ITC “Matteo Gattapone” Gubbio SAGGIO BREVE ____________________________________________________________________________ Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano. Se scegli la forma del “saggio breve”, interpreta e confronta i documenti e i dati forniti e su questa base svolgi, argomentandola, la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Da’ al saggio un titolo coerente con la tua trattazione e ipotizzane una destinazione editoriale (rivista specialistica, fascicolo scolastico di ricerca e documentazione, rassegna di argomento culturale, altro). Se lo ritieni, organizza la trattazione suddividendola in paragrafi cui potrai dare eventualmente uno specifico titolo. Se scegli la forma dell’ “articolo di giornale”, individua nei documenti e nei dati forniti uno o più elementi che ti sembrano rilevanti e costruisci su di essi il tuo ‘pezzo’. Da’ all’articolo un titolo appropriato ed indica il tipo di giornale sul quale ne ipotizzi la pubblicazione (quotidiano, rivista divulgativa, giornale scolastico, altro). Per attualizzare l’argomento, puoi riferirti a circostanze immaginarie o reali (mostre, anniversari, convegni o eventi di rilievo). Per entrambe le forme di scrittura non superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo. 1.AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO ARGOMENTO: Andare Oltre i Limiti Salvator Dalì, Orologio molle al momento della prima esplosione, 1954 Pablo Picasso, Donna che piange, 1937 TRASGREDIRE: dal latino TRASGREDI, composto da TRANS al di là, attraverso e GREDI per GRADI andare “Buon giorno”, disse il piccolo principe. “Buongiorno”, disse il controllore. “Che cosa fai qui?” domandò il piccolo principe. “Smisto i viaggiatori a mazzi di mille”, disse il controllore. “Spedisco i treni che li trasportano, a volte a destra, a volte a sinistra”. E un rapido illuminato, rombando come il tuono, fece tremare la cabina del controllore. “Hanno tutti fretta”, disse il piccolo principe. “Che cosa cercano’”. “Lo stesso macchinista lo ignora”, disse il controllore. Un secondo rapido illuminato sfrecciò nel senso opposto. “Ritornano di già?” domandò il piccolo principe. “Non sono gli stessi”, disse il controllore “È uno scambio”. “Non erano contenti là dove stavano?” “non si è mai contenti dove si sta”, disse il controllore. E rombò il tuono di un terzo rapido illuminato. “Inseguono i primi viaggiatori?” domandò il piccolo principe. “Non inseguono nulla”, disse il controllore. “Dormono là dentro, o sbadigliano tutt’al più. Solamente i bambini schiacciano il naso contro i vetri.” “Solo i bambini sanno quello che cercano”, disse il piccolo principe. “Perdono tempo per una bambola di pezza, e lei diventa così importante che, se gli viene tolta, piangono…” “beati loro”, disse il controllore. Antoine de Saint-Exupèry, Il Piccolo Principe, capitolo XXII E un oratore disse: “parlaci della Libertà”. Ed Egli rispose: “Alle porte della città presso il focolare vi ho visto inchinarvi e adorare la vostra libertà, come gli schiavi umiliano se stessi davanti a un tiranno e lo lodano sebbene lui li uccida. (…) e il cuore in me ha sanguinato; perché potete essere liberi soltanto se il desiderio di ricercare la libertà diventa pratica in voi, e se cessate di parlarne come di un fine e di un compimento. Sarete liberi davvero quando i vostri giorni saranno senza pena e le notti senza bisogno e senza dolore, ma piuttosto quando queste cose circonderanno la vostra vita e voi vi laverete sopra di loro nudi e senza catene. (…) In verità quella che voi chiamate libertà è la più forte di queste catene, anche se i suoi anelli brillano al sole e vi abbagliano gli occhi. E a cosa vorreste rinunciare se non a parte di voi stessi per diventare liberi? L’iniqua legge che vorreste abolire è la stessa che con la vostra mano vi siete scritti in fronte. (…) In verità tutte le cose che desiderate o che temete, che vi ripugnano o che vi portate dentro, che rincorrete o che vorreste evitare, nel vostro esistere si agitano in un incompiuto abbraccio. E come luci e ombre avvinghiate le une alle altre si agitano queste cose in voi. (…) e così la vostra libertà quando spezza le sue catene diventa essa stessa catena di una più grande