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Geostoria-dell-africa
Antropologia (Università degli Studi di Napoli Federico II)
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GEOSTORIA DELL’AFRICA
CAPITOLO 1- LA CIVILTA’ AFRICANA
L’evoluzione umana inizia in Africa, dove 4,2 milioni di anni fa si svilupparono i primi bipedi e via
via specie superiori, che in fasi successive migrarono in Asia e in Europa. Appartiene a questa
specie lo scheletro di Lucy ritrovato in Etiopia, i suoi simili avevano un cervello di dimensioni
analoghe a quelle di una scimmia antropomorfa; altre testimonianze umane si riscontrarono in
Tanzania e Kenya, appartenenti alla specie Homo Ergaster, antenati dei primi umani emigrati. In
Europa si formarono i neandertaliani, che si estinsero 40 mln di anni fa, al posto dei quali subentrò
il gruppo umano dei Cro-Magnon, della specie Homo Sapiens. Essi furono portatori di innovazioni,
furono probabilmente le popolazioni del Sahara che migrando verso est a causa dell’inaridimento a
trasmettere conoscenze (caccia e pesca) alle popolazioni nilotiche, che permisero di sviluppare
lungo la Valle del Nilo l’agricoltura e di dar vita alla civiltà egizia (fiorì tra area africana e
mediterranea). Furono soprattutto i commerci a favorire la formazione di Stati lungo le coste del
Mar Rosso e dell’Oceano Indiano; le dinastie egizie influenzarono gli sviluppi socio economici
dell’Africa orientale e dell’Asia occidentale. Nel 322 l’Egitto fu conquistato da Alessandro Magno,
che fonda Alessandria, dopo la sua morte governò Tolomeo che diede inizio alla dinastia
tolemaica. Nel 146 distrutta Cartagine i Romani resero il Nord Africa la prima delle loro colonie.
Molto importante fu in Africa l’influenza dell’Islam. L’islamizzazione iniziò quando nel 640 gli arabi
musulmani penetrarono in Egitto, e sconfitto l’esercito bizantino conclusero un accordo con i
cristiani copti, che davano un tributo in cambio di poter professare la loro religione.
In Africa nell’800 a.C sorsero insediamenti commerciali come Mombasa, Zanzibar e altre, poi gli
arabi aprirono piste carovaniere attraverso il deserto del Sahara, collegando l’Africa settentrionale
e quella subsahariana; qui il commercio transahariano favorì lo sviluppo di grandi Stati come:
-Il Ghana: ricco di pascoli, con alto grado di civiltà, si sviluppò economicamente perché situato allo
sbocco della pista carovaniera; la fama della ricchezza del Ghana si diffuse nel Nord Africa e nel
Mediterraneo provocando la sua rovina. Ci fu il declino, sorsero altri regni come:
-il Malì: ricca di vegetazione e oro, massima espansione con Mansa Musa I.. intrattenne relazioni
diplomatiche e commerciali con Marocco ed Egitto. Sulla base dei racconti dei mercanti veneziani
che intrattennero rapporti con lui, fu disegnata in Europa la la prima carta dell’Africa occidentale
con l’immagine del re del Malì.
-il Songhai e il Benin: acquistarono splendore col declino del Malì. L’Africa era aperta alle
influenze esterne e in continua evoluzione.
I sistemi economici precoloniali erano fondati sulle società di sussistenza, strutturate in modo da
conservare un equilibrio tra soddisfacimento dei bisogni e conservazione delle risorse, rimasero
tecnologicamente ed economicamente arretrate rispetto all’Europa, che fu così n grado di imporre
il suo dominio. Le risorse basilari come terra bestiame e lavoro erano distribuite dalle autorità
secondo le prerogative di ciascun lignaggio (stabilito in base alla discendenza da un comune
antenato) e dalla gerarchia nei clan (insieme di lignaggi). La terra era data in uso dai clan e chi ne
usufruiva non ne era proprietario. Tale sistema era statico ma aperto alle generazioni future.
Esisteva una lotta per il possesso della terra tra clane tra etnie. Le società di sussistenza erano
aperte a sistemi di scambio: prodotti agricoli, pesce e bestiame, ferro per le armi, rame per moneta
e ornamenti. In quanto a tecnologie, non si introdusse l’aratro, e ciò permise di non creare
sovrapproduzione, la ruota nemmeno, non c’erano strade. Il divario rispetto all’Europa era
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accresciuto dal fatto che in Africa non esisteva la scrittura, e ciò permise all’Europa di penetrare in
Africa.
CAPITOLO 2 – LA PENETRAZIONE EUROPEA
La penetrazione europea: inizia con il Portogallo che occuparono un importante porto musulmano
(Ceuta) dove arrivavano le carovane che trasportavano attraverso il Sahara i metalli preziosi, sete
e spezie. Il principe Enrico durante questa permanenza si fece un’idea più precisa delle ricchezze
dell’Africa occidentale; dopo la nomina a “governatore dell’Ordine di Cristo”, si procurò la base
materiale per le spedizioni navali lungo le coste dell’Africa, imprese che gli conferirono il nome di
“Navigatore”. Si circondò dei migliori cartografi e di esperti della navigazione, presso Lagos.
