PIANO PER IL PARCO ALLEGATO “ATTIVITÀ ESTRATTIVE” Stralcio “aree contigue di cava delle Alpi Apuane” del Piano regionale integrativo per i materiali ornamentali RELAZIONE ILLUSTRATIVA 23 luglio 2002 INDICE RELAZIONE ILLUSTRATIVA Premessa p. 3 La metodologia di lavoro p. 5 Gli indirizzi seguiti p. 8 I fabbisogni desunti p. 13 I materiali ornamentali storici p. 17 Il Parco archeologico delle attività estrattive p. 19 La risorsa lapidea e le attività estrattive tradizionali p. 28 La valorizzazione dei materiali lapidei esclusivi delle Apuane p. 35 Appendice Schede di rilevamento e di valutazione della risorsa p. 36 2 PREMESSA La L.R. 11 agosto 1997, n. 65, al suo articolo 14 indica il Piano per il Parco quale strumento di attuazione con cui perseguire la tutela dei valori naturali ed ambientali dell’area protetta. La competenza pianificatoria del “Piano” non si limita al solo territorio perimetrato come Parco, ma si estende pure a quelle aree contigue in cui è previsto l’esercizio di “attività estrattive tradizionali”. Novità di rilievo nel panorama normativo delle aree protette è dunque il comma 2 dell’art. 14 sopra citato, che amplia i poteri dell’Ente Parco in termini di giurisdizione e disciplina, oltre gli artt. 12 e 32 della Legge quadro sulle aree protette (n. 394 del 6 dicembre 1991 e succ. mod. ed integr.). Viene qui infatti individuata una categoria particolare di area contigua, finalizzata alle cave di pietre ornamentali, in cui l’Ente Parco non ha bisogno di stabilire intese con altri soggetti istituzionali, per confini e direttive, nello specifico della materia trattata. La ragione di questa “anomalia apuana” nel sistema delle aree protette italiane è facilmente intuibile. E’ la diretta conseguenza sul piano legislativo di un’eccezionale concentrazione areale, spinta anche all’interno di un territorio di grande pregio paesaggistico e naturalistico, di attività estrattive rivolte ad una risorsa economica di notevole valore, il cui reperimento ha una continuità storica impensabile altrove. Non a caso, nelle Alpi Apuane si trova il 90% della produzione di lapidei della Toscana e il 40% del marmo estratto in Italia. I dati a nostra disposizione indicano come la produzione regionale, dominata dal comprensorio apuano, rappresenti il 20% del mercato nazionale dei lapidei, raggiungendo il 30 % nel solo settore degli ornamentali calcarei. Se si pensa poi che la L.R. n. 65/97 ha affidato all’Ente Parco la competenza territoriale sul 20% della produzione estrattiva delle Apuane, ne consegue la deduzione quantitativa della presenza, entro la stessa area protetta, del 18% e del 4% della produzione regionale e nazionale di lapidei, corrispondente al 5% dei calcarei ornamentali e all’8% dei marmi italiani. L’ “anomalia” sta tutta in queste cifre. Nel Piano per il Parco le attività estrattive godono dunque di uno status speciale che va oltre il divieto generale dell’apertura e dell’esercizio di cave nei territori protetti – come sancito dall’art. 11, comma 3, lettera b) della 394/91 – e sussiste indipendentemente dalla deroga a tale divieto, resa possibile dal successivo comma 4. Le cave possono dunque continuare la loro attività all’interno di perimetri definiti, con valore di area contigua, nel rispetto di norme ed indirizzi stabiliti dal Piano per il Parco, entro i termini di programmazione del Piano Regionale delle Attività Estrattive, di cui agli artt. 2 e 3 dell’ex L.R. 30 aprile 1980, n. 36 e succ. mod. ed integr. In effetti, il quadro di sviluppo economico-sociale, in cui si muovono le scelte estrattive del Piano per il Parco, è quello che sopravvive alla passata legislazione regionale in materia di cave e torbiere, il cui atto fondamentale – il P.R.A.E. appunto – ha trovato approvazione con la delibera del Consiglio Regionale n. 200 del 7 marzo 1995. Va ricordato che, pur limitato al solo Settore I, ovverosia ai materiali per usi industriali, il P.R.A.E. rimandava ad un successivo “Piano di Settore Integrativo per le pietre ornamentali” (art. 8), la programmazione di quella attività estrattiva riguardante più nello specifico le tradizionali escavazioni lapidee delle Alpi Apuane. Ecco dunque perché l’art. 21, comma 2 della L.R. 11 agosto 1997, n. 65, ordina al Piano per il Parco di desumere proprio da questo strumento integrativo per le pietre ornamentali – ancora in fase di definizione – i fabbisogni e gli indirizzi per la coltivazione delle cave in area contigua. In sintesi, le attività estrattive di competenza del Piano per il Parco trovano una loro disciplina con strumenti che ancora si rifanno soprattutto all’impostazione legislativa formale della 36/80, anche perché il successivo “Testo unico in materia di cave, torbiere e miniere” – di cui alla L.R. 3 novembre 1998, n. 78 – non ha ancora attivato i nuovi Piani (Regionali e poi Provinciali) delle 3 Attività Estrattive e di Recupero delle aree escavate e di riutilizzo dei residui recuperabili [detti rispettivamente P.R.A.E.R. e P.A.E.R.P.]