libertà. Kahlil Gibran, il Profeta, La libertà Fu il 15 giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come se fosse oggi. (…) Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d’andare a desinare a metà pomeriggio. (…) Cosimo disse: “Ho detto che non voglio e non voglio!” e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave. (…) Cosimo non volle toccare nemmeno un guscio. “Mangiate o subito vi rinchiudiamo nello stanzino!” Io cedetti, e cominciai a trangugiare quei molluschi. (Fu un po’ una viltà, da parte mia, e fece sì che mio fratello si sentisse più solo, cosicché nel suo lasciarci c’era anche una protesta contro di me, che l’avevo deluso; ma avevo solo otto anni, e poi a che vale paragonare la mia forza di volontà, anzi, quella che potevo avere da bambino, con l’ostinazione sovrumana che contrassegnò la vita di mio fratello?) “e allora?” disse nostro padre a Cosimo. “No, e poi no!” fece Cosimo, e respinse il piatto. “Via da questa tavola!” Ma già Cosimo aveva voltato le spalle a tutti noi e stava uscendo dalla sala. “Dove vai?” Lo vedevamo dalla porta a vetri mentre nel vestibolo prendeva il suo tricorno e il suo spadino. “Lo so io!” e corse in giardino. Di lì a poco, dalle finestre, lo vedemmo che s’arrampicava su per l’elce. Era vestito e acconciato con grande proprietà, come nostro padre voleva venisse a tavola, nonostante i suoi dodici anni. (…) Ho già detto che sugli alberi noi trascorrevamo ore e ore, e non per motivi utilitari come fanno tanti ragazzi, che ci salgono solo per cercar frutta o nidi d’uccelli, ma per il piacere di superare difficili bugne del tronco e inforcature, e arrivare più in alto che si poteva e trovare bei posti dove fermarci a guardare il mondo laggiù, a fare scherzi e voci a chi passava sotto. Trovai quindi naturale che il primo pensiero di Cosimo, a quell’ingiusto accanirsi contro di lui, fosse stato d’arrampicarsi sull’elce, albero a noi familiare, e che protendendo i rami all’altezza delle finestre della sala, imponeva il suo contegno sdegnoso e offeso alla vista di tutta la famiglia. (…) Nostro padre si sporse dal davanzale. “Quando sarai stanco di star lì cambierai idea!” gli gridò. “Non cambierò mai idea”, fece mio fratello, dal ramo. “Ti farò vedere io, appena scendi!”. “E io non scenderò più!”. E mantenne la parola. Italo Calvino, Il Barone Rampante, capitolo I Dimmi: che cosa vuoi fare? È come stare alla catena Senza saper dove andare, e respirare a malapena; aspetti ancora un sorriso che ti permetta di sperare che ti fa sentire vivo, fedele alla tua linea e continuare; ma ti piacerebbe fuggire lontano e fermare chi si è permesso di legare ad un muro le tue speranze per provare qualcosa a se stesso. E allora tiri di più e ti arrabbi di più Vivi, corri per qualcosa, corri per un motivo: che sia la libertà di volare o solo per sentirti vivo. Vedrai che prima o poi qualcuno verrà di sicuro a liberarti. Vedrai che ce la farai: non è detto che per forza devi fermarti; e allora scoprirai che questo tempo che passa ricopre tutto ciò che ti resta e che per avere la libertà dovrai per forza chinare la testa ma non è questo che vuoi! Tu dimmi: è questo che vuoi? Nomadi, Libertà di volare ... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120 2. AMBITO SOCIO - ECONOMICO ARGOMENTO: La ricerca della felicità. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.» Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana «Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità.» Dichiarazione di indipendenza dei Tredici Stati Uniti d’America, 4 luglio 1776 «La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida. L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.» Zygmunt BAUMAN, L’arte della vita, trad. it., Bari 2009 (ed. originale 2008) «Nonostante le molte oscillazioni, la soddisfazione media riportata dagli europei era, nel 1992, praticamente allo stesso livello di 20 anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito pro capite nello stesso periodo. Risultati molto simili si ottengono anche per gli Stati Uniti. Questi dati sollevano naturalmente molti dubbi sulla loro qualità e tuttavia, senza entrare nel dettaglio, numerosi studi provenienti da altre discipline come la psicologia e la