Iniziava l’Era delle Grandi Scoperte, lo scopo era spacciato per religioso: la conversione dei
Pagani al cattolicesimo. Ci vollero 15 spedizioni e 10 anni di tempo per doppiare Capo Bajador, a
400km sud del Capo lungo un fiume ci fu l’incontro con i primi africani, etichettati subito come
nemici, che furono attaccati. I successivi attacchi fallirono per risposta dei musulmani. Nel 1441
iniziò la tratta degli schiavi, si doppiò il Capo Bianco e si superò Capo Verde; il punto più lontano
raggiunto in ciascun viaggio era considerato l’inizio del successivo. In Portogallo ormai si era
sparsa la voce che in Africa Occidentale si potevano fare grandi fortune, i Portoghesi intrapreso
numerosissime spedizioni e nel 1471 raggiunsero Costa D’oro, dove crearono la stazione
commerciale di El Mina, intrattennero rapporti commerciali con arabi e gruppi nomadi, l’oro veniva
ottenuto tramite baratto. I portoghesi che fino a quel momento si erano procurati gli schiavi
effettuando incursioni dirette nei villaggi, incoraggiarono gli stessi africani a fare il lavoro per loro
(in cambio di un cavallo si potevano ottenere 10-15 schiavi). Nell’anno in cui morì il principe
portoghese Enrico, iniziò la colonizzazione di Capo Verde dove furono create piantagioni di cotone
e canna da zucchero. Gli schiavi che i portoghesi si procuravano nell’attuale Benin e Nigeria
venivano smerciati dalla Costa degli Schiavi alla Costa dell’oro, per essere barattati col metallo
prezioso. Dopo aver consolidato la presenza portoghese sulla Costa d’oro, re Giovanni II
succeduto al padre portò avanti altri viaggi di esplorazione per raggiungere le Indie
circumnavigando l’Africa. Nel 1487 partì una spedizione con Bartolomeo Diaz che oltrepassò di
250km la punta meridionale dell’Africa, aprendo al Portogallo l’accesso all’Oceano Indiano
dandogli la possibilità di raggiungere le Indie. Nel 1492 Colombo intraprese il viaggio per
raggiungere le Indie da ovest attraverso l’Oceano Atlantico, aprendo l’accesso alla Spagna ad un
continente sconosciuto; Amerigo Vespucci lo definì Nuovo Mondo, e non si trattava dell’Asia. Per
evitare contese tra Spagna e Portogallo, il papa stabilì che tutte le terre ad ovest di una linea
sull’Atlantico appartenessero alla Spagna, quelle ad ovest al Portogallo. Con il Trattato di
Tordesillas fu rinegoziata la distribuzione per il Portogallo, a cui andarono anche le terre attorno
Capo di Buona Speranza; da Lisbona salpò Vasco de Gama. I portoghesi approdarono nel
Mozambico e lo attaccarono con i cannoni delle caravelle, a Mombasa torturarono due arabi, e i
musulmani si prepararono ad attaccare. De Gama fuggì, anni dopo fu nominato ammiraglio
dell’India e ebbe l’incarico di consolidare la presenza portoghese sulle coste dell’Africa orientale e
dell’India occidentale. A Lisbona De Gama rientrò senza neppur aver stipulato un’alleanza o un
patto commerciale né in Africa né in India, anzi si era fatto molti nemici con il bombardamento in
Mozambico. Il fattore decisivo che permise al Portogallo di estendere agli inizi del 500 il suo
dominio militare ed economico dall’Africa alle Indie, fu il sostegno di bancari e gruppi mercantili
europei, che finanziarono le spedizioni ricavandone grandi profitti. L’arrivo in Africa delle altre
potenze europee, sulla scia del Portogallo, provocò nel 500/700 acuti conflitti per il controllo delle
coste e delle rotte verso le Indie, ai quali presero parte anche gli arabi che posero fine al dominio
portoghese nell’Oceano Indiano. I gruppi mercantili e bancari francesi inglesi e olandesi che
rispetto ai portoghesi disponevano di maggiori capitali e di merci non importate ma prodotte nei
propri paesi, e quindi meno costose, e si cominciarono ad approfittare delle loro difficoltà. Essi
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furono costretti ad abbandonare Senegal e Gambia dato che le loro navi erano spesso abbordate
e saccheggiate dai francesi, a questi si unirono inglesi ed olandesi. La costa occidentale dell’Africa
passava dal regime portoghese a una situazione conflittuale che impegnava gli altri paesi europei.
Gli olandesi bloccarono per alcuni mesi il porto di Mozambico controllato dai portoghesi, la loro
intenzione non era di insediarsi permanentemente sulla costa orientale dell’Africa ma sottrarre loro
il controllo dei porti in cui facevano scalo le navi che percorrevano le rotte commerciali verso
l’India. Nel 1622 lo scià di Persia si impadronì con l’aiuto degli inglesi di un importante centro
commerciale nel Golfo Persico. Fu in questo periodo di acuti conflitti per il controllo delle coste che
il commercio degli schiavi assunse caratteristiche e dimensioni nuove, incidendo sul tessuto
politico e sociale del continente.
CAPITOLO 3 – LA TRATTA DEGLI SCHIAVI
La schiavitù, già praticata in Africa, assunse nuove caratteristiche e dimensioni quando i mercanti
europei iniziarono la tratta transatlantica degli schiavi africani verso le colonie americane, dove
venivano usati nel lavoro delle piantagioni e delle miniere. Quando ad essere assoggettate erano
intere popolazioni, gli schiavi venivano ad assumere una condizione analoga a quella dei servi
della gleba nell’Europa medievale, così avveniva per esempio nel regno di Songhai, dove le
popolazioni venivano impiegate nell’agricoltura. Gli schiavi che i mercanti arabi acquistavano da
alcuni capi africani dando in cambio cavalli erano di età giovanissima, e la maggior parte ragazze.
