una situazione del genere può ad esempio manifestarsi in modo molto evidente con una forte
secrezione polmonare, ma anche può manifestarsi sotto forma di meningite o di meningismo. Siccome
nell’organismo tutto si influenza reciprocamente, le alterazioni dei polmoni possono provocare disturbi
nella funzionalità dei vasi cardiaci. D’altra parte può anche darsi che le alterazioni infiammatorie del
cervello non si manifestino come tali, bensì sotto forma di stati infiammatori degli organi digestivi o di
quanto ad essi è collegato. Si tratterà in tutti questi casi di appurare dove si trovi in realtà il punto di
partenza. Ne potremo anche riparlare. Comunque, in tutti questi casi si dovrà introdurre nell’organismo
qualcosa che si contrapponga, diluendoli al massimo grado, agli effetti della silice nel mondo esterno.
Proprio questa connessione va tenuta ben presente, perché è straordinariamente importante e
caratteristica. Essa mostra la necessità di trasformare i processi della silice, tanto importanti in natura,
mediante procedimenti di frantumazione, di dispersione, di triturazione, ogni volta che si osservino
direttamente nelle parti superiori del corpo certi sintomi. Se invece, per effetto di azioni reciproche,
compaiono disturbi nelle parti inferiori del corpo, o anche nel cuore stesso, ci si potrà servire del
processo già avviato nelle piante che contengono molto acido silicico, in modo da stimolare processi di
guarigione utilizzando appunto tali piante, sia direttamente, sia previa loro trasformazione. Per tutte le
piante che contengono la silice; bisognerebbe ricercare attentamente il modo in cui agiscono
sull’organismo umano, in particolare sui processi che si svolgono al di sotto del cuore, ma che poi
naturalmente si ripercuotono sul resto dell’organismo.
Esattamente l’opposto della formazione dei silicati nella natura extraumana è il processo che potremmo
chiamare formazione dell’acido carbonico: esso è in certo qual modo polarmente contrapposto a quello
della formazione dell’acido silicico. Ecco perché in terapia è tanto necessario seguire il processo di
formazione dell’acido carbonico per quanto nell’organismo si contrappone a ciò che ho appena
caratterizzato cioè per quanto concerne (nel senso più ampio) la digestione, e che nell’apparato
digerente ha anche il suo punto di partenza. Con molti composti dell’acido carbonico si ottengono
eccellenti risultati nelle malattie dell’apparato digerente, specialmente usandoli nelle forme prodotte
dalla natura stessa, ricavandole dalle piante.
A tale proposito è molto importante tener conto di una certa connessione. Studiando le sostanze
secondo le qualità che esse manifestano all’olfatto e al gusto (l’olfatto ci indirizza verso il resto del
mondo visibile, il gusto invece verso ciò che si trova nascosto nell’organismo) e osservando poi la
digestione, potremo dire: in quanto si svolge all’inizio della digestione le sostanze si confondono, si
mescolano. Nel corso del processo organico si deve invece di nuovo sceverare quanto si era mescolato,
si devono separare di nuovo non tanto le sostanze stesse, quanto la processualità in esse insita. Uno dei
compiti principali dell’organismo è proprio quello di separare, di scomporre nuovamente quanto si era
mescolato durante l’introduzione degli alimenti. L’organismo deve anzitutto compiere una separazione
principale fra tutto quel che si era mescolato: da un lato, ciò che deve essere eliminato attraverso
l’intestino, dall’altro ciò che deve essere escreto con l’urina.
Ci accostiamo così a un sistema terapeutico organico nel quale si dovrà fare appello in modo
notevolissimo alla intuizione medica: ci avviciniamo cioè al sistema renale che nell’organismo umano
agisce tanto mirabilmente, nei suoi molteplici effetti anche a distanza. Ne parleremo più avanti. Come
ho detto nelle conferenze dei giorni scorsi, l’intera funzione escretoria intestinale è connessa a sua volta
con i processi del capo: sono due cose connesse tra loro. Analogamente l’escrezione urinaria è connessa
con i processi che si svolgono attorno al cuore, nel sistema cardiaco. Le escrezioni intestinali
costituiscono un’imitazione umana dei processi di formazione dei silicati nel mondo esterno; la
produzione dell’urina costituisce invece un’imitazione del processo esterno dell’acido carbonico.
Queste correlazioni permettono di stabilire un nesso fra quello che accade nell’uomo sano e quello che
deve accadere nel malato.
Abbiamo così messo in maggiore evidenza le connessioni processuali che per altro non vanno
considerate in modo unilaterale. Vedremo che solo con la padronanza di tutte queste nozioni si
consegue una giusta interpretazione della « legge della somiglianza », quale ci è stata esposta ieri dal
dottor S. in modo molto istruttivo.
Questa legge racchiude qualcosa di importantissimo; è però necessario fondarla su tutti gli elementi che
si possono acquisire considerando le connessioni in questione, nel modo in cui le veniamo
considerando qui ora. Infatti, dietro a ciò che ho ora esposto stanno a loro volta le connessioni
dell’uomo con i metalli. Se da un lato parliamo di quel che è di natura silicea come del fattore che
configura l’uomo, e dall’altro di ciò che è connesso con l’acido carbonico come del fattore che tende a
dissolverlo, in tale continua alternanza dei due processi consiste il processo vitale. Osservando quel che
configura l’uomo, e che ha natura silicea, non dobbiamo dimenticare (per i motivi in parte da me
indicati nei giorni scorsi) che le regioni dell’organizzazione umana affini alla silice possiedono anche
un’affinità con le qualità metalliche del piombo, dello stagno e del ferro. Considerando la regione
sovrastante al cuore, possiamo perciò dire che in essa occorre tener conto sia di ciò che vi agisce
avendo natura silicea, sia di quello che d’altra parte opera nel senso del piombo, dello stagno e del
ferro. Il principio del ferro è più strettamente connesso col processo formativo del polmone, il principio
dello stagno con quello del capo e il principio del piombo ha una stretta relazione con il processo
formativo proprio delle ossa. La costituzione dello scheletro e l’accrescimento delle ossa procedono
infatti dall’uomo superiore, non dall’uomo inferiore.
Si tratta ora di imparare a ponderare il modo in cui tali fattori cooperino, cioè come si debbano usare i
silicati, tenendo sempre conto della somiglianza del metallo in questione con questi tre rappresentanti
del gruppo dei metalli. D’altro lato bisognerà tener presente che l’uomo inferiore è affine al rame, al
mercurio, all’argento, e che in tutti i processi che riguardano l’acido carbonico occorre tener nella
giusta considerazione il modo in cui si usano questi metalli o quelli ad essi affini, e come collegarli con
i processi formativi dell’acido carbonico.
Così si connettono fra loro la qualità metallica terrestre (condizionata da fattori extraterrestri), la qualità
delle rocce formate dal principio dell’acido carbonico, nonché quel che si configura ad opera del
principio formativo dell’acido silicico. Ci avviciniamo qui alla possibilità di riconoscere concretamente
nel mondo esterno le sostanze che dobbiamo somministrare all’organismo umano per portarlo alla
guarigione in un caso o in un altro.
Si deve sempre tener presente che tutto quel che agisce poco sui sensi inferiori (l’olfatto e il gusto) e
che quindi, vorrei dire, non mette in mostra all’esterno la sua essenza, può risultare attivo in diluizioni
molto alte. Bastano invece diluizioni meno elevate per le sostanze che mettono in evidenza la loro
intima essenza già all’olfatto e al gusto. Se ci si rende conto in che cosa consista la qualità terapeutica,
le sostanze fortemente aromatiche e saporite sono spesso rimedi molto efficaci già al loro stato di
natura, soprattutto se la loro efficacia terapeutica non viene annullata dalla dieta abituale del paziente.
Volendo soffermarci ancora un poco su questo tema, occorre almeno rendersi conto che ogni senso
dell’uomo possiede questa capacità di differenziazione. A proposito della quale va detto che l’uomo
stesso è il miglior reattivo, il mezzo migliore per scoprire delle reazioni. Questo riuscirà naturalmente
più difficile nei confronti di sostanze inodori e insapori. Vi faccio però notare che è possibile una specie
di autoeducazione, molto importante soprattutto per il medico: essa consiste nello sviluppare certe
sottili capacità sensitive (ed è veramente possibile favorirne lo sviluppo) che consentono di partecipare
in qualche misura, ad esempio, al processo naturale di formazione della silice. Proviamo un po’ a
riflettere: deve pur significare qualcosa il fatto che il quarzo presenta sì delle conformazioni molto
regolari, ma che d’altra parte questa pietra, questo minerale, tende invece (nelle formazioni che gli sono
affini) a svariatissime figure cristalline, e che nella cristallizzazione dei silicati si presenta perciò una
straordinaria molteplicità di forme.
Chi sia in grado di percepire queste cose, sente anche che nella possibilità di formazione di tali svariate
strutture predomina l’elemento della dispersione. Naturalmente deve preesistere un elemento
disperdente, perché nella natura esterna possano nascere formazioni tanto varie quanto quelle dei
silicati. Questa constatazione ci indica che in terapia i silicati vanno usati in condizione di
frantumazione, ma per giungere a questa applicazione occorre essersi procurata una certa sensibilità
che permetterà di valutare in certo modo i rimedi, come vedremo. D’altro lato è pure necessario che
l’uomo stesso diventi un buon terreno reattivo, soprattutto acquistando una sensibilità acuita che gli
permetta, ad esempio, di avvertire che esiste una scala di sette odori, allo stesso modo dello spettro dei
sette colori. Se acquistiamo la capacità di distinguere l’odore dolciastro, l’odore pungente e così via,
scopriremo che in realtà il senso dell’olfatto è differenziato in sette gradazioni, e così pure il senso del
gusto. È interessante notare che, con la capacità di distinzione della scala, vorrei dire dello spettro degli
odori, si acquista anche un mezzo educativo per orientarsi in tutto quel che si presenta nelle sostanze
combustibili. Si penetra cioè nella natura delle sostanze combustibili; domani vedremo in che modo. Se
poi si acquista una particolare sensibilità nell’ambito del gusto, sì da distinguere bene il sapore dolce da
quello salato, e fra questi due altre cinque gradazioni, si acquista una certa affinità interna con il
processo di formazione dei sali nella natura. Una volta acquistata questa affinità interna, si perviene alla
sensazione (dovuta semplicemente alle impressioni ricavate dalla natura) che una certa sostanza può
giovare a una certa parte dell’organismo umano, mentre un’altra sostanza può giovargli da una parte
diversa. Certo, è necessario fondarsi sopra ricerche scientifiche esatte ed accurate sull’efficacia delle
diverse sostanze; tuttavia è di grande importanza non trascurare mai di accompagnare i risultati delle
ricerche scientifiche anche con le proprie forze di percezione soggettiva, in modo da acquistare un certo
senso di affinità con la natura.
Domani vorrei riallacciarmi a questa esposizione, per poi passare a considerazioni sempre più
particolari.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 09 – I PROCESSI METEOROLOGICI E GLI ORGANI
Metamorfosi nell’organismo umano
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 28.03.1920
Sommario: Il processo di aromatizzazione nella pianta e il processo olfattivo. Il processo di
salificazione nella pianta e il processo gustativo. Metamorfosi nell’organismo umano: olfatto, gusto,
vista, pensiero, associazione, digestione, processi escretori nell’intestino e nel rene, processo
rappresentativo, processo respiratorio, processo di formazione di sangue e linfa. Il cuore, fattore di
sintesi.
Le espressioni « corpo eterico », « corpo astrale », che usiamo vorrei dire per abbreviazione, o per
semplificare le nostre idee, vanno senz’altro riferite a quanto delle rispettive realtà si imprime negli
eventi fisici. Oggi però non si è molto propensi a porre quanto si esprime in fatti fisici in un giusto
rapporto con la base spirituale dell’esistenza. Ciò è però assolutamente necessario ai fini di una
spiritualizzazione del pensiero medico e delle concezioni mediche. Bisognerà proprio, ad esempio,
cominciare a studiare in che modo avvenga la reciproca azione fra quello che chiamiamo il corpo
eterico e quello che chiamiamo il corpo fisico. Questa reciproca azione avviene di fatto nell’uomo, e
voi lo sapete già; ieri abbiamo descritto uno degli aspetti di tale azione, quando essa risulta disturbata
nei confronti delle azioni esercitate dal corpo astrale. Senonché questo giuoco di azioni scambievoli
avviene anche nella natura esterna, extraumana.
Se questo pensiero viene condotto fino alle ultime conseguenze, si penetra assai a fondo nella
connessione esistente tra l’uomo e la natura esterna. Teniamo ben fermo questo punto: intorno a noi
esiste l’intera flora, con tutte le sue specie, e noi la percepiamo mediante i nostri sensi. Guardando al
mondo esterno e in esso alla flora percepita coi nostri sensi, noi possiamo per lo meno presagire
un’azione reciproca tra la flora stessa e tutto ciò che vive anzitutto nell’atmosfera terrestre, ma anche
ciò che vive fuori della sfera terrestre, nell’ambito planetario, astrale. Osservando la flora della Terra,
possiamo dire che, se abbiamo la superficie terrestre (v. disegno), la flora sembra additarci l’atmosfera,
l’ambito astrale, inteso qui nel senso di mondo degli astri, di mondo extraterrestre. Anche prescindendo
da considerazioni occultistiche, possiamo presentire che là fuori si attua una viva azione reciproca fra
ciò che si palesa nella flora, nella formazione dei fiori e dei frutti, e ciò che vi opera partendo
dall’intero universo.
Prescindiamo ora da tutto questo e volgiamo il pensiero alla nostra interiorità. Dobbiamo cercare di
aiutarci con un po’ di intuizione; ho già detto che in medicina non si può proprio far a meno
dell’intuizione. Distogliamo dunque il pensiero dal mondo esterno e guardiamo alla nostra interiorità:
vi troveremo una certa affinità con quel che accade fuori.
Dovremo riconoscere che nella flora l’eterico è strettamente congiunto col fisico. Perciò dobbiamo
anche presagire una certa affinità fra questo tipo di connessione dell’eterico col fisico nella flora, e il
tipo di connessione dell’eterico col fisico nell’uomo stesso.
Si tratta di renderci contò di che cosa ci consenta di parlare concretamente dell’affinità dell’eterico con
il fisico. A tutta prima si potrà affermare in modo astratto che l’eterico è più vicino all’astrale che al
fisico, in quanto l’eterico si apre verso l’alto. Si dovrà però riconoscere che l’eterico ha anche un suo
rapporto con il fisico. Dovremo perciò prendere atto di tale duplice affinità, per cui l’eterico sta in
rapporto da un lato col fisico e dall’altro con l’astrale, e andare in cerca di qualcosa che ci introduca in
quella duplice affinità.
Vorrei appunto mostrare nel modo più concreto possibile come si possa penetrare in tale duplice
affinità.
Supponiamo di percorrere un viale di tigli fioriti e cerchiamo di renderci ben conto di come veniamo
compenetrati dal profumo dei tigli in fiore. Ci si rende conto che un certo processo sta svolgendosi tra
le terminazioni nervose degli organi olfattivi e il profumo dei fiori di tiglio. Se si presta attenzione al
processo di percezione del profumo, ci si avvede di una specie di apertura della nostra interiorità,
capace di odorare, verso il profumo dei fiori di tiglio. Avviene dunque un processo che contrappone un
elemento interno a un fattore esterno e, per effetto della loro affinità, i due elementi agiscono in qualche
modo l’uno sull’altro. Nella percezione olfattiva si interiorizza, per così dire, ciò che si disperde
all’esterno nel profumo di quei fiori, e che è senza dubbio dovuto a un’azione reciproca della flora e
dell’ambiente extraterrestre, a un’apertura della flora verso l’ambiente che circonda la Terra. Poiché si
verifica una percezione, si tratta certamente di qualcosa che agisce interiormente dal corpo eterico sul
corpo astrale; se quest’ultimo non venisse coinvolto, non vi sarebbe percezione, e si tratterebbe di un
processo puramente vitale. Il processo stesso della percezione olfattiva testimonia della
compartecipazione del corpo astrale. Ciò che ci svela l’affinità col mondo esterno d mostra in pari
tempo che l’insorgenza di quell’odore dolciastro emanato dai fiori di tiglio è in qualche modo affine,
però in, senso polarmente opposto, a ciò che avviene nell’organo dell’olfatto. In effetti nell’odore
dolciastro emanato dai fiori di tiglio si, manifesta l’azione reciproca fra l’eterico vegetale e l’astrale che
lo circonda riempiendo lo spazio universale. Mediante il processo olfattivo noi partecipiamo all’affinità
della flora e dell’astrale extraterrestre.
Prendiamo ora il caso di un sapore qualunque: per fare un esempio affine al precedente, prendiamo il
sapore della liquirizia o quello dolce dell’uva. Abbiamo a che fare con un processo che si svolge
nell’organo del gusto, invece che nell’organo dell’olfatto. È nota l’affinità tra l’organo del gusto e
quello dell’olfatto; è quindi facile rendersi conto di quanto i due processi del gustare e dell’odorare
debbano essere vicini, anche nei riguardi dei processi della natura esterna. Occorre però tener presente
che la percezione gustativa avviene molto più all’interno dell’organismo che la percezione olfattiva.
Quest’ultima ha luogo più alla superficie: l’dorato partecipa ai processi extraumani che si svolgono
nello spazio. Questo non avviene, nel caso del gusto. Col gusto si evidenziano piuttosto certe qualità
insite nelle sostanze e intimamente collegate con esse. L’interno delle cose, cioè delle piante nel caso
particolare, si conosce meglio col gusto che con l’olfatto. Basta aiutarsi con un po’ d’intuizione per
riconoscere che, gustando tutto quanto si trova nella pianta, si coglie la manifestazione di quanto nella
pianta è connesso col processo di solidificazione, con i processi interni di solidificazione della pianta.
L’organismo vegetale si oppone però alla solidificazione e ce lo manifesta nel fatto di diventare
odoroso. Per tutti questi fatti non si potrà dubitare che il processo gustativo è connesso con i rapporti
fra eterico e fisico.
Ora consideriamo insieme l’olfatto e il gusto. Indirizzando i sensi dell’olfatto e del gusto verso la flora,
si vive realmente entro i rapporti che l’eterico ha da un lato con l’astrale, e dall’altro con il fisico.
Quando ci rivolgiamo con attenzione all’olfatto e al gusto noi penetriamo veramente nell’eterico, o
meglio nella sua impronta. Nell’olfatto e nel gusto dell’uomo si ha in fondo una manifestazione sul
piano fisico dei rapporti fra l’eterico e l’astrale o il fisico. Nell’indagare i processi dell’olfatto e del
gusto et troviamo noi stessi in certo senso alla superficie dell’essere umano.
Oggi però, se si vuole finalmente fecondare la scienza reale mediante la scienza dello spirito, occorre
superare davvero un misticismo astratto e pervenire a una comprensione concreta dello spirituale. A che
serve che la gente dica di continuo che occorre afferrare il divino nell’uomo, quando per « divino » si
intende tutt’al più qualcosa di astratto? Considerazioni di tal genere diventeranno fruttuose solo quando
sapremo affrontare i fenomeni concreti, considerando in modo concreto l’interiorizzazione di certi
processi esterni. Ad esempio, nell’odorare e nel gustare noi consideriamo effettivamente l’eterico che
vive all’esterno, ma che è affine all’uomo: esso poi si interiorizza, e in questo processo sensoriale
(forse il più grossolano di tutti) noi possiamo scorgere direttamente un’interiorizzazione di processi
esterni. Nella nostra epoca è veramente molto importante il superare le enunciazioni astratte o mistiche.
Ci renderemo conto che in natura tutto è in continua trasformazione verso qualcosa d’altro: ogni
processo della natura ha la tendenza a sfociare in un altro processo, a metamorfosarsi in un processo
diverso. Prendiamo ora quel che ho appena detto: l’olfatto è situato più alla superficie (vedi il disegno
seguente), il gusto è situato più all’interno dell’uomo, entrambi però sono qui riferiti alla flora, alle
piante. Ambedue i processi sensoriali hanno luogo nell’eterico, e l’eterico o si apre verso l’astrale, o si
solidifica nel fisico.
Va cioè verso l’esterno, verso i processi di volatilizzazione e di aromatizzazione propri della flora,
oppure verso quelli che si sottraggono all’aromatizzazione nel gusto, interiorizzando così tutto quanto
nel mondo esterno porta alla solidificazione. Ciò che è esterno e ciò che è interno confluiscono in certo
modo, quando fermiamo l’attenzione sull’olfatto e sul gusto.
In natura però un processo trapassa sempre in un altro. Proviamo a concentrare la nostra attenzione su
questo aspetto aromatico della flora, sui processi grazie ai quali essa si sottrae in certo senso alla
solidificazione, cercando di spingere oltre i suoi limiti la condizione vegetale: sui processi nei quali la
pianta emana, per così dire, la propria spiritualità nell’atmosfera, in modo die l’atmosfera accolga in sé
ancora qualcosa della condizione vegetale, appunto nella sostanza aromatica. Nel profumo che si
espande all’esterno sono in certo qual modo ancora presenti i fantasmi delle piante. Che cosa avviene
in realtà là fuori quando la pianta emana i suoi fantasmi odorosi, evitando che tutto diventi pianta
solida, quando dal fiore essa emana ancora qualcosa che vuole sì diventar fiore, che però si sottrae a
tale destino per conservarsi invece allo stato volatile? Questo non è altro che un processo di
combustione tenuto a freno. Se immaginiamo la prosecuzione (in forma mutata) del processo di
aromatizzazione, ci avvediamo che in fondo esso è una combustione trattenuta.
Contemplando nel mondo vegetale da un lato la combustione, dall’altro l’aromatizzazione,
riconosciamo in esse la metamorfosi di un’unità comune. Vorrei dire che nell’aromatizzazione si
presenta, a un altro livello, la combustione.
Osserviamo ora, della pianta, quello che suscita la sensazione gustativa: è qualcosa che sta più addentro
nella pianta stessa, qualcosa che non la induce a spingere verso l’ambiente esterno, quasi come un
fantasma, la propria forza formativa, ma che al contrario gliela fa trattenere, per usarla ai fini della sua
formazione interna. Accompagnando questa formazione interna col gusto, perveniamo al medesimo
processo che sta al di sotto della solidificazione della pianta, al processo che rappresenta, a quest’altro
livello, una metamorfosi della salificazione (naturalmente della pianta poiché è della flora che stiamo
parlando – v. il disegno).
Nella pianta ci si presenta proprio una strana metamorfosi. Verso l’alto abbiamo l’aromatizzazione, cioè
un processo di combustione trattenuto, ma che può addirittura sfiorare i processi di combustione: infatti
i processi della fioritura sono semplicemente processi di combustione che si instaurano a quel livello.
Verso il basso si ha la solidificazione, la salificazione: quel che nella pianta si gusta è una salificazione
trattenuta. Quando poi il sale entra a far parte della pianta, sì che in essa lo ritroviamo sotto forma di
sali vegetali, questi sali sono qualcosa che ha oltrepassato (entro la pianta stessa) la natura vegetale,
qualcosa in cui la pianta ha racchiuso nella propria natura il suo fantasma, la sua ombra.
Ora si può riconoscere la « ragione » di un farmaco, ora si comincia in un certo senso a far luce nella
flora, perché si impara a guardare in profondità nei processi che si vanno svolgendo. Debbo sempre
sottolineare che è essenziale la capacità di osservare i fenomeni concretamente e in profondità.
Proseguendo, basta ora ricordare quanto segue. Per motivi, diciamo, di superiore opportunità, vorrei
ricollegare la mia esposizione con le opinioni oggi correnti, affinché possiate gettare un ponte fra i
risultati dell’indagine spirituale e i contenuti della scienza esteriore. Certo potrei anche caratterizzare la
mia esposizione in modo più specificatamente scientifico-spirituale, ma desidero collegarmi alle usuali
concezioni scientifiche contemporanee. Oggi il fisiologo parla dei fatti che ha davanti a sé e dei quali lo
scienziato dello spirito non necessariamente deve prendere atto, in quanto egli non ha bisogno di
procedere con criteri anatomici, nel Senso ritenuto valido dalla scienza; Tuttavia, riallacciamoci pure
alle concezioni correnti. Non abbiamo bisogno di accettare gli eccessi della mentalità anatomica degli
altri, tuttavia dobbiamo tener conto del fatto che quegli eccessi sono avvenuti e che hanno dato certi
loro risultati. Quegli eccessi avranno fine solo quando la scienza naturale sarà stata fecondata almeno in
parte dalla scienza dello spirito. Proviamo dunque a esaminare i fatti. Dalla scienza dello spirito
risulterà chiara l’affinità, la stretta relazione fra il processo che si Svolge nell’occhio e quelli che hanno
luogo nell’olfatto e specialmente nel gusto, per quanto riguarda la distribuzione del nervo gustativo nel
resto della sostanza organica e la distribuzione del nervo ottico nell’occhio. L’affinità è tale che non si
può quasi fare a meno, caratterizzando la natura del processo visivo, di cercare delle analogie con il
processo gustativo. Naturalmente al termine della distribuzione del nervo del gusto non si trova
Qualcosa di analogo alla ingegnosa struttura dell’occhio, situato davanti alla distribuzione del nervo
ottico nella retina: perciò il processo visivo è qualcosa di ben differente. Però il processo visivo die in
certo modo ha inizio dietro l’ingegnosa struttura dell’occhio fisico è intrinsecamente molto affine al
processo gustativo. Vorrei dire che nell’atto di vedere noi attuiamo un gustare trasformato perché,
situata per così dire davanti al processo organico sensoriale (analogo al gusto), nell’apparato visivo c’è
la mirabile struttura dell’occhio fisico, con tutti i suoi effetti.
Riguardo a ognuno dei sensi dobbiamo naturalmente distinguere fra quel che il nostro organismo porta
incontro al mondo esterno e quel che il mondo esterno offre al nostro organismo. Dobbiamo dunque
osservare i processi che hanno luogo dall’interno per il fatto che il sangue affluisce all’occhio, che cioè
l’organismo agisce entro l’occhio.
La cosa è ancora più evidente in certi animali che, oltre ai nostri organi, possiedono anche il pettine e il
processo falciforme, cioè degli organi irrorati dal sangue: in tal modo l’ego viene spinto maggiormente
nel globo oculare, mentre nell’uomo l’ego si ritira, lasciando interiormente libero il globo oculare. Ma,
attraverso il sangue che irrora l’occhio, l’organizzazione intera opera nel processo sensoriale. Nel
processo visivo è in qualche modo presente il processo gustativo, sia pure trasformato; perciò possiamo
chiamare la vista un gusto trasformato. In certo qual modo si può dunque dire che, al di sopra del gusto
e dell’olfatto, sta la vista, come gusto metamorfosato (v. il disegno precedente).
Tanto al processo del gusto, quanto a quello della vista corrisponde dunque qualcosa di esterno che
coopera con qualcosa di interno. Il processo si deve in certo modo trasformare verso l’alto: il processo
della vista è una metamorfosi del processo del gusto. Però deve esistere anche una trasformazione del
processo del gusto verso il basso, verso l’interno del corpo. Nel processo visivo noi tendiamo piuttosto
verso il mondo esterno; l’occhio è solamente situato nella cavità orbitaria, ma si apre subito verso
l’esterno, è esso stesso un organo molto superficiale, e il processo visivo è proprio organizzato verso il
mondo esterno. Nella direzione opposta dobbiamo ora raffigurarci una trasformazione del processo
gustativo verso il basso, verso l’interno dell’organismo. Giungiamo qui, in certo modo, al polo opposto
del processo visivo, giungiamo al processo che entro l’organismo corrisponde a quello della vista, a
qualcosa che getterà molta luce sulle considerazioni seguenti. Che cosa d si manifesta infatti, se
seguiamo verso il basso la trasformazione del processo gustativo? Troviamo qui la digestione: e a una
reale comprensione del processo digestivo si perverrà solo contrapponendolo al processo visivo. Come
da un lato la vista è una prosecuzione trasformata del gusto, così anche la digestione è un
prolungamento trasformato del gusto. Dunque la digestione deve venir considerata nella sua
contrapposizione polare rispetto alla vista. Quest’ultima, interamente esteriorizzata, ci porta a
riconoscerla come il processo che, verso il mondo esterno, corrisponde alla digestione, mentre la
digestione ne è il corrispettivo interiorizzato. D’altra parte; scopriamo come il processo digestivo debba
essere concepito affine al processo gustativo. Non si possono comprendere le intime attività
dell’organismo umano localizzate nel processo digestivo, se non rappresentandoci l’intero processo
digestivo in questo modo: la buona digestione dipende dalla capacità di saper gustare in certo modo con
tutto l’apparato digerente, mentre la cattiva digestione dipende dall’incapacità di gustare con tutto
l’apparato digerente.
Il processo finora considerato si suddivide dunque in gusto e olfatto. Da un lato abbiamo a che fare, nel
gusto, con un processo fondato piuttosto sull’azione reciproca dell’eterico e del fisico, e dall’altro lato,
nell’olfatto, con un processo fondato piuttosto sulla relazione fra eterico e astrale. In un’analoga
suddivisione ci si presenta la prosecuzione del gusto all’interno dell’organismo; infatti da un lato la
digestione tende verso le escrezioni intestinali, le escrezioni fecali, mentre dall’altro lato abbiamo le
escrezioni urinarie attraverso i reni. Si ha un’esatta corrispondenza nella parte inferiore e in quella
superiore dell’organismo umano. Ci si presentano dunque esattamente due contrapposizioni polari,
quando avviene la suddivisione fra gusto e olfatto, e quando avviene la suddivisione fra la normale
digestione, e ciò che si separa da essa per fondarsi sull’attività renale, più interiorizzata.
Ci si presenta qui la possibilità di considerare quel che accade all’interno dell’organismo delimitato
dalla pelle, come il risultato della interiorizzazione di qualcosa di esterno. Con tutto quello che noi
portiamo avanti verso l’alto andiamo verso il mondo esterno: qui l’uomo si apre verso l’esterno. Ora
dobbiamo continuare il ragionamento nel modo seguente: nella vita animica, nell’attività del pensiero,
della rappresentazione, collegata all’organismo non in senso materialistico, ma nel senso che conoscete
da queste mie conferenze, ha luogo una trasformazione dell’attività visiva diretta verso certi organi
interni (v. disegno precedente). Gli organi che stanno alla base delle rappresentazioni, cioè gli organi
all’interno del capo umano, vanno concepiti come organi visivi trasformati in una certa direzione. Per
rendersi conto che la maggior parte delle rappresentazioni della vita di pensiero sono semplicemente
prosecuzioni delle rappresentazioni visive, basta tener presente la vita psichica di chi è nato cieco o
sordo. Nell’attività di pensiero si ha una prosecuzione verso l’interno dell’attività visiva. Possiamo
perfino riconoscere che si illumina così la strana reciprocità d’azione fra l’anatomia del capo, del
cervello, e la stessa attività di pensiero. Fra parentesi, anche questo potrebbe essere un bel campo di
studio in medicina. È ad esempio molto singolare che, volendo esaminare a fondo la connessione fra il
pensare sintetico e l’organizzazione del cervello, si pervenga a certe strutture simili a una
trasformazione del nervo olfattivo. Si potrebbe dire che il pensiero analitico, visto interiormente, ha una
sua controimmagine molto simile nell’attività visiva. Invece la sintesi delle impressioni visive,
l’associazione delle rappresentazioni, considerate interiormente dal punto di vista organico, è molto
simile all’olfatto. Tutto ciò si esprime davvero in modo molto notevole nella struttura anatomica del
cervello. Per questa via ci siamo dunque avvicinati alla rappresentazione, all’attività del pensiero.
A che cosa si perviene ora, andando invece alla ricerca del processo interiore? Nella rappresentazione si
ha il processo che nell’attività visiva è rivolto verso l’esterno e che si riflette verso l’interno nell’attività
del pensiero. Si cerca per così dire di invertire il processo visivo, dirigendolo verso l’organismo.
Esattamente contrapposto sarà lo sforzo di non dirigere ora il processo verso l’interno, bensì verso
l’esterno. Si tratta del processo digestivo il quale si prolunga nel processo escretivo (v. il dis.
precedente); questo diventa la controimmagine dell’attività di rappresentazione. Si presenta così dà un
differente punto di vista quel che un paio di giorni fa ho descritto valendomi dell’anatomia comparata:
avevo indicato che la struttura anatomica dell’intestino umano, e soprattutto la comparsa della flora
intestinale, mettono in evidenza l’intima affinità fra le cosiddette facoltà spirituali dell’uomo e il suo
processo escretivo, più o meno regolato. Adesso stiamo scoprendo le medesime correlazioni da un altro
lato. Verso l’interno si verifica una prosecuzione dell’attività visiva nell’attività di pensiero, e verso
l’esterno una prosecuzione del processo digestivo in quello escretivo. Torniamo ora alle osservazioni
precedenti sulla aromatizzazione, considerata come una combustione trattenuta, e sulla solidificazione
della pianta, considerata come una salificazione a sua volta trattenuta. Constateremo di avere gettato
luce su quel che accade nell’interno dell’uomo, ma dovremo renderci chiaro conto che avviene
un’inversione. In alto nel disegno vi è un’inversione della vista, verso l’interiorizzazione; mentre in
basso vi è un’inversione nel senso della esteriorizzazione. Perciò in alto dovremo riconoscere
un’affinità dèi rispettivi processi con la salificazione, in basso invece un’affinità con la combustione,
col fuoco. Per venire in aiuto alla parte inferiore dell’uomo sarà quindi opportuno dirigere verso di essa
le forze adatte a provocare nelle piante l’aromatizzazione e il processo di combustione trattenuto. Per
venire invece in aiuto ai processi dell’uomo superiore, si dirigeranno verso di esso le forze che nella
pianta sono destinate a trattenere o a interiorizzare il processo salino. Tratteremo più avanti degli aspetti
particolari.
Come vedete, tutto ciò che è esterno può ricomparire in tutto ciò che è interno: e quanto più
procediamo all’interno dell’uomo, tanto più dobbiamo ricercarvi l’esterno. Nei processi propri degli
organi digestivi umani, e soprattutto nei reni, dobbiamo cercare qualcosa che è strettamente affine ai
processi di aromatizzazione e di combustione, che rappresentano il polo opposto. D’altra parte, nei
processi dell’organizzazione umana che partono dal polmone e vanno verso l’alto, verso la laringe e il
capo, dobbiamo ricercare l’intima affinità con la tendenza alla salificazione propria della pianta e anche
della natura umana. Si può dunque dire: conoscendo i diversi modi in cui le piante accumulano in sé il
sale, è sufficiente ricercarne il corrispettivo nella natura umana. Oggi abbiamo tracciato le linee
generali di una tale ricerca; nelle conferenze successive entreremo nei particolari.
Vedete qui caratterizzata, in linea di principio, l’intera fitoterapia, vedete su che cosa è fondata. Vorrei
dire che così si scorge già profondamente tutto il processo reale che si svolge nella sua azione reciproca
fra l’interno e l’esterno; si scorgono anche già alcuni aspetti particolari. Prendiamo ad esempio gli
odori che hanno già anche una tendenza al sapore, sì che, masticando una data pianta, prima se ne
percepisce l’odore caratteristico che però è in fondo una sintesi di odore e sapore, come nel caso della
melissa o dell’edera terrestre. In questi odori troviamo anche un inizio di salificazione, una mescolanza
di salificazione e aromatizzazione. Questo fatto sta ad indicarci che gli organi che mostrano affinità per
piante come la melissa devono essere situati piuttosto verso l’esterno, verso il petto; invece gli organi
affini alle piante fortemente aromatiche, come ad esempio il tiglio o la rosa, devono essere sinuati più
versò l’addome, o comunque nella parte inferiore dell’organismo umano.
Nell’uomo superiore, nell’ambito della regione dell’olfatto e del gusto (considerati nei loro organi), si
trova inserito un altro processo, un processo vitale importante per l’uomo in un senso più profondo: il
processo respiratorio (vedi disegno precedente). Ora possiamo anche cercare il processo polarmente
opposto a quello respiratorio. Dev’essere quello che si separa dal processo digestivo in quanto questo
diventa processo escretivo, venendo a Costituire la polarità opposta al processo organico della
rappresentazione. Deve qui separarsi un processo ancona organicamente vicino a quello digestivo, così
come la respirazione è vicina alle funzioni dell’olfatto e del gusto. Si tratta di tutto quello che si svolge
nella linfa, nel sangue, e nella formazione del sangue, cioè ciò che dalla digestione viene spinto verso
l’interno, negli organi come le linfoghiandole e così via, cioè in tutti gli organi che partecipano alla
formazione del sangue. Vediamo dunque due processi polari, l’uno separatosi dalla digestione e l’altro
dai processi sensoriali rivolti all’esterno: il respiro, che sta per così dire dietro i processi sensoriali, e il
processo di formazione del sangue e della linfa, che sta « davanti » alla digestione, in quanto
quest’ultima porta all’escrezione. È singolare: considerando le cose in questo modo noi ci addentriamo
nell’uomo intero partendo dalla processualità, mentre di solito si considera l’uomo partendo dagli
organi. Qui cerchiamo di comprendere l’uomo partendo dalla processualità e dalle connessioni
dell’uomo col mondo extraumano; in effetti troviamo delle connessioni che ci danno realmente
un’immagine dell’attività eterica complessiva nell’uomo. Oggi qui abbiamo di fatto studiato l’azione
delle forze eteriche nell’uomo. Quei due processi, il respiratorio e quello della formazione del sangue,
tornano ad incontrarsi, e il loro incontro ha luogo nel cuore. Tutto il mondo esterno, in quanto
comprende anche l’esterno dell’uomo stesso, ci appare dunque come una dualità che nel cuore umano
si scontra e ivi tende a una specie di equilibrio.
Possiamo così arrivare a un’immagine singolare, all’immagine del cuore umano con la sua
interiorizzazione, con la sua sintesi di tutto quello che agisce su di noi esternamente, lungo tutta la
periferia del corpo. Nel mondo esterno si presenta in una realtà per così dire analizzata, o dispersa in
tutte le direzioni, tutto quello che si riunisce nel cuore (vedi il disegno seguente). Arriviamo così a un
pensiero importante, che si potrebbe formulare così: guardando fuori, verso il mondo, scorgiamo
l’intero mondo circostante e ci possiamo chiedere: che cosa esiste in esso, che cosa opera da esso su di
me? dove trovo in me qualcosa che sia affine e omogeneo al mondo esterno?
Lo trovo guardando dentro il mio cuore! In esso vi è come il cielo capovolto, vi è esattamente l’opposto
di fuori. Mentre nella periferia (v. disegno) vi è per così dire il punto dilatato all’infinito, nel cuore
umano vi è la periferia concentrata, si ritrova il mondo intero. Volendo usare un’immagine grossolana,
si potrebbe semplicemente dire: ci si raffiguri l’uomo in cima a una montagna mentre guarda da ogni
parte e scorge la vasta cerchia del mondo. Immaginatevi ora un piccolissimo nanetto nel cuore umano,
cercando di farvi un’idea di che cosa esso scorga lì dentro: vi scorge raccolta, sintetizzata, la completa
immagine del mondo, però capovolta. Questa potrà anche essere una rappresentazione immaginosa,
ima specie di immaginazione; tuttavia essa può anche agire, se accolta nel modo giusto, come
un’immagine regolatrice, come un principio regolatore. Può aiutarci a sintetizzare nel modo giusto
proprio i singoli risultati della conoscenza.
Ho creato così le basi per le considerazioni specifiche che svolgerò in seguito, e anche le basi per poter
rispondere in particolare agli svariati interrogativi che mi sono stati proposti.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 08 – METAMORFOSI NELL’ORGANISMO UMANO
Rapporto fra pianta e uomo
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 26.03.1920
Sommario: Il processo di formazione della pianta, la tendenza a spirale. L’azione dei pianeti. Rapporto
fra pianta e uomo. Polarità fra gravità e luce. L’attività del cuore. Polarità nell’organismo umano e
malattia. Rachitismo, craniotabe. Processo salino, mercuriale e fosforico. I metalli come processi
planetari, e la pianta. Combustione e incenerimento. Cenni sul metodo di terapia fisica. Farmaci di
origine animale.
Ho qualche preoccupazione riguardo a quel che debbo dire oggi. Infatti, se potessi impiegare tre mesi
per esporre queste cose, sarebbe facile mostrare che non si tratta di mere fantasie. Siccome però nella
lezione odierna posso passarle soltanto velocemente in rassegna, al fine di rendere comprensibile
l’argomento seguente (cioè gli aspetti particolari della terapia); alcune mie affermazioni potranno
apparire un po’ campate in aria. Mi sforzerò tuttavia di mostrare, col mio modo di esporre, che sono
tutte cose ben fondate, forse anzi fondate meglio delle basi dell’odierna scienza naturale. Vorrei dunque
oggi cominciare con l’illustrarvi il processo di formazione delle piante come tale, nella sua connessione
col cosmo. Ho già fatto rilevare che nell’uomo si svolge in certo qual modo funzionalmente un
processo inverso a quello che si manifesta nel divenire vegetale. Per scoprire la relazione diretta fra il
mondo vegetale e l’uomo è dunque necessario almeno accennare qui al processo di formazione delle
piante. L’osservazione della pianta ci mostra nel suo processo formativo due tendenze nettamente
contrapposte. L’una è rivolta verso la terra, e già ieri ho accennato al fatto che nelle piante arboree la
terra si è per così dire ripiegata sul tronco, in modo che i fiori e le foglie degli alberi prendono radice
nel tronco, come le piante erbacee o quelle inferiori prendono radice nella terra.
Da un lato constatiamo dunque la tendenza della pianta verso la terra. Dall’altro lato la pianta tende ad
allontanarsi dalla terra, e non solo come per effetto di una forza meccanica che si opponga alla forza di
gravità, ma in tutto il suo processo formativo interno. I processi che si svolgono nel fiore sono diversi
da quelli della radice: essi dipendono da fattori extraterrestri assai più dei processi che si svolgono nella
radice. E noi dobbiamo anzitutto prestare attenzione a tale dipendenza della formazione del fiore dalle
forze non propriamente terrestri. Le medesime forze usate dalle piante per innescare nella regione del
fiore il processo di fioritura e di formazione del seme, a causa della inversione funzionale del processo
vegetale nell’uomo di cui ho parlato nei giorni scorsi, possono venir ritrovate nell’addome umano e in
tutto quel che concerne le secrezioni, le escrezioni e la base funzionale della sessualità. Proprio
cercando la relazione dell’uomo con la pianta veniamo quindi ricondotti sia al processo extraterrestre
della pianta, sia a quello terrestre.
Non vorrei trascurare di farvi notare che queste osservazioni non sono tratte da antichi scritti di
medicina, ma sono fondate completamente sull’indagine scientifico-spirituale contemporanea. Solo che
si è costretti a cercar di riallacciarsi alla letteratura antica per quel che riguarda la terminologia, in
quanto la letteratura scientifica moderna non possiede ancora una terminologia adeguata. Sbaglierebbe
dunque chi credesse che il contenuto di queste mie considerazioni sia tratto solo da scritti antichi.
Seguendo la crescita delle piante dalla terra verso l’alto, ci si mostra anzitutto l’andamento a spirale del
processo formativo delle foglie e del fiore. Le forze formative della pianta seguono in certo modo un
andamento spiraliforme attorno al fusto. L’andamento a spirale non può essere attribuito a forze di
tensione interne alla pianta stessa, ma deve venir ricondotto all’azione di fattori extraterrestri e
principalmente all’azione del moto solare apparente; infatti il moto della Terra rispetto al Sole va
considerato solo in modo relativo. Sotto certi aspetti, il corso degli astri si può veramente Studiare
meglio partendo dall’andamento dei processi formativi nelle piante, che non fondandosi sui principi
matematici galileiani. La pianta, infatti, riproduce fedelmente quel che fanno gli astri.
Si sbaglierebbe però a credere che nella pianta sia attivo solo l’andamento formativo diretto dalla Terra
verso l’alto e dipendente dal Sole. L’azione degli astri si fonde in una risultante, insieme ai moti del
nostro sistema planetario causati dal Sole. La forza del Sole tenderebbe a impadronirsi totalmente della
pianta e a farne proseguire la crescita all’infinito, se non le si contrapponessero le forze dei cosiddetti
pianeti esterni con le loro spirali (v. il disegno seguente). In realtà infatti i pianeti non percorrono orbite
ellittiche, bensì si muovono in spirali. L’intera concezione copernicana del mondo dovrebbe in realtà
venir oggi verificata e sostituita da un’altra.
I cosiddetti pianeti esterni, cioè Marte, Giove e Saturno, provocano una diminuzione della forza rivolta
verso l’alto, frenando la produzione a spirale delle foglie, e causando la formazione del fiore e del
seme. Osservando dunque la crescita della pianta verso l’alto, a partire dalla formazione delle foglie,
dobbiamo attribuirne l’origine alle forze che risultano dalla cooperazione del Sole con Marte, Giove e
Saturno. Fra parentesi vorrei far notare che i pianeti Urano e Nettuno vanno annoverati fra i pianeti del
nostro sistema solo dal punto di vista astronomico, perché in realtà essi non gli appartengono. Essi si
sono aggregati al nostro sistema solare provenendo dall’esterno, come corpi originariamente estranei. È
quindi giusto prescindere da tali corpi celesti, per così dire invitati dal nostro sistema in un secondo
tempo: sono come degli ospiti!
Non agiscono però solo quei due elementi: ad essi si contrappone l’azione della Luna e dei cosiddetti
pianeti interni, cioè Mercurio e Venere. Mercurio, Venere e la Luna producono nella pianta la tendenza
verso la Terra, verso il basso, tendenza che si manifesta nel modo più significativo nella formazione
della radice. Tutto quel che appare come « terrestre » è in realtà influenzato anche dai pianeti
infrasolari, in connessione con la Luna. Nella pianta si esprime dunque, vorrei dire, l’intero nostro
sistema planetario. Non si può comprendere la relazione fra la pianta e l’uomo, senza conoscere il
modo in cui il sistema planetario si manifesta da un lato nella pianta e dall’altro nell’uomo.
Basta infatti osservare questo fatto: bruciando piante che tendono alla radice (quelle cioè in cui il
processo di formazione dei fiori e dei semi è meno rigoglioso), oppure bruciando semplicemente delle
radici, si ottiene molta più cenere di quel che si ottiene bruciando dei fiori, o del vischio, o delle piante
arboree. La differenza dipende dal fatto che i pianeti infrasolari (Luna, Mercurio, Venere) agiscono più
intensamente sulle piante che hanno una forte tendenza alla formazione della radice. Nella cenere si
trovano allora ferro, manganese, quarzo, cioè dei componenti che sono al contempo dei rimedi, e che
come tali si manifestano anche quando si usino parti della pianta. Se invece si bruciano piante dell’altro
tipo, si trovano minori quantità di ceneri. Nel processo di combustione si documenta effettivamente
l’appartenenza della pianta all’intero universo, non solo alla Terra.
Osserviamo ancora più a fondo il processo vegetale. Nel caso delle piante annuali esso termina in una
certa stagione con la formazione del seme. La formazione del seme deve dunque essere fatta risalire
soprattutto all’azione di fattori extraterrestri.
Essa viene però interrotta e affidata all’azione di fattori terrestri: nell’anno successivo deve in certo
modo proseguire a un livello inferiore quel che nell’anno precedente era già arrivato a un livello più
alto. Nell’intero corso della crescita delle piante si può dunque osservare un andamento singolare.
Supponiamo che questa sia la superficie terrestre (v. disegno seguente): qui abbiamo la pianta che dalla
Terra cresce verso il mondo extraterrestre. Quel che viene formato nell’universo viene però riportato
poi nella Terra e il ciclo ricomincia da capo. Così, nell’intero processo di crescita delle piante, ogni
anno in realtà le forze del cielo si immergono nelle profondità della Terra per unirsi con le forze
terrestri, in modo che il ciclo possa compiersi di nuovo. Ogni anno esse immergono dunque l’elemento
del fiore e dei frutti in quello della radice, completando così i cicli a cui è soggetta la crescita di tutte le
piante.
Osservazioni di tal genere ci permettono di riconoscere in effetti nella flora della terra il risultato
dell’azione reciproca della Terra complessiva stessa e dei fattori extraterrestri. Questa azione combinata
non si limita solo alla forma, ma si estende invece anche al chimismo interno e all’intero sistema
organico. Proprio come l’elemento terrestre viene superato da quello cosmico sul piano della forma,
così anche il chimismo terrestre viene in certo modo superato nella pianta da fattori extraterrestri: una
volta superato fino a un certo punto, deve poi venir nuovamente ricondotto nell’ambito terrestre, al fine
di rappresentare un chimismo terrestre. A questo punto non è difficile rendersi conto che il chimismo
terrestre si mostra esternamente nella formazione di cenere e può dunque esprimersi in ciò che
abbandona l’ambito del vivente; quel che esce dal vivente è però sottoposto alla gravità, mentre la
crescita della pianta verso l’alto è invece un continuo superamento della gravità e delle altre forze
legate alla Terra. Si può dunque parlare di una contrapposizione polare fra la gravità e la luce. La luce è
ciò che vince continuamente la gravità. La pianta è dunque inserita nella lotta fra la gravità e la luce, fra
quello che tende verso la cenere e quello che tende verso il fuoco. Q si presenta qui il contrasto polare
fra il divenir-cenere e ciò che si manifesta nel fuoco; si potrebbe anche dire la polarità fra il ponderabile
e l’imponderabile. Così dunque abbiamo, da un lato, il mondo vegetale nelle sue connessioni cosmiche.
Passiamo ora a considerare Tessere limano. Dopo le considerazioni fatte nei giorni scorsi non penserete
certo di venirne a capo senza riconoscere nell’uomo stesso un orientamento di tipo polare. Ho infatti
descritto come quel che nella pianta cresce dal basso verso l’alto, nell’uomo cresca invece dall’alto
verso il basso: nella sessualità e nei processi di secrezione dell’uomo le qualità del fiore e del seme
sono rivolte verso il basso, mentre le qualità della radice sono rivolte verso l’alto. Nell’uomo però tutto
questo avviene sul piano funzionale, mentre nella pianta si tratta di un processo materiale.
Nell’uomo abbiamo dunque l’opposto rispetto alla pianta: e non solo l’opposto, ma anche il portatore di
tale contrapposizione. Sul piano funzionale abbiamo dunque nell’uomo una specie di pianta radicata in
alto che cresce verso il basso, e intorno ad essa la sua parte materiale che invece ha la tendenza dal
basso verso l’alto. Nell’uomo avviene di continuo quel che nella pianta si fa artificialmente, quando si
colgono i frutti della sfera superiore per immergerli in quella inferiore. Nell’uomo collaborano sempre
le tendenze dei processi operanti dall’alto verso il basso con quelle dei processi che si svolgono in
direzione opposta. La salute e la malattia dell’uomo consistono in fondo in tale alternanza. Non si
possono affatto comprendere i complicati processi che si svolgono nell’uomo, senza tener conto che le
cose stanno così: da un lato c’è un portatore che dalla Terra agisce verso l’alto, dall’altro lato si
inserisce nel portatore qualcosa che opera dall’alto verso il basso.
La vita dell’uomo deve le condizioni di salute o di malattia all’azione congiunta di queste forze. Lo si
può riconoscere facilmente, quando ci si trova (con una certa disperazione) dinanzi a un fatto molto
importante: l’organismo umano va curato in modo diverso, a seconda che si ammalino le parti situate
sotto il cuore, o quelle situate sopra il cuore. L’essere umano va addirittura considerato a tale proposito
secondo princìpi diversi, nei due casi. Prendiamo ad esempio il comportamento, per molti misterioso,
della craniotabe e del comune rachitismo, due fenomeni molto vicini fra loro, per chi consideri l’uomo
come un essere unitario. Siccome però i due quadri clinici prendono origine da regioni diverse
dell’organismo, da regioni polarmente opposte, essi devono venire considerati secondo princìpi
differenti. Questo vale in modo nettissimo anche per il procedimento terapeutico. Può darsi che un
medico abbia successo in casi di rachitismo con un trattamento a base di fosforo, e non invece, con lo
stesso trattamento, in casi di craniotabe; in questo caso si dovrà instaurare il trattamento opposto, cioè
una terapia a base di carbonato di calcio o di sostanze simili. Questo però non è che il caso particolare
di un fatto generale che si esita a formulare, anche se è vero. Si tratta di questo: nel campo della
medicina umana, di ogni affermazione giusta può essere giusto, in certi casi, anche il contrario: e
questa è una realtà certamente deplorevole! È senz’altro possibile che qualcuno suggerisca un indirizzo
terapeutico corretto per questa o quella malattia, ma che poi tale indirizzo si riveli del tutto inefficace di
fronte a manifestazioni apparentemente identiche: si dovrà allora ricorrere a un trattamento di tipo
opposto. In medicina una teoria terapeutica può sempre scacciarne un’altra, se non ci si rende conto che
con un certo metodo è possibile curare solo una parte dell’uomo, mentre un’altra sua parte deve essere
curata con un metodo diverso. Queste cose dobbiamo riconoscerle a fondo, proprio a questo punto delle
nostre considerazioni.
Dobbiamo ora osservare correttamente quel che nella pianta ci si presenta separato e che costituisce
una parte della costituzione dell’uomo. Ieri ho attirato la vostra attenzione sui tre impulsi formativi
propri della natura extraumana: l’impulso formativo salino, l’impulso formativo mercuriale e l’impulso
formativo per cui certi corpi, come il fosforo o lo zolfo, sono in grado di conservare in sé le forze degli
imponderabili, sono portatori degli imponderabili.
Riguardo a quel che ho detto oggi, qual è la differenza fra quei tre diversi impulsi formativi, propri
della natura extraumana? Il processo salino, o meglio il processo che porta alla formazione di sale,
trasferisce i processi interni nell’ambito della gravità. Chi legge gli antichi scritti medici, farebbe bene,
ogni volta che si imbatte nel concetto delle « sostanze che diventano sale », a tener presente che con
quel processo la sostanza in questione viene assoggettata alla forza di gravità. Al contrario, col
processo opposto, con il processo della luce, gli imponderabili vengono sottratti alla forza di gravità.
Come rappresentante degli imponderabili possiamo prendere in considerazione la luce. Anche nella
natura extraumana dobbiamo raffigurarci presente dappertutto il contrasto fra la luce e la gravità, fra
quel che tende verso l’esistenza extra-terrestre e quel che invece fa sì che le sostanze terrestri tendano
verso il centro della Terra. Ci si presenta qui dunque la polarità gravità-luce e poi la continua, oscillante
ricerca dell’equilibrio tra gravità e luce, ricerca che si esprime nella qualità mercuriale. « Mercuriale »
non significa altro che la continua ricerca di un equilibrio fra la luce e la gravità.
Cerchiamo ora di inserire nell’intero universo le contrastanti realtà dell’elemento salino, di quello
fosforico e di quello mercuriale, cerchiamo di inserirle in ciò che è soggetto alla gravità, in ciò che
possiede qualità di luce e in ciò che tende all’equilibrio fra i due.
L’intera attività del cuore umano si trova inserita in modo singolare nel pieno di quei contrasti. A
prescindere dall’idea del cuore concepito come una pompa, di cui ho già mostrato l’insostenibilità, è
veramente terribile che la scienza moderna consideri che l’attività del cuore si esaurisca in se stessa,
che sia per così dire separata dal mondo esterno dalla pelle dell’uomo. Oggi si pensa che il cuore sia in
qualche modo collegato solo con quello che pulsa attraverso il corpo, ma non è così. L’uomo è un
essere dotato di organi, inserito nell’intera processualità dell’universo, e il suo cuore non è solo un
organo presente nel suo organismo, ma appartiene all’intera processualità universale. L’azione
congiunta dei pianeti esterni, o « extra-solari », e di quelli interni, o « infra-solari », non si svolge solo
nella pianta, ma anche nell’uomo, e si esprime nei moti del cuore. I movimenti del cuore non
riproducono soltanto quel che accade nell’uomo, ma anche certi rapporti extraumani. Osservando il
cuore dell’uomo, si può constatare che in esso si rispecchia in fondo, vorrei dire, tutta la processuale
dell’universo. L’uomo è un individuo solo per quanto riguarda la sua essenza animico-spirituale. È
invece inserito nella processuale universale per il fatto, ad esempio, che i battiti del suo cuore
effettivamente non esprimono quel che accade nell’uomo, bensì la lotta che si svolge nell’universo fra
la luce e la gravità.
Ho cercato spesso di chiarire ai profani il modo in cui l’uomo è inserito nell’universo, con un dato
grossolanamente evidente e facendo il conto seguente. Ammettendo che l’uomo compia in media circa
diciotto atti respiratori in un minuto, il numero totale degli atti respiratori in un giorno, in ventiquattro
ore, sarà precisamente 25.920. Tenendo conto poi che i giorni di un anno sono 365 e ammettendo una
durata media della vita umana di circa 71 armi (naturalmente si può raggiungere anche un’età molto più
avanzata!), si trova che il numero dei giorni di una vita umana è uguale a quello degli atti respiratori in
un solo giorno: 25.915. Consideriamo ora l’intero corso del Sole attraverso lo zodiaco, cioè un
cosiddetto anno platonico: il tempo che il Sole impiega per sorgere nuovamente nello stesso segno
zodiacale, il giorno dell’equinozio di primavera, è di 25.920 anni. Ecco qui dunque un singolare
esempio numerico della connessione fra l’uomo e l’universo: dal corso del Sole, cioè dall’anno
platonico, risulta lo stesso numero, in anni, che può venir espresso dai giorni di vita dell’uomo. Questa
corrispondenza è molto facile da evidenziare, ma indica aspetti straordinariamente profondi della vita
dell’universo. Basta considerare il fatto, sul quale dobbiamo sempre insistere nell’antroposofia, che
durante il sonno l’io e il corpo astrale umani fuoriescono dal corpo fisico e da quello eterico, per
rientrarvi al momento del risveglio. Possiamo raffigurarci questo fatto come una specie di espirazione e
di inspirazione dell’animico-spirituale da parte del corpo fisico: si scopre che questi « atti respiratori »
compiuti durante una vita umana sono 25.915 o 25.920, e che un’intera vita umana deve rappresentare,
da qualche punto di vista, qualcosa di analogo a « un giorno ». Naturalmente vi sono i giorni
intercalari, dai quali proviene quella piccola differenza nel conto. Deve dunque esistere nell’universo
qualcosa di connesso con un’intera rivoluzione (sia pure apparente) del Sole e che si esprime nello
stesso numero. Scopriamo qui dunque un ritmo che si manifesta in grande nell’universo, ma anche in
ogni singola vita umana e poi anche nei processi respiratori umani di un singolo giorno; Non ci
sembrerà più tanto strano che, in base all’antica conoscenza chiaroveggente atavica, in un remoto
passato si sia parlato dei giorni e delle notti di Brahma, di inspirazione ed espirazione del mondo.
Allora si sapeva che l’inspirazione e l’espirazione del mondo si riflettono microcosmicamente nel
processo vitale giornaliero dell’uomo.
Non generici sentimenti di simpatia o di antipatia, ma fatti molto concreti come questi ispirano un
senso di schietta venerazione per la saggezza primordiale dell’umanità. Posso assicurarvi che io non
sarei un ammiratore della saggezza primordiale, se non mi fossi convinto per innumerevoli esempi che
oggi si può giungere alla scoperta di cose che erano note alla saggezza primordiale e che poi sono state
del tutto dimenticate. Chi aspira veramente alla conoscenza non si educa alla venerazione della
saggezza primordiale spinto da un generico sentimento: lo fa perché è in grado di comprendere certi
rapporti precisi e concreti.
Per ricercare l’elemento della luce dobbiamo dunque innalzare il nostro sguardo ai pianeti del nostro
sistema che si trovano oltre il Sole: a Marte, a Giove, a Saturno. Tutto quel che accade sulla Terra è in
un certo senso un effetto di quello che esiste al di fuori della Terra: perciò dobbiamo ritrovare entro
l’ambito della Terra gli effetti di quel che avviene nel cosmo. Non dobbiamo dunque cercare nelle
sostanze terrestri, in un modo astratto e fantastico, le cause della loro configurazione o dei loro stati di
aggregazione, come fa l’odierna fisica delle molecole, o la chimica degli atomi e delle molecole. La
chimica atomica cerca per così dire di vedere ciò in cui non si può guardare: l’interno della costituzione
dei corpi; essa inventa una quantità di belle idee sull’atomo e sulla molecola, parlando poi (forse oggi
un po’ meno orgogliosamente che qualche decennio fa) di « conoscenza astronomica » della struttura
interna dei corpi. Così si diceva tempo fa; oggi queste cose si fotografano, come ho detto nella
conferenza pubblica dell’altro ieri, ma in ambienti spiritistici si fotografano anche… gli spiriti!
Siccome però gli scienziati odierni non sono inclini a credere alle fotografie degli spiriti, essi
dovrebbero permettere ad altri, che comprendono queste cose, di non credere alle loro fotografie degli
atomi. Infatti le stesse cause d’errore stanno alla base di entrambi i tipi di fotografia.
Nelle piante non sono in gioco le forze legate agli atomi e alle molecole, ma quelle che dall’esterno
della Terra agiscono entro le sostanze terrestri. La configurazione di una sostanza terrestre non è data
da questi piccoli dèmoni, dagli atomi e dalle molecole, ma dalle forze cosmiche che operano in un
modo o nell’altro. Supponiamo che al di fuori della Terra si crei una disposizione di astri tale, per cui
sopra un certo punto della Terra possa agire in modo particolarmente favorevole il pianeta Saturno. Al
centro sta la Terra, e all’esterno Saturno che agisce su di essa (v. disegno seguente). Saturno può agire
in modo ottimale, se dalla sua linea d’azione sotto molto lontane le linee d’azione di altri corpi celesti,
come il Sole, o Marte, o altri. L’azione del Sole o dei pianeti deve essere quanto possibile lontana dalle
linee d’azione di Saturno, perché questo possa agire da solo. Poiché la nostra Terra è condizionata
anche da altre cause, se in un certo punto della Terra si crea una condizione favorevole per le forze di
Saturno poco influenzate da altre forze extraterrestri, nella sostanza terrestre si forma una struttura
diversa da quella che si forma quando, ad esempio, Marte agisce nelle stesse condizioni. Nelle sostanze
terrestri ritroviamo appunto solo i prodotti dell’azione congiunta delle forze stellari. Nel caso citato, in
cui Saturno agisce su certi punti della Terra in condizioni particolarmente favorevoli e per lungo tempo,
questa sua azione si manifesta nel suo prodotto: si constata cioè la formazione del piombo.
Questa è la ragione per cui certe sostanze terrestri, soprattutto di natura metallica, si debbono collegare
con certe situazioni nel cosmo extraterrestre. Non si può proprio rinunciare a fare un parallelo fra
quanto può offrire l’indagine odierna, la moderna scienza dello spirito, e quel che in tempi antichi
scaturì dalla saggezza primordiale e che può venir veramente compreso solo dopo essere stato
riscoperto.
Infatti gli scritti antichi sono davvero incomprensibili per gli uomini d’oggi che pensano in termini di
fisica o di chimica. Ce lo mostra un esempio offerto da uno scienziato nordico molto intelligente: in
una storia dell’alchimia egli ha descritto un processo che, come osserva molto giustamente, è
un’assurdità secondo gli odierni concetti della chimica, perché non se ne ricava nulla: si tratta di un
processo che concerne il piombo. Il brav’uomo però non ha riconosciuto che con quei termini veniva
spiegato il processo di formazione del seme: pensava che si intendesse parlare di un processo
osservabile in laboratorio, e in questo caso la cosa sarebbe naturalmente assurda. Egli ignora che
occorre per così dire trasferire la terminologia sopra un altro piano, che molti termini avevano un senso
del tutto diverso da quello che noi attribuiamo loro adesso. Perciò considera la cosa un’assurdità;
naturalmente ha ragione e anche torto!
È dunque necessario collegare le sostanze terrestri con le forze che agiscono sulla Terra dall’universo
circostante. Se condotto nel modo da me indicato in queste conferenze, lo studio dei metalli mostra
delle connessioni ben precise. Dobbiamo per esempio ascrivere il piombo soprattutto all’azione
indisturbata di Saturno, lo stagno all’azione indisturbata di Giove, il ferro all’azione indi- sturbata di
Marte, il rame all’indisturbata azione di Venere, il mercurio o argento vivo (come viene anche
chiamato) all’indisturbata azione di Mercurio (gli antichi infatti avevano dato lo stesso nome al pianeta
Mercurio e al mercurio metallico). Dovremo poi riconoscere l’affinità fra tutto ciò che è argenteo (e
dico espressamente « argenteo ») e l’indisturbata azione della Luna. È veramente simpatico leggere nei
libri di oggi che l’affinità dell’argento con la Luna era stata affermata perché la Luna ha una lucentezza
argentea e che ci si era attenuti soltanto a questa caratteristica esteriore. Non potrà però cadere in
questo errore chi sa come Siano stati a loro modo accurati gli studi sui diversi metalli. Da quanto ho
detto risulta però quante possibilità siano state offerte anche ad altre sostanze. Quelle che ho nominato
finora, il piombo, lo stagno, il ferro, il rame, il mercurio, l’argento, sono soltanto le sostanze più
caratteristiche. Viene però offerta un’ampia opportunità ad altre sostanze, per il fatto che le più diverse
azioni planetarie possono interferire con quelle indicate: ad esempio, nella linea d’azione di Saturno
può interferire quella di Marte, eccetera. Così hanno origine i metalli meno rappresentativi. Ad ogni
modo dobbiamo scorgere nei metalli della Terra il risultato dell’azione di forze extraterrestri. Così le
forze che si manifesta no nell’azione dei metalli si connettono in qualche modo con quelle che vediamo
agire nella formazione delle piante. Prendiamo le forze formative del piombo, dello stagno e del ferro:
in esse ritroviamo press’a poco tutte le forze collegate nelle piante con la formazione dei fiori e dei
semi, in quanto essa avviene al di fuori dell’ambito terrestre, al di sopra della superficie della Terra.
La formazione delle radici deve invece essere collegata con tutte le forze del rame, del mercurio e
dell’argento.
: Mentre da un lato un certo pareggio viene realizzato grazie all’elemento mercuriale, da un altro si
scopre naturalmente la necessità di creare un differente equilibrio o pareggio. Infatti l’elemento
mercuriale stabilisce l’equilibrio fra le forze terrestri e quelle extraterrestri. Però l’intero universo è in
realtà permeato di spirito, e a questo punto si presenta, vorrei dire, un’altra polarità; Raffigurandoci
come contrapposte la sfera terrestre e quella extraterrestre, ci si presenta il contrasto fra luce e gravità.
Tale constatazione ci schiude però soltanto la possibilità di scorgere uno stato di equilibrio appunto fra
il terrestre e l’extraterrestre.
Esiste però un altro stato di equilibrio, quello fra tutto ciò che compenetra ugualmente sia la Terra, sia
l’universo extraterrestre, e l’insieme stesso del terrestre e dell’extraterrestre, cioè l’equilibrio fra lo
spirito e la materia, sia il ponderabile, sia l’imponderabile. In ogni punto dell’esistenza materiale deve
essere mantenuto l’equilibrio fra lo spirito e la materia, anche nell’universo. Il punto a noi più vicino
nell’universo in cui l’equilibrio viene mantenuto è il Sole stesso: il Sole mantiene l’equilibrio fra lo
spirito nell’universo e la materia nell’universo. Perciò esso è al contempo un corpo celeste che
mantiene l’ordine nel sistema planetario, ma anche realizza l’ordine partendo dalle forze che penetrano
nel nostro sistema materiale. Come si può accertare la connessione fra i diversi pianeti e i metalli, nel
modo che ho descritto in precedenza, così è possibile anche stabilire la connessione fra il Sole e l’oro.
Anche in questo caso va messo in rilievo che gli antichi non apprezzarono certamente l’oro per il suo
valore arimanico, bensì a causa della sua connessione con il Sole, con l’equilibrio fra lo spirito e la
materia.
È importante non dimenticare mai che in natura si trovano sempre unite le cose che noi distinguiamo,
sia nei nostri pensieri, sia nelle azioni che compiamo. Nei nostri pensieri, per esempio, distinguiamo
ciò che è soggetto alla forza di gravità e che quindi tende alla formazione di sali, da ciò che diventa
portatore di luce, che tende cioè verso l’azione della luce, e ancora distinguiamo ciò che è soggetto
all’equilibrio fra le due forze.
In natura però le cose non sono affatto separate o distinte; le diverse modalità di azione sono invece
collegate fra loro, si intrecciano a formare sistemi costruttivi molto ingegnosi. Un tale sistema si trova
ingegnosamente edificato già nello splendore dell’oro, in quanto attraverso l’oro lo spirituale guarda
per così dire in modo puro nel mondo esterno. Qui la nostra attenzione viene stimolata a osservare
qualcosa che vorrei menzionare quasi tra parentesi: si potrebbero forse valorizzare di nuovo
fruttuosamente nella moderna letteratura scientifica certi suggerimenti ancor oggi ricavabili dagli scritti
antichi. Qualora svolgeste alcuni dei temi di studio qui proposti ieri, potreste trovare nella letteratura
medica antica qualche suggerimento, purché la comprendiate in modo giusto. È importantissimo notare
come negli scritti antichi tutti e tre i princìpi (il salino, il mercuriale e il fosforico o sulfureo) si
ritrovino variamente connessi fra loro in ogni sostanza; nei tempi antichi ci si sforzava di estrarre
separatamente dalle sostanze quei tre princìpi. Si era convinti che il piombo, ad esempio, avesse
un’origine quale l’abbiamo qui ora accennata, ma anche che il piombo contenesse (non meno che l’oro
o il rame) tutti e tre i princìpi, il salino, il mercuriale e il fosforico. Ora, ai fini di una terapia in campo
umano con uno dei tre princìpi, occorreva isolarlo, in certo modo separarlo dagli altri con cui è
connesso. La chimica antica dedicava moltissima cura a questo processo che presentava la massima
difficoltà nel caso dell’oro. Da qui il detto romano (capace anch’esso di suscitare in noi venerazione per
l’antichità) « facilius est aurutn facere quam destruere »: è più facile creare l’oro che distruggerlo. Si
pensava che nell’oro i tre princìpi, il salino, il mercuriale e il fosforico, fossero così strettamente
collegati fra loro, da poterli isolare dall’oro solo con la massima difficoltà.
È senz’altro vero che oggi non si otterrebbero dei risultati considerevoli, se ci si volesse comportare
esattamente come gli antichi per cercar di isolare i tre princìpi naturali. Prescindiamo dunque del tutto
dall’antico, come dobbiamo fare proprio in queste conferenze in cui solo di quando in quando si fa
cenno alla letteratura antica, ed esaminiamo invece i possibili oggetti di una ricerca moderna. Per
isolare, dei tre princìpi caratterizzati qui da me ieri e oggi, quello di cui si ha bisogno, è necessario
sottoporre le sostanze della natura in Certo modo a un processo di combustione, così da separare per
primo il principio del fuoco, della luce. Per conseguire certi scopi, bisogna poi cercare di isolare dalle
sostanze il principio mercuriale, in modo che residui soltanto ciò che tende alla salificazione. Si può
infine estrarre con un acido la parte salina, e in tal modo si sarà allora ottenuto un vero rimedio di tipo
salino, di origine sia vegetale, sia anche minerale. Più avanti esporrò altri particolari in proposito. Nella
natura dovremo dunque cercare le sostanze portatrici di luce, al fine di poterci valere dell’elemento
extraterrestre; oppure invece dovremo sforzarci di eliminare dalle sostanze terrestri l’elemento
extraterrestre, e in tale modo disporremo del sale vero e proprio; oppure infine dovremo cercare di
ricavare il principio che mantiene l’equilibrio fra gli altri due.
A tale scopo si possono percorrere due vie diverse, ciascuna delle quali porta fino a un certo grado alla
meta: in realtà, si possono percorrere entrambe. Si può condividere il punto di vista dei medici antichi
che cercavano sempre di ricavare dalle sostanze note ciò che (secondo il loro modo di vedere) era
fosforo, o sale, o mercurio; poi usavano il principio isolato.
Per loro la diversa e specifica efficacia dei farmaci dipendeva dalla loro origine: ad esempio era diversa
a seconda che il farmaco era ricavato dal piombo o dal rame. Essi tenevano cioè conto della
provenienza: un sale ricavato dal piombo era qualcosa di diverso che un sale ricavato dal rame. Anche
quando parlavano di « sale », in realtà essi intendevano non solo la qualità terrestre del sale stesso, ma
anche una qualità extraterrestre, perché il sale veniva ricavato da diversi metalli. Esso aveva poi un
rapporto con i più diversi organi dell’uomo, come vedremo con maggior precisione domani. Per la
preparazione di un sale da usare in medicina, si può dunque percorrere questa via. Si può però
percorrere anche l’altra, inaugurata dopo che la via dei medici antichi si era rivelata senza sbocco, e
inaugurata per la chiara persuasione che l’organismo umano è qualcosa di più di un alambicco. Per
questa via si cerca di utilizzare le forze insite nelle sostanze della natura, partendo da ciò che già vi
esiste, potenziandolo. È la via indicata essenzialmente dalla corrente medica inaugurata da Hahnemann;
essa rappresenta, vorrei dite, una specie di risalita di tutte le aspirazioni mediche dell’umanità, dopo
che l’antica via si era rivelata ormai priva di sbocchi, essendo andata perduta qualsiasi conoscenza delle
connessioni extraterrestri o di altro genere.
Le perplessità dei medici odierni derivano dal fatto che nella medicina moderna non si guarda più alle
forze extraterrestri che stanno poi alla base delle qualità terrestri, e che ci si accontenta sempre più di
limitarsi all’ambito del terrestre. Il sistema omeopatico tende a superare questa posizione, e così pure
tende a superarla la terapia fisica: essa infatti, non più in grado di servirsi in modo giusto del portatore
di luce, cioè del fosforo, o del portatore dell’aria, cioè del mercurio, si serve direttamente della luce e
dell’aria. Questa rappresenta ovviamente una terza possibilità.
Una via veramente promettente si aprirà però soltanto quando, con l’aiuto della scienza dello spirito, si
approfondiranno le connessioni fra i minerali e le forze extraterrestri, fra i vegetali e le forze
extraterrestri, fra gli animali e le forze extraterrestri. Ho già detto ieri che, quando si giunge a parlare
degli animali, ci si trova già per così dire in pericolosa vicinanza dell’uomo. A quel punto gli antichi
eressero un limite che noi vogliamo esplorare nuovamente cori ricerche moderne. Essi infatti
ritenevano che le piante stanno nell’ambito del sistema planetario, e così pure i minerali; ma che
quando si ascende al regno animale si esce dal sistema planetario. A questo punto non si può più
giocare con le cose, come quando si rimane entro la sfera planetaria extraterrestre. Le forze che portano
alla formazione degli animali e soprattutto poi dell’uomo sono disperse molto più lontano nell’universo
di quelle proprie dei minerali e delle piante. Gli antichi tracciarono lo zodiaco perché non si
ricercassero le forze terapeutiche al di là di quelle proprie delle piante o dei minerali; per lo meno,
occorre fare attenzione, perché qui si entra in un àmbito pericoloso.
D’altronde si è già entrati in quest’àmbito percorrendo la via che ho cominciato a descrivere ieri e di
cui dovremo ancora parlare con maggior precisione, quando ci addentreremo nella patologia speciale e
nella sieroterapia. Vie di tal genere possono far sorgere molte illusioni, in quanto portano a singoli
successi, e le illusioni nascondono i pericoli ìnsiti in queste cose.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 06 – RAPPORTO FRA PIANTA E UOMO
La conoscenza generale dell’uomo, base della
terapia
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 25.03.1920
Sommario: La conoscenza generale dell’uomo, base della terapia. L’anamnesi come base per la
valutazione dell’organismo soprasensibile. L’uomo e i regni della natura. Omeopatia e allopatia.
Solubilità e formazione dei sali. Il processo del pensiero nella natura extraumana. Processi minerale,
mercuriale e fosforico. Rapporto tra pianta e uomo. Formazione degli alberi; il vischio. Formazione di
radice, foglia, fiore, frutto e loro rapporto con i processi minerale, mercuriale, fosforico e con l’uomo.
Cenni sulla sieroterapia.
Proseguiamo ora con le considerazioni relative al particolare ambito nel quale la patologia deve
confluire con la terapia, gettando un ponte fra le due. A tale proposito sarà necessario menzionare
diverse cose che possono rappresentare solo una specie di ideale per la terapia e che non in ogni caso
possono venire pienamente applicate. Tuttavia, una volta acquistata una visione d’insieme di tutto ciò
che sarebbe necessario per la cura dei malati, se ne potranno ricavare singoli particolari che permettono
di conoscere in che modo si debbano valutare per la malattia dei reperti anche frammentari.
Anzitutto è necessario sottolineare l’importanza della conoscenza dell’uomo intero per il trattamento
anche del caso più particolare. Tale conoscenza dell’uomo intero dovrebbe veramente estendersi
sempre ai più importanti momenti della vita. Siccome talvolta è accaduto che qualche medico, avendo
fiducia in me, mi parlasse di questo o quel problema, sono rimasto ad esempio spesso sorpreso che alla
mia immediata domanda quale fosse l’età del paziente, il medico non fosse in grado di darmi una
risposta precisa. Egli cioè non si era reso conto dell’età del malato in questione. Come vedremo nei
prossimi giorni, è veramente essenziale informarsi con precisione anzitutto dell’età del paziente, perché
la terapia dipende moltissimo da questo dato. L’altro ieri sono stati qui menzionati certi rimedi che
giovano straordinariamente in alcuni casi, mentre non sono efficaci in altri casi. Di fronte a esperienze
del genere deve sorgere subito la domanda: forse che la constatata inefficacia è legata all’età del
paziente? Nella valutazione dei farmaci occorre avere un’idea molto precisa degli effetti dovuti all’età.
Inoltre v’è un altro elemento di cui occorre tener conto. Bisognerebbe sempre tener d’occhio
esattamente la costituzione del paziente, cioè il tipo della sua corporatura: se è basso e tarchiato, oppure
alto e snello. È molto importante ricavare già da queste caratteristiche strutturali di quali forze disponga
ciò che noi chiamiamo il Corpo eterico umano. Dopo matura riflessione devo ripetere che non si può
evitare di usare espressioni come « il corpo eterico », eccetera, perché tali espressioni corrispondono
veramente alla realtà dell’essere umano. Si potrebbero anche sostituire con altre denominazioni, più
gradite ai non antroposofi; forse lo faremo alla fine. Per adesso continueremo ad usarle quando è
necessario, ai fini di una migliore comprensione. Si può dunque giudicare l’intensità d’azione del corpo
eterico dal modo in cui una persona è cresciuta. Quando sia possibile bisognerebbe anche informarsi se
in gioventù il paziente è cresciuto lentamente o rapidamente, cioè se è rimasto a lungo basso di statura
o se invece era già alto in età relativamente giovane e poi la crescita si era rallentata. Come ho già
detto, vorrei menzionare tutto quello che interesserebbe, anche se non sempre è possibile tener conto di
tutto, semplicemente perché mancano le relative informazioni: sarebbe però utile conoscere tutto. I
fenomeni che ho ora menzionati stanno ad indicare il comportamento del corpo eterico, cioè per così
dire le manifestazioni funzionali dell’uomo nei confronti del proprio corpo fisico. Bisogna tenerne
conto per imparare a conoscere il rapporto fra l’uomo e i rimedi che lo riguardano.
È poi necessario conoscere anche il rapporto del corpo fisico e del corpo eterico con gli elementi
costitutivi superiori dell’entità umana: con il corpo astrale, cioè con l’elemento propriamente animico,
e con l’io, cioè con la parte propriamente spirituale dell’uomo. È necessario ricavare tale rapporto
dall’osservazione del paziente stesso. Non bisognerebbe ad esempio trascurare di chiedergli se abbia
una vita di sogno molto o poco intensa. Il fatto che un paziente abbia una vita di sogno molto intensa è
straordinariamente importante per l’intera sua costituzione: significa che l’io e il corpo astrale hanno la
tendenza a sviluppare un’attività propria, che non vogliono occuparsi troppo intensamente del corpo
fisico. In queste condizioni le forze formative propriamente animiche dell’uomo non fluiscono nel
contesto degli organi corporei.
Anche se può riuscire un po’ imbarazzante, ci si dovrebbe inoltre informare se la persona in questione è
attiva e laboriosa, o se invece tende alla pigrizia. Infatti le persone che tendono alla pigrizia possiedono
un’intensa mobilità interna del corpo astrale e dell’io; questo può certo sembrare paradossale, ma va
tenuto presente che quella mobilità non giunge alla coscienza, è del tutto inconscia. E proprio perché è
inconscia, la persona in questione non è affatto attiva sul piano cosciente, è anzi pigra. Quello che qui
intendo come il contrario della pigrizia è la capacità organica dell’uomo superiore di intervenire
nell’inferiore, vale a dire la capacità di trasferire veramente l’attività del corpo astrale e dell’io nel
corpo fisico e nel corpo eterico. Tale capacità è molto esigua in ima persona pigra; dal punto di vista
scientifico-spirituale, chi è pigro è veramente una persona addormentata.
Ci si dovrebbe poi informare se la persona in questione sia miope o ipermetrope. I miopi hanno essi
pure una certa riluttanza del loro io e del loro corpo astrale nei confronti del corpo fisico. La miopia è
proprio uno dei segni più importanti del fatto che in un dato individuo la parte animico-spirituale non
vuole intervenire in quella fisico-corporea.
Vorrei poi accennare a qualcosa che un giorno si potrebbe anche realizzare e che sarebbe molto
importante per la cura dei malati, qualcosa che potrebbe anche acquistare importanza pratica, se nelle
diverse branche professionali si affermasse un maggior senso sociale. Sarebbe straordinariamente
importante che i dentisti usassero nel modo che ora spiegherò la loro conoscenza del sistema dentario,
del sistema digestivo e di tutto quanto vi è connesso. Naturalmente occorrerebbe l’assenso dei pazienti,
ma ripeto che, con un maggior senso sociale, vi si potrebbe arrivare.
I dentisti dovrebbero dunque rilasciare ai loro pazienti, in occasione di ogni trattamento, urta specie di
prospetto dal quale risultino le condizioni funzionali di tutto ciò che è connesso col sistema dentario: se
esiste una tendenza alla carie precoce o ad altri disturbi, se si prevede una buona conservazione dei
denti fino ad età avanzata. Questi fatti sono straordinariamente importanti per una valutazione generale
dell’organismo, come vedremo anche nei prossimi giorni. Per il medico curante potrebbe avere grande
importanza, in occasione del trattamento di una particolare malattia, il disporre di una tale valutazione
dello stato di salute del soggetto, in base allo stato dei denti.