neurologia ne supportano l’attendibilità. Citiamo solo la critica che a noi pare più comune e che si potrebbe formulare come segue: in realtà ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che può realisticamente ottenere, di conseguenza oggi siamo effettivamente più felici di 20 anni fa ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sono cambiate, migliorate, e desideriamo sempre di più. Esistono diverse risposte a questa critica. In primo luogo, se così fosse, almeno persone nate negli stessi anni dovrebbero mostrare una crescita nel tempo della felicità riportata soggettivamente. I dati mostrano invece che, anche suddividendo il campione per coorti di nascita, la felicità riportata non cresce significativamente nel tempo. Inoltre, misure meno soggettive del benessere, come la percentuale di persone affette da depressione o il numero di suicidi, seguono andamenti molto simili alle risposte soggettive sulla felicità e sulla soddisfazione. Ma allora cosa ci rende felici?» Mauro MAGGIONI e Michele PELLIZZARI, Alti e bassi dell’economia della felicità, «La Stampa», 12 maggio 2003 Mentre sappiamo che si può essere dei perfetti massimizzatori di utilità anche in solitudine, per essere felici occorre essere almeno in due. La riduzione della categoria della felicità a quella della utilità è all’origine della credenza secondo cui l’avaro sarebbe, dopotutto, un soggetto razionale. Eppure un gran numero di interazioni sociali acquistano significato unicamente grazie all’assenza di strumentalità. Il senso di un’azione cortese o generosa verso un amico, un figlio, un collega sta proprio nel suo essere gratuita. Se venissimo a sapere che quell’azione scaturisce da una logica di tipo utilitaristico e manipolatorio, essa acquisterebbe un senso totalmente diverso, con il che verrebbero a mutare i modi di risposta da parte dei destinatari dell’azione. Il Chicago man – come Daniel McFadden ha recentemente chiamato la versione più aggiornata dell’homo oeconomicus – è un isolato, un solitario e dunque un infelice, tanto più egli si preoccupa degli altri, dal momento che questa sollecitudine altro non è che un’idiosincrasia delle sue preferenze. [...] Adesso finalmente comprendiamo perché l’avaro non riesce ad essere felice: perché è tirchio prima di tutto con se stesso; perché nega a se stesso quel valore di legame che la messa in pratica del principio di reciprocità potrebbe assicuragli.» Stefano ZAMAGNI, Avarizia. La passione dell’avere, Bologna 2009 3. AMBITO STORICO – POLITICO ARGOMENTO: L’escluso Il termine esclusione deriva dal latino ex-cludere (chiudere fuori) e, in termini molto generali, gli esclusi sarebbero tutti coloro i quali, o per la struttura assunta da una particolare società o per il loro stato, sono tenuti lontani dalla partecipazione o dall’uso libero dei beni pubblici. Alcune categorie di individui (o sottoinsiemi di soggetti appartenenti a queste categorie) quali ad esempio i poveri, gli anziani, i disoccupati, i dissidenti, gli “ignoranti, i tossicodipendenti, le prostitute, gli uomini di colore; ma anche i credenti e/o praticanti, i malati, i “diversamente abili”, gli individui appartenenti a particolari aree geografiche (quartieri popolari, territori decentrati, le aree meridionali, “il sud o i sud del mondo”), i precari del mondo del lavor, possono essere esclusi da (o svantaggiati rispetto a) una piena e completa partecipazione all’attività sociale ed alla fruizione di beni e servizi previsti per la comunità, a causa proprio dell’appartenenza ad una (o più) di queste categorie. Stefano de Cantis, L’esclusione sociale in Sicilia: proposte,idee e prospettive di ricerca, Contributo presentato in occasione del Convegno “L’esclusione sociale a Palermo”, organizzato da Livio Labor, centro studi Acli, Palermo, 19 dicembre 2011 Un processo a causa del quale alcuni gruppi sono sistematicamente svantaggiati poiché essi sono discriminati sulla base della loro etnia, razza, religione, del loro orientamento sessuale, della casta o stirpe di appartenenza, del loro sesso ed età, della loro disabilità o malattia (ad es. AIDS), del loro status di migrante o sulla base del posto nel quale vivono. La discriminazione emerge nelle istituzioni pubbliche, nel