Esse erano destinate agli harem dei sultani o ai servizi domestici, i maschi erano impiegati negli
eserciti. In Europa l’importazione di schiavi africani sviluppatasi nel XV secolo di pari passo con la
penetrazione portoghese in Africa, si portava dietro una lunga tradizione, iniziata nel Medioevo con
Venezia e Genova che commerciavano schiavi slavi (schiavo<sclavu<slavu). Allo stesso tempo gli
europei vendevano prigionieri schiavi cristiani catturati dai musulmani. Dopo il 1468 cominciò a
crescere il flusso di schiavi dall’Africa verso il Portogallo, la Spagna, l’Inghilterra e la Francia, tra il
1450-1600 ne furono portati in Europa 150mila. L’uso di schiavi africani rimase un fenomeno
urbano, impiegati come guardie, domestici, corrieri, manovali. Anche se era traumatico l’essere
rapiti e venduti, la condizione di questi schiavi era pur sempre migliore dei loro connazionali
costretti a lavorare nelle piantagioni e nelle miniere. Agli inizi del 500 furono richiesti schiavi
provenienti dalla Spagna per essere impiegati nelle piantagioni di canna da zucchero che i
colonizzatori stavano creando nelle Indie occidentali, ma be presto fu imposta una tassa di
esportazione per ogni africano e messo in vendita oltremare. L’imposizione di questa tassa fece
nascere il traffico clandestino di schiavi; la Spagna ci stava guadagnando, e la tratta schiavista
assunse carattere sempre più istituzionale, il numero crebbe rapidamente, un secolo dopo la
scoperta dell’America, fu concessa ad un singolo mercante sotto compenso la licenza di
esportazione di 38mila schiavi provenienti dalla Guinea. Ogni nuova piantagione di zucchero o
cotone o caffè o tabacco o miniera di oro e argento significava un nuovo carico di schiavi che
attraversava l’Atlantico. Il lavoro degli africani risultava sempre più indispensabile allo sfruttamento
delle risorse agricole e minerarie. Hawkins fece una spedizione commerciale in Guinea, dove entrò
in possesso con la forza di almeno 300 negri; nell’isola Hispaniola vendette tutti i negri ricevendo in
cambio pelli, zucchero, zenzero, perle etc. Nel 1565 dopo essere tornato in Inghilterra con un
carico di oro e argento frutto della vendita di 400 schiavi, fu insignito del titolo di cavaliere dalla
regina Elisabetta. Fornendo schiavi alle colonie europee nelle Americhe, l’Africa svolse un ruolo
centrale nel commercio triangolare che dal 500/700 permise ai sovrani e ai mercanti europei di
realizzare enormi profitti con la vendita di schiavi e prodotti del loro lavoro. Il circuito commerciale
comprendeva 3 distinti tratti : tessili e altri manufatti venivano inviati dall’Europa all’Africa per
essere scambiati con gli schiavi, gli schiavi venivano inviate dall’Africa alle Americhe per essere
scambiati con metalli e prodotti agricoli, quest’ultimi venivano inviati dalle Americhe in Europa per
la vendita nei mercati nazionali. La maggior parte dei metalli preziosi provenienti dal Nuovo Mondo
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finivano in Francia ed Inghilterra. I prodotti delle piantagioni americane generarono nuove
importazioni: crescenti quantità di zucchero caffè e rum prodotti delle Indie Occidentali e del Sud
America, tabacco e cotone del Nord America. Un editto affermava che occorreva promuovere con
ogni mezzo possibile il commercio dei negri dalla Guinea alle Isole poiché non vi è niente che
potesse contribuire maggiormente alla crescita delle colonie se non il lavoro dei negri; l’effetto fu
immediato, il numero di schiavi africani trasportati dalle navi francesi nelle colonie americane
superò i 30mila annui. Inglesi e Francesi acquistarono la licenza di esportazione di schiavi africani
per tot periodi. Il commercio triangolare, imperniato sulla tratta degli schiavi africani, creò la base
socioeconomica della rivoluzione industriale che iniziata nel 700 in Inghilterra determinò in Europa
e Nord America il passaggio del capitalismo da mercantile ad industriale. Le nuove colture portate
in Europa permisero di aumentare la produzione agricola, ma si ebbe un esubero di forza lavoro
nelle campagne inglesi con conseguente aumento della riserva di manodopera a buon mercato; i
lucrosi traffici commerciali generarono una accumulazione di capitale investito nella manifattura,
l’industria cotoniera inglese si sviluppò rapidamente. Ma saturata la domanda interna ben presto si
entrò in crisi di stagnazione. 1750 80% dei prodotti e dell’industria cotoniera inglese vennero
esportati in Africa occidentale, il 20% nelle colonie americane. La tratta transatlantica degli schiavi
africani creò la base economica che rese possibile in Europa il passaggio dal capitalismo
mercantile a quello industriale. Questa struttura economica si mantenne tale anche dopo la nascita
degli USA. La tratta degli schiavi provocò in Africa gravi conseguenze demografiche ed
economiche e determinò processi di disgregazione politica e di sfaldamento del tessuto sociale;
America latina ed Africa venivano ad assumere un ruolo di crescente dipendenza da parte di
Europa e Nord America, che mettevano le basi di crescita industriale, e minavano il loro sviluppo.
In Brasile era impiegato il 60% della popolazione nelle piantagioni, l’AMERICA LATINA infatti
aveva il ruolo di fondamentale fornitrice di materie prime agricole e minerali, l’AFRICA era relegata
a fornitrice di schiavi per le piantagioni. Ridotti in schiavitù erano approssimativamente 15milioni di
abitanti dell’Africa subsahariana. L’africa occidentale, la più colpita dalla tratta subì un calo
demografico di 5milioni di persone; ci fu una decadenza dei sistemi agricoli e di sopravvivenza,
accelerata dalle razzie e dalle migrazioni forzate, ciò diminuì la capacità di resistenza della
popolazione alle calamità naturali e favorì l’insorgere di carestie e malattie. La tratta degli schiavi
esercitava un devastante impatto sociale e politico. Emblematica fu la trasformazione del Congo,
antico regno Bantu dell’Africa Equatoriale¸ il signore di questo territorio dopo essere stato
battezzato, organizzò il suo regno sul modello europeo, mandò una missiva al papa chiedendo di
porre fine al commercio degli schiavi da parte dei Portoghesi, ma il re Giovanni II disse che il
Congo non aveva altro da offrire perciò se volevano ancora merci e assistenza avrebbero dovuto
continuare a fornire schiavi. La maggior parte degli schiavi veniva catturata da razziatori africani o
arabi che piombavano armati nei villaggi; dai villaggi erano condotti in empori sulla costa, legati e
incatenati in lunghe file, se cadevano a terra venivano uccisi all’istante. Arrivati venivano rinchiusi
in un recinto in attesa di essere venduti, si aprivano le trattative, raggiunto un accordo con
l’acquirente gli schiavi venivano condotti fuori per diagnosi mediche in assoluta nudità, i validi
erano marchiati sul petto con il simbolo della compagnia francese, inglese o olandese. Iniziava poi
la traversata atlantica verso le Americhe che durava dai due ai tre mesi; gli schiavi venivano stipati
allungati ad incastro l’uno tra le gambe dell’altro, le donne non erano incatenate. Venivano portati
in coperta per il pasto (riso e manioca, fave e mais); la povertà della dieta e la scarsità di acqua
provocavano epidemie e dissenteria, le piaghe si infettavano, il 10% degli schiavi moriva così.