Sarebbe poi molto importante essere informati delle simpatie e antipatie fisiche dei pazienti, se posso
esprimermi così. Di particolare significato è il fatto di conoscere se una persona affidata alle nostre cure
sia ad esempio avida di sale o di altre sostanze; bisogna scoprire gli alimenti di cui essa è
particolarmente ghiotta. In chi è avido di sale esiste una connessione eccessiva dell’io e del corpo
astrale con il corpo fisico e con il corpo eterico: si ha per così dire un’affinità troppo forte dell’animicospirituale con il fisico-corporeo. Sono sintomi di una tale forte affinità anche gli attacchi di vertigine
provocati da eventi meccanici esterni, per esempio da una rotazione troppo veloce del corpo. Ci si
dovrebbe quindi rendere conto se il soggetto presenti facilmente vertigine per effetto di movimenti
meccanici del corpo.
Infine ci si dovrebbe sempre informare, come è generalmente risaputo, di eventuali disturbi delle
secrezioni, dell’intera attività ghiandolare del soggetto: dove infatti compaiono disturbi delle secrezioni
è anche sempre alterato il rapporto dell’io e del corpo astrale con il corpo eterico e quello fisico.
Ho così indicato una serie di fatti che dovrebbero in fondo essere sempre conosciuti quando ci si deve
occupare di un paziente.
Si tratta di aspetti particolari, ma avrete modo di apprendere in quale direzione si muovono quei
fenomeni, in quanto si riferiscono alla costituzione stessa del corpo. Nel corso del tempo ricorderò
anche che occorre informarsi sul modo di vita, sulle possibilità di respirare aria sana o viziata, e così
via. Ne terrò conto affrontando i singoli capitoli. Procedendo in questo modo, si potrà acquistare
un’idea generale della costituzione del nostro paziente, perché solo disponendo di queste conoscenze si
sarà poi in grado di combinare giustamente un certo farmaco.
Come risulta già da alcune considerazioni svolte nei giorni scorsi, vorrei accennare ora in linea
generale all’intima affinità esistente fra l’uomo e tutto il mondo che lo circonda. Sia pure in modo un
po’ astratto questo rapporto si esprime spesso, dal punto di vista scientifico-spirituale, dicendo che nel
corso dell’evoluzione l’uomo ha espulso gli altri regni della natura, lasciandoli indietro; per questa
ragione tutto ciò che si trova fuori di lui ha però una certa affinità con la sua stessa natura. Partendo
dalla enunciazione astratta di questo rapporto, dovremo di continuo accennare a specifiche affinità,
quando parleremo di terapia degli organi. Prima però vogliamo acquistare piena chiarezza circa le basi
su cui in generale si fonda il rapporto terapeutico fra l’uomo e la natura extraumana.
In questo campo la discussione è molto aspra, come è noto: diversi metodi terapeutici si combattono
duramente a vicenda, e noi ne tratteremo più a fondo a suo tempo. Particolarmente nota è la
contrapposizione che divide i medici orientati in senso omeopatico da quelli orientati in senso
allopatico. A questo punto interesserà forse conoscere la posizione che la scienza dello spirito deve
assumere in quel contrasto: è una posizione alquanto singolare di cui oggi vorrei solo accennare le linee
generali, mentre entrerò nei particolari quando parlerò di problemi speciali. Per quel che risulta alla
scienza dello spirito, in fondo i rimedi allopatici non esistono affatto, in quanto anche un rimedio
prescritto in dose allopatica va soggetto, nell’organismo umano, a un processo di « omeopatizzazione
», e solo grazie a tale processo è in grado di svolgere un’azione terapeutica. Ogni medico allopatico
trova in effetti un aiuto al suo procedimento allopatico nel processo di omeopatizzazione compiuto
dall’organismo del paziente, processo con cui si compie quel che l’allopatico trascura, cioè
l’annullamento delle connessioni fra le singole parti del rimedio. C’è però una considerevole differenza
fra l’aiutare l’organismo a compiere il processo di omeopatizzazione, e il non aiutarlo; i processi di
guarigione nell’organismo sono infatti connessi con gli stati in cui vengono a trovarsi i farmaci, una
volta omeopatizzati. Nei confronti dei rimedi con caratteristiche simili a quelle dei corpi del mondo
esterno, l’organismo si trova invece come di fronte a un corpo estraneo che sia penetrato in esso. Perciò
si trova addossato un lavoro terribile ed esposto a un’azione di disturbo, quando lo si carica con le forze
che si manifestano somministrando il medicamento allo stato allopatico. Parleremo più avanti dei casi
in cui è impossibile (o inopportuno) sollevare l’organismo da questa attività di omeopatizzazione.
Praticare l’omeopatia significa, in fondo, avere osservato con molta attenzione la natura stessa fino a un
certo punto, anche se poi il fanatismo ha esagerato molte cose, come avremo occasione di mostrare.
Adesso però si tratta di Scoprire la via per imparare a conoscere i particolari della connessione fra
l’uomo e l’ambiente circostante. A tal fine ho già ricordato ieri che non possiamo semplicemente
ripetere come pappagalli quel che dicevano i medici antichi, anche se un approfondimento intelligente
nelle antiche opere di medicina può riuscire utile. Noi dobbiamo invece procedere con tutti i mezzi
della scienza moderna ad approfondire la conoscenza del reciproco rapporto fra l’uomo e il suo
ambiente naturale extra-umano. Anzitutto occorre avere ben presente che non si raggiungono grandi
risultati con l’indagine chimica delle sostanze, cioè con lo studio approfondito delle proprietà che le
sostanze rivelano in laboratorio. Ho già accennato al fatto che i procedimenti microscopici (o l’analisi
chimica che è qualcosa di analogo) andrebbero sostituiti con l’osservazione macroscopica, con quanto
risulta all’osservazione del cosmo, della natura esterna.
Oggi comincerò a presentare alcuni schemi significativi che ci possono indicare in certo senso come il
mondo extra-umano corrisponda, in una specie di struttura triplice, all’essere umano a sua volta
triplicemente strutturato. Anzitutto dobbiamo rivolgere la nostra attenzione a tutto quanto è solubile. Là
solubilità è infatti l’ultima qualità importante comparsa nel processo di evoluzione del pianeta Terra. Le
sostanze solidificatesi sulla Terra son in gran parte da ricondursi a un processo Cosmico di soluzione
che fu poi superato e per così dire uccise, depositò le parti solide. È una concezione superficiale quella
che pensa solo una sedimentazione meccanica e su questa fonda la geologia e la geognosia. Nel
processo di formazione della Terra l’incorporazione in essa di componenti solidi non è in fondo che un
caso speciale di cristallizzazione o di deposito di sostanze da una soluzione. Possiamo dunque
affermare che quanto vive nel processo di soluzione è qualcosa che anche l’uomo espulse da sé, poiché
compare nella natura esterna extra-umana. Nel processo di soluzione si svolge all’esterno qualcosa che
l’uomo estromise dalla propria natura. Si dovrà dunque ricercare la relazione fra i processi di soluzione
che avvengono nel mondo extra-umano e i processi interni dell’organismo umano.
Di importanza fondamentale è il fatto, già da me menzionato, che certe persone, la cui parte animicospirituale è troppo strettamente congiunta a quella fisico-eterica, hanno organicamente sete (o fame) di
sale: esse tendono per così dire ad annullare il processo del deposito di sali. Vorrebbero cioè annullare
quel processo che fa parte della formazione della Terra, vorrebbero sostanzialmente ricondurre il sale a
uno stadio precedente della formazione della Terra, rispetto a quello in cui il pianeta si è solidificato.
L’osservare tali fenomeni ha un’importanza del tutto particolare; essi ci consentono veramente di
penetrare nelle correlazioni fra l’organismo umano e la natura extra-umana. Si può dire che la natura
umana ha in sé una specie di bisogno organico di annullare certi processi del mondo esterno, di
contrapporsi ad essi. Ricorderete che ieri accennai che l’organismo si contrappone perfino alla forza di
gravità, grazie alla spinta idrostatica, necessaria per ridurre il peso del cervello umano. Questa
contrapposizione è una tendenza generale dell’organismo.
Che cosa significa questa lotta, per esempio contro il processo di formazione della Terra? Niente di
meno, in fondo, che la liberazione dell’uomo inferiore dall’animico-spirituale: significa la espulsione
dell’animico-spirituale dall’uomo inferiore verso quello superiore. In tutti i casi in cui vi sia avidità per
il sale, possiamo constatare che l’uomo inferiore vuole liberarsi in un certo modo dal sopravvento
dell’animico-spirituale, respingendolo verso l’uomo superiore.
Supponiamo che in un certo caso esistano dei disturbi apprezzabili nell’uomo inferiore. Vedremo più
avanti i metodi per riconoscerli e le diverse malattie a cui portano. Che cosa si potrà fare?
Vorrei qui inserire una considerazione che potrebbe essere importante per chi tende a ima certa
unilateralità nell’uso dei farmaci. Certe persone hanno una specie di avversione per i farmaci minerali.
È un’avversione ingiustificata: vedremo infatti che i rimedi puramente vegetali possono essere efficaci
solo entro certi limiti e che proprio nei casi più gravi i rimedi di origine minerale sono molto
importanti. Vi prego quindi di non scandalizzarvi se, proprio in queste considerazioni generali, prendo
le mosse dai farmaci minerali. Intendo cominciare dalla posizione che l’efficacia dei rimedi minerali ha
nella vita, nella vita organica stessa. Lo studio dell’ostrica, ad esempio, ci potrà notevolmente chiarire
certi metodi di trattamento dell’addome umano, nel suo rapporto con la parte superiore del corpo. La
formazione del guscio dell’ostrica è qualcosa di veramente interessante: essa infatti, forma il proprio
guscio di carbonato di calcio, procedendo dall’interno verso l’esterno. Se si studia l’ostrica valendosi
dell’aiuto della scienza dello spirito, si scopre che essa è certo un animale molto basso nella scala
zoologica, ma che nell’universo in generale si trova su un gradino relativamente elevato. Si trova su
questo gradino per il fatto che essa secerne quello che l’uomo porta in sé come facoltà di pensare. Le
forze che formano il guscio dall’interno verso l’esterno mostrano la via con cui viene eliminato
dall’ostrica qualcosa che, se si congiungesse invece con la sua crescita organica, renderebbe l’ostrica
molto intelligente, ne farebbe un animale molto evoluto. Quella parte o quelle forze dell’ostrica
vengono estromesse, vengono deviate. Nella formazione del guscio dell’ostrica si può quasi toccar con
mano il lavoro compiuto dal carbonato di calcio (la cosiddetta Calcarea carbonica) che elimina
dall’organismo un’eccessiva attività animico-spirituale.
Supponiamo ora di riscontrare un’eccessiva attività animico-spirituale nell’addome, cosa che può
effettivamente verificarsi in certe malattie di cui si parlerà in seguito.
Si potrà allora ricorrere a un rimedio ricavato dal guscio dell’ostrica o da sostanze simili, operanti
dall’interno verso l’esterno grazie alle misteriose forze del carbonato di calcio. Nella terapia sarà
dunque essenziale aver ben chiaro questo concetto: la spinta dall’interno verso l’esterno porta con sé
certe forze di guarigione. Solo in una tale connessione si potranno studiare razionalmente farmaci come
la Calcarea carbonica o altri ad essa affini.
Alle forze del carbonato di calcio si contrappongono polarmente le forze ad esempio del fosforo. Le
espressioni che ora userò sono in verità non meno scientifiche di quelle che oggi sono considerate tali.
L’elemento salino si comporta dunque per così dire in modo da effondersi, da abbandonarsi
all’ambiente: il motivo di ciò sta nel modo in cui l’elemento salino stesso origina. Le sostanze saline
vengono infatti private, vengono liberate dall’azione interna degli imponderabili, come la luce e altri
fattori imponderabili. Potremmo esprimerci così: per effetto del suo processo di formazione, ogni
sostanza salina ha respinto da sé le qualità imponderabili, in modo che esse interiormente non le
appartengono più.
Esattamente l’opposto vale per il fosforo. Non a torto certe antiche conoscenze ataviche designavano il
fosforo come « portatore di luce », dato che esso porta davvero una qualità imponderabile, appunto la
luce. Il fosforo porta in sé quello che il sale invece elimina da sé. Sono dunque sostanze polarmente
opposte al sale quelle che, per così dire, interiorizzano le qualità imponderabili, soprattutto la luce, ma
anche altre, come il calore e simili: se ne appropriano interiormente. Su ciò si fonda l’efficacia
terapeutica del fosforo e di altre sostanze affini al fosforo dal punto di vista curativo. Il fosforo
interiorizza gli imponderabili ed è perciò particolarmente adatto a risospingere verso l’uomo il corpo
astrale e l’io, quando questi ultimi stentano ad aderirgli correttamente.
Supponiamo ora di riscontrare in un paziente una certa malattia (delle singole malattie parleremo
ancora di seguito). Troviamo che il paziente ha un’intensa vita di sogno, cioè che il corpo astrale si
separa volentieri dal corpo fisico, occupandosi della propria attività; riscontriamo inoltre per esempio
che il paziente è predisposto a disturbi periferici di natura infiammatoria; altra prova, questa, che il
corpo astrale e l’io non sono bene inseriti nel corpo fisico. In una situazione come questa, potremo
utilizzare la forza con cui il fosforo tiene legati a sé gli imponderabili, per stimolare il corpo astrale e
l’io di quel soggetto a occuparsi di più del corpo fisico. Nel caso di pazienti dal sonno irrequieto si
potrà usare il fosforo nelle più diverse condizioni morbose, proprio perché il fosforo possiede la
tendenza a ricondurre l’io e il corpo astrale in modo adeguato nel corpo fisico e nel corpo eterico.
L’elemento fosforico e l’elemento salino sono dunque contrapposti polarmente l’uno rispetto all’altro.
Bisogna prestare molta maggior attenzione al modo in cui queste sostanze si trovano inserite nell’intero
processo universale, piuttosto che ai diversi nomi particolari dati dalla chimica moderna alle diverse
sostanze. Infatti avremo occasione di mostrare come si possa usare il rimedio « fosforo » anche sotto
forma di sostanze diverse che però agiscono in modo simile.
Abbiamo così definito nella natura esterna due stati contrapposti l’uno all’altro; ciò che agisce in modo
salino e ciò che agisce in modo fosforico. In una condizione intermedia si trova ciò che agisce in modo
mercuriale. Come nell’organismo umano tripartito la circolazione sta in posizione intermedia fra il
ricambio e l’attività neuro-sensoriale, così nella natura esterna sta in posizione intermedia tutto ciò che
tiene l’equilibrio fra l’attività salina e quella fosforica, tendendo ad assumere forma di goccia. Non
vuole, come l’elemento salino, donarsi in larga misura, e neppure interiorizzare in sé fortemente gli
imponderabili. In fondo l’elemento mercuriale tende sempre alla forma di goccia, per effetto
dell’insieme delle sue forze interne. Questa è l’essenza dell’elemento mercuriale, e non il fatto di
chiamare mercuriale la sostanza oggi conosciuta come mercurio; interessa invece l’insieme delle forze
che mantiene l’equilibrio fra la tendenza del sale a dissolversi e quella del fosforo a mantenersi
compatto, a concentrare gli imponderabili. Quel che importa è dunque di studiare le forze contenute nel
modo più evidente in tutto ciò che è di natura mercuriale. Si troverà l’elemento mercuriale strettamente
connesso con tutto ciò che è destinato a stabilire l’equilibrio fra le attività per le quali è adatto
l’elemento fosforico e le attività per cui è adatto l’elemento salino. Quando tratteremo della sifilide e di
malattie affini vedremo che le azioni esercitate dai farmaci nell’organismo non contraddicono quanto
ho detto ora.
Esponendo le caratteristiche dell’elemento fosforico, di quello mercuriale e di quello salino ho descritto
i tipi più rappresentativi del regno minerale. Certo, per trattare di ciò che è salino bisogna parlare del
processo organico che sta alla base della formazione del guscio dell’ostrica. È un processo presente
anche, in un certo senso, quando l’imponderabile viene concentrato nel fosforo; siccome però in tal
caso tutto viene interiorizzato, è meno facilmente dimostrabile all’esterno. Vogliamo ora passare dalla
considerazione di fenomeni tipicamente configurati nel mondo esterno a quella del regno vegetale, cioè
di qualcosa che l’uomo ha eliminato da sé in un’altra epoca della sua evoluzione.
Come abbiamo già detto ieri da un differente punto di vista, il mondo vegetale rappresenta in certo
senso il contrapposto alla attività che si svolge nell’organismo umano. Nella pianta stessa possiamo poi
distinguere chiaramente fra tre componenti. È una distinzione che s’impone soprattutto quando da un
lato si osserva la radice che si sviluppa verso la terra, e dall’altro si osservano i semi, i frutti, i fiori,
tutto quello cioè che si dirige verso l’alto. Già nella direzione esteriore si può scorgere la polarità
esistente fra la qualità della pianta e la qualità dell’uomo (non però dell’animale, in questo caso). Qui si
presenta qualcosa di molto importante e significativo. La pianta si immerge nella terra con la radice,
mentre col fiore (cioè con gli organi della riproduzione) tende verso l’alto. Riguardo alla sua posizione
nel mondo, l’uomo è esattamente l’opposto: prende per così dire radice nella direzione verso l’alto, con
la testa, e tende verso il basso con gli organi della riproduzione, in senso opposto alla pianta. Non è
quindi affatto insensato il raffigurarsi nell’uomo una pianta con le radici in alto e i fiori in basso, verso
gli organi della riproduzione. L’elemento vegetale è inserito nell’uomo proprio in questo modo. Un
importante segno distintivo fra l’uomo e l’animale è che di regola la pianta inserita nell’animale è
disposta orizzontalmente, quindi ad angolo retto rispetto alla direzione della pianta. Dell’uomo vorrei
invece dire che egli ha compiuto, nei confronti della pianta, ima completa inversione, cioè una
rotazione di 180 gradi. Questa è ima delle constatazioni più istruttive che si possano fare circa il
rapporto dell’uomo col mondo esterno. Se i nostri studenti di medicina prestassero maggiore attenzione
a questi fatti del mondo ambiente, del macrocosmo, anche sulle forze che agiscono perfino nelle
cellule, apprenderebbero più di quanto non si possa dall’indagine microscopica. Dall’uso del
microscopio si ricava veramente molto poco: le forze più importanti che agiscono anche nelle cellule (e
in modi diversi a seconda che si tratti di un organismo vegetale, o animale, o dell’uomo) possono venir
colte a livello macrocosmico. La cellula umana si può studiare molto meglio, osservando la
cooperazione fra quel che si dirige verticalmente verso l’alto ò verso il basso e quel che invece è
disposto in senso orizzontale, quasi in una posizione di equilibrio. Le forze che si possono osservare nel
macrocosmo, sul piano macroscopico, agiscono fin dentro le cellule. In sostanza nelle cellule non opera
che l’impronta di questa azione macrocosmica.
Prendiamo ora in esame il mondo vegetale facente parte della Terra. Non dobbiamo però contemplarlo
come si fa di solito, osservando una pianta dopo l’altra, facendo sottili distinzioni ed escogitando nomi
composti da due o tre parole, per poter alla fine costringere ogni pianta in uno schema. Teniamo conto
invece che tutta la Terra è un unico essere e che l’intero mondo vegetale appartiene all’organismo della
Terra, come i capelli appartengono al nostro; con la differenza che i capelli sono tutti uguali fra loro,
almeno fino a un certo punto, mentre le piante sono diverse le une dalle altre. Non possiamo
considerare la singola pianta come qualcosa di finito in sé, come il singolo capello non può essere
considerato un organismo a sé stante. Che le piante siano diverse fra loro dipende solo dalla Terra che
nella sua azione reciproca col restante universo sviluppa forze nelle più diverse direzioni, per cui le
piante risultano organizzate in modi diversi.
Tuttavia un fattore unitario nell’organizzazione terrestre sta alla base di ogni vita vegetale; è perciò
particolarmente importante prestare attenzione a certi fatti. Prendiamo per esempio i funghi: è noto che
per i funghi la terra stessa è una specie di matrice, di terreno di coltura. Quanto alle piante erbacee più
evolute, per esse la terra rappresenta ancora una specie di terreno di coltura, ma hanno già una certa
influenza anche fattori extra-terrestri, come la luce, ad esempio nella formazione dei fiori e delle foglie.
Se poi osserviamo gli alberi, scopriamo qualcosa di particolarmente interessante: nella formazione del
tronca, che fa dell’albero una pianta perenne, c’è come un prolungamento di quel che la Terra intera è
per le piante che crescono dalla terra direttamente, senza un tronco. Raffiguriamoci la cosa nel modo
seguente: c’è la terra e c’è la pianta che da essa spunta. Noi possiamo poi ricercare nella terra stessa le
forze che stanno alla base della crescita delle piante e che entrano in reciproca azione con le forze
affluenti dal cosmo. Vi prego ora di non scandalizzarvi troppo per quello che sto per dire, perché le
cose stanno proprio così! Quando cresce un albero, la terra in certo modo si ripiega su quel che prima
era fluito direttamente dalla terra nella pianta e che ora irrompe nel tronco: tutti i tronchi sono in fondo
protuberanze della terra. Che non si vedano le cose in questo modo dipende solo dall’odierna
concezione materialistica, veramente orribile, secondo cui la Terra è composta solo da sostanze
minerali: non ci si rende conto che la « terra minerale » è un’idea impossibile. Oltre al fatto di separare
le sostanze minerali, la Terra ha in sé anche le forze che irrompono nei vegetali; queste si ripiegano sul
germoglio vegetale e producono il tronco degli alberi. Quello che poi si sviluppa sul tronco può venir
paragonato, riguardo al tronco stesso, con le piante erbacee inferiori che crescono direttamente sul
terreno. Vorrei dire: la Terra stessa è il tronco delle piante inferiori e di quelle erbacee, mentre si
costruiscono un tronco a parte le piante che da esso sviluppano poi i loro fiori e gli organi della
riproduzione. C’è quindi una certa differenza tra il cogliere un fiore da un albero e il coglierlo da una
pianta erbacea.
Osserviamo ora da questo punto di vista la formazione dei parassiti delle piante, e in particolare quella
del vischio. Qui si svolge quasi come una secrezione esterna, come un processo autonomo, processo
che di solito è ancora connesso organicamente con la pianta, e cioè che gli organi portatori dei fiori e
dei semi stiano attaccati al tronco. Nella formazione del vischio si ha dunque come un potenziamento
del processo che avviene nella formazione dei fiori e dei semi, potenziamento connesso con un distacco
dalle forze terrestri. Proprio nella formazione del vischio per così dire si emancipa quel che nella pianta
non è terrestre. Vediamo dunque separarsi gradualmente dalla Terra ciò che dalla Terra sale e si pone in
reciproca azione con le forze extra-terrestri nella formazione dei fiori e dei semi: nel vischio giunge poi
a un’emancipazione che si individualizza molto fortemente.
Oltre che di questo, tenendo conto anche delle forme riscontrabili nelle piante, si riconoscerà che nel
mondo delle piante deve esistere una differenza considerevole, a seconda che una certa pianta tenda più
verso l’elaborazione della radice, esprimendo cioè soprattutto nella formazione della radice le
condizioni del suo accrescimento, mentre i suoi fiori rimangono piccoli o rudimentali. Piante di tal
genere tendono maggiormente verso l’elemento terrestre. Invece si emancipano dall’elemento terrestre
quelle piante che si sviluppano prevalentemente formando i semi e i fiori, e soprattutto quelle che nel
regno vegetale si fanno strada come parassiti. Senonché le piante tendono a mettere in particolare
evidenza l’uno o l’altro dei loro organi: si pensi per esempio all’ananas che sembra voler mettere in
risalto il tuo tronco, o a qualche altra pianta. Si può dunque dire che ogni tipo di pianta aspira a fare di
uno dei suoi organi essenziali (la radice, il fusto, le foglie, i fiori, i frutti) il suo organo principale,
rappresentativo. Prendiamo ad esempio l’equiseto: la sua tendenza è quella di esplicarsi tutto nella
formazione del fusto. Altre piante hanno invece la tendenza ad esplicarsi nelle foglie, altre ancora
quella di lasciare in uno stadio rudimentale fusto e. foglie per estrinsecarsi veramente nella formazione
dei fiori.
Esiste ora un certo parallelismo fra le diverse tendenze di sviluppo morfologico delle piante e le tre
modalità d’azione dell’elemento minerale nella natura extra-umana. L’attività propria delle piante che
tendono a emanciparsi dalla terra, culminante poi nell’attività interna dei parassiti, è qualcosa che tende
alla interiorizzazione degli imponderabili. Gli imponderabili che dal cosmo fluiscono verso la Terra
vengono trattenuti in questi organi, quando essi siano particolarmente sviluppati, come nella sostanza
del fosforo. Possiamo dunque dire; sono in certo modo «fosforici» i fiori, i semi e tutto quel che tende
alla formazione del vischio. Studiando invece il processo di formazione e sviluppo della radice, che la
pianta svolge considerando la terra come sua matrice, lo riscontriamo intimamente affine alla
formazione del sale. Ecco dunque queste due polarità venirci incontro anche nel mondo vegetale!
Nell’attività mediatrice della pianta, sempre evidente tra i fiori e i frutti che tendono verso l’alto, e la
radice che tende verso il basso, è poi contenuto il processo mercuriale, quello che ristabilisce
l’equilibrio. Tenendo quindi presente la posizione della pianta, capovolta rispetto all’uomo, si può
riconoscere che tutto ciò che nella pianta è intimamente predisposto alla formazione del fiore e del
frutto, deve avere una particolare affinità con gli organi della parte inferiore dell’uomo, e anche con
quelli orientati da parte dell’addome inferiore. Perciò anche l’elemento fosforico deve avere una
particolare affinità con gli organi della parte inferiore dell’uomo. Nei prossimi giorni vedremo che le
cose stanno veramente così. Invece tutto quel che nelle piante tende verso la radice avrà una particolare
affinità con la parte superiore dell’uomo. Naturalmente non bisogna mai dimenticare che non si può
dividere l’uomo in tre parti secondo uno schema esteriore, ma che ad esempio il sistema digestivo,
appartenente alla parte inferiore, tende a proseguire la propria attività anche in direzione del capo. È
proprio quasi una sciocchezza il ritenere che la sostanza grigia cerebrale rappresenti il substrato della
nostra attività pensante: le cose non stanno così. La sostanza grigia serve soprattutto a nutrire il
cervello, è come una colonia degli organi digestivi deputata alla nutrizione del cervello; invece proprio
la sostanza bianca è molto importante per l’attività del pensiero. Quindi anche nella conformazione
anatomica della sostanza cerebrale grigia si troverà assai più l’espressione di un’attività totale che non
quella che le viene attribuita di solito. Vedete dunque che quando si parla di « digestione » non ri si può
riferire soltanto all’addome. Anche quando si prende in considerazione l’affinità dell’elemento della
radice, non la si limiterà all’uomo superiore, bensì la si estenderà all’uomo intero. Prendiamo ora quella
parte della pianta che crea l’equilibrio tra i fiori e i frutti da un lato e la radice dall’altro, che nelle
piante erbacee si manifesta quindi nelle foglie e in organi simili. Essa sarà particolarmente importante,
anche sotto forma di estratto, per i disturbi della Circolazione e in genere per i disturbi dell’equilibrio
ritmico fra l’uomo superiore e quello inferiore. Abbiamo prima menzionato i minerali che
interiorizzano gli imponderabili e altri minerali che li tengono lontani da sé, e poi ciò che sta in mezzo
fra i due gruppi: possiamo vedere in essi un parallelo con l’intera configurazione della pianta. Abbiamo
così trovato un primo mezzo razionale per stabilire un rapporto reciproco tra la pianta e l’organismo
umano, a seconda che la pianta stessa tenda a sviluppare di più questo o quell’organo. Vedremo poi
come tale rapporto si possa ulteriormente specializzare.
Finora abbiamo potuto mostrare che esistono rapporti reciproci fra le piante, i minerali e l’uomo. In
tempi recenti si è avuto l’inizio molto promettente dello studio dell’affinità e dei nessi fra l’uomo e il
regno animale. A prescindere dal modo alquanto singolare con cui si è proceduto all’inizio della
sieroterapia, vanno fatte anche certe osservazioni di principio proprio contro la usuale sieroterapia.
All’inizio della sieroterapia Behring procedette effettivamente in modo singolare. A seguire i discorsi
tenuti in proposito, e le pubblicazioni di tipo piuttosto divulgativo che si limitavano a dire a che cosa
doveva servire il siero, si aveva l’impressione che si trattasse veramente di una riforma di tutta la
medicina. Esaminando però i risultati dei lavori sperimentali, se ne ricavavano stranezze, come forse è
noto a qualcuno di voi. II trattamento sperimentale eseguito sulle cavie, per poi applicarlo all’uomo, si
era dimostrato svantaggioso in un numero « stranamente alto » di cavie.
Di tutte le cavie trattate con il siero, in una sola si era registrato un vero successo: una sola cavia, colta
in un processo di guarigione così camuffato, proprio nel momento in cui si cominciava a battere la
grancassa per la sieroterapia! Vorrei solamente menzionare il dato di fatto che credo sia noto ad alcuni
di voi. Questa straordinaria trascuratezza in un contesto scientifico merita davvero di venir osservata
con attenzione nella storia della scienza.
Oggi abbiamo esposto in linea di principio, e domani o nei prossimi giorni esamineremo più a fondo, i
rapporti fra l’uomo e il mondo extra-umano; si è detto che fra i processi della natura extra-umana non
sono direttamente efficaci sull’uomo quelli che si trovano alla superficie, bensì quelli che devono
essere ricercati più in profondità.
L’uomo è in certo qual modo affine a ciò che nel corso dei tempi ha eliminato da sé; è affine al
processo fosforico, a quello salino, al processo della fioritura, della fruttificazione, a quelli di
formazione della radice o delle foglie. Con tutti questi processi egli ha però un rapporto realmente di
inversione: possiede la tendenza ad annullare, o ad invertire la direzione dei processi che si esplicano
nella natura extra-umana.
Lo stesso non vale nei riguardi degli animali: l’animale infatti ha già compiuto per metà questo
processo. L’uomo non è contrapposto all’animale allo stesso modo che alla pianta: nei confronti degli
animali, l’uomo si trova per così dire ad angolo retto, mentre nei confronti delle piante si trova in un
angolo di 180 gradi. Questo è un fatto del quale va tenuto conto al massimo grado, quando sorge il
problema dell’uso dei rimedi di origine animale, come i sieri o altri simili.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 05 – LA CONOSCENZA GENERALE DELL’UOMO, BASE DELLA TERAPIA
L’elaborazione della terapia dalla patologia
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 24.03.1920
Sommario: Farmaci secondo il metodo Ritter. L’elaborazione della terapia dalla patologia. Il processo
del carbonio e quello dell’ossigeno. La flora extraumana e quella intestinale. Pensieri e processo
rappresentativo Teoria bacillare e predisposizione alla malattia. Secrezione e processo del pensiero.
Metamorfosi della luce nell’organismo e tubercolosi. L’osservazione macroscopica del mondo e
l’illusione della microscopia. Processo salino e processo sulfureo. Processo di mineralizzazione.
Parallelismo nello sviluppo delle forme intestinali e delle forme cerebrali.
La discussione del pomeriggio di ieri è stata certo molto interessante, ma ora mi trovo di fronte a una
domanda presentatami che mi obbliga a sottolineare nuovamente un concetto da me già esposto nei
giorni scorsi. Un metodo adeguato per scoprire i rapporti tra i singoli rimedi e i singoli quadri morbosi
potrà essere indicato solo dopo avere affrontato certi problemi preliminari, in modo da essere in grado
di apprezzare la portata di certe conoscenze sui rapporti fra l’uomo e la natura extra-umana dalla quale
ricaviamo i farmaci. In particolare, non è possibile parlare del rapporto di singoli farmaci con singoli
organi, senza avere affrontato quei problemi preliminari, per il semplice motivo che tale rapporto non è
affatto semplice, ma anzi alquanto complicato. Il suo vero significato può essere apprezzato solo dopo
aver risolto certi problemi preliminari, come faremo oggi e forse anche domani. Allora però si avrà la
possibilità di esaminare realmente il rapporto concreto fra singoli rimedi, e soprattutto fra certe
procedure terapeutiche e singole malattie degli organi. In particolare, oggi vorrei aggiungere ancora
qualche considerazione introduttiva che vi prego di voler provvisoriamente accettare, perché potrebbe
gettare luce su vari problemi. Dovrò enunciare cose che a tutta prima urteranno la sensibilità di
qualcuno, e devo proprio sottolineare che si tratta di argomentazioni che non possono non suscitare
scandalo. Riallacciandomi a quanto è stato discusso qui nel pomeriggio di ieri, vorrei dunque pregarvi
di considerare adesso l’altro lato del problema.
Certamente con nostra profonda soddisfazione sono stati menzionati qui ieri numerosi casi molto
istruttivi di ben determinate guarigioni. Ora, io posso indicarvi un mezzo semplicissimo che farebbe
diventare tali guarigioni molto più rare: ma vorrei indicarlo solo perché voi non lo usiate, mentre
sembra tanto ovvio il volerlo applicare. Di questo mezzo io posso naturalmente parlare solo in una
cerchia di persone con conoscenze di antroposofia.
Questo mezzo consisterebbe nel far di tutto per diffondere la terapia suggerita da M. Ritter. Nel caso
dei successi terapeutici riferiti, voi non tenete conto del fatto che siete dei medici isolati. Può anche
darsi che qualcuno sia consapevole che si trova isolato come medico, in contrapposizione alla gran
massa degli altri medici. Ma dal momento in cui la terapia proposta dalla Ritter venisse insegnata
all’università, e in cui voi non vi trovaste più all’opposizione, bensì la maggioranza dei medici
applicasse quel metodo, ebbene da quel momento i vostri successi terapeutici diverrebbero assai più
rari! Nella vita reale le cose sono spesso veramente strane, sono talvolta molto diverse da come ce le
raffiguriamo. Il medico singolo ha naturalmente il massimo interesse a guarire il singolo paziente, e la
moderna medicina materialistica ha cercato a questo proposito una specie di giustificazione per dover
mirare solo a guarire il singolo paziente. La giustificazione consiste nell’affermare che non esistono
affatto malattie, bensì persone ammalate. Questa giustificazione sarebbe un motivo valido, se anche nei
riguardi della malattia gli uomini fossero tanto isolati, quanto oggi appare esteriormente. In realtà però
gli uomini non sono così isolati: ha una grande importanza il fatto (da Lei, Dottor E., rilevato ieri) che
certe tendenze patologiche sembrano abbracciare interi vasti territori. Dopo avere guarito un singolo
ammalato, non si può mai appurare a quante altre persone sia stata appioppata la malattia in altri casi.
Siccome di solito non si considera il caso singolo in connessione con tutto l’andamento generale, fatti
come questi riescono tanto sconcertanti, se considerati singolarmente. Chi però tiene d’occhio il bene
generale dell’umanità, deve proprio considerare questi problemi da un differente punto di vista.
Da questi fatti sorge la necessità di non orientarsi unilateralmente, solo dal punto di vista della terapia,
ma di elaborare a fondo la terapia partendo dalla patologia. È proprio questo che vogliamo cercar di
realizzare: l’introduzione di una certa razionalità in un campo nel quale altrimenti domina solo un
pensiero statistico-empirico.
Oggi vorrei prendere le mosse da un fatto ben noto, del quale non si tien conto nell’ambito della
scienza medica, mentre può fornire la base per una comprensione del rapporto fra l’uomo e la natura
extra-umana. Ricordiamo anzitutto che l’uomo è un essere tripartito, strutturato in un sistema neurosensoriale, in un sistema circolatorio, cioè ritmico, e ih un sistema del ricambio. Il fatto in questione è il
seguente: in quanto è un essere del ricambio, l’uomo si trova in un rapporto per così dire negativo con i
processi che si svolgono nella natura esterna, nel mondo delle piante. Teniamo ben presente che nella
natura esterna (considerando per il momento solo il mondo vegetale), nella flora, si può osservare la
tendenza a concentrare in certo qual modo il carbonio, facendone la base di tutto il mondo vegetale. Le
piante che ci circondano sono formazioni, sono organismi la cui essenza si fonda sulla concentrazione
del carbonio. Non va dimenticato che questa tendenza si presenta anche nell’organismo umano:
quest’ultimo ha però la caratteristica di annullare, distruggere quella formazione nel momento stesso in
cui accenna a realizzarsi in una specie di « status nascendi », e di sostituirla con una formazione di tipo
opposto. L’inizio di questo processo si trova in quello che nei giorni Scorsi ho chiamato l’uomo
inferiore. Noi depositiamo il carbonio, diamo per così dire inizio con le nostre forze al processo del
diventar-vegetale : poi però, sotto l’influsso della nostra organizzazione superiore, dobbiamo difenderci
contro tale tendenza al « divenir piante ». Annulliamo quindi tale processo, opponendo l’ossigeno al
carbonio, trasformandolo in acido carbonico e sviluppando così in noi stessi il processo opposto a
quello tipico dell’esistenza vegetale.
A tali processi, opposti a quelli della natura esterna, va sempre prestata molta attenzione: così si
perverrà a una comprensione sempre più profonda della realtà umana. Non si giunge a comprendere
l’uomo come tale, pesandolo (e menziono il peso come simbolo per ogni metodo di valutazione fisica).
Si comprenderà invece subito qualcosa perfino della meccanica-umana, considerando che il cervello,
col suo peso medio di circa 1300 grammi, non può gravare con tale peso sulla base del cranio, perché
tutta la rete dei delicati vasi sanguigni verrebbe schiacciata. Il cervello grava al massimo con un peso di
venti grammi sulla sua base. Secondo il noto principio di Archimede, infatti, in realtà il cervello
galleggia nel liquido cefalo-rachidiano; perciò la parte preponderante della massa cerebrale non esercita
neppure il suo peso, annullato dalla spinta verso l’alto. Come in questo caso viene annullata la forza di
gravità e noi non viviamo entro il peso fisico del nostro organismo, bensì nel suo annullamento, cioè
nella forza opposta al peso fisico, così avviene nell’uomo anche per altri processi. In realtà noi non
viviamo soggetti alle forze della fisica, bensì in ciò che delle forze fisiche viene annullato. Allo stesso
modo non viviamo in verità nei processi analoghi a quelli che si svolgono nella natura esterna, che
vengono portati a termine nel mondo vegetale; al contrario, viviamo in quanto siamo in grado di
annullare il processo del diventar vegetale. Questo fatto acquista naturalmente la massima importanza
quando si vuole gettare un ponte fra l’organismo umano malato e i farmaci di origine vegetale.
A questo punto il problema potrebbe sfociare in un grazioso bozzetto letterario. Da un lato, ecco il vivo
e giustificato piacere che ci dà la contemplazione della bella flora che ci circonda nel mondo.
Dall’altro, l’esperienza ben diversa che si ha, sezionando una pecora morta! Subito d si rende conto
dell’esistenza di un altro tipo di flora, che tuttavia si sviluppa per cause assolutamente simili a quelle
per cui si sviluppa la flora esterna. Sezionando una pecora morta, d viene incontro l’odore di
putrefazione delle viscere: in questo caso, la formazione della flora intestinale susciterà in noi
certamente meno piacere! A un fatto come questo occorre prestare molta attenzione. Si può infatti qui
toccare con mano che le stesse cause che nella natura, esterna favoriscono lo sviluppo della flora,
nell’uomo vanno combattute, perché la flora intestinale non si sviluppi in eccesso. Qui si schiude un
vastissimo campo di ricerche: vorrei raccomandare agli studenti di medicina di rivolgere a questo
campo la massima attenzione nelle loro tesi di laurea, svolgendo in particolare ricerche comparative
sulla conformazione dell’intestino nelle diverse forme animali, risalendo attraverso i mammiferi fino
all’uomo. Sarebbe questo un ricchissimo campo di ricerca, nel quale molti fatti sono ancora da scoprire.
Si provi ad esempio a indagare perché una pecora sezionata emani un così forte odore di putrefazione, a
causa della sua flora intestinale, mentre gli uccelli, anche divoratori di carogne, emanano un odore
addirittura relativamente gradevole quando vengono sezionati.
Si tratta di fenomeni estremamente significativi che finora non sono ancora stati sviscerati dalla
scienza. Molto rimane pure da indagare circa le forme dell’intestino: .esiste per esempio una
sostanziale diversità, a tale proposito, fra gli uccelli da un lato e i mammiferi e l’uomo, dall’altro. Negli
uccelli l’intestino crasso e la vescica sono sviluppati solo in modo rudimentale, e proprio su questi dati
di fatto certi medici materialisti, come ad esempio il Metchnikoff a Parigi, svolsero idee del tutto errate.
Solo negli uccelli corridori cominciano a presentarsi le forme dell’intestino crasso e anche certe
estroflessioni a forma di vescica. Veniamo così a rilevare il fatto importante che gli uccelli non hanno la
possibilità di trattenere per qualche tempo nell’organismo le loro escrezioni, per poi eliminarle
volontariamente al momento opportuno; in essi si verifica invece una continua compensazione fra
l’introduzione degli alimenti e l’escrezione.
È una concezione molto superficiale quella che vede nella flora e anche nella fauna intestinale
(dell’organismo umano in generale) la causa di certe malattie. In realtà è terribile il ritrovare in ogni
capitolo dei trattati di patologia la formula: per la tale malattia si è scoperto il tale bacillo, per la
tal’altra malattia quest’altro bacillo, e così via. Sono tutti fatti molto interessanti per la botanica e la
zoologia intestinali dell’organismo umano, ma per l’essenza della malattia hanno solo il valore di un
segno di riconoscimento. Si può tutt’al più affermare che in presenza di questo o di quel tipo di malattia
viene offerta a questo o a quel tipo di microrganismi animali o vegetali la possibilità di svilupparsi
sopra un adatto terreno di coltura. Nulla più di così. Lo sviluppo della microfauna o della microflora ha
a che fare solo in misura minima, e tutt’al più indirettamente, con la malattia vera e propria. La logica
che la medicina moderna adotta in questo campo è veramente singolare. Immaginiamo di scoprire un
paesaggio in cui si trova un gran numero di mucche ben nutrite e di bell’aspetto. Diremo forse che
quella campagna ha i caratteri che le sono propri, perché le mucche vi sono in qualche modo arrivate
dall’esterno e hanno « contagiato » il paese? Certo non ci passerà per la testa di pensare in tal modo;
saremo invece indotti a riflettere sulle qualità del terreno, particolarmente adatto all’allevamento degli
animali, e sulle qualità degli abitanti che lo hanno lavorato. Cercheremo in sostanza di trovare la causa
del bell’aspetto delle mucche; non ci verrà certo in mente di dire che quelle condizioni sono dovute al «
contagio » del paese da parte di mucche di bell’aspetto! Non diversa è la logica usata dalla scienza
medica odierna, riguardo ai microrganismi. La presenza di queste interessanti. creature non d consente
altra conclusione se non quella che vi è un buon terreno di coltura; pertanto è proprio a questo terreno
di coltura che occorre rivolgere la nostra attenzione. Possono poi accadere indirettamente cose diverse:
per esempio si possono aggiungere altre mucche, visto che in quel paese vengono trattate così bene, in
modo da stimolare altra gente a lavorare: questo può in effetti accadere. Può naturalmente accadere che
un terreno di coltura ben preparato venga stimolato dall’ingresso di certi bacilli a divenir preda esso
stesso di qualche processo patologico. Ma in considerazione dei veri e propri processi patologici, certe
moderne teorie batteriologiche non hanno in realtà che pochissima importanza. Purché si adottasse una
logica sana, non potrebbero mai affermarsi opinioni come quelle della scienza ufficiale, che hanno un
effetto deleterio sul retto modo di pensare.
Veramente importante è tener presente che, a causa di un certo rapporto fra la parte superiore e la parte
inferiore dell’uomo, come ho descritto nei giorni scorsi, può instaurarsi una relazione non giusta fra
l’una e l’altra. Precisamente per effetto di un’insufficiente reazione dell’uomo superiore, possono
attivarsi nell’uomo inferiore certe forze, incapaci di tenere a freno il processo vegetativo, il processo
formativo di tipo vegetale che nell’organismo umano è latente, ma va frenato. In tali condizioni si
offrono possibilità di ampio sviluppo alla flora intestinale, e questo sviluppo sta allora ad indicare che
l’addome non svolge la sua attività nel giusto modo.
Nell’uomo esiste la peculiarità che le attività che debbono svolgersi a livelli inferiori si ingorgano,
vengono per così dire respinte se non possono svolgersi nella sede adeguata. Supponiamo dunque che
nell’addome dell’uomo non sia possibile lo svolgimento di certi processi per ì quali l’addome stesso è
organizzato: in tal caso i processi vengono per così dire respinti. Questa può sembrare una
formulazione dilettantesca, ma in realtà è più scientifica di molte altre che oggi si trovano nei testi di
patologia. Certi processi che di regola dovrebbero svolgersi nelle parti inferiori dell’uomo, vengono
respinti nelle parti superiori. Perfino l’origine di certi processi secretivi del polmone e della pleura può
essere scoperta indagando come si svolgano i processi secretivi (normali o abnormi) nell’addome. È
straordinariamente importante osservare con precisione questo spostamento di certi processi organici
dall’addome verso la parte superiore del corpo. Molti dei processi che si hanno nella parte superiore
dell’organismo non sono che processi addominali respinti verso l’alto. Tali processi vengono così
respinti e rimossi, quando non sussiste il giusto rapporto fra l’uomo superiore e quello inferiore.
Consideriamo ora qualcosa d’altro. L’esperienza comune ci mostra un altro fatto del quale non si tiene
conto a sufficienza, come sarebbe invece opportuno, nell’ambito di una scienza sana. Il fatto è il
seguente: nel momento in cui concepiamo dei pensieri che riguardano un dato organo, questo organo si
mette in una certa attività. Ecco un altro campo ricco di prospettive per future tesi di laurea. Si provi a
studiare la connessione fra certi pensieri che possono sorgere nell’uomo e certi fenomeni organici che
si svolgono parallelamente a quei pensieri, come ad esempio la secrezione della saliva o del succo
gastrico, la secrezione del latte o dell’urina o quella dello sperma.
Di che cosa si tratta? Nella sfera psichica sorgono certi pensieri, e parallelamente avvengono certi’
fenomeni organici. Che cosa significa? Ciò che si manifesta come pensieri è contenuto interamente
negli organi. Se pertanto sorge un pensiero e parallelamente si svolge una secrezione ghiandolare
qualsiasi, l’attività che sta alla base del pensiero viene sottratta alla ghiandola. In questo caso l’attività
si svolge in modo separato dalla ghiandola: questa viene per così dire lasciata al suo destino, e quindi
compie la sua funzione, cioè secerne. Per il fatto che il pensiero l’aveva congiunta, la secrezione viene
impedita, cioè quel che di solito viene eliminato dalla ghiandola rimane invece unito ad essa. In un caso
come questo si può toccar con mano, vorrei dire, il passaggio dell’attività formativa dall’organo al
pensiero. Si potrebbe dire: se io non avessi pensato in tal modo, non ci sarebbe stata secrezione
ghiandolare; ho cioè sottratto alla ghiandola una forza, trasferendola nella vita dell’anima, e la
ghiandola secerne. Nell’organismo umano stesso troviamo dunque la dimostrazione più evidente di
quello che ho detto nei giorni scorsi: la vita animico-spirituale si svolge grazie alla trasposizione di
quelle stesse forze formative che vediamo agire in tutto il resto dell’ordinamento naturale. Nei processi
della natura esterna, nella vita della flora esterna che si sviluppa parallelamente alla nostra flora
intestinale, si trovano le forze formative che noi estraiamo dalla nostra flora intestinale. Osservando la
flora dei monti o dei prati, dobbiamo in realtà dire che vi si trovano le medesime forze che sviluppiamo
nei nostri pensieri, nella nostra vita di rappresentazione 0 di sentimento. La nostra flora intestinale è
diversa dalla flora esterna in quanto a quest’ultima non vengono per così dire sottratti i pensieri; essi
rimangono nelle piante, non diversamente dagli steli, dalle foglie; dai fiori. Da questo confronto
possiamo ricavare il concetto dell’affinità fra quel che avviene nei fiori o nelle foglie, e quel che accade
in noi stessi. Alla nostra flora intestinale noi sottraiamo le forze formative, per poter svolgere attività di
pensiero: sottraiamo alla flora intestinale quel che invece la flora esterna possiede e conserva.
Le cose non stanno diversamente riguardo alla fauna. Come non si può scoprire la connessione fra
l’uomo e i farmaci vegetali, senza conoscere questi fatti, così non si può acquistare una conoscenza
giusta dell’uso dei sieri curativi, se non ci si rende conto che l’uomo sottrae alla propria fauna
intestinale le forze formative operanti nel mondo animale.
Da queste considerazioni dovrebbe risultare che solo tenendo veramente conto del nesso fra l’uomo e il
suo ambiente questi problemi potranno essere affrontati in modo razionale, sistematico. Vorrei poi
attirare la vostra attenzione sopra un altro fatto molto significativo. Non so se fra di voi vi sia ancora
qualcuno che si ricordi di quando apparvero dappertutto i ridicoli divieti di sputare. Come è noto, con
quei cartelli si intendeva combattere la tubercolosi. Essi però sono ridicoli perché, come ognuno
dovrebbe sapere, già la comune luce solare diffusa uccide in tempo brevissimo i bacilli della
tubercolosi. Infatti, esaminando uno sputo dopo un tempo anche brevissimo, non vi si trovano più i
badili della tubercolosi; la luce solare li uccide rapidamente. Anche se fossero giuste le premesse della
medicina comune, il divieto di sputare sarebbe dunque estremamente ridicolo. Divieti di tal genere
sono giustificati tutt’al più dal punto di vista delle comuni regole di pulizia, ma non per l’igiene in
senso più lato.
Per chi comincia a valutare giustamente i fatti, ciò che ho ora menzionato ha una grande importanza:
dimostra infatti che il bacillo della tubercolosi non sopporta la luce del sole: la luce del sole non gli si
confà. In quali condizioni può invece vivere? Quando si trova all’interno del corpo umano. E perché
proprio 11? Non che esso sia il vero agente patogeno: occorre però ricercare ciò che agisce là dentro,
nell’organismo. Di solito non si presta attenzione a un certo fatto. Noi siamo continuamente circondati
dalla luce che, come sappiamo bene dalla scienza, ha la massima importanza per lo sviluppo di tutti gli
esseri extra-umani, in particolare per tutta la flora che circonda l’uomo. Siamo dunque circondati dalla
luce, ma al confine fra noi e il mondo esterno la luce (cioè qualcosa di puramente eterico) subisce una
trasformazione molto significativa: deve essere trasformata. Proprio come dall’organismo umano viene
frenato, viene per così dire interrotto il processo del diventar pianta, al quale si contrappone il processo
di formazione dell’acido carbonico, analogamente nell’uomo si spezza, si interrompe la vita della luce.
Nell’uomo la luce deve pertanto essere qualcosa di diverso, deve essere una metamorfosi della luce.
Dal momento in cui si oltrepassa il confine dell’uomo verso l’interno, ci si trova di fronte a una
metamorfosi della luce. L’uomo non trasforma quindi in sé solamente i comuni processi ponderabili
della natura, ma anche l’imponderabile, la luce: ne fa qualcosa di diverso. Il fatto che il bacillo della
tubercolosi prosperi nell’organismo umano, mentre muore subito alla luce del sole, dimostra
semplicemente, se ben si considera, che l’elemento favorevole alla vita di questo bacillo si trova nel
prodotto di trasformazione della luce che è presente all’interno dell’uomo. Pertanto, se il bacillo
prospera, vuol dire che qualcosa non funziona in quella luce trasformata. Fra le cause della tubercolosi
deve esserci quindi anche la seguente: con la metamorfosi della luce, con la luce trasformata accade
nell’uomo qualcosa che non dovrebbe accadere; infatti egli accoglie in eccesso i bacilli della
tubercolosi. I bacilli sono presenti sempre, ma di solito in quantità insufficiente; sono presenti in
eccesso quando l’uomo ammala di tubercolosi. Il bacillo della tubercolosi non si mostrerebbe
dappertutto, se non avvenisse qualcosa di abnorme riguardo agli sviluppi della luce solare trasformata.
Non sarà certo difficile (con un adeguato numero di tesi di laurea o di libera docenza) scoprire perché
l’uomo possa diventare un terreno di coltura adatto ai bacilli della tubercolosi: sarà facile raccogliere il
materiale empirico per suffragare i punti di vista da me qui ora esposti. Le possibilità sono queste: o
l’uomo non è sufficientemente capace di accogliere luce solate, oppure non ne riceve abbastanza, per
causa delle sue condizioni di vita, sì che è impedito un equilibrio adeguato fra la luce solare che penetra
in lui e l’elaborazione da parte sua della luce solare trasformata; in queste condizioni l’uomo è costretto
ad attingere alle riserve di luce trasformata sempre presenti in lui.
Prego di voler tenere in considerazione che l’uomo, proprio in quanto tale, ha continuamente in sé delle
riserve accumulate di luce trasformata. Sono necessarie alla sua organizzazione. Se il processo di
scambio fra l’uomo e la luce solare esterna non si svolge in modo giusto, gli viene sottratta la luce
trasformata, così come, in caso di dimagramento, si sottrae al corpo il grasso di cui ha bisogno.
L’organismo umano si trova così di fronte a un dilemma: o far ammalare la sua parte superiore, oppure
sottrarre alla parte inferiore ciò di cui la superiore ha bisogno, cioè far ammalare la parte inferiore
sottraendole la luce trasformata.
Per la sua organizzazione l’uomo ha dunque bisogno non soltanto delle sostanze ponderabili
provenienti dall’esterno e trasformate. Una corretta osservazione dell’essere umano ci mostra che in lui
sono presenti anche sostanze imponderabili, sostanze eteriche, ma trasformate. Su queste basi creiamo
la possibilità di comprendere in modo giusto l’azione terapeutica della luce solare: ad esempio,
esponendo direttamente una persona alla luce solare, per regolare il disturbato processo di scambio con
la luce circostante, oppure esponendo un paziente, per via interna, all’azione di certe sostanze atte a
riequilibrare i disturbi dovuti alla sottrazione della luce trasformata. Occorre arrestare mediante certi
farmaci la sottrazione della luce trasformata. Ecco dunque come possiamo osservare l’organizzazione
umana.
Proprio chi è in grado di osservare in modo adeguato il mondo in generale, a un certo momento viene
afferrato (si voglia scusare l’espressione poco diplomatica, ma la cosa viene da me espressa
oggettivamente, senza preconcetta simpatia o antipatia), viene dunque afferrato da una specie di furore
contro la manìa dell’indagine microscopica. Essa infatti ci allontana da una sana concezione della vita e
dei suoi perturbamenti, più di quanto ci avvicini ad essa. Tutti i reali processi che riguardano l’uomo,
nello stato di Salute o in quello di malattia, si possono infatti studiare molto meglio macroscopicamente
che al microscopio: basta ricercare nel macrocosmo le condizioni che consentano di studiare queste
cose.
Torniamo ora ad osservare che negli uccelli, a causa dell’insufficiente sviluppo della vescica urinaria e
dell’intestino crasso, si verifica un continuo conguaglio fra l’introduzione di alimenti e l’espulsione
degli escrementi. Gli uccelli possono evacuare durante; il volo, non trattengono nel loro organismo i
resti alimentari, non li depositano, perché non ne hanno il modo. Del resto, se li depositassero, questo
costituirebbe per loro una malattia che li rovinerebbe. In quanto uomini fisici, noi abbiamo in certo
senso superato gli uccelli, per esprimerci in termini consoni alle opinioni oggi prevalenti; più giusto
però sarebbe dire che siamo discesi al di sotto degli uccelli. Essi non hanno infatti bisogno di lottare
energicamente contro una flora intestinale (che in loro non esiste neppure), come debbono invece fare
gli animali superiori e l’uomo. Riguardo a un’altra attività, un po’ più elevata, cioè a quella di
trasformare un elemento eterico, come per esempio la luce, noi ci troviamo invece allo stesso punto
degli uccelli. Possediamo un intestino crasso fisico e una vescica fisica, ma siamo come gli uccelli
riguardo al corpo eterico che interessa tali organi: questi infatti non sono dinamicamente presenti nel
cosmo. Perciò siamo costretti a rielaborare la luce appena l’abbiamo accolta, eliminando i prodotti di
escrezione. Agli eventuali perturbamenti in tale ambito non corrisponde nessun organo: perciò non
possiamo sopportarli senza danni per la salute. Considerando gli uccelli con il loro piccolo cervello,
dobbiamo renderci conto che sul piano macrocosmico essi rispecchiano in certo senso la nostra
organizzazione più sottile. Volendo quindi studiare il modo in cui l’organizzazione più fine dell’uomo
si imprime nella parte più grossolana della sua organizzazione (in quella parte cioè che è scesa al di
sotto del livello degli uccelli), occorro studiare sul piano macrocosmico i processi del mondo degli
uccelli.
Fra parentesi vorrei osservare che sarebbe ben triste per la vita degli uomini, se nel loro organismo
eterico essi avessero nei confronti degli uccelli la stessa particolarità die hanno nel loro organismo
fisico: infatti l’organismo eterico non può venire isolato allo stesso modo dal mondo esterno. Riguardo
ai depositi (per così dire) di luce trasformata accadrebbe qualcosa di estremamente spiacevole nella vita
umana, se esistessero anche adeguati organi dell’olfatto. Questa osservazione è però espressa, come ho
detto, solo tra parentesi. Accadrebbe quello che accade quando sezioniamo una pecora morta e
dobbiamo sopportarne il fetore delle viscere. In realtà, per quanto concerne l’elemento eterico, il
rapporto fra gli uomini è paragonabile all’odore relativamente non sgradevole che emana dal cadavere
di un uccello (anche carnivoro), in confronto all’odore che emana dal cadavere sezionato di un
ruminante, o di un animale che abbia anche solo la tendenza alla ruminazione, come ad esempio il
cavallo. Il cavallo non è un ruminante, ma nella sua organizzazione ha la disposizione a diventare
ruminante.
Si tratta dunque di studiare le corrispondenze fra ciò che avviene nella flora e nella fauna esterne e ciò
che avviene nell’organismo umano, nella flora e nella fauna intestinale e che deve venir combattuto.
Volendo poi stabilire la correlazione fra un certo rimedio e un dato organo, dovremo passare da una
caratterizzazione generica come quella svolta oggi a una caratterizzazione particolare: lo faremo nelle
prossime conferenze.
Passiamo ora a considerare il vero e proprio uomo dei nervi e dei sensi. Dai punti finora acquisiti
abbiamo veduto che occorre opporsi alla flora e alla fauna interne all’uomo, a livello intestinale;
l’azione del processo circolatorio si oppone proprio alla tendenza verso il diventare piante. Ora, l’uomo
dei nervi e dei sensi ha per la vita umana complessiva un’importanza molto maggiore di quanto si creda
di solito. La scienza divenuta così astratta ha perduto la possibilità di tenere conto in modo adeguato
del fatto che l’uomo dei nervi e dei sensi (attraverso il quale dopo tutto penetrano nell’organismo ad
esempio la luce e il calore ad essa connesso) è intimamente collegato con la vita organica interna.
Infatti gli imponderabili che penetrano con la luce vengono trasformati negli organi, e sono essi stessi
formatori di organi, non meno di tutto quanto esiste nel regno del ponderabile. Non si tiene alcun conto
del fatto che l’uomo dei nervi e dei sensi ha una importanza speciale per l’intera organizzazione umana.
Immergendoci più a fondo nell’uomo inferiore, perveniamo dalla forza che forma la flora intestinale
alla forza che genera la fauna intestinale; se invece passiamo a considerare le parti superiori dell’uomo,
dalla regione in cui viene combattuta la flora interna si perviene alla sfera nella quale occorre opporsi
di continuo alla mineralizzazione, alla sclerotizzazione dell’essere umano. Già da un punto di vista
esteriore, la più intensa ossificazione del capo consente di studiare il modo in cui l’organizzazione
umana tende a mineralizzarsi tanto più, quanto più si sviluppa verso l’alto.
Tuttavia questa mineralizzazione ha una grande importanza per l’intera organizzazione dell’uomo. A
questo riguardo bisogna sempre far rilevare (e io l’ho già fatto anche in conferenze pubbliche) che
distinguendo nell’uomo i tre sistemi costitutivi, quello del capo, quello del tronco e quello degli arti,
non bisogna concepirli come esistenti l’uno accanto all’altro né come delimitati spazialmente l’uno
dall’altro. L’uomo è tutto quanto « uomo del capo » e la suddivisione va intesa qualitativamente. Il «
capo » si estende a sua volta a tutto l’organismo: nella testa si trova concentrato in prevalenza. Lo
stesso vale anche per gli altri due sistemi: sia quello ritmico, circolatorio, sia quello degli arti e del
ricambio si estendono sempre a tutto l’organismo. Sicché le caratteristiche necessarie dell’« uomo del
capo » sono presenti sotto forma di tendenza nell’uomo intero, ed è in questo che va quindi combattuta
la tendenza alla mineralizzazione. È questo un campo in cui l’uomo odierno è incapace di comprendere
certi testi antichi, scaturiti ancora da una chiaroveggenza atavica. Così è ben difficile che un nostro
contemporaneo possa trovare sensato quel che Paracelso scrive sul processo salino. Il processo salino si
svolge nell’ambito a cui ora ho accennato, proprio come il processo sulfureo si svolge nell’ambito
caratterizzato in precedenza.
Sta dunque di fatto che l’uomo ha la tendenza a mineralizzarsi. Così come può diventare autonomo il
processo della fauna e della flora, può diventare autonoma anche la tendenza alla mineralizzazione.
Come si può contrastare questa tendenza? Solamente frantumandola, spingendovi dentro di continuo
per così dire dei piccoli cunei. Questo è il campo nel quale si deve compiere il passo dalla sieroterapia
alla fitoterapia, alla terapia con farmaci minerali. Non si può a meno di usare i minerali nella terapia,
perché solo nei rapporti fra i minerali e ciò che nell’organismo umano tende a mineralizzarsi si trovano
i punti di riferimento per la lotta contro la tendenza alla mineralizzazione, alla sclerosi in generale. Qui
però non basta introdurre semplicemente il minerale nell’organismo umano, nello stato in cui esso si
trova nel mondo esterno, e di questo dovremo parlare diffusamente più avanti.
Qui si verifica qualcosa che accenna in qualche modo a un principio di tipo omeopatico, nel senso che
proprio partendo dal regno minerale debbono venir messe in azione le forze che si oppongono
all’attività del regno minerale esternò.
È già stata attirata l’attenzione, e con ragione, sul bassissimo contenuto di sali minerali di alarne
sorgenti le cui acque sono dotate di qualità terapeutiche: si ha qui un processo naturale di
omeopatizzazione. Esso mostra con chiarezza che, dal momento in cui si libera la connessione minerale
dalle forze che siamo in grado di conoscere esteriormente, si manifestano forze di tutt’altro genere,
forze che debbono appunto venir liberate mediante un processo di tipo omeopatico. Ne riparleremo in
un apposito capitolo; oggi però vorrei ancora dire dell’altro. Mi appello soprattutto ai più giovani fra i
miei ascoltatori, per esortarli a compiere studi di anatomia comparata sulla trasformazione dell’intero
sistema intestinale, partendo dai pesci, passando per gli anfibi e i rettili (proprio negli anfibi e nei rettili
la conformazione dell’intestino presenta un interesse particolare), e proseguendo poi fino agli uccelli da
un lato, e ai mammiferi e all’uomo dall’altro. Si potranno constatare singolari trasformazioni degli
organi, ad esempio la comparsa di ciò che nell’uomo sarà poi l’intestino cieco, già nei mammiferi
inferiori, o anche in certi uccelli la cui organizzazione diventa un po’ atipica, per cui compaiono degli
abbozzi di intestino cieco. Merita proprio di essere studiato tutto il modo in cui, a partire dall’intestino
crasso (che nei pesci non è ancora presente), si arriva, risalendo attraverso la serie degli ordini più
evoluti, all’intestino crasso pienamente sviluppato, e poi agli intestini ciechi (certi animali ne hanno più
d’uno) e al cieco dell’uomo. In queste osservazioni comparative si può scoprire una singolare
correlazione.
Uno studio anatomico comparativo dovrebbe mettere fortemente in evidenza tale correlazione. Si può
semplicemente porre il problema (in effetti è stato posto molte volte) a che scopo esista nell’uomo un
organo che poi si chiude verso l’esterno, come l’intestino cieco. È un problema che ci si è posto assai
spesso. Nell’affrontarlo, di solito non si tiene però conto che l’uomo si manifesta in effetti come una
dualità: ogni organo che si forma
nella sua parte inferiore corrisponde a qualcosa che si forma nella parte superiore. Non potrebbero
formarsi certi organi nella parte superiore, se in quella inferiore non si formassero gli organi
corrispondenti, in certo senso contrapposti quasi polarmente. Quanto più la parte frontale del cervello
assume nella scala degli animali la conformazione che svilupperà poi nell’uomo, tanto maggiormente
l’intestino si configura in modo da consentire il deposito dei residui alimentari. Tra la formazione
dell’intestino e quella del cervello esiste una stretta connessione; se durante il corso dell’evoluzione
non comparissero nella serie degli animali l’intestino crasso e il cieco, non potrebbero alla fine
comparire fisicamente nemmeno uomini capaci di pensare: l’uomo infatti possiede il suo cervello,
l’organo del pensiero, proprio a spese dei suoi organi intestinali. Gli organi intestinali rappresentano
fedelmente la controparte degli organi cerebrali. Per poter essere alleviati di parte dell’attività fisica, ai
fini del pensare, dobbiamo d’altro lato appesantire l’organismo nel modo in cui lo consentono appunto
un intestino crasso e una vescica compiutamente sviluppati. Proprio l’attività animico-spirituale più alta
che si manifesti nel mondo umano fisico, in quanto è collegata a una completa elaborazione del
cervello, è al tempo stesso collegata con la compiuta configurazione dell’intestino che le corrisponde. È
una correlazione estremamente importante che getta molta luce sull’intero modo di procedere della
natura, nella sua attività creativa. A questo punto, la domanda « perché l’uomo possiede un intestino
cieco? » può trovare una risposta in apparenza un po’ paradossale: affinché egli possa correttamente
pensale in modo umano! La configurazione dell’intestino cieco ha infatti il suo contrapposto nel
cervello umano: ogni cosa in uno dei due ambiti corrisponde a una nell’altro ambito.
In questo campo è necessario acquisire un nuovo metodo di conoscenza. Oggi non possiamo ripetere
come pappagalli le formule degli antichi medici, dotati ancora dì residui della chiaroveggenza atavica:
in quel modo non si farebbe molta strada. Dobbiamo invece riconquistare queste conoscenze, ma per
tale riconquista l’impostazione rigorosamente materialistica della medicina costituisce un vero
ostacolo: essa infatti non cerca nemmeno tali correlazioni. Per le scienze moderne, per la medicina, il
cervello è un organo, e organi sono pure quelli che stanno nell’addome. Non ci si avvede di commettere
lo stesso errore di chi affermasse che l’elettricità positiva e quella negativa sono la stessa cosa, poiché
entrambe sono elettricità. È tanto più importante osservare questi fenomeni, perché proprio come tra
l’elettricità positiva e quella negativa nasce una tensione che tende ad annullarsi, così nell’organismo
umano è sempre presente una tensione fra la parte superiore e l’inferiore. Nel controllo di questa
tensione consiste in realtà l’essenziale opera del medico. Questa tensione si esprime anche (come dirò
più diffusamente in seguito) nelle forze concentrate di due organi: l’epifisi e l’ipofisi. Nella epifisi si
esplicano tutte le forze superiori, ponendosi in tensione con le forze dell’ipofisi, che sono le forze
inferiori. Esiste lì un vero rapporto di tensione. Se dallo stato generale di una persona ci si formasse
sempre un’idea di quel rapporto di tensione, se ne ricaverebbe un’ottima base per l’ulteriore
trattamento terapeutico.
Ne riparleremo domani, e vedremo che tengo conto di tutte le domande che mi sono state poste. Prima
però è necessario creare le premesse per poter dare le risposte.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 04 – L’ELABORAZIONE DELLA TERAPIA DALLA PATOLOGIA
La diagnosi, tramite fra patologia e terapia
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 23.03.1920
Sommario: La diagnosi, tramite fra patologia e terapia. La triplice struttura dell’uomo. Nervi di moto e
nervi di senso. Suggestione e ipnosi. Relazione tra farmaci e uomo. Le metamorfosi nell’accrescimento
delle piante. Capacità di adattamento e rigenerazione. Forze formative e funzioni animico-spirituali
dell’uomo. Fondamenti per una psicologia conforme alla realtà. Evoluzione ascendente e discendente.
Processo formativo del sangue e processo formativo del latte.
Nel corso di queste conferenze terrò conto di tutti i desideri che mi sono stati esposti; sarà però
necessario raccogliere prima tutte le richieste, dato die alcuni problemi sono stati proposti da diversi
partecipanti. D’altronde non è indifferente parlare dei temi che mi vengono richiesti, prima di aver
creato una base sufficiente, o dopo averla creata. Perciò fin da oggi cercherò di porre una base per tutte
le considerazioni seguenti, tenendo conto dei desideri che mi sono stati esposti.
Come avete veduto, ho cercato di prendere le mosse nella prima conferenza dalla formazione e
dall’intima attività del sistema osseo e del sistema muscolare. Ieri poi siamo già proceduti fino a una
prima trattazione, a mo’ di esempio, del processo morboso in generale e delle necessità cui è sottoposta
la procedura terapeutica; appunto come esempio abbiamo cominciato ad esaminare quei due tipi di
processi parlando della circolazione sanguigna e del cuore.
Oggi vorrei ancora esporre qualche considerazione introduttiva, in merito a una concezione del
processo di guarigione (della sua possibilità e della sua essenza), concezione fondata sopra una
conoscenza approfondita dell’essere umano. Nelle conferenze seguenti entreremo poi nei particolari,
ma qui ora debbo premettere ancora qualche considerazione di principio.
Lo studio della medicina è oggi organizzato in modo che, almeno nella maggior parte dei casi, la
terapia procede per così dire parallela alla patologia; senza che esista fra le due una connessione
chiaramente percepibile. Soprattutto nell’ambito della terapia regna oggi per lo più sovrano il metodo
puramente empirico. Proprio nella terapia è difficile poter trovare uri criterio razionale che consenta di
operare in pratica fondandosi veramente su princìpi. È noto che tali difetti del pensiero medico
condussero nel secolo scorso fino alla scuola del nichilismo medico: questa dava importanza solo alla
diagnosi e in fondo si accontentava che le malattie venissero riconosciute, mostrando in genere un forte
scetticismo nei confronti di qualsiasi criterio razionale di terapia. Ora, volendo porre alia medicina
delle richieste puramente razionali, mi sembra che si dovrebbe esigere che già nella diagnosi stessa si
trovi almeno un accenno alla terapia. Non dovrebbe sussistere un nesso del tutto esteriore fra terapia e
patologia. Bisogna in certo senso poter riconoscere l’essenza della malattia in modo che da essa si
possa formare una conoscenza del processo di guarigione.
Questo problema è naturalmente collegato con l’altro: in che misura possono esistere, nell’intero
contesto dei processi naturali, rimedi e processi di guarigione? Si cita spesso un interessante detto di
Paracelso: il medico deve superare l’esame della natura. Non si può dire però che i più recenti scritti su
Paracelso sappiano trarre gran frutto da quella massima; se così fosse, vorrebbe dire che gli studiosi di
Paracelso sono impegnati a spiare processi di guarigione nella natura stessa. Certo, questo tentativo
viene compiuto nei confronti di processi patologici contro i quali la natura stessa provvede a difendersi.
Ci si limita però a osservare la natura riguardo ai suoi processi di guarigione, solo in casi eccezionali,
già in presenza di alterazioni e difese naturali; una vera osservazione della natura consiste invece
nell’osservazione di processi normali. Dovrebbe porsi il problema: è possibile osservare in natura
processi che vengono chiamati normali e trame qualche conoscenza per le procedure terapeutiche?
Questa domanda ne suggerisce un’altra, alquanto delicata. In natura si possono certo osservare in modo
normale dei processi di guarigione, solo se in natura esistono di norma dei processi morbosi. Sorge
quindi la domanda: esistono forse nella natura in quanto tale dei processi morbosi, sì da Consentire di «
superare l’esame della natura », apprendendo da lei a guarire? Solo nel corso di queste conferenze
potremo rispondere in modo completo alla domanda; però già oggi vorrei cercare di avvicinarmi ad
essa di un passo. Va detto subito che la comune impostazione scientifica della medicina contemporanea
preclude la via indicata dal problema ora posto.
Con le premesse scientifiche dominanti nel nostro tempo è molto difficile muoversi in quella direzione;
è infatti molto singolare che proprio la tendenza materialistica del secolo scorso abbia portato a
misconoscere totalmente nelle sue funzioni il sistema nervoso, cui adesso intendo accennare dopo aver
menzionato in precedenza il sistema osseo, il sistema muscolare e il sistema cardiaco.
È diventata a poco a poco un’abitudine l’attribuire al sistema nervoso centrale l’intera sfera dell’anima,
e ridurre la complessiva attività animico-spirituale dell’uomo a una serie di processi paralleli
riscontrabili all’interno del sistema nervoso. Come vi è noto, mi sono ritenuto costretto a sollevare
obiezioni contro questo modo di considerare la natura; lo feci nel mio libro Gli enigmi dell’anima dove
cercai di mostrare anzitutto che solo i processi strettamente connessi con la rappresentazione sono
legati al sistema nervoso, mentre tutti i processi della sfera del sentimento sono legati, non
indirettamente ma direttamente, con i processi ritmici dell’organismo. Nel corso di queste mie
conferenze avrò modo di contribuire con i dati dell’esperienza alla conferma di queste verità. Lo
scienziato d’oggi ritiene di solito che i processi del sentimento non abbiano nulla a che fare
direttamente con il sistema ritmico; anche la vita di sentimento si svolgerebbe tramite il sistema
nervoso, in quanto i processi ritmici si trasmettono al sistema nervoso. Similmente cercai di mostrare
che l’insieme della vita di volontà è connesso con il ricambio direttamente, e non indirettamente tramite
il sistema nervoso; sicché anche nei riguardi dei processi legati alla volontà, al sistema nervoso rimane
soltanto la facoltà di percepirli. Nessuna volizione viene realizzata ad opera del sistema nervoso:
quest’ultimo non fa che percepire ciò che in noi avviene da parte della volontà. Tutte le considerazioni
da me svolte in quello scritto possono senz’altro venir confermate dai dati di fatto biologici
corrispondenti, mentre non trova affatto conferma l’opinione opposta che connette con la vita psichica
soltanto il sistema nervoso. Mi sembra difficile che un sano raziocinio possa accordare il dato di fatto
che, dopo aver tagliato un cosiddetto nervo motorio e un nervo sensitivo, essi possano venir saldati
insieme e ne nasca un nervo unitario, con la supposizione che esistano nervi di senso e nervi motori. I
nervi motori non esistono affatto: quelli così chiamati sono in realtà nervi di senso che percepiscono i
movimenti dei nostri arti, vale a dire ciò che vi si svolge mentre noi esplichiamo un atto di volontà. In
verità dunque anche i nervi detti motori sono nervi di senso, i quali percepiscono il nostro interno,
mentre i nervi chiamati sensitivi percepiscono il mondo esterno.
Questo orientamento porta a conseguenze estremamente importanti per la medicina, le quali però
potranno venire valorizzate solo se i dati di fatto saranno apprezzati adeguatamente. Infatti con la
distinzione fra nervi di senso e nervi di moto sarà difficile venire a capo proprio di fenomeni patologici
come quelli che ho proposto come esempio ieri, nel caso della tubercolosi. Alcuni ricercatori attenti
hanno difatti già avanzato la supposizione che in ogni nervo si abbia non solo una conduzione
alternativa (o centripeta o centrifuga), bensì che vi coesistano la conduzione centrifuga e quella dalla
periferia verso il centro. In tal modo ogni nervo motorio avrebbe due tipi di conduzione; vale a dire
che, volendo spiegare per esempio l’isteria partendo dal sistema nervoso, occorre ammettere le due
opposte conduzioni. Appena si considerano a fondo certi fatti, si presenta dunque la necessità di
attribuire ai nervi delle qualità che contraddicono in fondo radicalmente le ipotesi relative al sistema
nervoso. Con l’abitudine a pensare in questo modo sul sistema nervoso ci si è preclusa in realtà la
possibilità di conoscere quel che accade nell’organismo, per così dire al di sotto del sistema nervoso,
come ad esempio nel caso dell’isteria. Ieri ho caratterizzato i fenomeni isterici come processi del
ricambio che il sistema nervoso non fa che percepire. Questo avrebbe dovuto attirare l’attenzione;
invece si è cercata l’origine dell’isteria solo in una particolare eccitabilità, in uno squasso del sistema
nervoso, attribuendo tutto al sistema nervoso.
Da questo scaturirono poi altre conseguenze. È innegabile che fra le cause indirette dell’isteria figurino
anche dei fattori psichici, crucci, delusioni subite, eccitazioni interne appagabili o meno, tutti fenomeni
che possono sfociare in manifestazioni isteriche. Avendo per così dire separato tutto il resto
dell’organismo dalla vita dell’anima, lasciando in connessione con questa solamente il sistema nervoso,
si è poi costretti a scaricare tutto quanto sul sistema nervoso. Ne è derivata una concezione che
anzitutto non concorda assolutamente più con i dati di fatto, e poi non consente più di riconoscere i
molteplici rapporti Ita la sfera animica e l’organismo umano. Ci si accontenta di metterla in rapporto
col sistema nervoso, rinunciando a conoscerne le connessioni con l’organismo intero. Tutt’al più si
inventano dei nervi motori che non esistono affatto, aspettandosi poi dalla loro funzione un’influenza
sulla circolazione e su altro ancora: influenza che appartiene in larga misura al regno delle ipotesi.
La concezione cui ho accennato condusse poi fuori strada anche persone intelligentissime, quando si
diffusero i concetti di suggestione e di ipnosi. Potè accadere (soprattutto qualche decennio fa) die certe
signore isteriche abbiano ingannato i medici più intelligenti, menandoli per il naso, semplicemente
perché i medici prestavano fede alle scene che venivano recitate davanti ai loro occhi, senza essere
capaci di riconoscere quanto avveniva realmente nell’organismo del paziente. È interessante a questo
proposito menzionare l’errore in cui non potè a meno di cadere il chirurgo Schleich: in questo caso non
si trattava di una signora, bensì di un uomo isterico. Lo Schleich era naturalmente abituato a riflettere
su tali problemi. Un giorno andò a consultarlo un uomo che si era punto un dito con il pennino bagnato
d’inchiostro: diceva che sarebbe certamente morto durante la notte, che sarebbe sopraggiunta una
setticemia se non si fosse amputato il braccio. Naturalmente il chirurgo Schleich non procedette
all’amputazione: procedette alle necessarie medicazioni e tentò di tranquillizzare il paziente, ma non
potè certo amputargli il braccio solo perché quello gli diceva che sarebbe morto di setticemia la notte
seguente. Quel paziente andò poi da un’altra celebrità medica, e neppur questa accettò di amputargli il
braccio. Lo Schleich però non era tranquillo; la mattina seguente di buon’ora si informò: il paziente era
motto davvero durante la notte. Schleich ne concluse: morte per suggestione.
Tirare la conclusione « morte per suggestione » è facile, terribilmente facile. Chi però ha conoscenza
dell’entità umana, non può accettare di concepire in questo modo una « morte per suggestione »;
ponendo ima diagnosi come questa, si confonde completamente la causa con l’effetto. Non vi fu
neppure una setticemia (come risultò dall’autopsia); il paziente morì per una causa che rimase
sconosciuta ai medici; per chi è in grado di comprendere il problema, la causa di quella morte era però
senz’altro profondamente radicata nell’Organismo. Tale causa profondamente organica aveva reso
maldestro e insicuro il paziente già il giorno prima, e per questo egli si era punto il dito col pennino
bagnato d’inchiostro: cosa che abitualmente non avviene. La puntura era già conseguenza di una sua
incertezza nei movimenti. Mentre compiva quei movimenti maldestri, aumentò in lui una certa facoltà
di veggenza, e sotto l’influsso della sua malattia egli ebbe una visione profetica della sua morte che
sarebbe avvenuta nella notte seguente. La morte non fu in alcun modo dipendente dalla puntura; la sua
morte imminente fu la causa di quello che egli oscuramente provava per il fatto di portare nel suo
organismo la causa della morte. Tutto il resto era legato solo nel modo più esteriore ai processi interni
che provocarono la morte. In quel caso non si può dunque parlare nemmeno per sogno di « morte per
suggestione »; anche quello che il paziente credeva, e tutti i fatti concomitanti, non contribuirono certo
a condurlo a morte, ma avevano invece cause più profonde. Egli invece previde la propria morte e
inserì tutto quello che gli accadeva nella previsione della morte. Questo esempio può mostrarci quanto
prudenti si debba essere per giungere a giudizi fondati, in merito ai complicati processi della natura.
Non si può in questo campo partire dalle premesse più semplici.
A questo punto bisognerà chiedersi: può la percezione Sensoriale e tutto quanto le è affine offrirci un
punto di riferimento per gli influssi di tipo, vorrei dire, un po’ differente che i farmaci debbono
esercitare sull’organismo umano?
In condizioni normali esistono tre generi di influssi sull’organismo umano. Anzitutto quello che si
esercita tramite le percezioni sensoriali e che si estende poi nel sistema nervoso. In secondo luogo
quello che opera mediante il sistema ritmico, cioè la respirazione e la circolazione, e in terzo luogo
quello che agisce nel ricambio. Questi tre rapporti normali debbono avere dei corrispettivi nelle
relazioni abnormi che noi stabiliamo fra i farmaci (che dobbiamo pur ricavare in qualche modo dalla
natura esterna) e l’organismo umano. Certo, è nell’influsso esercitato sul sistema nervoso che si può
osservare in modo chiaro l’interazione che si svolge fra il mondò esterno e l’organismo umano.
