Selezione da Inesibizioni Laura Branchini (2011) Quel che il corpo sa Quel che il corpo sa in sé prima della coscienza, e traduce in gesti chiari come colpi che fanno centro, quel che sa il fato quando si sospende in un'attesa carica di dubbi o di spavento, fne udito di presagi intimi alle ossa e al sangue, quel che sa la mano quando strappa e sflaccia il cordone, mentre i pensieri si aggirano altrove, vaghi come randagi bastonati, fradici di intemperie, quel che sanno i tuoi occhi quando si fssano dentro una nebbia che non c'è mentre i colori e le forme del mondo splendono tutto attorno tanto distanti quanto un'altra occasione indesiderata, quel che sa la gola inondata dallo zampillo di un urlo o pianto dietro alla porta, quel che sanno le gambe quando si induriscono e come pietre pesano a terra inamovibili, ribelli a destinarti il passo verso la scoperta dei mortiquello è sapere. Astypalea 2005 Ho visto una civetta color neve fra rocce calde della riva greca, apparsa senza volo in un anfratto, presente e fssa, fuori e dentro il tempo. Mi ammutoliva la sua estraneità regale, tanto ironica e befarda, negli occhi enormi registrava i segni di una stagione consumata male, la deriva di uomini e di cose àtone, senza relazione. Volò improvvisa, con rabbia remigante, oltre il turismo, indietro nel perdono. Alhambra Tacere e non sapere mentre intorno parlano le cose, acque ombrose, limpide, sonore. Non poter dire, e intravedere spazi posseduti e la passione delle cose vive, in movimento, collegate come odori, spezie estratte su da terra. E veder scorrere nel giallo meridiano acqua mai antica e sempre uguale. Zafro del califo, juvenile, pazza dell’umiltà di scomparire e riapparire, sorella della pietra: l’elementare linea del tempo ininterrotta seguiti a solcare con il tuo suono febile, gentile, come una tessitrice orientale. Eclissi La bambina sprofonda nell'eclissi trascinando dietro l'ombra il suo sguardo ha sospeso il respiro al bianco alone è inondata dal mistero della notte. L'orrore della fuga è tutto nudo, si svela vano e da lassù risplende, sullo stupore, sulla sua domanda, da dove viene tanto vuoto, il male, tanta bellezza insanguinata. Opacizzare Potessi ora sentire che si placa il cuore come un lago a sera, che le correnti sussultate di luce lasciano il gioco, il saliscendi dell'afanno, per scivolare in ombra, superfci di una pace opaca, stese sotto il silenzio mormorato, fno ad un’altra aurora di ossessioni. Accecamento Senz'aria e senza fato vado protesa al buio di luci quotidiane, -splendono inutilmente, lo sguardo non le vede. Venti mi carezzano, dai mari o dalle cime riversi su settembre, -grafano debolmente, la pelle non li tiene. Vado protesa al buio di un limite continuo, ottusa, squilibrata, - mi afora amara crosta un sale di libertà. Basel-Gallarate Distrarre l'anima dal suo bisogno acceso di congiungersi, farle trascorrere ponti ben gettati sopra le attese disattese (morbide anse dalle correnti lente) mentre bandiere bianche e altri vessilli rossi intercalati con eleganza ricamano sull'orlo dell'oblio, -non era mia intenzione. Dimenticato il male di quando mi spavento dell'amore e gli urlo contro il vuoto, non trovo ora dove si è nascosto tutto quel furore, che sembra a ripensarci un'invenzione, non fosse per quest'aria raggelata, sofata attorno da un condizionatore. (senza titolo) Non c'è spazio nella voce e nel tatto, e sul cerulo occhio del serpe, nella carne, nel colore, nel gioco, non c'è spazio o sentiero o sussurro ma l'abisso altrove si apre dove l'iride dura non palpita e le squame ritornano terra e il folle non sa il suo rimpianto dove strade nere di lava spessa chioma senza più cranio scavano pettini di fantasia, - le rifulgenti preghiere del mediocre Madre Lenzuolino di neve, anima-io, ero brezza lieve nella tua nebbia d'oro, madre, poetessa della cura, vera amante, il tuo andirivieni mi ha liberato al volo di visioni. Gioia in forma di volpe Nel bosco stesi su tenere felci a gustare l’anima silenziosa, ci apparve come gioia predatrice rossa splendente la volpe, futava quell'inconsueto saper stare umano, assaporato tanto raramente, svanito presto dietro alla sua coda. Piccola sovrana Quella mia debole voce, che è dell'infanzia e lenta trascorre, piano, come un fume, o come acque che non hanno quiete, è la sovrana vera e abdicante. Rimpiangono le altre il suo comando, che non arriva mai udibile, resta sussurro. dall'alta collina (Morcote) dall'alta collina, protesa sul muro a secco guardavo il lago al tramonto, e tanto puro era il mio desiderio di visione e tanto ingenua la fede che i rifessi dei raggi sull'acqua si mostrarono profondamente, e uniti in un cerchio danzante svolgevano la cerimonia dell'ascesi in spirali vorticanti: tutto era stato respirato, tutto risaliva in una colonna perfetta. era la fne di un giorno d'amore. a Jean-Charles Venivi