Raggiunta terra, la mercanzia veniva rinfrescata e oliata per farla apparire più vigorosa, le famiglie
a volte venivano vendute in lotto unico, a volte divise. Cominciava poi l’ultimo atto del loro dramma,
che si svolgeva nelle piantagioni, il lavoro era duro e si svolgeva di giorno e di notte, ogni minima
infrazione era punita con la fustigazione. I primi ad opporsi alla schiavitù furono gli schiavi stessi:
tutta la loro storia è costellata da tentativi di riacquistare la libertà, collettivi o individuali, ovunque si
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trovassero; in Brasile si ribellarono bantu, nel 700 scoppiarono rivolte in Sud e Centro America; le
amministrazioni coloniali per mantenere gli schiavi in condizioni di inferiorità impedivano loro di
imparare a leggere e scrivere. Fu nel periodo della riv. Francese che a Santo Domingo colonia
francese 500mila schiavi si ribellarono in quella che fu chiamata Toussaint L’Overtoure alla
minoranza bianca; sull’onda rivoluzionaria la Convenzione Nazionale di Parigi abolì la schiavitù a
Santo Domingo, i francesi sconfissero con questi ribelli gli spagnoli e i britannici e nel 1801 fu
promulgata la Costituzione che aboliva la schiavitù. Un anno dopo Napoleone Bonaparte con
60mila uomini riprese il regime coloniale a Santo Domingo, fu catturato Toussaint L’Overtoure e fu
portato in Francia a morire di fame e di freddo; un anno dopo a causa della febbre gialla i coloni
francesi si ritirarono, Santo Domingo si rese indipendente alla Francia e prese il nome di Haiti; si
concludeva così la rivolta degli schiavi qui. Nel 1800 un certo Prosser con una trentina di schiavi
mise in atto una insurrezione armata, ma fallì e provocò un inasprimento delle leggi schiavistiche
sia in Virginia che in altri stati. 1810 insurrezione contro New Orleans, capitale di una nuova
repubblica indipendente, in 500 armati di bastoni e fucili, molti morirono combattendo.
CAPITOLO 4 – LA SPARTIZIONE COLONIALE
La tratta degli schiavi e la schiavitù furono abolite in Europa e Nord America nell’800,
fondamentalmente perché non corrispondevano più agli interessi economici del nascente
capitalismo industriale, che richiedevano nuove forme di commercio lecito. Tutto ciò fu possibile
grazie alle idee illuministe ed ai principi delle rivoluzioni francese e americana; il successo degli
abolizionisti ci fu perché il loro dovere corrispondeva agli interessi economici del nascente
capitalismo industriale; l’economia inglese aveva cominciato a trasformarsi da economia di
importazione e riesportazione dei prodotti delle colonie americane in economia industrializzata
esportatrice di prodotti finiti. La nuova borghesia commerciale non aveva bisogno di schiavi ma di
materie prime e mercati esteri; ma l’abolizione formale del commercio degli schiavi non significava
la fine immediata della tratta atlantica, che proseguì fino al 1870. La trasformazione dell’Africa da
fornitrice principalmente di schiavi a fornitrice di materie prime culminò col passaggio a una nuova
forma di dipendenza dall’Europa, che comportò nell’Africa subsahariana in particolare un aumento
della schiavitù e altre conseguenze socioeconomiche. Particolarmente richiesto dall’Europa era
l’olio di palma, gomma arabica, spezie, arachidi, zucchero, caffè e cotone (Angola, Africa
orientale), la transizione al commercio lecito determinò una riorganizzazione in Africa dei sistemi
produttivi e dei sistemi sociali, facendo emergere nuovi gruppi di potere, le strutture economiche e
sociale create in Africa dalla tratta atlantica si adeguavano alle esigenze del commercio lecito col
risultato che la percentuale di schiavi rispetto alla popolazione invece di diminuire aumentò
(7milioni). Secondo i dati raccolti nella fascia saheliana (dal Senegal al lago Chad) il 50% della
popolazione erano schiavi; gli uomini si occupavano delle colture commerciali, e quelle familiari
erano gestite dalle donne, aiutate da vecchi e bambini. Ma questa agricoltura di sussistenza,
praticata su terre marginali, non assicurava alle popolazioni autosufficienza alimentare; i continui
conflitti tra i gruppi di potere portarono alla spartizione territoriale dell’Africa, oltre che commerciale.