Possiamo quindi chiederci: come dobbiamo concepire razionalmente una connessione fra l’uomo e la
natura extra-umana, dei cui processi o delle cui sostanze vogliamo servirci come rimedi, ai fini della
guarigione dell’uomo malato? È necessario formarci un’opinione sul rapporto reciproco esistente fra
l’uomo e la natura extra-umana. Perfino se applichiamo una idroterapia fredda ci serviamo di qualcosa
di extra-umano. Qualunque rimedio si usi, si tratta sempre di qualcosa di extra-umano: è quindi
necessario avere un’idea razionale dei rapporti fra l’uomo e i processi extraumani.
Si giunge così a un capitolo in cui, nell’ordinario corso degli studi di medicina, invece di un nesso
organico regna la pura aggregazione. Lo studente di medicina segue certo corsi preparatori di scienze
naturali; poi su queste nozioni scientifiche viene innalzato l’edificio delle nozioni di patologia generale
e speciale, poi di terapia generale e così via. Nelle lezioni propriamente di medicina non si sente però
più parlare di quali siano i rapporti tra i fenomeni che vengono qui trattati, e in particolare tra i
procedimenti terapeutici e i processi della natura esterna. Ritengo che i medici che si sono formati con
questo tipo di studi non solo debbano sentire tale situazione come un difetto sul piano intellettuale, ma
anche come un disagio, nel momento in cui sono chiamati a intervenire terapeuticamente contro le
malattie: un disagio dovuto all’incertezza sulle ragioni della scelta di un rimedio piuttosto che di un
altro. In realtà molto di rado esiste una vera conoscenza del rapporto fra un certo farmaco e i processi
che si svolgono nell’organismo umano. Quello che importa veramente è il riconoscere che la natura
stessa di questo problema esige un’indispensabile riforma degli studi medici.
Vorrei oggi mostrare, con l’esempio di certi processi della natura extra-umana, quanto differenti questi
siano, sotto molti riguardi, da quelli legati alla natura dell’uomo. Prenderò le mosse dai processi che
riscontriamo in animali inferiori o in certe piante; in seguito passerò a trattare i processi che possono
essere provocati nell’uomo da sostanze extra-umane in generale, sostanze che possiamo ricavare dal
regno vegetale, da quello animale e particolarmente dal regno minerale. Potremo però affrontare lo
studio delle sostanze puramente minerali solo partendo da concetti scientifici molto elementari; in un
secondo tempo prenderemo in considerazione quello che si verifica quando si introduce come farmaco
nell’organismo umano arsenico o stagno o un’altra sostanza inorganica. La prima nozione che a tale
proposito va messa in evidenza è che negli esseri diversi dall’uomo le metamorfosi legate al processo
dell’accrescimento si svolgono in modo del tutto differente che nella natura umana.
Non si può fare a meno di concepire in qualche modo col pensiero il vero e proprio principio della
crescita vivente, sia nell’uomo, sia negli esseri diversi dall’uomo. La diversità che si constata nell’uno e
negli altri è di importanza fondamentale. Osserviamo ad esempio un essere vivente ben noto: la
cosiddetta falsa acacia, la Robinia pseudacacia. Se in questa pianta si tagliano le foglie all’altezza del
picciuolo, si verifica un fenomeno interessante: attraverso un processo di metamorfosi i picciuoli
diventano un po’ bitorzoluti, assumendo poi la funzione delle foglie. In tale processo si mostra
altamente attiva una forza (vogliamo chiamarla per ora così, in via ipotetica) che è presente nell’intera
pianta e che si manifesta quando si impedisce alla pianta di usare per determinate funzioni un suo
organo normalmente sviluppato. Nell’uomo è ancora presente, vorrei dire, un resto di questa forza che
si manifesta in misura così elevata nella pianta, la quale cresce in modo più semplice. Nell’uomo può
darsi che per una qualsiasi ragione venga impedito l’uso di un braccio o di una mano, per una
determinata funzione: vedremo allora che l’altro braccio o l’altra mano diventano più forti e anche
fisicamente più grandi. Fenomeni come questi vanno collegati gli uni con gli altri, perché questa è la
via che porta alla conoscenza di certe possibilità terapeutiche.
Ora, nella natura extra-umana le cose vanno ben più oltre di così. È possibile ad esempio osservare che
in certe piante, che crescono sopra un pendio, può accadere che alcuni picciuoli si sviluppino in modo
da non dare origine alla formazione delle foglie. Le foglie non si formano, mentre il picciuolo si
trasforma in organo di sostegno (vedi la figura seguente). Le foglie si atrofizzano, il picciuolo si ripiega
diventando organo di sostegno.
Si tratta dunque di piante con picciuoli trasformati e con foglie atrofizzate. Questo fenomeno ci indica
la presenza nella pianta di forze formative interne, grazie alle quali essa può adattarsi in larga misura
alle condizioni di vita richieste dall’ambiente. Le forze che agiscono in fenomeni del genere ci si
mostrano in modo particolarmente interessante negli organismi inferiori.
In qualsiasi embrione pervenuto allo stadio di gastrula si può procedere a questo esperimento: tagliando
a metà la gastrula, ognuna delle due parti si avvolgerà nuovamente su se stessa, mostrandosi capace di
formare a sua volta tutti e tre i segmenti del tratto intestinale. Se dunque tagliamo a metà la gastrula,
ognuno dei pezzi si comporta come si sarebbe comportata l’intera gastrula se non l’avessimo sezionata.
È noto che questo esperimento può essere fatto anche su animali inferiori, perfino sui lombrichi:
asportando parti di certi animali inferiori si può constatarne la ri- generazione, in quanto le forze
formatrici insite nell’animale gli consentono di formare nuovamente le parti asportate. Di queste forze
formatrici è necessario parlare in concreto, non in modo ipotetico, assumendo l’esistenza di una « forza
vitale »: occorre segnalarne concretamente la presenza. Un’osservazione attenta dei fatti mostra ad
esempio che, asportando una parte dell’organismo di una rana in uno stadio molto precoce del suo
sviluppo si constata che l’organismo mutilato si ricompone. Una mentalità incline al materialismo dirà
forse che nella ferita sono presenti delle forze di tensione, grazie alle quali può svilupparsi la parte che
ricomincia a crescere. Le cose però non stanno così, altrimenti, quando si taglia un organismo in un
certo punto (la freccia nel disegno seguente) e sulla superficie di sezione comincia a crescere qualcosa
per effetto della supposta forza di tensione, dovrebbe essere il pezzo più vicino a svilupparsi, cioè la
parte immediatamente adiacente dell’organismo integro. In realtà non è questo che avviene: se si
asporta con un taglio una parte del corpo nelle larve di rana, non compaiono organi adiacenti, bensì
degli organi terminali, come la coda o perfino la testa, e in altri animali delle antenne, cioè organi di cui
l’organismo ha bisogno subito.
È assolutamente impossibile che con le « forze di tensione » insite nel punto di sezione si formino parti
come quelle che di fatto si sviluppano; non si può a meno di ammettere che l’organismo intero sia in
qualche modo coinvolto in tali neoformazioni.
In tal modo si può realmente osservare quel che succede negli organismi inferiori. Ora che ho indicato
il metodo di osservazione, si può provare ad estenderlo a tutte le esperienze pubblicate finora: si
constaterà come solo con questo metodo si possa giungere a chiarezza su fenomeni del genere. Ritengo
che si dovrà concludere che nell’uomo le cose stanno diversamente. Sarebbe certo molto carino potergli
tagliare un dito o un braccio e poi vederli ricrescere, ma l’uomo non è in grado di farlo! Sorge quindi il
problema: come si comportano nell’organismo umano le forze formatrici e di accrescimento che nel
caso esaminato si rivelano cosi chiaramente? sono andate perdute o non esistono affatto?
Chi osserva la natura in modo oggettivo sa che solo per questa via si può giungere a una conoscenza
conforme a natura delle connessioni fra ciò che nell’uomo è spirituale e ciò ch’è fisico. Infatti le forze
che in questo caso impariamo a conoscere come direttamente produttrici di forme dalla sostanza
corporea, nell’uomo sono semplicemente sottratte agli organi e sono presenti solo nelle sue parti
animico-spirituali; qui esse sono difatti presenti. Per il fatto che sono sottratte agli organi, che non sono
rimaste forze plasmatrici di organi, l’uomo ne dispone in altro modo: le ha nelle sue funzioni animicospirituali. Se io penso o sento, lo faccio con le medesime forze che nell’animale inferiore o nella pianta
agiscono come produttrici di forme. Non sarei in grado di pensare, se non svolgessi le attività del
pensare, del sentire e del volere con le medesime forze che ho sciolto dai vincoli della materia.
Guardando agli organismi inferiori debbo riconoscere che in essi si trovano forze formatrici identiche a
ciò che porto anche in me; io però le ho sottratte ai miei organi, le ho rese indipendenti, e penso, sento e
voglio con le stesse forze che nel mondo degli organismi inferiori operano plasticamente.
Chi voglia fare della psicologia sostanziosa, e non solo a parole (come oggi spesso avviene) dovrebbe
studiare i processi del pensare, del sentire e del volere, ritrovando in essi (ma trasposti sui piani
animico e spirituale) gli stessi processi che negli animali inferiori si manifestano come attività
produttive di forme corporee. Possiamo constatare che nella nostra attività psichica noi realizziamo
processi che nell’organismo non siamo più in grado di eseguire: completare concatenazioni di pensieri
che avevamo perdute, partendo da altri pensieri. In un’operazione del genere noi procediamo in modo
analogo a quello che abbiamo riscontrato nella rigenerazione di parti degli animali inferiori: vale a dire
che non si presenta ciò che è direttamente contiguo, bensì ciò che è più distante.
Esiste un parallelismo completo fra quello che noi sperimentiamo sul piano psichico interiore e le
forze, i principi formativi che operano nel mondo esterno. Questo parallelismo va sottolineato: occorre
mostrare che nel mondo esterno l’uomo ritrova in fondo come princìpi formativi la vita animicospirituale che egli ha sottratto al proprio organismo e che quindi nell’organismo non si trova più a base
della materia, della sostanza materiale.
Senonché noi non la abbiamo sottratta a tutte le parti dell’organismo con la stessa forza, bensì in modo
differenziato. Solo dopo aver acquistato nozioni preliminari come quella ora esposta, si può affrontare
in modo adeguato lo studio dell’organismo umano. Osservando la struttura del nostro sistema nervoso
si trova qualcosa di singolare: proprio le cosiddette cellule nervose (e in generale il tessuto nervoso)
sono formazioni rimaste indietro, a uno stadio evolutivo relativamente precoce; non sono formazioni
cellulari molto progredite. Ci si aspetterebbe dunque che esse dimostrino il carattere di formazioni
cellulari primitive. Sotto certi altri aspetti invece esse non mostrano affatto un tale carattere, per
esempio in quanto non sono capaci di riprodursi. Come le cellule del sangue, le cellule nervose sono
indivisibili e pertanto incapaci di riprodursi. Sono state private cioè in uno stadio relativamente
primitivo di una facoltà di cui le cellule extra-umane sono invece dotate. Esse rimangono ferme e per
così dire paralizzate a un gradino evolutivo precoce. Ciò che in esse viene paralizzato si separa invece
come qualità animico-spirituale. In effetti, per i nostri processi animico-spirituali noi ricorriamo a
quello che un tempo si era formato entro lo sostanza organica; ne possiamo però disporre solo in
quanto portiamo in noi la sostanza nervosa che abbiamo per così dire uccisa, o almeno paralizzata, in
uno stadio relativamente primitivo.
In questo modo d si può accostare alla reale essenza della sostanza nervosa. Si scopre allora perché la
sostanza nervosa possieda la caratteristica di assomigliare, da un lato, abbastanza alle formazioni
primitive (perfino in ciò che essa a sua volta produce), mentre dall’altro serve all’attività che di solito si
considera la più alta dell’uomo, cioè all’attività spirituale.
Incidentalmente vorrei rilevare che un’osservazione anche superficiale della testa umana, entro la quale
si trovano racchiuse come in una corazza le diverse cellule nervose, ricorda piuttosto la struttura di certi
animali inferiori che non quella degli animali superiori. Proprio la nostra testa ricorda in fondo, vorrei
dire, certi animali preistorici; appare soltanto trasformata. Parlando degli animali inferiori siamo soliti
dire che essi hanno uno scheletro esterno, mentre gli animali superiori e l’uomo hanno uno scheletro
interno. Solo la nostra testa invece, che è la parte più evoluta, ha uno scheletro esterno. Si tratta qui di
una specie di motivo conduttore per la comprensione di quanto è stato ora esposto.
Possiamo ora svolgere certe considerazioni. Ammettiamo di essere indotti da un evento che chiamiamo
« malattia » (di cui parlerò con maggior precisione più avanti) ad apportare all’organismo umano ciò
che gli era stato sottratto nel modo che si è detto, cioè le forze formative presenti nella natura
extraumana die gli erano state sottratte per usarle per l’attività animico-spirituale. Utilizzando come
farmaco una pianta o altro, noi restituiamo all’organismo umano qualcosa di cui a tutta prima esso è
privo. Gli veniamo in aiuto fornendogli qualcosa che prima gli era stato tolto, perché potesse diventare
uomo.
Qui si va già profilando qualcosa che si potrebbe definire un processo terapeutico: il ricorrere a certe
forze della natura esterna (di cui in condizioni normali siamo privi), per rafforzare in noi qualcosa,
rispetto alle condizioni esistenti nell’uomo normale. Per parlare concretamente, sia pure solo come
esempio, ammettiamo che dallo studio del polmone (o di un altro organo) risulti che l’uomo ne ha
estratto dei princìpi formativi per poterne disporre per l’attività animico-spirituale. Se, studiando poi il
mondo vegetale, ci si imbatte proprio nelle forze che l’uomo ha sottratto al polmone e le si
somministrano all’uomo malato, in caso di alterazione del sistema polmonare, si può riuscire di
giovamento a questo sistema ammalato. Sorgerebbe dunque il problema: quali forze nella natura extraumana sono affini a quelle che stanno alla base degli organi umani, ma che sono state deviate verso
l’attività animico-spirituale? Ecco in tal modo delineata una via per passare da una terapia fondata solo
sui tentativi a una terapia razionale.
Gli errori in cui si è incorsi riguardo al sistema nervoso riguardano l’interno dell’uomo, ma un altro
grave errore si è diffuso nei riguardi della natura extra-umana errore cui oggi accenno soltanto, per
trattarlo più a fondo un’altra volta. Nell’epoca materialistica si è venuta gradualmente formando la
concezione che esista un’evoluzione degli organismi materiali, la quale procederebbe da quello ch’è
chiamato il più semplice al più complicato. Dapprima si sono presi in considerazione gli organismi
inferiori, seguendo poi la metamorfosi delle forme fino agli organismi più complicati, rivolgendo infine
l’attenzione anche al mondo inorganico, al regno minerale. Si è constatato che il regno minerale è meno
complesso del regno vegetale, e si è giunti a porsi i problemi sull’origine della vita dal regno minerale,
postulando una condizione, nel remotissimo passato, nella quale le sostanze siano passate dal piano
delle azioni esclusivamente inorganiche al piano delle azioni organiche. Nel contesto di tali problemi,
si discusse a lungo su quella che fu chiamata « generatio aequivoca».
A un’osservazione spregiudicata dei fenomeni risulterà però che tale concezione non è giusta. Bisogna
infatti riconoscere che in linea di principio, come si può concepite un’evoluzione che proceda dalle
piante attraversò gli animali fino all’uomo, così è concepibile anche un’evoluzione che dalle piante
giunga ai minerali, in quanto a questi ultimi venga sottratta la vita. Ripeto che per il momento accenno
soltanto a questi problemi, riservandomi di trattarli più chiaramente in seguito. Per venire a capo del
problema dell’evoluzione non si deve cercar di risalire dall’inorganico alle piante, agli animali e fino
all’uomo: conviene cercare il punto di partenza a metà, e concepire poi da un lato un’evoluzione
ascendente che dal vegetale proceda all’animale e all’uomo, e dall’altro un’evoluzione discendente
verso il minerale. Il principio non andrebbe dunque ricercato nell’inorganico, nel minerale, bensì al
centro della natura, sì che poi certi esseri si formino per evoluzione ascendente, altri per evoluzione
discendente. Procedendo così, si scoprirà che scendendo dalla pianta al minerale (e in particolare al
minerale tanto importante che è il metallo), nell’evoluzione discendente possono manifestarsi certe
forze che stanno in un rapporto del tutto speciale con l’immagine speculare di quella evoluzione, cioè
con l’evoluzione ascendente.
In sostanza sorge il problema: quali sono le particolarissime forze presenti nei minerali, che possiamo
osservare soltanto studiando le forze formative constatate negli animali inferiori? (cfr. la figura
precedente). Nei minerali le vediamo apparire nei processi di cristallizzazione. La cristallizzazione ci
mostra decisamente qualcosa che compare nell’evoluzione discendente, qualcosa che deve essere in un
certo rapporto con le forze formative che constatiamo nell’evoluzione ascendente, pur non essendo la
stessa cosa. Se introduciamo nell’organismo umano le forze presenti nei minerali sorge un nuovo
problema. Poco fa abbiamo potuto rispondere a un problema analogo: noi siamo in grado di giovare
all’organismo umano, fornendogli dai regni vegetale o animale le forze formative che gli sono state
sottratte per essere messe a disposizione dell’attività animico-spirituale. Ma che cosa accadrebbe, se
introducessimo nell’organismo umano le forze differenti che si trovano invece nell’evoluzione
discendente, cioè nel regno minerale? Questo è il problema che oggi vorrei porre e che dovrà trovare
risposta nel corso di queste considerazioni.
Con tutto dò non siamo però ancora arrivati al punto di poter rispondere in modo giusto alla domanda
posta all’inizio di questa conferenza: se cioè si possa scoprire nella natura stessa un processo
terapeutico. Di fronte a un problema del genere è sempre necessario accostarsi alla natura con adeguate
conoscenze, e noi abbiamo cercato fin qui di procurarcene, almeno in modo approssimativo: solo così
certi processi d si sveleranno poi nella loro essenza. Questo è l’importante.
Nell’organismo umano esistono due tipi di processi i quali ci si rivelano in certo senso come
contrapposti, se li osserviamo in base alle idee che abbiamo ora acquisite. (Quei due tipi di processi
esistono anche nell’animale, ma in questo momento ci interessa meno). Si tratta di processi
contrapposti in alto grado quasi polarmente, ma non del tutto: sottolineo questo fatto esplicitamente e
prego di tenerne conto, a scanso di malintesi su ciò che sto per dire. I due processi sono quelli della
formazione del sangue e della produzione del latte, quali avvengono nell’organismo umano. Già
esteriormente la formazione del sangue e la produzione del latte si differenziano in modo essenziale. La
formazione del sangue è situata vorrei dire in parti molto nascoste dell’organismo umano. La
produzione del latte è invece un processo che tende verso la superficie. La differenza sostanziale fra i
due processi è però che nella formazione del sangue si trova in alto grado la capacità di formare a sua
volta forze plasmatrici, come risulta dall’osservazione dell’uomo stesso. Al sangue dobbiamo infatti
attribuire forze formative nell’intera « economia » dell’organismo umano; esso contiene ancora sotto
un certo riguardo le forze formative che abbiamo riscontrato negli organismi inferiori. A tale proposito
la scienza moderna potrebbe fondarsi sopra un fatto molto importante, osservando il sangue; però non
lo fa ancora in modo ragionevole. Essa potrebbe fondarsi sul fatto che i globuli rossi rappresentano la
componente principale del sangue e che i globuli rossi sono essi pure incapaci di riprodursi: hanno la
peculiarità di non potersi riprodurre, e l’hanno in comune con le cellule nervose. Constatando questa
peculiarità comune, quello che importa è però l’accertare se nei due casi .la ragione di quel
comportamento sia la stessa. La ragione non può essere la stessa, perché al sangue la capacità formativa
non è stata sottratta nella stessa misura in cui è stata sottratta alla sostanza nervosa. La sostanza nervosa
che sta alla base della vita di rappresentazione, è in larga misura priva della capacità formativa interna.
Nell’uomo la sostanza nervosa viene configurata in dipendenza delle impressioni esterne, ancora per
molto tempo dopo la nascita: in essa la capacità formativa interna cede il passo di fronte alla capacità di
adattarsi semplicemente alle impressioni esterne. Nel sangue le cose stanno diversamente, perché il
sangue ha conservato in alto grado la capacità formativa interna. Ora è noto dall’esperienza comune
che anche nel latte è presente in certo senso una tale capacità formativa; se così non fosse, il latte non
sarebbe l’alimento giusto per i neonati, come in effetti è. I lattanti hanno appunto bisogno del latte, nel
quale è presente una capacità formativa simile a quella del sangue. Fra il sangue e il latte esiste dunque
una certa somiglianza, per quanto riguarda la capacità formativa.
C’è però una differenza molto importante. Mentre ha la capacità formativa, il latte non possiede
qualcosa d’altro (o lo possiede solo in misura minima): è il ferro, l’unico metallo, in fondo, che nelle
sue combinazioni entro l’organismo umano si mostri realmente capace di cristallizzarsi. Anche se il
latte contiene altri metalli in piccolissime quantità, esiste tuttavia la differenza per quanti) riguarda il
ferro, un metallo caratteristico di cui il sangue ha bisogno per la sua composizione. Il latte invece, che
pure possiede anche la capacità formativa, non ha bisogno del ferro. A questo punto nasce il quesito:
perché il sangue necessita del ferro?
È questo un problema fondamentale per tutta la scienza medica: il sangue ha infatti bisogno dèi ferro.
In seguito raccoglierò i dati relativi ai fatti ora menzionati sommariamente; per il momento vorrei
enunciare che il sangue è una sostanza dell’organismo umano che per sua natura è malata, e deve
venire continuamente guarita dal ferro. Questo non è il caso per il latte; se il latte fosse « malato » allo
stesso modo del sangue, non potrebbe essere (come invece è) un mezzo formativo per l’uomo stesso,
un mezzo formativo che gli viene fornito dall’esterno.
Nel sangue dobbiamo vedere a pro della costituzione umana, della sua organizzazione, una cosa che
nell’uomo è continuamente malata. Il sangue è per così dire malato per effetto della sua propria essenza
e deve venir curato di continuo mediante l’aggiunta del ferro.
Ciò significa che nel processo che si svolge nel nostro sangue ha luogo un continuo processo di
guarigione. Se il medico vuole « superare l’esame della natura », deve anzitutto osservare non un
processo naturale già di per sé abnorme, bensì un processo normale. Ora quello del sangue è certo un
processo normale, ma al tempo stesso è tale che la natura stessa vi deve di continuo svolgere un’azione
risanatrice, servendosi del minerale aggiunto, del ferro. Volendo rappresentare graficamente quel che
accade nel sangue, dobbiamo dire: quello che il sangue possiede per propria costituzione senza il ferro,
si può esprimere in una curva o in una linea discendente che arriverebbe fino alla completa
dissoluzione del sangue (nel disegno, la linea rossa); l’azione continuamente risanatrice del ferro nel
sangue si esprime invece in una linea ascendente (nel disegno, la linea gialla).
Siamo realmente di fronte a un processo normale, ma al tempo stesso tale da dover venire imitato, se si
vuole avere un’idea di che cosa siano i processi di guarigione. Qui possiamo veramente « superare
l’esame della natura », assistendo a processi che la natura compie: essa apporta all’organismo umano
un elemento extra-umano, cioè il metallo con le sue forze. Al tempo stesso vediamo come il sangue
(che vuole assolutamente rimanere nell’organismo) abbia necessità di essere guarito; il latte invece, che
tende a uscire dall’organismo, non ha bisogno di essere guarito: esso contiene forze formative ed è in
grado di trasmetterle in modo sano a un altro organismo. Ecco dunque delineata una specie di polarità,
anche se non completa, fra il sangue e il latte: una polarità che va esaminata attentamente perché offre
abbondante materia di studio. Da essa inizierò nella prossima conferenza.
Ho dovuto premettere tutte queste nozioni, perché dalle domande propostemi ho visto che esse
potranno trovare una risposta più adeguata, una volta esposti i concetti e le basi necessarie.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 03 – LA DIAGNOSI, TRAMITE FRA PATOLOGIA E TERAPIA
La dottrina del cuore.
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 22.03.1920
Sommario: La dottrina del cuore. Il cuore come organo di compenso fra la parte superiore e quella
inferiore. La polarità nell’organismo umano. Fisionomia della malattia. L’isteria come preponderanza
dei processi del ricambio; la nevrastenia come preponderanza dei processi sensoriali. La tubercolosi:
disposizione e infezione. Significato dei singoli sintomi per il decorso e la guarigione.
Prendiamo le mosse dai punti di partenza scelti ieri e accostiamoci gradualmente alla natura
dell’uomo, prestando attenzione a certe polarità che in essa dominano. Avrete notato già ieri come si sia
costretti a combinare in un parallelogramma le forze, die nell’animale gravano ancora verso il basso,
con altre forze, dirette verticalmente verso l’alto; nella reazione chimica del muscolo si ha poi un
fenomeno analogo. Sviluppando questi due pensieri nello studio dei sistemi osseo e muscolare
dell’uomo, e aiutandosi in proposito con tutti i dati oggi forniti dall’esperienza, si potranno presto
ricavare dalla osteologia e dalla miologia conoscenze assai più importanti per la medicina, di quanto sia
avvenuto finora. Il collegamento fra la conoscenza dell’uomo e i bisogni della medicina riesce invece
particolarmente difficile se oggi vogliamo prendere le mosse dallo studio del cuore. Vorrei esprimere il
problema in questo modo: ciò che nella osteologia e nella miologia risulta appena abbozzato, si
manifesta invece clamorosamente nella concezione affermatasi sulla funzione del cuore. Qual è infatti
l’opinione dominante circa il cuore umano, volendo per ora limitarsi a questo? Si ritiene che esso sia
una specie di pompa che spinge il sangue nei vari organi del corpo umano. Si sono anche escogitate
diverse interessanti costruzioni meccaniche che dovrebbero spiegare l’apparecchio di pompaggio
chiamato « cuore ». Di fatto quelle costruzioni meccaniche sono in contraddizione con certi dati
dell’embriologia, ma non si è pensato alla possibilità di considerare in realtà problematica questa teoria
meccanica del cuore, e di ricontrollarla nell’ambito della scienza comunemente riconosciuta. Per
cominciare, mi limito soltanto ad accennare a queste cose; nei prossimi giorni esporrò fatti che
confermeranno via via questo punto di vista. Nello studio del cuore va tenuto conto prima di tutto che il
cuore non è per nulla un organo attivo. L’attività cardiaca infatti non è una causa, bensì una
conseguenza. Per comprendere questa affermazione, occorre cogliere ima certa polarità esistente
nell’organismo. Da un lato troviamo tutte le attività organiche connesse con l’assunzione degli
alimenti, con la loro elaborazione, con il loro passaggio nel sangue, sia diretto, sia mediante certi vasi;
tale elaborazione procede dal basso verso l’alto, fin dove si compie l’azione scambievole fra il sangue
(che ha accolto gli alimenti) e, dall’altro lato, la respirazione mediante la quale viene introdotta l’aria.
Osservando esattamente i processi in questione (e basta davvero considerarli con attenzione), si troverà
che esiste una certa contrapposizione fra il processo respiratorio e il processo digestivo, inteso nel
senso più lato del termine. C’è qualcosa che esige un pareggio qualcosa che spinge per così dire a
saturarsi a vicenda. Naturalmente ci si potrebbe esprimere anche in modo diverso, ma nel corso del
tempo ci comprenderemo sempre meglio. Quel che avviene, è un’azione scambievole fra le sostanze
alimentari divenute liquide e ciò che viene introdotto nell’organismo in forma gassosa mediante la
respirazione. Questa azione scambievole va studiata in modo preciso: essa consiste di forze che
agiscono le une sulle altre, e prima di agire le une sulle altre si arrestano nel cuore. Il cuore si forma
come un organo di arresto, di ingorgo, fra le attività che d’ora in avanti vorrei chiamare quelle inferiori
dell’organismo (l’assunzione degli alimenti e la loro elaborazione) e le attività superiori
dell’organismo, di cui la più bassa è a sua volta la respirazione. Fra queste attività è inserito un organo
di arresto, e l’aspetto più essenziale è che l’attività del cuore è una conseguenza dell’azione reciproca
fra le sostanze alimentari divenute liquide, cioè fra il liquido di origine alimentare, e l’aria introdotta
dall’esterno. Tutto quello che si manifesta nel cuore, che si può osservare nel cuore, va considerato
come una conseguenza, è in un primo momento va preso in considerazione sul piano meccanico.
L’unico tentativo promettente di spiegare almeno la base meccanica dell’attività cardiaca (ma nulla
più), fu compiuto da un medico austriaco, il dottor Karl Schmid, che esercitava nella Stirià. Egli
pubblicò nel 1892, sulla Wiener Medizinische Wochenscbrift, uno studio su L’itto cardiaco e
sfigmogramma.
Non che quello studio fosse molto notevole, ma bisogna riconoscere che vi si trova almeno
l’osservazione; scaturita dalla pratica medica, che il cuore non va considerato come una semplice
pompa, bensì come un apparato di arresto. Lo Schmid concepisce l’intero processo del moto e dell’itto
cardiaco come analoghi all’attività del cosiddetto ariete idraulico, messo in movimento dalla corrente:
ecco quel che c’è di vero nelle considerazioni esposte dal dottor Karl Schmid. Si resta però nell’ambito
della meccanica, quando si considera l’attività cardiaca come conseguenza di queste correnti (così
vorrei chiamarle simbolicamente), cioè delle correnti liquide e di quelle aeriformi. Cos’è infatti il
cuore, in ultima analisi? In ultima analisi esso è un organo di senso; anche se non siamo direttamente
coscienti dell’attività sensoriale del cuore, che rientra fra le attività sensoriali subcoscienti, pur tuttavia
il cuore esiste affinché in certo modo le attività superiori dell’uomo possano percepire, possano sentire
le attività inferiori. Come con gli occhi si possono percepire i colori esterni, così con il cuore si
percepisce, sia pure in un’ottusa subcoscienza, quel che accade nella parte inferiore del corpo. Il cuore
è dunque un organo di senso per la percezione interna: come tale deve venir considerato.
Si comprenderà la polarità esistente entro l’uomo stesso, solo sapendo che egli è in realtà un essere a
struttura dualistica la cui parte superiore percepisce quella inferiore. Debbo però aggiungere che imo
dei due poli dell’intero essere umano, quello rappresentato dalle attività inferiori, ci si presenta
nell’assunzione degli alimenti, nella loro elaborazione, fino al punto in cui si stabilisce un pareggio, un
equilibrio, mediante la respirazione. Tale equilibrio con la respirazione ha luogo con un’attività ritmica,
e del significato delle nostre attività ritmiche dovremo ancora parlare. Come strettamente connessa con
l’attività respiratoria dobbiamo però considerare l’attività neuro-sensoriale, tutto ciò che si riferisce alla
percezione esterna e alla sua prosecuzione ed elaborazione mediante l’attività dei nervi. Sono dunque
connesse tra loro l’attività respiratoria e quella neurosensoriale; nel loro insieme esse costituiscono uno
dei poli dell’organizzazione umana. L’altro polo dei processi che si svolgono nell’organizzazione
umana è costituito dall’insieme dell’assunzione degli alimenti, della loro elaborazione, del ricambio
inteso nel senso comune del termine. Il cuore è essenzialmente l’organo che nel suo moto percepibile
esprime l’equilibrio fra quelle due parti, la superiore e l’inferiore; dal punto di vista psichico, o meglio
sub-psichico, il cuore è l’organo di percezione che fa da mediatore fra quei due poli
dell’organizzazione umana. Si studi pure con il criterio ora esposto tutto quanto insegnano l’anatomia,
la fisiologia, la biologia, e si vedrà che solo così si fa luce sull’organizzazione umana. Finché non sarà
fatta questa distinzione fra il superiore e l’inferiore, mediati dal cuore, non si potrà comprendere
l’uomo: c’è infatti una differenza sostanziale fra quanto si compie nelle attività dell’organizzazione
inferiore e in quelle dell’organizzazione superiore.
Volendo esprimere in modo semplice questa differenza, si potrebbe dire: tutto quello che si compie
nell’inferiore ha il suo negativo, la sua controimmagine negativa nel superiore. In tutti i casi, di ciò che
sta in connessione col superiore si può trovare una controimmagine nell’inferiore. È però importante
notare che non si verifica realmente una mediazione materiale fra il superiore e l’inferiore, ma una
corrispondenza. Bisogna imparare a collegare sempre un fenomeno qualunque che si compie
nell’inferiore con un altro che avviene nel superiore, senza pretendere di scoprire una mediazione
materiale. Prendiamo un esempio molto semplice: lo stimolo a tossire, o la tosse vera e propria; in
quanto essa appartiene al superiore, la controimmagine corrispondente nell’inferiore ne sarà la diarrea.
Nell’inferiore troveremo sempre una controimmagine corrispondente a un certo fenomeno del
superiore. Si arriva a comprendere veramente l’uomo solo tenendo nella giusta considerazione tali
corrispondenze; e ne troveremo molte nel corso delle nostre considerazioni.
Non esiste però soltanto una tale corrispondenza astratta, ma nell’organismo sano esiste al contempo
un’intima connessione tra il superiore e l’inferiore. Nell’organismo sano esiste una connessione tanto
stretta, che qualsiasi attività superiore (sia essa collegata con la respirazione, sia invece con l’apparato
neuro-sensoriale) deve in qualche modo sopraffare un’attività inferiore, deve svolgersi in piena armonia
con un’attività inferiore. Se in qualche modo prende il sopravvento un’attività inferiore, diventando
eccessiva nei confronti con la corrispondente attività superiore, nell’organismo nasce subito
un’irregolarità (e questo fatto d aiuterà più avanti a comprendere davvero i processi morbosi); lo stesso
accade se diventa eccessiva un’attività superiore, nei confronti della corrispondente attività
nell’inferiore. Le attività dell’uomo superiore, nei confronti di quelle dell’uomo inferiore, devono
comportarsi sempre in modo da corrispondersi in certo senso reciprocamente, da dominarsi a vicenda,
da svolgersi orientate le une verso le altre. Tra i due gruppi di attività esiste un orientamento ben
preciso; pur variando nei diversi individui, nondimeno c’è un orientamento ben determinato di tutto il
decorso dei processi superiori rispetto a tutto il decorso di quelli inferiori.
Si tratta ora di trovare il passaggio dall’organismo che funziona in modo sano, nel quale cioè il
superiore corrisponde armonicamente all’inferiore, all’organismo malato. Prendiamo le mosse dagli
accenni che preludono alla malattia vera e propria, e che si svolgono in quello che Paracelso chiamava
l’archeo, che noi chiamiamo corpo eterico, e che (per usare termini meno sgraditi a certe orecchie) si
potrebbe anche chiamare l’ambito funzionale o dinamico: parliamo dunque dei fenomeni sfumati che
preludono alla malattia. Anche qui, nell’ambito dei segni che si annunciano dapprima nel corpo eterico,
ovvero nella sfera esclusivamente funzionale, si può parlare di una polarità: è però una polarità che già
porta in sé una imperfetta corrispondenza tra le due parti, porta in sé l’irregolarità. Tale condizione si
realizza nel modo seguente.
Supponiamo che nell’uomo inferiore, nell’ambito della assunzione degli alimenti, nell’apparato
digestivo in senso lato si rendano predominanti le forze chimiche od organiche insite negli alimenti
introdotti. Nell’organismo sano è necessario che tutte le forze operanti negli alimenti, insite in essi
(quelle che possiamo analizzare in laboratorio), vengano sottomesse dall’uomo superiore. Esse non
possono affatto venir utilizzate per le attività interne dell’organismo, perché qui non accade nulla
secondo le leggi della chimica è della dinamica esteriori: queste leggi sono superate. Può però accadere
che l’uomo superiore non sia abbastanza forte per compenetrare completamente l’inferiore o, per dirlo
con maggiore esattezza, per eterizzarlo a sufficienza: allora nell’organismo umano si svolge e prevale
un processo che in realtà non gli è proprio, un processo affine a quelli del mondo esterno e che non
dovrebbe svolgersi nell’organismo umano. Siccome il corpo fisico non viene subito afferrato in pieno
da tali irregolarità, un processo del genere si manifesta dapprima nella sfera che si potrebbe chiamare
funzionale, cioè nel corpo eterico, nell’archeo. Volendo scegliere un termine usuale (che però è tratto
solo da particolari forme di quelle irregolarità), dobbiamo parlare di isteria. Con il termine di isteria
vogliamo dunque significare un’eccessiva indipendenza dei processi del ricambio, e vedremo più
avanti che il termine non è scelto a torto. I fenomeni isterici in senso stretto non sono che irregolarità
del ricambio spinte al grado estremo. In realtà, all’origine del processo isterico, anche spinto fino ai
sintomi sessuali, non vi sono che irregolarità del ricambio: in fondo e nella loro essenza si tratta di
processi esterni che non dovrebbero verificarsi entro l’organismo umano, cioè processi nei quali
l’uomo superiore si dimostra troppo debole per dominarli. Questo tipo di fenomeni costituisce uno dei
due poli.
Quando compaiono tali fenomeni con caratteristiche isteriche, abbiamo a che fare con l’eccessivo
rafforzamento di un’attività extra-umana nelle parti inferiori dell’organismo umano. D’altra parte la
medesima irregolarità nell’azione reciproca può essere dovuta al fatto che non si svolge correttamente
il processo superiore, in quanto esso impegna troppo l’organizzazione superiore. È come il negativo, il
contrapposto dei processi inferiori, e impegna eccessivamente quelli superiori: si esaurisce per così dire
prima di collegarsi con l’organizzazione inferiore mediante il cuore; è dunque troppo spirituale, troppo
intellettuale dal punto di vista organico, se mi è lecito esprimermi così. Si manifesta allora l’altro polo
di quelle irregolarità, cioè la nevrastenia. Dobbiamo prendere in considerazione prima di tutto questi
due tipi di irregolarità ancora limitate alla sfera funzionale: in certo senso esse sono infatti i disturbi che
si manifestano nel superiore o nell’inferiore. Si dovrà a poco a poco comprendere in che modo la
polarità insita nell’organizzazione umana soggiaccia all’uno e all’altro tipo di disturbi. Nella
nevrastenia si ha dunque un funzionamento dell’uomo superiore che impegna eccessivamente gli
organi superiori, sì che quello che dovrebbe accadere nell’organismo inferiore, mediato dal cuore, si
svolge invece e si esaurisce già nel superiore; in tal modo l’attività superiore non penetra in basso nella
corrente inferiore, tramite l’ingorgo nel cuore. Vedete così che è molto più importante osservare la
fisionomia esterna del quadro morboso che osservare nell’autopsia gli organi diventati difettosi.
L’autopsia infatti negli organi alterati mostra soltanto dei fenomeni secondari. È invece essenziale
prestare attenzione all’immagine completa, alla fisionomìa della malattia. In certo modo tale fisionomia
presenterà sempre un’immagine orientata nell’una o nell’altra direzione, verso la nevrastenia o verso
l’isteria. Naturalmente bisogna però ampliare il senso di questi termini rispetto all’uso che se ne fa di
solito.
Bisogna dunque prima farsi un’idea sufficientemente chiara di questa cooperazione della parte
superiore e di quella inferiore dell’uomo. Partendo da questo, si potrà gradualmente riconoscere il
modo in cui ciò che dapprima si mostra solo sul piano funzionale (noi diremmo: nell’ambito
dell’eterico), afferra poi il fisico-organico, diventando più penetrante nelle sue forze. Si può allora
affermare che quanto in un primo tempo si delinea solo come un accenno di tipo isterico, può assumere
aspetto fisico in diverse malattie del basso ventre, mentre d’altro lato la nevrastenia può assumere
aspetto organico in certe malattie del collo o del capo. Sarà molto importante per la medicina del futuro
studiare nella sfera della nevrastenia e rispettivamente dell’isteria questa tendenza ad esprimersi in
fenomeni funzionali che poi possono improntarsi nel fisico. Conseguenze dell’isteria divenuta per così
dire organica saranno certe irregolarità nell’insieme del processo digestivo, e più in generale in tutti i
processi addominali. Quello che accade in una parte dell’organismo si ripercuote però a sua volta
sull’organismo complessivo: bisogna sempre ricordare che qualunque tipo di irregolarità si ripercuote
su tutto l’organismo.
Immaginiamoci ora che qualcosa, che manifestandosi nell’ambito funzionale sarebbe solo un fenomeno
isterico, non si esprima affatto sul piano funzionale: è questa una situazione che può in effetti
verificarsi. Il disturbo non si esprime dunque sul piano funzionale; il corpo eterico però lo imprime
subito nel corpo fisico. La cosa non si manifesta neppure come una malattia conclamata degli organi
addominali, tuttavia è in qualche modo presente in essi. Negli organi addominali è dunque per così dire
presente una specie di impronta dell’isteria. Per il fatto di essersi impressa nel fisico, non si manifesta
come fenomeno isterico nella sfera psichica, ma non è ancora neppure abbastanza forte da agire come
una malattia fisica opprimente; è però abbastanza forte per agire in tutto l’organismo. Si ha allora il
fenomeno singolare di uno stato che oscilla fra malattia e salute, che agisce dal basso verso l’alto e si
ripercuote nell’uomo superiore, coinvolgendolo e manifestandosi nel proprio aspetto negativo. Questo
fenomeno, in cui la prima conseguenza fisica dell’isteria si manifesta nel suo effetto in un distretto
organico che di solito (quando è disturbato unilateralmente) va soggetto alla nevrastenia, questo
fenomeno genera la predisposizione alla tubercolosi.
È una correlazione interessante. La predisposizione alla tubercolosi è una reazione che provoca
nell’ambito dell’organismo superiore l’attività dell’uomo inferiore che ho ora descritta. Questa
singolare azione reciproca che nasce, come ho detto, perché un processo non giunge al suo termine e
reagisce sull’uomo superiore, causa la predisposizione alla tubercolosi. Non si troveranno rimedi
razionali per la tubercolosi, se non si partirà da questa predisposizione originaria dell’organismo
umano. Che i parassiti possano attecchire nell’organismo umano non è infatti che una conseguenza
della predisposizione originaria di cui ho parlato. Questa concezione non contraddice il fatto che in
certe condizioni la tubercolosi sia contagiosa: a tal fine debbono naturalmente verificarsi le necessarie
premesse. Le cose stanno però proprio così: in una parte purtroppo molto grande dell’umanità odierna
esiste una preponderanza dell’attività organica inferiore, per cui la disposizione alla tubercolosi oggi è
diffusa in modo veramente terribile.
Il concetto di contagio è però ugualmente valido in questo campo: chi è gravemente ammalato di
tubercolosi esercita una certa azione sugli altri. Per l’esposizione all’ambiente in. cui vive il
tubercolotico, può verificarsi il fatto che ciò che di solito è soltanto un effetto possa diventare a sua
volta una causa. Io cerco sempre di chiarire il rapporto fra l’insorgenza primaria di una malattia e il
contagio, con il paragone seguente. Supponiamo che io incontri per strada un amico i cui rapporti
umani non mi interessano particolarmente. Egli mi viene incontro con aria triste e ne ha motivo, poiché
è morto un suo amico. Con l’amico morto io non avevo alcun rapporto diretto, ma il mio amico mi
comunica la sua tristezza: io divento triste con lui. Lui è triste per causa diretta, io per contagio! Resta
però vero che la premessa di quel Contagio è il nostro reciproco rapporto.
Pertanto i due concetti di insorgenza primaria e di contagio sono entrambi giustificati, specialmente nel
caso della tubercolosi; si dovrebbe però usarli in modo davvero razionale. I sanatori sono talvolta dei
veri luoghi di incubazione per la tubercolosi. Se proprio si rinchiudono i tubercolotici in istituti
specializzati, bisognerebbe poi demolire questi edifici per quanto è possibile, sostituendoli con altri
nuovi! Dopo un certo tempo i sanatori dovrebbero sempre venire abbattuti. Il fatto singolare è proprio
che i malati stessi di tubercolosi hanno la massima disposizione a venir contagiati; la loro malattia, che
di per sé potrebbe migliorare, può infatti peggiorate per la vicinanza di tubercolotici più gravi. Per il
momento, volevo però soltanto accennare all’essenza della tubercolosi. Proprio con l’esempio della
tubercolosi vediamo che nell’organismo umano i diversi processi debbono in certo modo interferire gli
uni negli altri; essi dipendono tutti dal fatto che esistono le due organizzazioni, quella superiore e
quella inferiore, le quali si corrispondono a vicenda colpe un’immagine positiva e un’immagine
negativa. L’osservazione del decorso dei fenomeni più appariscenti che preparano la tubercolosi
(qualora sussista una disposizione costituzionale dell’organismo come quella cui ho accennato)
permette di studiare nel loto decorso l’essenza stessa della malattia in generale.
Consideriamo la forma più comune dei fenomeni riscontrabili in una persona che potrebbe avere la
tendenza ad ammalare di tubercolosi, una persona cioè nella quale la tubercolosi non è ancora presente,
ma sta soltanto preparandosi. Potremo forse riscontrare il sintomo della tosse, oppure il paziente
denuncerà dolori alla gola o al petto, magari dolori articolari. Noteremo inoltre un facile affaticamento,
e soprattutto sudorazione notturna.
Che cosa rappresentano tutti questi sintomi, qual è il loro significato? Essi sono tutti conseguenze delle
irregolari azioni reciproche interne che ho descritto. Al tempo stesso rappresentano una lotta condotta
dall’organismo contro la tendenza di base. Per cominciare dalle cose più semplici a quelle più
complicate arriveremo in seguito) osserviamo la tosse: non è certo ben fatto voler combattere sempre e
ad ogni costo la tosse. Talvolta può essere addirittura necessario per l’organismo che si provochi la
tosse artificialmente. Se per qualche ragione l’organizzazione umana inferiore non può venir dominata
dall’organizzazione superiore, lo stimolo della tosse è una sana reazione dell’organismo che impedisce
l’ingresso di certe cose che altrimenti vi penetrerebbero. L’impedire in ogni caso direttamente la tosse
può in certe circostanze essere nocivo, perché delle sostanze dannose penetrerebbero nel corpo. Si
tossisce perché in quella particolare condizione l’organismo non può sopportare quelle sostanze
dannose e vuole allontanarle. Lo stimolo a tossire indica proprio che nell’organismo c’è qualcosa che
non va: nasce la necessità di impedire l’accesso a certi « intrusi » i quali in altre circostanze potrebbero
anche penetrarvi senza far danni.
Anche gli altri sintomi che abbiamo elencato rappresentano una lotta dell’organismo contro ciò che va
preparandosi nella predisposizione alla tubercolosi. Il mal di gola, i dolori agli arti rivelano
semplicemente che l’organismo non permette lo svolgimento dei processi dell’uomo inferiore che non
possono venir dominati dai processi superiori. Potrebbe per esempio essere opportuno, se la
disposizione alla tubercolosi viene riconosciuta in tempo, aiutare l’organismo provocando in misura
modica degli stimoli di tosse; nelle conferenze seguenti si vedrà in che modo si possano pro- vocare i
fenomeni secondari, perfino il senso di stanchezza, mediante una certa dieta. Anche il dimagramento
che può manifestarsi ha solo il significato di un mezzo di difesa; infatti il processo che si verifica
quando non si dimagrisce è forse proprio quel processo inferiore che non può venir dominato
dall’uomo superiore: allora l’organismo si difende dimagrendo, in modo da eliminare temporaneamente
ciò che non può venir dominato.
È dunque molto importante studiare questi fenomeni nei loro particolari, e non sottoporre senz’altro a
una cura ingrassante chiunque sia dimagrito: il dimagramento può avere un valore positivo nell’ambito
di ima certa condizione temporanea dell’organismo.
Particolarmente istruttivo è il sintomo della sudorazione notturna in un soggetto non ancora malato di
tubercolosi, ma predisposto ad ammalarsi. Le sudorazioni notturne infatti non sono che un’attività
dell’organismo compiuta durante il sonno, mentre dovrebbe aver luogo durante la veglia, in piena
attività spirituale e fisica. Qualcosa che dovrebbe accadere durante il giorno, durante lo stato di veglia,
non ha luogo e si esplica invece durante la notte. È un fenomeno secondario e al tempo stesso un mezzo
di difesa. Mentre l’organismo è liberato dalla sua attività spirituale, esso si crea Fattività che si esprime
nella sudorazione notturna.
Per dare il giusto peso a questo fatto, bisogna però sapere che tutti i processi di escrezione, quindi
anche la produzione del sudore, sono intimamente connessi con l’attività animica e spirituale. I processi
anabolici, i veri e propri processi vitali costruttivi sono infatti solo la base dell’inconscio. Alle attività
psichiche coscienti corrispondono invece sempre dei processi di tipo secretivo, o più genericamente
catabolico. Anche all’attività del pensare non corrispondono processi costruttivi nella sostanza
cerebrale, ma processi di « secrezione », processi catabolici. L’insorgenza della sudorazione notturna è
proprio un processo di escrezione che nella vita normale dovrebbe svolgersi parallelo a un’attività
animico-spirituale. Siccome però in qualche circostanza l’uomo superiore non ha il giusto rapporto con
quello inferiore, qualcosa si sposta verso le ore notturne, quando l’organismo è alleggerito dall’attività
animico-spirituale.
Vediamo dunque che uno studio accurato di tutti i processi collegati con la crescita e il divenire
dell’organismo umano sano e malato consente di riconoscere che esiste anche un’azione reciproca fra
diversi fenomeni morbosi. Il dimagramento di per se stesso è anzitutto un sintomo di malattia; però in
relazione con la disposizione alla tubercolosi (cioè alla tubercolosi che comincia appena ad agire) il
dimagramento è qualcosa die di necessità fa parte del quadro. Esiste veramente una specie di
organizzazione ideale dei fenomeni morbosi. In certo senso, un sintomo è di necessità connesso con un
altro sintomo. È quindi perfettamente razionale (soffermandoci ancora sulla disposizione alla
tubercolosi) che per certe altre condizioni dell’organismo possa manifestarsi una specie di reazione,
mentre l’organismo stesso non ha la forza di suscitare tale reazione; in un caso del genere è razionale
venirgli in aiuto, suscitando la reazione dall’esterno, facendo per così dire seguire una malattia a
un’altra. I medici antichi espressero questo concetto sotto forma di un’importante regola educativa per
il medico. Essi dicevano che il pericolo nell’arte medica è costituito dal fatto che il medico non deve
essere solo in grado di scacciare le malattie, ma anche di provocarle. Nella stessa misura in cui il
medico è capace di guarire le malattie egli è in grado di provocarle. Gli antichi conoscevano infatti
ancora certe connessioni, grazie alla loro chiaroveggenza atavica: nel medico essi scorgevano al tempo
stesso colui che, se diventa malvagio, può non solo risanare, ma anche far ammalare la gente. Questa
capacità è connessa con la necessità di provocare certi stati morbosi, per metterli nel giusto rapporto
con altri stati. Si tratta però pur sempre di condizioni morbose. La tosse, il mal di gola, i dolori di petto,
il facile affaticamento, le sudorazioni notturne sono essi pure fenomeni patologici, anche se occorre
talora provocarli.
Ne consegue naturalmente che non si potrà abbandonare il malato al suo destino dopo averlo guarito a
metà, provocando quei sintomi; a questo punto deve verificarsi la seconda parte del processo di
guarigione. Bisognerà fare in modo che non ci siano solo queste reazioni, suscitate per creare una
situazione di difesa contro la malattia; dovrà seguire qualcosa che guarisca a sua volta la reazione, e
riporti l’intero organismo sulla via giusta. Ad esempio, suscitati naturalmente o artificialmente gli
stimoli della tosse come difesa contro la disposizione alla tubercolosi, una volta che siano comparsi o
siano stati provocati dolori di gola, bisognerà provvedere a che si rimetta in ordine il processo digestivo
che spesso avrà mostrato segni di stitichezza. Ci si accorgerà in qualche modo di dover trasformare il
processo digestivo in un processo purgativo, in una specie di diarrea. È sempre necessario far seguire
dei processi di tipo diarroico al manifestarsi della tosse o dei dolori di gola o simili. Questo fatto ci fa
notare che ogni disturbo nella sfera superiore non va considerato come una cosa in sé conchiusa; spesso
la guarigione di un disturbo del genere nella sfera superiore va anzi ricercata ricorrendo a processi nella
sfera inferiore, anche se non c’è alcuna mediazione materiale, ma solo una corrispondenza. Soprattutto
di tali correlazioni bisogna tener conto.
Quanto ai segni di affaticamento, vorrei considerarli non soltanto come fenomeni soggettivi, ma come
determinati organicamente, e fondati sempre sul prevalere del ricambio. Questo genere di fenomeni di
affaticamento, determinati da un ricambio non dominato dall’alto, debbono realmente venir provocati
nella tubercolosi, salvo poi essere combattuti al momento giusto con una dieta adeguata; ne tratteremo
più avanti nei particolari. Si cercherà cioè di stimolare l’assimilazione degli alimenti; una digestione
migliore contribuirà a un più facile svolgimento di tutti i processi anabolici. Il dimagramento verrà poi
affrontato con una dieta che porti nuovamente al deposito di grasso nei tessuti e negli organi. Quanto
alle sudorazioni notturne, dopo averle all’inizio addirittura provocate, verranno poi combattute
cercando di indicare al paziente un’attività che provochi sudorazione in seguito a sforzi spiritualizzati,
a sforzi di pensiero: in tal modo egli tornerà a una sudorazione sana.
Grazie a una giusta concezione dell’attività del cuore si giunge prima a comprendere le corrispondenze
tra la parte superiore e la parte inferiore dell’uomo, poi si comprende la prima comparsa, il primo
accenno della malattia sul piano funzionale, nell’ambito dell’eterico, come è il caso per la nevrastenia e
l’isteria. Solo fondandosi su queste premesse possiamo arrivare a comprendete anche quel che si
manifesta, quasi come un’impronta, sul piano organico e fisico. Studiando la fisionomia del quadrò
morboso corrispondente (anche quello provocato prima da noi stessi), si potrà prima orientare il
decorso della malattia m una direzione in cui la malattia stessa potrà apparire più o meno diversa da
prima; poi, al momento giusto, si potrà ricondurre l’intero processo verso la guarigione.
Naturalmente i maggiori ostacoli a un trattamento come quello che ho cominciato a delineare sono
rappresentati dalle Condizioni sociali. Per questo la medicina è senz’altro anche un problema sociale.
D’altra parte sono i malati stessi a creare i maggiori ostacoli, in quanto pretendono naturalmente che il
medico anzitutto elimini qualche cosa. Se però si elimina direttamente un loro disturbo, può con facilità
accadere che i malati si ammalino più gravemente di quanto già lo siano. Bisogna tener conto del fatto
che si potrebbe aggravare di molto la loro condizione, ed essi allora dovrebbero poi attendere che ci si
trovi di nuovo nelle condizioni di poterli guarire. A questo punto però (e molti di voi me lo potranno
confermare) i pazienti saranno già scappati !…
Considerando in modo corretto l’uomo sano e malato, si scopre la necessità che il medico guidi di
persona anche la convalescenza, perché il trattamento consegua tutto quello che si propone. Sono questi
problemi che vanno senz’altro affrontati in pubblico. Non dovrebbe essere difficile accennare a tali
necessità, una volta avviato un movimento di opinione nella nostra epoca, tanto incline alla fede
nell’autorità. Naturalmente però non sono soltanto i pazienti, o le circostanze, a impedire che una
malattia venga curata fino alle sue estreme conseguenze; qualche volta sono anche i signori medici (e
vogliate perdonarmi se lo dico in vostra presenza) ad accontentarsi più o meno di avere semplicemente
eliminato qualcosa.
Comunque, in seguito si vedrà con chiarezza come la giusta concezione del ruolo del cuore
nell’organismo umano ci consenta di penetrare a poco a poco fino all’essenza dello stato di malattia.
Occorre però tener conto della radicale differenza esistente fra due aspetti delle attività organiche
inferiori: da un lato esse hanno superato l’attività chimica esterna, dall’altro esse sono in certo qual
modo anche simili all’attività superiore che per sua natura è del tutto opposta a quelle. È
straordinariamente difficile definire in modo adeguato questo dualismo presente nell’organismo umano,
perché il nostro linguaggio non possiede quasi i mezzi per descrivere ciò che è opposto ai processi
fisici e a quelli organici. Cercherò di rendere la cosa comprensibile con un’analogia, senza timore di
urtare magari qualche vostro pregiudizio, un’analogia che dovrebbe servire a spiegare il dualismo
esistente fra i processi superiori e quelli inferiori. Raffiguriamoci le proprietà di una sostanza qualsiasi
che ci si presenti in un modo qualunque: le proprietà esercitano una loro attività che l’organismo deve
superare nel corso della digestione, per accogliere la sostanza stessa entro l’attività umana inferiore.
D’altra parte possiamo anche procedere a un’attività « omeopatizzante », disgregando la sostanza ed
eliminandone la coesione. Ciò avviene diluendo in un certo modo la ‘sostanza, realizzando appunto
dosi omeopatiche. Accade allora qualcosa che la scienza odierna non considera affatto nel giusto modo,
anche perché oggi la gente è tanto incline a considerare tutto in modo astratto. Si afferma per esempio
che da una sorgente luminosa la luce si diffonda all’infinito in tutte le direzioni: lo si pensa anche del
Sole. Si crede che la luce si disperda nell’infinito, ma non è vero. Un’attività di tal genere non sparisce
mai nell’infinito, anzi raggiunge una certa sfera limitata e poi rimbalza indietro come per un effetto
elastico: tuttavia spesso la qualità che ne risulta è diversa da quella che esisteva nell’andata (v. il
disegno seguente). Nella natura vi sono solo decorsi ritmici; non esistono processi che si perdono
nell’infinito; esiste solo quel che rimbalza indietro in se stesso, secondo un ritmo.
Ciò non avviene soltanto nelle diffusioni quantitative, ma anche nelle diffusioni qualitative. Quando
cominciamo a suddividere una sostanza, all’inizio essa possiede certe proprietà. Queste non
diminuiscono all’infinito, col procedere della suddivisione; quando si è raggiunto un certo punto, esse
rimbalzano per così dire indietro, mutandosi nelle proprietà opposte. Su un tale ritmo interno si basa
anche la polarità esistente fra l’organizzazione umana inferiore e quella superiore.
La nostra organizzazione superiore svolge un’attività analoga al processo di omeopatizzazione. Essa è
in certo senso l’opposto esatto dell’ordinario processo digestivo, ne è il contrario, l’immagine negativa.
Si potrebbe dire che nel preparare le sue diluizioni il farmacista omeopatico trasforma realmente le
proprietà connesse con l’organizzazione umana inferiore in proprietà che vengono ad assumere un
rapporto con l’organizzazione superiore. Di questa connessione interna molto interessante parleremo
nei prossimi giorni.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 02 – LA DOTTRINA DEL CUORE
I mutamenti delle concezioni mediche nel corso
dell’evoluzione dell’umanità.
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina – 21.03.1920
Sommario: I mutamenti delle concezioni mediche nel corso dell’evoluzione dell’umanità. Malattia e
salute. Il vitalismo dello Stahl e il suo superamento. Nascita e significato dell’anatomia patologica,
inaugurata dal Morgagni. Là patologia umorale. La patologia cellulare. Processi morbosi e processi
naturali. L’anatomia comparata. Le forze formative. Un cenno sulla fisiologia muscolare. Il concetto di
malattia nel pensiero di Troxler.
È ovvio che in questo corso si potrà fare accenno solo a una piccolissima parte di ciò che tutti voi
probabilmente vi aspettate, riguardo al futuro della medicina: tutti converrete infatti con me che un vero
e promettente lavoro in campo medico dipende da una riforma degli studi medici come tali. Con le
comunicazioni che possono venir date in un corso come questo non si può nemmeno lontanamente
stimolare una riforma degli studi medici; tutt’al più potrà sorgere in un certo numero di persone
l’impulso a contribuire a una tale riforma. Senonché, qualunque argomento di cui si discuta oggi in
campo medico ha sempre come sfondo il modo in cui l’attività medica viene preparata
dall’insegnamento dell’anatomia, della fisiologia, della biologia in genere: in base a questa
preparazione i pensieri dei futuri medici vengono fin dall’inizio orientati in una certa direzione, ed è
soprattutto questa direzione che deve venir abbandonata.
Vorrei raggiungere lo scopo di queste conferenze suddividendo l’esposizione in una specie di
programma nel modo seguente. In primo luogo vorrei accennare agli ostacoli che oggi negli studi
rendono difficile una comprensione realmente adeguata dell’essenza della malattia come tale. In
secondo luogo vorrei accennare alla direzione in cui va ricercata una conoscenza dell’uomo che possa
fornire una base reale per la pratica medica. In terzo luogo vorrei indicare le possibilità di una terapia
razionale, in base alla conoscenza dei rapporti dell’uomo col mondo esterno. In questa parte vorrei poi
rispondere alla domanda se la guarigione come tale sia possibile e concepibile. In quarto luogo (e penso
che questa sarà forse la parte più importante delle considerazioni, ma che si dovrà intrecciare con gli
altri tre punti di vista ora menzionati) vorrei che ciascuno dei partecipanti entro domani o dopodomani
mi scrivesse su un biglietto i suoi desideri particolari, mi indicasse cioè quel che vorrebbe ascoltare, ciò
che desidererebbe fosse argomento di questo corso. Tali desideri potranno estendersi a qualunque
argomento. In questa quarta parte del programma (che però, come ho detto, dovrà armonizzarsi con le
altre tre parti) vorrei raggiungere lo scopo che per nessuno di voi il corso si debba conchiudere col
sentimento di non aver forse ascoltato proprio ciò che desiderava ascoltare. Perciò configurerò il corso
in modo da inserirvi tutte le vostre domande e i vostri desideri. Vi prego pertanto di indicarmi per
iscritto i vostri desideri entro domani o, se non è possibile, entro dopodomani a quest’ora. Penso che in
tal modo potremo raggiungere nel modo migliore una specie di completezza, per quanto è possibile
nell’ambito di un’iniziativa come questa.
Oggi vorrei esporre una specie di introduzione, una specie di considerazione orientativa. Vorrei
prendere le mosse dal mio desiderio principale, che è quello di offrire tutto ciò che può venir dato ai
medici partendo da considerazioni scientifico-spirituali. Non vorrei che il mio tentativo venisse confuso
con un corso di medicina; ma dovrà essere preso in considerazione soprattutto quanto, in ogni campo,
può avere-importanza per i medici. Una vera scienza o, se mi è lecito, una vera arte medica verrà infatti
realizzata solo prendendo in considerazione proprio tutto ciò di cui occorre tener conto nel senso
accennato.
Vorrei oggi prendere le mosse da alcune considerazioni orientative. Riflettendo sui compiti che vi
vengono posti in quanto medici, probabilmente vi sarete spesso imbattuti nel problema: : che cos’è la
malattia e che cos’è l’uomo malato? Raramente si trova una spiegazione della malattia e dell’uomo
malato diversa da quella (anche se mascherata talora da qualche sfumatura apparentemente oggettiva)
che il processo patologico è una deviazione dal normale processo vitale; ad opera di certi fatti, che
agiscono sull’uomo e di fronte ai quali egli non è adattato nel suo normale processo vitale, nel normale
processo vitale e nell’organismo si produrrebbero certe modificazioni. La malattia consisterebbe in
queste compromissioni funzionali delle parti del corpo collegate alle modificazioni in questione.
Dovrete però riconoscere che questa non è che una definizione negativa della malattia.
Non è qualcosa che possa aiutare chi ha da fare con le malattie; io qui vorrei soprattutto parlare di
argomenti pratici che possano aiutare chi ha da fare con le malattie. Per arrivare a conoscenze decisive
in questo campo mi sembra opportuno accennare a certe opinioni sull’essenza della malattia, sorte nel
corso dei tempi: non tanto perché lo ritenga assolutamente necessario per la comprensione attuale dei
fenomeni patologici, ma perché ci si può orientare più facilmente prendendo in considerazione opinioni
più antiche, proprio quelle che hanno portato alle opinioni attuali.
Sapete tutti che di solito, considerando la storia della medicina, si accenna alla nascita della medicina
nell’antica Grecia, nel quinto o quarto secolo a.C., e si menziona Ippocrate; viene suscitato il
sentimento che la medicina occidentale derivi dalle concezioni di Ippocrate che portarono poi alla
cosiddetta patologia umorale, la quale in fondo ebbe una certa importanza fino al secolo scorso. Questo
però è già il primo errore fondamentale che si compie e che in fondo impedisce ancor oggi di arrivare a
una concezione spregiudicata dell’essenza della malattia. Per prima cosa si dovrebbe eliminare questo
errore fondamentale. A chi esamini spregiudicatamente le concezioni di Ippocrate che, come forse
avrete già notato, ebbero una certa importanza fino al Rokitansky (cioè fino al secolo scorso), tali
concezioni non appaiono solo come un inizio, ma segnano al contempo, in misura molto notevole, la
fine di concezioni mediche più antiche. Negli scritti di Ippocrate abbiamo un ultimo resto, per così dire
« filtrato », di antichissime concezioni mediche, di concezioni ricavate non coi mezzi usati oggi, coi
mezzi dell’anatomia, bensì coi mezzi dell’antica veggenza atavica.
Volendo caratterizzare in modo astratto la posizione della medicina ippocratica, si dovrebbe dire: con
essa termina la medicina antica, fondata su una veggenza atavica. Parlando esteriormente (ma appunto
solo esteriormente!), si può dire invece che gli ippocratici cercavano la spiegazione di ogni malattia in
una mescolanza non giusta dei liquidi che agiscono nell’organismo umano. Essi dicevano che in un
organismo normale i liquidi devono trovarsi in un certo rapporto reciproco e che nel corpo malato
subiscono una deviazione dei loro rapporti di mescolanza. La mescolanza giusta veniva chiamata
krasis, la mescolanza non giusta dyskrasis. Si cercava naturalmente di agire sulla mescolanza non
giusta per ricondurla alla mescolanza giusta. I quattro elementi che nel mondo esterno costituivano
tutta l’esistenza fisica erano terra, acqua, aria e fuoco: si chiamava però fuoco ciò che noi oggi
chiamiamo semplicemente calore. In relazione all’organismo umano (e anche a quello animale) quei
quattro elementi si consideravano rappresentati, per così dire, dai quattro liquidi (o umori): la bile nera,
la bile gialla, il flemma e il sangue. Si pensava dunque che l’organismo umano dovesse funzionare
grazie alla giusta mescolanza di sangue, flemma, bile nera e bile gialla.
L’uomo odierno, accostandosi a questa concezione con una preparazione scientifica quale è oggi
possibile, a tutta prima pensa che sangue, flemma, bile gialla e bile nera si mescolino conformemente
alle loro proprietà, quali vengono determinate da una chimica più o meno complessa. Ci si immagina
che la patologia umorale abbia avuto il suo punto di partenza sotto questa luce, come se gli ippocratici
avessero concepito anch’essi in questo modo sangue, flemma, e così via. Ma le cose non stanno così:
solo di una singola componente, la bile nera, che in realtà appare la cosa «più ippocratica »
all’osservatore odierno, si pensava che le comuni proprietà chimiche fossero le cause della sua azione
sugli altri liquidi. Riguardo a tutto il resto, bile bianca o gialla, flemma, sangue, non si pensava solo
alle proprietà che possono venir determinate in base a reazioni chimiche; delle componenti liquide
dell’organismo umano (e per ora mi limito ad esso, senza prendere in considerazione l’organismo
animale) si pensava che possedessero certe qualità dovute proprio a forze esterne alla nostra esistenza
terrestre. Come si concepivano l’acqua, l’aria, il calore quali elementi dipendenti dalle forze del cosmo
extraterrestre, così si pensava che anche queste parti costitutive dell’organismo umano fossero
compenetrate da forze provenienti dall’ambiente esterno alla Terra.
Nel corso dello sviluppo della scienza occidentale andò del tutto perduta l’abitudine di prestare
attenzione alle forze provenienti dall’ambiente cosmico esterno alla Terra. Per lo scienziato d’oggi è
addirittura una cosa stravagante il pretendere di attribuire all’acqua proprietà diverse da quelle
dimostrabili chimicamente, che quando l’acqua agisce nell’organismo umano debba avere anche
proprietà derivanti dalla sua appartenenza al cosmo extraterrestre. Secondo le opinioni degli antichi,
con le componenti liquide dell’organismo umano vengono dunque introdotte in esso certe azioni di
forze provenienti dal cosmo. A poco a poco si tenne sempre meno conto dell’azione delle forze
provenienti dal cosmo stesso. Tuttavia fino al quindicesimo secolo il pensiero medico si fondò sui resti
della concezione, per così dire « filtrata », che incontriamo in Ippocrate. Ecco perché per lo scienziato
moderno è tanto difficile comprendere le opere di medicina scritte nei tempi antichi, precedenti il
quindicesimo secolo. Infatti bisogna dire che la maggior parte degli autori di tali opere non avevano
compreso neppur essi ciò che avevano scritto. Parlavano delle quattro componenti fondamentali
dell’organismo umano, ma la ragione della loro caratterizzazione in un modo o in un altro risaliva a un
sapere che in realtà era già tramontato con Ippocrate. Si parlava ancora degli effetti postumi di quel
sapere, delle proprietà dei liquidi che compongono l’organismo umano. In fondo, quindi, quel che sorse
ad opera di Galeno e che continuò a svolgere la sua azione fino al quindicesimo secolo, è una raccolta
di antichi retaggi diventati sempre più incomprensibili.
Vi furono però sempre singoli uomini ancora in grado di avere certe conoscenze semplicemente in base
ciò che si presentava loro; essi riconoscevano che bisogna prestare attenzione a qualcosa che, in quanto
è determinabile chimicamente o fisicamente, non si esaurisce nell’ambito della esistenza terrestre.
Nell’organismo umano essi prestavano attenzione a qualcosa per cui le sostanze liquide vi agiscono in
modo diverso da come si può constatare chimicamente. Uomini di tal genere, oppositori della patologia
umorale in voga al loro tempo, furono soprattutto Paracelso e van Helmont (ma potrei citare anche altri
nomi): tra la fine del quindicesimo e il diciassettesimo secolo, essi portarono un nuovo impulso nel
pensiero medico, cercando semplicemente, si potrebbe dire, di formulare ciò che gli altri non erano più
in grado di formulare. Nella formulazione era però contenuto qualcosa che in realtà si poteva seguire
solo essendo un po’ chiaroveggenti, come lo erano senz’altro Paracelso e van Helmont. Dobbiamo
renderci conto di tutte queste cose, altrimenti non potremo comprendere certi termini che ricorrono
ancor oggi nella terminologia medica, senza però che se ne conoscano più le origini. Perciò Paracelso e
più tardi altri, da lui influenzati, supposero che la base dell’azione dei liquidi nell’organismo sia il
cosiddetto « archeo ». Paracelso ammise l’esistenza dell’archeo, circa nel senso in cui noi parliamo del
corpo eterico.
Parlando dell’archeo come ne parla Paracelso, come noi parliamo del corpo eterico dell’uomo, si
intende in realtà qualcosa che è presente, di cui però non si è in grado di risalire alla vera origine. Per
risalire alla sua vera origine, bisognerebbe dire: l’uomo ha un organismo fisico (v. disegno seguente),
costituito essenzialmente da forze che agiscono dalla Terra, e d’altra parte ha un organismo eterico,
costituito essenzialmente da forze che agiscono dalla periferia del cosmo (rosso nel disegno). Il nostro
organismo fisico è in certo modo un ritaglio dell’intera organizzazione della Terra. Il nostro corpo
eterico, e anche l’archeo di Paracelso, è un ritaglio di ciò che non appartiene alla Terra, di ciò che
agisce quindi sulla Terra da ogni parte del cosmo. Paracelso considerava dunque come compreso nella
sua concezione di un organismo eterico, che sta alla base del fisico, quel che prima si chiamava
semplicemente l’elemento cosmico nell’uomo e che scomparve con la medicina ippocratica. Paracelso
non indagò poi più a fondo (vi ha solo accennato) sulle forze extraterrestri con cui è connesso quel che
opera realmente nell’archeo.
Si può dire che divenne sempre meno comprensibile che cosa si deve intendere sotto quel nome. Lo si
vede soprattutto procedendo al diciassettesimo, al diciottesimo secolo e considerando la medicina dello
Stahl che non comprende più affatto l’azione del cosmo nell’elemento terrestre. La medicina dello
Stahl cerca di aiutarsi con vari concetti che restano sospesi per aria, concetti di « forza vitale », di «
spiriti vitali ». Mentre Paracelso e van Helmont parlavano ancora con una certa coscienza di qualcosa
che si trova fra la parte propriamente animico-spirituale dell’uomo e l’organizzazione fisica, Stahl e i
suoi seguaci parlano come se la vita psichica cosciente agisse (solo però in forma diversa) nella
strutturazione del corpo umano. In tal modo naturalmente suscitarono una forte reazione. Procedendo
in questo modo, sviluppando una specie di vitalismo ipotetico, si arriva infatti in realtà a formulazioni
del tutto arbitrarie. Contro queste formulazioni arbitrarie si sollevò il secolo diciannovesimo. Si può
dire che solo qualche grande spirito, come ad esempio Johannes Müller, morto nel 1858, il maestro di
Ernest Haeckel, arrivò al punto da superare in certo modo la perniciosità di quel modo poco chiaro di
parlare dell’organismo umano. Si parlava infatti di forze vitali come di forze psichiche che agirebbero
nell’organismo umano, senza rappresentarsi chiaramente come dovrebbero agire.
Mentre accadeva tutto questo, sorse però una corrente del tutto diversa. Abbiamo finora seguito la
corrente in decadenza, fino ai suoi ultimi epigoni. In tempi più recenti sorse però quel che in altro modo
divenne decisivo per la concezione medica soprattutto del secolo diciannovesimo e che in fondo risale
a un’unica opera, straordinariamente determinante, del secolo diciottesimo: il De sedibus et causis
morborum per anatomen indagatis del Morgagni, professore a Padova. Con essa nacque qualcosa di
completamente nuovo, qualcosa che introdusse in sostanza l’impronta materialistica nella medicina.
Bisogna caratterizzare queste cose in modo del tutto oggettivo, non in base a simpatie o antipatie. Con
quest’opera nacque la spinta a rivolgere lo sguardo alle conseguenze della malattia nell’organismo
umano. Il reperto sul cadavere divenne decisivo. Solo da quel momento esso divenne decisivo. Si
osservava sul cadavere che, se si era sviluppata questa o quella malattia (qualunque fosse il nome
attribuitole), in esso si ritrovavano di necessità certe alterazioni, in un organo o nell’altro. Si
cominciarono a studiare le diverse alterazioni, basandosi appunto sul reperto del cadavere. In realtà
ebbe inizio solo allora l’anatomia patologica, mentre tutto quello che prima era stato presente nella
medicina si fondava ancora su un certo effetto residuo dell’antica chiaroveggenza.
È interessante il fatto che il cambiamento si sia compiuto quasi con uno scossone. Si possono indicare
proprio due decenni (ed è significativo) nei quali si compì il grande cambiamento col quale furono
abbandonati i resti dell’antica eredità e venne fondata la concezione atomistico-materialistica della
medicina moderna. Se una volta vorrete dare un’occhiata alla Anatomìa patologica del Rokitansky,
apparsa nel 1842, troverete che in Rokitansky è pur sempre ancora presente Un residuo dell’antica
patologia umorale, un resto della concezione che la malattia sia dovuta a un’azione anomala dei succhi.
La concezione che si dovesse prestare attenzione alla mescolanza dei succhi (ma lo si può fare solo
avendo ancora un retaggio della conoscenza delle proprietà extraterrestri dei succhi) fu elaborata dal
Rokitansky in modo molto geniale, insieme all’osservazione delle alterazioni degli organi. Alla base
del libro del Rokitansky sta pur sempre l’osservazione delle alterazioni degli organi mediante l’esame
del cadavere, ma collegata con un accenno al fatto che queste specifiche alterazioni degli organi sono
dovute a un’anomala mescolanza di succhi. Nel 1842, vorrei dire, troviamo l’ultima esposizione
dell’eredità dell’antica patologia umorale. Nel tramonto dell’antica patologia umorale s’inserirono i
tentativi, proiettati verso il futuro, di tener conto di più ampie concezioni delle malattie, come ad
esempio il tentativo di Hahnemann: ma di questo parleremo nei prossimi giorni, perché è un argomento
troppo importante per vanire esposto solo in questa introduzione. Si dovrà parlare di altri tentativi
simili, anche nei loro particolari.
Ora vorrei mettere in evidenza il fatto che i due decenni seguenti la pubblicazione dell’Anatomia
patologica del Rokitansky divennero veramente decisivi per la concezione atomistico-materialistica
della medicina. Nelle rappresentazioni sorte nella prima metà del secolo decimonono s’inserisce
ancora, in modo curioso, un elemento antico. È interessante osservare, ad esempio, come lo Schwann,
scopritore della cellula vegetale, abbia ancora l’idea che alla base della struttura delle cellule stia un
quid liquido amorfo che egli chiama blastema: partendo da questa formazione liquida si consoliderebbe
il nucleo cellulare e si formerebbe il protoplasma cellulare. Lo Schwann pone alla base un elemento
liquido che tende a differenziarsi, e da questa differenziazione fa poi derivare l’elemento cellulare. È
interessante seguire il modo in cui gradualmente si sviluppa la concezione che si può riassumere nelle
parole: l’organismo umano è costituito da cellule. Oggi è una concezione corrente che la cellula è una
specie di organismo elementare, e che l’organismo umano è formato da cellule.
La concezione che ancora nello Schwann, vorrei dire, si riconosce tra le righe, forse anche più che fra
le righe, è ih fondo l’ultimo resto dell’antica medicina: essa infatti non sì indirizzò in senso atomistico.
Essa considera l’entità cellulare (di tipo atomistico) come derivante da qualcosa che a ben vedere non si
può mai considerare in modo atomistico; la considera invece come derivante da un quid liquido che
racchiude in sé certe forze e che solo successivamente si differenzia in senso atomistico. Quindi
nell’arco di due decenni, negli anni quaranta e cinquanta del secolo diciannovesimo, tramonta
definitivamente la concezione antica più universale e comincia a sorgere la concezione medica a
orientamento atomistico. Il processo sarà compiuto del tutto quando nel 1858 appare la Patologia
cellulare del Virchow. Fra l’Anatomia patologica del Rokitansky, pubblicata nel 1842, e la Patologia
cellulare del Virchow, pubblicata nel 1858, fra queste due opere bisogna cogliere un cambiamento
straordinariamente radicale del nuovo pensiero medico. Con la patologia cellulare, in fondo, tutto quel
che appare nell’uomo viene fatto derivare da alterazioni dell’azione delle cellule. In fondo il modo di
pensare ufficiale considererà da allora come un ideale il fondare tutto sulle alterazioni della cellula.
L’ideale verrà anzi visto nello studiare le modificazioni delle cellule nei tessuti di un organo e nel voler
comprendere la malattia in base alle alterazioni cellulari. Con questa considerazione di tipo atomistico
si semplificano le cose: essa, in fondo, sembrerebbe ovvia. Si può rendere tutto facilmente
comprensibile. Nonostante tutti i suoi progressi, la scienza moderna tende sempre a rendere ogni cosa
facilmente comprensibile e non tiene conto del fatto che la natura e l’universo sono invece qualcosa di
straordinariamente complicato.
Si può facilmente dimostrare con un esperimento che, ad esempio, un’ameba cambia di forma
nell’acqua, estende e ritrae i suoi prolungamenti a forma di braccia (pseudopodi). Si può poi riscaldare
l’acqua in cui si muove l’ameba. Si troverà allora che l’estensione e la retrazione degli pseudopodi
diventano più vivaci, finché la temperatura raggiunge un certo grado; al di là di questo, l’ameba si
ritrae tutta e non può più seguire le modificazioni dell’ambiente. Si può poi far passare una corrente
elettrica nel liquido e si osserva che l’ameba forma col suo corpo una specie di sfera e infine scoppia,
se la corrente è troppo intensa. Si può dunque osservare direttamente come una singola cellula si
modifichi sotto l’influsso dell’ambiente e se ne può ricavare una teoria: da modificazioni della cellula
si fa derivare gradualmente l’essenza della malattia.
Qual è la caratteristica essenziale di ciò che sorse per effetto del rivolgimento compiutosi in quei due
decenni? Ciò che sorse allora vive in realtà ancor oggi e compenetra la scienza medica ufficiale. In ciò
che sorse allora non vive che la tendenza generale a voler comprendere il mondo in modo atomistico,
caratteristica che si formò appunto nell’epoca del materialismo.
Ora vi prego di considerare che io ho cominciato attirando la vostra attenzione sul fatto che chi oggi
voglia svolgere un’attività medica deve necessariamente porsi questa domanda: che cosa sono in realtà
i processi morbosi? come si distinguono dai cosiddetti processi normali dell’organismo umano? Si può
infatti lavorare solo con una rappresentazione positiva di queste deviazioni, mentre le rappresentazioni
ordinarie della scienza ufficiale in realtà sono soltanto negative. Ci si limita a far notare che esistono
deviazioni; poi si tenta di eliminarle. Ma non esiste una visione complessiva dell’essere umano. In
fondo tutta la nostra concezione medica soffre della mancanza di una tale visione complessiva
dell’essere umano. Che cosa sono i processi patologici? Non si può fare a meno di riconoscere che sono
processi naturali; non si può, così senz’altro, stabilire una differenza astratta fra un processo naturale
che si svolge nel mondo esterno di cui si osservano le conseguenze, e un processo patologico. Vien
definito normale il processo naturale, anormale invece il processo morboso, senza indicare perché
questo processo entro l’organismo umano sia anormale. Non è possibile arrivare ad alcuna deduzione
pratica senza rendersi conto almeno del perché un dato processo sia anormale. Solo allora si potrà
cercare di eliminarlo; solo allora si potrà capire in base a quali connessioni universali sia possibile
togliere di mezzo un processo di questo genere. Perfino il definire qualcosa « anormale » è già un
impedimento su questa via. Perché mai un processo qualsiasi nell’uomo dovrebbe venir dichiarato
anormale? Anche se io mi taglio un dito, questo fatto è solo relativamente anormale; se infatti, invece
di tagliarmi un dito, io taglio un pezzo di legno, questo è un processo normale! Solo quando mi faccio
un taglio al dito dichiaro questo processo anormale. Il fatto che si è abituati a considerare altri processi,
diversi da quello di tagliarsi le dita, non significa nulla: si tratta in realtà solo di giochi di parole. In
effetti, quel che accade quando mi taglio un dito, da un certo punto di vista è simile nel suo decorso a
qualunque altro processo naturale.