. Nonostante questo vincolo formale verso la 36/80, i contenuti e le scelte del presente “Allegato” al Piano per il Parco sono prevalentemente ispirati alla nuova e successiva disciplina regionale in materia di attività estrattive. In effetti, dalla 78/98 ne è derivata quell’attenzione tutta particolare verso il recupero delle aree di escavazione dismesse e in abbandono, nonché una sensibilità spiccata per il riutilizzo dei residui provenienti dalle attività estrattive, anche al fine di minimizzare il prelievo delle risorse non rinnovabili. Tuttavia, la L.R. n. 36/80 presentava già elementi di salvaguardia e dettava alcuni criteri di cautela e di limitazione nei prelievi, indicando di definire scelte compatibili con i vincoli paesaggistico ed idrogeologico, con i programmi regionali di assetto del territorio e ricercando, “ove possibile e opportuno, soluzioni alternative”. A distanza di quasi venti anni, con la maturazione di una maggiore coscienza ambientale collettiva, la L.R. n. 78/98 ha implementano i richiami e le sollecitazioni verso politiche territoriali di tutela e salvaguardia. In effetti, all’art. 4 si dà mandato di individuare le risorse suscettibili di attività estrattiva, nel rispetto dei vincoli e delle limitazioni d’uso del territorio, mentre la stima della produzione dei materiali è obbligata pure a considerare il relativo potenziale di riutilizzo. I nuovi contenuti del Piano Regionale stabiliscono poi di subordinare i fabbisogni estrattivi ai principi dello sviluppo sostenibile, non prima di aver definito criteri di tutela delle risorse essenziali del territorio potenzialmente interessate dai processi di escavazione, incentivando – nel contempo – il recupero delle cave dismesse o in abbandono. La filosofia del presente “Allegato” al Piano per il Parco è tutta informata allo spirito della L.R. n. 79/98, il cui titolo “Testo unico in materia di cave, torbiere, miniere, recupero di aree escavate e riutilizzo di residui recuperabili” segna una netta differenza con quello della 36/80, limitato alla sola “Disciplina transitoria per la coltivazione di cave e torbiere”. 4 LA METODOLOGIA DI LAVORO La stesura del presente “Allegato” al Piano per il Parco delle Alpi Apuane ha potuto fruire, ad uno stadio avanzato di elaborazione, di una sintesi ragionata, sia normativa che cartografica, tra quanto si andava redigendo a livello regionale nel “Piano di Settore Integrativo per le pietre ornamentali” e il complesso degli elaborati dello strumento “normale” di pianificazione dell’area protetta. L’operazione non è stata sempre agevole in tutti i segmenti operativi, vuoi per i d iversi contesti in cui operano i due Piani, vuoi per l’utilizzo di linguaggi tecnici talvolta non completamente corrispondenti o sovrapponibili. Questione primaria d’impostazione ha riguardato quali contenuti e quale veste formale dover conferire a questo stralcio, non solo di settore produttivo ma pure territoriale del Piano Regionale delle Attività Estrattive, riguardante soltanto gli ornamentali e limitato alle aree contigue del Parco. La soluzione del problema è stata quella di non mischiare e non confondere le attività estrattive con le altre parti del Piano per il Parco. In altri termini, questa disciplina ha assunto una propria individualità specifica tra gli elaborati del Piano, conformandosi come un “Allegato” allo stesso strumento di pianificazione, in cui sono stati riuniti la relazione generale su fabbisogni e risorse, oltre alla parte normativa compresa nelle Norme Tecniche di Attuazione, nonché agli elaborati cartografici in scala corografica e di dettaglio. Seconda questione d’ordine generale è stata la definizione dell’ampiezza territoriale d’azione e di reperimento della risorsa estrattiva, al fine di costituire un limite di competenza tra l’attività del presente “Allegato” al Piano per il Parco e quella del “Piano Regionale di Settore Integra tivo per le pietre ornamentali”, in fase di contemporanea gestazione. Va detto che, in prima istanza, il gruppo di lavoro regionale ha attribuito alla competenza programmatoria del Parco unicamente