Un ruolo chiave nel determinare modalità e tempi della spartizione coloniale dell’Africa fu svolto
dalla conquista del Congo, la regione centrale formata dal più grande bacino fluviale del continente
che re Leopoldo 2 del Belgio trasformò in suo personale possedimento. Il bacino del Congo
(3,7mln di km2) era abitato da 200 gruppi etnici con 400 lingue differenti, nella foresta pluviale
vivevano comunità molto più piccole rispetto alla savana; anche questa regione aveva subito gli
effetti della tratta degli schiavi, era ridotta e frammentata. Ci mise su gli occhi Leopoldo 2 del
Belgio, una volta salito al trono si concentrò su questo territorio, attinse alle casse dello Stato per
avere informazioni e mandare esploratori; nel 1876 convocò una Conferenza Geografica, scopo
esplorazione e civilizzazione dell’Africa centrale. Al termine fu decisa la costituzione di
un’associazione africana internazionale con il compito di stabilire nella regione del Congo una
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serie di basi scientifiche per lo studio di clima, flora, fauna, stabilire la pace con i capi e abolire la
schiavitù; fu mandato per primo l’esploratore Stanley, che in circa 3 anni attraversò il continente
dalla costa orientale alla occidentale, ma non riuscì a convincere il governo ad aggiungere il Congo
alle colonie inglesi. Stanley era l’uomo giusto per Leopoldo, nei suoi viaggi si lasciava dietro scie di
sangue; egli aprì le porte del Congo a Leopoldo, costruì col lavoro degli africani una strada che
aggirava le rapide del fiume, e creò una stazione commerciale fortificata (Leopoldville), cominciò a
stipulare contratti con i capi dei territori che raggiungeva, in nome della fantomatica Associazione
africana internazionale. Re Leopoldo forte di questo riuscì ad ottenere dagli Stati Uniti
l’approvazione degli scopi umanitari e della bandiera, il riconoscimento gli fu dato anche dalla
Germania da Bismarck in una Conferenza a Berlino, per poter beneficiare del commercio. Nel
maggio 1885 Leopoldo proclamava il territorio “Stato indipendente del Congo” e ne assumeva la
sovranità, ogni terra non occupata diveniva proprietà dello Stato. Leopoldo fece costruire una
ferrovia da 60mila uomini, il lavoro fu massacrante. Il sistema usato per sfruttare le risorse del
Congo, dandolo in concessione a compagnie private e schiavizzandone le popolazioni, divenne un
vero e proprio modello di dominio coloniale che fu applicato in altre parti dell’Africa. L’immenso
territorio fu diviso dal re Leopoldo del Belgio in tanti blocchi, da queste concessioni si tirava fuori
tutto ciò che poteva essere esportato e venduto sul mercato europeo. Tra il 1890 e il 1900 i
guadagni delle compagnie aumentarono di quasi cento volte. Per costringere la popolazione dei
villaggi a raccogliere la gomma secondo le quote stabilite Leopoldo istituì un sistema militarizzato,
se un villaggio si rifiutava interveniva con la violenza la forza pubblica. Per impedire che i
raccoglitori di materie prime non fuggissero attraverso le foreste, venivano prese in ostaggio le
mogli, che veniva violentate nel frattempo. Comunemente usata era la mutilazione, insieme alla
fucilazione e all’impiccagione. In Europa le prime notizie di ciò che stava accadendo in Congo
cominciarono a diffondersi dalla fine dell’800 attraverso testimonianze di missionari protestanti, che
a differenza di quelli cattolici denunciarono tutto ai giornali. Per contrastare queste testimonianze
Leopoldo in occasione dell’esposizione universale a Bruxelles allestì un parco dove face portare
267 africani dal Congo, distinguendoli in due villaggi non civilizzati e uno civilizzato, per dimostrare
i benefici apportati alla civiltà. Leopoldo con le entrate dello Stato indipendente abbelli la capitale
del Belgio con palazzi e monumenti; ma sotto la pressione delle campagne di denuncia condotte
dalle organizzazioni umanitarie, Leopoldo decise di rinunciare al regno congolese e fu annesso
allo stato belga. Terminava così la gestione personale del territorio congolese da parte di
Leopoldo, ma non il sistema da lui usato per sfruttare le risorse tramite le compagnie e il lavoro
forzato. La scoperta di ricchi giacimenti di diamanti e oro nel sud Africa aprì la via ad una
trasformazione industriale che, creando una massa di salariati africani e imponendo durissime
condizioni di lavoro, sconvolse le economie tradizionali e accelerò il processo di colonizzazione. Il
primo insediamento coloniale europeo si ebbe nel 1652 con la Compagnia delle Indie orientali, che
dominava i traffici tra Europa e Asia sud-orientale, che realizzò una base presso Capo di Buona
Speranza come stazione di rifornimento; per produrre cereali e verdure e carni da imbarcare sulle
navi l’insediamento si era esteso, i BOERI (boeren>contadino) erano i coloni olandesi e tedeschi
ma mancando la manodopera furono portati lì degli schiavi; ciò avvenne a scapito della
popolazione locale khoi-khoi o ottentotti cui gli olandesi avevano sottratto pascoli e bestiame. Nel
1795 la Colonia del Capo era stata conquistata dagli inglesi, con un trattato fu restituita all’Olanda,
poi ripresa dagli inglesi. In seguito a ciò ebbe luogo l’esodo o trek dei boeri o afrikaners, che
colonizzarono altri territori. In questo periodo furono scoperti i giacimenti diamantiferi e auriferi, e
da quel momento migliaia di cercatori si precipitarono nella regione battezzata New Rush (Nuova
Corsa). Gli africani fornivano la manodopera. Si sviluppava così un’economia di tipo capitalistico,
caratterizzata da una crescente industrializzazione. Proprio mentre l’economia diamantifera
entrava nella fase industriale, nel 1886 vennero scoperti anche giacimenti auriferi nel sud Africa;
alla fine del secolo tutte le popolazione autoctone erano ormai incorporate in stati sotto dominio
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bianco. La spartizione coloniale suscitò in tutte le regioni africane vari tipi di resistenza, spesso
armata, sia da parte di società strutturate in forme statuali, sia da parte di gruppi che, fino ad allora
divisi, si trovarono riuniti nel comune obiettivo di opporsi alla conquista europea. Nel 1809 gli
inglesi tentarono di assoggettare il regni dell’Ansante, ma essi fecero resistenza con un esercito
ben organizzato e armato di moschetti; solo dopo 60anni gli inglesi presero la capitale, ma ciò che
rimase dell’esercito costrinse gli inglesi ad evacuare il forte dove si erano asserragliati. Nella zona
del Niger andarono a occupare territorio i francesi, il capo tribù cercò di opporsi ma le forse
nemiche erano troppo forti. Sulla costa d’Avorio nello stesso periodo si ribellarono altre
popolazioni. Nello Stato indipendente del Congo costituito da re Leopoldo 2 del Belgio, gli yaka e
altre popolazioni si ribellarono contro il lavoro forzato nelle piantagioni di gomma, effettuando
azioni di guerra. Nel sud Africa gli zulu che avevano già combattuto contro i boeri inflissero una
dura sconfitta agli inglesi con lance e pugnali, anche se poi gli inglesi si riscattarono. Anche in
Egitto ci fu una rivolta, nel 1882 la flotta britannica per risposta bombardò Alessandria, le forze
Arabe furono costrette a ritirarsi, fu così completato l’asservimento dell’Egitto alla Gran Bretagna,
non solo controllando il canale di Suez ma si arrogava il diritto di nominare un alto commissario
con il compito di controllo sull’amministrazione pubblica e le forze armate egiziane. I colonialisti
italiani, entrati in corsa per la spartizione dell’Africa, si erano impadroniti della zona costiera sul
mar rosso chiamata Eritrea; convinti di appartenere come il resto degli Europei ad una civiltà
superiore che li rendeva imbattibili, gli italiani erano andati alla conquista dell’Africa con totale
disprezzo per gli africani di cui sottovalutavano la capacità di resistenza e le capacità militari.