I processi patologici dell’organismo umano sono in fondo dei processi naturali del tutto normali, solo
debbono essere provocati da certe cause. Nostro compito è quello di riuscire a comprendere veramente
la differenza fra quei processi e gli altri, quelli ordinari che consideriamo normali. Occorre scoprire
questa differenza sostanziale; essa non può venir trovata se non si è disposti ad adottare un modo di
considerare l’uomo, tale da condurre realmente all’essere umano. Nel corso di questa introduzione
vorrei dare almeno i primi elementi; in seguito esporrò i particolari.
Comprenderete che, data la limitazione numerica di queste conferenze, io esporrò soprattutto quel che
non si trova nei miei libri in conferenze già pubblicate, presupponendo la conoscenza di quello che
appunto si può trovare in essi. Non penso che sarebbe molto fruttuoso se esponessi qui una teoria
basandomi su Considerazioni da me già svolte in altra sede. Perciò a questo punto rimando a ciò che
può risultare da un semplice paragone tra l’osservazione di uno scheletro umano e quello dello
scheletro di un gorilla, di una cosiddetta scimmia superiore. Paragonando fra di loro questi due
scheletri si osserverà come caratteristica essenziale che nel gorilla è sviluppata in modo particolare tutta
la massa della mandibola. La mandibola si trova nello scheletro della testa in certo qual modo come un
peso. Osservando il capo del gorilla (v. disegno seguente) con la sua poderosa mandibola, si ha la
sensazione che il sistema della mandibola pesi in qualche modo, spinga in avanti tutto lo scheletro,
come se il gorilla, vorrei dire, si tenesse eretto con un certo sforzo diretto soprattutto contro il peso
della mandibola.
Proseguendo il confronto con Io scheletro umano, si ritrova lo stesso tipo di carico osservando lo
scheletro degli avambracci e delle mani: essi danno un’impressione di pesantezza. Nel gorilla tutto è
massiccio, mentre nell’uomo tutto è elaborato in modo fine e delicato: qui la massa regredisce. Proprio
in queste parti, nel sistema della mandibola e nel sistema degli avambracci e delle dita, nell’uomo la
struttura massiccia regredisce, mentre risulta evidente nel gorilla. Chi ha educato il proprio sguardo a
osservare fatti come questi, potrà notare le stesse cose anche nello scheletro dei piedi e degli arti
inferiori; Anche lì è presente in un certo modo una struttura gravante, che preme in una certa direzione.
Vorrei disegnare uno schema, indicando con queste linee (v. disegno seguente: le frecce) la forza che si
può osservare nel sistema della mandibola, nel sistema delle braccia e in quello delle gambe e dei piedi.
Considerando la differenza die risulta dalla visione comparativa dello scheletro del gorilla e dello
scheletro umano, nel quale il sistema della mandibola non grava più, ma si ritrae, e lo scheletro delle
braccia e delle dita è sviluppato finemente, non si può non riconoscere che nell’uomo a quelle forze si
contrappone dappertutto una tensione verso l’alto (frecce). Gli impulsi formativi dell’uomo potranno
venir rappresentati in base a un certo parallelogramma di forze che risulta dalla stessa forza diretta
verso l’alto e che è presente nel gorilla solo esteriormente, come si vede dallo sforzo con cui si
mantiene eretto, con cui vorrebbe mantenersi eretto.
Ricavo un parallelogramma di forze che decorrono in queste direzioni (v. disegno seguente).
È singolare che noi oggi ci limitiamo a paragonare le ossa o i muscoli degli animali superiori con le
ossa e i muscoli dell’uomo, senza dare il giusto peso a questo mutamento di forme. Bisogna invece
ricercare elementi essenziali osservando i mutamenti di forme. Debbono pure esistere le forze che si
contrappongono a quelle che configurano il gorilla! Esse devono esistere, devono pur agire! Cercandole
ritroveremo quel che fu abbandonato quando la medicina più antica venne per così dire « filtrata » dal
sistema ippocratico. Scopriremo che le forze indicate nel parallelogramma dalle frecce discendenti
sono di natura terrestre, mentre le altre forze (freccia ascendente) che si uniscono a quelle terrestri nel
parallelogramma, vanno ricercate al di fuori della Terra. Di modo che la risultante deve la sua origine a
forze non terrestri. Dobbiamo ricercare delle forze di attrazione che portano l’uomo alla stazione eretta,
non soltanto come talvolta la assumono gli animali superiori; queste stesse forze, oltre che agire nella
stazione eretta, sono anche forze plasmatrici. È una cosa diversa se la scimmia, stando eretta, possiede
anche delle forze che agiscono appesantendo la massa in senso contrario, o se l’uomo forma il suo
sistema osseo secondo la direzione di forze che non sono di origine terrestre. Osservando in modo
giusto la forma dello scheletro umano, non ci si può soltanto limitare a descrivere le singole ossa,
paragonandole con le ossa degli animali, ma, osservando la dinamica costruttiva dello scheletro umano,
si può dire: una cosa del genere non si trova negli altri regni della natura, qui compaiono delle forze che
dobbiamo congiungere con le altre nel parallelogramma di forze. Le risultanti non si possono trovare
prendendo in considerazione solo le forze presenti al di fuori dell’uomo. Si tratterà quindi di osservare
attentamente in che modo si presenti il salto di qualità dall’animale all’uomo. Allora si potrà trovare
l’origine dell’essenza della malattia non soltanto nell’uomo, ma anche nell’animale. Posso soltanto
accennare gradualmente a questi elementi: procedendo oltre, e partendo da essi, potremo trovare
moltissimo d’altro.
In relazione con quanto ho fin qui esposto vorrei menzionare dell’altro. Passando dal sistema osseo a
quello muscolare, troviamo un’importante differenza nella natura del muscolo: il muscolo in riposo
reagisce in senso alcalino, se si prende in considerazione la sua ordinaria reazione chimica. Però si
dovrebbe dire in senso simil-alcalino, perché nel muscolo in riposo la reazione alcalina non si esprime
così chiaramente come altre reazioni alcaline. Nel muscolo in attività subentra una reazione acida,
anch’essa non molto evidente. Teniamo presente che, per quanto riguarda il suo ricambio, il muscolo è
composto di sostanze che l’uomo introduce nel proprio organismo, ed è quindi in certo modo il
risultato delle forze presenti nelle sostanze terrestri. Quando l’uomo svolge un’attività muscolare, nel
muscolo vien superato sempre più chiaramente quel che soggiace al ricambio ordinario. Si verificano
nel muscolo modificazioni che in ultima analisi, quanto alle ordinarie modificazioni del ricambio, non
si, possono paragonare che con le forze che danno luogo alla formazione del sistema osseo dell’uomo.
Come queste forze nell’uomo vanno al di là di quanto egli riceve dall’esterno, per poi compenetrarsi
con l’elemento terrestre e unirsi alle altre forze per formare una risultante, così, anche per quanto
riguarda il ricambio del muscolo, dobbiamo scorgere l’azione di qualcosa che agisce anche
chimicamente entro la chimica terrestre. Qui, nella meccanica e dinamica terrestri, abbiamo
l’intervento di qualcosa che non si trova più nell’ambito terrestre. Per quanto riguarda il ricambio,
abbiamo (entro la chimica terrestre) l’azione di una chimica non terrestre che produce effetti diversi da
quelli che comparirebbero solo sotto l’influsso della chimica terrestre.
Dovremo prendere le mosse da queste considerazioni che da un lato riguardano la forma, dall’altro la
qualità, se vorremo scoprire le peculiarità dell’essere umano. Allora ci si aprirà una via verso quel che è
andato perduto e di cui così manifestamente abbiamo bisogno, se non vogliamo fermarci ad ima
definizione puramente formale della malattia, definizione che poi non ci serve molto nella pratica. Qui
si presenta un problema molto importante. In fondo noi disponiamo solo di mezzi terrestri, provenienti
dall’ambiente che circonda l’uomo, e con essi possiamo agire sull’organismo umano, quando questo va
incontro ad alterazioni. Ma nell’uomo agiscono processi non terrestri o, per lo meno, forze che fanno
dei suoi processi dei processi non terrestri. Sorge quindi il problema: come possiamo suscitare
un’azione che conduca dalla malattia alla guarigione, nell’ambito del rapporto reciproco tra
l’organismo malato e il suo ambiente terrestre fisico? come possiamo cioè suscitare un rapporto
reciproco, in modo da poter influire anche sulle forze attive dell’organismo umano che sono di natura
diversa da quelle a cui dobbiamo l’esistenza dei nostri farmaci? E questo anche quando si tratti di
prescrizioni dietetiche o simili.
Vedete com’è intimamente connesso con una giusta comprensione della natura dell’uomo quel che
infine può condurre a una certa terapia. I primi elementi che ci permettono di avviarci verso Una
soluzione di questo problema li ho ricavati, con piena consapevolezza, proprio da alcune differenze tra
l’uomo e l’animale, anche se è facile l’obiezione (che confuteremo più avanti) che anche gli animali si
ammalano, che possono ammalarsi perfino le piante (recentemente si è parlato perfino di malattie dei
minerali!), e che quindi proprio riguardo alla malattia non si dovrebbe fare la distinzione fra uomo e
animale. Ci si accorgerà dell’importanza di questa distinzione quando si vedrà quanto poco il medico, a
lungo andare, potrà ricavare dalla sola ricerca sugli animali al fine di progredire nella medicina umana.
Naturalmente (e diremo il perché) si possono conseguire alcuni risultati per la guarigione dell’uomo,
fondandosi sulla sperimentazione animale, ma solo avendo l’assoluta consapevolezza della profonda
differenza che sussiste, fin nei singoli particolari, tra l’organizzazione animale e quella umana. Perciò si
tratterà di chiarire sempre meglio e in modo corretto il significato della sperimentazione sugli animali.
Vorrei poi far ancora notare che, quando bisogna accennare alle forze extraterrestri, la personalità
umana viene coinvolta in misura molto maggiore di quando si è in grado di indicare cosiddette regole
oggettive o leggi di natura. Si tratterà quindi di elaborare la medicina molto più verso l’elemento
intuitivo, in modo da arrivare al punto che, in base al talento di ciascuno, da certi aspetti morfologici si
traggano certe conclusioni sull’essenza dell’organismo umano individuale, sano o anche malato.
Un’educazione intuitiva di questo genere, rivolta all’osservazione delle forme, dovrà avere
un’importanza sempre maggiore nello sviluppo futuro della medicina.
Queste considerazioni, come ho detto, dovevano essere solo una specie di introduzione orientativa.
Oggi era importante mostrare che la medicina deve nuovamente prestare attenzione a quel che non si
può raggiungere con la chimica o anche con l’ordinaria anatomia comparata, ma che si può raggiungere
solo passando a una considerazione scientifico-spirituale dei fatti. A questo riguardo oggi si
commettono ancora alcuni errori. Si pensa che, ai fini di una spiritualizzazione della medicina, ci si
debba servire soprattutto di mezzi, o rimedi, spirituali. Anche se ciò può essere giustificato in certi
campi, è tuttavia ingiustificato nell’insieme. Si tratta invece soprattutto di riconoscere in modo
spirituale il valore terapeutico di un rimedio materiale, di applicare cioè -la scienza dello spirito alla
valutazione dei mezzi materiali. Questo sarà in particolare il compito di quella parte del corso che ho
definita: la ricerca delle possibilità di guarigione mediante la conoscenza dei rapporti fra l’uomo e il
resto del inondo.
Su certi particolari processi terapeutici, vorrei esporre cose fondate nel modo più solido possibile.
Riguardo a ogni singola malattia si dovrebbe tendere, per quanto è possibile, ad acquisire realmente
una visione del rapporto fra il cosiddetto processo abnorme (che di necessità è anche un processo
naturale) e i cosiddetti processi normali, che a loro volta non sono altro che dei processi naturali. Ogni
volta che ci si è posti il problema fondamentale (vorrei farlo notare come una piccola appendice): come
va interpretato il fatto che anche i processi morbosi sono processi naturali?, si è cercato solo, se appena
possibile, di sfuggire al problema. Per me è stato interessante ad esempio scoprire che il Troxler,
docente a Berna, già nella prima metà dell’Ottocento abbia indicato in modo molto insistente la
necessità di compiere ricerche sulla normalità (per così dire) della malattia. Si procede così in una
direzione che per così dire conduce infine al riconoscimento di un certo mondo, collegato con il nostro,
solo per mezzo di ingiustificati « fori »; solo così si potrebbe arrivare a qualche conclusione riguardo ai
fenomeni patologici. Immaginate che nello sfondo esista un certo mondo (vi accenno qui solo
schematicamente), un mondo fra le cui leggi fossero presenti e del tutto giustificati i fattori che qui da
noi causano i fenomeni patologici; attraverso certi « fori », mediante i quali quel mondo penetra nel
nostro, certe leggi che in un altro mondo sono del tutto giustificate causerebbero da noi i malanni. Il
Troxler voleva lavorare in questa direzione: anche se sotto certi riguardi egli si espresse in modo poco
chiaro e poco preciso, tuttavia si nota che nell’ambito della medicina era avviato in una direzione
capace di portare a un certo risanamento della scienza medica.
Insieme a un amico feci una volta ricerche sulla considerazione in cui Troxler era tenuto dai suoi
colleghi di Berna, e se si fosse tenuto qualche conto dei suoi suggerimenti. Nell’annuario
dell’Università di Berna, alla voce « Troxler » potemmo trovare solo che era stato coinvolto in molte
liti all’Università! Solo questo si era tramandato di lui: non potemmo trovare nulla riguardo alla sua
importanza scientifica.
Come ho già detto, oggi mi sono proposto solo di fare degli accenni; ora vi prego di farmi avere per
iscritto tutti i vostri desideri entro domani o dopodomani, affinché io possa alternare con i temi da voi
desiderati quello che vorrei esporre secondo le mie intenzioni. In base ai vostri desideri darò la forma
necessaria a questo ciclo di conferenze. Penso che così ci intenderemo nel modo migliore. Vi prego di
farne largo uso.
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 01 – I MUTAMENTI DELLE CONCEZIONI MEDICHE NEL CORSO DELL’EVOLUZIONE
DELL’UMANITÀ
Prefazione all’edizione italiana
O.O. 312 – Scienza dello spirito e medicina
Il ciclo di conferenze pubblicato ora anche in italiano con il titolo di Scienza dello spirito e medicina
(Dornach, 21 marzo – 9 aprile 1920) è il primo dei corsi tenuti da Rudolf Steiner per medici e studenti
di medicina, corsi che nel loro complesso costituiscono il fondamento conoscitivo spirituale su cui si
basa la medicina antroposofica: una medicina ampliata secondo le conoscenze della scienza dello
spirito.
L’iniziativa per questo corso non partì da Rudolf Steiner stesso, ma dalle domande e dalle richieste di
medici e studenti di medicina, dopo che Rudolf Steiner in una conferenza pubblica tenuta a Basilea il 5
gennaio 1920 aveva esortato il mondo accademico a prendere nota dei frutti che potevano risultare
dall’antroposofia per i vari campi della vita pratica e, tra questi, per la medicina.
Al di là di questa occasione momentanea, i presupposti di questo corso si trovano in tutta l’opera
precedente di Rudolf Steiner: nell’immagine dell’uomo, della natura e del cosmo che risulta da una
conoscenza estesa anche all’àmbito della realtà spirituale e in cui sono già contenuti molti elementi di
un’antropologia medica ampliata in senso scientifica-spirituale.
Uomini formati alla scuola della moderna scienza naturale, attivi nel campo, della medicina,
direttamente investiti dai problemi che lo studio e la pratica della medicina pongono al medico,
rivolsero a Rudolf Steiner la domanda fondamentale della medicina: « Che cosa è la malattia? da dove
ne scaturisce la possibilità, e quale è l’essenza del guarire? » E Rudolf Steiner rispose con una visione
completamente nuova dell’uomo sano e malato, del processo di guarigione, con una dovizia di nuovi
aspetti nel campo dell’anatomia, della fisiologia, della patologia, di spunti per la conoscenza dei
farmaci e per la terapia. Rispose con una ricchezza di indirizzi per la diagnosi e per la pratica clinica,
e soprattutto per il cammino interiore del medico, spinto a soddisfare la sua aspirazione a conoscere e
a guarire.
In questo corso Rudolf Steiner costruì il ponte tra l’uomo e il mondo che è intorno a lui, tra l’io e il
cosmo. Pose la base per cui la medicina potrà raggiungere veramente il gradino razionale della
scienza: l’ideale già prospettato da Goethe. Mostrò la via per cui nella terapia si potrà passare, dal
metodo puramente empirico, ad afferrare con precisa conoscenza spirituale i rapporti tra l’uomo
malato e le sostanze terapeutiche.
Ma l’interiore intendimento di questo corso non sta tanto e solamente nella trasmissione di conoscenze
particolari nel campo della medicina. Il motivo sempre ricorrente è quello della riconquista
dell’autonomia interiore del medico. La medicina potrà realizzare nuove tappe del suo progresso nella
storia dell’umanità non se costruirà sui fondamenti di una scienza astratta, il cui modo di procedere
porta a conoscenze che si allontanano sempre più dall’uomo, ma se questi fondamenti saranno sempre
di nuovo creativamente posti da uomini che, spinti dall’interiore anelito a guarire, traggono
orientamento da una conoscenza spirituale dell’uomo e del mondo. L’arte medica deve essere portata
avanti e plasmata dalla personalità del medico che trasforma se stesso e la sua situazione di coscienza
per divenire creativo nel pensare, che vivifica il suo sentimento immedesimandosi nella vita degli
elementi e nelle qualità dei regni della natura, nella cui anima il rapporto con la natura e con lo
spirito crea l’entusiasmo e la volontà di guarire.
Questa via, che questo corso addita, è una via che i medici nei prossimi secoli potranno percorrere. I
contenuti di questo corso potranno apparire singolari e arbitrari a chi si accosti ad essi non provvisto
della conoscenza antroposofica preliminare. Ma da parte di Rudolf Steiner essi furono esposti con
piena consapevolezza e conoscenza di tutte le acquisizioni della scienza naturale e medica del tempo.
Vale per essi quanto si legge nella prefazione alla prima edizione del libro La scienza occulta: «È
principio rigoroso dell’autore non parlare né scrivere di alcun argomento della scienza dello spirito,
riguardo al quale egli non si senta anche in grado di esporre tutto ciò che ne pensa la scienza
contemporanea».
Aldo
Bargero
aprile 1983
Milano,
By CTSadmin| Novembre 5th, 2018|SCIENZA DELLO SPIRITO E MEDICINA|Commenti disabilitati
su 00 – PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA
Persefone e Demetra
O.O. 129 – Meraviglie del creato – 19.98.1911
Un’immagine del mistero di Eleusi ci rimanda a un’importante meraviglia della natura.
Che cosa accade infatti come evento fondamentale in quel mistero?
Persefone, la rappresentante delle antiche forze di chiaroveggenza dell’anima umana,
viene rapita da Plutone, il dio degli inferi.
…………………..
Che cosa significa, se applicato alla natura umana, quel che la mitologia greca e il mistero di Eleusi
intendono dire? che cosa è accaduto, nel senso della scienza dello spirito, all’antica facoltà di
chiaroveggenza dell’anima umana? Certo possiamo dire che il ratto di Persefone si è compiuto dai
tempi più antichi fino ai nostri, e che l’antica cultura chiaroveggente è scomparsa. In verità però nel
mondo non scompare niente; le cose si trasformano soltanto.
Dov’è dunque finita Persefone? che cosa fa oggi nella natura umana, come reggente delle antiche forze
di chiaroveggenza? Dalle argomentazioni iniziali di un libro che fra qualche giorno sarà disponibile e
che riferisce in sostanza le mie ultime conferenze di Copenhagen, risulterà che l’anima umana è molto
più grande di quanto essa ne sappia in base all’intelletto e alla ragione.
Opera in noi una vita animica più ampia e più estesa, subcosciente,
ma nella maggior parte degli uomini del presente non giunge alla coscienza.
È più corretto parlare di vita animica subcosciente, anziché inconscia.
In essa vive Persefone; in ciò che oggi agisce in noi senza che lo comprendiamo coscientemente
e ce ne rendiamo conto in modo intellettuale, ivi sono le antiche forze di chiaroveggenza.
In tempi antichissimi esse agivano nell’anima umana in modo
da renderla capace di guardare chiaroveggentemente nei mondi spirituali,
mentre oggi operano nelle profondità dell’anima, nei suoi fondamenti,
collaborano allo sviluppo e alla formazione del nostro io, rendendolo sempre più saldo.
• Come un tempo davano agli uomini forze di chiaroveggenza,
• così oggi si dedicano a rafforzare, a consolidare il nostro io.
Le forze di Persefone sono davvero scese negli inferi dell’anima umana e sono avvinte da ciò che
riposa nelle profondità di essa; in un certo senso, sono rapite dalle profondità dell’anima umana. Così,
nel corso del divenire storico dell’umanità, si è compiuto il ratto di Persefone ad opera delle forze
animche umane più profonde, rappresentate esternamente nella natura da Plutone.
Secondo la dottrina greca degli dèi, egli è il signore di quanto è sotto la terra.
Il Greco era però consapevole che le stesse forze, attive nelle profondità terrestri, operavano anche
nelle profondità dell’anima umana. Come Persefone viene rapita da Plutone, così per opera sua, nel
corso del divenire umano, venne rapita all’interno dell’anima l’antica capacità di chiaroveggenza.
Persefone è però la figlia di Demetra
e da questo veniamo condotti all’idea di riconoscere in Demetra la reggitrice ancora più antica
۰ tanto delle forze della natura esterna
۰ quanto di quelle dell’anima umana.
Già ieri ho fatto notare che Demetra è una figura della mitologia greca che ci rimanda alla visione
chiaroveggente dell’antica Atlantide e che appartiene al più antico patrimonio di saggezza
dell’umanità atlantica: ivi va in realtà cercata.
Quando l’uomo dell’Atlantide guardava nel mondo spirituale vedeva Demetra, la incontrava
realmente. Che cosa si diceva egli quando gli appariva la madre ancestrale dell’anima umana e delle
forze feconde della natura nel vorticoso mondo spirituale che prendeva forma?
Non nella coscienza, ma nel subcosciente, si diceva di non avervi contribuito, di non aver attraversato
alcuno sviluppo interiore (come faranno i tempi successivi) per guardare nel mondo spirituale; le forze
naturali che gli avevano dato gli occhi, il cervello, tutto l’organismo, gli davano anche la forza
chiaroveggente. Così come respirava, aveva la chiaroveggenza.
Come non si impara a respirare grazie a un particolare sviluppo, così a quel tempo l’uomo non educava
le forze chiaroveggenti che gli venivano invece date da potenze della natura, da entità divine. Quando
lasciava vagare il suo sguardo sul mondo esterno, su ciò che esiste, e insieme al mondo sensibile
vedeva quello spirituale, egli era consapevole di ricevere le sostanze dal mondo delle piante, allora
molto diverso, e di assumere insieme a tutto ciò che nel mondo esterno cresce anche le forze ivi
operanti.
L’uomo di quel tempo non era certo tanto limitato da credere che si assumano sotto forma di alimenti
solo sostanze esterne, solo cose da esaminare con la chimica; sapeva invece che assimilava anche la
configurazione interiore delle forze attive in tali sostanze, e che proprio in quelle forze vi era ciò che
componeva e ricostruiva il suo corpo.
Diceva: fuori nella natura agiscono forze che passano in me tramite gli alimenti e il respiro. La
grande Demetra governa quel che esse sono all’esterno e invia le forze nell’anima umana dove
vengono elaborate, detto grossolanamente, con la digestione che era spirituale e trasformate in capacità
di chiaroveggenza. Nell’organizzazione umana viene generata tale capacità, rappresentata da Persefone,
grazie alle forze di Demetra, la dea fecondante che agisce in tutto il mondo circostante. In tal modo
l’uomo si sentiva inserito nelle meraviglie della natura; sentiva come nascita di Persefone il
nascere dentro di sé della capacità di chiaroveggenza e sentiva di doverne ringraziare Demetra
che sviluppava le forze diffuse nel gran tutto, evolventesi poi in forza chiaroveggente nell’uomo.
L’umanità antica sollevava quindi lo sguardo alla grande Demetra, e nella Grecia di un tempo se ne
aveva ancora una consapevolezza. Già si è visto che l’organismo umano, l’intera organizzazione del
corpo umano si è modificata dai tempi antichi.
Il nostro corpo attuale, così come è organizzato in muscoli e ossa, è essenzialmente più denso, in sé
più consolidato di quanto lo fosse il corpo degli uomini che potevano generare in sé Persefone, che
avevano ancora l’antica chiaroveggenza. Poiché poi il nostro corpo, la nostra organizzazione, è
diventato più denso può anche per così dire trattenere le forze chiaroveggenti nei sostrati dell’anima.
Poiché il corpo umano è diventato più denso tali forze vengono imprigionate nell’interno della natura
umana.
Mentre ancora nell’antica Grecia si sentiva che il corpo umano molle, parlando simbolicamente, si
andava consolidando, esso accoglieva le forze attive all’interno della terra; prima era invece più
dominato dalle forze dell’aria che così lo rendevano più molle. Sul corpo umano agisce sempre più
quel che opera sotto la terra, governato da Plutone. Si può quindi dire che Plutone entrò sempre più
in azione nell’interno dell’uomo, densificò il corpo umano e così rapì Persefone.
Il densificarsi dell’organizzazione umana entrò fin nel corpo fisico, perché tale organizzazione appariva
del tutto diversa dall’odierna nei primi tempi postatlantici. Ho ricordato spesso che solo uno sguardo
miope può credere che gli uomini siano sempre stati configurati come oggi.
Sotteso alle meraviglie della natura umana vediamo così proprio il ratto di Persefone e il rapporto
dell’uomo con Demetra. Anche in ciò si vede regnare nella mitologia greca la consapevolezza che
l’essere umano è un microcosmo, un’espressione del macrocosmo.
Come Demetra opera all’esterno nelle possenti forze di tutto quello che fruttifica dalla terra,
così agisce all’interno quanto da lei proviene.
Dentro la terra, non alla superficie,
sono attive le forze che il Greco rappresentava in Plutone che opera anche nell’organizzazione
umana.
Volendo comprendere il modo di pensare dei Greci, conformato in modo del tutto diverso rispetto al
nostro, si deve essere in grado di distogliere lo sguardo da quanto oggi è comune e fa parte delle nostre
abitudini e dei nostri costumi di vita. L’uomo odierno (non è una critica dei costumi del presente, ma
una semplice costatazione) guarda ai suoi governanti e ai suoi parlamenti, per avere delle leggi. Da lì
esse gli vengono e probabilmente si considererebbe folle, se dovesse sviluppare l’idea che forze
cosmiche attraversano la testa di chi opera nei parlamenti, che anche lì sono in azione forze divine. Non
vogliamo occuparci oltre di questa domanda; suonerebbe grottesca per l’uomo odierno. Non era così
nei tempi precedenti quelli descritti dalla storia, neppure nell’antica Grecia. Allora esisteva una
capacità rappresentativa, tanto meravigliosa e al contempo grandiosa, che oggi non siamo quasi più
in grado di considerare giusta.
Prendiamo quello che ho detto riguardo all’evoluzione degli dèi greci: abbiamo l’indicazione di come
Demetra agiva nei tempi antichi inviando le proprie forze, attive nelle piante, dentro la natura umana,
ove faceva nascere la propria figlia. Così faceva nei tempi antichi. In modo simile agivano allora altre
divinità, operando contemporaneamente con le forze e le meraviglie della natura. Come agivano,
dunque?
L’uomo mangiava, respirava e sapeva che la grande Demetra
immetteva nell’aria e nelle piante le forze che egli accoglieva.
Demetra gli dava la coscienza chiaroveggente e anche le norme di comportamento che doveva tenere
nel mondo.
A quel tempo non vi erano leggi nel senso di quelle sviluppatesi in seguito, né divieti espressi;
dato che gli uomini erano chiaroveggenti, si schiudeva loro per tal via quel che dovevano fare,
che cosa era giusto e buono.
In Demetra che porgeva loro il cibo, vedevano anche la potenza del mondo e della natura; in Demetra
che, trasformando le forze degli alimenti da loro assunti, dava anche i costumi morali e le regole di
comportamento. L’uomo antico si diceva allora: guardo in alto verso la grande Demetra; quando
compio un’azione nel mondo, lo faccio perché nel mio cervello vengono inviate le forze che sono
all’esterno, nel mondo delle piante.
La Demetra dei tempi antichi dava le leggi che non affioravano nella coscienza, ma stimolavano
l’anima.
Lo stesso valeva per le altre divinità:
mentre nutrivano l’uomo e lo facevano respirare, suscitavano in lui gli impulsi dell’andare o dello stare
eretti,
e allo stesso tempo quelli morali relativi ad ogni comportamento esteriore.
Mentre le divinità assumevano le forme di cui abbiamo parlato per i tempi posteriori, Demetra vedeva
nella natura umana la perdita della figlia Persefone e il ratto da parte della corporeità più densa, così
che ora le forze di chiaroveggenza venivano impiegate solo per la grossolana nutrizione corporea.
Ritirandosi dalla diretta legislazione morale del tempo antico, che cosa faceva Demetra?
Fondava un mistero e da esso dava la nuova legge sostitutiva di quella antica,
operante attraverso le forze della natura.
Gli dèi si ritrassero così dalle forze naturali ed entrarono nei misteri,
dando i precetti morali agli uomini che non li ricevevano più dalla natura attiva in loro.
L’antica civiltà greca pensava che un tempo
gli dèi avevano dato la morale all’uomo insieme alle forze della natura, poi piuttosto ritiratesi.
In compenso gli dèi diedero in seguito nei misteri le leggi morali in forma più astratta, attraverso i loro
messaggeri.
Diventando così estraneo alla natura, l’uomo aveva bisogno di una morale più astratta, più intellettuale;
per questo gli antichi Greci guardavano ai misteri, da cui provenivano loro le indicazioni per la vita
morale,
e proprio in quelle sedi le rivedevano nell’opera degli dèi come prima le avevano viste nelle forze della
natura.
Per questo motivo nei tempi più antichi della civiltà greca
si attribuivano le leggi morali agli stessi dèi che in precedenza erano alla base delle forze della natura.
Volendo indicare l’origine delle loro leggi più antiche, i Greci non si riferivano a un parlamento,
ma agli dèi che erano scesi verso gli uomini e che nei misteri avevano dato loro le leggi
che continuano a vivere nella morale umana.
By CTSadmin| Novembre 6th, 2018|MITOLOGIA GRECA|Commenti disabilitati su PERSEFONE E
DEMETRA
La guerra di Troia
O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 28.10.1904
L‘espansione della civiltà greca viene descritta esteriormente – leggendariamente –
nella leggenda della guerra di Troia.
Questa leggenda non è altro che l’esposizione mitica di una verità esoterica,
ossia del fiorire della quarta civiltà appartenente alla quinta epoca della Terra,
e dell’avvicendarsi di una sovranità puramente secolare alla sovranità dei sacerdoti,
giunta ormai al suo ultimo stadio.
Fin dall’inizio della leggenda, il tema è accennato con straordinaria sensibilità.
Sappiamo bene che in tutta la letteratura esoterica la materia è simboleggiata dall’acqua. L’acqua è il
simbolo esoterico della materia. Basti citare un esempio tratto dalla teologia: nel Credo niceno, là
dove si dice «… patì sotto Ponzio Pilato», bisognerebbe leggere propriamente «patì nel póntos
pyletós», che significa «nell’acqua addensata».
Il Figlio di Dio è sceso per patire nella materia che si trova sul piano fìsico.
Nella forma latinizzata del nostro Credo, il greco póntos, mare, diventa Pontius, e pyletós
diventa Pilatus.
Quando Talete afferma che ogni cosa deriva dall’acqua, si riferisce in verità alla materia fìsica che tutto
comprende. Abbiamo qui a che fare con l’acqua intesa come materia fisica. E proprio la materia fìsica è
destinata a divenire il punto di riferimento per coloro che assumono, adesso, la direzione dell’umanità:
i re secolari. Prima c’erano stati solamente sovrani che erano in rapporto con il divino. Peleo è il re che
deve regnare sul piano fìsico traendo dal piano fìsico stesso la forza per farlo. L’avvenimento, nei
misteri, era presentato al popolo sotto forma di mito con il racconto delle nozze fra Peleo e la dea
marina Teti.
Quello che si celebra è in realtà il matrimonio tra la funzione di guida dell’umanità e la materia del
piano fìsico. Teti è la dea dell’acqua, del mare. E il frutto di questo matrimonio è Achille, il primo di
questa nuova categoria di iniziati. Egli perciò è invulnerabile, eccetto che nel tallone.
Tutti gli iniziati del quarto periodo di civiltà hanno ancora un punto vulnerabile.
Solo con la fine del quinto periodo di civiltà
compariranno degli iniziati talmente evoluti
da non essere più in alcun modo vulnerabili.
Achille è immerso nello Stige: ciò significa
che è morto a tutto quanto è terrestre ed è trasportato su un piano superiore.
Qui siamo davanti a un capitolo essenziale dell’evoluzione dell’umanità.
La vita spirituale comincia a decadere nel quarto periodo di civiltà,
nel quale abbiamo i primi iniziati del piano fisico.
Ne deriva qualcosa di estremamente caratteristico.
Prima, le guide del mondo erano libere dal kama, non avevano desideri, dovevano affrancarsi da ogni
possibile effetto del kama passando attraverso i vari stadi iniziatici e giungendo fino all’iniziazione
spirituale.
Finché continuarono a esservi sacerdoti come quelli dei tempi antichi, il kama non potè interferire in
alcun modo nella guida del mondo. Il kama crea separazione, fa sì che gli uomini possano volgersi gli
uni contro gli altri.
Battaglie e conflitti c’erano anche prima, ma gli uomini non erano ancora arrivati al punto di
contrapporre buono e cattivo.
Non possiamo valutare con i nostri criteri di oggi le lotte e le guerre che si svolgevano allora fra gli
uomini, ma dobbiamo valutarle con lo stesso metro di giudizio che adoperiamo per il mondo animale.
Era impossibile, allora, dire che qualcuno fosse buono o cattivo, così come non si può dire che un
leone, o una tigre, siano buoni o cattivi.
La malvagità, in senso vero e proprio, comparve solo quando il manas si unì al kama, così che
l’individuo fu assoggettato alla direzione del kama e, per conseguenza, gli uomini cominciarono a
lottare coscientemente gli uni contro gli altri.
La leggenda allude a questi eventi narrando che alle nozze di Peleo e della dea marina Teti tutti gli dèi
sono presenti, ma con una eccezione. Manca Eris, la dea della discordia; l’umanità, infatti, non
aveva ancora raggiunto lo stadio in cui il manas si sarebbe unito al kama, e ne sarebbe derivata la
separazione che genera contrasti fra gli uomini.
A un certo punto tuttavia la dea Eris appare e, per suscitare discordia, lancia in mezzo ai convitati un
pomo che reca la scritta “alla più bella”. È il pretesto da cui scaturisce la guerra, quel genere di guerra
che risale interamente alla responsabilità umana, e che compare per la prima volta entro la
quinta epoca della Terra. Solo a partire da questo momento si può parlare di una consapevole
violenza reciproca fra gli uomini.
Tutto il resto del mito è un’elaborazione di questo momento iniziale.
Il pomo di Eris deve andare alla più bella fra le dee.
Se lo contendono Era, Pallade Atena e Afrodite.
Le tre dee rappresentano diversi stadi della vita dell’anima nei mondi superiori,
sui piani spirituali.
Adesso si tratta però di decidere non più sul piano spirituale, ma su quello fisico.
Perciò viene chiamato Paride, che deve decidere basandosi sul piano fisico.
E qui sta il vero problema: dove trovare un appiglio, un punto di riferimento.
A che cosa andiamo incontro, se le decisioni sono basate sul piano fìsico?
Allorché il manas comincia a essere presente sul piano fisico, si mischia con il kama.
Anche prima il kama era parte costitutiva degli uomini,
ma ciò non vuol dire che essi potessero distinguere fra bene e male.
Ora però il manas si unisce al kama, e gli uomini divengono quindi consapevoli delle proprie azioni.
Il manas penetra in ciò che costituisce la natura inferiore dell’essere umano,
nel quale l’evoluzione del kama si era già completata sull’antica Luna.
Con l’uscita della Luna, la parte più grezza del kama ha lasciato la Terra
e ora, nella Luna, la segue come suo satellite.
Nell’esoterismo, la Luna è il motivo conduttore,
il segno distintivo della natura inferiore, di ciò che ci trascina in basso,
di quella che può essere la nostra destinazione se ci abbandoniamo alla natura inferiore.
La conseguenza nefasta dell’unione che si è realizzata fra manas e kama nel quarto periodo di civiltà
sta dunque nel fatto che l’uomo, chiamato in quanto tale a prendere decisioni,
si leghi al kama, al principio lunare, a Selene.
Da Selene è derivato il nome Elena.
Nell’unione fra Paride ed Elena è rappresentato simbolicamente
il connubio fra manas e kama nel quarto periodo di civiltà.
L’uomo che si trova sul piano fisico ha fatto suo il principio lunare.
È un tema che ricorre ogni qual volta, nella letteratura esoterica, si parla della “Luna”.
Dalla consapevole realizzazione, sul piano meramente fisico, dell’unione totale
fra il principio del manas e quello del kama, scaturisce la guerra.
La guerra di Troia è al tempo stesso un simbolo e un fatto concreto, un fatto realmente accaduto; gli
avvenimenti principali della guerra si sono svolti sul piano fisico. Essi però hanno anche un significato
simbolico. La leggenda della guerra di Troia ha un contenuto mistico, ma i fatti narrati si sono anche
svolti esteriormente, sul piano fisico.
C’è ancora un aspetto che merita di essere considerato.
Dopo la fine della quinta epoca della Terra, con il sorgere della sesta, sul terreno dell’intelletto
cosciente si sarà sviluppato un influsso che oggi, nel quinto periodo di civiltà, è ancora molto debole,
ma che tuttavia è già in formazione. Si tratta di qualcosa che viene dalla sfera musicale.
Nel quinto periodo di civiltà,
la musica andrà acquistando un’importanza sempre crescente.
Non sarà semplicemente arte,
ma diventerà mezzo espressivo di fenomeni del tutto diversi da quelli puramente artistici.
Siamo in presenza di qualcosa che indica l’influsso di un ben definito principio sul piano fisico.
Gli impulsi più rilevanti che verranno dagli iniziati dell’epoca postatlantica
si manifesteranno nel campo della musica o di quanto ha relazione con la musica.
Quel che deve manifestare il suo influsso nell’epoca postatlantica,
e precisamente sul terreno della vita cosciente dell’intelletto, è ciò che si chiama fuoco di kundalini.
Si tratta di una forza che adesso nell’uomo è ancora sopita, ma che acquisterà sempre più peso.
Oggi ha già una grande influenza, una grande importanza,
nell’ambito di quanto viene percepito mediante il senso dell’udito.
Nel corso dell’evoluzione che interesserà il sesto periodo di civiltà dell’epoca postatlantica,
il fuoco di kundalini giungerà a esercitare un vasto influsso sulla vita del cuore umano.
Il cuore umano avrà realmente in sé questo fuoco di kundalini.
L’uomo allora sarà penetrato da una forza particolare, che vivrà nel suo cuore,
così che, nel periodo di civiltà, egli non farà più distinzione
fra il proprio bene individuale e il bene della collettività intera.
Sarà penetrato a tal punto dalla luce di kundalini che il principio dell’amore costituirà la sua natura più
peculiare.
Nel settimo periodo di civiltà, tutta quanta l’umanità si troverà in un autentico caos, perché l’epoca
postatlantica, allora, sarà prossima alla fine. Ma una piccola parte degli uomini del settimo periodo di
civiltà sarà costituita dai veri figli del fuoco di kundalini. Essi saranno compenetrati da tutte le forze del
fuoco di kundalini, e forniranno il materiale di base per la successiva epoca della Terra, per coloro che
guideranno il corso ulteriore dell’evoluzione umana.
La quinta epoca ascenderà così a quelle altezze in cui il fuoco divino, il fuoco di kundalini, ravviverà
con sacro pathos il principio divino nell’interiorità degli uomini, e non vi sarà quindi più separazione
fra uomo e uomo, ma, fin dove giunge l’intelletto pensante, si instaureranno rapporti di fraternità.
Un giorno, questo fuoco vivrà negli uomini. E in coloro i quali, nel corso della quinta epoca, vengono
iniziati, è già viva una traccia di questo fuoco divino, che ha in sé la forza della fraternità e che
eliminerà la separazione fra gli uomini. Ma esso per ora sta solo aprendosi la strada, comincia appena a
manifestarsi, è ancora nascosto, coperto da quelle che sono le passioni disunenti degli uomini, le forze
disgregatrici del kama. E quando affiora nell’individuo, preannunciando un tempo avvenire, assume
una forma diversa, un tutt’altro carattere.
Nel mondo dell’illusione, il fuoco divino è ira divina.
Sarà amore divino solamente quando la fraternità avrà permeato l’umanità intera.
Ma fin tanto che si manifesterà nell’individuo come fervore, s’identificherà con l’ira divina,
e farà valere tutto l’impeto della sua forza nell’individuo proprio perché il resto dell’umanità non sarà
ancora maturo.
Il poeta iniziato – Omero è il poeta “cieco”, poiché vede interiormente – esprime appunto questo nel
suo poema: «Cantami l’ira, o Musa, del Pelide Achille».
L’ira della quale il poeta parla qui, fin dal proemio dell’Iliade, è l’ira divina.
L’Iliade descrive come il fuoco di kundalini si manifesti sul piano fisico.
L’ira che divampa nella contesa fra Agamennone e Achille è ira divina.
La leggenda della guerra di Troia ci parla di come l’antico stato sacerdotale venga soppiantato dalla
monarchia secolare. Il re, nello stato troiano, è infatti soggetto all’influsso dell’antica sovranità
sacerdotale, cui subentra il principio dell’intelligenza profana. E il poema descrive benissimo come, a
vincere, sia l’intelligenza profana.
Chi vince è l’astuto Odisseo, l’iniziato del quinto periodo di civiltà, che è giunto all’iniziazione
attraverso le proprie peregrinazioni.
La spiritualità degli antichi sacerdoti lascia il posto al dominio dell’intelletto.
La stessa cosa trova espressione anche in un’altra immagine, quella di Laocoonte avviluppato dai
serpenti. I serpenti, simbolo dell’intelligenza profana, stringono nelle loro spire il sacerdote
Laocoonte, rappresentante dell’antica spiritualità.
Se considerate tutto questo, vi rendete conto che anche nella leggenda della guerra di Troia non viene
registrato nient’altro che un complesso di eventi storico-cosmici. Tali eventi venivano illustrati nei
misteri. Nei misteri più antichi, antecedenti a quelli eleusini, veniva illustrato fra gli altri proprio questo
momento determinante del sorgere del quarto periodo di civiltà appartenente alla quinta epoca della
Terra.
Della guerra di Troia, che è un fatto realmente accaduto, i misteri parlavano fin da prima che accadesse.
Per chi non ha familiarità con la teosofia, si tratterà certo di un’affermazione fantasiosa, ma quella di
illustrare, oltre al passato, anche avvenimenti del futuro, è una costante dei misteri. E proprio in quanto
anticipavano avvenimenti futuri dovevano essere tenuti segreti. I misteri non avevano la funzione di
soddisfare la curiosità umana; piuttosto, dovevano accedervi uomini che erano chiamati ad agire sul
futuro contribuendo a plasmarlo, e che di lì avrebbero tratto gli impulsi per il loro compito. Questo è il
senso dei misteri.
Tradire un mistero, perciò, significherebbe dire alla gente qualcosa che deve accadere nel futuro,
significherebbe dirlo in pubblico. Chi mai lo facesse, confonderebbe inevitabilmente i propri simili.
Solo pochi individui evoluti ricevono gli impulsi che li rendono atti a capire. Il loro compito è di
condurre lentamente gli uomini verso la meta che, un giorno, dovranno raggiungere.
Solamente pochi individui maturi, quelli che sono avanti di cinquecento anni, forse, rispetto ai propri
simili, sono in grado di sostenere questi segreti e di agire conformandosi ai misteri. Se altri, per ipotesi,
ne venissero a conoscenza, vorrebbero tradurre subito in atto cose per le quali gli uomini non sono
ancora maturi. Ogni mistero diventerà un giorno di pubblico dominio, in circostanze però
sostanzialmente mutate.
Tutto, a un determinato momento, si farà manifesto.
• La segretezza nasce dal fatto che, prima, alcuni pochi individui devono preparare il futuro,
devono fare da guida a tutti gli altri uomini.
• Vi sono tuttora segreti che potranno essere svelati solo al tempo della sesta epoca della Terra,
quando regneranno ben altri rapporti di fraternità, rapporti che oggi non sono ancora realizzati.
Quanti avevano una qualche nozione di queste realtà avevano anche, naturalmente, un tremendo timore
che si potesse sconsideratamente tradire qualcosa dei misteri. Il tradimento dei misteri era punito una
volta con le pene più severe; nei tempi antichi, con la pena di morte.
Non erano però i sacerdoti iniziati a comminare la pena di morte, ma coloro i quali sapevano qualcosa
dal di fuori e non erano iniziati.
Il timore che i misteri venissero traditi portò alla condanna e alla tragica fine di molti grandi uomini.
Anche Socrate, benché ingiustamente, rimase vittima di questa condanna.
By CTSadmin| Novembre 6th, 2018|MITOLOGIA GRECA|Commenti disabilitati su LA GUERRA DI
TROIA
Dioniso
O.O. 129 – Meraviglie del creato – 22.08.1911
Gli dèi della Grecia
erano dunque stati uomini con anime di importanza macro-cosmica durante l’epoca atlantica
e grazie a tale evoluzione progredirono al punto da poter intervenire nel quarto periodo postatlantico di
civiltà,
in modo però da tendere per così dire al minimo le redini nella direzione spirituale degli uomini.
Come dèi, essi non ebbero più bisogno di divenire come Cecrope, Teseo e Cadmo,
nei quali erano incarnate anime luciferiche che erano rimaste indietro sulla Luna,
perché con la loro incarnazione atlantica avevano compiuto quel che deve essere l’incarnazione umana
sulla terra.
Considerando questo nel giusto modo, si deve dire che gli dèi greci, per quanto potessero ancora dare
agli uomini,
non potevano tuttavia dar loro una cosa, cioè la coscienza dell’io che l’uomo doveva conquistarsi.
Perché non potevano? Dallo spirito di tutte le mie conferenze precedenti si potrà dedurre che la
coscienza dell’io dovette sorgere per l’uomo proprio sulla terra. Sappiamo che sulla Luna egli sviluppò
il proprio corpo fisico, l’eterico e l’astrale, mentre là la coscienza dell’io non poté svilupparsi.
In quel che venne creato sulla Luna e che gli dèi greci vi avevano conosciuto di creativo,
non era compresa la coscienza dell’io.
Non poterono dare all’uomo la coscienza dell’io perché è un prodotto della terra.
Poterono dargli molto di quanto attiene al corpo fisico, al corpo eterico e all’astrale, con i quali e con le
cui leggi si erano familiarizzati dal tempo delle evoluzioni di Saturno, Sole e Luna, a cui avevano
partecipato a un gradino più alto. Essendo però rimasti indietro, non furono in grado di diventare
creatori della coscienza dell’io.
Sotto questo aspetto gli dèi greci sono contrapposti agli Elohim, a Jahvé,
che nel senso più eminente è proprio il creatore della coscienza dell’io.
• Tutta la civiltà animica moderna poté dunque svilupparsi
solo perché queste due correnti polari sono confluite nell’evoluzione spirituale umana:
• la corrente dell’antico ebraismo, finalizzata nel senso più eminente
a risvegliare nell’anima umana tutte le forze che conducono alla coscienza dell’io,
• e l’altra corrente che riversò nell’anima umana tutte le forze
di cui il corpo fisico, il corpo eterico e il corpo astrale avevano bisogno
per compiere nel modo giusto l’evoluzione terrena.
• Solo attraverso il confluire di queste due correnti, quella greca e quella ebraica antica,
fu possibile il realizzarsi della corrente unitaria che poté poi accogliere l’impulso del Cristo, il
principio-Cristo.
• All’interno della corrente del Cristo sono infatti contenute le altre due,
come in un unico fiume è contenuta l’acqua confluita da due affluenti.
Come non è pensabile la vita animica moderna all’interno della civiltà occidentale senza l’influsso di
quella greca,
così non la si può pensare senza l’impulso dato dall’antica civiltà ebraica.
All’interno del mondo greco mancava però la possibilità, dal mondo cui appartenevano Zeus,
Poseidone e Plutone,
di dare all’uomo la coscienza terrena dell’io direttamente dalla gerarchia cui essi appartenevano.
Anche di questo l’anima greca aveva una percezione meravigliosa e chiara,
e la portò alla luce concependo la figura di Dioniso.
L’anima greca, proprio in relazione a tale figura, parlò con una così meravigliosa chiarezza
che ci si trova davanti alla saggezza della mitologia greca solo pieni di meraviglia.
Nell’antica Grecia si parlava di un Dioniso più vecchio, Dioniso Zagrèo,
una figura che l’anima greca concepiva non con i nostri pensieri oggettivi,
ma nel sentimento, in modo conforme alle sensazioni e al sentire,
così da dire che un’antica coscienza chiaroveggente precedette la coscienza intellettuale conseguita poi
dall’uomo.
L’antica coscienza chiaroveggente non sottostava alla maya, all’illusione, all’inganno
con la stessa intensità della successiva coscienza dell’umanità.
Quando ancora erano chiaroveggenti
gli uomini non credevano che l’anima fosse racchiusa nel corpo fisico e delimitata dalla sua pelle;
anzi, allora il centro dell’uomo era per così dire all’esterno del corpo fisico,
ed egli non credeva di guardare con il suo corpo fisico, con gli occhi fisici;
sapeva invece di essere con la sua coscienza fuori dal corpo fisico e indicava quest’ultimo come suo
possesso.
• Volendo usare un paragone, si potrebbe dire che l’uomo moderno
è come un tale che si sieda ben saldo e comodo su una sedia in casa sua e dica:
sono dentro, e le pareti della mia casa mi circondano.
L’antico chiaroveggente non si sedeva dentro la sua casa;
lo si potrebbe invece paragonare a chi attraversa la porta di casa, si pone all’esterno e dice: questa è la
mia casa.
• Le si può girare intorno, si può guardarla da diversi punti;
così si ha uno spazio più ampio per guardarla stando all’esterno, rispetto a quando ci si trova
all’interno.
• Così era per l’antica coscienza chiaroveggente; si girava intorno alla propria figura corporea e la si
guardava
soltanto come possesso dell’antica coscienza chiaroveggente, posta all’esterno del corpo fisico.
Osservando l’evoluzione terrestre come si è configurata dall’antico tempo lemurico attraverso quello
atlantico fino ai periodi postatlantici di civiltà, sappiamo che la coscienza terrena umana si è sviluppata
a poco a poco.
Nell’antico tempo lemurico essa era ancora molto simile alla coscienza dell’antica Luna: l’uomo
rifletteva ancora poco sul suo corpo, era ancora del tutto riversato nello spazio. Pian piano egli si ritirò
anzitutto col suo io nel corpo fisico; nel tempo atlantico era ancora molto esterno al suo corpo con la
coscienza. Solo gradualmente dunque la coscienza entrò nel corpo fisico, come ci mostra l’intero
senso dell’evoluzione terrestre.
Anche l’anima greca percepiva tutto questo. Come sensazione, essa rimandava a una precedente
coscienza chiaroveggente, presentatasi nel corso dell’evoluzione terrestre, ma ancora strettamente
appoggiata all’antica coscienza lunare che si era formata al tempo in cui l’uomo aveva sviluppato come
sua parte costitutiva più elevata il corpo astrale.
Osservando l’evoluzione dell’umanità possiamo quindi dire che quando la terra pervenne alla sua
attuale evoluzione,
l’uomo aveva formato solo corpo fisico, corpo eterico e corpo astrale, e portava in quest’ultimo le forze
di Zeus.
A ciò si aggiunse nel corso dell’evoluzione quello che divenne l’io.
Un nuovo elemento si aggiunse alle forze astrali di Zeus,
venne come innestato su quelle forze che in tempi antichi erano ancora unite in modo non chiaro,
un elemento che sempre più si aggiunse come un’egoità autonoma,
emersa prima in forma chiaroveggente e in seguito intellettuale.
Se guardiamo nella sfera astrale le forze di Zeus,
se vediamo ciò che ivi si forma ed è all’inizio in forma chiaroveggente ciò che abbiamo chiamato
Persefone,
possiamo dire che, prima che l’uomo perdesse la coscienza chiaroveggente
e apparisse la coscienza intellettuale, in lui viveva Persefone, accanto alle forze di Zeus presenti nel
corpo astrale.
• Strettamente legato alle forze di Zeus, l’uomo si era portato dall’antica Luna il corpo astrale.
Sulla terra si sviluppò in lui la vita animica che troviamo rappresentata in Persefone.
L’uomo che viveva sulla terra in tempi antichi percepiva
di avere nel proprio corpo astrale le forze di Zeus e di avere in sé Persefone.
• Egli non poteva ancora parlare di un io intellettuale come facciamo noi oggi,
ma era in grado di parlare di qualcosa che sorgeva in lui dall’interagire
delle forze di Zeus, ancorate nel corpo astrale, con quelle di Persefone.
• Quanto in lui risultava dall’unione di Zeus e di Persefone era egli stesso.
• Qualcosa gli era dato soltanto da una parte, da Zeus, e a ciò
si doveva aggiungere quello su cui Zeus come tale non aveva diretta influenza.
Persefone, figlia di Demetra, era connessa con le forze stesse della terra.
Persefone era figlia di Demetra, di un’entità divina che era legata a Zeus e ne era considerata la sorella.
• Era un’anima che aveva attraversato un’evoluzione diversa da quella di Zeus:
era imparentata con la terra, e movendo da essa poteva agire sull’uomo
e quindi anche sulla formazione della coscienza dell’io.
Così dai tempi più antichi l’uomo portava in sé
• il corpo astrale da parte di Zeus,
• e Persefone da parte della terra.
L’antico Greco era consapevole di portare in sé qualcosa
la cui origine non gli era visibile quando alzava lo sguardo alle gerarchie delle divinità superiori.
• Per questo attribuiva quanto portava in sé ai cosiddetti dèi inferi che erano connessi al divenire della
terra
al quale gli dèi superiori non prendevano parte:
porto nella mia entità qualcosa di cui devo ringraziare proprio la mia coscienza terrena,
qualcosa che gli dèi superiori, del mondo di Zeus, Poseidone e Plutone,
non possono dare direttamente, ma a cui possono solo cooperare.
Sulla terra vi è dunque qualcosa al di fuori delle forze macrocosmiche di Zeus, di Poseidone, di
Plutone,
qualcosa a cui Zeus poteva solo guardare, senza poterlo generare.
Per tutti i motivi che ho esposto,
il mito greco a buon diritto fa che Dioniso il vecchio, Dioniso Zagrèo, sia figlio di Persefone e di Zeus.
• Tutte le forze che nella vita della terra agirono preparando in tempi antichi la coscienza dell’io,
osservate in forma
chiaroveggente.
microcosmica
all’interno
dell’uomo,
costituiscono
l’antica
coscienza
• Guardate macrocosmicamente, fluttuanti negli elementi della terra, sono il vecchio Dioniso.
Quando dunque l’uomo aveva un io che non era ancora quello odierno con la sua forza intellettuale,
ma il suo predecessore, cioè l’antica coscienza chiaroveggente che oggi è divenuta subcoscienza,
egli guardava all’esterno le forze macrocosmiche (e anche per i Greci era ancora così)
che fanno fluire in noi le forze dell’io e le chiamava Dioniso Zagrèo, il vecchio Dioniso.
Il Greco sentiva però qualcosa di molto particolare per tutto quanto il vecchio Dioniso gli poteva dare;
in fondo egli viveva già in una civiltà intellettuale,
benché ancora compenetrata di viva fantasia, ancora molto vivente in immagini.
• All’interno dell’immagine era però già civiltà intellettuale.
Solo i tempi più antichi mostrano ancora una civiltà chiaroveggente;
quanto storicamente è pervenuto dalla Grecia ai tempi successivi
è civiltà intellettuale, anche se immaginativa, imbevuta di fantasia;
il Greco vedeva in sostanza nella sua coscienza un’antica epoca in cui il vecchio Dioniso era di casa
e instillava nella natura umana l’io ancora chiaroveggente.
• L’antico Greco avvertiva come qualcosa di tragico
che l’antica coscienza dell’io non potesse più essere accolta nel suo mondo terreno.
Cerchiamo per un attimo di immedesimarci vivamente in un’anima greca: come ricordando, essa
guardava indietro a tempi antichi e si diceva che allora vi era un’umanità che viveva con la coscienza
fuori del corpo fisico; l’anima viveva per così dire in modo indipendente dallo spazio circoscritto dalla
pelle, viveva in unità con i mondi dello spazio; ma quei tempi sono trascorsi, appartengono al passato.
Nel frattempo la coscienza dell’io si è sviluppata in modo che l’uomo davvero non può far altro
che sentirsi con il suo io chiuso nello spazio circoscritto dalla pelle.
A questo era legato anche dell’altro.
Pensiamo ora che per un prodigio
ogni singola anima che è nei nostri corpi fisici se ne esca e si effonda nelle ampiezze dello spazio.
Le anime fluirebbero allora l’una nell’altra, non sarebbero separate.
• Le singole anime potrebbero allora indicare come loro possesso altrettanti punti quante sono le teste
qui presenti.
Tuttavia le anime si mescolerebbero in alto e là avremmo un’unità.
• Quando poi esse rientrassero di nuovo da tale coscienza elevata nei singoli corpi, che cosa ne sarebbe
di quell’unità?
Verrebbe spezzettata in tanti corpi quanti sono quelli che siedono qui.
Immaginiamo questa sensazione, pensiamo che l’anima greca sapeva dell’esistenza di una coscienza
in cui le anime singole erano unite l’una all’altra a formare un’unità,
in cui l’essere delle anime umane aleggiava sopra la terra e nessuno, quale io, poteva in fondo
distinguersi dall’altro.
• Venne poi un tempo nel quale l’entità-io perse la propria unità,
e ogni anima singola si versò come una goccia in un corpo.
La fantasia greca rappresentò quel momento in un’immagine grandiosa, nella figura di Dioniso
smembrato.
La mitologia greca intrecciò con un’immagine raffinata nella leggenda di Dioniso
la figura di Zeus da una parte e quella di Era dall’altra.
Abbiamo detto che Zeus è la potenza centrale delle forze macrocosmiche che hanno come loro
controimmagine le forze animiche ancorate nel corpo astrale, forze che provengono dall’antica Luna, e
così anche Zeus; egli prende così parte alla creazione di Dioniso, di Dioniso il vecchio che
anzitutto è figlio di Zeus e di Persefone.
La partecipazione di Zeus alla creazione di Dioniso
è che egli rappresenta l’elemento unitario, non ancora smembrato.
• La figura femminile che ci viene incontro in Era ha invece attraversato un’altra evoluzione
che è più progredita, sotto un aspetto spirituale, rispetto a quella di Zeus:
mentre questi era rimasto indietro, ella tendeva più verso la realtà terrena.
Mentre Zeus era rimasto all’antica evoluzione lunare e vi si era irrigidito,
Era però era andata oltre e aveva accolto in sé determinati spunti che potevano essere usati sulla terra.
Era appartiene alla categoria di entità luciferiche
che lavorano alla frammentazione, all’individualizzazione degli uomini;
per questo viene spesso rappresentata come gelosa.
La gelosia può sorgere soltanto quando le individualità sono separate; quando si sanno unite, non nasce
gelosia.
Era fa parte delle figure divine che favoriscono la separazione, l’individualizzazione;
per questo è attiva quando Dioniso deve venir smembrato, mentre egli è scaturito dall’unione di Zeus
con Persefone.
Quando l’uomo antico aveva la coscienza chiaroveggente come coscienza unitaria,
giunge Era come divinità individualizzante, cosa che viene espressa in forma immaginativa nella sua
gelosia,
e fa appello agli dèi concentrati nelle forze della terra, i Titani,
perché facciano a pezzi l’antica coscienza unitaria, perché entri nei singoli corpi.
Con questo però tale coscienza in un primo tempo fu chiusa al mondo.
L’antico Greco guardava con tragicità all’antica coscienza chiaroveggente che viveva fuori del corpo
fisico
e che si sapeva una cosa sola con le realtà del mondo;
si poteva infatti guardare solo indietro a ciò come a qualcosa di passato.
• Se nient’altro fosse accaduto, se l’azione di Era fosse rimasta unica,
gli uomini si aggirerebbero sulla terra l’uno accanto all’altro,
ciascuno chiuso nella propria persona, e non si capirebbero mai fra loro,
né mai sarebbero in grado di capire anche il mondo che li circonda, gli elementi della terra e del
mondo.
Potrebbero guardare i loro corpi come loro possesso, sentirsi chiusi nel loro corpo come in una casa,
forse sentire quanto li circonda come appartenente a loro, così come una chiocciola la sua casa;
ma l’io umano non potrebbe mai andare oltre, mai ampliarsi a una coscienza del mondo.
• In realtà Era voleva che gli uomini si separassero l’uno dall’altro nella loro individualità.
Che cosa ha salvato gli uomini da questo isolamento?
che cosa ha fatto sì che, pur avendo l’io assunto una forma intellettuale,
esso sia tuttavia divenuto tale che ora la coscienza più tarda, non più chiaroveggente ma intellettuale,
si possa formare un’immagine del mondo attraverso il sapere,
la conoscenza intellettuale, possa uscire e unire le cose una all’altra?
Mentre lo sguardo chiaroveggente abbraccia tutto l’insieme del quadro del mondo,
quello intellettuale è tenuto a passare da un punto all’altro,
a unire l’uno all’altro i singoli pezzi della nostra visione del mondo
e di ricavarne in tal modo un’immagine globale nel sapere intellettuale, nella scienza intellettuale.
Così appare qualcosa che si può illustrare dicendo che non fu soltanto l’azione di Era a svilupparsi
ulteriormente, ma si produsse anche l’intellettualità dell’io e, pur non potendo l’uomo stesso vivere con
la sua chiaroveggenza dentro le cose come Dioniso Zagrèo, può tuttavia formarsi immagini razionali
del mondo, un quadro complessivo del mondo.
Il Greco immaginava rappresentata dall’entità divina di Pallade Atena
la potenza centrale
• per il quadro del mondo che noi formiamo con i pensieri
• e le immagini della fantasia con i quali abbracciamo il mondo.
L’immagine intellettualistica del mondo, la sapienza intellettualistica
in effetti salvò lo smembrato Dioniso, o in altre parole la coscienza unitaria entrata nei corpi,
e portò la coscienza umana fuori di se stessa.
• Da questo la fine elaborazione del mito di Dioniso:
tra tutti i pezzi, Pallade Atena salvò il cuore di Dioniso,
dopo che egli era stato smembrato dai Titani su istigazione di Era, e lo portò a Zeus.
• È un’immagine finissima e piena di saggezza che corrisponde in tutto alle meraviglie del creato
che la scienza dello spirito oggi di nuovo ci dischiude e le cui profondità possiamo solo rispettare e
ammirare.
La rappresentazione macrocosmica di Dioniso smembrato e del suo cuore salvato da Pallade Atena e
portato a Zeus
è la controimmagine macrocosmica di qualcosa che avviene in noi in forma microcosmica.
Sappiamo che la manifestazione fisica dell’uomo terreno è il sangue che muove il cuore.
• Che cosa sarebbe successo se, detto in teoria,
l’ampliamento intellettualistico dell’io a immagine del mondo intellettuale
non avesse salvato l’io chiuso nel corpo umano?
detto in immagini, che cosa sarebbe accaduto
se Pallade Atena non avesse salvato il cuore di Dioniso smembrato e non l’avesse portato a Zeus?
Gli uomini andrebbero in giro ciascuno chiuso nella propria figura fisica e nelle sue forze
microcosmiche,
rappresentanti soltanto gli istinti egoistici più bassi tramite cui le persone vogliono appunto isolarsi
come entità singole racchiuse ciascuna nella propria pelle.
L’uomo ha in sé le forze che condussero allo smembramento di Dioniso.
• Sono gli istinti inferiori della natura umana che operano in essa
in modo animalesco e istintivo, e che sono i fondamenti del vero egoismo.
• Da questi istinti si sviluppano simpatie e antipatie, impulsi,
quanto è di natura istintiva, dall’istinto della nutrizione e da altri istinti
fino a quello della procreazione, che senz’altro appartiene alla serie degli istinti inferiori.
Se fosse dipeso solo da Era, e Pallade Atena non fosse intervenuta salvificamente,
svilupperemmo soltanto entusiasmi che provengono dai suddetti istinti:
entusiasmo per la nutrizione, per la procreazione, in breve solo per gli impulsi inferiori.
Che cosa dovette accadere affinché superassimo la natura umana inferiore mirante solo all’egoismo?
È anche egoità quanto si riferisce a tutti questi istinti, ma nella natura umana vi è qualcosa che ce li fa
superare.
Con il cuore possiamo infatti sviluppare entusiasmi diversi da quelli egoistici
che mirano alla conservazione del corpo nell’impulso alla nutrizione,
alla conservazione della specie nell’istinto sessuale.
Malgrado tutto ciò la natura umana rimane impigliata nell’egoismo.
Soltanto perché tali impulsi si mescolano a qualcosa d’altro
può in un certo senso essere tolto loro il carattere egoistico, di chiusura nel corpo.
Vi è qualcosa di più alto, legato al cuore e specialmente alla circolazione del sangue,
che sviluppa entusiasmi superiori.
• Quando il nostro cuore batte per il mondo spirituale e per i suoi grandi ideali,
quando esso è infiammato per la realtà spirituale,
quando il nostro sentire nei confronti del mondo spirituale è tanto caldo
quanto il sentimento umano nei suoi impulsi più bassi lo è nella vita erotica,
allora la natura umana viene trasfigurata e spiritualizzata
grazie a quello che Pallade Atena aggiunse all’azione di Era.
L’umanità si conquisterà solo nel corso del tempo una piena comprensione per questo fatto possente,
perché nella natura umana attuale vi è ancora molto che contraddice queste cose. Quanto spesso si
sente dire: ah, ci sono teste bizzarre che vanno in estasi per un mare di cose che non esistono! Hanno
sentimenti di calore verso astrazioni, verso ciò che si può solo pensare, e per tutto ciò provano quel che
altrimenti si sente nei confronti della vita vera che altro non significa se non istinti come la nutrizione e
altri inferiori.
Chi però può nutrire un ardente entusiasmo per il soprasensibile, per quanto non mira agli istinti
inferiori, così da sentire il mondo soprasensibile come una realtà, si è dedicato a quel che Pallade Atena
aggiunse ad Era. Questa è la controimmagine macrocosmica per le forze che dominano nel mondo,
espresse in immagini grandiose nella mitologia greca da Pallade Atena che salva il cuore di Dioniso
smembrato e lo porta a Zeus, il quale lo nasconde nei suoi lombi.
Dopo che l’antica coscienza chiaroveggente era entrata nell’uomo, essa si mescolò con la sua natura
corporea, con ciò che è espresso in modo meraviglioso nell’immagine che la natura di Dioniso viene
nascosta nei lombi di Zeus. Quanto proverrebbe da Dioniso smembrato avrebbe avuto nell’uomo la sua
controimmagine microcosmica in quel che proviene dalla sua natura inferiore corporea. Si vede così
che quanto è presentato nelle immagini grandiose dell’antico mito di Dioniso si accorda
meravigliosamente con la scienza dello spirito.
Ci viene raccontato come l’antica coscienza chiaroveggente, rappresentata dal vecchio Dioniso,
continuasse a evolversi fino al più giovane Dioniso,
vale a dire alla coscienza più tarda, la nostra attuale coscienza dell’io, la successiva forza di Dioniso.
L’odierna coscienza dell’io con la sua cultura intellettuale
e con quanto consegue dalla nostra ragione, soprattutto dal nostro io,
ha la sua controimmagine macrocosmica nel secondo Dioniso;
egli nasce perché dal cuore salvato dello smembrato Dioniso
viene formata la bevanda d’amore per Semele, grazie a cui si realizza
l’unione di costei, che è una mortale, con Zeus, con le forze del corpo astrale.
Dunque un essere umano, una donna, si unisce con quanto proviene dall’antica Luna
e nasce così l’uomo del presente che ha la sua controimmagine macrocosmica nel giovane
Dioniso,
figlio di Zeus e di Semele.
Che cosa ci viene raccontato di questo Dioniso?
Se egli è la controimmagine macrocosmica delle nostre forze intellettuali dell’io,
deve anche essere l’intelligenza che si diffonde sopra la terra, che si estende nelle ampiezze spaziali del
mondo.
Se il Greco sentiva in modo giusto, doveva pensare nel giovane Dioniso,
controimmagine macrocosmica del nostro io intellettuale, l’intelligenza che avanza sulla terra.
Doveva pensare che nello spazio esterno procedeva un’entità
che era come l’intelligenza aleggiante sopra le terre. Meraviglioso!
Nel bellissimo mito del secondo Dioniso l’antica coscienza greca ci racconta che egli dall’Europa andò
lontano, in India, insegnando ovunque agli uomini la scienza, l’agricoltura, la viticoltura e così via,
andò in Arabia e poi di nuovo ritornò attraversando l’Egitto. Tutta la civiltà intellettuale viene
collegata al viaggio del giovane Dioniso.
Quella che chiamiamo diffusione della civiltà intellettuale, esprimendoci in modo asciutto, scarno,
astratto, l’antica mitologia greca chiamava il viaggio del giovane Dioniso che insegnava agli uomini
l’agricoltura, la viticoltura, la scienza, ma anche la scrittura e altro ancora: il viaggio attraverso terre
lontane.
I pensieri del vecchio e del giovane Dioniso si integrano in modo splendido:
sono immagini raffiguranti l’umanità che, con la sua antica coscienza chiaroveggente,
di cui il vecchio Dioniso è la controimmagine macrocosmica,
progredisce fino alla più giovane coscienza dell’io intellettuale
che nel giovane Dioniso ha la sua controimmagine macrocosmica.
• Consideriamo ancora una volta il pensiero da cui siamo partiti nella conferenza odierna
e cioè che gli dèi dell’antica Grecia erano uomini dell’Atlantide.
Si avvertirà che il vecchio Dioniso, in quanto figlio di Persefone e di Zeus, è ancora imparentato con
gli dèi stessi della gerarchia di Zeus, per quanto abbia già accolto in sé, ma dall’esterno, elementi
terreni. È figlio di Zeus e di Persefone, un’entità soprasensibile. Per l’epoca postatlantica è perciò
imparentato con tutta la sua entità con la gerarchia di Zeus.
Perciò l’antica coscienza greca avverte chiaramente, e lo lascia intuire nel mito,
che il vecchio Dioniso, Dioniso Zagrèo, viveva sì come uomo,
ma come gli altri dèi greci era un uomo dell’Atlantide tra gli uomini dell’Atlantide
e tra loro si muoveva.
Esaminando tuttavia lo spirito del mito del giovane Dioniso, vi si può intravedere la coscienza
che egli, già imparentato con l’uomo grazie a una madre umana,
si trova in realtà più vicino agli uomini che agli dèi.
• Per questo il mito lascia intuire, ed è vero, che il giovane Dioniso nacque in Grecia nella notte dei
tempi,
e visse incarnato in un corpo postatlantico.
La civiltà intellettuale diffusasi sulla terra,
la controimmagine spirituale nel macrocosmo del nostro io intellettuale,
proprio come accadde per le forze di Zeus, lo Zeus dell’Atlantide,
fu una volta incarnata nell’epoca postatlantica, all’incirca nella preistoria greca,
in un uomo singolo, realmente vivente, cioè nel giovane Dioniso.
Egli visse e fece parte degli antichi eroi greci;
visse e crebbe in Grecia e attraversò l’Asia giù fino all’India, perché questo viaggio davvero vi fu.
Una buona parte della civiltà indiana proviene dal giovane Dioniso,
non la parte rimasta dagli antichi santi Risci, bensì un’altra.
Con le sue schiere di uomini egli passò poi in Arabia, in Libia e di nuovo indietro fino in Tracia.
Questo possente viaggio preistorico davvero si svolse.
La figura di Dioniso visse in effetti come uomo,
accompagnato da un seguito straordinario rappresentato nel mito da sileni, fauni e simili,
passò come un grande condottiero attraverso l’Arabia, la Libia, la Tracia e di nuovo ritornò in Grecia.
Il giovane Dioniso era un autentico uomo dell’epoca postatlantica, della preistoria greca,
e quando morì la sua anima si riversò nella civiltà intellettuale dell’umanità.
Con pieno diritto e in verità si può porre la domanda: il giovane Dioniso vive oggi?
Sì, si vada nel mondo e si guardi la civiltà intellettuale che vive in esso,
si osservi la realtà animica che gli storici moderni
chiamano in una forma sconsolatamente scarna e astratta le idee della storia,
o con quali altre simili fantasticherie le chiamino; si consideri tutto ciò nella sua realtà concreta!
Si osservi questa concretezza, questa realtà macrotellurica
che circonda come uno strato spirituale la terra e continua a vivere di epoca in epoca,
che vive in tutte le teste e che come un’atmosfera intellettuale ci avvolge tutti nella vita quotidiana; la si
osservi bene!
• In tutto vive Dioniso il giovane,
sia che si guardi quanto viene insegnato nelle nostre università
o quanto di intellettuale si riversa sulle macchine delle nostre industrie,
sia che si guardino i pensieri fluiti nel mondo e in esso viventi nell’atmosfera razionale delle banche e
della borsa.
In tutto questo vive il giovane Dioniso conformemente alla sua anima.
Essa si è riversata a poco a poco nel complesso della nostra civiltà terrena intellettuale,
dopo che egli aveva intrapreso il suo grande viaggio e dopo la sua morte.
By CTSadmin| Novembre 6th, 2018|MITOLOGIA GRECA|Commenti disabilitati su DIONISO
Dedalo e Icaro
O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 01.07.1904
Oggi vorrei parlare, riallacciandomi alle concezioni degli antichi Greci, dell’origine dell’attuale
umanità postatlantica, la nostra, in rapporto con l’umanità che l’ha preceduta, quella atlantica,
allargando poi il discorso ad alcune considerazioni sul significato del sacramentalismo.
Tutti conosciamo la leggenda di Dedalo e Icaro, così come quella di Teseo.
Vorrei dunque accennare brevemente al profondissimo significato che vi è racchiuso.
La leggenda narra che viveva un tempo un uomo di nome Dedalo, capace di creare opere d’arte che
prendevano vita, statue che potevano vedere e udire, macchine che si movevano da sole. Sapeva fare
tutto questo. Dedalo era stimato in tutto il paese, ma era anche straordinariamente ambizioso. Aveva un
nipote, Talo, che fu istruito da lui, e che per certi aspetti giunse presto a superarlo. Ci viene narrato che
era capace di adoperare torni da vasaio e che padroneggiava delle arti ignote a Dedalo. Osservò per
esempio le mascelle di un serpente ed ebbe l’idea di costruire una sega prendendone a modello i denti.
Divenne così l’inventore della sega.
Se mettiamo a confronto le caratteristiche di Dedalo e quelle di Talo, così come ci vengono presentate,
vedremo che l’oggetto delle attività di Dedalo è ormai divenuto estraneo all’umanità della quinta epoca
della Terra, quella cui apparteniamo noi. Per contro, le invenzioni di Talo ben si addicono alle
competenze tecniche proprie della quinta epoca. Se facciamo un paragone con l’umanità della quarta
epoca della Terra, quella degli Atlantidi, possiamo constatare come questi ultimi fossero in grado di
usare la forza-vril allo stesso modo in cui noi adoperiamo il vapore per azionare locomotive, macchine
varie e via dicendo. In epoca postatlantica questa loro capacità è andata persa. Nella nostra epoca
abbiamo invece la capacità tutta moderna di assemblare oggetti inorganici per farne delle macchine. La
leggenda intende mostrarci questo passaggio.
Dedalo arriva addirittura al punto di fabbricarsi delle specie di ali, con le quali riesce a innalzarsi al di
sopra della Terra. Il figlio Icaro vuole fare lo stesso, ma senza riuscirvi, e perisce nel tentativo.
Nella prospettiva dello spirito greco, il confronto fra i due sta a indicare
che a epoche diverse della nostra evoluzione terrestre corrispondono compiti diversi.
• Se un’epoca dell’evoluzione terrestre volesse assumersi un compito che conviene solo a un’altra,
il tentativo la porterebbe alla rovina.
Ogni cosa al suo posto, ogni cosa a suo tempo.
I Greci hanno poi arricchito la leggenda di Dedalo con altri elementi.
Dedalo, dopo avere ucciso Talo, si reca a Creta da Minosse. A Creta abita un mostro, il Minotauro.
Questi è l’opposto della Sfinge, ha capo taurino e corpo d’uomo, mentre la Sfinge ha testa umana e
corpo d’animale. La sua condotta ha effetti devastanti, bisogna impedirgli di nuocere. Spetta a Dedalo
renderlo inoffensivo, ed egli vi riesce costruendogli un labirinto. Il Minotauro deve essere nutrito con
carne umana. Ogni nove anni devono essergli immolati sette giovinetti e sette fanciulle.
Alla leggenda del Minotauro è collegata quella di Teseo.
Teseo era figlio di Egeo. Quest’ultimo aveva stabilito che Teseo dovesse ricuperare da sotto a un grosso
macigno la spada e i sandali che egli, il padre, vi aveva nascosto. Dopo aver compiuto diverse imprese
ad Atene, Teseo si reca a Creta per sconfiggere il Minotauro e affrancare la città di Atene dal tributo dei
sette giovinetti e delle sette fanciulle.
Creta, per i Greci, è sempre stata sede di eventi eccezionali. Anche Licurgo deve essersi istruito a Creta,
e qui deve avere appreso quella costituzione, destinata a una sorta di società comunistica, che ha poi
portato a Sparta; questo perché Creta aveva con ogni probabilità una costituzione che era propria di
tutti gli antichi stati sacerdotali: si trattava di residui dell’antico comunismo sacerdotale atlantico,
caratterizzato dalla rinuncia a qualsiasi proprietà personale. All’origine di ogni religione, al suo
momento fondativo, è sempre connessa una certa forma di comunismo. Perfino Platone guarda ancora a
Creta come alla sede di una costituzione esemplare. Questa costituzione sacerdotale è un residuo
dell’antica organizzazione atlantica.
Dedalo aveva potuto scongiurare il pericolo che minacciava Creta perché la vita atlantica gli era
familiare. Dobbiamo vedere nel Minotauro il rappresentante della magia nera sull’isola.
A questo punto bisognava che la cosa finisse.
Ora gli Ateniesi non intendevano più mandare a Creta i sette giovinetti e le sette fanciulle.
Alla partenza, la nave di Teseo montava delle vele nere. Al loro posto, dopo la vittoria sul Minotauro,
egli voleva issare delle vele bianche. La magia nera doveva mutarsi in magia bianca. Grazie al filo di
Arianna, Teseo riuscì nell’impresa e fece ritorno ad Atene [ma dimenticò di montare le vele bianche]. I
Greci d’altronde non avevano ancora raggiunto una condizione che li rendesse pienamente degni della
via bianca.
Il filo di Arianna prefigura il dominio dell’amore.
E già in quell’epoca si può cogliere un’allusione al cristianesimo nel fatto che il principio dell’amore –
Arianna – viene rapito da Bacco, che di questo principio, la cui diffusione sarà opera del cristianesimo,
è ancora ignaro. Teseo, al pari di Ercole, fu considerato un eroe, un eroe solare, un iniziato del sesto
grado.
Nell’antica Grecia questo complesso di leggende divenne patrimonio popolare. Il popolo come tale le
conosceva.
By CTSadmin| Novembre 6th, 2018|MITOLOGIA GRECA|Commenti disabilitati su DEDALO E
ICARO
La leggenda degli Argonauti e l’Odissea
O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 14.10.1904
Oggi vorrei parlare di un mito molto importante, anch’esso greco, e anch’esso interpretabile, come
ogni altro mito, a livelli diversi e da diversi punti di vista. Si tratta ora di coglierne chiaramente il
nucleo reale. Ma, prima di passare a questo argomento, vorrei fare ancora qualche premessa teorica.
Nell’ultimo numero di “Lucifer-Gnosis” ho richiamato l’attenzione su un determinato influsso, che ha
cominciato ad agire sulla nostra specie umana durante le ultime tre civiltà atlantiche e che, sotto un
certo aspetto, dura tuttora. Questo influsso è legato al fatto che gli uomini, a quel tempo, erano ormai
maturi per vivere nel segno di ciò che chiamiamo intelletto, intelligenza logica. Prima di allora, la
caratteristica essenziale dell’uomo era stata piuttosto la memoria.
La memoria umana si era sviluppata, fino alla quarta civiltà atlantica, in misura eccezionale.
L’intelligenza combinatoria, la padronanza del calcolo aritmetico, in breve:
ciò su cui si fonda tutta la nostra civiltà, la civiltà attuale,
ha avuto origine con la quinta civiltà atlantica, con i Protosemiti.
E per questo i Protosemiti sono potuti altresì diventare i capostipiti di tutta l’umanità della quinta
epoca, quella postatlantica. Nel corso dell’evoluzione, l’umanità della quinta epoca ha prevalentemente
la funzione di sviluppare l’intelletto, che è rivolto al piano fisico.
Ora, quando nell’umanità si apre una nuova fase evolutiva, come quella dell’intelletto, è possibile che
nuovi esseri, rimasti fino ad allora nell’ombra, acquistino un influsso sull’evoluzione. E in effetti, a
partire da quel momento, a partire dalla quinta civiltà atlantica, potè mettersi all’opera nell’ambito
dell’evoluzione umana una determinata schiera di esseri, la cui attività, prima, non era percepibile.
Questi esseri dovete immaginarveli estremamente evoluti, ben più di quanto lo fosse l’uomo nel suo
stadio evolutivo di allora. In certo modo, però, erano rimasti indietro rispetto agli esseri che erano
intervenuti nel genere umano a metà dell’epoca lemurica. Dunque, vi furono in sostanza dei nuovi
arrivi.
Gli esseri di cui sto parlando adesso appartenevano, per la totalità della loro natura, a quella che
chiamiamo evoluzione lunare. La loro evoluzione si era compiuta nell’epoca della Luna, ma essi non
avevano raggiunto il livello degli esseri che erano potuti entrare in azione a metà del periodo lemurico.