sistema giudiziario, scolastico, sanitario, così come nelle istituzioni sociali come la famiglia DFID, Department For International Development (2005), Reducing Poverty by Tackling Social Exclusion: A DFID Policy Paper, “L’esclusione può dunque derivare non tanto (o non solo) dall’inadeguatezza delle risorse materiali, quanto dall’esistenza di fattori che determinano il “distacco” dalla rete delle relazioni e annullano quelle forme di protezione che la società tende a garantire ad ogni membro “incluso” nel sistema. Fattori come il disagio psichico, la dipendenza da alcol o droghe, o persino la semplice incapacità di colmare il differenziale dell’”essere stranieri” contribuiscono ad alimentare un universo dell’esclusione entro il quale la povertà, intesa come pura deprivazione rispetto al soddisfacimento di bisogni materiali, si configura come solo una delle determinanti” Blangiardo G.C. (2004) “Struttura e percorsi della povertà in Sicilia” «L’individuo oggi è spesso soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato. Sembra, infatti, talvolta che egli esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto dell’amministrazione dello Stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo Stato, poiché possiede in se stessa un singolare valore che Stato e mercato devono servire. L’uomo è, prima di tutto, un essere che cerca la verità e si sforza di viverla e di approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passate e future. Da tale ricerca aperta della verità, che si rinnova a ogni generazione, si caratterizza la cultura della Nazione. In effetti, il patrimonio dei valori tramandati e acquisiti è sempre sottoposto dai giovani a contestazione. Contestare, peraltro, non vuol dire necessariamente distruggere o rifiutare in modo aprioristico, ma vuol significare soprattutto mettere alla prova nella propria vita e, con tale verifica esistenziale, rendere quei valori più vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono esser sostituite da altre più adeguate ai tempi.» GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Centesimus annus nel centenario della Rerum novarum, 1° maggio 1991 Il principio di parità di trattamento corrisponde al divieto di discriminazione diretta e di discriminazione indiretta * . Esso si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico. Il suo campo d'applicazione comprende la protezione sociale (comprese la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria), le prestazioni sociali, l'istruzione, l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura, inclusi gli alloggi e i trasporti. Vanno prese preventivamente misure e soluzioni specifiche per consentire alle persone con disabilità l'accesso effettivo e non discriminatorio al campo d'applicazione della direttiva. Tali misure non devono tuttavia costituire un onere sproporzionato. Tale onere può essere compensato da misure esistenti nel quadro delle politiche nazionali di parità di trattamento. L’applicazione del principio di parità, previsto dal progetto di direttiva, non pregiudica le legislazioni nazionali relative alla laicità e all'organizzazione da parte degli Stati membri dei loro sistemi d'istruzione. Il principio non si applica alle differenze di trattamento basate sulla religione o sulle convinzioni personali, per quanto concerne l'accesso agli istituti scolastici fondati su una religione o convinzione. Inoltre, il campo d'applicazione della proposta non copre le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e sulla condizione giuridica degli stranieri sul territorio degli Stati membri. Gli Stati membri potranno introdurre o mantenere una tutela più estesa rispetto alle prescrizioni minime della direttiva, nonché delle misure di discriminazione positiva destinate a compensare gli svantaggi legati alla religione o alle convinzioni personali, all'età, alla disabilità o all'orientamento sessuale. PAROLE CHIAVE Discriminazione diretta: sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga. Discriminazione indiretta: sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutro può mettere persone di una determinata religione o convinzione, con una disabilità, di età o di orientamento sessuale