con la pelle soave dei neonati e il viso lungo di celta o gallico dinoccolato, venivi anche con un passo senza suoni, e con gli occhi liquorosi di ideali e mormoravi cose troppo dolci per me. Sulle montagne ti era un silenzio accanto, scostato, e sei lontano, forse ancora sotto quell'albero dove ci siamo uniti con le parole e il desiderio di bruciare al vento i sedici anni, soli e puliti. Due anime Due anime ha ciascun albero, una è quella che nel vento di settembre inquieta il cuore, mentre l’altra cattura gli occhi ad abbracciargli le foglie. Io sono una pianta nell’aria. Paesaggio di memoria Curve di strada, che salgono mollemente, placidi larghi buoi. Come occhi serrati stanno alberi di cachi, che portano d’inverno piccoli soli frizzanti, e ora solo dormono, sullo sfondo di paglie adagiate. Una visione calma in svanimento. La tana La tana tonda e bruna futtua in sofci cerchi, percorso di fati e sibili, canale del sonno. Un campo di bigie margherite costella i tragitti di sotto, e da terra nel cielo rimira altri esseri naufraganti. Natura è un ricordo d’amore, che emerge nell’anima solo per dire che anch’io son così. Fuga breve Per un attimo di assenza della voce materna, io fuggo sulla terra nera e gli occhi a foschie sbriglio -felicità di novembre, dopo la raccolta delle patate, sul campo rivoltato. Piccola baita di sassi dell’infanzia libera, chiudo lenta una porta di ferro -attenta, Laura, le dita. Sigilli Scala di fussi di sole e di bave argentate sui gigli rossi in margine alla proprietà antica, sigilli spuntati per essere altari agresti nell’età bambina. Dagli occhi fno al cielo Sola alla fermata della corriera / davanti al muro a secco / sedici anni volavo dagli occhi fno al cielo dove pendevano i rami del cedro gravato di neve e luce caduta dall’altezza estatica invisibile a mio fratello Resteremo così? Resteremo così vicino-lontani? Pieni di parole (queste)Vuoti di silenzio (questo)? Continueremo -e perché?- a cadere sassi nello stagno e contare cerchi allontanarsi? Continuerà l'arsura e con lei il torpore dell'animula rotonda nello sterno? Durerà altra cartilagine, sulla scapola spennata dei sogni? La creatura nascosta crepitante, piccolissima e umile, è cosciente? Vispa negli occhi, lesta nella fuga, resisterà nel cesto dell'attesa? ancora a mio fratello Andiamo, solleva tu il velo che ho davanti, dietro ai capelli, dietro alle orecchie, dietro al fume della mia gola in secca: mancano le correnti ebbre di un sogno. Di quello, grigi tozzi stolti, crescono solo ruvidi alberelli, implumi, spogli. La loro specie, fore, polline, è serrata alle diversità. Vogliono poco, escono ai campi zitti. Su loro non api né canzoni. L’ora non passa né cambia le ombre, c’è poco sole e il giorno ne fnisce. Io seguito a s-forare il mio amore, che come un tubero chiuso dentro a un cesto lancia polloni bianchi. April is the cruelest month Pronuncio al sole la sua forza -labbra di vetro dell'ultimo fato, tremanti, morta condannata, bianca come fori d'oleandro e il gocciolio nevoso delle grotte d'Aprile fatatocome sembrare non è essere, così desidero. Flauto d'avvoltoio Poeta -fonografo sensitivoscrive Munch mi f-ram-mento in nau-fra-ga-re su alien-ali remig®anti / ossa cave fauto di radio d’avvoltoio / il più antico strumento ritrovato e in cielo creo e suono / arte che mi svanisce / fne-mente / in terra / sono traccia di polveri rosse Chiamavo casa dello spirito una vecchia torretta Un ronco di caccia, una recinzione cadente, il lago sottostante, la strada lungo il confne, l'albero dalle larghe foglie contro una delle pareti, la certezza di una scala e nient'altro all'interno: tutto era simbolo per me. C'è ancora, è stato ristrutturato, il muro a secco rinforzato, non ofre più alcun varco per la notte. Li chiamano fori di San Giuseppe In efetti foriscono nelle prime settimane di marzo corimbi larghi composti di forellini rosa, insignifcanti, ma nel tono squillanti, in contrasto con le foglie ampie, lucide, verde scuro, orlate da una seghettatura come un fronzolo su di una veste sobria. Amano pietre e rocce. Sono umiliati dai vasi. Si adattano solo a quelli in cemento di inizio novecento. Dettagli osservati nei primi cinque anni di vita. Poi, al mio primo lutto proprio in quei giorni di marzo, stupii che forissero ugualmente, in due ciotole grigie mai prima notate. Muti e non interpellati, circondati dal freddo, si intonavano al mio dolore. Ave Sono cresciuta piano, nella mia coscienza dominava lo stato di sogno, stato di immaginazione sempre aperto ai racconti che bevevo dalla bocca di mia nonna. Aveva una voce morbida e regolare, addolcita da una leggera cadenza trentina, e dalle mente zuccherose che serbava nella tasca per il momento in cui raccontava. Io su di uno sgabello ascoltavo e ascoltavo, le parole plasmavano. Mi domandavo e non cercavo risposta, mi nutrivo del mio stupore.