Erano rimasti indietro rispetto all’evoluzione normale compiutasi sulla Luna. Erano arrivati
esattamente a un punto per cui riconobbero affini a loro le facoltà che gli uomini avevano allora
acquistato, e la conseguenza fu che poterono appropriarsene.
Prima, gli uomini non erano esseri intelligenti; ora avevano ricevuto l’intelletto. E gli esseri si
valsero di questa nuova facoltà per la loro ulteriore evoluzione. Così avvenne che ebbe inizio, allora,
quella fase evolutiva che definiamo di preparazione alla scientificità oggettiva. In precedenza, questa
non esisteva, né esisterà più in un tempo avvenire.
Tutta la saggezza che si era acquisita nel corso dell’evoluzione dell’umanità
aveva un nesso sostanziale con quello che chiamiamo amore.
• La scientificità fredda, puramente calcolatrice, è influenzata da questi esseri, che rappresentano dei
“nuovi arrivi”.
L’influsso di questi esseri dunque, che oggi in qualche maniera sono pur sempre attivi, avrà fine
solamente quando tutto il lavorìo del nostro intelletto, tutto ciò che possiamo sapere, tutto ciò che
chiamiamo attività intellettuale, sarà anch’esso permeato di amore.
Quando intelletto e amore si saranno ricomposti nell’unità di una superiore saggezza, l’influsso di
questi esseri, che non sono visibili sul piano fisico, scomparirà. Rendere chiaro agli uomini tale
influsso, renderlo chiaro in primo luogo ai discepoli dei misteri, fu segnatamente il compito dei misteri
greci.
Intorno all’ottavo secolo avanti Cristo si inaugura, per ciò che riguarda questi esseri, un’epoca di
particolare importanza. Se prendete in esame le civiltà della nostra quinta epoca, cominciando dal
periodo dell’antica civiltà vedica, passando poi per quello delle civiltà paleo-persiana e caldeo-egizia, e
giungendo fino ai tempi della civiltà druidica, scoprirete che in tutti questi periodi di civiltà non
esisteva ancora, propriamente parlando, una scienza oggettiva, una scienza neutrale.
La sua comparsa si ebbe soltanto nel periodo che vide il progressivo affermarsi della quarta civiltà, e i
cui inizi sono rintracciabili all’incirca nell’ottavo secolo avanti Cristo. Fu questo periodo a segnare la
nascita di una scienza oggettiva, isolata da ogni altro contenuto dell’animo umano. Nel coltivare
l’astronomia, un sacerdote caldeo mirava ancora a penetrare i disegni del governo cosmico. Lo stesso
facevano i sacerdoti degli Egizi e quelli druidici; essi cercavano di discernere i propositi di chi reggeva
il mondo.
Una scienza puramente razionale iniziò a sorgere soltanto in Grecia. Questa scienza razionale, che
si era preparata a poco a poco e s’era fatta strada grazie all’influsso degli esseri di cui abbiamo parlato,
ma che aveva un legame con il resto dell’attività umana, si rese del tutto indipendente nel quarto
periodo di civiltà della quinta epoca. Gli iniziati che venivano istruiti nei misteri di quel tempo
percepivano che la saggezza primordiale, della quale il genere umano era stato in precedenza reso
partecipe, era come andata persa di fronte all’imporsi della saggezza esteriore, e bisognava quindi
tornare a cercarla.
Vi è stato un preciso momento in cui questa spenta saggezza esteriore si è isolata dall’ampio contesto
della saggezza primordiale. Tale momento, il momento della separazione di questa saggezza
spassionata e arida dal vasto insieme della saggezza primordiale, è stato caratterizzato dicendo che,
all’incirca nell’ottavo secolo avanti Cristo, il Sole, all’equinozio di primavera, è passato in Ariete.
Questo passaggio del Sole in Ariete è la ripetizione di un precedente passaggio nello stesso segno,
compiutosi migliaia di anni prima. Il Sole percorre infatti, com’è noto, l’intero zodiaco, passando
successivamente nei segni zodiacali dell’Ariete, del Toro, dei Gemelli, del Cancro, del Leone, della
Vergine e così via, ed è passato quindi già molte volte in Ariete. Quando era accaduto l’ultima volta,
l’uomo possedeva ancora amore e conoscenza riuniti, e con essi la saggezza primordiale. Ora questa
saggezza primordiale era andata persa, e al suo posto era subentrata una civiltà dell’intelletto,
dell’esteriorità.
Nella Grecia antica, il sacerdote dei misteri descriveva tutto questo processo nel suo significato
occulto con il mito, di incommensurabile profondità, contenuto nella leggenda degli Argonauti, ove
l’Ariete rappresentava il simbolo dell’unione di amore e conoscenza.
Diamo allora uno sguardo d’insieme a questo mito.
Il racconto dice che Frisso ed Elle dovevano molto soffrire per opera di Ino, la loro perfida matrigna.
Perciò la madre di Frisso, la divina Nefele, apparve al figlio e gli consigliò di cercare scampo nella fuga
assieme alla sorella. Gli diede anche un grosso ariete dal vello d’oro, con il quale avrebbero potuto
cavalcare al di sopra del mare. Accadde poi che Elle precipitò e annegò nel mare, che perciò venne
detto da allora Ellesponto, mentre Frisso raggiunse la Colchide con l’ariete. Là, sacrificò l’ariete a Zeus
e ne donò il vello al re Eete, che lo appese a una quercia davanti a una grotta. In seguito, l’eroe greco
Giasone, accompagnato dai più eminenti fra gli iniziati greci del tempo (Orfeo, Teseo, Eracle e altri
ancora), si mise in viaggio per andare a riprendere il vello dell’ariete togliendolo ai popoli barbari della
Colchide. Essendosi guadagnato il favore di Medea, la figlia più giovane del re Eete, riuscì infine a
riportare il vello dell’ariete in Grecia. Prima dovette però soggiogare due tori che soffiavano fuoco, e
poi seminare i denti di un drago; dai denti del drago sorsero degli uomini in armatura, che si disposero
al combattimento. L’aiuto di Medea permise a Giasone di renderli inoffensivi. Fu sempre Medea a far sì
ch’egli potesse prendere il vello dell’ariete e intraprendere, con il vello e assieme a lei, il viaggio di
ritorno alla volta della Grecia. Per ingannare suo padre, Medea aveva portato con sé il fratello, lo aveva
ucciso e, fattolo a pezzi, lo aveva gettato in mare. Mentre il padre, straziato, ne raccoglieva le membra,
Medea e Giasone poterono proseguire la loro fuga verso la Grecia.
Nel nono e nell’ottavo secolo prima di Cristo, agli inizi dunque del periodo della civiltà greca, i
discepoli dei misteri greci venivano istruiti circa il significato occulto di questa leggenda. Esso consiste
nel rendere noto che, a partire da quel momento, gli esseri che si servono dell’arida, spassionata
intelligenza degli uomini acquistavano un’importanza particolare. Tornava allora a risvegliarsi la
nostalgia della civiltà primordiale, quella che era esistita un tempo, allorché il Sole era passato per
l’ultima volta in Ariete.
Che i gemelli Frisso ed Elle vengano portati nella Colchide dall’ariete non significa altro se non che
una precedente civiltà, quella persiano-iranica, con la sua natura gemina – i Persiani vivevano sotto il
segno della dualità bene-male, Ormazd-Arimane -, intende riguadagnare il nesso di conoscenza e
amore. Questo, la civiltà precedente l’aveva portato in regioni nascoste. In passato, nell’epoca atlantica,
questo vello, questa saggezza, aveva costituito un patrimonio comune della civiltà umana, quindi era
stato portato in remote scuole misteriche. Bisognava andare a riprenderlo. Vediamo così che nella
leggenda degli Argonauti si vuole alludere alla fondazione di scuole misteriche in Grecia.
Ai tempi dell’umanità atlantica c’era dunque una saggezza primordiale – così ci viene narrato -,
che era allora patrimonio comune dell’umanità. Questa saggezza primordiale era andata smarrita, e
ormai la si poteva trovare soltanto nelle grotte e nelle cripte delle scuole misteriche. I Greci però
istituirono nuovamente i misteri per i loro iniziati, e Teseo, Orfeo, Eracle e altri ancora furono i
fondatori di queste scuole di saggezza, in quanto riportarono in Grecia la saggezza primordiale.
Per opera di Talete, Anassimene, Socrate e altri filosofi
si venne affermando una saggezza fredda e spassionata,
una saggezza dell’intelletto, una saggezza oggettiva.
La saggezza dei misteri è congiunta con l’amore.
È una saggezza che non si può ottenere senza purificarsi dalle passioni, dalle forze del kama.
• Alla scienza razionale, invece, si può giungere senza purificazione del kama.
In una leggenda così importante come quella degli Argonauti
ci viene dunque illustrato il passaggio dal terzo al quarto periodo di civiltà
della nostra attuale epoca della Terra.
La transizione si compie con lo spartirsi del flusso della civiltà umana, prima indiviso,
in due correnti: la saggezza dei misteri e la scienza razionale esteriore.
La prima corrente, che è simboleggiata precisamente nella riconquista del vello dell’ariete, era
nascosta,
ma questo non le ha impedito di agire e di influenzare l’arte e la cultura greche.
Soltanto sulla scienza razionale non avrebbe avuto, da allora in avanti, alcuna influenza.
Questa è dunque la leggenda della spedizione degli Argonauti.
Anche nel caso della leggenda di Odisseo vediamo che c’è il riferimento a una transizione, al
passaggio da un’epoca della Terra a un’altra. Questa leggenda ha ricevuto nel corso del tempo
interpretazioni e spiegazioni le più diverse. Oggi mi limiterò a delinearne sinteticamente la trama. Nel
mio libro Il cristianesimo come fatto mistico ho cercato di servirmi del secondo metodo di
interpretazione, quello allegorico; oggi seguiremo il terzo, il metodo dell’interpretazione occulta.
Odisseo, dopo avere partecipato alla guerra di Troia e aver aiutato i Greci, con la sua astuzia e il suo
ingegno, a conquistare la città, compie lunghe peregrinazioni per mare; prego di tenerlo ben presente.
Giunge fra i Ciclopi, ha la meglio sul loro capo, dotato di un solo occhio, poi continua il viaggio
arrivando da Circe, che, come narra la storia, muta in porci i suoi compagni. In seguito, si reca
nell’Ade, e qui si intrattiene con gli eroi caduti nella guerra di Troia. S’inoltra poi nel dominio delle
Sirene, che seducono gli uomini con il loro canto ammaliante. Apprendiamo dal seguito del racconto
che la maggior parte dei compagni di Odisseo soccombe alla fascinazione delle Sirene, mentre egli si
salva facendosi saldamente legare alla sua nave. Successivamente, raggiunge un punto, che è situato fra
Scilla e Cariddi, dove le navi corrono il rischio di naufragare, e qui deve scampare all’attraversamento
di un gorgo marino. Approda poi a Ogigia, l’isola della ninfa Calipso, dove è costretto a restare per
sette anni, finché viene liberato da Zeus, che dà ordine a Calipso di lasciarlo andare. Infine, giunge a
Itaca, la sua patria. Viene guidato dalla dea Pallade Atena alla sua casa e alla sua sposa, Penelope, che
era rimasta esposta a pericoli di ogni sorta, giacché molti pretendenti aspiravano ad averla. Così,
Penelope tesseva durante il giorno una tela che tornava poi a disfare durante la notte, avendo promesso
ai pretendenti la sua mano una volta che la tela fosse stata ultimata.
Vi prego ora di ripercorrere con me la trama della leggenda di Odisseo seguendo il metodo che la
saggezza dei misteri greci ci ha fatto conoscere. Le scuole iniziatiche, dove ciò che è narrato in questa
leggenda veniva concretamente riattualizzato, offrivano al discepolo una guida, sul piano astrale e sul
piano mentale, che lo metteva in condizione di percorrere un determinato tratto dell’evoluzione umana,
e precisamente quello racchiuso fra la metà dell’epoca lemurica e il momento nel quale, in Grecia,
l’uomo potè riscoprire nelle scuole iniziatiche che erano state fondate da Giasone, e assieme a lui da
Orfeo, Teseo, Eracle e altri, la saggezza primordiale. Il discepolo era dunque condotto sul piano astrale
e su quello mentale, e gli venivano mostrati gli avvenimenti attraverso i quali l’umanità era passata a
cominciare dalla metà dell’epoca lemurica fino al punto in cui si era svolta la guerra di Troia. Quello
che ci viene presentato attraverso il racconto mitico della spedizione degli Argonauti è un momento
della saggezza primordiale. Ci viene mostrato come questa procedesse allora a fianco della scienza. E,
con la saga di Odisseo, che cosa si mostrava agli uomini, ai discepoli delle scuole di iniziazione? Lo
vediamo emblematicamente rappresentato nello stesso Odisseo.
Spostiamoci adesso indietro nel tempo, fino alla metà dell’epoca lemurica. L’uomo stava passando
allora dallo stato ermafroditico alla differenziazione sessuale, e la sua vista di prima, indipendente da
un organo di senso fisico, esterno, si stava trasformando nella vista mediata dall’occhio fisico,
dall’occhio esteriore. Fino alla metà dell’epoca lemurica, l’uomo aveva in effetti quell'”unico occhio”
che venne poi sostituito dai due occhi fisici esterni.
Il discepolo veniva ritrasferito in questa fase dell’evoluzione. Doveva rivivere il passaggio dalla prima
alla seconda fase lemurica, quella compresa fra il momento centrale dell’epoca lemurica e la comparsa
dell’occhio esteriore. I Ciclopi erano gli uomini della prima fase lemurica. Odisseo ne fece la
conoscenza sul piano astrale.
Dopo quest’epoca, il corpo astrale dell’uomo era stato calato nella materia che stava diventando più
compatta e più solida. Questo era ciò cui gli iniziandi venivano messi di fronte. Ci avviciniamo quindi
al principio dell’epoca atlantica. L’uomo atlantico acquista sempre più la capacità di utilizzare le forze
vitali, di servirsene per le sue attività. Quelle sviluppate dagli Atlantidi erano facoltà astrali elevate,
molto evolute, e un greco poteva riattingerle unicamente sul piano astrale.
Erano questi i tempi, tanto spesso citati nelle antiche scritture occulte, in cui le stirpi atlantiche
andavano scadendo nelle arti brutali della magia nera. Ai discepoli dei misteri greci quest’epoca veniva
presentata in forma drammatica attraverso immagini di trasformazione. Era l’epoca in cui le passioni
umane erano a tal punto degenerate sotto l’influsso delle forze appartenenti alla magia nera, che i corpi
astrali assomigliavano agli animali immondi. E questa fu l’immagine che si offrì quando, più tardi, i
Turani si abbandonarono alle stesse brutali arti magiche. Sotto l’influsso di questa negromanzia il corpo
astrale subì un tale mutamento che, in termini simbolici, si disse che Circe aveva mutato in porci i
compagni di Odisseo. L’iniziato greco ripercorreva questo momento dell’evoluzione umana.
Odisseo era poi sceso agli inferi. Ora, tutte le volte che nelle leggende greche si parla di una discesa
agli inferi, vuol dire che siamo in presenza di una iniziazione. Quando leggiamo che un eroe si è
inoltrato nel mondo degli inferi, il narratore, con questo, non vuol dire altro se non che l’eroe in
questione è stato iniziato, che è stato portato a conoscenza di ciò che sta oltre la morte. Odisseo era un
iniziato, e la leggenda di Odisseo è, come tale, il racconto della sua iniziazione.
Ora proseguiamo fino al momento in cui, dopo l’inondazione che sommerse l’Atlantide, gli uomini
conobbero i primi effetti dell’attività di quegli esseri di cui ho parlato, effetti attraverso i quali essi si
manifestarono nella civiltà esteriore, nella scienza e nelle arti di allora, e che, appunto dopo la
scomparsa dell’Atlantide, esercitarono il loro influsso sulla sfera intellettuale.
All’iniziato, le prime manifestazioni di una civiltà meramente esteriore, fisica, venivano presentate
come le seduzioni delle arti puramente mondane, della cultura puramente mondana. Erano i canti di
sirena della giovane umanità postatlantica, quei canti dei quali tanto spesso si parla nelle scritture
occulte. Da una parte abbiamo infatti il grande insegnamento di saggezza del Manu, il quale richiama
gli uomini della quinta epoca alla necessità che il loro intelletto si elevi al divino. Questo richiamo ha
trovato la sua espressione nei Veda, e in quella religione che il persiano Zarathustra ha fondato e
lasciato in eredità ai propri correligionari. Accanto a questo, d’altra parte, abbiamo la civiltà basata
esclusivamente sull’intelletto, che distoglie gli uomini da quanto si sviluppa sotto l’influsso del Manu.
In tutte le scritture occulte trovate descritti gli avvenimenti che si svolsero a quei tempi.
Il Manu scelse un piccolo gruppetto di uomini e andò nel deserto del Gobi, o Shamo. Qui, solo una
ridotta schiera gli rimase fedele, mentre gli altri lo abbandonarono e si dispersero in tutte le direzioni.
Questo importante avvenimento dunque, per cui il Manu scelse dapprima una parte dei Protosemiti, ma
poi solo un piccolo numero di questi eletti lo seguì, mentre i restanti andarono incontro alla rovina per
aver seguito il canto di sirena della civiltà esteriore, questo importante avvenimento era ciò che veniva
presentato agli iniziandi.
Nella leggenda di Odisseo è poi descritto un altro importante momento dell’evoluzione dell’umanità, il
passaggio fra Scilla e Cariddi. Che cosa comincia propriamente a succedere nell’umanità, a questo
punto? Solo adesso ha inizio, come abbiamo visto, la vera e propria civiltà del kama-manas. Fino ad
ora questa civiltà è stata lentamente preparata. Adesso ha inizio. E nella quinta epoca, la nostra, la
civiltà del kama-manas è quella dominante. Il kama agisce nella sfera astrale, ed è attivo ancor oggi
nel corpo astrale. Ma ciò che è attivo nel cervello fìsico è il manas. L’uomo della quinta epoca pensa
con il cervello fisico. Solo in una fase futura dell’evoluzione anche il kama, il corpo astrale, si
svilupperà fino al punto di poter pensare. Per ora, nel cervello fisico è insediato il manas.
Noi dobbiamo passare attraverso i due gorghi di Scilla e Cariddi, che ci fanno sbandare da una parte e
dall’altra. Questo è ciò che viene rappresentato nel passaggio di Odisseo fra Scilla-manas e Cariddikama. Da una parte c’è il gorgo astrale, ci sono gli istinti, i desideri e le passioni in cui l’uomo può
annegare, e dall’altra c’è l’intelletto fìsico forgiato sulla roccia.
Abbiamo già incontrato la roccia nella leggenda di Prometeo. Qui ci si para un’altra volta di fronte.
L’intelletto umano è esposto a tutti i pericoli della physis, della roccia.
L’uomo deve veleggiare tenendosi fra gli scogli dell’intelletto fìsico e il gorgo della vita astrale.
Se riesce a superare questo frangente, se riconosce i pericoli che lo minacciano e riesce tuttavia a
uscirne indenne, approda allora all’isola di Calipso, alla saggezza nascosta. Qui può inoltrarsi con lo
sguardo nel futuro dell’umanità, può sostenere il tempo della prova, che si prolunga per sette anni.
Perciò Odisseo rimane appunto per sette anni presso Calipso.
Chiunque voglia pervenire all’iniziazione deve sostenere un settennio di prove, e a questo allude la
sosta presso Calipso, dietro il cui inganno sta celata la saggezza. Solo dopo aver superato la prova egli
può giungere là dove giunge l’anima che è scampata al gorgo delle passioni astrali.
Leggete l’Odissea omerica; ciò che Omero vuol dire è che l’uomo cerca la propria anima. Aspirare
al ritorno in patria significa tendere alla riscoperta dell’anima. Chi vuole davvero comprendere
l‘Odissea non può associarsi all’opinione di uno studioso recente, secondo il quale l’episodio di
Polifemo e dei Ciclopi non si riferirebbe ad altro che a un’eruzione dell’Etna, nelle cui vampe Odisseo
avrebbe creduto di scorgere l’occhio del gigante.
Da ultimo, Odisseo si avvia verso casa vestendo i panni di un mendicante, sprovvisto di ogni bene
esteriore. Questo sta a significare che colui il quale ha intuito fino in fondo l’irrilevanza del mondo
esteriore e dei beni mondani cerca la patria dell’anima non dentro, ma oltre la maya, e che dunque, in
senso mistico, giunge in patria da mendicante.
Che Odisseo in realtà sia un saggio è indicato dal fatto che verso casa lo guida Pallade Atena. In tutto
l’esoterismo, l’anima personale viene rappresentata da un essere femminile; sono sempre degli esseri
femminili quelli scelti come simboli dell’anelito dell’anima personale. È ciò che Goethe chiama
l’eterno femminino.
Come nella leggenda della spedizione degli Argonauti dobbiamo vedere l’anima personale in Medea,
qui dobbiamo vederla in Penelope: Penelope è l’anima cui Odisseo cerca di fare ritorno.
Nella religione cristiana, l’anima umana che aspira alla redenzione è la Vergine Maria, anche se qui
abbiamo un significato infinitamente più profondo. Penelope, per dirlo con esattezza, è l’anima
dell’uomo che appartiene alla quinta epoca della Terra. Questa epoca ha il compito di coltivare
l’intelletto umano. Di per se stesso, l’intelletto è quanto di più sterile possa esistere; solamente se
viene applicato a un contenuto può diventare fecondo. L’intelletto è una rete che viene tessuta
intorno alle cose, alle cose che ci vengono da altre parti. Se l’esperienza esteriore vi insegna una cosa,
potete avvolgerla nella rete dell’intelletto. Se poi a insegnarvi qualcosa è la saggezza superiore, la
saggezza occulta, anche in questo caso potete tessergli intorno la rete dell’intelletto. Spesso si dice che
le dottrine occulte sarebbero in contraddizione con l’intelletto. Ma non v’è nulla che sia in
contraddizione con l’intelletto. Tutte le volte che entro il loro orizzonte si è affacciata una novità, gli
uomini, sempre, l’hanno giudicata in contraddizione con l’intelletto.
Ma l’intelletto è li solo per combinare dei dati, per collegarli.
• A nulla può giungere partendo da se stesso; basandovi sul solo intelletto non potete dimostrare nulla.
• Questa improduttività dell’intelletto, nel quale tuttavia sta la vera anima della quinta epoca,
trova espressione nell’incessante tessere e disfare con cui Penelope lavora alla sua tela.
Odisseo viene guidato dalla saggezza. L’iniziato deve trovare la strada che lo conduca all’anima della
quinta epoca, allo sterile intelletto. Ma potrà adeguatamente riunirsi a tale anima solo se è colmo egli
stesso di saggezza, se viene guidato da Pallade Atena, la quale è a sua volta una divinità femminile
superiore, un’altra forza presente nell’anima: la saggezza, la vera guida. Dopo aver lungamente
peregrinato, e in quanto le sue peregrinazioni siano state realmente percorsi evolutivi, l’uomo deve
arrivare all’intelletto. E a questa meta deve guidarlo Pallade Atena, la saggezza. Questo è ciò che in
Grecia veniva mostrato al discepolo dei misteri, e che Omero ha inteso narrare nella leggenda di
Odisseo, così ricca di profondi significati.
È dunque una iniziazione quella che ci viene presentata nella leggenda di Odisseo, un’iniziazione qual
era in uso nella Grecia di allora, e che in null’altro consisteva se non nella ripetizione, attuata sul piano
astrale-mentale, delle esperienze vissute dagli uomini nell’epoca lemurica e fino al tempo dei misteri
stessi.
Odisseo è l’uomo astuto, l’uomo d’ingegno, grazie alle cui facoltà Troia fu sconfitta. L’uomo
intelligente ricco d’ingegno è l’uomo della quinta epoca. Questi però deve tornare, attraverso lunghi
giri, a cercare la sua patria, la sua Penelope: solo così potrà andare diritto per la sua strada nella quinta
epoca. Chi ha solamente astuzia e ingegno, entro la quinta epoca non può trovare la retta strada. Prima,
deve uscire da sé e ampliare il proprio sguardo, volgendolo indietro al lungo percorso evolutivo del
genere umano. Odisseo è il rappresentante dell’astuto uomo del kama-manas, che deve compiere
lunghe peregrinazioni per essere ricondotto all’anima nella quinta epoca della Terra.
By CTSadmin| Novembre 6th, 2018|MITOLOGIA GRECA|Commenti disabilitati su LA LEGGENDA
DEGLI ARGONAUTI E L’ODISSEA
Zeus – Poseidone – Plutone
O.O. 129 Meraviglie del creato – 20.08.1911
I Greci erano coscienti che date le condizioni della loro epoca gli esseri delle gerarchie divine non
potevano incarnarsi direttamente sulla terra. Tuttavia le individualità animiche che i Greci si
rappresentavano come dèi si erano incarnate in corpi fisici, precisamente durante l’epoca atlantica.
Come vedemmo gli eroi camminare sulla terra con corpi umani,
avendo nella loro interiorità un sapere di carattere luciferico, di natura sovrumana,
• come negli eroi abbiamo Angeli lunari rimasti indietro incarnatisi più tardi,
• così negli dèi greci abbiamo entità che si erano già incarnate in corpi atlantici.
A quel tempo vivevano tra gli uomini come re e sacerdoti atlantici,
e appunto allora raggiunsero quel che dovevano conseguire dall’evoluzione della terra
attraverso l’incarnazione in un corpo umano.
Si può dunque dire che la coscienza greca pensava i suoi dèi
come vere e proprie entità luciferiche
che avevano però ormai attraversato la loro incarnazione umana nell’antico tempo atlantico.
Volendo comprendere il mondo degli dèi greci, bisogna avere questa conoscenza di base.
Tuttavia un’altra contraddizione potrebbe presentarsi alla nostra anima.
Si potrebbe dire: da una parte ci dici che Zeus è nel macrocosmo il rappresentante delle forze del corpo
astrale operanti nell’uomo, che Poseidone rappresenta nel macrocosmo le forze attive nel corpo eterico
e Plutone quelle che agiscono nel corpo fisico; si dovrebbero cioè pensare queste forze diffuse nelle
ampiezze dello spazio. Che esse operino all’esterno senza venir concentrate nelle singole figure umane,
lo potrebbe obiettare solo chi non è ancora arrivato a capire come avviene veramente l’evoluzione, qual
è l’intero senso dell’evoluzione.
By CTSadmin| Novembre 6th, 2018|MITOLOGIA GRECA|Commenti disabilitati su ZEUS –
POSEIDONE – PLUTONE
Storia Celeste. Storia Mitologica. Storia Terrena.
Mistero del Golgota
O.O. 26 – Massime antroposofiche – Lettera del 04.01.1925 – massime n° 140-143
Nel Cosmo spaziale si stanno di fronte le immensità del firmamento e il centro della terra.
Nelle immensità del firmamento sono in certo modo « disseminate » le stelle.
Dal centro della terra irradiano forze in ogni direzione dello spazio cosmico.
• Dato il modo in cui l’uomo, nella presente epoca cosmica, è situato nel mondo,
il risplendere delle stelle e l’azione delle forze terrestri possono apparirgli soltanto
quale opera compiuta complessiva degli esseri divino-spirituali con i quali è collegato nella sua
interiorità.
• Ma vi fu un’epoca cosmica in cui il risplendere delle stelle e le forze terrestri
erano ancora immediata manifestazione spirituale degli esseri divino-spirituali.
Nella sua ottusa coscienza, l’uomo sentiva gli esseri divino-spirituali attivi nella sua entità.
Seguì poi un’altra epoca.
Il firmamento si staccò, quale ente corporeo, dall’azione divino-spirituale.
• Ne nacque ciò che si può chiamare spirito del mondo e corpo del mondo.
Lo spirito del mondo è una pluralità di entità divino-spirituali.
Nell’epoca più antica esse agiscono sulla terra dalle loro sedi stellari.
Ciò che risplendeva negli spazi, ciò che irradiava come forze dal centro della terra,
era in realtà intelligenza e volontà delle entità divino-spirituali intente a creare la terra e l’umanità
terrestre.
Nell’epoca cosmica posteriore — dopo l’evoluzione di Saturno e del Sole —
l’attività dell’intelligenza e della volontà degli esseri divino-spirituali diventò sempre più
spiritualmente interiore.
Ciò in cui esse erano in origine attivamente presenti diventò « corpo del mondo »,
ordinamento armonico delle stelle negli spazi universali.
Possiamo dire, guardando indietro a queste cose con una concezione del mondo conforme allo spirito:
• dal primordiale corpo-spirito degli esseri creatori dei mondi,
nacquero lo spirito del mondo e il corpo del mondo.
• E il corpo del mondo, nell’ordinamento e nel movimento delle stelle,
palesa quale fosse un tempo l’azione intelligente e volitiva degli dèi.
• Ma per il presente cosmico, ciò che prima erano libera e mobile intelligenza divina e volontà divina
nelle stelle,
in esse divenne fisso, secondo date leggi.
Dunque ciò che dai mondi stellari risplende oggi sull’uomo terrestre
non è espressione immediata della volontà divina, dell’intelligenza divina;
è invece un segno fissato di ciò che volontà e intelligenza divine furono un tempo nelle stelle.
Nella conformazione dei cieli stellati, che suscita l’ammirazione dell’anima umana,
è dunque visibile una manifestazione divina passata, non già la manifestazione presente.
• Ma quello che così, nello splendore delle stelle, è « passato », è invece « presente » nel mondo dello
spirito.
• E l’uomo, col suo essere, vive in questo « presente » spirito del mondo.
Nella formazione dell’universo
• dobbiamo guardare indietro a un’epoca cosmica antica,
in cui lo spirito del mondo e il corpo del mondo operano come un’unità.
• Dobbiamo guardare ad un’epoca di mezzo, in cui essi si svolgono come dualità.
• E dobbiamo pensare, nell’avvenire, ad una terza epoca,
in cui lo spirito del mondo riprenderà il corpo del mondo nell’àmbito della propria azione.
Durante l’epoca antica le costellazioni e il corso delle stelle non avrebbero potuto venir « calcolati »,
poiché erano espressione dell’intelligenza libera, della libera volontà di esseri divino-spirituali. In
avvenire saranno nuovamente tali da non poter essere calcolati.
Il « calcolo » ha valore soltanto per l’epoca cosmica di mezzo.
E come per le costellazioni e il corso delle stelle,
ciò vale anche per l’attività delle forze irraggianti dal centro della terra negli spazi.
• Anche quello che agisce « dalle profondità » diventa calcolabile.
Ma tutto tende, nell’epoca cosmica più antica, verso quella di mezzo
nella quale ciò che è spaziale e temporale diventa « calcolabile »,
e il divino-spirituale, come manifestazione di intelligenza e di volontà,
deve venir cercato « dietro » al « calcolabile ».
Soltanto in quest’epoca di mezzo
sono date le condizioni in cui l’umanità può progredire da una coscienza ottusa
ad un’autocoscienza chiara e libera, ad una libera intelligenza e ad una libera volontà sue proprie.
Doveva una volta venire il tempo in cui Copernico e Keplero « calcolassero » il corpo del mondo,
perché dalle forze cosmiche che sono connesse col realizzarsi di quel momento doveva formarsi
l’autocoscienza umana. In tempi più antichi tale autocoscienza era stata predisposta; poi venne il tempo
in cui essa divenne capace di « calcolare » gli spazi cosmici.
Sulla terra si svolge la « storia ».
• Ad essa non si sarebbe mai giunti se gli spazi dell’universo non fossero diventati
costellazioni « stabili » e corsi « fissi » di stelle.
• Nel « divenire storico » sulla terra
abbiamo un’immagine – ma assolutamente trasformata – di ciò che un tempo fu « storia celeste ».
I popoli più antichi conservavano ancora nella loro coscienza questa « storia celeste »
e guardavano assai più a questa che alla « storia terrena ».
Nella « storia terrena » vivono intelligenza e volontà degli uomini,
dapprima connesse con l’intelligenza e la volontà divine, poi indipendenti.
Nella « storia celeste » vivevano l’intelligenza e la volontà degli esseri divino-spirituali connessi con
l’umanità.
Se si guarda indietro alla vita spirituale dei popoli, si trova che,
• in un remotissimo passato, esisteva negli uomini la coscienza
di una comunanza di essere e di volere con le entità divino-spirituali;
sicché la storia degli uomini è storia celeste.
Quando l’uomo narrava delle « origini », egli parlava di processi non terreni, ma cosmici.
Anzi, anche per il suo presente, i fatti del mondo terreno che lo circondavano
gli apparivano così poco importanti, in confronto ai processi cosmici,
che egli teneva conto soltanto di questi e non di quelli.
Vi fu un tempo in cui l’umanità aveva una coscienza
con la quale poteva contemplare la storia celeste in grandiose impressioni;
in esse gli esseri divino-spirituali stessi stavano davanti all’anima dell’uomo.
• Essi parlavano; e l’uomo ne udiva il linguaggio in un’ispirazione di sogno;
essi rivelavano le loro figure; e l’uomo le vedeva in un’immagine di sogno.
Questa storia celeste, che per lunghe epoche riempì le anime umane,
fu seguita dalla « storia mitica » che oggi è in genere ritenuta poesia antica.
Essa collega eventi celesti con eventi terreni.
Vi compaiono per esempio degli « eroi », degli esseri sovrumani.
Sono esseri che nella loro evoluzione stanno al di sopra dell’uomo.
Gli uomini, per esempio in una data epoca,
hanno sviluppato le parti costitutive del loro essere soltanto fino all’anima senziente.
L’« eroe » ha invece già sviluppato quello che un giorno apparirà nell’uomo come sé spirituale.
L’« eroe » non può incarnarsi direttamente nelle condizioni terrestri;
ma lo può immergendosi nel corpo di un uomo
e rendendosi così atto a svolgere la sua attività come uomo fra gli uomini.
Negli « iniziati » dei tempi antichi dobbiamo vedere esseri siffatti.
I fatti del divenire del mondo si svolgono dunque in modo che nelle diverse epoche
l’umanità non si è « rappresentata » gli eventi in una data maniera,
ma che realmente è avvenuta una trasformazione in ciò che si svolgeva
tra il mondo spirituale che era « incalcolabile » ed il mondo corporeo « calcolabile ».
Solo che, molto tempo dopo che le condizioni del mondo si erano già mutate,
la coscienza umana dell’uno o dell’altro popolo si atteneva ancora
ad una « concezione del mondo » corrispondente ad una realtà molto più antica.
In un primo tempo questo si verifica in modo che la coscienza umana,
la quale non va di pari passo con gli eventi cosmici, vede ancora realmente l’antico.
• Poi segue un’epoca in cui la veggenza impallidisce, e l’antico viene ancora conservato per
tradizione.
• Così nel medioevo ci si rappresenta ancora per tradizione un intervento del mondo celeste in quello
terreno,
senza più ormai vederlo, perché è svanita la facoltà di vedere in immagini.
E nel mondo terreno i popoli si evolvono in modo
da conservare per periodi di varia durata l’una o l’altra concezione del mondo;
coesistono così l’una accanto all’altra delle concezioni del mondo
che, secondo la loro natura, sarebbero susseguenti.
Tuttavia le diverse concezioni del mondo dei popoli non dipendono solo da questo,
ma anche dal fatto che, a seconda delle loro disposizioni, i diversi popoli vedevano fatti diversi.
• Così gli Egizi vedevano il mondo degli esseri che, sulla via di diventare uomini, si erano
prematuramente arrestati,
e non erano diventati uomini terreni;
e vedevano l’uomo, dopo la sua vita terrena, in tutto ciò che egli ha da fare con quegli esseri.
I Caldei vedevano piuttosto come esseri extraterrestri, buoni e cattivi,
entrassero nella vita terrestre, per spiegarvi la loro attività.
• All’antica « storia celeste » propriamente detta,
che durò un lunghissimo periodo di tempo,
• segue la « storia mitologica », più breve, ma tuttavia ben lunga
• in confronto alla « storia » vera e propria che le tenne dietro.
Come ho già detto, gli uomini abbandonano a fatica nella loro coscienza
le concezioni antiche nelle cui rappresentazioni gli dèi e gli uomini collaborano insieme.
Così, mentre già da un pezzo esiste la vera e propria « storia terrena »
– dallo sviluppo dell’anima razionale o affettiva in poi –
l’uomo tuttavia « pensa » alla stregua di ciò che è stato.
• Solo quando si sviluppano i primi germi dell’anima cosciente,
si comincia a rivolgere lo sguardo alla « storia vera e propria ».
E in ciò che, staccato dal divino-spirituale, quale spiritualità umana diviene « storia »,
può venir sperimentata dall’uomo la libera intelligenza e la libera volontà.
Così il divenire del mondo, in cui l’uomo è intessuto, trascorre
• tra ciò che è pienamente « calcolabile »
• e l’azione della libera intelligenza e della libera volontà.
E il divenire del mondo si manifesta in tutte le sfumature intermedie della reciproca azione delle due
correnti.
L’uomo compie la sua vita fra nascita e morte
in modo che nel « calcolabile » gli viene creata la base corporea
per lo sviluppo dell’interiore libero elemento animico-spirituale « incalcolabile ».
Egli trascorre la sua vita fra morte e nuova nascita nell’« incalcolabile »,
ma in modo che ivi, come nell’« intimo » dell’essere animico-spirituale,
ciò che è « calcolabile » gli si dispiega in forma di pensiero.
• Partendo da questo elemento calcolabile, egli diventa così il costruttore della sua futura vita terrena.
• Nella « storia » vive e si svolge sulla terra l’« incalcolabile »
nel quale però si insinua il calcolabile, anche se debolmente.
Gli esseri luciferici e arimanici si oppongono
all’ordine stabilito fra incalcolabile e calcolabile dagli esseri divino-spirituali,
collegati con l’uomo sin dai suoi primordi;
si oppongono all’armonizzazione del cosmo mediante « peso, numero e misura ».
Con la natura che ha assunto, Lucifero non può conciliare nulla che sia calcolabile.
Il suo ideale è: incondizionata azione cosmica dell’intelligenza e della volontà.
Questa tendenza luciferica è conforme all’ordine dell’universo nei campi in cui deve regnare libertà
d’azione.
E qui Lucifero è il giustificato aiuto spirituale dello sviluppo dell’umanità. Senza il suo aiuto,
nell’essere spirituale-animico dell’uomo che si erige sulla base dell’elemento corporeo calcolabile, non
potrebbe entrare la libertà.
Ma Lucifero vorrebbe estendere questa tendenza a tutto il cosmo. E così la sua attività diventa lotta
contro l’ordine divino-spirituale a cui l’uomo appartiene in origine.
Qui interviene Michele.
Egli sta col proprio essere nell’incalcolabile; ma stabilisce il pareggio fra l’incalcolabile e il
calcolabile c
he porta in sé come pensiero cosmico che ha ricevuto dai suoi dèi.
Diversamente sono situate nel mondo le potenze arimaniche.
Esse sono la perfetta antitesi degli esseri divino-spirituali con i quali l’uomo è collegato dalla sua
origine.
Questi ultimi sono attualmente potenze puramente spirituali che portano in sé perfetta intelligenza
libera e perfetta libera volontà, ma che tuttavia, in questa intelligenza e in questa volontà, creano la
saggia comprensione per la necessità di ciò che è calcolabile e non libero, quale pensiero cosmico dal
cui grembo l’uomo deve svilupparsi come essere libero. E con tutto il calcolabile, col pensiero
dell’universo, essi sono uniti nel cosmo con amore. Questo amore irradia da loro e pervade l’universo.
In piena antitesi con questo, nell’avida cupidigia delle potenze arimaniche
vive il gelido odio contro tutto ciò che si evolve in libertà.
L’intento di Arimane
è di fare una macchina cosmica di quanto egli emana dalla terra negli spazi universali.
Il suo ideale è unicamente: « Misura, numero, peso ».
Egli fu chiamato ad inserirsi nel cosmo che serve all’evoluzione dell’umanità,
perché occorreva svilupparvi il suo campo d’azione, e cioè « misura, numero e peso ».
Solo chi, dovunque, comprende l’universo quale spirito e corpo, lo comprende realmente.
Di questo va tenuto conto fin dentro alla natura,
• sia in relazione alle potenze divino-spirituali operanti per amore,
• sia in relazione a quelle arimaniche operanti per odio.
Dobbiamo scorgere nel calore universale naturale, che inizia a primavera e agisce verso l’estate,
l’amore naturale degli esseri divino-spirituali;
dobbiamo invece scorgere l’azione di Arimane nel gelido soffio invernale.
• Nel culmine dell’estate la forza di Lucifero s’intesse nell’amore naturale, nel calore.
• Nell’epoca natalizia la forza degli esseri divino-spirituali con cui l’uomo è collegato sin dai primordi
si rivolge contro il gelido odio di Arimane.
• E verso la primavera l’amore naturale divino mitiga continuamente l’odio naturale di Arimane.
L’apparire di questo amore divino che sorge annualmente è il momento che ricorda come col Cristo
entrò, nel calcolabile elemento terrestre, il libero elemento divino.
Cristo opera in piena libertà nel calcolabile, e rende così innocuo l’elemento arimanico che solo brama
il calcolabile.
L’evento del Golgota è la libera azione cosmica dell’amore nella storia della terra;
può essere compreso soltanto dall’amore che l’uomo è capace di sviluppare in sé al fine di
comprenderlo.
40 — Il processo cosmico, nel quale è intessuta
l’evoluzione dell’umanità
1
e che si rispecchia nella coscienza umana come «
storia » in senso lato, si divide
•
nella lunga storia celeste,
•
nella storia mitologica, più breve,
•
e nella storia terrena, relativamente brevissima.
141 — Questo processo cosmico si scinde oggi
nell’attività « non calcolabile » di esseri divinospirituali che operano in libertà d’intelligenza e di
volere,
e nel processo « calcolabile » del corpo del mondo.
142 — Al calcolabile del corpo del mondo si
oppongono le potenze luciferiche;
a quanto opera in libertà d’intelligenza e di volere,
le arimaniche.
143 — L’evento del Golgota è un’azione cosmica
libera che scaturisce dall’amore universale
e può essere compresa soltanto dall’amore umano.
By CTSadmin| Novembre 6th, 2018|MITOLOGIA GRECA|Commenti disabilitati su STORIA
CELESTE. STORIA MITOLOGICA. STORIA TERRENA. MISTERO DEL GOLGOTA
I primi capitoli della Genesi
O.O. 101 – Miti e leggende nordiche – 13.11.1907
Durante i nostri ultimi incontri abbiamo parlato dei differenti miti e leggende e abbiamo sottolineato
il fatto che in essi e nei diversi popoli si rivela quello che abbiamo imparato a conoscere con la
concezione scientifico-spirituale del mondo, ossia i fenomeni del mondo astrale e di quello spirituale.
Abbiamo ugualmente evocato diversi segni e simboli e abbiamo continuato ad insistere sul fatto che
nulla è dato in questi segni e simboli che possa permettere in un modo o in un altro di speculare,
filosofeggiare o meditare, di interpretarli in un modo o nell’altro; si può solo dire che questi segni sono
la trasposizione reale di fenomeni che si svolgono nei mondi superiori.
Vi prego di non dimenticare mai che nelle correnti spirituali che marcano l’evoluzione della Terra
incontriamo dei simboli, dei racconti, delle leggende che non esprimono altro che quello che il
chiaroveggente iniziato ai fenomeni soprasensibili è in grado di percepire nei mondi spirituali superiori.
Basta infatti che io esamini quel simbolo che tutti conoscete e che si chiama svastica, la croce uncinata,
a proposito del quale avete sentito molteplici interpretazioni piú o meno corrette. Nella maggior parte
dei casi queste interpretazioni sono insensate, anche se sono molto elaborate. Qualcuno molto
intelligente, che riflette molto, può benissimo dire una enormità se parla senza cognizione di causa.
Questa croce uncinata, o svastica, non è altro che la riproduzione degli organi astrali dei sensi (chiamati
anche fiori di loto) che si risvegliano quando l’uomo pratica certi esercizi. Entrano in azione quando
l’uomo persegue una determinata evoluzione. Non ho cessato di ripetere che soprattutto non bisogna
pensare ad un fiore, come del resto non si pensa ad un’ala quando si parla di ali del naso. Si tratta di
una parola, ed è solo una rappresentazione simbolica di quello che si sviluppa nel chiaroveggente
quando egli forma progressivamente i suoi organi dei sensi a partire dal suo organismo astrale. Se
facciamo nostro questo principio d’interpretazione, non saremo mai tentati di praticare una qualsiasi
speculazione o attività di questo genere a proposito di quello che troviamo nei testi religiosi o altri.
Piuttosto, per imparare quello che significa in ogni caso tal o talaltro segno, ci sforzeremo bene di
appellarci alla scienza o alla saggezza occulta autentica.
Durante le ultime conferenze del lunedí abbiamo fatto luce su parecchi punti contenuti nelle leggende
persiane e germaniche. Oggi mi piacerebbe farvi alcune precisazioni su un testo che è molto piú vicino,
vale a dire la Bibbia. Se oggi desidero piú in particolare portare la vostra attenzione sulla Bibbia, è
perché vediate a quale punto, in piú parti, la Bibbia concordi con i miti e le leggende piú svariate, e
dove possiamo approfondire il testo della Bibbia, quando, per avere delle informazioni, ci appelliamo
semplicemente alla saggezza occulta. Oggi evocheremo nelle nostre anime alcuni passaggi dei primi
capitoli della Bibbia.
Come sapete, vi si parla della creazione della Terra, del mondo in generale, in relazione all’uomo. Su
quella che è chiamata La Genesi, sui misteri che si nascondono dietro i primi capitoli della Bibbia,
trovate le piú svariate spiegazioni. Dobbiamo ricordarci che quando l’uomo, nella sua forma fisica
attuale, è diventato per la prima volta cittadino della Terra, vi regnavano delle condizioni del tutto
differenti da quelle che conosce l’uomo della nostra epoca. Sappiamo che, dopo aver conosciuto stati
anteriori di evoluzione, chiamati stadi di antico Saturno, di antico Sole e di antica Luna, in un primo
tempo la Terra è riapparsa unita al Sole e alla Luna. I due astri che ci illuminano dal cielo formavano
allora un solo corpo con la Terra.
Sappiamo anche che il Sole con tutte le sue entità, poi la Luna, anch’essa con certe sostanze ed entità,
si sono in seguito staccati, abbandonando la nostra Terra. Questo è avvenuto in un’epoca che abbiamo
l’abitudine di definire Lemuria. In quel tempo la Terra era costituita di elementi in fusione che, in
fondo, erano come le sostanze attuali, con la sola differenza che la Terra era un corpo celeste a base di
fuoco, una nebbia calda nella quale i metalli e i minerali, che oggi sono solidi, erano in fusione, e non
permettevano di viverci a esseri come quelli terrestri attuali. Ma potevano viverci entità di natura e
specificità totalmente diverse, fra le quali l’essere umano, la cui esistenza è stata da sempre legata a
quella del nostro pianeta.
Studieremo adesso proprio quell’uomo. Vi fareste un’idea sbagliata immaginandovi che l’uomo di
allora, all’epoca cioè in cui il Sole e la Luna si staccarono dalla Terra, fosse come l’uomo di oggi, con
orecchie per udire e occhi per vedere. Dovreste piuttosto rappresentarvi che l’uomo dell’epoca iniziale
del pianeta Terra aveva una coscienza del tutto differente da quella odierna. Non esisteva ancora la
nostra attuale coscienza diurna, la cui percezione si effettua con gli organi dei sensi esterni.
Che tipo di coscienza conosciamo al di fuori di quella diurna? Conoscete la coscienza che per la
maggior parte degli esseri è oggi lo stato d’incoscienza, vale a dire la coscienza che si ha nello stato di
sonno profondo. Sapete pure che, al di fuori dell’uomo, le piante che gli vivono attorno hanno
anch’esse questa coscienza, che è lo stato di coscienza permanente delle piante, mentre l’uomo lo ha
solo quando dorme. Quando guarda una pianta, ogni uomo di oggi deve dunque dirsi: la pianta
rappresenta lo stato di coscienza nel quale mi trovo quando dormo. Si potrebbe anche dire che quando
dorme, l’uomo è un essere vegetale. La pianta possiede solo un corpo fisico e uno eterico. Anche
l’uomo li possiede, e quando dorme essi sono presenti nel suo letto. Ma ecco la differenza: l’uomo
sdraiato nel suo letto possiede un corpo astrale e un Io che, in un certo senso, sono separati dal corpo
fisico e da quello eterico; ma ad ogni corpo fisico ed eterico addormentati sdraiati nel letto corrisponde
anche un corpo astrale individuale. Ora, la pianta non è dotata di alcun corpo astrale individuale, ma la
Terra, in quanto un tutto, possiede un corpo astrale, e le piante individuali vi sono incorporate, sono
inglobate in questo corpo astrale della Terra. È perfettamente giusto che quando ferite una pianta o fate
qualsiasi cosa ad una specifica pianta, questa non lo sente, ma è la Terra, in quanto globalità, che lo
percepisce nel suo corpo astrale collettivo. Ho già attirato la vostra attenzione su un fatto conosciuto
dal chiaroveggente: quando cogliete un fiore, quando in autunno prendete i semi delle piante o quando
mietete i cereali, è come, diciamo, se prendeste il latte di una mucca, o come quando il vitello succhia il
latte della mucca. Il corpo astrale della Terra prova un sentimento di benessere. Il sentimento di dolore
nasce unicamente quando si sradica una pianta; allora è come se strappaste un pezzo di carne dal corpo
di un animale. Dovete anche capire bene che ugualmente per la Terra, e non per la pianta individuale,
esiste uno stato simile a quello del sonno e della veglia. La pianta conosce solo lo stato di coscienza che
è il vostro quando vi trovate a letto con i vostri corpi fisico ed eterico.
Tra i due stati di coscienza del sonno e della veglia esiste uno stato intermedio che oggi è poco
familiare all’uomo. Si tratta degli ultimi residui di un atavismo ereditato dai tempi antichi, uno stato di
sonno riempito di sogni con le piú svariate immagini simboliche che abbiamo spesso descritte. La
maggior parte del mondo animale possiede questa coscienza intermedia. Tutti coloro che conoscono tali
caratteristiche, possono confermarvi che la maggior parte del mondo animale possiede una specie di
coscienza di sogno. È dunque un nonsenso domandare se gli animali hanno un Io simile a quello degli
uomini. Capita che si spieghi alle persone in modo preciso come l’uomo debba attraversare il periodo
fra la morte e una nuova nascita, e che qualcuno ponga la domanda: «È possibile che l’uomo passi
questo periodo su un pianeta totalmente differente?». O ancora un’altra domanda: «Non si potrebbe
essere questo o quello?». Si possono formulare varie specie di ipotesi. Non si tratta di quello che
potrebbe essere, ma di quello che è. Bisogna pensare soprattutto a questo. Certe persone si fanno trarre
in inganno attribuendo per esempio una vita affettiva alle piante. Questa attitudine porta al nonsenso
piú folle e quando si qualifica di “scientifico” questo guazzabuglio, si accorda un valore a tutto ciò che,
in effetti, non ne ha.
In quanto terzo stato di coscienza, abbiamo dunque una coscienza immaginativa, onirica e oscura, ed è
questo stato di coscienza che prevaleva in modo molto netto nell’uomo all’inizio dell’esistenza
terrestre. Quando l’uomo ha iniziato la sua esistenza come cittadino della Terra, non aveva occhi per
vedere e non avrebbe potuto servirsi, come oggi, delle sue orecchie, per percepire il mondo esteriore
con i suoi sensi, anche se tutto esisteva già in lui, ma ad uno stato di abbozzo. A quell’epoca, l’essere
umano non poteva distinguere attraverso i suoi sensi le forme e i colori fisici come li percepisce oggi:
la sua coscienza era immaginativa, adatta, prima di tutto, a percepire degli stati spirituali.
Nell’ambiente di un essere umano potevano certo trovarsi degli oggetti come una rosa. Quando l’uomo
si avvicinava a un tale oggetto, non percepiva il colore rosso, non percepiva le forme né le foglie verdi,
non percepiva tutto questo nello stesso nostro modo. Invece, quando si avvicinava all’oggetto in
questione, sorgeva in lui un’immagine che gli faceva vedere una forma rossa là dove oggi c’è il verde,
e verde bluastro dove è il rosso. Quello che percepiva erano i colori che non appaiano in questo modo
nel nostro mondo fisico, ma traducono il fatto che l’oggetto era per l’uomo qualcosa di piacevole sul
piano fisico-spirituale. Per esempio, se gli si avvicinava un essere del mondo animale, ben disposto nei
suoi riguardi, in lui salivano dei colori che esprimevano la simpatia che l’animale aveva per lui. Se si
avvicinava un animale che voleva divorarlo, questo si traduceva in un’altra forma colorata. L’amicizia
fra due esseri si esprimeva con colori e forme.
Pensate adesso al fatto che a quell’epoca l’uomo non era ancora in grado di vedere la propria
corporeità, perché essa fa parte di tutto quello che si può percepire solo con l’aiuto di quegli strumenti
chiamati sensi. L’essere umano poteva vedere la sua anima, vedeva gli effluvi di colore che emanavano
da lui. Nel suo stato di coscienza-veggenza iniziale, sorda, crepuscolare, poteva vedere quello che il
chiaroveggente può vedere oggi. Ma non era possibile che percepisse le forme del proprio corpo,
questo gli era impossibile.
Cerchiamo di farcene un’idea vivente. L’uomo discende dal seno della divinità per catapultarsi nella
Terra che si è appena staccata dal Sole e dalla Luna. L’uomo che arriva dunque sulla Terra, non ha
alcuna facoltà per percepire il Sole, la Luna e la Terra in quanto corpi fisici. Ma per lui è venuto il
momento di vedere l’Io, che oggi abbiamo in tutti noi, ma che una volta era unito alla sostanza divina,
discesa nei nostri tre altri corpi: il corpo fisico formato sull’antico Saturno, quello eterico sull’antico
Sole e l’astrale sull’antica Luna. Stadi attraverso i quali era passata la Terra.
I corpi astrale, eterico e fisico erano stati trasmessi all’epoca dello stadio della Terra come antica Luna.
Quando la Terra si è trovata allo stadio dell’antico Saturno, l’Io stava nella sfera della divinità. Ci si
trovava anche quando la Terra è passata attraverso gli stadi di antico Sole e di antica Luna.
Rappresentiamoci in maniera netta e precisa lo stato della Terra in quel momento. Abbiamo l’uomo con
i suoi corpi fisico, eterico e astrale, e una cavità, diciamo, in quello astrale: un’incisione. In
quest’ultima s’infiltra letteralmente l’Io, che si lega innanzitutto con il corpo astrale, facendovi nascere
la coscienza immaginativa che vi ho appena descritto. L’uomo è cosí diventato un essere dotato di
quattro elementi costitutivi. L’Io si è unito a quanto era stato preparato nel corso degli stadi anteriori
antichi di Saturno, Sole e Luna, durante i quali l’Io era ancora in alto, in seno alla Divinità. Durante gli
stadi successivi della Terra (antichi Saturno, Sole, Luna) l’Io che tutti portiamo in noi era lassú, unito
alla Divinità, mentre in basso il corpo fisico sull’antico Saturno, quello eterico sull’antico Sole e
l’astrale sull’antica Luna si preparavano successivamente ad accoglierlo. Ecco cosa si preparava
quaggiú. Si potrebbe dire che, dall’alto, la Divinità guardava i corpi prepararsi, arrivare alla maturità
necessaria per accogliere l’entità dell’Io quando la Divinità l’avrebbe fatta cadere goccia a goccia.
Quello che oggi vive in voi, viveva allora nella Divinità, e gettava il suo sguardo sui tre corpi quaggiú
sulla Terra. Se la vostra anima, il vostro Io, il vostro essere, a quell’epoca avesse potuto provare le
sensazioni di cui è capace oggi, avreste allora sentito che la vostra patria d’origine si trovava “nei
Cieli”. Perché voi eravate “nei Cieli”; avevate certo una coscienza assopita, crepuscolare, ma eravate
nei Cieli.
Poi è venuto il momento capitale in cui lo stato anteriore, che continuava la sua evoluzione in modo
regolare e lineare, si è scisso in due. All’inizio dell’esistenza della Terra, gli esseri umani dotati di una
coscienza sotto forma di entità dell’Io, si trovavano nei Cieli. Poi l’Io si è inserito goccia a goccia nei
corpi. È in quel momento che fu creata la differenza fra il luogo dove gli uomini erano prima e quello
dove si trovano adesso: il Cielo e la Terra. È l’avvenimento che si è prodotto quando il vostro Io è
disceso. E cosa troviamo all’inizio della Genesi?
In principio Dio creò il cielo e la terra.
Il vostro Io non poteva vedere niente quando si trovava in seno alla Divinità. Ormai, sulla Terra, egli
era destinato a vedere per la prima volta, e comunque con una coscienza ancora poco chiara, sotto
forma di immagini. Prima non vedeva niente; bisognava che si abituasse al corpo astrale, per poter
vedere.
Ora la terra era informe e deserta
Anche qui, ecco un avvenimento soggettivo della vostra anima: si descrive quello che essa vede. La
Terra in quanto tale è informe e deserta, tutto era solo fluido e liquido, perché la Terra si trovava in
stato di fusione
e lo Spirito di Dio
che il vostro Io aveva appena lasciato
si muoveva sopra le acque
o detto altrimenti
aleggiava sopra le acque.
Come potete constatarlo, quello che è descritto nella Genesi corrisponde agli avvenimenti reali vissuti
dal vostro Io. E cosa penetra dunque nel tutto? Viene allora il momento in cui l’Io comincia ad
astralizzarsi, percepisce che altri esseri si trovano intorno a lui. Da ogni parte la luce astrale erompe
dalle tenebre.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.
Qui non si tratta di luce fisica, ma della luce astrale. Ancora una volta qui sono descritti avvenimenti
vissuti dall’Io.
Dio vide che la luce era cosa buona
e separò la luce dalle tenebre
Qual è il significato di questo? Durante queste conferenze vi sarà descritto piú in dettaglio come la
presenza di un corpo astrale implichi necessariamente ogni volta un fenomeno di fatica. La vita di un
corpo astrale non può svolgersi che causando l’apparizione della fatica. Questo però implica d’altronde
che ci sia compensazione di questa fatica. Un essere che si stanca deve attraversare degli stati adatti a
riparare questa fatica. Non immaginatevi qualcosa di esteriore, si tratta unicamente di avvenimenti
vissuti dall’Io. L’Io è immerso nel corpo astrale, è sottoposto alla fatica dispiegando la sua coscienza
immaginativa. Bisogna dunque che passi in seguito attraverso uno stato che gli permetta di compensare
la sua fatica. Abbiamo due stati di coscienza attraverso i quali passa l’Io: uno stato nel quale esso vive
in immagini, nel quale gli avvenimenti spirituali si presentano a lui sotto forma di immagini, e uno
stato in cui tutto si immerge nuovamente nelle tenebre, da cui proviene l’Io e dove la sua fatica è
eliminata, ma dove è ugualmente interrotto lo stato di luce che lo circonda. La Divinità aveva separato
la vita dell’Io in due, una bagnata dalla luce, l’altra circondata dalle tenebre. Rappresentatevi cosí la
vita degli esseri pieni di luce sulla Terra.
Dio vide che la luce era cosa buona
e separò la luce dalle tenebre
e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.
Questo non ha nulla a che vedere con la traiettoria del Sole o con quella della Luna. Questo si riferisce
semplicemente alla differenza, dal punto di vista spirituale, esistente fra la coscienza illuminata sul
piano astrale da una parte e lo stato di tenebre, privo di questa luce astrale, dall’altra. Dovete avere
completamente presente allo Spirito il fatto che quello che è descritto corrisponde a realtà interiori, ad
avvenimenti vissuti dall’Io. Rappresentatevi in modo vivente che, mentre l’uomo è adagiato sul suo
letto con i suoi corpi fisico ed eterico, il suo corpo astrale e il suo Io si trovano all’esterno. Ecco
com’era permanentemente la situazione allo stadio iniziale sulla Terra. Il corpo astrale non era
interamente integrato ai corpi fisico ed eterico come lo è attualmente, bensí esso riempiva solo una
parte del corpo eterico. Era un po’ come per l’uomo attuale durante il sonno, stato durante il quale il
corpo astrale è uscito dal corpo fisico, ma non è completamente separato da quello eterico; bisogna che
vi rappresentiate questo Io che è sceso dal seno della Divinità, che con il suo corpo astrale viene ad
integrarsi a un corpo fisico facente parte di un corpo eterico, ma tutto questo senza averli ancora
completamente compenetrati. I nostri ricercatori e scienziati attuali diranno che una vita sotto questa
forma è assolutamente impossibile. Ma quando è retta da altre leggi, questa forma di vita è del tutto
possibile.
Un’immagine ci permetterà di visualizzare la situazione. Immaginiamo di nuovo la nostra Terra: un
ammasso di nebbia di fuoco, una nebbia in permanente convulsione, con i corpi astrali e gli Io che
galleggiano sopra come entità spirituali. Immaginatevi che, di un sol colpo, vi mettiate tutti a dormire.
Allora il corpo astrale di ognuno di voi si staccherebbe. Solo il vostro corpo fisico resterebbe inerte;
quando i corpi astrali si staccano, i corpi fisici conservano la loro forma. All’epoca nella quale la Terra
giaceva in una nebbia di fuoco, succedeva diversamente, tutto era preso in un movimento estremamente
ritmato e dinamico. Era come se oggi vi trovaste in una valle in mezzo alle montagne e che osservaste
delle masse di nebbia spazzare quella valle nei due sensi, assumendo le forme piú svariate.
Attualmente, il vostro corpo fisico inerte conserva la sua forma solida. Una volta, tutto era trascinato
nel movimento. Il corpo fisico si dissolveva, poi si ricostituiva. Tutto era condizionato dalle forze
provenienti dall’alto. L’esistenza di quell’epoca in rapporto all’attuale si distingueva cosí. Quando la
Terra era solo fluida, tutte le forme dipendevano dalle forze spirituali alle quale voi stessi appartenete.
Immaginate solo quello che succedeva in basso. Lo stato solido ha preso forma solo poco a poco.
Questi corpi consistenti sono nati progressivamente a partire da uno stato completamente fluido e
liquido. Hanno fatto la loro apparizione forme sempre piú solide. Le prime forme umane si
modellavano a partire dalle masse infuocate che giravano in un turbine, come se le nebbie che ci sono
in montagna prendessero forme fisse e si cristallizzassero.
Dio disse: «Che ci sia un firmamento».
Oppure, detto in altro modo:
«Che ci sia una volta solida
che si stenda sopra le nostre teste.
Sia il firmamento in mezzo alle acque
per separare le acque dalle acque».
Se vi immaginate correttamente la cosa, ritroverete il processo che ho appena descritto.
E Dio fece quel firmamento,
e separò le acque che sono sotto quel firmamento,
da quelle che sono sopra il firmamento. E cosí
avvenne.
E Dio chiamò il firmamento cielo.
Cosí fu sera, e poi fu la mattina del secondo
giorno.
Anche queste frasi sono piene di una profonda saggezza. Cosa sono infatti questi due firmamenti?
Fanno riferimento alle due parti della natura umana, che sono sempre incastrate, la natura inferiore e
quella spirituale dell’uomo. La natura spirituale che si esprime con l’inclinazione verso il Sole, e la
natura inferiore che si esprime con la tendenza verso l’interno della Terra. Sono le due nature che tutti i
documenti religiosi designano come dominate da due potenze del tutto differenti: le potenze celesti e
quelle infernali. Lo spazio celeste e quello terrestre sono stati separati da Dio.
Diventa allora visibile sulla Terra qualcosa che non era ancora visibile sulla Luna. Una saggezza di una
immensa profondità, che è anche l’espressione di una stretta realtà, espressa ugualmente da questa
separazione. Sull’antica Luna, non c’erano forme umane individuali che si spostavano come
attualmente sulla Terra, questo non esisteva sulla Luna. Gli antenati dell’essere umano, i corpi degli
antenati degli uomini sull’antica Luna, erano dotati di un corpo fisico, uno eterico e uno astrale: essi
avevano affinità solo con la distesa del pianeta, ma non con quella del cielo. Erano simili agli animali,
nessun Io li penetrava ancora. L’animale si è fermato a questo stadio di sviluppo anteriore. Questo è
manifesto ancor oggi molto chiaramente: esso non può drizzare la sua testa verso il sole, le sue membra
anteriori non sono degli organi liberi dei propri movimenti per poter realizzare le sue intenzioni e le
idee dello Spirito.
L’animale è come una trave sostenuta da quattro pilastri. L’uomo ha fatto passare questa trave dalla
posizione orizzontale a quella verticale. Grazie al suo viso orientato verso l’alto, non è solo cittadino
della Terra, ma dell’Universo. I due punti d’appoggio anteriori, le due membra anteriori, sono diventati
strumento del suo Spirito. Ciò si esprime nella dissociazione della parte della natura umana che
appartiene alla Terra e quella che appartiene all’Universo.
E Dio fece quel firmamento,
e separò le acque che sono sotto quel firmamento,
da quelle che sono sopra il firmamento.
Qui è espressa questa diversità della natura dell’essere umano; una volta di piú si tratta di un
avvenimento vissuto dalla specie umana in divenire dall’origine dei tempi.
Ora, la parte della forma umana destinata a servire l’Io doveva avere un centro. E questo fu fatto. Il
primo centro di questo corpo umano ancora molle fu creato nella parte diretta verso l’alto con l’unione
di tutti i flussi. Là si raggrupparono tutti i flussi che dovete rappresentarvi come un abbozzo del flusso
nervoso e sanguigno. Si riunirono in alto in possenti lingue di fuoco, che a quel tempo emergevano
dall’alto della testa dell’uomo, mentre il suo corpo non comportava ancora alcuna parte solida. Quello
che l’uomo possedeva in quel punto, il cui ultimo residuo è la ghiandola pineale, era il primo organo
grazie al quale l’uomo ha cominciato a percepire sul piano fisico. Se si avvicinava a qualcosa che
rappresentava per lui un pericolo, quell’organo lo percepiva e faceva sentire all’uomo che non doveva
avvicinarvisi. Poteva orientarsi grazie a quell’organo. Non bisogna che vi rappresentiate tale organo
con la forma di un occhio (questa interpretazione dà origine a tutta una serie di errori), ma sotto forma
di un organo termosensibile grazie al quale, anche a grande distanza, l’uomo poteva distinguere il
freddo, il caldo e quegli stati che gli erano nocivi o utili. Quell’organo era simultaneamente in un certo
rapporto con gli organi che formavano l’apparato linfatico, grazie al quale i globuli bianchi circolano
nel corpo umano. Il benessere e malessere dell’uomo, i cui globuli bianchi si trovavano ancora in
numero superiore, dipendevano dalle percezioni di quell’organo. Era dunque il centro nel quale era
riunito tutto quello che aveva preso forma nell’ambito dell’estensione dei cieli.
Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque
per separare le acque dalle acque».
Dio fece il firmamento e separò
le acque che sono sotto il firmamento,
dalle acque che sono sopra il firmamento.
E cosí avvenne.
Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo,
si raccolgano in un solo luogo
e appaia l’asciutto». E cosí avvenne.
Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque
mare.
E Dio vide che era cosa buona.
Vedete qui un’altra allusione a un altro raggruppamento di flussi che si trovano nella natura inferiore,
terrestre, dell’uomo. Hanno a che fare con la riproduzione dell’essere umano, alla procreazione. Ma in
quei tempi antichi (ed è molto importante) la procreazione era velata da una totale assenza di coscienza.
Qui c’è un profondo mistero dell’evoluzione del mondo. Si potrebbe dire che si tratta di un
comandamento divino originale dato dalla Divinità agli esseri terrestri: «Non dovete sapere come vi
riproducete sulla Terra». Tutto il processo della riproduzione era immerso nella piú profonda
incoscienza. Durante il periodo in cui sulla Terra si sviluppava la coscienza, non ha avuto luogo alcuna
riproduzione. Occorre dunque che a proposito di questo processo vi rappresentiate che l’entità umana
ha cominciato la sua esistenza sulla Terra nella piú completa innocenza o incoscienza. Cosa sapeva
allora l’uomo all’inizio della sua esistenza terrestre? Conosceva solo la sua origine divina, sapeva che
era disceso sotto forma di un Io dal seno della divinità. Ma non aveva assolutamente alcuna conoscenza
dell’origine del suo essere fisico, dei suoi corpi. A tale proposito era in uno stato di perfetta innocenza.
Rappresentiamoci dunque in modo molto preciso cosa accadeva in quell’epoca.
Gli esseri umani nascevano nel modo che ho appena descritto. Gli esseri che erano arrivati a sviluppare
sulla Luna il loro corpo fisico, eterico e astrale ricevevano allora il loro Io, ed erano esseri della piú
totale innocenza riguardo a quello che avveniva nel mondo fisico. Non potevano d’altronde vedere
quello che accadeva, non vedevano il proprio corpo fisico. Ciò che vedevano erano degli stati spirituali,
e sapevano che discendevano dalla Divinità. Ma c’erano altre entità non umane, ma entità che erano
rimaste sull’antica Luna e non avevano potuto diventare Dei. Gli esseri che avevano raggiunto uno
stadio superiore sulla Luna avevano eletto domicilio sul Sole, dove si trovano gli Elohim, entità che
vivono sul Sole, come l’essere umano vive sulla Terra. Sul Sole e sulla Terra, c’era dunque uno
sviluppo di entità parallelo ma distinto.
Dopo che il Sole e la Luna si erano staccati dalla Terra, quest’ultima si era trovata con il Sole da una
parte e la Luna dall’altra. L’essere piú elevato che poteva svilupparsi sulla Terra era un’entità dotata di
un corpo fisico, di un corpo eterico, di un corpo astrale e di un Io, vale a dire un uomo. L’entità piú
elevata che poteva svilupparsi sul Sole possedeva un corpo fisico di una forma totalmente differente da
quella dell’uomo, un corpo eterico, un corpo astrale, un Io, un Sé Spirituale (Manas) uno Spirito Vitale
(Buddhi) e un Uomo Spirito (Atma), ed in piú anche un ottavo elemento al di là dell’Atma. Dunque,
queste sublimi entità che hanno sviluppato un ottavo elemento costitutivo sono gli Elohim, gli Spiriti
solari che hanno seguito un altro cammino al momento della separazione del Sole dalla Terra. Gli
uomini hanno seguito la via terrestre. Gli Spiriti solari, che avevano già costituito il loroAtma sulla
Luna, eranoemigrati verso il Sole per elevarsi ancora sulla scala dell’evoluzione. Ora, fra le entità
dell’antica Luna, si trovavano degli esseri che non potevano accedere al Sole, erano dei “ritardatari”.
Erano evidentemente molto piú evoluti degli esseri umani, possedevano qualcosa che gli uomini hanno
dovuto conquistare progressivamente, cioè una coscienza che permettesse loro di vedere gli oggetti
fisici esteriori. Potevano servirsi di mezzi che l’uomo non poteva ancora utilizzare. L’uomo aveva
ancora gli occhi ciechi e le orecchie sorde. I suoi occhi e le sue orecchie erano ancora alla stato di
abbozzo, gli permisero di vedere e udire solo piú tardi. Ma alcuni animali inferiori, esistenti a
quell’epoca, avevano conservato le forme dello stadio dell’antica Luna, che hanno potuto utilizzare
prima che gli esseri umani potessero servirsi del loro corpo. Ed è in queste forme che quelle entità
venute dalla Luna si sono effettivamente incarnate sulla Terra: non erano ancora abbastanza avanti per
andare sul Sole, ma erano ben piú evolute degli esseri umani. Si sono incarnate in forme che sono
sparite da molto tempo, in esseri che le rendevano capaci di percepire il loro ambiente fisico. Queste
forme inferiori sono state dotate di un’anima e di uno Spirito, per farle diventare entità situate fra gli
uomini e gli Dei. I corpi umani che erano loro superiori, erano in effetti ancora troppo maldestri, come
un bambino alla sua nascita è ancora piú maldestro di un pulcino. Quegli esseri inferiori, che sono stati
provvisoriamente abitati da quelle entità situate fra gli uomini e gli Dei, erano dei draghi e dei serpenti.
Raffaello «Il peccato originale»
Quelle forme erano strettamente legate a ciò che nell’uomo appartiene alla Terra; in loro non c’era
niente di quanto viveva nell’uomo e che era volto verso il sole. Ma avevano una cosa in piú dell’uomo,
che viveva ancora in una coscienza immaginativa crepuscolare: erano in grado di percepire gli oggetti
fisici che c’erano sulla Terra.
L’uomo viveva in totale innocenza a proposito del processo fisico dell’atto sessuale, che per lui era
immerso nell’oscurità. Cosí come del resto gli Dei, quegli esseri lo vedevano, ed è per questo che
potevano avvicinarsi agli uomini e dire loro: «Voi potete diventare come gli Dei, vi basta fare una cosa:
non avete che da portare il vostro desiderio fino nelle zone inferiori. Dal momento in cui il vostro
desiderio si stenderà alle zone inferiori, vedrete come gli Dei. Se lo farete, vedrete il vostro corpo».
È cosí che, in un certo modo, lo stato di innocenza è stato tolto all’umanità. Questo è uno degli aspetti
della questione. L’altro aspetto è quello della libertà acquistata dall’uomo, per questo fatto.
Alcune entità che si trovavano fra gli abitanti del Sole e quelli della Terra, che non riuscirono ad
acquistare il diritto di vivere sul Sole, vollero aprire gli occhi agli uomini; si avvicinarono e
parlarono agli uomini con la seduzione.
Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete
affatto!
Anzi, Dio sa che se voi ne mangiaste, si
aprirebbero i vostri occhi
e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il
male.
Vedreste quello che vi sta attorno e conoscereste
l’Albero della Conoscenza e l’Albero della Vita.
Gli scritti religiosi sono dunque autentici. Dobbiamo soltanto imparare a comprendere il senso letterale
del testo. Lo studio che abbiamo fatto oggi vi avrà certamente mostrato che non è permesso speculare
su queste cose. Bisogna interrogare la vera Scienza dello Spirito, e allora si fa luce sugli scritti religiosi
in modo meraviglioso.
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 13 novembre 1907 ‒ O.O. N° 101. Traduzione di Angiola Lagarde.
R. Steiner | Simboli | Anno 23 n.09 – Settembre 2018 – L’Archetipo
By CTSadmin| Novembre 7th, 2018|MITOLOGIA NORDICA|Commenti disabilitati su 06 – I PRIMI
CAPITOLI DELLA GENESI
Mitologie germaniche e persiane
O.O. 101 – Miti e leggende nordiche – 28.10.1907 (sera)
Negli ultimi incontri della nostra sezione abbiamo affrontato la spiegazione occulta dei differenti miti
e leggende dell’Europa centrale, e in questa occasione abbiamo constatato che contengono profonde
verità e conoscenze. Esattamente due settimane fa abbiamo studiato le piú profonde ed essenziali verità
e abbiamo abbordato la mitologia persiana nata in Asia, che è veramente accomunata alle mitologie
germaniche o simili che troviamo sul continente europeo. Abbiamo visto quello che si nasconde dietro
il nome degli Amesha Spenta persiani e dietro a quello dei ventotto/trentuno Yazata. Abbiamo trovato le
forze provenienti da questi spiriti dell’astrale nelle dodici paia di nervi che partono dalla nostra testa e
nelle ventotto/trentuno paia di nervi che partono dalla nostra colonna vertebrale.
La mitologia tedesca e piú generalmente quella europea ci dicono che le tre divinità Wotan, Vili e Vé,
che s’incontrano a volte sotto altri nomi, hanno creato gli uomini. Un giorno, mentre passeggiavano in
riva al mare, trovarono due alberi, Askr ed Embla (frassino e olmo) e partendo da loro crearono la
prima coppia di esseri umani. Wotan ha donato a questi primi esseri umani lo Spirito e la vita psichica
in generale, Vili ha donato loro la forma, l’intelligenza e il movimento, Vé ha donato loro il viso, la
parola, l’udito e la vista.
Se abbiamo già potuto convincerci del senso profondo degli altri miti, sentendo quello che ci racconta
il mito europeo, non potremo far altro che cercare un senso piú profondo in questa trinità divina e nella
triade di facoltà di cui essa ha dotato gli uomini. Ma facendo questo saremo avvantaggiati nel
paragonare la genesi dell’uomo, per come ci è raccontata nella mitologia europea, a quella relativa alla
mitologia persiana che le è apparentata. Questa genesi appare allora come posta in un contesto molto
piú ampio. In questa occasione possiamo veder nascere in noi un sentimento particolare, che ci
permette di individuare la forza spirituale negli uomini all’origine dei miti, l’entità e la natura
dell’essere umano, come anche il suo rapporto con la Terra. Come sappiamo, i miti e le leggende non
possono essere spiegati da speculazioni intellettuali, non è con l’aiuto di riflessioni che bisogna
cercarne il senso, ma dobbiamo al contrario tentare di chiarire le origini del sapere e della conoscenza
umana come ce le presenta la leggenda, attingendo da una parte allo Spirito creatore iniziale del popolo
e dall’altra nei doni dei sacerdoti Iniziati.
I miti e le leggende non sono altro che visioni astrali, spirituali. Abbiamo visto che l’antico germanico,
come i membri degli antichi popoli europei, vedeva realmente sul piano astrale il frassino
cosmico Yggdrasil, percepiva le dodici correnti che penetravano sotto forma di energia nel suo cranio e
costituivano i suoi dodici nervi cranici. Abbiamo visto questi fatti come effetti reali del mondo astrale e
non delle speculazioni qualsiasi dell’intelletto e dell’immaginazione.
Cominceremo adesso ad esaminare brevemente e a grandi linee i miti persiani sulla genesi del mondo e
il destino dell’uomo. Dobbiamo però ricordare che il popolo persiano, l’antico popolo persiano, non è
quello di cui avete imparato la storia, bensí quello da cui sono veramente scaturite queste leggende
degli dèi, e che apparteneva all’avanguardia di coloro che, partendo dall’antica Atlantide, sono emigrati
verso Est. Sono precisamente quei popoli che, quando l’antico territorio di Atlantide fu inghiottito dalle
acque, si sono piú tardi diretti verso l’India e si sono mescolati ai popoli stabiliti su quel continente, si
sono sedentarizzati sul suolo dell’attuale Persia, della Battriana e della Media, e hanno spinto la loro
marcia piú lontano verso l’Est. Gli altri popoli sono rimasti sul suolo dell’attuale Europa.
In tutti quei popoli, i miti e le leggende che si sono formati sotto gli aspetti piú vari, sono il racconto in
immagini che narrano quello che certi potevano vedere, sia normalmente che in condizioni particolari,
grazie alle loro facoltà di chiaroveggenza, certo indebolite ma ancora ben presenti. I membri di questa
parte di popolazione che all’epoca si trovava nell’attuale Persia, raccontavano le loro visioni del mondo
astrale, e Zaratustra, il grande creatore religioso, le presentava sotto una certa forma e le completava.
Ci rappresenteremo molto succintamente e a grandi linee i racconti di quegli uomini. Essi
consideravano tutto quello che esiste in uno stato cosmico unico che chiamavano Zurvān Akarana. Si
trattava di uno stato originario comune da cui, secondo questa visione, tutto deriva: minerale, pianta,
animale ed essere umano, ma anche tutto quello che appartiene al dominio spirituale superiore, nella
misura in cui tutto questo era percettibile all’uomo. Se si volesse tradurre l’espressioneZurvān
Akarana bisognerebbe parlare di uno stato, o substrato, primordiale. Da questo substrato luminoso
emergeva una divinità dotata di qualità quali la bontà, la perfezione intellettuale e spirituale, Ahura
Mazdā o Ohrmazd, un’entità saggia, buona, spirituale, oltre ad un’altra entità che si opponeva allo
spirito di saggezza di Ohrmazd. Quest’altra entità spirituale è comunemente chiamata Ahriman(Angra
Manyu).
Nei miti e nelle leggende persiane abbiamo dunque queste due entità spirituali: una divinità
buona, Ohrzmazd e un antagonista cattivo, Ahriman. Si potrebbe tradurre il nome di Ahriman con
“colui che contrasta”, oppure “lo spirito avverso”, ecco il senso della parola.
Se adesso vogliamo mettere in relazione queste entità con gli Amesha Spenta e gliYazata, dobbiamo
rappresentarci che queste entità spirituali superiori emanano daOhrmazd. Sono le legioni attraverso le
quali agisce Ohrmazd. Egli è il supremo reggente che attribuisce loro il grado e le ripartisce in funzione
dei dodici mesi dell’anno e dei ventotto/trentuno giorni dei mesi, ritmi secondo i quali esse alternano il
loro regno. Il mito persiano parla poi di Arimane: proviene anche lui dal substrato luminoso
primordiale, ma dall’inizio si è mostrato recalcitrante e si è ribellato, ha opposto ai sei Amesha Spenta i
suoi sei cattivi geni, i Daeva, o Deva, inferiori e superiori. Secondo il senso dei miti persiani dovete
dunque rappresentarvi che ogni Amesha Spenta ha, per cosí dire, un avversario, e che i Deva sono alle
dipendenze di Arimane allo stesso titolo che gli Amesha Spenta sono sotto il dominio di Ohrmazd.
Arimane ha istruito le sue legioni in modo che esse si oppongano, in un combattimento permanente,
alle legioni benefiche degli Amesha Spenta. Nello stesso modo ha disposto le sue innumerevoli legioni
di Deva inferiori contro le legioni dei buoni geni Yazata.
Il mito persiano ci mostra cioè tutti i processi del mondo impegnato, in un certo senso, in un lungo
combattimento tra forze antagoniste. Ogni fenomeno che oggi si produce è, secondo il mito persiano, il
risultato di questo conflitto. Tutto ciò che avviene dovrebbe in verità essere descritto nella maniera
seguente: gli avvenimenti dell’universo dipendono da una parte dalle forze del bene, da cui procedono
le Amesha Spenta e gli Yazata, e dall’altra dalle forze del male, rappresentate dai Deva. Solo quando
comprenderemo l’interazione delle forze del bene e del male secondo il mito persiano, potremo capire i
fatti e le realtà che avvengono nel mondo attuale.
Poniamo adesso una domanda: i racconti descritti attraverso queste immagini sono delle visioni, delle
percezioni astrali? Vedremo che lo sono fino nei minimi dettagli. Vi aiuterà a comprenderlo una
particolarità, quella cioè che potremmo chiamare il “culto del fuoco” e che ha un certo ruolo nell’antica
religione persiana. Ma non si tratta d’immaginarsi questo culto del fuoco come un’adorazione del fuoco
materiale, non si trattava di questo. Il fuoco fisico non è stato oggetto di una venerazione né ha
generato un culto particolare. Per la mitologia ed il culto persiano, il fuoco fisico è solo un simbolo,
l’espressione esteriore di una certa energia spirituale che ha la sua sede nel fuoco. Il fuoco fisico
esteriore è la manifestazione dello spirito di questo elemento.