L’illusione di poter attuare la politica di annessione coloniale con forza ed inganno ebbe breve
durata; guidate da Menelik le truppe Etiopi sconfissero gli italiani, ad Addis Abeba gli etiopi si
portarono dietro 1900 prigionieri, trattati però umanamente. La sconfitta ad Adua provocò in Italia
la caduta del governo Crispi, e permise all’Etiopia di restare indipendente fino al ’35; si dimostrò a
tutto il continente che gli invasori europei potevano essere affrontati e vinti.
CAPITOLO 5- IL DOMINIO COLONIALE
L’occupazione coloniale dell’Africa fu preparata e giustificata nell’800 in Europa da varie teorie che
incentrate sul concetto della superiorità della razza bianca su quella nera, costituirono la base
dell’ideologia da cui nacque il moderno razzismo. La diversità genetica tra gli individui e la
classificazione portò alla distinzione di 9 razze umane contraddistinte da caratteristiche positive e
negative. Si associava così al concetto di razza un giudizio e un valore, che permetteva ad alcuni il
diritto naturale di colonizzare i continenti extraeuropei per portarvi la civiltà. Ciò fu avvalorato nella
Dichiarazione di Indipendenza firmata da Thomas Jefferson, basata sul concetto che tutti gli
uomini sono creati uguali, ma in privato scriveva che i neri erano inferiori ai bianchi sia in dote
fisiche che mentali. Ancora più sprezzante era il giudizio dei boeri, convinti che gli africani fossero
allo stesso livello degli animali. In Gran Bretagna il pregiudizio razziale assunse carattere
scientifico trasformandosi in razzismo. Un medico che fece un’autopsia su un uomo di colore
elaborò una sua teoria sulla razza; la razza scura erano per lui incivilizzata e destinata
all’estinzione. Il primo ministro britannico Salisbury disse che faceva parte dell’ordine naturale delle
cose il fatto che la categoria dei viventi usurpasse il territorio dei morenti. In Germania si diffuse la
teoria razzista di De Gobineau che sosteneva che la mancanza di spazio per la vita sulla Terra
rendesse necessario una sostituzione delle nuove sulle vecchie, devono sparire i popoli di cultura
inferiore>epurazione>pangermanesimo. Come le altre potenze coloniali, l’Italia fece leva sulla sua
superiorità militare invadendo nel 1911 la Libia e nel 1935 l’Etiopia, per stroncare la resistenza
delle popolazioni. Alla base erano gli interessi finanziari e industriali. Fu il Governo Giolitti a
decidere l’occupazione, quella della Libia fu accompagnata da una forte propaganda
nazionalistica. La repressione fu spietata. Iniziò la lunga fase della storia della resistenza libica,
durata 20 anni. Per ordine di Mussolini fu impiegata persino l’aviazione. I partigiani libici tentavano
di tenere testa alla situazione, la loro guida fu impiccata in un campo di concentramento. Badoglio
annunciò nel 1932 che la ribellione Cirenaica era stata definitivamente stroncata. In seguito alla
Prima guerra mondiale e alla spartizione delle colonie tedesche la mappa dell’occupazione
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coloniale si era ulteriormente modificata, Gran Bretagna e Francia si ritrovarono così a possedere i
4 quinti del continente africano. Sopraggiunse poi il piano di Mussolini di conquistare l’Etiopia; la
Germania fornì armi agli Etiopi per fare in modo che l’Italia si indebolisse per ottenere l’Appoggio di
annessione dell’Austria in cambio dell’annessione italiana in Etiopia. Nel 1935 Mussolini annunciò
dal balcone l’inizio della guerra con l’invasione all’alba del 3 ottobre. Una settimana dopo la
Società delle nazioni condannava l’Italia come aggressore sanzionandola economicamente; ciò fu
usato da Mussolini per accrescere il consenso popolare. Solo il partito comunista italiano con il
giornale l’Unità si schierarono contro il regime a favore dell’Etiopia. Il generale De Bono in Etiopia,
reputato troppo prudente, fu sostituito dal maresciallo Badoglio, che colpì indiscriminatamente
popolazioni, città, villaggi; la guerra di conquista si trasformò così in guerra di annientamento e
distruzione. La guerra fu anche chimica, la tortura di uomini donne e bambini con gas velenosi, il
governo italiano però non fu mai posto in stato di accusa perché la Croce rossa italiana non fornì
mai la documentazione. L’uso degli aggressivi chimici fu autorizzato da Mussolini. Si valuta che 4
dei 6 mesi di guerra furono sganciate 2600 bombe contenenti 300 tonnellate di aggressivi chimici.
Mussolini ordinò di distruggere ed incendiare tutto l’incendiabile, attaccando anche quando gli
Etiopi battevano in ritirata. Venivano usati addirittura i lanciafiamme. Con questi metodi fu
combattuta e vinta la guerra contro l’Etiopia; il 5 maggio 1936 Mussolini annunciò a 400mila
romani e a tutti i cittadini italiani che Badoglio erano entrato vincitore ad Addis Abeba. Due giorni
dopo Vittorio Emanuele di Savoia conferiva a Mussolini la Gran Croce dell’Ordine di Savoia.