in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Sintesi della legislazione sui Diritti fondamentali nell’ambito dell’Unione Europea, 2 luglio 2008 4. AMBITO TECNICO - SCIENTIFICO ARGOMENTO: Catastrofi naturali: la scienza dell’uomo di fronte all’imponderabile della Natura! DOCUMENTI «Natura! Ne siamo circondati e avvolti - incapaci di uscirne, incapaci di penetrare più addentro in lei. Non richiesta, e senza preavviso, essa ci afferra nel vortice della sua danza e ci trascina seco, finché, stanchi, non ci sciogliamo dalle sue braccia. Crea forme eternamente nuove; ciò che esiste non è mai stato; ciò che fu non ritorna – tutto è nuovo, eppur sempre antico. Viviamo in mezzo a lei, e le siamo stranieri. Essa parla continuamente con noi, e non ci tradisce il suo segreto. Agiamo continuamente su di lei, e non abbiamo su di lei nessun potere. Sembra aver puntato tutto sull’individualità, ma non sa che farsene degli individui. Costruisce sempre e sempre distrugge: la sua fucina è inaccessibile… Il dramma che essa recita è sempre nuovo, perché crea spettatori sempre nuovi. La vita è la sua più bella scoperta, la morte, il suo stratagemma per ottenere molta vita... Alle sue leggi si ubbidisce anche quando ci si oppone; si collabora con lei anche quando si pretende di lavorarle contro... Non conosce passato né avvenire; la sua eternità è il presente… Non le si strappa alcuna spiegazione, non le si carpisce nessun beneficio, ch’essa non dia spontaneamente… È un tutto; ma non è mai compiuta. Come fa oggi, potrà fare sempre». J. W. GOETHE, Frammento sulla natura, 1792 o 1793 «Molte sono e in molti modi sono avvenute e avverranno le perdite degli uomini, le più grandi per mezzo del fuoco e dell’acqua... Quella storia, che un giorno Fetonte, figlio del Sole, dopo aver aggiogato il carro del padre, poiché non era capace di guidarlo lungo la strada del padre, incendiò tutto quello che c’era sulla terra ed anch’egli morì fulminato, ha l’apparenza di una favola, però si tratta in realtà della deviazione dei corpi celesti che girano intorno alla terra e che determina in lunghi intervalli di tempo la distruzione, mediante una grande quantità di fuoco, di tutto ciò che c’è sulla terra… Quando invece gli dei, purificando la terra con l’acqua, la inondano,... coloro che abitano nelle vostre città vengono trasportati dai fiumi nel mare... Nel tempo successivo, accaduti grandi terremoti e inondazioni, nello spazio di un giorno e di una notte tremenda... scomparve l’isola di Atlantide assorbita dal mare; perciò ancora quel mare è impraticabile e inesplorabile, essendo d’impedimento i grandi bassifondi di fango che formò l’isola nell’inabissarsi». PLATONE, Timeo, 22c – 25d passim «La violenza assassina del sisma ci pone davanti alla nostra nuda condizione umana e alle nostre responsabilità. Inadeguatezza delle nostre conoscenze, l’insufficienza delle nostre tecnologie… Un punto tuttavia – tutto laico – è ineludibile: dobbiamo investire nuove energie sul nesso tra natura e comunità umana. Energie di conoscenza, di tecnologie ma anche di solidarismo non genericamente umanitario, ma politicamente qualificato». G. E. RUSCONI, L’Apocalisse e noi, LA STAMPA, 30/12/2004 «Mi fa una certa tenerezza sentire che l’asse terrestre si è spostato. Mi fa tenerezza perché fa della Terra un oggetto più tangibile e familiare. Ce la fa sentire più «casa», piccolo pianeta dal cuore di panna, incandescente, che mentre va a spasso negli spazi infiniti insieme al Sole, gli gira intorno, ruota su se stesso e piroetta intorno al proprio asse – un ferro da calza infilato nel gomitolo del globo – che con la sua inclinazione di una ventina di gradi ci dà il giorno e la notte e l’alternarsi delle stagioni. Non è male ricordarsi ogni tanto che la Terra è grande, ma non infinita; che non vive di vita propria in mezzo al nulla, ma ha bisogno di trovarsi sempre in buona compagnia; che non è un congegno automatico ad orologeria, ma che tutto procede (quasi) regolarmente soltanto per una serie di combinazioni fortunate. La Terra è la nostra dimora, infinitamente meno fragile di noi, ma pur sempre fragile e difesa soltanto dalle leggi della fisica e dalla improbabilità di grandi catastrofi astronomiche… Quella dello spostamento