Esamineremo adesso da dove viene questa venerazione del fuoco. Essa ha in effetti un’origine profonda
ed occulta. Ricordiamoci in che modo è raccontata l’origine dell’universo nella nostra concezione
scientifico-spirituale del mondo. Diciamo che la nostra Terra fu una volta unita alla Luna, che oggi
l’accompagna con la sua corsa, e che la Luna, ad un certo momento, si è staccata da essa. Sappiamo
che in un’epoca ancora anteriore la nostra Terra era unita a quello che oggi costituisce il nostro attuale
Sole. Sono i due avvenimenti cosmici primordiali che hanno preceduto la nascita dell’essere umano. I
tre corpi celesti che sono il Sole, la Luna e la Terra formavano una volta un solo corpo, che possiamo
immaginare sotto forma di un miscuglio di questi tre pianeti, e che costituiva un unico, imponente
corpo celeste. Il primo a staccarsi è stato il Sole, e mentre prima dispensava la sua luce dall’interno
della Terra, si è messo a diffonderla sulla Terra e sulle sue creature dall’esterno. A quell’epoca, la Terra
conteneva ancora in sé la Luna. Era la Luna che portava le forze negative, ed era necessario che queste
uscissero. Se la Luna fosse restata nel seno della Terra, quest’ultima non avrebbe mai potuto seguire
l’evoluzione che ha poi conosciuto e che ha fatto di lei il luogo dove soggiorna l’attuale umanità.
Quando la Luna si è a sua volta staccata, l’uomo non aveva ancora la sua forma attuale sulla Terra;
anche se era già presente sul piano fisico, egli non era ancora dotato di un’anima. Al momento in cui la
Luna si è staccata dalla Terra, l’essere umano, nella sua forma di allora, conduceva una vita di tipo
vegetale. Questa forma non era altro che un abbozzo del corpo fisico ed eterico attuali. A quei tempi, il
corpo astrale, presente ai nostri giorni nel corpo umano, non era stato ancora integrato nella natura
terrestre della sua entità. I corpi astrali, che piú tardi dovevano raggiungere i corpi fisici degli uomini,
levitavano come nuvole. E i corpi umani che deambulavano in quanto antenati fisici dell’uomo attuale,
si trovavano in uno stato di sonno perenne. Come le piante, l’uomo di quell’epoca era in una specie di
sonno letargico; era dotato solo di un corpo fisico e di uno eterico. In quel tempo sulla Terra non c’era
ancora alcun essere che possedesse gli attributi essenziali dell’umanità e degli animali superiori attuali
dal sangue rosso e caldo: il calore interiore.
Se risalite con me nel tempo per ritrovare le entità che popolavano l’antica Luna, constaterete che
sull’antica Luna tutti gli esseri, compresi quelli che furono gli antenati dell’uomo attuale, disponevano
del calore del loro ambiente, come gli animali inferiori attuali, rimasti a quello stadio di evoluzione.
Erano dotati di umori, si potrebbe dire “diatermici”, che garantivano l’equilibrio con il loro ambiente
esterno. In loro non esisteva ancora quello che nell’uomo e negli animali superiori si manifesta in
quanto calore interno, e quello che va di pari passo con esso, che è il sangue rosso.
Abbiamo ugualmente appreso che al momento della separazione del Sole e della Luna, che lasciarono
da sola la Terra, si è prodotto un avvenimento cosmico: la Terra è stata attraversata da Marte. Le
sostanze di questi due corpi celesti, Marte e la Terra, erano a quell’epoca talmente sottili che Marte ha
potuto, tenuto conto della sua sostanza, attraversare la Terra. Vi ha lasciato un elemento che la Terra
non possedeva: il ferro. Il ferro è stato incorporato nella Terra dal passaggio di Marte, e questo ferro
era il presupposto indispensabile alla formazione del sangue rosso. Quale ne è stata la conseguenza?
Quando la Luna si è separata dalla Terra e la Terra è rimasta sola, essa si è trovata in uno stato di fuoco:
era immersa in un’atmosfera di calore. Ora arriviamo ad una rappresentazione che vi invito ad afferrare
con precisione. Immaginatevi che tutto questo calore, che si trova oggi nel corpo irrigato dal sangue
caldo di milioni di esseri umani e di animali che abitano la Terra, immaginate tutto questo calore
nell’atmosfera attorno alla Terra: avrete allora pressappoco lo stato nel quale si trovava la Terra
immediatamente dopo che si era staccata dalla Luna.
Le creature non avevano ancora il calore interiore, il flusso di calore circolava a contatto della
superficie del globo terrestre, il calore si trovava ancora all’esterno. Possiamo dunque rappresentarci la
Terra di quell’epoca come un corpo ancora liquido, nel quale i metalli erano ancora disciolti, ciascuno a
modo suo, e quel corpo liquido si trovava circondato da un oceano di calore e di fuoco. Il Sole, che era
all’esterno, diffondeva i suoi raggi di luce in quest’oceano di calore. Per l’occultista, la luce non è solo
la luce fisica pura e semplice, questa luce è la manifestazione fisica e materiale dello Spirito. In tal
modo, con i raggi del Sole, affluiva sulla Terra l’essenza degli Spiriti solari. La luce fisica,
manifestazione della spiritualità della luce spirituale, penetrava nell’atmosfera di fuoco, di calore della
Terra. Rappresentatevi tutto ciò nel modo piú reale possibile. C’è la Terra, che è circondata
dall’atmosfera di calore nella quale penetrano i raggi del Sole, che per noi sono fasci di spiritualità.
Spandendosi nel calore terrestre con i raggi solari, gli spiriti del Sole hanno dapprima permesso la
formazione dell’anima collettiva, del corpo astrale collettivo dell’umanità tutta intera e degli animali
superiori. In basso, sulla superficie terrestre, c’erano gli umani-vegetali addormentati che possedevano
solo un corpo fisico e un corpo eterico. La situazione assomigliava a quello che accadrebbe qui se tutti
voi, che siete seduti qui, vi addormentaste improvvisamente (il che non è certo auspicabile) e il vostro
corpo astrale uscisse dal vostro corpo fisico e si mescolasse a quello degli altri. Ma a quell’epoca il
mescolarsi dei corpi astrali si faceva in modo ben piú pronunciato, l’insieme formava una massa
indifferenziata, che aveva in comune il calore nel quale penetrava la luce del Sole, manifestazione dello
Spirito. Come si sa, ai nostri giorni il corpo astrale è chiamato anche aura, perché è percepito dal
veggente di oggi come un alone di luce che circonda l’essere: è come una sorgente luminosa che
irraggia da ogni parte dell’essere umano e costituisce un contorno luminoso a forma di uovo. È in
questo modo che il corpo astrale dell’uomo era contenuto a quell’epoca nell’atmosfera di calore della
Terra, non era ancora diviso in corpi astrali individuali; in questo corpo si riversava la luce del Sole,
portatrice della spiritualità di quell’astro.
Immaginate adesso il vostro proprio divenire sul piano cosmico universale di quell’epoca. Ciò che oggi
costituisce i vostri corpi fisici ed eterici, e che allora era di natura vegetale, cresceva in un certo modo
fuori della Terra, era un prodotto della Terra. Quello che oggi esiste in voi sotto forma di anima e di
Spirito, proviene dall’atmosfera che circondava la Terra ed è stato progressivamente aspirato dai vostri
corpi fisici ed eterici. Tutto questo processo si è effettuato in un’aura collettiva terrestre il cui aspetto
fisico deve essere visto come un calore collettivo illuminato, penetrato dalla luce solare carica di
spiritualità. In questo modo avete assorbito il calore che una volta copriva la Terra come un velo.
Quello che oggi esiste nel calore del vostro sangue è una parte del fuoco originario che a quel tempo
circondava la Terra. Se oggi si potesse estrarre tutto il calore dai corpi umani e animali si potrebbe
ricreare l’antico stato di calore originario. Quello che ai nostri giorni si manifesta sotto forma di calore
all’interno dei corpi proviene dalla ripartizione del calore che circondava la Terra come un oceano e la
luce si riversava in questo corpo sanguineo collettivo. Anche questa luce è stata ripartita poco a poco e
ha dato vita alla spiritualità superiore dell’uomo. I corpi fisici ed eterici erano evidentemente dotati solo
di una natura spirituale minore e ottenebrata. Quello che oggi ha preso radice nella testa umana, la
spiritualità superiore, quello che si è formato a partire dalle correnti riversate dagli Amesha Spenta,
proviene dalle forze spirituali del Sole.
Ponetevi adesso con il pensiero nella visione astrale del chiaroveggente. Cosa vede? Vede la nascita
della Terra, la separazione dalla Luna, la Terra avvolta da una nebbia di fuoco, quel calore collettivo
nella quale si riversano i raggi della saggezza cosmica, illuminandola dall’interno in un modo
meraviglioso. La saggezza cosmica che proviene dal Sole trasforma la Terra, penetrata dai raggi solari,
in aura terrestre. Ecco cosa percepisce il veggente nell’astrale. Il chiaroveggente dell’antica Persia
chiamava Ahura Mazdā la grande aura, quell’immensa aura di saggezza da cui sono derivate le aure
individuali degli esseri umani. Ohrmazd non è altro che un’espressione affine ad Ahura Mazdā, la
grande aura.
Andiamo un po’ avanti nella nostra storia. In che modo ha potuto essere generato questo stato, uno
stato che il chiaroveggente percepisce in modo grandioso sul piano astrale quando risale a quell’epoca?
Questo stato è descritto nel mito persiano, che non è altro che il racconto risultato dall’osservazione
chiaroveggente dell’astrale. Esso deriva dal fatto che l’esistenza del Sole è legata ugualmente a entità
spirituali. Per gli adepti del materialismo, il Sole emette solo dei raggi solari fisici. Ma per colui che
percepisce i fatti sul piano occulto, la realtà è che con la luce solare si riversano sulla Terra le forze
degli abitanti spirituali del Sole. Come la Terra è popolata da esseri umani, il Sole è popolato da potenti
entità che si distinguono da quelle terrestri per il loro livello di evoluzione molto piú avanzato, ben
oltre quello degli uomini. Nella Genesi dell’Antico Testamento questi abitanti del Sole portano il nome
di Elohim, Esseri di Luce. Gli abitanti del Sole hanno un corpo di luce come gli umani hanno un corpo
di carne. Sono Esseri di Luce. E le loro forze non sono circoscritte a uno spazio limitato, possono
irraggiare fino alla nostra Terra. Le azioni degli Spiriti solari, degli Elohim, con la luce del Sole
raggiungono tutte le creature della Terra. Dobbiamo comprendere che ogni raggio di Sole rappresenta
una azione degli Spiriti del Sole. Gli uomini saranno a questo stadio di esistenza quando la Terra avrà
raggiunto lo stato di Vulcano. Sapete che l’evoluzione della Terra inizia sull’antico Saturno, poi passa
per gli stadi dell’antico Sole, dell’antica Luna, della Terra, di Giove e di Venere, per arrivare a quello di
Vulcano che, per noi, è l’ultima incarnazione della Terra. Quando la Terra sarà evoluta fino allo stato di
Vulcano, gli esseri umani saranno al livello d’evoluzione in cui sono oggi gli abitanti del Sole.
Sappiamo dunque dove soggiornano oggi gli Amesha Spenta. Il loro luogo di soggiorno è in realtà il
Sole, e le loro azioni ci pervengono dalla loro residenza solare, con la luce del Sole.
In questo modo sono potute nascere nell’essere umano quelle che vi ho descritto come azioni
degli Amesha Spenta. Questi hanno fatto penetrare le loro dodici correnti nella testa umana, facendo in
modo che l’uomo potesse sviluppare il suo pensiero, la sua spiritualità. Sulla Luna erano gli Yazata che
avevano dapprima operato nell’uomo ed elaborato i ventotto nervi del midollo spinale. Poi l’uomo è
stato dotato dei dodici nervi cranici che provengono dagli Amesha Spenta, le legioni di Ahura Mazdā.
Ad ogni tappa del corso dell’evoluzione di un corpo celeste, alcune entità sono però restate indietro, in
ritardo sulle altre. Non hanno potuto seguire il ritmo dell’evoluzione. Non ci sono solo gli studenti dei
licei che ripetono una classe. Anche le entità cosmiche possono restare ad uno stadio che gli altri hanno
oltrepassato. Durante la fase della Terra come antica Luna, gli Elohim – Spiriti della luce del Sole –
hanno raggiunto uno stadio che permetteva loro di vivere sul Sole e di agire con le loro azioni sulla
Terra e sopra l’umanità terrestre. Altri spiriti, che a quell’epoca si trovavano allo stesso stadio
degli Elohim, sono rimasti indietro, in un certo caso sono stati bocciati. Sulla antica Luna non sono stati
in grado di evolvere oltre e neppure di poter cominciare un’esistenza superiore avendo il Sole come
luogo di residenza. A questi spiriti ritardatari non è dunque stato permesso di agire dall’esterno verso
l’interno con i raggi solari. Per poter continuare la loro evoluzione hanno dovuto cercare di superare le
tappe che non avevano superato sull’antica Luna, in un’esistenza inferiore che era legata precisamente
alla Terra e al suo ambiente immediatamente circostante.
In cosa consisteva dunque questo nuovo stato che allora apparve sulla Terra dotando le entità di nuovi
attributi? È in quel tempo che l’atmosfera di calore, l’ambiente circostante di calore della Terra è
penetrato nel sangue. Il calore del sangue è nato cosí. A questo stadio dell’evoluzione della Terra, le
legioni degli spiriti ritardatari hanno cercato di recuperare nel loro sviluppo quello che non avevano
potuto raggiungere prima. Hanno allora cercato di compensare le azioni che non avevano potuto
compiere con i raggi del Sole con il calore che si mutava in vita interiore.
Cercate di rappresentarvi in modo plastico quello che la visione chiaroveggente permette di percepire
[durante il seguito della conferenza sono stati fatti alla lavagna dei disegni che non sono stati
conservati da coloro che prendevano appunti]. Vediamo che le azioni degliAmesha Spenta e
degli Yazata, che procedono da Ahura Mazdā, si introducono nella testa e nella colonna vertebrale
dell’uomo, mentre l’interno del suo corpo si riempie di sangue caldo. Il suo corpo fisico aspira, per cosí
dire, il sangue caldo prendendolo all’esterno da tutte le parti e lo introduce in lui. Se studiamo
l’anatomia occulta dell’uomo, vediamo che ogni corrente inviata dalle regioni di Ahura Mazdā,
da Ohrmazd, è raddoppiata da un altro flusso, cioè dalla corrente nervosa sostenuta dal calore che
penetra in lui dall’esterno. Le correnti nervose seguono il movimento del sangue.
Con la penetrazione del sangue caldo, si inseriscono nell’uomo le forze degli spiriti ritardatari; sono le
legioni di Arimane che, con il calore, introducono adesso le loro forze nell’uomo, nello stesso modo
con cui gli Amesha Spenta vi fanno penetrare le loro forze luminose. Le cose sono messe in modo che
in corrispondenza di ogni corrente degli Amesha Spenta scorre un flusso sanguigno. In questa
circolazione di sangue rosso, che è in parallelo con i circuiti nervosi, scorrono anche le forze opposte
dei Deva. Nel sangue rosso circola quello che proviene dai Deva, le legioni di Ahriman, forze
antagoniste degli Amesha Spenta e degli Yazata. E da quei tempi sentiamo battere nel nostro sangue le
pulsioni provenienti dalle legioni di Ahriman.
Il mito persiano ci dà dunque una riproduzione profonda e piena di spiritualità di quello che, sul piano
astrale, il chiaroveggente vede penetrare nel corpo fisico. Vediamo l’interazione della grande luce
di Ahura Mazdā e del calore che s’introduce e dona la sua forza al sangue dell’uomo. Ora, noi
sappiamo che il sangue è l’espressione dell’Io. E vediamo dunque che tutto quello che procede dalla
grande saggezza di Ahura Mazdā è accompagnato dall’egoismo, nella misura in cui, nel sangue, le
correnti di Ahriman si oppongono a tutta questa saggezza. L’egoismo s’insinua in ogni attività
spirituale dell’uomo. Ce ne rendiamo veramente conto se ci dedichiamo a questo esercizio di
immaginazione. È in questo modo che ci eleviamo, nel senso figurato del termine, al livello di
percezione che ci permette di comprendere quello che ha avuto luogo sulla nostra Terra.
Ricordiamoci ora di quegli spiriti che erano restati allo stadio dell’esistenza lunare e non avevano avuto
accesso a quello solare. Quegli spiriti sono della stessa natura degli spiriti solari, le legioni di Ahura
Mazdā, che avevano raggiunto uno stadio di evoluzione superiore a quello della antica Luna. Avevano
raggiunto lo stadio dell’Io sull’antica Luna; sono soltanto stati distanziati, conservando però lo stadio
raggiunto. Finché erano sulla Luna, gli spiriti di Ahura Mazdā, di Ohrmazd, e quelli diAhriman erano
allo stesso livello, della stessa natura, della natura dell’Io. Questo Io, l’Io iniziale, Zurvān Akarana, è
l’Io divino che non ha ancora investito il corpo fisico e riposa ancora in seno alla divinità. Quando
questo Io fu condotto dal suo sviluppo al punto di avere un’esistenza solare, costituí un corpo astrale
posto sotto la reggenza di Ohrmazd. Ma questo corpo astrale fu anche provvisto di una forza inferiore,
la forza delle legioni ritardatarie di Ahriman.
Avete dunque visto la nascita del quarto elemento della natura umana, l’Io, e del terzo, il corpo astrale,
penetrato dalla spiritualità delle due entità. È portatore delle forze benefiche di Ohrmazd e delle forze
della natura egoista di Ahriman. L’Io è intrappolato nel combattimento che divampa nel suo proprio
corpo astrale, tra le forze del bene e quelle del male; l’entità primordiale Zurvān Akarana si scinde in
due; le autentiche forze del corpo astrale e quelle che gli sono opposte, quelle di
Ahriman. Ahriman, o Angra Manyu, significa colui che oppone resistenza, o anche che fa opposizione.
Capiamo dunque che questo mito non è effettivamente nient’altro che la trascrizione di quello che gli
antichi chiaroveggenti hanno percepito nell’astrale.
Esamineremo adesso le forze irraggianti del Sole sulla Terra e sull’uomo. Quello che risalta dal mito
persiano di Ohrmazd, oAhura Mazdā, è in effetti “la grande anima”, vale a dire la stessa cosa che
l’antico Greco chiamava Psiché; quello che intendiamo per corpo astrale dell’uomo è “la piccola
anima”. L’anima umana è composta da pensiero, sentimento e volontà. Sono le tre forze basilari
dell’anima, che per l’occultista sono in effetti tre entità indipendenti; lo studieremo in modo piú preciso
piú tardi. La grande anima, la grande Aura, si suddivide ugualmente in tre elementi, come l’anima
umana. Questa caratteristica si ritrova nella mitologia persiana come in quella dell’Europa centrale.
Quest’ultima chiama quelle tre energie principali Wotan, Vili e Vé: Wotan è la forza del
pensiero, Vili della volontà e Vé del sentimento.
Se riconosciamo a qual punto risuona nella sillaba “Vé” una designazione originaria della forza del
sentimento, possiamo allora immergerci molto profondamente nell’insieme della visione astrale di
quegli antichissimi tempi. È un fatto reale che ogni sentimento superiore, anche se si tratta di un
sentimento pieno di gioia, procede dal dolore, dalla sofferenza [Vé, We o Weh = dolore in tedesco n.d.t.]
E in che modo? Rappresentatevi ancora una volta l’iniziale sagoma umana, scaturita dalla Terra, un
essere vegetale dotato di un corpo fisico e di uno eterico. All’epoca del suo sbocciare, i sensi esistevano
solo allo stato di abbozzo, come il fiore già contenuto nel germe della pianta. L’uomo non poteva
ancora vedere. Gli occhi che abbiamo oggi sono stati formati al termine di una lunga, lunghissima
evoluzione. Secondo la fisiologia occulta, come sono nati questi occhi che oggi vedono la bellezza
della luce del Sole?
All’origine, quando esistevano solo il corpo fisico e quello eterico, al posto dei nostri attuali occhi non
c’era niente. Ma i posti dei futuri occhi risultavano essere particolarmente sensibili ai raggi inviati dal
Sole sulla Terra. E la prima impressione che suscitava il Sole era il dolore. Cosí, in quel luogo, nel
corpo dell’uomo, sono nate due zone di sofferenza, dei punti dolorosi che si trasformavano in una
permanente ferita. Esattamente come se vi tagliate e si forma una piaga: è a partire da questa piaga che
progressivamente si è creata la meravigliosa costruzione dell’occhio, ma questo dopo un lungo,
lunghissimo sviluppo. Quello che la sofferenza aveva strappato al corpo fisico è diventato la meraviglia
che è l’occhio.
Piacere o gioia, nulla al mondo può nascere che non abbia per base il dolore. Come la sazietà e il
benessere che essa procura hanno come preliminare la fame, ogni conoscenza e ogni gioia ha per base
il dolore. Nella tragedia è anche la ragione per la quale il dolore e il presentimento dell’attesa
redenzione ci riempiono di un sentimento di liberazione. Tutto quello che in avvenire avrà il proprio
compimento passa attualmente attraverso uno stato di dolore e di sofferenza. Ma ci consoliamo perché
sappiamo che quello che oggi è dolore e sofferenza corrisponderà piú tardi a degli stati di perfezione.
Gli occhi, nel loro attuale stato di perfezione, devono la loro esistenza a dei punti dolorosi del corpo,
sofferenza superata in un periodo remoto. È quanto voleva dire Paolo quando pronunciò queste parole
dal profondo senso: «E tutta la creazione fino a quel giorno gemette nelle doglie del parto», che
esprime semplicemente la nostalgia che ha l’uomo di una relazione filiale con Dio, stato che ha
conosciuto una volta e che un giorno ritroverà. Colui che comprende cos’è l’esistenza, vede che la
sofferenza è onnipresente in tutta l’intera creazione.
Rappresentiamoci adesso gli Spiriti del bene, sia sotto la forma di Ahura Mazdā nel mito persiano o
di Wotan, Vili e Vé nel mito germanico, e il modo in cui queste forze affluiscono. Quando le acque di
Atlantide sono scomparse e il Sole è stato liberato, queste forze hanno agito nei raggi del Sole e sono
penetrate nell’aria. Per questa ragione gli Spiriti della Luce sono ugualmente gli Spiriti dell’Aria che
sono state descritti come l’esercito selvaggio di Wotan; si percepiscono questi Spiriti nelle divinità
di Wotan, Vili e Vé. Cercheremo di vedere cosa il chiaroveggente percepiva nell’astrale. Prendiamo
l’uomo al suo stato vegetale, composto da corpo fisico ed eterico. Le forze del Sole influiscono su di
lui: da Wotan nel pensiero, in tutto ciò che concerne la volontà da Wili e in ciò che concerne il
sentimento da Vé; tutto quello che ha a che fare con il sentimento e la sensibilità riposa sul dolore e
spiega il nome in tedesco “Weh”.
Come
spiegare
queste
cose
affinché
siano
presentate
in
maniera
obiettiva? Wotan, Vili e Vé passeggiavano in riva al mare; vi trovarono delle piante e le dotarono della
loro forza: Wotan dello spirito e di tutto quello che concerne la vita psichica in generale, Vili della
forma, dell’intelligenza e del movimento, di tutto quello che procede dalla volontà, Vé del viso e del
colore, del linguaggio, dell’udito e della vista, di tutto quello che ha radice nei sentimenti, la sensibilità.
Cosí sono stati creati i primi esseri umani. In queste immagini del mito germanico che parla di tre dèi
che passeggiano in riva al mare, trovano degli alberi e li dotano di forze e proprietà divine,
riconosciamo il modo con cui questi Spiriti, che vivono sul Sole, hanno preso delle forze provenienti
dalla loro grande aura e le hanno fatte penetrare nell’aura individuale degli esseri umani. L’occultismo
ci permette di ritrovare queste cose praticamente alla lettera. Vediamo che alla base della mitologia ci
sono dei fatti reali e penetriamo profondamente nella visione chiaroveggente del saggio che insegnava
nei luoghi dove si tenevano i Misteri. Sotto forma di simboli ispirati da un reale potere
d’immaginazione, egli poteva narrare quello che percepiva sul piano astrale al popolo che era ancora
dotato di un certo grado di chiaroveggenza. Professava al popolo delle verità che aveva acquisito in uno
stato di semi-coscienza e di chiaroveggenza. Sapeva di poter contare su una qualche forma di
comprensione da parte di quegli uomini ancora dotati di un certo grado di chiaroveggenza.
Quando ci immergiamo nell’anima di quegli antenati nella prospettiva dell’occultismo, lo sguardo
prende un’altra dimensione. Mai ci può colpire la fatuità e la sufficienza degli spiriti cosiddetti
illuminati, quelli che proclamano: «Guardate le nostre realizzazioni!». Gli uomini del diciannovesimo
secolo non fanno forse prova di sufficienza, di una spaventosa fatuità, pretendendo che di fronte alle
verità che hanno scoperto nel diciannovesimo secolo tutto quello di cui gli uomini avevano conoscenza
prima rivela unicamente una fantasia puerile, e che tutto quello che è stato appena trovato è valido per
tutti i tempi? Coloro che oggi professano dall’alto delle loro cattedre universitarie o nei tribunali, e
quegli altri che propagano la buona parola affermando che la sola e unica forma di verità è quella
stabilita negli ultimi decenni, tutta questa gente non fa prova di una spaventevole fatuità? Si fanno
passare per umili, ma dietro questa facciata si nasconde la peggior forma di arroganza. Il ricercatore
motivato trascende questa attitudine con la visione ispiratagli dalla Scienza dello Spirito, visione che
deve afferrare il suo cuore, i suoi pensieri e la sua anima, rivelandogli che anche altre epoche hanno
posseduto la verità, ma sotto un’altra forma, e che la verità esiste sotto moltissimi aspetti. Egli passa
oltre l’arroganza dell’affermazione che quello che gli eruditi d’oggi hanno dichiarato varrà per
l’eternità. Nella stessa maniera in cui, dal tempo dei nostri antenati, si sono modificate le forme del
sapere, che venivano riportate sotto forma di simboli, mentre noi le insegniamo oggi in una forma
differente, cioè quella dell’occultismo, le epoche che verranno proclameranno la verità non come
facciamo noi, ma in altre forme, che saranno ben piú evolute delle nostre. Sappiamo che la verità è
eterna, ma sappiamo anche che nel suo procedere attraverso le anime degli uomini essa riveste le forme
piú diverse.
In primo luogo occorre che il nostro sguardo accolga un’altra dimensione; dobbiamo imparare come
simili conoscenze debbano penetrare in modo vivente nel nostro essere intimo. Lo capiremo pensando
a questo: cos’è dunque questo corpo astrale che portiamo in noi? È una particella di quella grande aura
di saggezza, una particella di Ahura Mazdā che è il corpo di saggezza della Terra intera, verso il quale
affluiscono le forze del Sole. Soggiorniamo perciò sulla Terra e sentiamo che siamo portatori delle
forze solari che sono penetrate nell’aura della Terra. La nostra sensibilità si fa allora piú ricettiva di
quello che dobbiamo sviluppare in noi, cioè che questo corpo umano ci è trasmesso dalla grandiosa
saggezza del mondo, il grande Spirito dell’universo. In occultismo, il corpo umano è chiamato anche
tempio. Ci incombe di riportare alla luminosa origine delle cose quello che abbiamo ricevuto, di
riportarlo nobilitato, purificato e perfezionato. Impariamo cosí a sentirci uniti all’esistenza cosmica.
Impariamo, non grazie a un atteggiamento fantasioso ma in quanto portatori di quella particella
di Ahura Mazdā, ad essere una nota nel grande concerto orchestrale che percorre il cosmo e che
chiamiamo musica delle sfere. Al fine di conservare un giusto equilibrio, crescono in noi il senso di
responsabilità e nello stesso tempo una certa esaltazione mista a un sentimento di umiltà. Ecco
l’insegnamento della Scienza dello Spirito: essa ci insegna in modo preciso non soltanto che siamo
degli esseri umani e di quale natura siamo fatti, ma fa di noi degli esseri spirituali che sanno qual è la
loro parte nell’esistenza spirituale e cosmica. Tale è l’etica, l’insegnamento morale che deriva dalla
conoscenza. Quando lo abbiamo compreso, degli impulsi morali vengono a nutrire la nostra sensibilità,
ed essi non hanno nulla di sentimentale né di filisteo. Un naturale insegnamento morale si plasma in
noi, se consideriamo questo insegnamento morale come conseguenza diretta della conoscenza. Ben
compresa, la Scienza dello Spirito può solo far nascere nell’uomo le piú elevate idee morali, perché
essa porta il sapere e la conoscenza del posto occupato dall’uomo nell’insieme universale.
La Scienza dello Spirito non si comprometterà con esortazioni o sermoni moralizzatori. Una persona
che fa la morale non diventa per questo migliore: «Sii buono!» oppure «Fa’ questo perché è bene» sono
esortazioni che condurranno l’uomo alla sentimentalità o ad un comportamento beota. La Scienza dello
Spirito ci mostra quello che è l’uomo e quali sono i suoi rapporti con l’universo intero, in una certa
maniera essa considera errato il fatto di avvicinarsi all’uomo con dei princípi morali, perché l’uomo è
fatto in modo che, quando conosce la sua reale natura, segue lui stesso la giusta via sul piano morale. È
nel senso piú elevato che l’occultista sente come un’offesa al pudore spirituale il fatto di rivolgersi ai
sentimenti degli uomini. Fa appello direttamente alla conoscenza, ma in quanto presa di coscienza alla
quale sono connessi i sentimenti e la sensibilità. Si limita a porre i fatti in modo obiettivo davanti agli
uomini, il che suscita del tutto naturalmente la loro sensibilità. Non s’impone all’uomo, perché sente
che in ogni essere umano bisogna saper rispettare e apprezzare colui che cerca di perfezionarsi. Quando
l’uomo acquista la conoscenza della verità, acquista nello stesso tempo la bontà, perché l’anima della
verità è la bontà. Quando l’uomo fa sua la verità, contemporaneamente assimila la bontà. Una
conoscenza di un livello inferiore non è accompagnata da bontà, contrariamente a ciò che accade nel
caso di una conoscenza superiore. Per questo in fondo bisognerebbe che la corrente scientificospirituale facesse penetrare nell’uomo la volontà di un’autentica conoscenza, perché è il cammino piú
sicuro verso la perfezione e il bene.
Nello stesso tempo, abbiamo visto che queste osservazioni ci danno una lezione di vita pratica e ci
mostrano il modo con cui gli elementi della saggezza primordiale si imprimono nella nostra civiltà e in
tutta la nostra vita.
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 28 ottobre 1907 sera ‒ O.O. N° 101. Traduzione di Angiola Lagarde.
R. Steiner | Simboli | Anno 23 n.08 – Agosto 2018 – L’Archetipo
By CTSadmin| Novembre 7th, 2018|MITOLOGIA NORDICA|Commenti disabilitati su 05 –
MITOLOGIE GERMANICHE E PERSIANE
Leggende germaniche
O.O. 101 – Miti e leggende nordiche – 21.10.1907 (sera)
In questa “sezione Besant” abbiamo tentato di definire un minimo di caratteristiche delle basi occulte
dei miti germanici, e lunedí scorso abbiamo cercato di allargare il soggetto globale dei miti, mostrando
come esso, passando per l’Est dell’Europa, si estenda come una larga cintura spirituale dalla Persia
all’Europa. Forse non è opportuno continuare oggi su questo soggetto, visto che numerosi nostri amici
non si trovavano presenti alle due riunioni precedenti. Cercheremo dunque di far in modo che l’esposto
odierno sia indipendente, e di far emergere dall’insieme dei miti europei qualche caratteristica generale
che non implichi la partecipazione alle due ultime conferenze. Ciò significa naturalmente che saremo
obbligati a fornire unicamente le grandi linee di alcuni soggetti.
Vi ricordo che riguardo agli Dei germanici, si ritrova il numero dodici, che in effetti è il doppio del
numero sei, come abbiamo costatato l’ultima volta per gli Amesha Spenta; dodici è il numero degli Dei
di cui abbiamo imparato il significato otto giorni fa. Oggi considereremo solo qualche divinità di cui
evidenzieremo alcune particolarità, per mostrare quali sono le basi occulte di queste divinità e le loro
caratteristiche. Abbiamo riconosciuto la parentela della mitologia germanica con quella persiana.
Abbiamo visto in che modo la mitologia nata in Asia metta in scena lo stesso soggetto dei miti
dell’Europa Centrale. Abbiamo riconosciuto, nelle energie dei sei Amesha Spenta, le dodici paia di
nervi che partono dal nostro cranio e nei ventotto Yazata le forze che partono dalla nostra colonna
vertebrale.
Come tutti sapete, Wotan-Odino funge piú o meno da dio supremo nell’insieme delle divinità
germaniche; poi vi è Thor e sua figlia Thrud o Truth, di cui abbiamo visto i significati occulti. Abbiamo
anche evocato Tyr, una specie di divinità dei combattimenti, particolare dio della guerra, che
corrisponde in un certo modo ad Ares o a Marte delle zone piú meridionali. Corrisponde loro in quanto
gli è consacrato il martedí, giorno di Marte, chiamato anche giorno di Tyr o Tur. Fatto strano, i racconti
menzionano altre divinità spirituali, che svolgono un certo ruolo negli avvenimenti che hanno luogo fra
le divinità germaniche, e in relazione con il dio Tyr è fatta menzione di uno strano dio, ma diciamo
piuttosto di una famiglia di dèi, quella di Loki.
Voi sapete, e il fondamento occulto è stato spiegato nella sezione Besant, che questo Loki, che è posto
accanto agli altri dèi nordici, discende dalle potenze del fuoco di cui abbiamo definito l’origine
meridionale. Mentre gli dèi nordici discendono dalla unione dell’elemento fuoco del Sud con
l’elemento freddo e nebbioso del Nord, Loki è un dio piú antico, o perlomeno è il figlio di una divinità
piú antica, una specie di dio del fuoco. Possiamo dunque dire che questo Loki, che estrinseca tanta
ostilità nei confronti delle altre divinità, appartiene ad una razza piú antica di entità spirituali che, ad un
certo momento, ha dovuto cedere la sua supremazia a dèi quali Wotan, Tyr e Thor. Per questa ragione si
mostra ostile nei loro riguardi ed è in conflitto con gli Asi, gli dèi che accedono al potere solo quando
gli Atlantidei sono evoluti oltre gli stadi anteriori, raggiungendo l’epoca post-atlantidea; è in quel
momento che gli Asi acquistano importanza.
Le entità spirituali di cui fa parte Loki risalgono a quell’epoca, ben anteriore. Fra l’altro, Loki con la
sua sposa Angrboda, che discende dalla razza dei giganti, ha avuto tre discendenti molto particolari: il
lupo Fenris, il serpente Midgard e Hel, dea degli inferi. Affinché possano essere sviluppati dall’umanità
dei nuovi stati di coscienza, queste tre creature, che risalgono a epoche piú antiche, devono dapprima
essere domate dalle nuove divinità, gli Asi. Si sa che il serpente Midgard sarà domato inviandolo nei
mari per delimitare i continenti, cosa per cui esso si morde la coda, e durante il periodo di dominio dei
nuovi dèi, gli Asi, subentrati dopo le antiche divinità, non può fare nient’altro. Il lupo Fenris è domato e
incatenato con ogni sorta di mezzi, e in tale occasione nasce una certa relazione fra il dio Tyr, il dio
imperioso della guerra o dei combattimenti, la sua famiglia e Loki.
Il dio Tyr deve mettere una delle sue mani nelle fauci del lupo Fenris affinché questo si lasci incatenare,
ed è cosí che perde la mano destra. Questo è un tratto del tutto particolare del mito germanico che può
essere compreso solo partendo dall’occultismo. Studieremo dunque questa mano di Tyr e vedremo dove
essa si trova in realtà. Hel è stata rimandata negli inferi, verso Niflheim o Nebelheim, dove devono
andare tutti coloro che non sono caduti sul campo di battaglia. Quelli che sono caduti sul campo di
battaglia sono uniti alla razza divina; alla loro morte una Walkiria appare loro e li trasporta dagli Asi.
La loro morte è onorata. Accade tutt’altro a coloro che sono morti di malattia o vittime di debolezza
dovuta alla loro vecchiaia; essi devono andare nel regno degli inferi, dove regnano preoccupazioni,
privazioni, fame e tormenti. I defunti non morti di morte gloriosa non entravano nel regno degli Asi,
erano inviati a Hel, nell’inferno, affinché regni la pace durante il dominio degli Asi. La progenitura di
Loki è dunque stata esclusa dal potere in questa maniera. Loki stesso è stato vittima di un’astuzia degli
dèi e fatto prigioniero mentre si era trasformato in salmone. È stato attaccato a tre rocce e ha dovuto
subire orribili supplizi.
Tutte le leggende hanno una connotazione particolare per il fatto che tutta l’esistenza degli Asi è
marcata da un tratto tragico, del quale abbiamo spesso parlato. Coloro che hanno seguito le conferenze
sulla mitologia nordica, sanno che quell’atmosfera tragica è realmente esistita nei luoghi d’Iniziazione
dei Misteri nordici. E questa caratteristica è stata trasposta volutamente nelle leggende degli dèi. Gli
Asi, gli dèi nordici, vivono nella costante angoscia del loro declino, perché sanno che il loro regno un
giorno finirà. Incontriamo dunque sempre un aspetto tragico, che ci dice per quale ragione questo regno
sarà annientato. Questo aspetto tragico consiste nel fatto che all’inizio della guerra e dell’agitazione
sulla Terra sono stati deposti i germi di quello che un giorno sarà il grande braciere devastatore
cosmico, quando tutto quello che gli dèi avevano incatenato si libererà, quando il lupo Fenris, il
serpente Midgard e Loki stesso saranno liberi e prepareranno l’annientamento degli Asi. Verrà uno
spirito supremo del fuoco, Surtur, che si imporrà agli Asi. Sarà il crepuscolo degli dèi, e dal grande
braciere cosmico nascerà un nuovo mondo. La leggenda ci comunica ancora un aspetto strano: quando
il lupo Fenris sarà liberato dalle sue catene, aprirà talmente tanto le sue fauci che la sua mascella
superiore raggiungerà il cielo e quella inferiore sarà piantata nella Terra: il suo fiato consumerà l’intero
universo.
Conoscete tutti questo mondo di leggende. Studieremo il fondamento occulto di queste caratteristiche
che abbiamo evocato. Nel contempo, ci ricorderemo del fatto che gli Asi, gli dèi ai quali appartengono
Wotan, Tyr e Thor, si sono imposti, sono diventati le potenze che governano il mondo, dall’epoca in cui
gli uomini della fine del periodo di Atlantide sono passati da uno stato di coscienza dotato dell’antica
chiaroveggenza, che permetteva di accedere ancora al Mondo spirituale, ad uno stato post-atlantideo,
nel quale accedevano solo al mondo sensibile, al mondo delle realtà visibili del piano esteriore, fisico.
Ricordiamoci ora che le pesanti masse di nebbia dell’antica Atlantide sono discese progressivamente,
che il continente Atlantide è stato inondato da enormi masse d’acqua e che la realtà fisica è emersa
poco a poco dall’aria che si purificava. Ricordiamoci che allora è nato quello che non era mai esistito
prima, quello che poteva nascere solo quando sarebbero cadute le grandi piogge e che l’aria si sarebbe
purificata: l’arcobaleno. L’arcobaleno è il fenomeno che gli uomini hanno visto per la prima volta con
il declino di Atlantide. Mentre spariva l’antica chiaroveggenza degli uomini, questi hanno visto per la
prima volta un arcobaleno alzarsi nel cielo, come un ponte fra loro e gli dèi: un ponte che essi vedevano
realmente, e le leggende non fanno che raccontare quello che è stato visto.
Ora, cosa hanno dunque perso gli uomini mentre avveniva tutto questo? Hanno perso quello che le
acque della saggezza che una volta li circondavano davano loro. Quando le acque galleggiavano ancora
nell’aria, esse comunicavano la saggezza agli uomini in un mormorío. Lo scorrere delle sorgenti, il
bisbiglio del vento, lo sciabordío delle onde, tutto questo comunicava loro la saggezza.Gli uomini
comprendevano quel linguaggio che per loro era quello delle entità spirituali e che si era poi come
inabissato nel mare, nei fiumi. Tutto questo processo apparteneva ad un altro mondo spirituale di quello
degli Asi; era un mondo che conteneva ancora le ultime vestigia che testimoniavano della provenienza
spirituale dell’uomo. Tutto quello che aveva riempito l’aria affondava nel mare. La saggezza era
affondata con le acque. Questo è un fatto reale. Per gli antenati della popolazione dell’Europa centrale,
le acque che circondavano i continenti, delimitandoli, erano associate al serpente Midgard. Esso era il
guardiano dell’antica saggezza sommersa, quella che gli uomini possedevano una volta e che ormai
non possedevano piú. Bisognava che il potere di chiaroveggenza degli uomini sparisse. Gli dèi non
avrebbero mai potuto regnare dall’esterno se gli uomini avessero mantenuto quel potere di
chiaroveggenza. Il serpente Midgard, nato dalla potenza del fuoco, dovette essere precipitato nel mare.
L’ultimo discendente di quelle potenze del fuoco era Loki. Loki era il nemico degli dèi. Egli aveva dato
agli uomini quella che era la loro ultima chiaroveggenza: il serpente Midgard, che era ormai incatenato.
Ma Loki aveva donato ancora qualcos’altro agli uomini, proveniente ancora dagli inizi della razza
umana che viveva nel fuoco della Lemuria, e che d’altronde non poteva svilupparsi che in Atlantide.
Che cosa si è progressivamente formato quando l’uomo è passato dallo stadio della chiaroveggenza a
quello dell’intelligenza? Il linguaggio! Ne abbiamo parlato spesso. Il linguaggio si è sviluppato
progressivamente all’epoca atlantidea, mentre l’uomo imparava poco a poco a mantenersi eretto, e
sarebbe diventato completo alla fine di quel periodo. Quando gli abitanti di Atlantide sono avanzati
verso l’Est, con un’intelligenza ben sviluppata, il linguaggio era già elaborato. Ma finché quel
linguaggio è restato quello degli abitanti di Atlantide, esso era omogeneo, basato anche sui rumori e i
suoni della natura. Era come un’imitazione di quello che gli abitanti di Atlantide avevano percepito
durante il periodo di chiaroveggenza e chiaroudienza: lo scrosciare delle sorgenti, il mormorio dei
venti, lo stormire degli alberi, il rombo del tuono, lo sciabordío delle onde. Hanno trascritto questi
rumori e suoni in quello che era il linguaggio degli abitanti di Atlantide.
Quello che si può chiamare differenziazione fra le diverse lingue e gli idiomi, fra gli elementi delle
differenti lingue, si è organizzato e sviluppato durante il periodo post-atlantideo. L’antica lingua,
derivata dagli elementi della natura, di quelle potenze alle quali Loki era cosí intimamente legato,
dovette assumere altre forme quando gli Asi divennero dominatori e gli uomini si divisero in popoli e
tribú. Dalla separazione degli uomini in razze, e dal combattimento fra quelle differenti razze, derivò
quella che chiamiamo guerra. Per quale ragione ci si fa la guerra? Perché avviene? Il linguaggio aveva
portato all’uomo qualcosa che gli permetteva di esteriorizzare i suoi piú intimi sentimenti. Dal punto di
vista occulto, uno dei piú importanti progressi nell’evoluzione è il fatto che l’anima arrivi a far
risuonare all’esterno i suoi dolori, le sue gioie e il suo piacere. Il linguaggio è articolato dall’interno;
quando esso permette all’anima di esprimersi, esso rappresenta qualcosa che conferisce all’uomo una
potenza dagli effetti considerevoli.Questa potenza dovette essere vinta dagli Asi con la forza, altrimenti
non avrebbero potuto regnare. Come hanno fatto gli Asi a sopprimere quell’antica lingua uniforme?
Hanno fatto in modo che gli uomini si dividessero in differenti razze, e quindi in differenti lingue. Il
lupo Fenris, una lingua indivisa, rappresentava una formidabile potenza. Affinché questa potenza non
potesse dispiegarsi nel campo d’azione degli Asi, questi hanno domato il lupo Fenris, scindendo il
linguaggio, diversificandolo, per poter dominare gli uomini. È cosí che hanno creato la guerra. Ma
affinché gli Asi diventassero i padroni, era necessaria anche un’altra cosa. Il dio della guerra doveva
mettere la sua mano nelle fauci del lupo Fenris, ed è per questo che l’ha persa. La mano di Tyr, dio
della guerra, prende il posto della lingua nella gola del lupo Fenris. Si tratta della lingua umana che è
all’origine dei diversi linguaggi. L’organo della lingua dell’uomo è dovuto nascere sotto questa forma
affinché potesse sparire l’antica lingua uniforme. Il profondo mito del lupo Fenris è il simbolo
dell’individualizzazione delle lingue. Nei miti, ogni organo esprime in un modo o nell’altro l’influenza
esteriore degli dèi. Qui si tratta della lingua, organo fisico, e, sul piano simbolico, del modo con il quale
è resa l’evoluzione continua dell’umanità sul piano organico.
Mentre gli abitanti di Atlantide venivano progressivamente preparati per la futura epoca post-atlantidea,
successe ancora un’altra cosa. Ai tempi di Atlantide, i diversi stati di coscienza dell’uomo erano del
tutto differenti da quelli odierni. Abbiamo detto che c’era ancora un certo grado di chiaroveggenza. Il
risultato era che l’Atlantideo non conosceva ancora la differenza fra il sonno e la veglia come noi la
viviamo oggi. La grande differenza fra il sonno e la veglia è nata effettivamente solo all’epoca postatlantidea. Questo stato di cose si è naturalmente preparato progressivamente, ma soltanto sotto forma
di abbozzo di quella che sarebbe stata l’alternanza fra la veglia e il sonno durante l’epoca postatlantidea.
L’abitante di Atlantide sognava di giorno e sognava di notte. I sogni notturni corrispondevano di piú
alla realtà rispetto ai sogni dell’uomo di oggi. E i sogni diurni consistevano in una vera percezione del
Mondo spirituale che circondava l’Atlantideo ai primi tempi di quell’epoca. L’importanza dei legami
fra il corpo astrale e gli altri corpi si è veramente rivelata quando si è installata la stretta separazione tra
la coscienza di veglia e lo stato di sonno interamente incosciente. Le malattie umane, nella loro attuale
forma, hanno avuto il loro pieno significato solo nell’epoca post-atlantidea. Queste malattie non
esistevano ancora durante i primi tempi di quel periodo. In seguito, le malattie che avevano gli uomini
si sono sempre piú aggravate. Sapete tutti che il corpo astrale esercita una influenza riparatrice quando,
durante il sonno, si trova all’esterno del corpo fisico. Ora, al tempo di Atlantide, il corpo astrale non era
del tutto all’esterno, anche se in gran parte lo era molto di piú che nell’uomo attuale, e per questo fatto
poteva esercitare sempre la sua azione curativa. È proprio a causa della penetrazione del corpo astrale
in quello eterico e fisico che si sono costituite delle nuove condizioni fra corpo astrale, eterico e fisico,
e che sono apparse le malattie che conosciamo oggi. Le malattie hanno visto crescere la loro
importanza solo a partire dal momento in cui il corpo astrale non ha piú potuto agire sul corpo fisico
durante il giorno.
Anche questo è espresso in un mito. Solo colui che cade sul campo di battaglia muore senza essere
preda delle potenze infere. Fa ancora parte delle potenze superiori, e ha quindi diritto di salire verso gli
dèi del Walhalla. Ma coloro che sono vittime delle potenze delle malattie, devono scendere verso Hel,
che è metà bianca e metà nera, e che simboleggia chiaramente l’alternanza degli stati di coscienza del
giorno e della notte. Per preservarsi, gli Asi ricevono solo coloro che possono unirsi al mondo astrale
perché sono morti sul campo di battaglia, mentre gli altri devono scendere nei regni dell’inferno, dalla
dea Hel. Questo è un aspetto essenziale della leggenda nordica, basato su fatti reali.
Ora, tutte le leggende che si basano sull’occultismo (e come si sa, tutte le grandi leggende provengono
da scuole segrete) comportano sempre una parte di profezia. Troviamo qui anche un’allusione a un
futuro stato dell’evoluzione della Terra e dell’umanità. Il tempo durante il quale l’uomo può vedere
solo il mondo sensoriale esterno, durerà solo un periodo. Egli si eleverà da se stesso fino alla visione
che aveva all’origine. In un lontano passato era chiaroveggente, è stato forzato a scendere fino alla
percezione fisica per diventare cosciente, e arriverà nuovamente alla percezione chiaroveggente.
Questo coincide in modo notevole con l’insieme della costituzione dell’uomo. Sapete, vero, o almeno
coloro che hanno seguito le precedenti conferenze sanno, che la leggenda fa allusione alla nascita del
sistema nervoso e dunque alla facoltà di percepire le cose esterne come le percepisce l’attuale essere
umano; questa facoltà risulta dalla penetrazione delle potenze divine attraverso le porte dei sensi. Ora,
esiste al livello dei nostri sensi una differenza del tutto sorprendente che traspare di nuovo in modo
grandioso nella leggenda. Se considerate il senso dell’udito, il suo organo è unico, localizzato
nell’orecchio; se considerate il senso della vista, il suo organo è localizzato nell’occhio. Se prendete il
senso dell’olfatto, il suo organo è situato nelle mucose nasali, quello del gusto è localizzato nella lingua
e nel palato. Prendiamo adesso il senso del tatto, del calore: dov’è localizzato? Si estende su tutto il
corpo. Si distingue totalmente dagli altri organi dei sensi, tutti localizzati in un posto preciso. Il senso
con cui l’uomo percepisce il calore si distingue in modo singolare da tutti gli altri sensi.
Riprendiamo questa leggenda che dice che le potenze degli dèi penetrano attraverso i differenti organi
sensoriali dell’uomo. Diciamo dunque: le potenze che vivono nel mondo di luce penetrano attraverso
l’occhio e cosí di seguito. Ma le potenze che vivono nel calore, penetrando e vivificando ogni cosa,
riempiono l’essere tutto intero. Quando l’essere umano è uscito dal seno della divinità, all’inizio del
suo sviluppo, la situazione era completamente differente. Allora, l’essere umano non aveva ancora
alcun senso di percezione del suo ambiente. Prima di tutto si è formato in lui quell’organo di
sensazione particolare che si potrebbe a torto chiamare un occhio, quell’organo si è formato negli strati
superiori del suo essere a partire dai raggi e dalle onde. Quell’organo era un prolungamento dell’uomo
verso l’esterno. Oggi, sulla sommità del cranio del bambino, potete sentire ancora la parte cartilaginosa
nel posto dove sporgeva quell’organo, che assomigliava a un’apertura, che permetteva il passaggio
delle correnti.
Quell’organo era, a quei tempi, il senso localizzato del calore, che attualmente è esteso all’intero corpo.
L’uomo possedeva quell’organo nell’antica Lemuria, terra del fuoco. Poteva servirsene: quell’organo
gli indicava dove poteva andare, poteva sentire se la temperatura era sopportabile oppure no.
Quell’organo è oggi atrofizzato e si chiama ghiandola pineale, o epifisi. In avvenire, quello che oggi
copre l’intero corpo, apparirà metamorfizzato ed elevato a un livello superiore; sarà localizzato in un
organo preciso e differente.
Questo fenomeno è tradotto nei miti dal fatto che Surtur regna nel regno del Sud, la Lemuria. Surtur
rappresenta la potenza del fuoco. Il mito evoca il modo in cui Surtur è posto sotto il dominio degli altri
dèi, gli Asi, la potenza dei quali investe l’uomo tramite i differenti sensi chiaramente localizzati. Ma
Surtur ritornerà e regnerà al posto degli Asi. L’uomo ritornerà alle potenze primordiali del fuoco e il
senso del calore non sarà piú esteso all’insieme del corpo umano, ma nuovamente localizzato in un
organo preciso. La leggenda traduce in modo meraviglioso una realtà di cui conosciamo i fatti grazie
alla Scienza dello Spirito. Ma cosa ha conservato l’uomo di quell’arcaico mondo di fuoco, di
quell’ambiente di calore e di fuoco che poteva percepire con i suoi antichi organi? Non si tratta di
Surtur. Perché per far rivivere quel regno nel quale si trovava Surtur l’uomo ha bisogno del suo antico
organo, quell’organo di sensibilità che era posto sulla sua testa come una lanterna. Il “rampollo”
dell’antico organo di sensibilità, che deve vivere il destino dell’insieme del corpo fisico dell’uomo, che
è strettamente e completamente legato al destino dell’uomo, è il figlio di Surtur: Loki. Loki è
incatenato alla triplice roccia della testa, del busto e delle membra dell’uomo, cosicché non può
muoversi ed è esposto ai tormenti e alle sofferenze umane.
Penetrate cosí ancor piú profondamente nel mondo della mitologia germanica che è di una profondità
quasi insondabile. Per esempio, bisogna indagare molto per percepire di quale natura fosse
l’entusiasmo che ha suscitato lo slancio creativo di un artista come Richard Wagner. Non si tratta di
affermare che Richard Wagner avrebbe potuto, diciamo, descrivere in dettaglio delle leggende come lo
fa l’occultismo. Ma le potenze spirituali che lo ispiravano, l’hanno guidato e hanno presieduto alla sua
ispirazione artistica, in modo tale che la sua arte è diventata la piú bella espressione di quanto è alla
radice dei miti. La proprietà di un’opera d’arte grandiosa è di velare quello che vi si nasconde: tutto si
fonde nel suono e nelle parole. Richard Wagner ha un notevole istinto (per impiegare un’espressione
piuttosto banale, a meno di chiamarla ispirazione artistica). È come se avesse avuto il dono di sentire il
senso spirituale degli antichi linguaggi che salivano in lui. Era perfettamente aperto e sensibile ai
linguaggi piú antichi, e questo gli ha permesso di non attenersi soltanto alla rima, che appartiene allo
stadio posteriore del raziocinio, ma di scegliere lo stadio dell’evoluzione del linguaggio, che evoca lo
stormire e lo sciabordío delle onde emergenti dalla nebbia dell’antica Atlantide: ha optato per
l’allitterazione, che ripete sul piano sonoro, per colui che è sensibile, quello che si può chiamare la
musica delle onde.
La leggenda germanica annuncia come una profezia che avverrà il crepuscolo degli dèi perché sono
state fatte le guerre. I germi della futura caduta degli dèi sono nati dal fatto che Tyr ha perduto una
mano nelle fauci del lupo Fenris. L’aspetto profetico della leggenda germanica del crepuscolo degli dèi
fa allusione alla situazione futura, nella quale si troveranno gli uomini quando, non essendo piú separati
dalle lingue, potranno nuovamente comprendersi. La leggenda ci dice che, dopo la migrazione verso
l’Est della popolazione di Atlantide, in essa ci fu una divisione, una scissione. Solo le razze che
derivavano dalla razza mongola e discendevano da Attila, o Atli, l’Atlantideo, hanno conservato
qualcosa dell’antica Atlantide. Hanno conservato esclusivamente l’elemento vitale degli abitanti di
Atlantide, mentre le altre razze rimaste in Europa si sono sviluppate a partire dalla divisione dell’antica
comunità legata dal vincolo di sangue e si sono mutualmente distrutte nelle lotte fra le differenti razze.
Dunque, i popoli dell’Ovest vivevano sempre in guerre o in conflitti. Non potevano certo sostenere
l’assalto dell’elemento mongolo che aveva conservato le basi vitali degli antichi abitanti di Atlantide.
L’avanzata di Attila non è frenata dalle tribú germaniche. In effetti, queste diverse tribú non sono in
grado d’imporsi ad Attila, che ha saputo preservare uno spirito ancestrale e forte, simile ad una specie
di monoteismo. Le popolazioni, le razze limitate, che gli si sono opposte, non hanno potuto fermarlo.
Uno dei passaggi molto particolari della leggenda è quello in cui Attila è costretto a tornare indietro
quando incontra qualcosa che va al di là dei vincoli di sangue, il cristianesimo, simboleggiato dal papa
di allora.
Attila vede in quel momento le potenze spirituali che un giorno riuniranno gli uomini, ed è davanti ad
esse che s’inchina l’Iniziato del paese degli abitanti di Atlantide. Il cristianesimo è la tappa preparatoria
a quello stadio dell’umanità nel quale Surtur riapparirà e porterà la pace nel mondo, qualsiasi siano le
differenze etniche fra gli uomini. Il cristianesimo è cosí apparso agli occhi degli uomini di quell’epoca
come premessa del crepuscolo degli dèi e del ritorno alle antiche epoche, quando gli uomini non erano
ancora disuniti, divisi, separati dalle guerre.
Cosí si comprendeva il cristianesimo, soprattutto nei primissimi secoli in cui esso si è propagato; non
era il cristianesimo diffuso da Roma, ma quello che arrivava da Nord e da Ovest tramite le società
segrete cristiane d’Inghilterra, d’Irlanda e piú tardi di Francia; e queste società erano del tutto
indipendenti dal potere temporale di Roma. È stato Winfried, Bonifacio, che per primo è uscito dai
ranghi dei discepoli delle scuole segrete d’Occidente e ha fatto la pace con Roma. È da quel momento
che il cristianesimo ha potuto prendere progressivamente l’aspetto specifico della Chiesa cristiana
romana.
Vediamo dunque quali potenze sono intervenute nella propagazione del cristianesimo, a partire dal
ricordo di un’epoca passata e come annuncio profetico di un futuro ancora lontano. Nel cristianesimo
dell’Europa centrale è apparso per primo il grado di sensibilità che avevano allora i discepoli delle
scuole segrete, che sottintendeva tutta la loro percezione, ed è questo fondo di sensibilità che è stato
insegnato e arricchito tramite le scuole segrete.
Ci fermeremo un istante a questo stadio dello sviluppo spirituale dell’Europa centrale e ci
rappresenteremo quella che era la sua situazione a quel tempo, quando l’antico mondo degli dèi,
descritto nelle leggende germaniche, scivolava poco a poco in un crepuscolo suscitato dal mondo
religioso del cristianesimo. L’ascesa del cristianesimo era sentita come un presagio dell’immenso
crepuscolo degli dèi, quel crepuscolo che un giorno avrebbe spazzato via la potenza delle divinità
arcaiche. Il cristianesimo è all’origine dell’indebolimento dell’antico mondo degli dèi, del declino delle
divinità arcaiche del crepuscolo degli dèi, che concretizzerà in una forma ben reale quello che il
cristianesimo ha introdotto soltanto sotto forma di credenze. Ecco quello che era sentito.
Cerchiamo adesso di immaginare lo stato d’animo che regnava allora. I popoli dei Goti, dei Franchi
ecc. dovevano tutti subire da una parte l’impronta delle orde mongole del re degli Unni, Attila, e
dall’altra l’influenza del cristianesimo che si propagava poco a poco. Quei popoli erano divisi a causa
degli avvenimenti che ho descritto; parlavano lingue differenti e si erano dissociati gli uni dagli altri. In
effetti, si è mantenuta veramente solo una di quelle razze, quella dei Franchi, che è rimasta sia per
nome che per importanza. Che ricordo abbiamo ancora di tutte quelle tribú che hanno percorso il
continente europeo, di là dalla loro storia: i Longobardi, i Visigoti, gli Ostrogoti, i Cherusci, gli Eruli
ecc.? La tribú dei Franchi ha in effetti riportato la vittoria sulle altre tribú. Ma cosa si poteva sentire in
seno a quelle tribú che si trovavano allora sulla via del declino e dell’estinzione? La sensibilità a quelle
impressioni era la piú vivace proprio nelle scuole segrete e nei saggi di quelle tribú in declino.
Esaminiamo la tribú dei Visigoti. Dopo essere andati molto lontano verso l’Est, si erano installati nel
Nord della Spagna e nel Sud della Francia. La spinta verso l’Ovest fu in effetti, come sapete, solo per
trovare un rifugio. Le capacità che possedevano erano delle reminiscenze dell’antica epoca di
Atlantide. Quando quelle tribú erano migrate dall’Est verso l’Ovest, nel corso della loro migrazione
avevano perduto le loro antiche facoltà, ma sussisteva in loro una certa chiaroveggenza, come un’eco di
quelle antiche facoltà. Gli esseri umani non erano piú del tutto veggenti, ma in certi periodi potevano
ancora penetrare con lo sguardo nei mondi spirituali. Questa particolarità era spesso sentita come
qualcosa di sconosciuto, di opprimente, come un incubo, da cui il nome di “elfo” (n.d.t. in tedesco Alp
= elfo, Alptraum = incubo). Cos’è un elfo? Si tratta di un essere astrale di cui si sentiva la presenza, ma
non si sapeva piú bene chi fosse, mentre era conosciuto nei periodi di Atlantide, quando la percezione
era chiaroveggente. Quell’elfo appariva ormai come un intruso nel mondo, come Truth, di cui abbiamo
parlato in precedenza. Alcuni lo sentivano tuttavia come uno sguardo del mondo astrale superiore che
penetrava nel mondo fisico. In certe tribú, che non potevano adattarsi alle nuove condizioni, “quando
l’elfo veniva e opprimeva”, si poteva penetrare con lo sguardo nei mondi superiori.
In tutti i popoli, specialmente nei Goti, ma anche nei Burgundi e nelle altre razze germaniche, c’erano
degli individui (che si consideravano in relazione con le potenze divine) che potevano resistere a questi
stati eccezionali, ed erano in grado di interpretarli come un’irruzione del mondo astrale in quello fisico.
Ed è il caso di Alfardo, re dei Goti, al quale è fatta allusione durante il periodo in cui i Goti hanno
abitato il Sud della Francia. Era re d’Aquitania e regnava quando Attila intraprese la marcia d’Est ad
Ovest. Il figlio di Alfardo era il leggendario Walter del poema latino Waltharius. Questi fatti ci
presentano il passaggio dall’epoca nella quale gli uomini, grazie ai loro avi, avevano ancora qualche
nozione delle antiche attitudini e dei legami che univano una volta le razze. Gli avi sapevano quali
erano i legami fra i popoli; per questa ragione il padre di Walter, Alfardo, aveva parlato da lungo tempo
con il re dei Burgundi, la cui figlia Ildegonda doveva diventare la sposa di Walter, per colmare il
pericoloso solco che si scavava fra i popoli. Ma le differenti razze non erano in grado di resistere agli
attacchi degli Unni, che possedevano ancora quelle antiche forze vitali che essi invece avevano
perduto. Per questa ragione dovettero andare alla corte del re degli Unni, Attila, o Atli, i seguenti
ostaggi: Walter, figlio di Alfardo, Ildegonda, figlia del re dei Burgundi e, in qualità di ostaggio della
corte dei Franchi, Hagen di Tronje. Per il fatto che Gunther, figlio del re dei Franchi Gibich non poteva
essere dato in ostaggio, è inviato Hagen, discendente del popolo dei Tronje. Non è necessario
continuare il racconto del poema Waltharius.
Alla corte del re Attila gli ostaggi si distinguevano per il loro comportamento di valorosi eroi, ma una
cosa era loro impossibile: potevano certo conquistare quello che fa di un essere umano un Io, ma non
erano in grado di appropriarsi di quello che appaga l’Io, questo era per loro impossibile. Ciascuno
faceva del suo meglio al proprio posto, comportandosi da valorosi eroi anche in un paese nemico, alla
corte di Attila. Ma quando Gunther prese il potere nel regno dei Franchi e non intrattenne piú dei
rapporti di amicizia con Attila, gli ostaggi non poterono piú conservare la loro posizione e dovettero
fuggire. Successe allora una cosa del tutto straordinaria. Esiste una versione piú antica di questi fatti, in
cui Walter, dopo essere fuggito con Ildegonda, lotta contro gli Unni lanciati al loro inseguimento.
Questa versione proviene dal paese dei Franchi. Esiste una versione ancora piú antica, di cui si è
parlato ieri e che è nata in un contesto puramente cristiano: è stata composta nel X secolo da Ekkehard
Primo, monaco del convento di San Gallo. Le due versioni presentano delle profonde divergenze. La
versione piú antica, proveniente dal regno dei Franchi, deriva da racconti influenzati dalla corrente
nella quale vive ancora il cristianesimo iniziale sotto forma di corrente occulta, e il cui insegnamento è
il seguente: volgetevi verso le nuove percezioni e supererete quello che in voi è ancora sotto forma di
un principio antico, incarnato negli Unni.
Solo qualcuno appartenente al regno dei Franchi poteva avere interesse a presentare i fatti cosí. Ma
questo non era il caso per colui che dal suo chiostro di San Gallo interpretava la leggenda per
presentarla ai cristiani. Il suo obiettivo era differente. Il suo messaggio era il seguente: se persistete a
restare nelle antiche condizioni, vi esaurirete. Mostrava sotto forma di immagini come gli umani
rischiavano di consumarsi. Ed effettivamente non erano piú gli Unni ad essere la causa del loro
indebolimento. Quando Walter ritorna con Ildegonda nel paese di sua moglie, è Gunther stesso che li
affronta con Hagen di Tronje. Sono dunque i tre rappresentanti dei popoli germanici che si combattono,
al punto che sul campo di battaglia il primo perde una gamba, il secondo un occhio e il terzo una mano.
Walter ha la mano tagliata, Gunther perde una gamba e Hagen un occhio. Colui che ha scritto la
leggenda in questo modo sapeva benissimo per quale ragione era proprio il discendente di Alfardo ad
avere la mano tagliata. Ne faceva il rappresentante della discordia fra i popoli e le razze. Quella mano
tagliata ricorda quello che avvenne a Tyr, il dio della guerra. Quando dei popoli entrano in conflitto,
l’istigatore perde la sua mano.
Questo principio perdura fino a Götz von Berlichingen, che anche lui ha perso una mano. È lo stesso
tratto caratteristico che si ritrova nel mito germanico. Ekkehard voleva dunque dire al suo pubblico: se
restate attaccati al vostro vecchio modo di vedere le cose, vi distruggerete l’un l’altro perché la
discordia è tra voi. Ciò che può unirvi è lo spirito del cristianesimo. Pone davanti alla loro anima
l’immagine che deve suscitare in loro l’orrore. Questa era l’intenzione cristiana che animava Ekkehard.
Bisogna guardarsi dal fare speculazioni o aggiunte a proposito di questo poema diWaltharius. I
differenti dettagli: occhio perso, mano tranciata, gamba tagliata e altri particolari di tal genere, sono
come una reminiscenza della base e la forma della leggenda, che rivivono ogni volta che è giudicato
necessario. Giustamente è stato detto ieri che colui che ha scritto questo poema Waltarius era un
Iniziato. Ma bisogna anche sottolineare il fatto che si trattava di un Iniziato cristiano che cercava di
presentare agli uomini un insegnamento cristiano ben preciso.
Vediamo dunque come la Scienza dello Spirito ci chiarisca i fenomeni propri alla vita spirituale
dell’essere umano, e come essa faccia luce in campi che la filologia attuale non padroneggia affatto. E
se stamattina avete visto in che modo la Scienza dello Spirito può intervenire nel campo della vita
quotidiana, se inoltre tenete conto di quanto è stato ora descritto, avete allora delle prove tangibili che
le realtà spirituali nascondono dell’autentica verità che si può far scendere dai mondi spirituali. Il
nostro mondo ha bisogno nuovamente di un simile approfondimento. Ma vedete anche come dobbiamo
lavorare e comprendete che non è certo un’agitazione esterna che potrà guidare il movimento
scientifico-spirituale mondiale sulla giusta via. Quando ci si presenta davanti al pubblico unicamente
con dei dogmi che si vorrebbero spiegare, esso ha tutto il diritto di dirci che si tratta solo di frottole.
Soltanto chi s’immerge profondamente in quanto offre il movimento scientifico-spirituale e ne penetra
la materia in tutti i suoi aspetti, comprenderà poco a poco le verità della Scienza dello Spirito. Non c’è
niente di strano che i partigiani delle correnti materialiste trovino insensati i nostri propositi. Come
potrebbe essere altrimenti? E come potremmo cullarci nell’illusione che la Scienza dello Spirito sia
qualcosa che può diffondersi con una propaganda esteriore, come è il caso per il monoteismo ammesso
comunemente? È solo con un lavoro costruttivo, con la diffusione che potremo dare ai suoi
insegnamenti, che faremo in modo che ci si familiarizzi con la Scienza dello Spirito. Anche se è a
prezzo di nuovi e numerosi insuccessi, non dobbiamo lasciarci frenare né distrarre. Per questo la
Scienza dello Spirito deve essere un luogo nel seno del quale si agisce in modo spiritualistico. La
Società in sé non deve mai essere o diventare la cosa principale; la cosa principale deve essere la nostra
stessa Scienza dello Spirito. Forse, per riprendere la definizione di Nietzsche che avete certamente già
inteso, la Società non sarà che “un ponte”, “un passaggio verso qualcosa di superiore”, verso una libera
corrente scientifico-spirituale su scala mondiale. Ma per il momento abbiamo bisogno di questo posto,
a partire dal quale possiamo operare e senza il quale non potremmo far circolare la Scienza dello
Spirito attraverso il mondo. Ma dobbiamo far nostra questa concezione libera che distingue l’uomo e la
causa e pone la causa piú in alto di ogni altra istituzione derivata da una disposizione esterna.
Eccoci arrivati alla fine del programma del nostro incontro.
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 21 ottobre 1907 sera ‒ O.O. N° 101. Traduzione di Angiola Lagarde.
R. Steiner | Simboli | Anno 23 n.07 – Luglio 2018 – L’Archetipo
By CTSadmin| Novembre 7th, 2018|MITOLOGIA NORDICA|Commenti disabilitati su 04 –
LEGGENDE GERMANICHE
Organi che stanno scomparendo o che si stanno
creando nel corpo umano.
La fisionomia della morte.
O.O. 101 – Miti e leggende nordiche – 21.10.1907
Considerando le conferenze precedenti che avevano per tema i miti e le leggende, avete potuto
accorgervi che un sapere antichissimo del Mondo spirituale sopravvive nei racconti, nei simboli e altro
ancora vivente nei popoli o che è stato trasmesso dallo Spirito umano. Conservata nei miti e nelle
leggende, troviamo una certa forma di esistenza della sensibilità e delle sensazioni umane grazie alle
quali l’umanità era ancora in possesso di un sapere ben superiore e ben lontano da quello che l’uomo
può acquisire con lo spirito d’osservazione corrente indotto dai sensi esteriori. Qualche volta, partendo
da brevi racconti leggendari, chi possiede un certo senso per queste cose può vedere brillare delle
profonde verità.
Grazie alle diverse conferenze che ho tenuto in molte sedi, sapete che moltissimo tempo fa ha avuto
luogo una grande migrazione dall’Ovest verso l’Est, e che una certa parte della popolazione di
Atlantide si è spostata da Ovest ad Est portando il ricordo di precisi stati di esistenza dell’antica epoca e
di tempi ancora piú remoti. Colui che con lo sguardo approfondito, dato dalla Scienza dello Spirito,
esamina le vaghe indicazioni che figurano nei racconti leggendari trasmessi dai diversi popoli che si
sono sedentarizzati qua e là, vede sorgere da queste leggende profonde conoscenze concernenti periodi
antichissimi. Ed è allora che non soltanto i nostri pensieri, la nostra filosofia, ma anche la nostra
sensibilità, profondamente marcati da queste verità, arrivano progressivamente a situarsi nell’ordine
divino dell’universo. Perché piú la saggezza si dirige verso l’intelligenza, piú essa diventa fredda,
sprovvista di sentimento; piú la saggezza si eleva verso le regioni superiori della vera vita spirituale e
piú essa è calorosa e impregnata di sensibilità.
Chi potrebbe, di fronte a una teoria astratta della scienza materialista, anche se piena di osservazioni
originali come il darwinismo, chi dunque potrebbe provare un sentimento vibrante di calore, una
sensazione di entusiasmo? Chi potrebbe sentire il proprio cuore battere piú in fretta ascoltando i termini
ereditarietà, adattazione e altri concetti simili? Essi non suscitano alcun sentimento in noi. Ma chi sente
dire come la Terra sia passata attraverso gli stadi anteriori di evoluzione dell’antico Saturno, dell’antico
Sole e dell’antica Luna, chi sente dire come l’umanità si sia evoluta dall’epoca della Lemuria all’epoca
di Atlantide e cosí via, chi sente tutto questo e resta di marmo, ha uno stato d’animo disturbato. Questi
racconti si incidono profondamente nel cuore di chiunque possegga un’apertura di spirito capace di
assimilarli senza pregiudizi. Chi ascolta queste leggende e racconti, intuisce la profondità della
saggezza che essi contengono grazie ai sentimenti che sono in lui suscitati.
Esiste un racconto molto semplice che circola fra i Mongoli dell’Asia e che è arrivato fino nell’Est
dell’Europa, dove sussistono racconti e leggende mongole. Quando veniamo a conoscenza di questa
leggenda mongola, non è possibile non sentire qualcosa di profondamente commovente, anche se non
possiamo del tutto comprendere quale saggezza essa celi. Dice cosí: «C’era una volta una madre che
aveva un solo occhio sopra la testa. Questa mamma percorreva il mondo, inconsolabile, perché aveva
perduto il suo unico figlio. Percorreva il mondo in grande fretta, sollevando ogni pietra e portandola
all’altezza della sua testa e del suo solo occhio per poi, delusa, gettarla per terra dove si frantumava in
mille pezzi; lo faceva per essere sicura che non si trattasse del suo figliolo; e faceva la stessa cosa con
tutti gli oggetti, perché in ogni oggetto pensava di ritrovare il suo figlio perduto. Prendeva l’oggetto, lo
portava davanti al suo occhio, poi delusa lo gettava lontano. Cosí senza un attimo di respiro, percorreva
il mondo, ripetendo instancabilmente il suo rituale». Questo racconto non è altro che il ricordo del
popolo emigrato piú ad Est, che conosceva ancora l’esistenza dell’antica Atlantide, lo stato iniziale
dell’umanità, quando l’uomo era piú vicino ai mondi spirituali nei quali poteva ancora immergere il
proprio sguardo.
Come tutti sapete, dopo la nascita, le ossa del cranio del bambino si richiudono solo lentamente. Questo
deriva dal legame che negli antichissimi tempi esisteva fra l’essere umano e il mondo esteriore. A
quell’epoca, se si avesse avuto la stessa visione di oggi, da quel punto sulla testa si sarebbe potuto
veder uscire un organo simile a qualcosa di luminoso, i cui raggi andavano oltre i limiti del corpo
umano per sparire lentamente nel mondo esterno. Si sarebbe potuta vedere una specie di strana
lanterna, che a torto si chiama occhio, perché quell’organo non era un occhio. Ma si trattava di un
organo sensitivo di percezione che l’umanità possedeva in quell’epoca antichissima, e grazie al quale
l’uomo poteva liberamente penetrare per contemplazione diretta in quello che chiamiamo mondo
astrale; ma non vedeva solo i corpi, vedeva ugualmente le anime e quello che accadeva nelle anime
attorno a lui.
Quest’organo si è ristretto fino alle dimensioni della ghiandola pineale, cosí si chiama, che è adesso
ricoperta dal cranio. Ma come eredità di quell’antico organo che gli permetteva di fare l’esperienza dei
mondi spirituali attorno a lui, l’uomo serba nella sua anima una cosa, e questa cosa è la nostalgia di
quei mondi la cui porta, quella della sua propria testa, gli è stata chiusa. La nostalgia di quel mondo gli
è rimasta, ma non la possibilità di potervi penetrare con lo sguardo. È nelle religioni che si affaccia
questa nostalgia presente nell’anima umana. Se una volta l’essere umano vedeva nelle sfere spirituali
delle entità animate da calore e da sentimenti, oggi, grazie ai suoi occhi, si vede circondato da forme
fisiche dai contorni ben precisi.
Non vi sembra commovente quel racconto della donna, madre dell’umanità, che percorre il mondo alla
ricerca di ciò che lenirà la sua nostalgia, e non lo trova in alcun oggetto esteriore perché non vede piú
quello che una volta poteva percepire, quando funzionava ancora il suo unico occhio in cima alla testa?
Non si può piú ritrovare la visione di una volta in tutti gli oggetti esteriori oggi accessibili all’uomo
grazie ai suoi sensi. La voce del Mondo spirituale è la sola a parlare attraverso i racconti e le leggende,
con una tale profondità che potremo comprendere il loro importante messaggio solo se lo poniamo
nell’ottica della vera Scienza dello Spirito. Ascoltando un tale racconto potremmo credere che la sua
spiegazione, centrata sul ricordo di una realtà effettiva concernente l’umanità, sia già sufficientemente
profonda. Ma il significato di questo racconto è ancora piú profondo. In queste leggende, l’essenziale
non è quello che è detto, ma la maniera in cui è detto. Quando si cerca di andare realmente a fondo
nella saggezza di questi racconti, si constata che ne risulta un’apparente contraddizione. Perché
potrebbe sembrare che ci sia una contraddizione fra il fatto che questa donna, che ha conservato il suo
antico organo, tenga gli oggetti esteriori davanti a questo solo occhio per vederli e con questo
riconoscerli, mentre si possono vedere le cose del mondo esteriore con i due occhi attuali. Ora, è
precisamente là che sta la verità essenziale dei misteri, il che implica che solo se cerchiamo di afferrarla
in tutta la sua profondità potremo gettare uno sguardo sugli avvenimenti nei quali è implicata
l’umanità. Vediamo in che modo una verità, attinta nelle profondità della saggezza dei Misteri, può
essere realizzata sul piano pratico, nella vita quotidiana.
Lo scienziato che in una sala di dissezione o altrove, con lo sguardo esteriore, studia l’uomo in
funzione dei suoi componenti fisiologici e biologici, ha il sentimento che affronta con lo stesso stato
d’animo ogni organo; che sia il cuore, il cervello, il fegato o lo stomaco che disseziona, egli mette gli
strumenti nella stessa maniera. Pensa che si tratti unicamente di comprendere la natura dei componenti
chimici alla base della costituzione e della forma di quegli organi. Non ha la minima idea del fatto che
quegli organi sono fondamentalmente differenti a seconda dell’origine della loro costituzione. I nervi
non esisterebbero se il corpo astrale non fosse stato integrato nell’uomo; è questa entità interiore che ha
secreto il sistema nervoso e ha fatto della sostanza nervosa nella sua essenza qualcosa di differente
dalle altre sostanze. Nel mondo astrale permangono e sono all’opera degli scultori, architetti della
sostanza nervosa, che si danno da fare con saggezza, una grande saggezza. In certe sfere ancora piú
elevate dell’esistenza spirituale, si trovano delle entità che sono identiche, della stessa natura,
dell’entità umana dell’Io, e queste hanno permesso la formazione del sangue rosso. Potete leggerlo nel
testo Il sangue è un succo molto peculiare. Le entità dell’Io sono gli scultori e gli architetti di questo
sangue rosso. La loro azione è stata fatta dall’esterno, affinché l’Io potesse immergersi nell’uomo. Gli
animali non sono ancora dotati di un Io individuale. Negli animali a sangue rosso vi sono entità che
agiscono dall’esterno; gli animali sono ‘posseduti’ dal sangue rosso. L’uomo invece accede alla libertà
per il fatto che ‘è posseduto’ da se stesso, dal suo proprio Io. È stato necessario che prendesse possesso
di se stesso per acquistare la padronanza del suo sangue.
Il corpo eterico agisce negli organi di secrezione che chiamiamo ghiandole, in altri termini, in esso
sono all’opera le entità della sfera eterica. Per capire queste ghiandole, dobbiamo sapere alcune cose.
Se gli uomini avessero solo un corpo eterico e non anche un corpo astrale, solo le entità del mondo
eterico agirebbero sul corpo umano, e nessun organo del tipo delle ghiandole potrebbe formarsi;
avremmo solo degli organi simili a quelli che si trovano nel mondo vegetale. Perché è proprio il corpo
eterico che abita le piante, e che si trova alla base della vita di ogni specie inorganica. Ogni nuovo
principio, aggiungendosi ai precedenti, li trasforma. Il corpo astrale, penetrando nel corpo fisico
dell’uomo e costruendo per lui stesso il sistema nervoso, reagisce ugualmente sul mondo dell’eterico e
trasforma la struttura iniziale degli organi vegetali che diventano allora delle ghiandole.
È dunque possibile studiare gli organi umani nei loro differenti attributi, risalendo alle cause che si
trovano nel Mondo spirituale. Constatiamo che il fegato, la bile, la milza ecc. sono tutt’altra cosa,
quando si sa in quale maniera le differenti sfere hanno contribuito alla loro elaborazione, piuttosto che
se ci accontentiamo di dissezionarle sul piano fisiologico con gli abituali strumenti della scienza. Sono
elementi ereditati dal Mondo spirituale. Se vogliamo veramente comprenderne il significato, dobbiamo
esaminare tutti gli organi dell’uomo partendo dalla loro origine spirituale. Ci orientiamo allora verso un
modo di approccio del corpo fisico umano che avverrà nel futuro, quando si avrà coscienza dell’origine
spirituale degli organi e che questa conoscenza sarà applicata nella medicina quotidiana. Si tratta di un
processo che deve essere messo in opera lentamente e con pazienza. Non si può farlo dall’oggi al
domani, ma questo si prepara e diventerà realtà in avvenire.
Una cosa è essenziale nell’osservazione del corpo fisico umano. Esso ha in sé degli organi che hanno
preso la loro forma attuale relativamente tardi, mentre altri avevano la loro struttura già da tempi molto
antichi. A causa della loro attuale costituzione, alcuni organi sono destinati a seccarsi progressivamente
e a cadere, a staccarsi dal corpo umano; altri, che sono al loro stadio iniziale, sono destinati a
perfezionarsi sempre di piú e ad avere in avvenire un ruolo determinante in tutti i fenomeni di cui
l’uomo è la causa. Fra tutti gli organi che in avvenire svolgeranno un’attività creatrice si trova tutto
quello che è legato al cuore e alla laringe dell’uomo. Questi organi sono al primissimo inizio del loro
sviluppo, in futuro saranno organi di riproduzione. Il fenomeno è già abbozzato nel fatto che la voce di
un giovane uomo cambia con l’avvicinarsi della maturità sessuale. Il cuore e la laringe si
modificheranno, la loro struttura si perfezionerà nel corso del tempo, ed è da loro che piú tardi
nasceranno degli esseri umani.