Nonostante questa vittoria fu lasciato in Etiopia in qualità di Vicerè Graziani a stroncare la
resistenza etiope. Furono giustiziati decine di migliaia di persone in questa azione di “ripulisti”
voluta da Mussolini. Solo durante la seconda guerra mondiale l’Etiopia riacquistò l’indipendenza.
Occupata quindi l’Africa, le potenze europee ne ridisegnarono la geografia politica creando Stati
artificiali in cui il potere veniva esercitato per mezzo di élites e di truppe africane, le quali
svolgevano un ruolo importante nel sottomettere le popolazioni al dominio coloniale. L’Africa fu
divisa in stati coloniali, questi confini artificiali tracciati dai governi europei separarono popolazioni
omogenee e unirono popolazioni diverse. Le società africane furono suddivise in tribù, dettero a
ciascuna un nome, stabilirono delle norme, inventarono un’Africa secondo come l’Europa voleva
che fosse. Ai fini della politica coloniale vennero creati degli stereotipi come il fatto che l’Africa
fosse ancorata a tradizioni immutabili, altro stereotipo fu quello del tribalismo con cui si dividevano
i gruppi etnici. Nella maggior parte degli Stati si usava il “direct rule” il governo diretto nel quale il
potere era esercitato da funzionari europei, in altri l’ “indirect rule”, indiretto nel quale il potere era
esercitato dai funzionari tramite istituzioni indigene con le autorità tradizionali. Terzo sistema era
l’assimilazione in base al quale le popolazioni delle colonie venivano considerate parte della
nazione e istruite all’apprendimento del francese. I capi africani si mettevano a disposizione ed
erano solo strumenti, non detenevano alcun potere. Garanzia del dominio coloniale era procurarsi
truppe africane, non solo adoperate nel territorio ma anche nelle guerre tra le potenze stesse in
Europa. In Francia il servizio militare istituito era obbligatorio e iniziava dai 20 anni. Il sistema
economico coloniale, che espropriò le popolazioni africane delle loro risorse e le trasformò in
fornitrici di forza lavoro a bassissimo costo, incise nel tessuto sociale delle comunità provocando
fratture e processi disgregativi e accentuando la condizione di sfruttamento delle donne. Nel
periodo coloniale furono costruite nel continente reti ferroviarie che collegavano i porti alle zone di
produzione di materie prime agricole e minerarie destinate all’esportazione; tutto questo
accelerava il drenaggio delle risorse umane e materiali e provocò una ulteriore frammentazione
dell’Africa che venne a essere costituita da zone centrali relativamente sviluppate e periferie
fornitrici di materie prime e manodopera. Le terre espropriate agli africani vennero date in
concessioni ai britannici ; le prime zone ad essere colpite furono quelle in cui si praticava la
pastorizia (Kenya-Rift Valley), non solo non potevano effettuare la transumanza ma erano costretti
a pagare anche una tassa sul bestiame. In generale però gli effetti più sconvolgenti non furono
provocati dalla colonizzazione europea fisica, ma da quella economica, perno della quale erano
piantagioni e miniere. Il modello coloniale era impoverire i contadini ed arricchire i capi, e creava
divari sociale e di reddito. Ulteriori carichi di lavoro furono aggiunti sulle donne, come la semina
nelle piantagioni di cotone e la cura e prevenzione da parassiti ed erbacce, raccolta cotone, e
dedizione ai figli e alla casa. In Portogallo il cotone veniva tessuto, poi riportato nelle colonie,
vendute ed esportate.
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CAPITOLO 6 – LA NUOVA AFRICA
Su un’Africa trasformata dai processi demografici e socioeconomici si abbatté la Grande
Depressione del 1929-1933. Le attività eccetto l’estrazione aurifera furono duramente colpite dal
crollo dei prezzi internazionale dei metalli, la crisi colpì anche le piantagioni soprattutto quelle di
cacao della Costa D’oro. Ne risentirono i settori capitalistici. Il malcontento aumentò nella
popolazione africana, per la disoccupazioni e i salari non pagati. Sopraggiunse poi la Seconda
Guerra Mondiale che coinvolse l’Africa settentrionale e orientale in zone di combattimento delle
forze italo-tedesche e alleate, intanto le amministrazioni coloniali reclutavano truppe africane. Le
economie vennero trasformate in economie di guerra per sostenere lo sforzo bellico. Per effetto
combinato di vari fattori interni e internazionali anche l’Africa fu investita dal processo di
decolonizzazione che portò i Paesi del continente a riacquistare l’indipendenza politica. La
sconfitta dell’Italia permise alle sue colonie di riacquistare l’indipendenza, la prima fu l’Etiopia. La
Gran Bretagna aiutò Hailè Selassié a rientrare ad Addis Abeba e aveva cercato di renderla proprio
protettorato, ma difronte all’opposizione la dovette riconoscere come Stato indipendente. Ne
approfittarono gli Stati Uniti con Roosevelt che nella Carta Atlantica emessa col primo ministro
britannico Churchill aveva inserito che potessero avere accesso al pari degli altri ai mercati e alle
materie prime del mondo necessari alla propria prosperità economica. Gli africani avevano riposto
aspettative in Churchill ma l’autogoverno lui lo garantiva solo agli stati europei posti sotto giogo
nazista. La rivendicazione di libertà cominciò a trasformarsi in aperta ribellione, i soldati africani tra
l’altro non erano più quelli di quando erano stati reclutati, avevano imparato a leggere e scrivere. I
veterani di guerra con altre migliaia di uomini si diressero con in mano una petizione per le
pensioni di guerra al palazzo del governatore ad Accra, ma una squadra di polizia con a capo un
ispettore inglese fece fuoco e usò lacrimogeni, ferendo e uccidendo persone. I leader nazionalistici
ottennero successo col loro partito, e dopo 6 anni si riuscì ad ottenere l’indipendenza della Costa
d’Oro ribattezzata Ghana, fu la prima colonia africana a liberarsi del dominio coloniale. Nel 1960
riacquistarono indipendenza 17 paesi. Nel Congo belga fu più complicato, era una colonia ricca di
materie prime e il potere si reggeva sull’alleanza tra governo, Chiesa cattolica e compagnie
minerarie. Patrice Lumumba scrisse un libro per dar voce al desiderio di libertà degli africani
“evoluti”, fondò il movimento nazionale congolese. Nel gennaio 1959 esplose una sommossa a
Leopoldville, che costrinse il re belga a promettere l’indipendenza. Tra i partiti formatisi in vista
della libertà, la maggioranza fu di Lumumba, che divenne capo di governo del Congo
indipendente. L’Egitto ottenne la libertà solo dopo che nel 1954 concluse con la GB un accordo
che prevedeva il ritiro delle truppe inglesi. La Libia aveva ottenuto l’indipendenza nel 1951 facendo
ritirare le truppe italo-tedesche; il re della Libia Idris stava svendendo il paese e i nazionalisti libici
protestarono, sfociò nel colpo di stato di cui fu artefice Gheddafi nel 1969. Sotto di lui le forze
statunitensi e britanniche furono costrette a evacuare le basi militari. Due movimenti culturali e
politici si intrecciarono: PANAFRICANISMO> nato dalla lotta di emancipazione dei neri africani si
basava sull’idea dell’unione solidale di tutti gli stati e i popoli d’Africa. Il primo passo fu la creazione
dell’Unione Ghana-Guinea-Malì, e a seguito di una conferenza nacque l’Organizzazione dell’unità
africana. PANARABISMO> fondato sull’idea dell’unità della nazione araba. In diversi paesi del
continente africano l’indipendenza non fu ottenuta solo con l’azione politica, ma conquistata con
lunghe e sanguinose lotte contro i colonialisti che non intendevano rinunciare al proprio dominio.