dell’asse terrestre è solo una delle tante notizie–previsioni di matrice scientifica… C’è chi dice che a questo evento sismico ne seguiranno presto altri «a grappoli»... Altri infine fanno previsioni catastrofiche sul tempo che sarà necessario per ripristinare certi ecosistemi… Ciò avviene...perché moltissime cose le ignoriamo, soprattutto in alcune branche delle scienze della Terra... La verità è che, eccetto casi particolarmente fortunati, non siamo ancora in condizione di prevedere i terremoti e i maremoti». E. BONCINELLI, Dall’asse distorto ai grappoli sismici. Quando la scienza vuol parlare troppo, CORRIERE DELLA SERA, 2/1/2005 «Il paradosso è questo: i fattori che causano un maremoto... sono gli stessi che, ragionando in tempi lunghi, hanno reso il nostro Pianeta un luogo privilegiato del sistema solare, dove la vita ha potuto svilupparsi ed evolvere. Partiamo da considerazioni banali: gli ingredienti di uno tsunami o maremoto sono due: grandi masse d’acqua liquida, cioè l’oceano; e, sotto all’oceano, uno strato solido e rigido, la litosfera terrestre, che però si muove. La litosfera che giace sotto gli oceani varia di spessore tra i 10 e gli 80 chilometri; in alcune zone particolari è squassata periodicamente da improvvisi sussulti con spostamenti di masse che possono trasmettere grande energia alle acque sovrastanti e causare il maremoto. Ma perché questi sussulti, perché questa litosfera solida ma viva, vibrante, sempre in movimento...? E poi, perché questi grandi volumi di acqua liquida che coprono i due terzi della nostra Terra?». E. BONATTI, Ma è l’oceano che ci dà vita, IL SOLE 24 ORE, 2/1/2005 «Il XX secolo ci ha insegnato che l’universo è un posto più bizzarro di quanto si immagini... Né l’instabilità dell’atomo, né la costanza della velocità della luce si accordano allo schema classico della fisica newtoniana. Si è aperta una frattura fra ciò che è stato osservato e quanto gli scienziati possono invece spiegare. A livello microscopico i cambiamenti sono improvvisi e discontinui: gli elettroni saltano da un livello energetico all’altro senza passare per stadi intermedi; alle alte velocità non valgono più le leggi di Newton: la relazione fra forza e accelerazione è modificata, e così pure la massa, le dimensioni e perfino il tempo... La speranza che tutti i fenomeni naturali possano essere spiegati in termini di materia, di forze fondamentali e di variazioni continue è più esile di quanto si creda, anche negli ambiti di ricerca più familiari. Ciò vale per buona parte della fisica e per alcuni aspetti della chimica, scienza che solo nel XIX secolo è divenuta rigorosamente quantitativa, mentre è molto meno vero per la chimica organica e per la biochimica. Scienze della Terra, come la geologia o la meteorologia, in cui la complessità non può essere troppo idealizzata, si basano più su descrizioni e giudizi qualitativi specializzati che su una vera teoria». A. VOODCKOC – M. DAVIS, La teoria delle catastrofi, Milano, 1982 «Comprendere il mondo, agire sul mondo: fuor di dubbio tali sono gli obiettivi della scienza. In prima istanza si potrebbe pensare che questi due obiettivi siano indissolubilmente legati. Infatti, per agire, non bisogna forse avere una buona intelligenza della situazione, e inversamente, l’azione stessa non è forse indispensabile per arrivare ad una buona comprensione dei fenomeni?... Ma l’universo, nella sua immensità , e la nostra mente, nella sua debolezza sono lontani dall’offrirci sempre un accordo così perfetto: non mancano gli esempi di situazioni che comprendiamo perfettamente, ma in cui ci si trova ugualmente in una completa incapacità di agire; si pensi ad un tizio la cui casa è invasa da un’inondazione e che dal tetto sui cui si è rifugiato vede l’onda che sale o lo sommerge. Inversamente ci sono situazioni in cui si può agire efficacemente senza comprenderne i motivi... quando non possiamo agire non ci resta più che fare buon viso a cattivo gioco e accettare stoicamente il verdetto del destino... Il mondo brulica di situazioni sulle quali visibilmente possiamo intervenire, ma senza sapere troppo bene come si manifesterà l’effetto del nostro intervento». R. THOM, Modelli matematici della morfogenesi, Torino, 1985