Per contro stanno scomparendo gli attuali organi di riproduzione; si sclerotizzeranno sempre piú e si
staccheranno dal corpo fisico. Si può veramente comprendere il corpo umano solo se si sa che esso si
compone di una parte in via di estinzione e di un’altra in progressiva evoluzione, e si comprende il
rapporto fra queste due parti. Il corpo fisico dell’uomo comporta degli elementi che si avviano
progressivamente verso la morte ed altri che si svilupperanno sempre piú per dar nascita ad una nuova
vita. Osservando l’uomo dal punto di vista della scienza occulta, di ogni organo si può indicare se fa
parte di quelli che rifluendo si dirigono verso la morte e che l’umanità non avrà piú in avvenire, o se
invece appartengono agli elementi giovani che in futuro conosceranno una possente e continua
evoluzione. Potete vedere quali sono gli organi il cui aspetto è già rimpicciolito, l’attività ridotta ed in
secondo piano. La ghiandola pineale ne è un esempio. Una volta essa aveva un’attività molto
importante, mentre ormai è ridotta ad essere un organo praticamente insignificante. Certi organi
decadono quasi fino al punto di morte, per rinascere a nuova vita in un altro modo. Altri deperiscono
completamente, la loro forma sparisce dal piano fisico per poi riapparire in un’altra struttura.
Osserviamo adesso il corpo fisico dell’uomo nelle parti che si trovano nettamente avviate sulla via
della morte e in quelle dove sboccia una nuova vita. Le due s’interpenetrano. I piú importanti organi
sono canalizzati in queste vie di evoluzione ascendente e discendente, cosicché essi partecipano alla
vita come alla morte. Visto che sono significativi per la vita dell’uomo, li esamineremo con l’aiuto di
un esempio significativo.
vete tutti già appreso dai miei precedenti interventi che l’uomo è costituito da un corpo fisico, un corpo
eterico, un corpo astrale e da un Io. Sapete che in primo luogo l’Io lavora continuamente sul corpo
astrale per trasformarne una parte. Se gettate uno sguardo retrospettivo fino all’epoca dell’evoluzione
umana nella quale l’Io è, per cosí dire, disceso dal seno della divinità ed ha per la prima volta
cominciato ad agire sul corpo astrale, percepirete che questo corpo astrale è stato a suo tempo un dono
della divinità. Se vogliamo rappresentarci schematicamente l’uomo al momento in cui l’Io è stato
impiantato in lui, diremo [Rudolf Steiner fa un disegno]: prima c’erano il suo corpo fisico, il suo corpo
eterico e il suo corpo astrale. Dall’alto, l’Io si è inserito nel corpo astrale e comincia la sua azione
nell’uomo strutturando una parte del corpo astrale. Questo corpo astrale si compone oggi di due
elementi, di cui uno che possiede anche l’animale e l’altro proprio soltanto all’uomo, e che proviene
precisamente dall’azione fatta dall’Io sul corpo astrale nel corso di innumerevoli incarnazioni. Quello
che agisce nell’uomo è differente da ciò che agisce nell’animale, per questa ragione. Nel corpo
dell’animale non c’è penetrazione nel corpo astrale da parte dell’Io. Il suo corpo astrale è costituito in
un certo modo, ben definito, come l’ha ricevuto dalle potenze esteriori. Ora, tutto quello che viene dai
mondi superiori agisce sull’insieme dell’organismo umano, lo modifica in maniera precisa e genera
delle trasformazioni nei vecchi organi rimodellandoli.
Esaminiamo adesso da questo punto di vista il rapporto fra questi tre corpi. Il corpo fisico è composto
da forze e sostanze simili a quelle che sono diffuse all’esterno nel mondo minerale, da sostanze e forze
fisiche e chimiche. Se l’uomo possedesse solo queste sostanze ed energie, sarebbe un minerale, anche
se realizzato con arte. Il corpo vitale o corpo eterico lo penetra da ogni parte. Qual è il ruolo di questo
corpo eterico? Esso si oppone instancabilmente alla degradazione del corpo fisico, è lui che lotta contro
la degradazione del corpo fisico. Se quest’ultimo fosse solo, sarebbe in preda alle forze materiali e si
distruggerebbe progressivamente. Durante la vita, il corpo fisico e quello eterico sono legati, e il corpo
eterico lotta in permanenza contro la degradazione del corpo fisico.
E qual è poi il ruolo del corpo astrale? Saperlo ha un’importanza capitale. Da un certo aspetto, il corpo
astrale si attiva instancabilmente a far morire il corpo eterico durante la vita cosciente (non durante il
sonno), esso si dedica a indebolire e attenuare le forze sviluppate dal corpo eterico. La vita del corpo
astrale si manifesta per questo con la stanchezza, con l’apparizione, nella giornata, della stanchezza. Il
corpo astrale esercita dunque in permanenza un effetto distruttore sul corpo eterico. Se non adempisse a
questo ruolo, non ci potrebbe essere coscienza, perché la coscienza non può nascere senza una continua
e progressiva distruzione della vita. Si tratta di un fenomeno estremamente importante. Questa attività
spirituale, la vita nel mondo eterico, questo meraviglioso rinnovamento della vita nel mondo eterico,
che si sviluppa sotto forma di superbi movimenti e ritmi, e con l’indebolimento costante di questo
ritmo del corpo eterico da parte del corpo astrale, tutto questo è all’origine della nascita della coscienza,
anche della piú elementare coscienza animale.
Questi fenomeni spirituali si esprimono nel mondo fisico in modo tale che dal momento in cui la
coscienza fa in generale irruzione nella vita, fenomeni di indurimento e di ossificazione intervengono
nel corpo fisico. Ci sono naturalmente dei fenomeni intermedi, come i molluschi ecc., ma questi ultimi
sono giustamente dotati di una capacità di coscienza tutta particolare. La coscienza diventa veramente
tale, per avvicinarsi sempre piú alla presa di coscienza di sé, solo quando le masse viventi organiche
molli vedono apparire in sé delle zone d’indurimento e di ossificazione. È l’azione del corpo astrale su
quello eterico che fa sí che molluschi, lumache, cozze ecc. secernano verso l’esterno le conchiglie dure,
fatto che genera in questi animali la coscienza attenuata che è loro propria. Negli animali piú evoluti, la
cui coscienza è piú forte, il corpo astrale ha come attività annessa a quella della formazione del sistema
nervoso, di secernere tutto quello che è proprio all’ossificazione, all’indurimento. Man mano che la
coscienza dell’Io si rinforza, dalla massa gelatinosa e molle si formano, nella stessa proporzione, gli
elementi cartilaginosi e ossei. Negli animali superiori questa formazione è in un certo modo finita: il
corpo astrale ha elaborato un sistema osseo che è quasi ultimato nella sua specificità.
Nell’uomo, si assiste a un fenomeno particolare a livello del corpo astrale. Ha luogo un nuovo impatto.
Il corpo astrale subisce una parziale modificazione da parte dell’Io, e questo genera una trasformazione
della tendenza iniziale all’ossificazione. Se l’uomo avesse lasciato il suo corpo astrale intatto e avesse
continuato la formazione dello scheletro, sulla Terra non esisterebbe una civiltà umana. Tutto il
progresso dell’evoluzione umana si basa sul fatto che certi elementi del corpo astrale sono stati isolati e
sono passati sotto il dominio dell’Io. La parte del corpo astrale cosí isolata ha un ruolo preciso,
generando a sua volta una nuova tendenza; questa ha la padronanza della formazione dello scheletro e
dell’ossificazione.
E questo, come si manifesta? Con un fenomeno curioso. Mentre una volta la tendenza del corpo astrale
si manifestava con un progressivo indurimento dell’essere, e segnava simultaneamente il punto finale,
per cosí dire, dell’evoluzione del sistema osseo, il corpo astrale trattiene una parte della sua energia,
assimilabile a una tendenza al rammollimento, in modo da permettere il proseguimento
dell’evoluzione. Se le cose non andassero cosí, tutto quello che ha la tendenza a solidificarsi
s’integrerebbe al sistema osseo dell’uomo e non ci sarebbe piú né progresso della specie umana, né
civiltà. Il regno umano sarebbe come quello delle specie animali che non conoscono alcuna evoluzione
(per esempio la specie del leone e della tigre sono portate a termine). Ma a causa di questa parte del
corpo astrale, che l’uomo ha conservato grazie al suo Io, egli può disporre nuovamente di quello che si
è indurito. Cosí, oltre alla tendenza all’indurimento, all’ossificazione, il corpo fisico ha la particolarità
di conservare sempre in sé una parte di cui può disporre liberamente, e che permette la formazione di
nuovi organi che non siano duri. Questa è un’osservazione molto importante che bisogna notare. Una
tale tendenza non esiste nell’animale.
Studiamo adesso un essere umano nel piú profondo della sua vita, da una parte con la sua tendenza
all’indurimento e dall’altra quella di esercitare una certa capacità di ritenzione. Vediamo queste due
tendenze separarsi verso il settimo anno, quando l’essere umano ha la sua seconda dentizione. La
tendenza a integrarsi all’ossificazione, a isolarsi nell’indurimento, si esprime con i denti che il bambino
acquista verso il settimo anno. La parte isolata del corpo astrale fa in modo che l’essere umano, a
differenza dell’animale, trattenga certe forze vitali per poter continuare la sua evoluzione. Fino all’età
di sette anni, quanto si è manifestato è ciò che è collegato alla specie, al genere; a partire da questo
momento, l’essere può impegnarsi nelle forme della civiltà del suo tempo e prendere coscienza
dell’evoluzione di quest’ultima. È l’inizio della scolarità. Queste due cose sono legate, in sostanza: la
tendenza all’indurimento, che si traduce con la dentizione, e la tendenza al rammollimento, che deve
mantenere qualcosa in riserva e di cui il corpo eterico, che si libera verso il settimo anno d’età, ha
bisogno per proseguire la sua evoluzione. Queste due tendenze sono strettamente legate l’una all’altra,
e ciò appare senza ambiguità durante la vita umana.
Si constata spesso che è difficile stabilire un legame fra certi fenomeni dell’esistenza se non li si studia
dal punto di vista della Scienza dello Spirito. Prendiamo il caso della febbre puerperale, spesso legata a
denti in cattivo stato. Le donne che sono colpite da questo tipo di febbre hanno a volte una cattiva
dentizione. Per quale ragione? Perché le due tendenze, l’una dell’indurimento, che si esprime con la
formazione dei denti, e l’altra legata al proseguimento dell’evoluzione, all’apertura e all’eccesso, che si
manifesta nella forza di riproduzione, queste due tendenze, dunque, sono interdipendenti. Se una è
difettosa, lo è anche l’altra.
Nell’esistenza umana incontriamo ovunque queste due tendenze, l’una all’indurimento e l’altra al
rammollimento di certi organi. È capitale che queste due tendenze si equilibrino. Bisogna stare attenti a
organizzare la propria vita in modo che esse si compensino, perché considerando il contesto della
civiltà nel quale l’uomo è posto, si assiste spesso a modificazioni molto importanti. Per esempio, se si
spostano dei contadini dalla loro campagna, dalla loro vita in piena natura, da un ambiente nel quale
vivevano già i loro antenati, per trasferirli in una città, dove lavoreranno in fabbriche ecc., questo
cambiamento della loro condizione di vita fa loro perdere la propria coerenza, l’equilibrio fra
indurimento e rammollimento. E quale ne è la conseguenza? Una delle due tendenze vincerà alla fine,
quella delle energie di indurimento o quella del rammollimento. Queste sono le cause nel Mondo
spirituale; potete constatarne voi stessi gli effetti nel mondo fisico. Supponete che le forze di
rammollimento prendano il sopravvento, questo significa l’apparizione di malattie di civilizzazione,
quali il rachitismo ed altre affezioni simili. Se al contrario sono le forze d’indurimento a dominare,
cominciano curiosamente a sclerotizzarsi certi tessuti molli dell’organismo. Quando il processo di
indurimento prevale in modo inappropriato, appare la tubercolosi. Non incontrerete queste malattie
negli animali che vivono nella natura. Ma per esempio, se spostate delle scimmie lontano dal loro
ambiente abituale, per metterle nel nostro, e inoltre le rinchiudete, esse prendono molto spesso la
tubercolosi e muoiono a causa della loro cattività. La ragione è la predominanza delle tendenze
all’indurimento che derivano quando la scimmia è trasferita in un ambiente per il quale non è fatta.
Vedete dunque l’incidenza delle forze spirituali sulla nostra esistenza fisica, e capite le ripercussioni
fisiche esteriori legate a cause spirituali. Se volessi analizzare con maggiore precisione queste relazioni
di causa ed effetto, dovrei parlarne ancora molto a lungo. Ma considerando che nel mio uditorio i
medici sono pochi, penso che potrete accontentarvi di quello che vi ho indicato.
Riflettete adesso come tutto quello che ho evocato sia legato alla felicità o infelicità dell’uomo, perché
è necessario, affinché ci sia equilibrio nell’insieme della vita umana, che gli organi abbiano preso la
forma voluta in un determinato momento dell’evoluzione. Se un organo è rimasto ad uno stadio
anteriore, il rammollimento o la sclerosi avverranno in modo irregolare, e la conseguenza sarà una vita
infelice. Ogni organo deve pervenire all’elaborazione della forma definita per uno stadio determinato
dell’esistenza. Se un vecchio organo si mantiene a uno stadio anteriore, non può risultarne che infelicità
e sofferenza. Gli organi nascosti o non completamente visibili, possono anch’essi essere in ritardo o in
anticipo rispetto a un determinato stadio. In avvenire, la tubercolosi non nuocerà piú all’uomo, perché
si tratta semplicemente dell’apparizione prematura di uno stato che si risolverà da solo ulteriormente.
Attualmente, questo stato è patologico, piú tardi sarà sano. Queste malattie di civilizzazione si
distinguono dalle abituali malattie che si riscontrano anche nella vita animale.
Non vedete un’eco di questa verità nel racconto mongolo della donna che cerca invano il suo figliolo
perduto? L’organo che aveva sulla testa è anacronistico. Le porta sventura. Percorre il mondo senza
sosta, non trova quanto né ciò che le somiglia, né ciò che le è proprio. Nelle semplici leggende popolari
le guide dell’umanità hanno sepolto, come per tenerla segreta, una grande saggezza.
Detto questo, possiamo continuare. Esaminate l’uomo come è oggi, composto di organi che si trovano
sulla curva ascendente e quella discendente dell’evoluzione. L’uomo non ha sempre avuto un corpo
astrale; questo si è incorporato solo progressivamente. Prima che avesse integrato l’uomo, quest’ultimo
era dotato di organi simili a dei vegetali, di natura vegetale. Integrando in sé il corpo astrale, l’uomo ha
incorporato la carne nell’insieme del suo organismo vegetale. Con questa incorporazione del corpo
astrale in quello vegetale, quest’ultimo si è incarnato. Ma questo è accaduto poco a poco, l’evoluzione
è avvenuta progressivamente, gli organi non sono stati tutti immessi simultaneamente in questo
processo.
Se risaliamo nell’evoluzione dell’umanità prima di tutta l’epoca atlantidea e certe tappe di quella
lemurica e ancora ben oltre, troviamo un corpo umano che portava ancora in sé alcuni organi
nettamente vegetali. Certe parti del corpo erano già trasformate in carne, mentre altre erano ancora di
una natura simile alle piante. Tutti gli organi del corpo umano, che erano meno fortemente portatori di
desideri, sono stati incarnati per primi, e quelli che avevano un’inclinazione piú accentuata verso i
desideri, gli organi sessuali, lo sono stati piú tardivamente. Essi sono stati per lungo, lunghissimo
tempo di natura vegetale, e saranno i primi a ritornare alla natura vegetale. È stato solo dopo che l’Io
aveva investito già molto largamente il corpo astrale, e che i desideri egoistici vi erano penetrati
profondamente, che gli organi, una volta vegetali, sono mutati e sono diventati organi carnali.
La Scienza dello Spirito immerge lo sguardo nel periodo divino estremamente lontano in cui l’essere
umano ignorava ancora tutto delle forze sessuali. Negli antichi Misteri si venerava un’immagine che
rappresentava l’uomo ancora asessuato, i sessi non avevano ancora preso forma. Nel posto dove si
trovano oggi gli organi sessuali, si potevano vedere degli organi vegetali, somiglianti a dei sarmenti,
percorsi unicamente dal corpo eterico, ma che non portavano ancora in sé niente del corpo astrale. Ci
troviamo di fronte all’ermafrodita dell’arte antica. La sua immagine corrisponde alla descrizione che si
può fare dell’uomo di quell’epoca dal punto di vista della Scienza dello Spirito. Porta degli organi
vegetali al posto di quelli di riproduzione attuali e dalla sua schiena partono delle forme vegetali che
assomigliano a dei sarmenti. Adesso capiamo (in altra maniera dal modo puerile con il quale
s’interpreta correntemente) i miti antichi e la storia biblica della foglia di fico: non è là per nascondere,
velare qualcosa, ma per designare una realtà effettiva dell’evoluzione dell’umanità, cioè quello stato
divino primordiale di cui gli anziani sapevano ancora che corrispondeva per l’uomo ad uno stadio
superiore, quando in quel punto egli era ancora provvisto di organi di natura vegetale.
Ma andiamo ancora un po’ piú avanti. Possiamo osservare come l’uomo possa impadronirsi della
tendenza all’indurimento ancora in un altro modo. Le scuole occulte se ne preoccupano in modo del
tutto particolare. Quando dal seno della divinità l’Io dell’uomo è sceso sulla terra, questa tendenza
all’indurimento ha dovuto essere conquistata dall’uomo. Esistono però altre creature che avevano
raggiunto ben prima l’ultimo stadio delle loro evoluzione. Si tratta degli uccelli. Anche loro hanno un
Io, ma di tale natura che esso vive piuttosto nel mondo esteriore. Per questo essi non hanno compiuto
qualche cosa che è essenziale per l’evoluzione umana verso degli stadi superiori, per lo sviluppo
occulto dell’uomo. Non hanno percorso la tappa evolutiva che si traduce con l’elaborazione di certe
parti della costituzione ossea, del midollo osseo, nel piú profondo delle ossa. Gli uccelli hanno delle
ossa molto piú cave dell’uomo e degli altri animali; essi hanno conservato uno stato molto anteriore.
L’uomo ha superato quello stato, gli animali superiori ugualmente. L’uomo diffonde la forza del suo Io
fino nel midollo delle sue ossa. Una buona parte dello sviluppo occulto consiste, con esercizi
appropriati, a badare a trasformare in un’attività cosciente e vivente il rapporto passivo ed inerte che
l’uomo intrattiene con il suo midollo spinale. Oggi egli può agire solo sul contenuto della sua calotta
cranica, sul suo cervello. Ma un futuro stato dell’umanità si preparerà man a mano che l’uomo
aumenterà la sua padronanza sull’elemento rinchiuso nelle sue ossa sotto forma di sostanza semiliquida. L’edificazione delle ossa ha dato la sua forma strutturata all’uomo e agli animali terrestri.
L’elaborazione delle ossa dell’uomo, come si presenta, gli ha permesso la sua attuale evoluzione.
L’uomo dovrà acquisire in avvenire le forze che gli permetteranno d’animare le sue ossa di una certa
forma di vita, di ridurre la loro tendenza all’indurimento, di trasformarla. L’uomo avrà la padronanza
sul suo sangue, in modo che l’energia dell’Io vi penetrerà ben piú fortemente; questo sangue diventerà
allora lo strumento che permetterà all’uomo di influire sulla trasformazione della sua sostanza ossea.
Cos’è l’ossificazione se non una mineralizzazione? Quando l’uomo padroneggerà la tendenza al
rammollimento, che si traduce ai nostri giorni, in modo inopportuno, con il rachitismo, quando
padroneggerà il suo sangue al punto da poter agire sulla sostanza ossea, allora egli supererà la tendenza
alla mineralizzazione, si strutturerà da se stesso, trasformerà il suo corpo fisico per portarlo al livello
che noi chiamiamo Atma o Uomo-Spirito. Allora l’uomo avrà vinto il principio d’indurimento, o
sclerosi, questo forte principio che conduce alla morte, la cui fisionomia si esprime nello scheletro
umano.
Simboleggiare la morte con l’immagine dello scheletro rappresenta una piú che giusta intuizione.
L’uomo dominerà la fisionomia della morte. Ne trionferà quando dominerà la sua struttura dall’interno
con la forza dello Spirito, come la domina attualmente dall’esterno con la forza meccanica dei muscoli,
e quando formerà lui stesso la sua struttura. Oggi l’uomo può solo veicolare dei pensieri fino nelle sue
ossa; quando piú tardi i suoi sentimenti e piú oltre ancora la sua volontà, potranno agire a livello delle
sue ossa, l’uomo avrà vinto la fisionomia della morte.
Pensate adesso che ruolo benefico avranno le scienze, per gli uomini chiamati a rappresentarle, quando
sapranno nuovamente in quale maniera gli organi umani sono sottomessi ai princípi dell’indurimento e
del rammollimento. È in questo senso che si può dire che le enunciazione della Scienza dello Spirito
sono applicabili in pratica. Se queste cose sono applicabili e hanno un effetto nella vita, se le verità
come quelle evocate nel racconto mongolo sono esaminate dal punto di vista della Scienza dello
Spirito, questo permetterà di comprendere meglio il senso dei fenomeni, che per il momento sembrano
misteriosi, di riconoscere il loro veridico carattere. Si osserverà il mondo con altri sensi e s’imparerà a
capire il curioso fenomeno del volo degli uccelli. Quando inizia il freddo autunnale, gli uccelli seguono
percorsi sorprendenti per andare dall’estremo Nord verso il Sud, e per ritornare in primavera seguendo
altri tragitti. Abbiamo detto che gli uccelli sono una specie che è rimasta ad uno stadio anteriore
dell’evoluzione. Come sapete, sulla Terra le cose hanno veramente cominciato a progredire solo
quando la Luna si è staccata dal nostro pianeta. Prima, quando la Terra e la Luna formavano un solo
corpo celeste, la Terra-Luna o la Luna-Terra, questo corpo celeste girava attorno al Sole seguendo una
certa traiettoria, e in quel tempo gli mostrava sempre una sola faccia. Durante quel tempo, tutte le
creature viventi facevano il giro della Luna per ricevere una volta gli effetti del Sole. Questo giro
attorno al pianeta si è mantenuto fino ad oggi sotto forma del volo degli uccelli, perché a quell’epoca,
prima che l’Io penetrasse nell’evoluzione della Terra, gli uccelli si sono separati dall’evoluzione che
seguiva la Terra.
Un altro fenomeno è ancora piú curioso. Con la progressiva evoluzione fisica dell’uomo e degli animali
superiori, il principio sessuale si è impadronito del corpo individuale. Questo desiderio che sta nel
corpo fisico di ciascuno, che vive tutto intero negli organi sessuali, prima, non si trovava là, era una
forza cosmica che affluiva dal Sole verso l’antica Terra-Luna. Essa era la causa di quei percorsi attorno
al pianeta, che si compivano congiuntamente al modo di riproduzione. La migrazione degli uccelli in
primavera non è altro che una specie di volo nunziale. In queste creature, il principio sessuale è ancora
nell’ambiente, e l’energia cosmica è la forza direzionale che conduce il volo dall’esterno, mentre in
altri esseri questa forza è stata incorporata ai corpi individuali. Le forze che agiscono all’interno
dell’essere umano, nel suo corpo fisico e nel macrocosmo esterno sono le stesse. La stessa forza che fa
incontrare due esseri umani e vive sotto forma di forza sessuale nel corpo umano, esiste negli uccelli,
ma invece di essere all’interno delle creature, essa agisce dall’esterno e si traduce in questa migrazione
degli uccelli attorno al pianeta.
Cosí, le forze che sono all’esterno penetrano all’interno delle entità per aver la possibilità, nell’uomo,
di agire verso l’esteriore quando avrà conquistato la capacita di essere uno con il cosmo, il
sovraterrestre. Le grandi verità che gli uomini traducono in modo avvincente negli antichi racconti e
leggende (come nel racconto mongolo della donna ciclope), nell’umanità che verrà si esprimeranno
sotto altre forme. La forza della visione spirituale sarà rianimata nell’uomo. Questa forza di percezione
spirituale, che è una delle proprietà dell’occhio unico della leggenda mongola, non lascerà piú l’uomo
insoddisfatto, quando porterà il suo sguardo sulle cose fisiche del mondo circostante, com’è il caso per
quella donna della leggenda che respinge ogni essere che le si avvicina. Questa forza penetrerà l’entità
attuale dell’essere umano, che non vedrà piú solo l’esteriore, l’aspetto fisico delle cose, ma l’aspetto
spirituale che si esprime negli oggetti fisici. Quello che oggi è diventato materiale sarà per lui
spirituale; il suo corpo fisico, attualmente in corso d’indurimento, di sclerosi, si spiritualizzerà. La
donna della leggenda mongola rivivrà, e potrà aprire il suo sguardo sul mondo. Mentre oggi ella
respinge gli esseri che le mostrano solo il loro aspetto sensoriale, perché non trova in loro ciò che cerca,
l’uomo dell’avvenire riconoscerà di nuovo lo Spirito nella materia e troverà negli esseri quanto è anche
della sua natura; potrà afferrarlo e stringerlo con amore sul suo cuore. Troverà negli esseri tutto lo
spirituale dell’universo, quella parte che potrà stringere con amore.
L’evoluzione dell’essere umano si farà nel senso di una lenta ascesa verso l’identificazione con il
cosmo. Questa evoluzione può essere solo molto lenta, non può essere conquistata precipitosamente. Se
l’uomo non avesse la volontà di partecipare con pazienza a questa lenta evoluzione, la forza di
quell’occhio centrale che avevano gli antichi non potrebbe né impregnare il suo essere nella sua
totalità, né penetrare nell’insieme dei suoi organi sotto forma di fluido d’amore. Questa forza si
esaurirebbe, e l’uomo, privato d’amore, sarebbe costretto a fermarsi al mondo esteriore, a disseccarsi.
L’uomo è però chiamato a penetrare d’amore tutto quello che c’è sul suo pianeta, a portare con lui
questo pianeta e ad assicurarne la redenzione. La redenzione interiore non può compiersi senza ciò che
è all’esterno di noi. L’uomo deve compiere la redenzione del pianeta sul quale si trova
contemporaneamente alla propria. E questa redenzione si può fare solo se l’uomo versa le sue energie
nel cosmo, non deve essere soltanto colui che è stato riscattato, deve diventare lui stesso un redentore.
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 21 ottobre 1907 ‒ O.O. N° 101. Traduzione di Angiola Lagarde.
R. Steiner | Simboli | Anno 23 n.06 – Giugno 2018 – L’Archetipo
By CTSadmin| Novembre 7th, 2018|MITOLOGIA NORDICA|Commenti disabilitati su 03 – ORGANI
CHE STANNO SCOMPARENDO O CHE SI STANNO CREANDO NEL CORPO UMANO. LA
FISIONOMIA DELLA MORTE
Antichi miti nordici e persiani
O.O. 101 – Miti e leggende nordiche – 14.10.1907
Otto giorni fa abbiamo evocato, sulla base della leggenda germanica, le relazioni essenziali con il
mondo astrale dell’organizzazione umana, della costruzione del corpo fisico. Abbiamo visto
l’interessante rapporto fra le dodici paia di nervi cranici e le dodici correnti che i nostri antenati
vedevano, grazie alla loro chiaroveggenza nel piano astrale, e la cui penetrazione nell’uomo è
all’origine della costituzione delle sue dodici paia di nervi cranici. Abbiamo ugualmente visto che le
parti cosiddette piú tenere dell’essere umano, che concernono la laringe, il cuore e gli organi inferiori,
sono tutte in rapporto con le radici del frassino cosmico, come fenomeno astrale, mentre la formazione
del cervello dell’uomo è in relazione con la cima e i rami dello stesso. Siamo penetrati in profondità nei
rapporti esistenti fra il racconto del mito e quello che il nostro modo di conoscere ci permette di
assimilare. Abbiamo anche visto che i segni e i simboli, come ce li presenta il mito, non sono un
prodotto dell’immaginazione o della fantasia, ma corrispondono a reali osservazioni del mondo astrale.
Non sottolineeremo mai abbastanza il fatto che tutti i propositi relativi ai simboli e ai segni basati sulla
sola intelligenza o speculazione non sono di alcuna utilità. Perché i veri simboli aventi un senso per
l’occultismo sono quelli che rappresentano un avvenimento o un’esperienza del Mondo spirituale.
Oggi penetreremo ancora piú profondamente in questo argomento. Abborderemo un capitolo che può
essere evocato solo nel contesto di un gruppo di lavoro interessato a queste cose da abbastanza tempo.
Ora, nuovi membri si aggiungono continuamente ai gruppi di lavoro esistenti. Hanno bisogno di
abituarsi ad ascoltare delle cose che possono eventualmente scioccarli. Ma non progrediremmo se non
fossimo pronti a parlare di soggetti che non si rivolgono solo ai piú progrediti di noi. Il termine di
“progredito” non è riferito al livello di studi e di conoscenze, concerne i membri che, partecipando da
lungo tempo a queste riunioni, hanno acquisito una certa sensibilità che permette loro di comprendere
che si possa parlare di entità spirituali e di altri mondi come si fa delle cose e delle persone che
s’incontrano sul piano fisico; con le quali, in certi casi, si potrebbe trattare e soffermarsi come con
quelle che s’incontrano davanti alla porta, quando si esce di casa. Ecco cosa intendo quando parlo di
persone “progredite”, quelle cioè che non sono scioccate quando si parla naturalmente dei mondi
spirituali e degli esseri che vi soggiornano. Spero che i membri arrivati piú recentemente avranno la
buona volontà di ascoltare queste cose e di accettarle senza preconcetti, come se fossero un racconto
del consueto mondo sensibile. Come è stata composta la conferenza odierna sembrerà un po’
multiforme. Ma questo è senza importanza. Avremo uno sguardo d’insieme su un fondamentale
capitolo del Mondo spirituale e sul suo rapporto con la nostra corporeità umana.
Come sapete, un secondo mondo che chiamiamo mondo astrale si stende in seno al nostro mondo
sensibile; esso si presenta all’inizio sotto forma di un mare di luce, nel quale evolvono galleggiando
colori e forme. Per il ricercatore della Scienza dello Spirito, le forme colorate del mondo astrale
corrispondono ad entità precise, di cui egli sa che si tratta di entità astrali altrettanto reali che le piante e
gli animali del mondo fisico. Poi, distribuendosi nel mondo astrale e in quello fisico, si trova il mondo
del suono spirituale, dell’armonia delle sfere, il mondo del Devachan, che si può conoscere grazie alla
chiaroudienza. Ne parleremo un’altra volta. Oggi ci limiteremo al mondo astrale e a qualche punto di
vista che lo riguarda.
Coloro che studiano il mondo astrale con i mezzi che sviluppano progressivamente continuando la loro
evoluzione, coloro che sono capaci di approfondire queste cose, queste persone dunque, constateranno
che questo mondo è in realtà molto piú popolato del nostro mondo fisico. In effetti, il mondo astrale ha
una proprietà che il mondo fisico non ha, e che in occultismo è designata come interpenetrabilità. Gli
esseri astrali possono in effetti passare gli uni attraverso gli altri, cosa che non possono fare gli esseri
del mondo fisico. Potete dunque già dedurne che il mondo astrale può essere molto piú popolato, può
contenere molti piú esseri di quello fisico. Ed è proprio cosí.
Pensate all’epoca in cui un gran numero di persone senza alcuna formazione occulta, grazie alle sole
loro disposizioni naturali, era ancora in grado di immergere lo sguardo nel Mondo spirituale. Questo vi
farà dare un altro sguardo a molti quadri di pittori di altre epoche. A questo proposito vi ricordo solo
“La Madonna Sistina” che si trova a Dresda. Anche se alcuni di voi non l’hanno vista dal vero,
conoscono in ogni caso le notevoli riproduzioni di questo quadro. Avrete notato che in secondo piano
l’atmosfera è piena di teste di angeli o di geni. Mentre normalmente la visione naturale fa apparire nel
cielo delle forme di nuvole, qui ci sono delle sagome di angeli e di folletti. Non si tratta di pura
fantasia, è una realtà per colui che sa vedere il mondo astrale. Il mondo astrale, che ci circonda come un
mare di luce ondeggiante, è riempito di entità che scaturiscono in ogni punto dello spazio come un
torrente infinito di vita. Ecco a cosa assomiglia il piano astrale: è la sede di un’animata vita spirituale.
Questo però non significa che i pittori viventi al tempo di Raffaello avessero ancora nella sua
integralità questo tipo di visione, sarebbe pretendere troppo. Ma grandi predecessori di questi pittori, le
cui opere sono sparite da molto tempo, erano ancora in qualche modo dei veri veggenti. Ed è grazie alla
loro chiaroveggenza che hanno mostrato la tradizione, e che un pittore come Raffaello, anche se non
era veggente, sapeva come stavano le cose grazie a quanto gli era stato trasmesso, e poteva riprodurle
fedelmente.
I quadri del XIII e XIV secolo sono ancora piú vicini alla realtà. Quando risalite nel tempo fino
all’epoca del celebre pittore Cimabue, vedrete in quale maniera il fenomeno particolare dello sfondo
dorato colpisca il vostro sguardo, e come ne escano quelle silhouette di angeli e di geni. Questo
corrisponde completamente alla realtà della visione astrale, fino nell’oro dello sfondo del quadro.
Perché effettivamente, quando arriviamo nelle regioni superiori del piano astrale, i fiotti di luce che
brillano e sono illuminati da altri colori si trasformano in un mare ondeggiante che sembra infiammato
d’oro.
Questo è reso molto bene in un quadro di Raffaello, l’affresco “La Disputa del Sacramento”, che fa
pendant ad un altro affresco intitolato “La scuola di Atene”, titolo che detto fra noi sarebbe bene
cancellare. Sulla “La Disputa del Sacramento” vedete completamente in basso degli uomini che stanno
discutendo, almeno cosí si crede: i Padri della Chiesa, dei Papi, dei Dottori della Chiesa, c’è poi la zona
degli Apostoli e dei profeti, poi s’inserisce la zona che Raffaello ha reso sotto forma di teste di geni,
una zona che potremmo chiamare il piano astrale interiore. Sullo stesso quadro, ma molto piú in alto,
c’è la zona del piano astrale superiore, reso in modo appropriato, fiammeggiante d’oro. Se i dipinti di
questi grandi pittori del passato si esprimono con tanta convinzione, colui che conosce tali realtà vi
ritrova la verità della visione interiore. Ma questi quadri hanno la stessa azione convincente su colui
che non sa, perché egli può sentire nel suo subcosciente che tali cose sono state attinte da una verità
profonda. Vi dico questo per attirare la vostra attenzione sul fatto che alcuni esseri di epoche anteriori
avevano coscienza di queste realtà superiori e le hanno trasmesse con i loro dipinti.
Evocheremo oggi alcuni dettagli del mondo che quegli artisti hanno descritto nei loro quadri. Ci
soffermeremo piú attentamente sulle entità precise che il chiaroveggente incontra nel mondo astrale, in
parte nel mondo astrale inferiore e in parte in quello superiore. Esistono delle entità che hanno la forma
di un corpo di uccello molto complesso, ma di un’immensa bellezza, dotato di potenti organi a forma di
ali e con una testa simile a quella dell’uomo; tale è il loro aspetto e la loro forma. Queste sono realtà del
mondo astrale. Gli eminenti dottori in teologia, che potevano penetrare con lo sguardo quei piani,
conoscevano bene questo tipo di entità. E quando, molto tempo fa, cercavano di rappresentare queste
entità – i Cherubini oppure i grifoni – non descrivendo questa realtà dell’aldilà con sufficiente
precisione ma almeno fedele nell’intenzione, dipingevano allora queste silhouette curiose, a mezza
strada fra genio e animale favoloso.
Se ci ricordiamo le antiche leggende, ci si può vedere il tentativo dell’uomo di riprodurre questi esseri
superiori sotto forma di spiriti o geni. Appaiono sotto le forme piú diverse, e coloro che hanno
frequentato le scuole di occultismo e li hanno incontrati, hanno in un certo modo caratterizzato un tale
coro di spiriti. Questo tipo di entità si articola in sei categorie. Sei geni principali rappresentano sei
reggenti, sei guide di questi gruppi. Questi sei geni principali del piano astrale superiore, che è color
oro, hanno ricevuto diversi nomi. La dottrina segreta persiana li chiama Amesha Spenta e parla dei sei
Amesha Spenta.
La seconda di queste categorie astrali, che appare in una regione un po’ piú bassa, ha un aspetto
differente: non assomiglia per niente alle forme che s’incontrano qui sul piano fisico. Ma ci si può far
capire, cercando di rendere tangibile il loro aspetto con l’aiuto di quello del piano fisico. È quanto
hanno fatto gli istruttori della scienza occulta dando ai popoli una propria mitologia e l’arte che deriva
dalla dottrina segreta di cui stiamo parlando. Non esistono figure con i tratti di questi esseri, per questo
le possiamo descrivere dicendo che posseggono una specie di corpo umano e una testa d’animale, di
ogni specie di animale. Gli Egizi, che conoscevano molto bene questo campo del piano astrale, come
pure le entità spirituali di questa sfera, si sono sforzati di imitare precisamente questa categoria di
spiriti del piano astrale nelle loro differenti rappresentazioni, come ad esempio quella con corpo di
uomo e testa di sparviero, oppure con altre teste di animale. Non si tratta qui di fantasie arbitrarie, si
tratta di entità con le quali si può entrare in relazione sul piano astrale, come lo si fa con uomini e
animali sul piano fisico.
Poi esiste un terzo tipo di entità. Sono innumerevoli e non si può caratterizzarle confrontandole con il
mondo degli uomini e degli animali; bisogna servirsi del regno vegetale o degli animali inferiori per
definire i loro corpi, e della testa umana per la loro testa; ne risulta dunque un corpo di pianta oppure
un corpo di pesce con una testa d’uomo. Ecco pressappoco l’immagine di queste entità che esistono sul
piano astrale.
Come vi ho detto, esistono sei tipi di geni chiamati dai Persiani Amesha Spenta (Santi
immortali). Adesso conoscete anche il secondo genere di entità, caratterizzate dalla loro forma di uomo
con una testa di animale e di cui esistono le piú diverse forme. Se le si esamina, ne troviamo circa da
ventotto a trentuno gruppi, e ciascuno di questi gruppi è a sua volta diretto da un reggente, in modo che
sul piano astrale esistono anche da ventotto a trentuno entità reggenti. Gli istruttori della dottrina
segreta persiana chiamavano questi reggenti i 28/31 Yazata.
Le entità della terza categoria che ho citato erano dei Fravashi. Sono innumerevoli, e se si volesse
classificarle non si finirebbe piú. Oggi ci interesseremo degli Amasha Spenta e dei loro gruppi, nonché
dei 28/31 Yazata e dei loro gruppi, perché hanno un significato del tutto particolare per l’insieme della
vita umana. Colui che può penetrare con il suo sguardo nel Mondo spirituale, può rispondere alla
seguente domanda: cosa fanno effettivamente queste entità del piano astrale, e come occupano il loro
tempo? Sarebbe completamente sbagliato credere che questi geni e spiriti esistano solo per formare dei
gruppi. Se ci si riferisce a certe descrizioni poetiche, si sarebbe portati a credere che sono gerarchizzati
nelle diverse sfere per formare dei gruppi. Per questi spiriti l’esistenza sarebbe allora evidentemente
molto noiosa. Il ruolo del Mondo spirituale non è di formare dei gruppi viventi. Tutte queste entità
hanno il loro ruolo nel piano cosmico. Queste entità che i persiani chiamavano Amesha Spenta e Yazata
erano ugualmente conosciute dai Germani, dagli antichi Celti e dai Druidi, ma il loro numero era
diverso. Secondo certi testi trasmessi, erano 28, secondo altri 30 o 31. Vedremo per quale ragione il
loro numero è incerto. Le entità che i persiani chiamavano Amesha Spenta sono delle entità spirituali
superiori, che comandano e guidano le forze della Natura che ci circondano. Le forze naturali che
contribuiscono alla crescita delle piante, alla fecondità degli animali, alla vita degli uomini, queste
forze che ci circondano, che chiamiamo luce, calore, elettricità, magnetismo e cosí di seguito, influssi
nervosi, energia del sangue, potenza della riproduzione, chiamatele come volete, queste forze non sono
forze sprovviste di spiritualità. Essere di quest’avviso è superstizione. Queste forze sono la
manifestazione esteriore di entità spirituali. Le grandi energie dell’esistenza, luce, aria, calore,
elettricità, e anche le grandi energie chimiche che percorrono l’universo, sono tutte la manifestazione
esteriore degli Amesha Spenta e delle loro truppe in azione. Sono i vettori dell’azione di queste entità.
Se posso usare un’espressione banale: mettono l’universo in ebollizione. Per la visione dei sensi si
tengono dietro le quinte. Ma potete immaginarvele se pensate per esempio ad un marionettista, che non
è visibile, ma che si può riconoscere dal suo modo di tirare i fili e i cordoni. Le entità spirituali stanno
dietro le forze naturali, come l’animatore all’opera nel suo teatro di marionette. Il materialismo
superstizioso vede purtroppo solo le marionette e non prende coscienza delle entità spirituali che sono
dietro le forze naturali.
Questa è l’attività degli Amesha Spenta, di questi sei grandi geni che, come insegna la dottrina religiosa
persiana, stanno a fianco di Ahura Mazdâ o Ohrmazd. I 28 Yazata sono subordinati a queste divinità.
Qual è il loro significato? Non si può saperlo meglio che con la diretta osservazione chiaroveggente
quando li si studia giorno dopo giorno. Mi capirete facilmente se vi parlo di questi 28 Yazata. La
struttura del nostro Universo non sarebbe quella che è, se i 6 Amesha Spenta preposti alla luce, all’aria,
al calore ecc. agissero senza l’aiuto degli Yazata. L’edificazione di questo universo implica il concorso
di un’assistenza inferiore. C’è bisogno di spiriti che eseguono, subalterni. E qui si tratta dei 28 Yazata.
E a proposito di loro, si osserva una gerarchia del tutto particolare. Se giorno dopo giorno si studia il
modo con cui agiscono, si vede che i 6 grandi gruppi, gli Amesha Spenta, si attivano instancabilmente,
senza sosta e in maniera regolare. Sono instancabili. Mentre i 28 Yazata hanno un tempo dedicato al
lavoro considerevolmente ridotto. In effetti, essi si danno il cambio in tal modo, che un giorno si
osserva una loro categoria all’opera in quanto ausiliari, il giorno dopo se ne vede un’altra, il terzo
giorno un’altra ancora e cosí di seguito. È in questo modo che l’universo riesce a progredire. In
primavera, quando una specie vegetale esce dalla terra, è opera degli Amesha Spenta. Pur essendo tutti
infaticabili, uno di essi assume la direzione durante una determinata durata, e allora è lui ad essere il
piú attivo. Beninteso, anche gli altri lo sono, ma non sono responsabili della direzione. Dopo un certo
tempo, la direzione è trasmessa a qualcun altro.
Dunque, quando in primavera una specie vegetale spunta dalla terra, gli Amesha Spenta entrano in
azione come grandi forze della natura, mentre le forze inferiori, per esempio gli Yazata, agiscono in
modo che un dato giorno tutto concordi e sia coordinato. Per esempio, è una categoria di Yazata a fare
in modo che il clima sia quello che deve essere, che un dato giorno la temperatura sia buona. La
crescita delle piante non potrebbe continuare se il giorno seguente non ci fosse un’altra categoria di
Yazata che entra in ballo. Ma alla fine di 28 giorni, è la prima categoria che ritorna, e cosí di seguito. In
effetti, si tratta dell’organizzazione spirituale all’opera dietro le quinte della Natura. Penetriamo cosí
con lo sguardo negli ingranaggi e nel funzionamento del piano astrale.
Ricordiamo quello che abbiamo detto otto giorni fa. Abbiamo detto che la parte del mito germanico,
che allora evocavamo, si riallaccia a quel piccolo gruppo di eletti emigrati vicino all’attuale Irlanda,
che una volta faceva parte di Atlantide e il cui popolo piú evoluto era emigrato verso Est. La razza piú
evoluta degli Atlantidi ha fondato le civiltà orientali. Il mito del “frassino cosmico” esprime il divenire
del nuovo uomo, come a quell’epoca era rappresentato nel mondo astrale. Si vedeva come le dodici
correnti che abbiamo descritto l’ultima volta siano scese a fiotti dal Nord, incanalandosi nel corso di
lunghi periodi di tempo. Ancor oggi, queste dodici correnti esistono realmente sul piano astrale. Se
seguite la traiettoria delle dodici paia di cordoni nervosi che partono dalla vostra testa e prolungate
queste linee nell’universo, queste raggiungono tutte le dodici correnti fondamentali esistenti sul piano
astrale. Queste correnti penetrano veramente attraverso i sei orifizi della testa: i due occhi, le due
orecchie e le due narici. All’interno, si trasformano nuovamente, due a due, in dodici correnti. E chi le
fa penetrare cosí all’interno? Dirigendo la luce e l’aria, che agiscono all’esterno in quanto forze della
Natura, è al massimo stadio della formazione dell’essere umano che i sei Amesha Spenta inviano
queste dodici correnti nella nostra testa per formarvi i nervi del cranio.
Ecco cosa hanno visto gli istruttori della scienza occulta a proposito dei sei Amesha Spenta. Hanno
visto i sei spiriti dirigenti introdurre le dodici correnti nella testa dell’uomo, affinché acquistasse la
facoltà di percepire il mondo con l’aiuto del suo sistema nervoso. Potete perciò vedere la testa umana
attaccata a questi sei geni come con una specie di collegamento telefonico o telegrafico. È dunque ad
essi che dobbiamo la nostra capacità di percezione con l’aiuto dei nostri sensi. L’uomo in quanto
microcosmo, in quanto piccolo universo, si trova cosí collegato con il grande Universo, il macrocosmo.
E cosa fanno gli spiriti di livello gerarchico inferiore, i 28 Yazata? Vedete, prima che l’uomo fosse
maturo per accogliere in sé le forze dei sei Amesha Spenta, egli aveva già la maturità sufficiente per
assimilare le energie degli Yazata, che si manifestano nei suoi nervi inferiori. Come le correnti
menzionate prima penetrano nei nervi cranici per costituirli, le correnti dei 28 Yazata penetrano
nell’abbozzo del corpo umano che era stato creato ben prima della testa. Il torso dell’uomo era capace
di integrare gli influssi dei 28 Yazata prima di poter accogliere le forze degli Amesha Spenta, e
partendo da esse poter dare forma alla testa. Adesso, porta ancora in sé le energie di questi Yazata.
Se esaminiamo il midollo spinale dell’uomo, constatiamo che questo percorre la colonna vertebrale con
la forma di un cordone nervoso, composto all’esterno da una materia biancastra e all’interno da una
grigia, mentre nel cervello la sostanza interiore è bianca e quella esteriore è grigia, vale a dire
esattamente l’inverso. Questo ha un significato particolare. Fatto interessante: su tutta la lunghezza
della colonna vertebrale, dal midollo spinale partono dei cordoni nervosi che alimentano le funzioni
inferiori del corpo fisico. Partono dall’alto verso il basso e si propagano per innervare l’insieme del
corpo. Qual è il numero di questi circuiti nervosi? Se vogliamo capire qual è questo numero dobbiamo
prima di tutto rispondere alla domanda: da dove vengono? Si tratta infatti dei cordoni che sono stati
formati dalla penetrazione degli influssi dei 28 Yazata; per questo ci sono da 28 a 31 paia di cordoni
nervosi che partono verso destra e verso sinistra.
Sapete che prima della sua formazione terrestre l’uomo è passato da uno stadio di formazione lunare. A
questo stadio lunare, sono stati abbozzati solo 28 cordoni nervosi. Poi, quando la Luna è evoluta fino
allo stadio terrestre, se ne sono aggiunti due/tre. Per questo il numero iniziale di 28 Yazata, che
sull’antica Luna erano al servizio dei geni superiori, è stato portato a 31. Per preparare l’elaborazione
superiore dell’uomo, che doveva aver luogo sulla Terra, è stato necessario includere 3 Yazata
supplementari. Questi tre ultimi Yazata sono degli spiriti che agiscono esclusivamente sull’uomo, non
hanno alcuna altra missione da effettuare nella Natura. È molto interessante osservare questo
fenomeno.
Ma quello che è veramente interessantissimo, è seguire tutti questi fenomeni osservandoli non soltanto
nell’uomo, ma anche all’esterno, nella grande Natura. Perché l’uomo è stato creato progressivamente,
in funzione delle costellazioni dell’insieme della natura. Se la nostra Terra non si fosse trovata nella
zona del Sole, che compie una rotazione completa in un anno, la Luna, che in un mese compie una
successione di quattro fasi, non sarebbe nella sua zona e l’uomo sarebbe differente, perché tutte queste
cose sono strettamente collegate fra loro. La luce e l’aria hanno un’azione differente a seconda che il
Sole illumini la Terra partendo da un certo punto del cielo oppure da un altro. Per quale ragione è cosí?
Perché la corsa del Sole dipende appunto dal fatto che gli Amesha Spenta si scambiano alla direzione
delle energie. Di mese in mese, durante sei mesi, gli Amesha Spenta si danno il cambio alla direzione.
Questo è legato al passaggio del Sole nei dodici segni dello zodiaco. Alla fine dei sei mesi, un Amesha
Spenta riprende il suo turno, in modo che si ha un periodo di reggenza degli Amesha Spenta durante i
mesi d’estate e un altro durante quelli d’inverno. Nel corso di un anno, un Amesha Spenta entra in
gioco due volte per un mese, e durante la sua reggenza gli Yazata si scambiano durante le fasi della
Luna. Per questa ragione la Luna ha bisogno di 28 giorni per tornare alla sua forma iniziale. La
rotazione della Luna corrisponde all’organizzazione del lavoro degli Yazata, la corsa del Sole
corrisponde all’organizzazione della reggenza degli Amesha Spenta.
Dunque, la formazione del cervello umano e delle sue dodici paia di nervi è cosí legata alla corsa
annuale del Sole e ai dodici mesi. I dodici mesi all’esterno della natura corrispondono in noi alle dodici
paia di nervi cranici, i 28 giorni lunari all’esterno corrispondono ai nostri 28 nervi spinali. E poiché era
necessario che, partendo dal suo precedente stato lunare, fosse istituito un nuovo ordine dell’evoluzione
della nostra Terra, si sono aggiunti tre Yazata che hanno contribuito a questo nuovo ordine nel quale i
mesi variano e comportano ora trenta o trentuno giorni. L’attuale suddivisione astronomica non è del
tutto esatta, perché i tre Yazata in soprannumero agiscono specificamente sull’uomo e meno nella
natura esteriore. Se i mesi avessero sempre 31 giorni, i trentuno Yazata agirebbero effettivamente
sull’uomo ciascuno al proprio turno. Essi regolano le funzioni degli organi del corpo al di sotto della
testa, ed è per questo che tali funzioni dipendono effettivamente dalle differenti reggenze degli Yazata,
anche se succede loro di spostarsi da un individuo a un altro. All’origine esse dipendevano
dall’organizzazione della natura cosmica.
Voi penetrate cosí piú profondamente nei legami dell’interiorità dell’uomo con il Mondo spirituale del
piano astrale. Nelle diverse opere popolari teosofiche si parla di “scultori”. Li vedete all’opera, vedete
il modo in cui agiscono in voi e vi edificano; constatate ugualmente la complessità della struttura
umana, che per la sua costruzione necessita dell’intervento di un gran numero di entità.
Sei categorie di spiriti sono indispensabili per far nascere una testa capace di comprendere il mondo, e
ci vuole il concorso di 28/31 spiriti inferiori per realizzare il busto e tutte le sue funzioni interiori. Ecco
una meravigliosa interattività tra l’uomo e il Mondo spirituale. Adesso potete capire che per afferrare la
relazione dell’uomo con l’infinito, non basta divagare ripetendo continuamente che l’uomo deve la sua
esistenza alle forze provenienti dal Mondo spirituale. Bisogna al contrario studiare con pazienza
“come” questo avviene. L’occultismo è in grado di indicare per ogni organo umano quali sono le entità
che hanno presieduto dall’esterno alla sua creazione. Si tratta di una anatomia occulta, che vi porta
dagli effetti nel mondo dei sensi alle cause nel Mondo spirituale. Colui che con i suoi sensi contempla
il mondo senza pregiudizi, può vedere gli effetti; quanto alle cause, si può conoscerle solo con
l’occultismo. Potete dunque concludere che i nostri sforzi non sono basati sul mettere in evidenza delle
prove astratte, assortite da ogni specie di deduzioni logiche in favore del Mondo spirituale. Perché tutto
quello che può essere provato può anche essere ricusato. Si può trovare un obiettivo per ogni cosa. Ma
non è quello che ricerchiamo. Se però si mettono insieme, pezzo per pezzo, le diverse conoscenze, in
modo che le cose coincidano con gli effetti constatati nel mondo sensibile, si può allora arrivare a
riconoscere realmente quello che percepisce l’occultista, vale a dire che l’essere umano ha
effettivamente le sue origini nel Mondo spirituale. Ai Persiani non è venuta l’idea di contare i 28
cordoni nervosi del midollo spinale perché hanno visto all’opera i 28 Yazata. Nelle mitologie e nelle
leggende potete trovare per intero tutto l’uomo. È quanto rende affascinante il vero studio occulto del
mondo delle leggende e lo rende cosí interessante.
Ovunque, nelle scuole occulte della Persia fino nell’Europa Centrale presso i druidi, troverete questi
fenomeni che stiamo studiando. L’essenziale non è il nome attribuito allo Spirito supremo che comanda
gli Amesha Spenta, Ahura Mazdâ, Ohrmazd o Huu, come viene chiamato nelle scuole druidiche. Si
conoscevano i nomi delle entità spirituali dati agli uomini dalle mitologie. Le differenti divinità e spiriti
non sono delle invenzioni dell’immaginazione popolare. Ognuno ha il diritto di parlare di
immaginazione popolare, ma l’immaginazione non si trova in coloro che hanno donato questi
personaggi ai popoli; è piuttosto presente negli eminenti eruditi contemporanei che evocano una
immaginazione popolare, che all’occorrenza non esiste affatto. Spesso l’erudizione è una superstizione
ben peggiore di quella che questa stessa erudizione qualifica come superstizione. Nei miti e nelle
leggende si trova spesso una saggezza ben piú profonda, perché si risale alle origini delle cose che si
situano dietro l’aspetto sensibile, nel dominio dell’invisibile.Quando ci si mette a fare questo tipo di
osservazione, è come se l’uomo smettesse di sentirsi rinchiuso nella sua pelle e che il suo essere si
allungasse dall’interno verso l’esterno, si familiarizza con queste entità che abitano il Mondo spirituale;
è ad esse che deve la sua costituzione e può entrare nuovamente in relazione con loro. Perché si tratta di
entrare veramente in contatto con queste entità; ci riusciamo grazie al cammino di conoscenza che dà
accesso ai mondi superiori. Grazie ai sensi, ci eleviamo dagli effetti visibili alle cause sovrasensibili,
invisibili. Prendendo questo cammino di conoscenza, si diventa nuovamente uno con l’universo.
Potremo abbordare un gran numero di temi che vanno in questa direzione; ma per non dilungarci
troppo in questo studio odierno, lo concluderemo con un fatto della mitologia germanica che vi
mostrerà come le cose si svolgano nell’evoluzione dell’umanità da una parte e dall’altra come gli
avvenimenti siano raccontati nel mito, e in quale maniera certi dettagli siano conservati nella semplicità
della credenza popolare.
Quello che oggi è fisico, era molto tempo fa interamente spirituale. Prima che si costituissero le dodici
paia di nervi cranici, c’erano solo le correnti astrali che vi penetravano, e prima che si formassero i 28
cordoni nervosi del midollo spinale, sul piano astrale esistevano già le corrispondenti correnti. Come si
posizionano dunque i nervi nell’uomo? Nel modo seguente: immaginate che all’origine si fosse un
liquido acquoso, una massa fangosa. Immaginatevi il cervello in questa maniera. Potete constatarlo
ancora sulla parte del cervello che è rimasta liquida, acquosa; quando ce n’è in eccesso, questo dà
origine all’idrocefalo. Partendo da questo tipo di consistenza acquosa, il nostro cervello è diventato in
seguito come di una sostanza colloidale, gelatinosa. Dapprima, le correnti astrali venute dall’esterno
hanno percorso da ogni parte questa massa acquosa gelatinosa che si è organizzata lungo di esse; poi si
è solidificata, e cosí i nervi si sono formati. Sul tragitto attuale dei nervi si trovavano all’origine le
correnti astrali, poi quelle eteriche, che sono diventate infine i nervi fisici. Rappresentatevi l’uomo che
si solidifica progressivamente. La massa era appena gelatinosa quando apparve il primo abbozzo della
colonna vertebrale. La struttura ossea era ancora molle. A destra e a sinistra penetravano le correnti
dell’astrale, che in seguito sono diventate i nervi spinali. Gettiamo uno sguardo retrospettivo a
un’antichissima epoca, nella quale i 28 Yazata hanno cominciato a far penetrare nell’uomo le loro
correnti, dapprima astrali.
Anche i 28 Yazata avevano una guida, un Maestro che aveva un certo rango fra loro e gli Amesha
Spenta; era una specie di Grande Architetto, un essere divino-spirituale. Se immergiamo il nostro
sguardo in quelle antichissime epoche, vediamo che la sua azione consisteva nel comandare i 28 Yazata
affinché dirigessero le correnti astrali verso l’interiorità dell’uomo. La Terra stessa era circondata dalla
sfera astrale, e come oggi i venti percorrono l’atmosfera terrestre, le correnti astrali penetravano nei
corpi fisici umani. Gli antichi chiaroveggenti vedevano realmente le correnti che passavano nelle teste
e nelle colonne vertebrali degli umani dell’epoca atlandidea. Ne avevano una immagine astrale vivente.
Quando si sono progressivamente costituiti i nervi fisici, quest’immagine è sparita, il che significava
allo stesso tempo che la loro origine spariva; ci si dimenticò il modo con cui le correnti erano state
dirette all’interno dei corpi fisici.
La Guida dei 28 Yazata comandava prima di tutto le energie naturali nella loro attività quotidiana. Nel
grande ciclo dell’anno, ogni azione si svolgeva ritmicamente e armoniosamente. Nel ciclo quotidiano,
nell’azione c’era un po’ di irregolarità. Lampi terribili, colpi di tuono e temporali agitavano l’aria
attorno alla Terra, che era ancora interamente immersa nel mare astrale. Poi la divinità, la Guida degli
Yazata, che aveva agito dall’esterno, cambiò il suo luogo di attività e interiorizzò la sua azione nei 28
circuiti nervosi del midollo spinale. Lasciò l’ambiente spirituale terrestre per infine dedicare le sue
energie all’uomo. Il mito germanico denomina questo dio Thor, o Donar. Secondo la visione
germanica, è lo stesso dio che nella mitologia romana sarà chiamato piú tardi Giove. È veramente
venerato come il dio del tuono e del fulmine all’origine delle tempeste. Lo si considera anche come
marito di Sif, l’atmosfera terrestre astrale. Queste due divinità hanno una figlia dal significato del tutto
particolare. Com’è nata questa figlia? Per il fatto che Thor si è ritirato nell’interiorità dell’uomo, dove
agisce tramite i 28 cordoni nervosi. Tramite i 28 cordoni nervosi gli uomini non possono, generalmente,
percepire l’astrale all’esterno, salvo in alcuni casi eccezionali, come per esempio lo stato di sonno
animato da sogni, nel quale questo diventa loro possibile. Coloro che avevano delle particolari
disposizioni per la percezione, dicevano allora: «È Thrud che mi opprime» e Thrud non è altro che la
figlia di Thor. In quell’epoca, la gente sapeva ancora che Thrud è nata nel posto dove soggiornano Thor
e la sua sposa, e che logicamente si chiama “Thrudheim”.
Cosí, come vedete, le leggende popolari sono strettamente collegate con delle verità occulte. Si riesce
dunque ad immergere a poco a poco il proprio sguardo nel piú profondo di questa meravigliosa opera
che costituisce l’essere umano, costruito da cosí tante entità. Come ci appare puerile e limitata la
scienza materialista, che vorrebbe interpretare questo meraviglioso edificio in modo tanto
semplicistico!
Nelle epoche molto antiche, tutte queste cose erano inoltre percepite in modo del tutto differente. A
quei tempi, si esprimeva con il sentimento quello che la scienza attuale ha appreso grazie alla
conoscenza. E quando il poeta di quei tempi guardava attorno a sé, e fra le creature che si trovavano sul
piano fisico, sentiva fino a che punto l’essere umano è una meravigliosa costruzione compiuta, l’opera
di una quantità infinita di entità, poteva lecitamente pronunciare queste parole grandiose che ci rendono
emozionalmente una tale profonda verità:
Molte meraviglie vi sono al mondo
ma [nel dominio del visibile]
nessuna meraviglia è pari all’uomo.(1)
(1)Versi
tratti dal Coro dell’Antigone di Sofocle.
L’aggiunta fra parentesi è di Rudolf Steiner.
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 14 ottobre 1907 ‒ O.O. N° 101. Traduzione di Angiola Lagarde.
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MITI NORDICI E PERSIANI
I simboli occulti
O.O. 101 – Miti e leggende nordiche – 07.10.1907
Oggi studieremo quelli che si possono definire i simboli occulti, o anche mistici, in relazione al
mondo astrale e spirituale. Vi accade spesso d’incontrare certi segni, certi simboli o racconti di cui tutti
coloro che hanno delle opinioni materialistiche vi diranno che si tratta di favole. In un modo o
nell’altro, si considera che si tratti di un contributo dell’immaginazione popolare, e che è dunque pura
fantasia senza fondamento. Oppure troverete delle persone ben intenzionate che si abbandoneranno a
congetture a proposito del significato del pentagramma e di altri simboli. In occasione del nostro
Congresso di Monaco, per decorare la nostra sala, abbiamo usato anche dei segni e dei simboli, e
abbiamo fatto capire con questo che diamo una certa importanza ai simboli occulti.
Ma il vero occultista non si abbandona a speculazioni. Egli è alla ricerca di fatti reali. Non arriverete
mai al significato di un segno occulto grazie ad una speculazione filosofica, molte cose dette o scritte a
proposito dei simboli occulti sono state vane perché erano solo il frutto di speculazione, di una
riflessione condotta con piú o meno spirito. Questi segni occulti sono per noi importanti perché sono in
un certo senso gli strumenti che ci permettono d’accedere ai livelli superiori.
A proposito del significato dei simboli essenziali abbiamo già inteso molte cose, ad esempio, sul
simbolismo del numero 666, e in questa occasione abbiamo potuto penetrare profondamente
nell’origine religiosa dell’Apocalisse.
Quello che oggi ci occuperà in materia di simboli è qualcosa di totalmente differente. Si tratta di
simboli che sono stati spesso presenti nella vostra anima e di cui impareremo a conoscere l’origine e il
reale valore. Prima di passare ai commenti propriamente detti di tali simboli dobbiamo introdurre uno
studio preliminare a proposito degli uomini e vedrete subito per quale ragione per spiegare certi segni o
simboli mi riferisco a degli elementi apparentemente relegati nella notte dei tempi.
Torniamo a un tempo dell’evoluzione dell’umanità che conoscete tutti grazie ad alcune conferenze.
Sapete che la nostra epoca è stata preceduta da un’altra che è stata definita l’èra di Atlantide. In tempi
antichissimi, nel posto dove si trova attualmente l’Oceano Atlantico, tra l’America e l’Europa, esisteva
un continente, mentre le nostre regioni erano ricoperte a perdita di vista da masse d’acqua. I nostri
antenati vivevano su questa terra. In realtà, la maggior parte del popolo europeo proviene non dall’Est,
ma dall’Ovest e costituisce la discendenza del popolo di Atlantide. Da questo paese, l’antica Atlantide,
dove i nostri antenati e noi stessi abbiamo vissuto nelle precedenti incarnazioni, quando i flutti che
formano attualmente l’Oceano Atlantico hanno sommerso l’antico continente, essi sono emigrati
lontano verso l’Est.
Nell’ultimo terzo dell’epoca di Atlantide, in quella terra che forma l’attuale Irlanda, a Nord-Ovest,
dalla popolazione si è staccato un piccolo gruppo che a quell’epoca si considerava come il piú evoluto.
Tutto il territorio di Atlantide era ricoperto da masse di nebbia dense e pesanti; per questo nel ricordo
dei popoli germanici questo è chiamato “Nifelheim” [dal tedesco Nebel, nebbia]. In quegli antichissimi
tempi in cui l’aria era in permanenza carica di spesse masse d’acqua, la vita animica era del tutto
differente. In quei tempi, l’antica chiaroveggenza esisteva ancora, gli uomini potevano penetrare con lo
sguardo nel Mondo spirituale. Quando si avvicinavano ad un altro essere umano, nella loro anima
vedevano certi precisi fenomeni luminosi che indicavano loro se l’uomo era simpatico o antipatico.
Avveniva lo stesso con gli animali: quando un essere umano si avvicinava ad un animale, poteva
vedere se per lui era pericoloso oppure no. Nel periodo di Atlantide esisteva dunque in un certo senso
una chiaroveggenza primitiva.
Poi l’umanità è passata attraverso differenti stadi evolutivi; non poteva rimanere a questa antica
chiaroveggenza crepuscolare; l’attuale tipo di percezione doveva realizzarsi attraverso i sensi. La
chiaroveggenza ha dovuto quindi spegnersi per un certo tempo, ma in avvenire dovrà nuovamente
essere riconquistata e venire ad aggiungersi alla chiara coscienza diurna che possediamo oggi. I
chiaroveggenti di Atlantide non possedevano personalmente quello che costituisce le basi esteriori della
civiltà attuale, cioè l’uso della ragione, dell’intelligenza; hanno dovuto dapprima conquistarlo. L’uomo
ha dovuto orientare verso l’esterno i suoi occhi, le sue orecchie, i suoi organi di percezione sensoriale;
l’occhio spirituale interiore è passato per un certo tempo in secondo piano. Quando i nostri antenati
dell’antica Atlantide sono emigrati verso l’Est, questo avvenimento è stato contemporaneo alla perdita
dell’antica chiaroveggenza e all’acquisto della percezione sensibile dell’esterno, all’acquisto
d’attitudini quali il saper contare, calcolare, discernere.
La capacità di calcolare e di contare ecc. si è formata in quel piccolo gruppo che si è stabilito nelle
vicinanze dell’attuale Irlanda. Questi uomini sono all’inizio emigrati verso Est, e quando i flutti
dell’oceano hanno cominciato ad invadere le terre sono stati seguiti da altri numerosi popoli; essi sono
all’origine della popolazione dell’Europa attuale. Questi popoli avevano dunque una doppia percezione
delle cose: l’osservazione esteriore del mondo sensibile, la facoltà di calcolare, contare, combinare che
ha permesso di compiere i progressi tecnologici, di costruire le macchine e i mezzi di trasporto di cui
disponiamo oggi. Ma quei popoli portavano ancora delle altre cose nel cuore: il ricordo di
quell’universo spirituale al quale avevano accesso con la loro visione ed il desiderio nostalgico di
riconquistare con ogni mezzo quei mondi spirituali.
Cerchiamo adesso di rappresentarci in modo vivente quegli antenati dell’antichissima Europa.
Emigrando, non hanno tutti perso simultaneamente il dono della chiaroveggenza. Molti di loro, venuti
sul continente Europeo, vi hanno portato le vestigia perfettamente conservate dell’antica
chiaroveggenza. Fra quegli antenati erano numerosi quelli che, quando al crepuscolo o durante la notte
si sedevano tranquillamente, s’immergevano in una specie di sogno dalle immagini e idee viventi che
avevano ben piú di significato dei nostri sogni di oggi; i nostri avi erano ancora capaci di penetrare nel
Mondo spirituale con la loro percezione immaginativa.
Numerosi erano anche coloro che conservavano non soltanto il ricordo ma anche la facoltà di
immergere il loro sguardo nei mondi spirituali in certe circostanze eccezionali. Quanto agli altri, quelli
che avevano perduto questa facoltà avevano come contropartita una particolarità che nel corso
dell’evoluzione è sparita di piú di quello che abitualmente si pensa. Nei popoli dell’Europa centrale e
orientale esisteva in quei tempi antichi una facoltà molto comune e d’intensità tale che oggi non
possiamo averne un’idea; questa facoltà è la fede, l’autentica fede. Coloro che avevano qualcosa da
comunicare dei mondi spirituali erano ascoltati, incontravano la fiducia, perché l’amore e la fede
rappresentavano precisamente una grande forza, una forza considerevole in seno a quei paesi europei.
Le critiche e l’insistenza con la quale si cerca oggi di far valere le proprie convinzioni, in quei tempi
erano assolutamente inesistenti. Ma è precisamente questa situazione che all’ora attuale rende
indispensabile il fatto che ognuno sia guidato individualmente verso il Mondo spirituale. All’epoca in
cui regnava una fede assoluta e profonda, non ce n’era bisogno. Se con lo sguardo abbracciamo
l’insieme dell’antica popolazione dell’Europa, vediamo che in fondo all’anima quei popoli erano
pienamente coscienti dell’esistenza dei mondi spirituali dietro il mondo sensibile.
Studieremo adesso il processo del nuovo modo di vedere dell’uomo che, con l’aiuto dei suoi sensi,
volge ormai il suo sguardo verso gli oggetti. Ho già detto che in quel piccolo gruppo di persone
raggruppate nel Nord, nelle vicinanze dell’Irlanda, si è prodotto un avvenimento: è stata conferita
all’uomo la facoltà di calcolare, di contare e di concepire delle combinazioni. Prima, ho anche detto che
a quel momento la testa eterica dell’uomo si è inserita nella testa fisica. Mentre prima la testa eterica si
trovava all’incirca a livello delle sopracciglia, all’esterno del cervello fisico, da quel momento è entrata
all’interno, costituendo un’unità delle due teste, l’eterica e la fisica. Per questo fatto l’uomo ha
acquistato la facoltà di avere coscienza di sé, del suo Io, e ha acquisito la facoltà di vedere e giudicare
gli oggetti.
Negli antichi abitanti di Atlantide, la testa eterica, che coincide oggi con la forma della testa fisica,
trovandosi leggermente davanti alla fronte, dava origine alla loro chiaroveggenza e conferiva loro la
possibilità di penetrare con il loro sguardo nel Mondo spirituale. Immedesimiamoci ora con l’anima di
quel popolo, ritorniamo a quei tempi antichi quando la testa eterica degli uomini era ancora
completamente al di fuori del loro corpo fisico, poi riportiamoci in seguito alla fine di Atlantide,
quando le due teste già coincidevano. L’abitante di Atlantide poteva vedere come le testa eterica
entrasse progressivamente nella testa fisica; poteva vederlo perché aveva ancora la chiaroveggenza. Ma
come vedeva questo inserimento progressivo della testa eterica in quella fisica? Era per lui un
fenomeno del tutto eccezionale. Cercheremo di rappresentarcelo in Spirito. Ve lo descriverò.
L’abitante di Atlantide si domandava: da dove mi vengono le forze che mi sono date adesso? Prima
l’uomo vedeva attorno a sé il Mondo spirituale. Cosa gli faceva vedere quel Mondo spirituale che lo
circondava? Bisogna che sia ben chiaro per voi. Se tutto d’un colpo poteste diventare chiaroveggenti
allo stesso grado di un abitante di Atlantide, cosa succederebbe nella vostra anima? Vedreste attorno a
voi delle entità spirituali. Il mondo fisico si popolerebbe di entità del piano astrale, spirituale, che
potreste vedere. Come sarebbe possibile? Grazie alle vostre capacità che avreste allora sviluppato,
mentre attualmente sonnecchiano nella vostra anima. Vi sembrerebbe come se qualcosa irraggiasse
verso l’esterno dall’interno di voi stessi. Quello che oggi irraggia da voi verso il mondo esterno,
all’epoca dell’antica Atlantide cominciava giusto a penetrare in voi per radiazione. A quell’epoca, per
l’uomo di Atlantide, tutte le percezioni che l’uomo può avere oggi, sotto forma di concetti relativi al
Mondo spirituale, rappresentavano delle entità viventi, egli si rendeva conto che qualcosa si insinuava
in lui e attivava le sue facoltà. Si diceva: comincio a vedere delle cose con i miei occhi, a sentire dei
rumori, dei suoni con le mie orecchie, comincio a vedere quello che, all’esterno, è percettibile con i
sensi. Da dove vengono queste facoltà? Esse penetrano, per radiazione, dall’esterno verso l’interno
dell’uomo.
Prendiamo ancora una volta in considerazione l’antica Atlantide. Il paese era ricoperto da vaste zone
umide nebbiose; questi banchi di nebbia non avevano la stessa densità all’inizio e alla fine del periodo
atlantideo. Soprattutto nei dintorni dell’attuale Irlanda essi erano differenti da quelli che si trovavano
nelle altre regioni. Nella zona meridionale di Atlantide essi erano ancora tiepidi e anche molto caldi,
come delle masse di fumo caldo, bruciante; verso il Nord erano piú freddi. Verso la fine del periodo di
Atlantide si produsse un notevole raffreddamento. E fu proprio questo raffreddamento delle masse di
nebbia, questo freddo nordico, che ebbe per effetto di far sorgere come per magia dall’uomo questa
nuova visione, questa nuova vita dell’anima nell’uomo. Sotto il calore rovente del Sud del continente di
Atlantide l’intelletto, e ancor piú la capacità di giudizio, non avrebbero mai potuto svilupparsi
nell’umanità. L’atlantideo che viveva vicino all’Irlanda sentiva penetrare in sé delle facoltà che lo
impregnavano, permettendogli di vedere, di sentire ecc., quello che accadeva al di fuori di lui grazie
agli organi sensoriali. Prendeva atto di questa trasformazione come dovendola al raffreddamento delle
masse d’aria.
La percezione degli oggetti esteriori da parte degli organi dei sensi è possibile grazie ai nervi. Ad ogni
organo di senso corrispondono dei nervi distinti provenienti dal cervello. Abbiamo dei nervi ottici,
olfattivi, uditivi e cosí via. Questi nervi, che oggi permettono agli uomini di essere coscienti delle
impressioni ricevute dai sensi, erano inattivi prima che fosse data la percezione sensoriale
dell’esteriorità delle cose. Non conferivano la percezione esteriore, avevano un ruolo interno.
L’Atlantideo vedeva delle forze avvicinarsi, penetrare in lui e trasformare i suoi nervi in organi di sensi.
E la sua impressione della situazione era che delle correnti che venivano dall’esterno penetravano a
fiotti nella sua testa e impregnavano totalmente i suoi nervi cranici.
Ora, i nervi cranici diventati attivi a quell’epoca, e che possono essere messi in evidenza ancora sul
piano anatomico, sono in numero di dodici paia, di cui dieci si articolano partendo dalla testa e attivano
i differenti organi sensibili. Per esempio, quando muovete gli occhi, è grazie al nervo oculomotore e
non al nervo ottico. Dunque, dieci paia corrispondono ai differenti organi dei sensi e due paia, molto
piú profonde, permettono di stabilire gli scambi fra la percezione sensibile e l’attività cerebrale.
L’Atlantideo sentiva dodici correnti penetrare in lui, nel suo cervello e fino alle radici del suo corpo. Ne
aveva la visione. Quello che adesso avete in voi sotto forma di nervi è stato a quell’epoca creato in lui
dalle dodici correnti che l’hanno penetrato affinché si formasse la sua presa di coscienza. Se si deve
l’apparizione di questi dodici cordoni nervosi al raffreddamento dell’aria ed al fatto che il Nifelheim
diventava un paese freddo, c’era tuttavia bisogno ancora d’altro per dare forma agli organi sensoriali
dell’essere umano. Prima della formazione degli organi sensoriali dell’uomo, il cuore stesso aveva
tutt’altra funzione. In un essere capace, grazie alla chiaroveggenza, di far sorgere come per magia
davanti alla sua anima i colori e i suoni del suo ambiente, la circolazione sanguigna non poteva che
essere del tutto differente da quella dell’atlantideo a cui il mondo esteriore diventa progressivamente
percettibile grazie ai sensi esterni. Questa formazione del cuore non avrebbe mai potuto avere origine
nelle zone fredde di Atlantide. Non poteva provenire che dal fatto che la stimolazione
dell’organizzazione umana aveva la sua fonte in altre contrade. È dunque la parte piú calda,
meridionale, di Atlantide che è all’origine della trasformazione del cuore.
Rappresentatevi il modo in cui i due tipi delle correnti, quelle fredde venute dal Nord e le calde venute
dal Sud, hanno influenzato Atlantide. Le correnti calde hanno permesso alla natura del fuoco di
introdursi nel cuore, di accendervi la fiamma dell’entusiasmo, mentre l’altra parte della natura umana
ha ricevuto i suoi stimoli dal freddo del Nord. Le correnti che venivano dal Nord hanno modificato la
struttura del cervello dell’uomo al punto da farne un pensatore, un essere che percepisce con i sensi. La
testa dell’atlantideo aveva una tutt’altra costituzione da quella dell’uomo odierno. Sono proprio le forze
delle dodici correnti nordiche che hanno generato il pensatore. Mentre le correnti calde venute dal Sud
hanno fatto nascere in lui i suoi sentimenti, il suo modo di percepire e le sue attuali facoltà sensoriali. Il
sangue, sul quale queste influenze si ripercuotevano, è penetrato nel cuore, che per questo è diventato
un organo del tutto differente. La modificazione del sangue, questo succo che nutre l’uomo, e di tutta la
circolazione sanguigna ha anche implicato un cambiamento della nutrizione esteriore del corpo fisico.
Cosí possiamo dire: a quel tempo, delle forze provenienti da due distinte direzioni hanno lavorato
nell’uomo. Il suo corpo fisico è stato profondamente modificato, in modo tale che ha potuto da una
parte accogliere il cervello e dall’altro venire alimentato dal sangue necessario a questo essere umano
rimodellato.
L’atlantideo viveva questi fenomeni sotto forma di immagini. In effetti, nella percezione astrale, tutto si
presenta sotto forma di immagini. La penetrazione delle correnti spirituali che hanno contribuito alla
formazione dei nostri nervi si presentava per lui sotto forma di dodici correnti che discendevano dalle
regioni fredde del Nord, e quello che ha modificato la forma del cuore era presentito da lui come il
fuoco che risaliva dal Sud. Quello che ha rimodellato la testa fisica per fare quella dell’uomo dotato
dell’attuale percezione, si presentava a lui come il simbolo dell’essere originale, e la sostanza nutritiva
nell’uomo si presentava come un’altra immagine, quella di un animale che stava nutrendosi.
Come si rivolgeva al popolo colui che aveva la facoltà di vedere tutto questo? Come si esprimeva? Si
esprimeva per immagini. Perché, in effetti, nessun essere di quell’epoca avrebbe capito quanto abbiamo
detto. Ma tutti avevano conservato un’antica chiaroveggenza; quando si parlava loro per immagini,
potevano capire le grandi verità essenziali. Questo metodo era ugualmente impiegato nelle scuole
druidiche. Gli antichi sacerdoti si rivolgevano al popolo nel modo seguente: «Prima che possiate
immergere lo sguardo in questo mondo riempito di piante e di animali, di tutti gli oggetti che adesso
siete in grado di distinguere sul piano esteriore, non c’era nient’altro che uno spazio oscuro, spalancato
come uno smisurato abisso. Le immagini sono apparse nello spazio grazie alla vostra percezione. Ma
tutto quello che adesso esiste, sorge da quell’abisso, da Ginnungagap, nome dell’antico caos
germanico». Poi continuava: «Dal Nord sono venute dodici correnti e dal Sud sono venute le scintille
di fuoco. L’unione delle dodici correnti del Nord con le scintille di fuoco del Sud ha fatto nascere due
creature: il gigante Ymir e la vacca Audhumbla».
Chi è dunque il gigante Ymir? Ymir è l’uomo pensante, che è nato, si è formato a partire dal caos, da
Ginnungagap; e la vacca Audhumbla rappresenta il nuovo principio di nutrizione e il nuovo cuore. Il
gigante Ymir e la vacca Audhumbla si sono dunque riuniti nella forma umana.
Come immaginarci il modo con cui il druido, il sacerdote, parlava agli uomini? Possedeva la saggezza,
sapeva quello che era accaduto. Si rivolgeva ad esseri che erano riusciti a conservare la loro antica
chiaroveggenza in certe occasioni o allora avevano fiducia in lui. Sapeva che sarebbe stato capito se
raccontava loro il processo di sviluppo progressivo dell’uomo come appare alla visione astrale. Le
dodici correnti venute dal Nord, e che costituiscono le dodici paia di nervi, si uniscono alle scintille di
fuoco che sprigionano dal Sud e formano il cuore e il sistema nutritivo. Ecco le due forze che si
presentano sotto la forma del gigante Ymir e della vacca Audhumbla. Come tutto questo è ben narrato
nella visione germanica della creazione del mondo! Ecco cos’è detto: nacquero due mondi, il freddo
Regno di Nifelheim e il Regno ardente di Muspelheim. Da Nifelheim emanano le dodici correnti, da
Muspelheim le scintille di fuoco.
Andiamo avanti. Sappiamo che all’epoca in cui il corpo eterico della testa si è unito alla testa fisica, è
nato l’Io lucido e cosciente. Prima, l’uomo non poteva dire a se stesso «Io». L’uomo aveva certo la
sensazione di essere una creatura dotata di un Io, ma non era ancora emersa in lui la presa di coscienza
di quest’Io. Con la nascita del suo Io e la presa di coscienza di questo Io, l’uomo non ha potuto far altro
che constatare quello che si era modificato e sviluppato. Era diventato un Io nel senso piú elevato del
termine.