Scontro sanguinoso in Algeria che la Francia considerava proprio territorio nazionale. Gli algerini si
videro rifiutare dalla stessa Francia non solo l’indipendenza ma anche i più elementari diritti
democratici. I movimenti di indipendenza algerini fecero da innesco ad una ribellione, la Francia
rispose con un massacro a fuoco. I francesi raggiunsero il culmine del regime di terrore nel ’57
quando lanciarono la “battaglia di Algeri”, per gestire le forze partigiane, posero un reticolato ad
alta tensione lungo tutto il confine con la Tunisia. Per porre fine alla guerra che stava anche
spaccando la Francia all’interno, il governo acconsentì a concedere agli algerini il diritto di
decidere sul proprio futuro con un Referendum. Fu votata l’indipendenza e fu proclamata nel 1962;
nessun altro paese africano l’aveva pagata a così alto prezzo. Il Portogallo fu l’unico stato
economicamente più debole che non riuscì a concedere alle sue colonie (Angola, Isole di Capo
Verde, Guinea Bissau, Mozambico) l’indipendenza sul piano politico tenendole legate a sé sul
piano economico così da poterle influenzare anche nelle scelte politiche. L’ apartheid in Sud-Africa
fu una politica di segregazione razziale formalmente adottata in Sudafrica dal 1948 al 1993. Nella
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lingua afrikaans il termine apartheid significa "separazione" e indica la rigida divisione razziale che
regolava le relazioni tra la minoranza bianca e la maggioranza non bianca della popolazione Le
origini: Mentre i neri costituivano l’ 80% della popolazione, i bianchi si dividevano in coloni di
origine inglese e afrikaner. Questi ultimi, che costituivano la maggioranza della popolazione
bianca, erano da sempre favorevoli ad una politica razzista. Con le elezioni del 1924 vennero
introdotti nel paese i primi elementi di segregazione razziale. L’ istituzione dell’ apartheid: Fu nel
1948 che l’apartheid prese definitivamente forma. Le principali leggi che hanno messo in piedi il
sistema sono state: -Proibizione dei matrimoni interrazziali - Legge secondo la quale avere rapporti
sessuali con una persona di razza diversa diventava un reato penalmente perseguibile. -Legge
che proibiva alle persone di diverse razze di entrare in alcune aree urbane - Legge che prevedeva
una serie di provvedimenti tutti tesi a rendere più difficile per i neri l’accesso all’istruzione. -Legge
che sanzionava la discriminazione razziale in ambito lavorativo. Nel 1956 la politica di apartheid fu
estesa a tutti i cittadini di colore, compresi gli asiatici. Negli anni '60, 3,5 milioni di neri, chiamati
bantu, furono sfrattati con la forza dalle loro case e deportati nelle "homeland del sud". I neri furono
privati di ogni diritto politico e civile. Potevano frequentare solo l'istituzione di scuole agricole e
commerciali speciali. I negozi dovevano servire tutti i clienti bianchi prima dei neri. Dovevano avere
speciali passaporti interni per muoversi nelle zone bianche, pena l'arresto. In un primo tempo sia
neri che bianchi organizzarono proteste contro l'apartheid, in genere brutalmente soffocate dalle
forze di sicurezza governative. Dopo la liberazione di Nelson Mandela, avvenuta nel 1990 dopo 27
anni di prigionia(dovuti al rinnegamento dei "crimini" da lui commessi), e la sua successiva
elezione a capo dello Stato decretarono la fine dell'apartheid e l'inizio di una nuova era. Mandela fu
liberato l'11 febbraio del 1990. Nonostante la dura oppressione e la lunga detenzione, rinunciò a
una strategia violenta e vendicativa in favore di un processo di riconciliazione e pacificazione.
Divenuto libero cittadino e Presidente dell'ANC (luglio 1991–dicembre 1999) Mandela concorse
contro De Klerk per la nuova carica di presidente del Sudafrica e vinse, diventando il primo capo di
stato di colore. De Klerk fu nominato vice presidente. Come presidente (maggio 1994–giugno
1999), Mandela presiedette la transizione dal vecchio regime basato sull'apartheid alla
democrazia, guadagnandosi il rispetto mondiale per il suo sostegno alla riconciliazione nazionale e
internazionale.
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