Esaminiamo adesso tutto quello che è avvenuto nell’uomo. Si è formato quello che proviene dalle
dodici correnti, cioè quello che costituisce i dodici nervi del cranio. Ma in lui è nato anche qualcosa che
non è legato alla sua testa ma che, per sua natura, proviene dalla vacca Audhumbla. Queste due nature
si sono associate; potete costatarlo pensando alla forma. Cercate di rendervi conto come tutto quello
che è venuto dal Nord sia rinchiuso nel cranio e nel midollo spinale. Tutto il resto si è aggiunto; le
costole e gli organi che esse racchiudono costituiscono tutto quello che viene dal Sud: le scintille di
fuoco, cioè la vacca Audhumbla. Questa formazione ha avuto luogo partendo da uno stato totalmente
differente dell’umanità e si è unita a quello che esisteva anteriormente. Cosa si è formato? La prima
cosa che si è sviluppata, a partire da questo stato totalmente differente dell’umanità, è il principio dei
sessi. Questo principio era già stato elaborato nell’antica Lemuria, ma è stato solo con l’apparizione
della coscienza dell’Io che questo fatto è arrivato alla coscienza umana. Prima di quel momento,
l’uomo ne era piú o meno incosciente; l’atto sessuale era compiuto come in sogno, in uno stato di
coscienza ottenebrata. La seconda cosa che fu data all’uomo fu la forma del cuore. E la terza fu il
linguaggio, che da allora si è evoluto progressivamente. Il linguaggio è anch’esso una creazione di
Atlantide. Senza il linguaggio non potete rappresentarvi l’evoluzione del pensiero, della spiritualità
superiore. E non potete neppure rappresentarvela senza la trasformazione del cuore e la presa di
coscienza del principio sessuale. Ecco quindi la curiosa organizzazione dell’uomo. Il suo pensiero, la
sua visione esteriore sono state integrate nella sua testa. Gli sono state conferite tre cose: il principio
cosciente dei sessi, il principio cosciente del cuore e il linguaggio cosciente, espressione della sua entità
interiore.
Rappresentiamoci adesso come questo appare alla visione astrale. Per il veggente del mondo astrale,
questo si presenta sotto forma di immagine: egli vede un albero che possiede tre radici. La prima è la
sessualità, la seconda il cuore e la terza il linguaggio. Queste tre radici sono in relazione con lo
spirituale, la testa. Degli influssi nervosi circolano in permanenza nei due sensi. Il veggente vede tutto
questo sotto forma di un’entità che corre continuamente dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso.
Gli sembra che la parte superiore, spirituale, sia continuamente combattuta da quanto viene dal basso.
Le due correnti sono in conflitto. La vita dell’uomo nelle sue membra inferiori sarebbe impossibile se
esse non fossero costantemente fecondate dalle dodici correnti nervose che vengono dalla testa. Il
sangue trasporta dall’alto verso il basso i nutrienti succhi spirituali. Questa è l’immagine che il
veggente ha dell’essere umano in divenire che si prepara, dall’ultima epoca di Atlantide, per quella
post-atlantidea.
Il druido ha dovuto parlare in questi termini agli uomini, per dire loro come vedeva la situazione. Visto
che quegli uomini avevano ancora la visione astrale, poteva descrivere loro quello che vedeva sul piano
astrale. Per questo insegnava loro: quello che è nato nell’uomo e che oggi vive in lui, l’Io personale,
proviene da tre fonti. L’Io, che era già là prima, ma che affiora solo ora alla coscienza, proviene da
Nifelheim. Ma c’è un serpente che rode instancabilmente la radice di questa fonte, e il suo nome è
Niddhôgr. La veggenza permette effettivamente di vedere il serpente che sta rosicchiando la radice. Gli
eccessi del sesso, che non possono essere soffocati, rodono nell’uomo quella radice.
La seconda radice è il cuore. È da essa che è derivata la nuova vita dell’uomo. Tutto quello che l’uomo
compie, lo fa sotto l’impulso del cuore. Sente quello che lo rende felice o infelice. Sente il presente, ma
sente anche quello che porta in germe nel futuro; è attraverso il cuore che l’uomo presagisce il suo vero
destino. Per questa ragione i grandi sacerdoti dicevano: alla sorgente da cui nasce questa radice ci sono
tre Norne che tessono i fili del destino. Si chiamano Urd, padrona del passato, Verdhandi, che conosce
il presente, ciò che è e ciò che si prepara, e Skuld, che conosce l’avvenire. “Skuld” è la stessa parola di
“Schuld” [debito in tedesco]. Il futuro procede da quanto è stato sviluppato nel presente, lo supera
largamente e deve essere portato verso l’avvenire.
Alla terza radice sgorga la sorgente di Mimir, Mimir che beve la bevanda del sapere. È quello che si
esprime sotto forma di linguaggio. In cima, la vetta dell’albero penetra nel regno degli spiriti e da
questo ambiente spirituale cadono le gocce del fluido nervoso fecondo. Per descrivere tutto questo i
sacerdoti dicevano: in cima alle fronde del frassino cosmico c’è una capra che sta pascolando e delle
gocce trasudano in permanenza dalle sue corna. La parte inferiore è cosí fecondata senza interruzione
dalla parte superiore.
Inoltre, uno scoiattolo sale e scende infaticabile, comunicando le dispute che risultano dalle sfide che si
lanciano mutualmente le forze dell’alto e quelle del basso, illustrando la lotta continua della natura
inferiore contro quella superiore.
Ecco come la leggenda germanica presenta questa evoluzione. Secondo essa, il nuovo uomo in questo
nuovo mondo assomiglia ad un albero, un frassino, dotato di tre radici. La prima si tuffa nel Nifelheim,
il regno primitivo cupo e gelato. Nel centro del Nifelheim si trova la fontana inesauribile Hwergelmir,
dalla quale sgorgano dodici correnti che percorrono il mondo intero. La seconda radice si trova a fianco
della fontana delle Norne: Urd, Verdhandi e Skuld, sedute sui suoi bordi e che tessono i fili del destino.
La terza radice raggiunge la fontana di Mimir. Yggdrasil è il nome del frassino cosmico nel quale si
sono riunite le forze cosmiche.
Un uomo prende forma nel momento in cui prende coscienza del suo “Io” e in cui dal suo essere intimo
risuona la parola “me” oppure “io” [in tedesco ich]. Etimologicamente “Yggdrasil” significa portatore,
asse, supporto dell’Io, dove “Ygg” è l’Ich [Io tedesco] e “drasil” ha la stessa radice di “tragen”
[portare].
Cercate adesso di immaginare il numero di spiegazioni, erudite o no, piene di spirito o senza spirito,
che sono state date di questo mito germanico. Queste spiegazioni sono senza valore per l’occultismo.
Perché per il ricercatore della scienza occulta prevale il principio secondo il quale tutto quello che è
simbolo (e un racconto è anche simbolico) ha effettivamente una realtà nel Mondo spirituale; ed è solo
quando sappiamo a cosa corrisponde un simbolo nel Mondo spirituale che conosciamo il vero
significato dei miti e dei simboli. Nessuno può afferrare e applicare le forze che presiedono allo
sviluppo umano che si trovano negli antichi miti nordici senza ricercarne il senso piú profondo. È
grazie all’occultismo che ci appropriamo delle conoscenze del mondo e dell’uomo che i druidi hanno
fissato nelle immagini dei miti germanici, non perché hanno inventato delle immagini scaturite da una
fervida immaginazione, ma perché erano in grado di vederle. Nella scienza occulta, nessun simbolo si
giustifica se non può essere visto nei mondi superiori. Gli antichi miti e le leggende sono i simboli
d’una realtà superiore nei mondi superiori. Ci sono degli scritti che rendono conto in modo
meraviglioso delle epoche passate. Quando possiamo leggere questi scritti, possiamo immergere lo
sguardo molto lontano nelle epoche anteriori e allo stesso tempo il mito ci arricchisce.
Se siamo in grado di percepire i miti in questa maniera, quello che ne otteniamo va ben al di là della
scienza astratta. La scienza è in grado di mostrare i dodici cordoni nervosi; l’occultista ne fa conoscere
l’origine ed anche l’insieme dei rapporti in questo contesto cosmico. Cos’è l’uomo? Un simbolo dello
spirito perché procede dal mondo spirituale. Egli è composto da forze spirituali. Se l’uomo ha una
giusta percezione di se stesso, si riconosce in quanto simbolo di quanto in lui è eterno. Ecco cosa
portiamo con noi oggi e continueremo queste considerazioni fra otto giorni. Rifletteremo allora al senso
della frase di Goethe: «Tutto l’effimero non è che un simbolo». L’uomo stesso è un simbolo dello
Spirito eterno nell’effimero. Quando l’uomo sa riconoscere questo, si apre per lui la conoscenza del
senso della sua propria entità spirituale, eterna e immutabile.
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 7 ottobre 1907 ‒ O.O. N° 101. Traduzione di Angiola Lagarde.
R. Steiner | Simboli | Anno 23 n.04 – Aprile 2018 – L’Archetipo
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SIMBOLI OCCULTI
Essenza di miti, saghe, fiabe popolari e leggende
O.O. 102 – L’Agire di entità spirituali nell’uomo – 13.04.1908
Miti e saghe non sono già invenzioni poetiche del popolo,
ma ricordi di quella veggenza ch’era propria agli uomini dei tempi antichi,
quando essi si trovavano nelle condizioni suaccennate;
poiché questi uomini percepivano lo spirituale di giorno e di notte.
L’uomo viveva realmente attorniato da quel mondo di divinità conservatosi nelle saghe e nei miti
nordici. Odino e Freya e i loro compagni delle saghe nordiche non sono già figure inventate, ma figure
che da quegli uomini preistorici venivano viste e sentite nel mondo spirituale con altrettanta realtà con
quanta l’uomo d’oggi vede e sente i suoi simili nel mondo che lo circonda;
le saghe e i miti sono i ricordi
di ciò che l’uomo sperimentava
in quella condizione di chiaroveggenza crepuscolare.
All’epoca in cui questo stato di coscienza, sviluppatosi a sua volta da un altro ancora più antico, andò
sempre più affermandosi, il Sole, nella stagione dell’anno che oggi chiamiamo primavera, appariva in
cielo nel segno della Bilancia. E se ora procediamo nel corso dell’epoca atlantica, vediamo svilupparsi
sempre più quello stato di coscienza che è il nostro attuale.
Sempre più ottuse, sempre più irrilevanti divenivano le impressioni che l’uomo riceveva quando il suo
corpo astrale e l’io stavano, di notte, fuori dal corpo fisico e dal corpo eterico; e sempre più distinte si
facevano le immagini diurne, quando egli stava dentro al suo corpo fisico e al suo corpo eterico.
Insomma, per dirla con un paradosso: sempre più la notte diventava notte e il giorno, giorno.
Seguì poi il diluvio atlantico, cui succedettero le civiltà postatlantiche, che spesso vi ho descritto e che
denominiamo: la civiltà paleo-indiana – durante la quale gli stessi santi Rischi istruirono gli uomini -,
la civiltà paleo-persiana, la caldaico-assiro-babilonese-egizia, poi la greco-latina e infine la nostra.
E se ora vogliamo descrivere lo stato d’animo in cui si trovavano gli uomini nell’epoca postatlantica e,
parzialmente,
già negli ultimi periodi della stessa epoca atlantica, esso ci si presenta in modo che dobbiamo dire:
• i popoli discesi dall’Atlantide,
anche quelli che erano emigrati verso Oriente prendendovi domicilio,
possedevano ancora, ovunque, le memorie antiche, le antiche saghe, i miti
che rispecchiavano le esperienze vissute un tempo dagli uomini,
in uno stato anteriore di coscienza, durante l’epoca atlantica.
Tale tesoro di leggende i popoli se lo erano portato con sé dall’epoca atlantica e lo conservavano e lo
diffondevano raccontandolo. L’anima ne era ricolma e i più antichi abitanti del nord avvertivano
effettivamente ancora la forza che parlava loro dalle saghe e dai miti; poiché i vecchissimi tra gli avi
ricordavano che i loro stessi antenati erano stati testimoni di quello che ora si narrava. Tutto ciò questi
popoli se lo erano conservato.
Inoltre veniva custodita in seno alle popolazioni un’altra cosa ancora che non era propriamente
un’esperienza vissuta da esse, ma dagli iniziati di quei tempi lontani, ossia dai sacerdoti e dai saggi dei
misteri. Costoro, grazie al fatto che la loro condizione animica era ancora simile a quella delle
popolazioni più antiche, avevano potuto penetrare con lo sguardo spirituale nelle stesse profondità
dell’esistenza universale a cui oggi apre di nuovo l’accesso la scienza dello spirito. Dunque, se pure in
modo crepuscolare, quelle condizioni di chiaroveggenza sussistevano ancora.
Le fiabe popolari e le leggende conservavano, e riflettevano in modo molteplice,
tutto quello che prima era stato sperimentato.
Una sapienza primordiale antichissima custodiva ciò che era stato contemplato nei misteri e ciò
che le epoche antiche avevano coltivato. In tal modo veniva conservata una vasta concezione del
mondo che, entro i misteri, poteva venir portata all’immediata coscienza individuale dell’iniziando. Ma
quegli stati d’anima, già naturali e normali in epoche remotissime, ora, in seno ai misteri, non si
potevano più suscitare se non artificialmente.
By CTSadmin| Novembre 7th, 2018|MITOLOGIA NORDICA|Commenti disabilitati su ESSENZA DI
MITI, SAGHE, FIABE POPOLARI E LEGGENDE
Mitologia germanica
O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 15.06.1904
Se percorriamo a ritroso l’evoluzione del genere umano, giungiamo, come sapete, all’umanità
atlantica, il cui dominio corrispondeva a quello che [oggi] è il fondo dell’Oceano Atlantico. Risalendo
ancora più indietro, arriviamo all’umanità lemurica, che dovete immaginare completamente diversa,
nella sua organizzazione, dall’umanità attuale, e diversa anche da quella atlantica. Gli uomini abitavano
un continente che si estendeva a sud dell’India Anteriore e dell’Indocina, e che oggi è anch’esso
sprofondato nel mare. In Australia vi sono ancora dei discendenti di quella stirpe. Ma dove possiamo
rintracciare l’umanità della seconda epoca della Terra?
Cominciamo con il tener presente che, come abbiamo detto, l’umanità della terza epoca, i Lemuri,
appariva del tutto diversa da noi, nonché del tutto diversa dagli Atlantidi, l’umanità della quarta epoca.
I Lemuri non avevano ciò che noi chiamiamo memoria, rappresentazione, intelletto; li avevano
sviluppati solo in forma germinale. L’umanità della seconda epoca, al contrario, era dotata di un’elevata
spiritualità, che tuttavia non aveva sede nella testa degli uomini, ma è immaginabile piuttosto come
un’ininterrotta rivelazione dall’esterno.
Gli Iperborei, questo il nome dell’umanità della seconda epoca della Terra, abitavano nei dintorni del
Polo Nord, nella Siberia e nell’Europa settentrionale, ivi compresi i territori poi coperti dal mare. Potete
farvi un’idea approssimativa di come fosse allora questa terra se la pensate immersa in una specie di
temperatura tropicale. Era popolata in origine da uomini che, in quanto singoli individui, andavano
vagando come esseri sognanti. Se fossero stati abbandonati a se stessi, non sarebbero mai riusciti a far
nulla. C’era per così dire una saggezza diffusa nell’aria, nell’atmosfera.
Solo nell’epoca lemurica si realizzò il connubio fra saggezza ed elemento animico, così che, prima di
quel periodo, di tutta la spiritualità degli uomini non possiamo farci che un’immagine nebulosa. Si
trattava dei germi dello spirito di nebbia e di quelli dello spirito di luce. La spiritualità che si sviluppò
in forma germinale nei figli della nebbia di fuoco, quella spiritualità che ci appare ancora familiare,
dobbiamo cercarla nelle regioni del sud, nella Lemuria. Nelle regioni che, rispetto a noi, sono poste a
nord, vivevano degli uomini, dei popoli, dotati di una coscienza di sogno, che era più chiara della
coscienza dei pitri.
Nel complesso, non dobbiamo credere che gli uomini stanziati nel nord vi siano sempre rimasti.
Intrapresero infatti delle migrazioni dirette a sud, migrazioni che perdurarono a lungo anche quando nel
sud aveva ormai fatto la sua comparsa l’umanità lemurica. Esistevano quindi, per così dire, due stirpi
lemuriche: una settentrionale e una meridionale. Vi furono dodici grandi migrazioni, che portarono
gradualmente a contatto fra loro gli abitanti delle diverse aree geografiche. Li portarono anche in
regioni che non sono distanti dalle nostre, e nelle quali possiamo riconoscere la Germania centrale, la
Francia, la Russia centrale e così via.
Ora, bisogna pensare che stiamo parlando di un’epoca in cui esistevano già quelli che chiamiamo
animali superiori. I Lemuri si presentavano come una specie di giganti, e questi entrarono in contatto
con gli uomini provenienti dal nord.
Ne derivarono due stirpi. Nacque una stirpe che nella preistoria dell’umanità diede poi origine agli
Atlantidi; tutti questi uomini si mescolarono allora in quella che oggi è l’Europa. Non dobbiamo
dimenticare che le cose naturalmente si sono svolte in modo ben più complesso di come le stiamo
descrivendo. Ebbene, da questa mescolanza di stirpi, da questa mescolanza di Iperborei, di Lemuri, e
successivamente anche di Atlantidi, uscirono degli iniziati che erano diversi da quelli nei quali
possiamo vedere oggi i nostri maestri; questi ultimi provengono essenzialmente dal sud, dal continente
lemurico.
Nel nord si sviluppò una sorta, direi quasi, di mondo delle nebbie, e i tre principali iniziati che
incontriamo in quest’isola antropologica furono noti, fino ancora al tempo in cui cominciò ad
affermarsi il nostro cristianesimo, con i nomi di Wotan, Wili e We. Essi sono i tre grandi iniziati del
nord. In termini popolari, potremmo dire che trassero la loro origine, com’era perfettamente normale,
dal regno terrestre, nel quale era contenuto, senza ancora mescolarsi, tutto ciò che ora è ripartito fra gli
uomini. Sempre in linguaggio popolare, potremmo dire che da questo regno terrestre uscì una stirpe che
era molto differente dall’umanità attuale. Questa stirpe era governata da una saggezza universale, che i
sacerdoti preposti all’insegnamento chiamavano “Padre dell’universo”.
Si parlava inoltre dell’esistenza dei due regni di Nebelheim e di Muspelheim.
Il Nebelheim è il Nifelheim del nord, il crepuscolare stato persistente di nebbia in cui viveva
l’umanità iperborea, contrapposto al Muspelheim. Vengono descritte dodici correnti che, arrestatesi,
si mutarono in ghiaccio. Di qui si originarono una progenie umana, rappresentata dal gigante Ymir, e
poi quella degli animali, con la vacca Audhumbla. Da Ymir discese la stirpe dei giganti del gelo.
Solo più tardi, stando anche alla Dottrina segreta, nacquero gli uomini che erano ormai dotati
dell’intelletto. Similmente, anche la saga tedesca narra che [i discendenti di Ymir e Audhumbla] Wotan,
Wili e We si recarono sulla riva del mare e plasmarono gli uomini. Si tratta di quegli uomini che
secondo la Dottrina segreta sono nati solo in un secondo momento e sono stati dotati dell’intelletto.
In questa primitiva saga germanica è racchiusa un’antica verità. Vi si parla anche delle due grandi
migrazioni che vi furono in seguito dal lontano Oriente all’Occidente [e dall’Occidente all’Oriente].
Dobbiamo pensare che fin dagli inizi esistesse la popolazione celtica che ha poi costituito una colonia.
La popolazione celtica delle origini era totalmente soggetta all’influenza dei suoi iniziati. Questi ultimi
hanno perpetuato l’antica dottrina di Wotan, Wili e We nonché dei loro sacerdoti.
I Celti avevano dei sacerdoti, quelli che noi chiamiamo druidi, che facevano capo a una grande loggia,
la Loggia del nord. Se ne è conservata memoria nella leggenda di re Artù e della Tavola rotonda.
Questa loggia degli iniziati del nord è effettivamente esistita, è la sacra loggia di Ceridwen, la Loggia
bianca del nord. In seguito fu chiamata Ordine dei bardi. La loggia continuò a esistere ancora a lungo
nelle epoche successive. Venne sciolta solo al tempo della regina Elisabetta. Quindi l’ordine si ritirò
completamente dal piano fisico.
Tutto quello che ritroviamo nelle antiche saghe germaniche trae di qui la sua origine. Tutta la poesia
germanica risale alla primitiva loggia di Ceridwen, che era conosciuta anche come il “calderone
magico” di Ceridwen. Chi più di tutti vi ha esercitato la propria influenza, fino ancora ai primi secoli
dell’era cristiana, è stato Meredin, il grande iniziato che noi conosciamo come mago Merlino e che fu
detto “il mago della Loggia del nord”.
Tutto questo è espressamente contenuto in antiche dottrine occulte celtiche. Vi si trova indicato quello
che dev’essere stato l’apporto degli iniziati dell’Oriente. E ciò che questi ultimi hanno ricevuto a loro
volta dai Celti è stato la saga di Baldur, la saga del dio della luce e del dio delle tenebre. Gli iniziati
dell’Occidente hanno fatto a poco a poco conoscere questa saga agli iniziati dell’Oriente, mossi dal
saggio intento di comunicare loro qualcosa di essenziale.
E, nella convinzione che vi sarebbe stato un seguito, hanno aggiunto anche un altro elemento a questa
saga, un elemento che apparteneva ancora all’avvenire, quello cioè del futuro declino degli dèi. Baldur
non avrebbe potuto sottrarsi a questo declino. Perciò si fece un passo ulteriore nell’elaborazione della
saga, andando oltre il crepuscolo degli dèi. Si disse che sarebbe sorto un nuovo Baldur, e questo
“nuovo Baldur” che si annunciò al popolo altri non è che il Cristo.
Nelle regioni del nord tutte queste concezioni non poterono svilupparsi come nelle regioni del sud, per
esempio in Grecia. Nel nord prevalevano dèi virili, nel sud dominava piuttosto il culto della bellezza.
L’elemento nordico era caratterizzato nel suo complesso da qualcosa che si è bensì conservato a lungo,
ma che nello stesso tempo aveva in sé il germe della rovina: era la sua natura guerriera.
Nel nord abbiamo quindi Wotan, Wili e We, ma anche Loki. Loki è la brama, il desiderio, è tutto ciò
che fa del mondo nordico la sede di quella natura guerriera alla quale hanno parte anche le Valchirie.
Queste infiammano alla lotta, incarnano un qualcosa che è sempre stato proprio dell’elemento nordico.
Loki era il figlio dei desideri; Hagen è la forma più tardi assunta dal Loki delle origini.
Diciamo ancora qualche parola sulla figura dell’iniziato, così come si presentava in quel tempo. Una
volta che fosse stato iniziato e portato quindi a conoscenza delle potenze spirituali, la sua condizione
veniva descritta come quella di chi aveva intrapreso il cammino verso il regno dei defunti buoni, il
regno degli alfi, l’Alfgard, per procurarvisi l’oro del Nifelheim. L’oro è il simbolo della saggezza.
All’epoca della diffusione del cristianesimo, l’iniziato dell’antico mondo germanico era Sigfrido. Di
fatto egli era invulnerabile, ma aveva anche un punto vulnerabile, poiché, in questa iniziazione nordica,
Loki, il dio dei desideri, era ancora presente sotto le spoglie di Hagen. Hagen è colui che uccide
l’iniziato colpendolo nel punto debole.
Nella saga dei Nibelunghi, Brunilde è una figura, una divinità femminile, simile alla Pallade Atena dei
Greci. Brunilde è la personificazione, nel nord, dell’elemento guerriero, con la sua furia omicida. In
Sigfrido abbiamo l’antico iniziato del mondo germanico. L’elemento guerriero trova la sua espressione
nell’antica cavalleria germanica. Poiché si trattava prevalentemente di un elemento secolare, fino
all’ottavo, al nono, al decimo e all’undecimo secolo la cavalleria secolare dovette far risalire la propria
origine a Sigfrido, in quanto iniziato.
L’origine di questa stirpe di cavalieri era la Tavola rotonda di re Artù. Dalla Tavola rotonda venivano
i grandi cavalieri, o meglio: ad essa dovevano accedere coloro che volevano diventare cavalieri secolari
di più alto rango. Là si apprendeva la saggezza secolare, ma ciò includeva la volontà di combattere,
l’elemento caratteristico di Loki-Hagen.
Soprattutto entro l’elemento germanico doveva prepararsi qualcosa che poteva manifestarsi in modo
del tutto particolare nel mondo nordico. Vi si poteva preparare qualcosa che ha un rapporto con
l’evoluzione dell’uomo sul piano fisico. Noi sappiamo che nell’ambito di questa evoluzione si è
compiuta la discesa della realtà suprema sul piano fisico; l’elemento personale è la forma della realtà
suprema sul piano fisico.
Qui dunque si sviluppò l’elemento personale, quel valore guerriero personale che in Hagen si è
espresso forse al più alto grado.
Torniamo ai Lemuri. Presso di loro non esisteva ancora ciò che l’uomo d’oggi definisce amore. Non
esisteva l’amore fra uomo e donna. Certo, la sessualità si era già manifestata, ma solo in seguito
sarebbe stata santificata dall’amore. Neppure fra gli Atlantidi esisteva ancora l’amore nel senso odierno
della parola.
• Solo quando l’elemento personale
ebbe acquisito l’importanza di cui abbiamo detto,
solo allora potè comparire l’amore.
Alla fine dell’epoca lemurica, vigeva in certe zone un sistema caratteristico. L’insieme degli uomini
che vivevano in date regioni era sistematicamente ripartito in quattro gruppi. In base a questa
organizzazione, un individuo appartenente al primo gruppo – chiamiamolo gruppo A – non poteva mai
sposarsi con uno del gruppo B. Gli individui del gruppo A dovevano sposarsi solo con quelli del gruppo
C, e quelli del gruppo B solo con quelli del gruppo D. Il sistema impediva scelte soggettive, il che
significa che escludeva l’elemento personale. Questa ripartizione era concepita in modo da poter valere
per l’umanità intera.
A quei tempi non v’era nulla che si possa definire amore personale. L’elemento della scelta personale,
nell’amore, si sviluppò solo lentamente, e con il suo sviluppo l’amore discese pienamente sul piano
fisico; prima, questo processo era stato solo preparato.
Quanto più risalite indietro nel tempo, tanto più scarso vi apparirà il rilievo avuto dall’erotismo. Anche
nei poeti greci dell’età più antica non ha pressoché alcuna importanza. Un’importanza particolare,
invece, la riveste nella poesia medievale tedesca. Qui vedete che l’amore viene presentato sotto una
duplice forma, viene rappresentato come amor cortese e come desiderio passionale.
Le vicende ineluttabili che segnarono il destino di Sigfrido furono la conseguenza dell’instaurarsi
dell’elemento personale. Riandate ai tempi di Roma antica, e vedrete che i matrimoni vi si
concludevano in base a princìpi completamente diversi. Agli inizi, neppure in Grecia si sapeva che cosa
fosse l’amore personale; quest’ultimo si affermò solo con l’andare del tempo.
Venne il momento in cui il cristianesimo si affacciò all’Europa centrale. Abbiamo visto che, da
principio, vi fu introdotto senza che ciò implicasse la rinuncia alle antiche credenze religiose. La figura
di Baldur si trasformò lentamente in quella del Cristo, lentamente una rappresentazione confluì
nell’altra. Questa trasformazione si protrasse attraverso parecchie generazioni; Bonifacio trovò dunque
un terreno già preparato.
La leggenda di re Artù e della Tavola rotonda si fuse a poco a poco con quella del santo Gral. La
loro reciproca integrazione fu dovuta all’opera di un autentico iniziato del secolo decimoterzo,
Wolfram von Eschenbach.
L’iniziazione di Sigfrido era ancora la vecchia iniziazione, nella quale pesavano pur sempre la
cavalleria secolare nonché il pericolo di essere traditi dall’elemento del desiderio passionale e
dell’amor proprio. Solo dopo aver dominato questo elemento, solo dopo averlo del tutto estirpato ed
essersi innalzati dal principio della cavalleria secolare a quello della cavalleria spirituale, si poteva
giungere all’iniziazione spirituale.
Questo è quanto Wolfram von Eschenbach illustra nel Parzival.
Parzival appartiene, in un primo tempo, alla cavalleria secolare. Il padre ha perso la vita per tradimento
nella sua spedizione alla volta dell’Oriente: la sua vicenda trae origine dal fatto ch’egli era già in cerca
di una iniziazione superiore, eppure è stato tradito perché aveva ancora in sé l’elemento della vecchia
iniziazione.
Parzival deve essere estraniato dal piano fisico per opera della madre Herzeleide; questa gli impone un
berretto da buffone. Egli viene tuttavia afferrato dalla corrente impetuosa della cavalleria secolare, e
giunge così alla corte di re Artù. Ma che sia destinato alla corrente cristiana ci viene fatto capire dal suo
arrivo alla rocca del santo Gral. Un importante insegnamento gli viene impartito: non porre troppe
domande.
Questo non significa altro se non che deve trovare un punto fermo nella propria interiorità, deve
giungere alla quiete e alla pace interiori, senza più andarsene per il mondo esteriore spinto dalla
curiosità. E Parzival non domanda che di poter entrare nella rocca. Perciò, in un primo momento, è
respinto, ma raggiunge poi il sofferente Amfortas. Egli viene elevato attraverso l’iniziazione cristiana.
Dovunque apriate la sua opera, potrete rendervi conto del fatto che Wolfram von Eschenbach era un
iniziato. Egli ha collegato questi due cicli di leggende perché sapeva che quella che noi definiamo
l’unione della loggia di Artù con la loggia del Gral era già un fatto compiuto. La loggia di Artù si è
risolta integralmente nella loggia del Gral.
By CTSadmin| Novembre 7th, 2018|MITOLOGIA NORDICA|Commenti disabilitati su MITOLOGIA
GERMANICA
Parzival e Lohengrin
O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 03.12.1905
Sommario: La vittoria del cristianesimo sulla religione druidica, espressa concretamente
nell’abbattimento della quercia sacra a Donar da parte di Bonifacio. La vena tragica delle saghe che
narrano di Sigfrido. Federico Barbarossa e la ricerca del santo Gral. Parzival come iniziato del Gral.
Suo figlio Lohengrin come fondatore della civiltà cittadina.
Oggi daremo uno sguardo al mondo delle leggende medievali considerandolo dal punto di vista
teosofico. Due grandi leggende, in particolare, caratterizzano l’evoluzione spirituale dell’Europa nel
Medioevo, e sono quelle accomunate dal riferimento al santo Gral.
Nei tempi passati, i sapienti hanno trasmesso al popolo le verità più profonde facendo ricorso alle
leggende e ai miti. E infatti, se agli uomini che vivevano un tempo nelle regioni dell’odierna Europa
settentrionale e centrale si fossero esposti dei concetti come quelli che incontriamo attualmente in
ambito teosofico, essi non sarebbero stati assolutamente in grado di afferrarli. I saggi parlavano di volta
in volta ai vari popoli e alle varie epoche in modo che ogni popolo e ogni epoca riuscissero a
comprenderli. Nel farlo, si basavano sempre sulla legge della reincarnazione.
I saggi che hanno narrato i segreti del mondo ai popoli dell’Europa settentrionale e centrale sono i
druidi. “Druido” è sinonimo di “quercia”. Quando si afferma che i Germani celebravano il loro culto
«sotto le querce», ciò non significa soltanto che lo celebravano stando effettivamente sotto questi
alberi, ma vuol anche dire che sottostavano alla guida dei druidi. E quando si dice che Bonifacio aveva
“abbattuto la quercia”, ciò significa che l’antico culto druidico era stato sconfitto ad opera del
cristianesimo. Il contenuto racchiuso nella forma della leggenda era un fatto reale. Nelle leggende il
druido inseriva fatti reali. Già allora il sacerdote druidico parlava a tutte le anime che accolgono oggi la
nostra concezione del mondo, e Io faceva adoperando un linguaggio adatto a quell’epoca. Queste cose,
tutti noi che aderiamo alla concezione teosofica le abbiamo già udite un tempo in forma di miti e di
fiabe, altrimenti oggi non potremmo assolutamente capirle. E questo il segreto dei grandi maestri: essi
vivono nella piena consapevolezza di trovarsi in mezzo a uomini che tornano continuamente a
reincarnarsi.
Per tutto il Medioevo, un grande complesso leggendario ospitò le verità fondamentali relative alla
civiltà germanico- mitteleuropea. Se impariamo a conoscerlo, capiremo la sostanza dell’età medievale.
I sacerdoti druidici nutrivano la certezza che in tempi remoti esistesse in Occidente una civiltà molto
evoluta. Questa civiltà aveva sede in una terra chiamata Nifelheim, paese della nebbia, o
Nibelungenheim, paese dei Nibelunghi. Il Nifelheim era l’antica Atlantide, e che avesse fama di paese
della nebbia era dovuto alle sue peculiari condizioni atmosferiche, completamente diverse dalle nostre.
La saga dei popoli germanici ci restituisce quindi la verità dei fatti. Ci rimanda all’esistenza di un paese
situato in tempi remoti fra l’Europa e l’America, là dove si estende oggi l’Oceano Atlantico. Questa
terra antichissima, l’Atlantide, si inabissò con i suoi tesori di potenza e saggezza. Simbolo di questi
tesori era l’oro, e la saga narra della loro scomparsa descrivendola come l’affondamento dell’oro che
costituiva il tesoro dei Nibelunghi. Il tesoro dei Nibelunghi doveva essere nuovamente recuperato,
doveva essere riportato alla luce più a est, in Europa. Prima Wotan, poi Sigfrido, sono gli iniziati cui
spettava il compito di riportare l’antico tesoro all’Europa dei tempi nuovi, di rimettere in certo modo a
frutto il tesoro dei Nibelunghi per la nuova civiltà. Il fatto che la saga ci presenti “Wotan”, come
iniziato, ci permette di spingere lo sguardo in un’altra antichissima civiltà. La lettera W e la lettera B
sono interscambiabili. Wotan, o Wodan, equivale a Bodha, cioè Buddha. “Wotan” è in effetti la forma
germanica della parola “Buddha”. Questo ci riporta dunque a un’origine comune della religione di
Wotan, europea, e di quella del Buddha, asiatica. La religione del Buddha non si propagò tanto in India,
quanto piuttosto presso quei popoli asiatici che serbavano ancora in sé qualcosa della civiltà atlantica.
Anche i popoli legati a Wotan traevano le proprie concezioni dalla civiltà atlantica. L’ulteriore
evoluzione di questi popoli si dava a conoscere nelle saghe che i sacerdoti druidici avevano loro
trasmesso, e nelle quali assume un particolare rilievo il recupero del tesoro dei Nibelunghi, ossia della
civiltà atlantica, ad opera di Wotan e di Sigfrido.
Queste saghe, rintracciabili dalla Russia alla Germania e di qui alla Francia e all’Inghilterra, sono
percorse da una vena tragicamente profetica, che si ritrova dovunque i sacerdoti druidici fossero
presenti con il loro insegnamento. La profezia dei druidi suonava così: vi sarà un crepuscolo degli dèi;
noi siamo i resti della civiltà atlantica, e dobbiamo perire perché un mondo migliore possa instaurarsi; i
nostri iniziati sono i profeti di ciò che verrà. In tutti coloro che sono iniziati allo stesso modo di
Sigfrido si manifesta una caratteristica componente tragica. La Canzone dei Nibelunghi contiene
un’antichissima forma di iniziazione: il lamento dei Nibelunghi sulla propria sventura. Ai discepoli più
intimi veniva insegnato che sarebbe giunto un Altro, il quale avrebbe portato la vita spirituale. Il senso
di attesa del crepuscolo degli dèi era diffuso dappertutto. Tutti vivevano sotto il dominio di una
sensazione che per i discepoli intimi era certezza: verrà Uno, che sarà completamente diverso dai nostri
iniziati. Questo è il contenuto che trova espressione nella saga di Sigfrido.
Ai misteri druidici corrispondevano, in Scandinavia e in Russia, i misteri dei drotti. “Drotto” è una
forma diversa per “druido”. Dappertutto, negli antichi misteri, il nome del primo grande iniziato è Sig.
A lui riportano tutti i nomi composti con “Sig”, come ad esempio Sigurd, Sigmund, Sieglinde e così
via. Sigfrido, Siegfried è l’iniziato che con l’iniziazione ha trovato la pace, Friede, e “pace” sta a
significare ciò che permette all’uomo di superare ogni dubbio: è l’appagamento del desiderio, della
brama di sapere e di potere. Sigfrido è sempre rappresentato come l’invulnerabile. Achille, l’iniziato
greco, era rimasto vulnerabile in un punto, nel tallone. Sigfrido è diventato invulnerabile dopo la
vittoria sul drago, tranne però che in un punto, in mezzo alle scapole. E il punto sul quale avrebbe
dovuto poggiare la croce. Questo simbolo rivestiva un profondo significato negli antichi misteri, ove si
diceva così: voi tutti siete vulnerabili in un punto, e verrà Uno che su quello stesso punto sosterrà la
croce; colui che coprirà questo punto portando la croce, il crocifero, sarà il grande iniziato, non più
vulnerabile. Di qui la saga nordica deriva il suo tratto dominante. Questa saggezza era una saggezza
apocalittica.
Tutti gli occultisti sanno che tale saggezza promanava da un oracolo centrale di dodici iniziati, la
cosiddetta “Loggia bianca”, donde la saggezza veniva disseminata nel mondo. Non v’era luogo in cui
un iniziato non si sapesse in rapporto con tutti gli altri. Le logge avevano dappertutto dodici membri.
Tali erano anche i dodici apostoli. La coscienza di coloro che presagivano e la scienza dei sapienti ci
riportano alla Tavola rotonda di re Artù. Questa altro non è se non la grande Loggia bianca, che
spiegava ai popoli, con l’iniziazione di Sigfrido, ciò che doveva dire al mondo. I membri della Tavola
rotonda erano grandi iniziati; essa esisteva ancora nel Galles ai tempi della regina Elisabetta
d’Inghilterra, poi venne soppressa per ragioni politiche.
La coscienza popolare medievale riconduceva ai primordi due correnti ben precise della storia politica.
Al popolo dei Franchi, che fu così abile nella conquista dell’Ovest europeo, apparteneva una dinastia
reale le cui origini si facevano risalire all’epoca di Atlantide. A questa dinastia si dava il nome di
“Wibelunghi” o “Nibelunghi” – donde è derivato in seguito il termine “Ghibellini”. Esisteva una
radicata consapevolezza del fatto che tra i Franchi era sorta una dinastia che era originaria dell’antica
terra nibelungica e che riuniva in sé potere secolare e potere sacerdotale. Per questo Carlomagno volle
farsi incoronare a Roma, così da associare un elemento spirituale a quello secolare.
A tutto ciò che veniva identificato con il potere si attribuiva come cosa naturale una provenienza
atlantica. La nozione e il presentimento di un prossimo crepuscolo degli dèi implicarono che la stessa
dinastia reale fosse caratterizzata da un aspetto tragico. Quelli che vogliono giungere alla conoscenza,
si diceva, possono bensì diventare degli iniziati, ma devono venir soppiantati da qualcos’altro. Nella
nota leggenda del Barbarossa si espresse in primo luogo questo modo di sentire; vi fu aggiunto poi un
elemento che nella leggenda corrente non esisteva ancora. Il Barbarossa era visto giustamente in
continuità con gli antichi sovrani franchi. Gli Hohenstaufen erano i Ghibellini, – i Waiblingen,
Wibelunghi, Nibelunghi – contrapposti ai Welfen, ai Guelfi. La narrazione più segreta aggiunge alla
versione nota della leggenda che il Barbarossa era andato in Asia per prendere il santo Gral e portarlo
in Europa. Egli, in quanto persona fisica, era perito nell’impresa, e ora attendeva finché non fosse
venuto il suo tempo. Si esprime qui pienamente il modo di sentire del Medioevo riguardo all’antico
paganesimo e alla novità del cristianesimo.
Si cominciava a riflettere sulla propria anima del popolo, dicendo: la nostra civiltà noi l’abbiamo
importata dall’antica Atlantide, ma ora è destinata a finire e ad essere soppiantata dal cristianesimo;
eppure risorgerà, mondata, purificata ed elevata proprio dal cristianesimo. Si cominciava a stabilire un
collegamento tra il momento finale del declino e l’inizio della rinascita. Si cominciava a concepire il
corso della civiltà spirituale tedesca più profonda nel senso che la coscienza chiaroveggente, la
coscienza atlantica, sarebbe stata sostituita da qualcosa che doveva ancora venire. Valore, pietà e virtù
naturali dovevano essere riconquistati in modo nuovo e diverso. Vi erano allora tre figure che stavano a
rappresentare tre forze ben precise: Wotan, Wili e We. Wotan è la forza intuitiva, qual è rappresentata
dall’iniziato; Wili è la volontà stessa; We è il sentimento, connotato da un aspetto tragico là dove si fa
apocalittico. Ora si sarebbe aperta un’altra epoca. Ora, mediante la dottrina cristiana, si sarebbe
guadagnato il varco che avrebbe permesso la risalita verso ciò che era stato prima del crepuscolo degli
dèi.
Il Barbarossa siede nell’interno della montagna: ciò vuol dire che è un iniziato. La “montagna” è il
luogo deN’iniziazione. Il Cristo andò con i propri discepoli “sulla montagna” – nel mistero. I corvi
stanno a indicare un’iniziazione del Barbarossa. Il rituale iniziatico persiano distingue sette gradi di
iniziazione. I “corvi” designano il primo grado dell’iniziazione personale. Essi indicano che l’iniziato è
ancora legato al mondo che lo circonda. Si pensi ai corvi di Elia. Li incontriamo anche nel caso di
Wotan: la sua comunicazione con l’ambiente circostante è mediata dai corvi. Anche il Barbarossa
dunque, l’iniziato, aveva intorno a sé i corvi, che lo mantenevano ancora in relazione con il mondo.
Il Barbarossa aveva recuperato il santo Gral dall’Oriente. Ora lo si custodiva sul Mons salvationis, sul
Monte della salvezza, dove lo attorniavano i successori della Tavola rotonda di re Artù, i dodici
cavalieri che avevano ricevuto, oltre all’antica iniziazione pagana, anche quella cristiana. Il Gral è il
simbolo dell’iniziazione cristiana. Chi voleva essere iniziato ai segreti del santo Gral diventava un
iniziato cristiano. Diventare tale significa passare dapprima attraverso ogni sorta di dubbi, per giungere
poi alla fermezza incrollabile nell’unione con il Cristo stesso. Una cosa è necessaria per questo: la
fiducia assoluta nella persona del Cristo. Era proprio l’effettiva presenza del Cristo ciò cui i primi
discepoli attribuivano un’importanza fondamentale. Essi affermavano di voler rendere testimonianza
del fatto che erano stati assieme a Lui, dicevano di avere toccato con mano le sue ferite, di avere essi
stessi visto e udito quel che annunciavano. Paolo è apostolo, perché in spirito ha veramente visto il
Risorto. Ciò che conta è l’esperienza diretta, l’esperienza che non si acquista per via di saggezza e di
logica, ma per via immediata e personale.
Dove Parzival debba arrivare con le sue peregrinazioni, ci è chiaro. La madre di Parzival ha nome
Herzeleide. Ora, se leggiamo con profonda attenzione il Parzival di Wolfram von Eschenbach, che era
un grande iniziato, se vi leggiamo fra le righe e fra le parole, scopriamo che il nome Herzeleide riflette
quell’elemento tragico che albergava nell’animo tedesco. Chi non percorre la via di Parzival ha il cuore
– Herz- in pena – Leid -, deve arrivare alla pace. Wolfram von Eschenbach ha saputo conferire alla
leggenda una forma stupenda. Ha trasformato un unico elemento in un simbolo di profonda complessità
– il personaggio femminile rappresenta sempre la coscienza -: Herzeleide è la condizione della
coscienza dalla quale Parzival prende le mosse. Parzival ha, da principio, una coscienza tragica. Egli si
fa strada attraverso tutto ciò che la cavalleria secolare è capace di offrire con una coscienza ingenua,
semplice, per arrivare infine al segreto del santo Gral.
Dobbiamo mettere a confronto questa leggenda con quella del Barbarossa. Il Barbarossa è andato in
Asia per cercarvi i segreti del santo Gral, l’iniziazione del cristianesimo. Sulla via del Gral, però, egli è
caduto. Egli deve stare in attesa “nella montagna” finché il cristianesimo non sia giunto a ricollegarsi
con l’iniziazione preesistente. Il Barbarossa ha recuperato il cristianesimo, ma non è ancora arrivato
all’iniziazione cristiana più profonda.
Parzival è il nuovo iniziato cristiano, la grande figura simbolica nella quale l’iniziazione di Sigfrido è
superata. Sigfrido ha vinto la natura inferiore, il drago, il serpente. Parzival diviene l’iniziato del santo
Gral, che conosce Colui che è invulnerabile là dove Sigfrido era ancora vulnerabile. Quella che trova
espressione in Parzival è l’idea originaria del cristianesimo. Il cristianesimo non conosce più l’idea di
reincarnazione. La vita vissuta una sola volta dalla nascita alla morte è considerata l’unica vita. Ha
valore soltanto quest’unica incarnazione. Non si coglie più, in alto, il manas, il budhi, l’atma.
L’iniziazione di Parzival si esauriva nel giungere alla coscienza del legame con il Cristo, nel tener
conto del- l’unica incarnazione nella quale l’uomo perviene alla conoscenza attraverso la compassione,
e non, come avviene invece con la teosofìa, alla compassione attraverso la conoscenza. La teosofia ci
insegna a riconoscere che noi siamo uno con tutti gli uomini. Grazie ad essa sappiamo di essere noi
stessi responsabili di quello che fa il nostro fratello. La teosofia conduce alla compassione attraverso la
conoscenza. Ma per un certo tempo era necessario che l’umanità attraversasse un periodo evolutivo in
cui sarebbe giunta alla conoscenza attraverso la compassione. Era necessario che si calasse nelle
profondità della compassione, poiché anche qui si può giungere alla conoscenza. Doveva essere così
perché gli uomini potessero imparare a conoscere il mondo terreno in tutta la sua importanza. Il
cristianesimo doveva educare l’umanità in modo che anche all’elemento terreno fosse riconosciuto il
suo valore. Bisognava per questo che l’uomo venisse innanzi tutto guidato sul piano della vita fisica,
bisognava che vi fosse sprofondato. Solo dopo sarebbe potuto arrivare alle grandi conquiste che hanno
inizio con la civiltà cittadina.
Il passaggio dalla leggenda di Parzival a quella di Lohengrin rispecchia le trasformazioni del
Medioevo. La leggenda di Lohengrin appare nell’epoca in cui si fondano città in tutta Europa, città che
servono principalmente alla borghesia in ascesa, e la cui fondazione non risponde più alle necessità
della vita spirituale ma ai bisogni di quella materiale. Le città sono il laboratorio di tutte le conquiste
materiali, ivi compresa ad esempio l’invenzione della stampa. Senza la civiltà cittadina la scienza
moderna non avrebbe potuto svilupparsi come si è sviluppata. Le università sono anch’esse un portato
di questa civiltà, fuori della quale non avremmo mai avuto un Copernico, un Keplero, un Newton e
tanti altri come loro. Anche la Divina Commedia dantesca e i pittori del Rinascimento sono frutto della
civiltà cittadina.
La leggenda che tratta del rapporto fra Parzival, il padre, e Lohengrin, il figlio, evidenzia l’importanza
della civiltà cittadina. Elsa di Brabante è colei che rappresenta le città, è la coscienza cittadina. In tutta
la mistica, ciò che si contrappone al mondo fisico è presentato come un elemento femminile. Goethe
parla dell'”eterno femminino”, e in questo senso gli Egiziani veneravano Iside.
È il momento adesso di ripercorrere l’iniziazione del chela. Da principio, il chela deve superare tre
gradi di iniziazione. Il primo grado è quello dell’uomo senza patria, quello cioè in cui l’uomo viene
strappato al mondo fisico, quello in cui diventa imparziale nei riguardi del mondo fisico. Egli deve
disimparare ogni atteggiamento di parzialità, e imparare invece ad amare tutto allo stesso modo; non
ama di meno, ma distribuisce il suo amore a tutto ciò che merita amore, senza limitarlo alla patria o ad
altro che gli stia a cuore. Il secondo grado è quello in cui il chela innalza delle capanne. Egli trova una
nuova patria. E il grado raggiunto dai discepoli sul monte. I discepoli sono di là dallo spazio e dal
tempo, vedono Mosè ed Elia. Perciò dicono: «Facciamo delle capanne». Il terzo grado è quello del
cigno. Cigno è il chela progredito a tal punto che tutte le cose gli parlano, anche quelle che hanno la
coscienza nei mondi superiori. Solo l’uomo ha l’io sul piano fisico. L’animale ha la coscienza nel
mondo astrale, il vegetale nel mondo mentale (piano del rupa), il minerale nel mondo mentale
superiore (piano dell’arupa). È necessario elevarsi ai mondi superiori per trovare l’io degli altri esseri,
il loro nome: qui ogni essere dice al chela il proprio nome. Il mondo è allora per lui tutto un
riecheggiare di suoni. A questo si riferisce Goethe quando dice:
Gareggia il sole, con l’antico suono,
tra le sfere fraterne, in armonia;
e ripercorre la prescritta via
col fragoroso impeto del tuono.
E al medesimo riferimento del “Prologo in Cielo” Goethe ritorna quando trasporta il suo Faust nei
mondi superiori:
Già l’intimo orecchio, d’attorno, avverte
in immenso clamore il sorger novello del giorno…
Battenti di roccia, girando, diffondono un alto
fragore;
e Febo prorompe, rullando.
La luce che cresce più chiara
è un solo crescente clangore di trombe e di tube in
fanfara:
un battito solo infinito che introna l’orecchio,
ed a gara lo sguardo abbarbaglia stupito…
Udir non si può, l’inaudito!
Non è senza significato che all’inizio della prima parte del Faust, nel “Prologo in Cielo”, nonché
all’inizio della seconda, compaiano queste parole. Goethe ha fatto riferimento in questi passi a qualcosa
di ben preciso: si tratta del terzo grado dell’iniziazione del chela, nel quale il mondo echeggia di suoni
tutt’intorno a noi, e tutte le cose ci dicono il loro nome. È il grado raggiunto da Gesù nel momento in
cui doveva accogliere il Cristo. Nella Loggia bianca questo grado era simboleggiato dal cigno. Cigni
erano coloro che non potevano più dire il proprio nome, e ai quali però il mondo rivelava tutti i loro
nomi.
Lohengrin, figlio di Parzival, è l’iniziato che ha fondato la civiltà cittadina, che è stato inviato dalla
grande Loggia del Gral a fecondare la coscienza dell’umanità medievale. Elsa di Brabante impersona
l’anelante coscienza umana, la quale viene fecondata dall’ambiente, dall’elemento maschile. La
coscienza cittadina, rappresentata da Elsa, deve essere fecondata da Lohengrin, dal santo Gral.
L’unione di Lohengrin con Elsa di Brabante è il congiungersi della civiltà materiale e [del mandato
spirituale] del quinto periodo dell’epoca postatlantica. Il cigno è l’iniziato giunto al terzo grado
d’iniziazione, nel quale agisce il maestro della grande Loggia. L’uomo deve assoggettarsi all’azione del
maestro, senza fare domande su di lui. Elsa di Brabante deve vedere, in ciò ch’egli le dà, ciò che le
spetta. Nell’istante in cui, mossa dalla curiosità, ella fa domande, l’iniziato si dilegua. Tutto questo
trova espressione nella leggenda di Lohengrin.
Dall’Oriente, i cavalieri templari avevano portato la saggezza iniziatica del santo Gral al Monte della
salvezza, al Mons salvationis, luogo deputato dell’iniziazione cristiana. V’era una cerimonia iniziatica
che rimandava direttamente al futuro dell’intero genere umano. Vi si diceva che sarebbe venuto un
tempo in cui il cristianesimo avrebbe vissuto una nuova fase. Dai tempi più remoti, il cammino
spirituale della civiltà umana veniva consapevolmente associato al cammino del Sole. Prima dell’anno
800 avanti Cristo, il Sole attraversò per circa 2200 anni la costellazione del Toro. In Asia, durante
questo periodo, il toro era venerato come divinità, e ancor prima, per la stessa ragione, in Persia si
veneravano i gemelli, ossia la dualità di bene e male. Intorno all’800 avanti Cristo il Sole entrò nel
segno dell’Ariete, o dell’Agnello. A questo si riferisce la leggenda di Giasone e del vello d’oro. Il
Cristo si definisce l’Agnello di Dio in quanto è comparso sotto questo segno. [Oggi il Sole si trova nel
segno dei Pesci.] I cavalieri templari alludono al segno successivo, a quando il Sole entrerà nella
costellazione dell’Acquario. Soltanto allora si instaurerà veramente il cristianesimo, e paganesimo e
cristianesimo saranno riuniti. Questa civiltà susciterà un nuovo Giovanni. Il momento verrà quando il
Sole si troverà nel segno dell’Acquario. Giovanni è il nome dell’Acquario; questi sarà l’annunciatore di
una nuova epoca del cristianesimo. E opinione diffusa che i cavalieri templari si richiamassero a
Giovanni Battista, anziché al Cristo. Ma il Giovanni di cui essi parlano è l’Acquario.
L’ultima fase del cristianesimo, quella aperta dall’iniziato Lohengrin, ha prodotto l’epoca dell’utile, che
è giunta oggi al suo culmine. Il movimento teosofico vuol essere la prosecuzione di movimenti come
quello di Parzival, e come quello che ha preso l’avvio dall’iniziato Lohengrin. Il materialismo moderno
deve anch’esso la propria origine a grandi iniziati, ma anche ad esso deve succedere una fase nuova, un
nuovo ciclo. A questo vuol portare la teosofia. In ogni caso, però, saranno sempre gli iniziati a parlare
quando si tratterà di conferire alla civiltà una nuova impronta.
By CTSadmin| Novembre 7th, 2018|RICHARD WAGNER - I MITI|Commenti disabilitati su 05 –
PARZIVAL E LOHENGRIN
Il rapporto di Wagner con la mistica.
O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 19.05.1905
Sommario: Il rapporto di Wagner con la mistica. Il suo abbozzo del dramma I Vincitori. Il motivo della
vergine che si sacrifica nel Povero Enrico di Hartmann von Aue e nei drammi wagneriani. Il motivo del
Tannhäuser. L’impulso alla civiltà dovuto ai Protosemiti. La leggenda di Parsifal in Wolfram von
Eschenbach e in Wagner. L’impulso a una futura riunificazione di arte, religione e scienza nell’opera di
Wagner.
Quanto più profondamente si penetra nell’opera di Richard Wagner, tanto più ci si addentra in
questioni di natura teosofico-mistica legate agli enigmi della vita. È oltremodo significativo che
Wagner, dopo aver ripercorso per intero le quattro fasi della storia primordiale dei popoli nordici
nell’Anello del Nibelungo, abbia composto un dramma eminentemente cristiano, il Parsifal che è il
lavoro con il quale ha effettivamente portato a compimento l’opera della sua vita. Se vogliamo cogliere
l’autentico contenuto vitale del Parsifal, dobbiamo scandagliare la personalità di Wagner sino in fondo.
La figura di Gesù di Nazareth aveva cominciato ad assumere per Wagner un suo preciso contorno fin
dagli anni Quaranta. Egli voleva scrivere un dramma intitolato Gesù di Nazareth – ce ne sono rimasti
anche dei frammenti -, un’opera destinata a mettere in luce l’amore infinito, quello che in Gesù di
Nazareth si rivolge all’umanità intera. Tale almeno era il suo intento, benché non sia andato oltre le
idee di fondo dell’opera. Negli anni Cinquanta concepì poi il progetto del dramma I vincitori. Possiamo
vedere, da questi drammi, quanto profonda fosse la concezione del mondo cui il compositore attingeva
le proprie intuizioni.
Diamo un rapido sguardo al contenuto dei Vincitori. Ananda, un giovane di casta elevata, è oggetto
dell’amore appassionato di Prakriti, una giovane chandala, una fanciulla che appartiene dunque a una
casta disprezzata. Ananda rinuncia tuttavia completamente all’amore terreno, sensuale, e si fa discepolo
del Buddha. Nel disegno di Wagner, la ragazza chandala sarebbe appartenuta in una precedente
incarnazione alla casta dei brahmani, e a quel tempo avrebbe respinto con sprezzante superbia l’amore
di un giovane chandala. Il suo rinascere nella casta chandala è quindi la pena impostale dal karma.
Alla fine, dopo aver compiuto ogni sforzo su se stessa, tanto da riuscire a rinunciare al suo amore, si
unisce anch’essa ai discepoli del Buddha. Come vedete, Wagner aveva già colto il problema del karma
in tutta la sua profondità fin da quando, a metà degli anni Cinquanta, si accingeva a comporre un
dramma musicale dello spessore dei Vincitori. Tutti questi pensieri sono infine confluiti nel Parsifal.
Ma, nello stesso tempo, al centro del Parsifal sta il problema del Cristo.
Tra la fine del dodicesimo secolo e l’inizio del tredicesimo la storia medievale conosce un momento di
fondamentale importanza. Era attivo a quell’epoca Wolfram von Eschenbach, che ha rielaborato
poeticamente il mistero di Parzival attingendo agli strati più profondi della spiritualità medievale. Nel
Medioevo era ben vivo, in coloro che avevano una vita spirituale, ciò che negli ambienti iniziati si
definiva l’elevazione dell’amore. Di cantori d’amore, di Minnesanger, ve n’erano stati prima e ve ne
sarebbero stati anche dopo di allora. Ma era grande la differenza fra quello che veniva inteso un tempo
come amore profano, sensuale, e l’amore purificato, l’amore nobilitato che si manifestò più tardi con il
cristianesimo. Una maestosa testimonianza di questo punto di svolta nella vita spirituale del Medioevo
ci si è conservata nel Povero Enrico di Hartmann von Aue. Il poema, di profonda spiritualità, è
permeato dalle dottrine spirituali che i cavalieri crociati avevano riportato dall’Oriente.
Rammentiamone il contenuto: un cavaliere di stirpe sveva, cui la fortuna è sempre stata propizia, viene
colpito a un certo punto da una malattia inguaribile, la lebbra, dalla quale può essere liberato soltanto
grazie all’estremo sacrificio di una vergine pura. E c’è una vergine che vuole sacrificarsi per lui.
Insieme essi si recano in Italia, a Salerno, presso un medico di gran fama. La vergine è già sul punto di
venire sacrificata, ma all’ultimo momento Enrico si rifiuta di accettare il sacrificio; la vergine rimane in
vita, poi Enrico guarisce e i due si sposano.
Ecco ripresentarsi dunque l’immagine della vergine pura, pronta al sacrificio per un uomo che è vissuto
soltanto nella sfera dei sensi fino al momento in cui, grazie a lei, viene salvato. Dal punto di vista
medievale, qui si cela un mistero. Nel Medioevo, si ricollegava l’opera dei Minnesanger a un’antica
corrente, defluita lungo i quattro stadi consecutivi di quell’evoluzione della civiltà europea che ci si fa
incontro nelle leggende rappresentate da Wagner nella sua tetralogia. All’amore che nasce dalla sola
sfera dei sensi si guardava, in quell’epoca, come a qualcosa che doveva essere superato. L’amore
celebrato dai Minnesanger sarebbe risorto in una nuova forma, purificato dalla superiore forza
spirituale del cristianesimo.
Se vogliamo capire quello che è successo allora, dobbiamo mettere insieme tutti i fattori capaci di
restituirci l’impronta, la fisionomia di quei tempi. Solo così potremo renderci conto di ciò che ha
indotto Wagner a rappresentare la leggenda di cui parliamo. Esisteva anticamente una leggenda, una
leggenda primordiale, che si può ritrovare presso gli antichissimi popoli germanici ed anche, in forma
un po’ diversa, in Italia e in altri paesi. Vediamone sommariamente l’intreccio: un uomo, dopo avere
conosciuto i piaceri del mondo, si addentra in una sorta di caverna sotterranea, e qui fa l’incontro di una
donna dal fascino incantevole, irresistibile. Sperimenta in quel luogo gioie paradisiache, ma viene colto
poi dalla nostalgia del mondo di sopra e, dopo qualche tempo, esce nuovamente dalla montagna. Il
motivo è sviluppato con particolare chiarezza nella leggenda di Tannhäuser. Ripensando a questa
leggenda, vi leggiamo un perfetto simbolo del desiderio amoroso qual era vissuto nell’antico mondo
germanico, prima della grande svolta di cui ho parlato: l’uomo agisce nel mondo sensibile, si volge alle
gioie dell’amore inteso nell’antico senso, gioie che si vedevano incarnate nella dea Venere, e l’amore,
una sorta di percezione del paradiso, lo distoglie dalla sua azione nel mondo esterno. In questa forma,
tuttavia, la leggenda non ha un vero punto nodale. Non ha nulla che possa aprirci una prospettiva sul
mondo superiore, ma resta legata alla vecchia concezione da cui trae origine, all’antica forma di amore.
Solo in seguito, con l’incipiente trasformazione spirituale dell’amore a opera del cristianesimo, si volle
gettare una lama di luce sui tempi di prima, e mettere in chiaro il contrasto fra il paradiso così
concepito e quello della concezione cristiana.
Se vogliamo comprendere Wagner, dobbiamo spingerci ancora più a fondo. Abbiamo già preso in
esame l’epoca postatlantica, la nostra. Una volta che i flutti ebbero sommerso l’Atlantide, apparvero,
una dopo l’altra, le diverse civiltà: quella proto-indiana, quella protopersiana, poi la civiltà egiziobabilonese-assiro-caldea e, ancora, quella greco-latina. In seguito al naufragio della civiltà romana,
affiora la quinta civiltà, la nostra, quella cui apparteniamo oggi e che ha una specifica importanza per
l’Europa cristiana. Non che Wagner avesse esplicita consapevolezza di tutto ciò che ho detto adesso.
Egli percepiva tuttavia con assoluta certezza quella che è la situazione della quinta civiltà nel contesto
del mondo, e sentiva il compito del presente, nel suo insieme, come un compito religioso, in termini
che neppure la teosofia saprebbe formulare meglio.
Voi sapete che ciascuna di queste civiltà venne ispirata da grandi iniziati, e che alla quinta civiltà
atlantica la primitiva ispirazione venne dai cosiddetti Protosemiti. Sapete che, quando l’Atlantide fu
inghiottita dai flutti, coloro che migrarono trovando scampo dalla rovina della loro civiltà furono
condotti dal Manu, una guida divina, in Asia, nel deserto del Gobi. Di qui vennero delle spinte al
formarsi delle civiltà, spinte che si propagarono dapprima, attraverso l’India, in Asia Minore, in Persia,
in Assiria, in Egitto, poi nel sud dell’Europa, in Grecia, a Roma, e successivamente anche nelle regioni
settentrionali.
Le prime due spinte formatrici di provenienza semitica, quelle ricevute dalla civiltà indiana e dalla
protopersiana, non sono più rintracciabili storicamente. Se prendiamo però in considerazione la civiltà
caldeo-egizia, dobbiamo dire che vi si ritrova un forte impulso semitico, quello donde il popolo di
Israele ha derivato il proprio nome. Lo stesso cristianesimo va ricondotto a un analogo impulso
semitico, che si è esteso altresì alla civiltà greco-latina. Se continuiamo a seguire queste spinte, ci
rendiamo conto che, attraverso le popolazioni moresche penetrate in Spagna, l’influsso d’impronta
semitica si è propagato per tutta l’Europa, e non hanno potuto sottrarvisi neppure i monaci cristiani. In
tal modo, l’impulso protosemitico si estende fino alla quinta civiltà. Vediamo, così, come la civiltà di
base sia stata influenzata per cinque volte da quest’unica grande corrente.
Ora, abbiamo una grande corrente spirituale che proviene dal sud, mentre dalla parte opposta ne cresce
un’altra, che si è formata passando attraverso i quattro stadi della primitiva civiltà nordica: queste due
correnti, a un certo punto, confluiscono l’una nell’altra. Nel passaggio dal dodicesimo al tredicesimo
secolo, un popolo ingenuo, profano, venne influenzato dalla civiltà che saliva dal sud. L’irrompere di
una nuova civiltà fu avvertito come il soffio di una corrente d’aria spirituale. Di questa corrente
spirituale Wolfram von Eschenbach subì pienamente l’influsso.
La civiltà nordica è simboleggiata dalla leggenda di Tannhäuser, dove agisce anche l’impulso che viene
dal sud. Di tracce di quello che possiamo definire l’impulso semitico ne troviamo dappertutto. Una
cosa però si avvertiva con particolare intensità, cioè che la civiltà germanica era l’ultimo anello di
un’evoluzione, che sarebbe apparso qualcosa di totalmente nuovo, che per il quinto periodo di civiltà si
preparava qualcosa di completamente diverso: una più alta missione del cristianesimo. Nei paesi
germanici era vivo in quel tempo l’anelito a un nuovo tipo di cristianesimo; si sarebbe edificato un
cristianesimo nuovo, affrancandosi da quanto era stato realizzato nel sud. Il cristianesimo sarebbe stato
ricondotto a una forma più pura. Al tempo delle crociate si configurò un contrasto fra Roma e
Gerusalemme. I crociati andarono in battaglia al grido di «Qui Roma!» e al grido di «Qui
Gerusalemme!». Il primo si riferiva al cristianesimo romano, che ormai era soltanto un guscio vuoto, il
secondo a un cristianesimo puro, quel cristianesimo che si voleva ripristinare e del quale Gerusalemme
era vista come centro spirituale. Così la vedevano i grandi scolastici, e nella Divina Commedia anche
Dante parla di una centralità spaziale di Gerusalemme, centralità che va intesa però in senso spirituale
più che in senso esteriore. Che nella quinta civiltà si annunciasse il futuro era dunque una sensazione
diffusa. Gli antichi influssi si erano esauriti, sarebbe sorto qualcosa di completamente nuovo, si apriva
un nuovo ciclo della civiltà mondiale. Quello di fondare il vero cristianesimo era solo un tentativo, ma
da questo guscio si doveva estrarre appunto il nocciolo del cristianesimo autentico. Nella svolta del
Medioevo si avvertiva il tramonto di qualcosa, il venir meno di quel che pure era stato sentito come un
bene, ma si avvertiva al tempo stesso, nella nostalgia del nuovo, che qualcos’altro stava sorgendo.
Wolfram von Eschenbach sentì tutto questo.
Considerate adesso l’epoca moderna. Se pensate a questo sentimento, se lo immaginate di nuovo
presente in un’epoca ormai raggiunta dalla decadenza, riuscirete a scoprire qualcosa di ciò che si
agitava nell’animo di Richard Wagner. Quella decadenza della civiltà che si presentiva da tempo si era
per molti aspetti già avverata. Fin dall’inizio della sua vita cosciente, Wagner ha manifestato una
sensibilità tutta particolare per questo fenomeno. V’erano parecchi sintomi, secondo lui, che indicavano
come la decadenza fosse ormai in atto e come dovesse inevitabilmente prender forma qualcosa di
nuovo. Nessuno ha avvertito più profondamente di lui il caos dal quale oggi siamo per tanti aspetti
circondati, le condizioni in cui versa il popolino, che nel nostro tempo più che vivere sopravvive a
stento, la miseria delle grandi masse popolari europee, il buio permanente della loro vita spirituale, la
loro impossibilità di accedere a qualunque forma di istruzione. Perciò nel 1848 Wagner ha aderito alla
rivoluzione. Non dobbiamo figurarcelo come un comune rivoluzionario, ma dobbiamo capire piuttosto
che, nella sua anima, il pensiero dominante era questo: contribuire oggi ad affrettare o no la decadenza,
a far girare la ruota verso il basso o a portarla verso l’alto, è cosa che dipende solo da noi. Per Wagner,
la rivoluzione del 1848 ha costituito soltanto un’occasione esteriore.
Se riusciamo ad afferrare tutto questo, capiremo anche come Wagner sia giunto a quelle idee sulle razze
che troviamo esposte nei suoi scritti in prosa. Nel saggio Religione e arte egli dice all’incirca ciò che
segue: nella lontana Asia, nel popolo indiano, abbiamo qualcosa della forza originaria della razza
ariana. Vi sussiste un’elevata capacità di vita spirituale, ma solamente per un’élite, solo per la casta dei
brahmani. Le caste inferiori sono escluse da questa dottrina, mentre nella casta dei brahmani si è
raggiunta un’elevata concezione spirituale, che è un’espressione della civiltà primordiale. Se di là
spostiamo lo sguardo sul nord europeo – ragiona Wagner -, vi troviamo una razza ingenua, anch’essa
passata attraverso quattro stadi evolutivi, un popolo dedito alla caccia, del quale dobbiamo immaginare
che, in quanto popolo di cacciatori, provasse gioia nell’uccidere i nemici. Ora, gioire per l’uccisione di
esseri viventi* è per Wagner un sintomo di decadenza. C’è una realtà profonda, occulta, nella singolare
relazione che vita e morte hanno con l’evoluzione dell’uomo verso il mondo superiore, più puro, verso
lo spirito. Ogni atto con cui l’uomo nuoce alla vita, o l’annienta, sottrae forza spirituale alla sua anima.
Comunque si valutino, caso per caso, le varie civiltà, rimane il fatto che a ogni atto di distruzione della
vita è connessa una privazione di forze spirituali. Perciò colui che segue la “via nera” deve appunto
distruggere la vita. È quel che troviamo illustrato, per esempio, in Flita, il romanzo di Mabel Collins. E
la storia di una maga dedita alla magia nera, che uccide dei nascituri perché questo è ciò di cui ha
bisogno per alimentare le sue forze scellerate. Esiste una connessione profonda tra la vita, la morte e
l’evoluzione dell’uomo, e questa è una lezione che i popoli dovevano imparare per esperienza. Altra
cosa era che, in una determinata fase evolutiva, si uccidesse in modo ingenuo, per sentire, uccidendo, la
propria forza: gli antichi popoli cacciatori germanici si trovavano precisamente in questa situazione.
Dopo l’avvento del cristianesimo, tuttavia, la situazione era cambiata. L’insegnamento cristiano include
il divieto di uccidere, uccidere è un peccato. Qui va cercata l’origine della concezione in base alla quale
Wagner finisce con l’assumere una posizione rigorosamente vegetariana. Nutrirsi di carne diventa per
lui un segno di decadenza di una razza, ed egli vede come unica via d’uscita che gli uomini si
convertano a un’alimentazione che non li spinga più a uccidere.
Dalla sensazione che dovesse affermarsi un nuovo impulso sono nate anche le considerazioni che
Wagner ha svolto intorno all’influenza del giudaismo sulla civiltà odierna. Wagner non era un
antisemita nel senso stupido e perverso dell’antisemitismo che possiamo incontrare oggi, ma sentiva
che il giudaismo aveva esaurito la propria funzione, che gli influssi semitici sulla nostra civiltà
dovevano estinguersi e al loro posto doveva subentrare qualcosa di nuovo. Di qui il suo appello a un
rinnovamento. La cosa era legata al suo modo di concepire la nostra razza attuale. Wagner era convinto
che si dovesse fare una distinzione fra evoluzione della razza ed evoluzione dell’anima. Una
distinzione necessaria, se in generale si vuole capire l’evoluzione.
Noi tutti eravamo incarnati un tempo nella razza atlantica; mentre però le anime hanno seguitato a
evolversi e si sono elevate, la razza è andata incontro alla decadenza. Ma ogni elevazione verso l’alto è
connessa con uno scadimento verso il basso. Per qualcosa che si nobilita, vi è sempre qualcos’altro che
si degrada. C’è una differenza fra l’anima incarnata nel corpo di una razza e questo stesso corpo.
Quanto più l’uomo si assimila alla razza, quanto più ama ciò che è legato, in modo temporaneo e
transitorio, alle proprietà della sua razza, tanto più si vincola alla decadenza della razza. E quanto più
egli si affranca, quanto più si emancipa dalle caratteristiche della razza, tanto più l’anima ha la
possibilità di incarnarsi a un livello più elevato. Uno spirito come Wagner, che distingue fra evoluzione
della razza ed evoluzione dell’anima, non può assolutamente essere antisemita. Egli sa che non sono le
anime ad avere abbandonato la scena, ma sono le razze ad avere esaurito il proprio compito nel vasto
ambito dell’evoluzione universale. Questo è ciò che torna continua- mente a esprimere nei suoi scritti
quando parla di “semitismo”. Wagner avverte il declino, la decadenza delle razze, e insieme la necessità
di elevazione delle anime: quella stessa necessità che fu avvertita, nel Medioevo, da spiriti come
Wolfram von Eschenbach o Hartmann von Aue.
Torniamo ancora alla leggenda del povero Enrico. Dobbiamo considerare un po’ più a fondo che cosa
significhi il suo venir salvato da una vergine pura. La malattia di Enrico è dovuta al fatto ch’egli è
vissuto per il momento nella sfera dei sensi; il suo io è figlio della sua razza, di quella che è la
dimensione sensuale nella sua epoca.
Questo io, figlio della dimensione sensuale, si ammala nel momento in cui gli viene rivolto — viene
rivolto all’umanità — l’appello ad elevarsi. L’anima si ammala perché si lega a ciò che deve vivere
soltanto nella razza, come è indicato dall’espressione profana di questo amore. Dall’amore inferiore,
quello che vive nella razza, deve svilupparsi quindi l’amore superiore. L’amore che vive nella razza
deve essere redento da un principio più elevato, dall’amore superiore, puro, che si sacrifica per l’anima
anelante dell’uomo, da quello che Goethe chiama l’eterno femminino, capace di elevarci.
Voi sapete – ne ho già trattato più volte – che in ogni uomo esistono l’elemento maschile e quello
femminile, e che la sensualità interviene in quanto sono separati. La redenzione grazie all'”eterno
femminino” significa il superamento della sensualità. E quanto viene illustrato anche in Tristano e
Isotta. L’espressione storica di questo superamento, per Wolfram von Eschenbach e per Richard
Wagner, è Parsifal; egli è il rappresentante del nuovo cristianesimo. Parsifal diventa re del santo Gral in
quanto redime ciò che prima era soggetto alla schiavitù dei sensi, e introduce quindi nel mondo un
nuovo principio d’amore.
Che cosa caratterizza fondamentalmente la figura di Parsifal? Che cosa significa il santo Gral? La
leggenda, che vediamo affiorare nella sua forma primitiva attorno alla metà del Medioevo, ci racconta
che il santo Gral è il calice del quale il Cristo si servì nell’ultima cena, e nel quale poi Giuseppe di
Arimatea raccolse il sangue che sgorgava dalla piaga del Cristo Gesù. Questo calice, assieme alla lancia
che aveva aperto la piaga, era stato portato in alto dagli Angeli e conservato così sospeso nell’aria,
finché Titurel non edificò sul Montsalvat – vale a dire il Monte della salvezza – una rocca, ove il calice
venne custodito come una reliquia della cavalleria religiosa. Dodici cavalieri erano lì raccolti al
servizio del santo Gral. Esso aveva la virtù di preservarli dalla morte e di munirli di ciò di cui avevano
bisogno per indirizzare la propria anima alle altezze della sfera spirituale. La vista del calice dava loro
continuamente forza spirituale.
Possiamo ora considerare direttamente la forma che alla leggenda di Parsifal ha dato Wagner, e che in
sostanza è la stessa già riscontrabile in Wolfram von Eschenbach. Qui abbiamo, da una parte, il tempio
del Gral con i suoi cavalieri, e, dall’altra, il castello incantato di Klingsor con i suoi cavalieri, che sono
gli autentici avversari dei cavalieri del Gral. Quelli che vengono così contrapposti fra loro sono due tipi
di cristianesimo: l’uno è rappresentato dalla cavalleria del Gral, l’altro da Klingsor e dai suoi cavalieri.
Klingsor è colui che si è mutilato per non cedere alla sensualità. Non ha vinto però il desiderio, ha
soltanto reso impossibile soddisfarlo. Egli dunque continua a vivere nel regno della sensualità. Lo
assistono delle giovani incantatrici. Kundry è l’autentica seduttrice di questo regno. Chiunque si rechi
da Klingsor, ella lo attira nella sensualità, in ciò che dovrebbe appartenere al passato. Klingsor è la
personificazione del cristianesimo medievale, che ha preso la strada dell’ascetismo, che ha sì
mortificato la sensualità, ma non ha ucciso il desiderio; questo cristianesimo non salva dalla forza di
seduzione dell’amore sensuale, impersonata da Kundry. V’è tuttavia qualcosa di più alto, e consiste
nella forza della rinuncia di cui è capace la spiritualità più elevata, che non soffoca la sensualità con la
coercizione, ma la nobilita in virtù della superiore conoscenza spirituale, e si innalza al regno
dell’amore purificato. Questo vedono e a questo mirano Amfortas e i cavalieri del Gral, ma non era
possibile, fino a quel momento, edificare questo regno. Non vi si sarebbe riusciti. Fino a quando non
fosse stata presente la giusta forza spirituale, Amfortas avrebbe dovuto cedere alla seduzione di
Kundry; l’animo più elevato cade quindi vittima dell’animo più basso, Amfortas soccombe a Klingsor.
La leggenda di Parsifal, dunque, ci presenta parallelamente due fenomeni: da un lato, il cristianesimo
che ha preso la strada dell’ascetismo, ma che attraverso la mortificazione della sensualità non ha saputo
comunque raggiungere la conoscenza superiore, la conoscenza spirituale; dall’altro, i rappresentanti
della cavalleria spirituale, che tuttavia soccomberanno sempre alla seduzione di Klingsor finché non sia
apparso il salvatore destinato a sconfiggerlo. Amfortas viene ferito, perde la sacra lancia che finisce
nelle mani di Klingsor, e deve custodire il Gral quale re sofferente. Allo stesso modo patisce e soffre il
cristianesimo superiore. Esso deve custodire nella sofferenza i veri segreti, i misteri cristiani legati al
santo Gral, fino a che non sorga una nuova figura di salvatore – quel salvatore che appare con Parsifal.
Parsifal deve dapprima imparare le sue lezioni, e supera le prove; poi si purifica e attinge quella
superiore forza spirituale, si eleva al sentimento della grande unità di tutto l’essere. Anche in Parsifal
Wagner ci mette innanzi, e ancora una volta inconsapevolmente, delle verità profonde, occulte. Nel
primo stadio che attraversa, Parsifal impara a conoscere la compassione, la compassione per i nostri
fratelli maggiori, gli animali. Spinto dal focoso desiderio di farsi cavaliere, egli ha abbandonato la
madre Herzeleide, che muore di dolore, ha combattuto e ha ucciso l’animale. E ha provato, vedendo
spegnersi il suo sguardo, che cosa significhi uccidere. È questo il primo stadio della sua purificazione.
Il secondo stadio consiste in ciò, che Parsifal impara a vincere il desiderio sensuale senza bisogno di
mortificare esteriormente gli organi che lo fomentano. Egli arriva al santo Gral, ma in un primo tempo
il suo compito ancora gli sfugge. Impara a conoscerlo ricevendo l’iniziazione della vita. Cede
apparentemente alla tentazione di Kundry, ma supera la prova. Proprio nell’istante in cui rischia di
soggiacere alla tentazione, si sottrae al potere del desiderio; simile a un sole nascente, risplende in lui
un amore nuovo, puro. Rifulge improvvisa quella stessa forza che abbiamo già visto apparire nel
crepuscolo degli dèi. «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria virgine», nato dalla Vergine per
opera dello Spirito – ecco la forza superiore dell’amore, che nasce dall’anima non impregnata dalla
sensualità, e che monda, purifica, nobilita ogni anima. L’uomo deve destare in sé un’anima che non
uccide gli organi del senso, ma nobilita tutto ciò che è senso, poiché dalla materia verginale si genera
l’io, il Cristo. In Parsifal si genera il Cristo. Una forza superiore, verginale, si oppone a Kundry, la
seduttrice. Ella deve soccombere, deve soccombere quell’elemento femminile che trascina l’io
dell’uomo nella sfera della sessualità. Nella figura di Kundry abbiamo di fronte a noi l’incarnazione di
ciò che, in quanto altro sesso, ha trascinato l’uomo in basso. Kundry è già esistita come Erodiade, colei
che chiese la testa di Giovanni Battista. È già esistita come figura che, analogamente ad Asvero, non
può trovare pace, che cerca per ogni dove la propria salvezza unicamente nell’amore sensuale.
La liberazione dall’amore sensuale: è questo il segreto che Richard Wagner ha inconsapevolmente
nascosto nel suo Parsifal. Possiamo seguire lo snodarsi di questo pensiero dall’inizio alla fine della sua
opera. Già nell‘Olandese volante Wagner è condotto dalla forza intuitiva del proprio essere ad
affrontare lo stesso problema: un uomo che va errando sui mari può mettere fine alle sue lunghe
peregrinazioni grazie al sacrifìcio di una vergine. Il problema ricompare nel Tannhäuser. Wagner ha
rappresentato la tenzone poetica della Wartburg come uno scontro fra il cantore dell’antico amore
sensuale, Heinrich von Ofterdingen, e Wolfram von Eschenbach, colui che simboleggia la forza del
cristianesimo rinnovato, del cristianesimo spirituale. Nella leggenda della tenzone poetica, è appunto
Heinrich von Ofterdingen a chiamare in suo aiuto dall’Ungheria il maestro Klingsor. Ma entrambi
vengono sconfitti dalla forza che promana da Wolfram von Eschenbach. Comprenderemo adesso più
profondamente Tristano, poiché sappiamo che il problema non è la mortificazione dell’amore come
tale, bensì la chiarificazione e la purificazione dell’amore che in lui vive.
Quella che in Schopenhauer era la negazione della volontà assurge in Wagner a rovesciamento, a
purificazione di una volontà che si inserisce nelle sfere superiori. Wagner ha espresso questa idea di
purificazione perfino in un dramma dove apparentemente non ve n’è la benché minima traccia, ossia
nei Maestri cantori. La ritrovate per così dire fra le righe nella vicenda di Hans Sachs, che si purifica
dalla tentazione che prova nei confronti di Èva, la tentazione di ottenerla in sposa. E la ritrovate non
tanto nel testo, quanto piuttosto nella musica; ascoltando la musica dei Maestri cantori, percepirete
qualcosa di questa purificazione.
Tutto questo è infine confluito nel Parsifal. Wagner si è richiamato al primordiale ideale brahmanico.
Ha colto, con dolorosa tristezza, i sintomi di decadenza della razza attuale. E ha voluto, con la sua arte,
generare un nuovo impulso. Il riscatto della razza in virtù di un nuovo contenuto spirituale: questo ha
voluto offrire nelle sue rappresentazioni. Anche Nietzsche, finché è durata la sua intesa con Wagner, era
mosso dallo stesso spirito nel trattare dell’arte dionisiaca. Nelle rappresentazioni wagneriane egli
sentiva in certa misura risorgere a nuova vita le rappresentazioni misteriche della Grecia antica. Le
“dionisiache” di Eschilo e di Sofocle, che ci riportano alle origini della quarta civiltà, hanno recato un
loro contri
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