le aree contigue di cava già individuate dalla cartografia della L.R. n. 65/97. Tale limite però - pur utile in una fase d’iniziale impostazione del lavoro - non poteva e non doveva condizionare, nello sviluppo del lavoro, la possibilità di definire una diversa ed eventualmente più ampia area protetta e contigua, in ragione della possibilità offerta dall’art. 1, comma 3 della stessa L.R. sopra detta. Già con deliberazione del Consiglio direttivo n. 6 del 22 febbraio 2000, è stato indicato di estendere il limite esterno dell’area contigua e così ampliare la superfi cie di “pre -parco” rispetto a quella riportata nella cartografia della L.R. n. 65/97. Così facendo sono state coinvolte nuove aree estrattive, non considerate dalla vigente perimetrazione e dunque riconducibili alla competenza del Piano per il Parco e, nel contempo, stralciabili dal campo di iniziale giurisdizione del “Piano ornamentali” regionale. Ancora rispetto alle definizioni delle superfici geografiche di riferimento del lavoro istruttorio, è sembrato opportuno riversare nella redazione del presente “ Allegato”, gli studi e gli elaborati cartografici che, conservati presso gli Uffici del Parco, hanno contribuito nel recente passato a ripetute attività di perimetrazione delle aree estrattive delle Alpi Apuane, anche esterne all’attuale Parco. Quanto sopra è riferito, in particolare: a) alla perimetrazione dei bacini marmiferi industriali dei Comuni di Carrara e di Massa, di cui all’art. 5, comma 2 della L.R. 21 luglio 1994, n. 52, successivamente approvata con deliberazione dell’Assemblea consortile del Par co, n. 20 del 5 ottobre 1994; b) alla perimetrazione delle “aree 2” destinate all’attività estrattiva, di cui all’art. 1, della L.R. 21 luglio 1994, n. 52, successivamente adottata con deliberazione dell’Assemblea consortile del Parco, n. 21 del 27 settembre 1995 e in seguito approvata con deliberazione del Consiglio Regionale della Toscana, n. 298 del 24 luglio 1997; c) all’allegato cartografico alla L.R. 11 agosto 1997, n. 65, che delimita le attuali zone di cava (area contigua). 5 Hanno inoltre contribuito alla fase conoscitiva pure gli studi applicativi, condotti e commissionati a suo tempo dall’E.R.T.A.G. e in gran parte desumibili dagli elaborati cartografici e dalle schede merceologiche dei marmi apuani del “Progetto Marmi” della Regione Toscana (1980). Con la definizione delle principali questioni d’impostazione del lavoro – relative ai contenuti e alla veste formale, nonché alla dimensione territoriale di riferimento – ha potuto finalmente dispiegarsi l’attività di elaborazione vera e propria del presente “A llegato”. Lo sviluppo metodologico si è articolato essenzialmente in due fasi, in modo coerente con le parallele attività istruttorie del Piano ornamentali regionale. Nella prima fase, in particolare, sono stati portati a termine le procedure e gli studi rivolti all’individuazione della risorsa, all’interno degli ambiti estrattivi già individuati in precedenti operazioni di perimetrazione e in quei bacini ulteriormente acquisiti con l’estensione dei limiti dell’area contigua. In una seconda fase hanno trova to spazio le valutazioni della risorsa, in modo ponderato tra esigenze di sfruttamento economico e ragioni di sostenibilità ambientale delle stesse attività di reperimento. Nel presente “Allegato” si omette di far riferimento al complesso di analisi e val utazioni sulle risorse ambientali, paesaggistiche e naturalistiche che si sovrappongono e fanno da cornice alle aree individuate come disponibili all’attività estrattiva. Va da sé l’osservazione che l’autonomia dell’ “Allegato” rispetto al Piano per il Par co serve soltanto per fini istruttori e per facilitare la lettura dell’attività estrattiva come tema rilevante e significativo. In effetti, le scelte pianificatorie sono state effettuate in stretto collegamento e all’interno del quadro di programma del Pia no per il Parco. In altre parole, tutto quello che qui non è scritto o riportato è rintracciabile o desumibile dal più generale e onnicomprensivo strumento di attuazione del Parco. Sarebbe stato dunque superfluo riportare qui – ad esempio – l’elenco delle invarianti strutturali, delle emergenze e di tutti quegli elementi della natura o componenti del paesaggio che sottolineano valori irrinunciabili, da sottoporre a vari gradi di tutela. Il confronto, tra ciò che può essere trasformato con l’attività di cava e ciò che va sottratto alla stessa, è stato continuo e sviluppato in ogni angolo del territorio posto sotto analisi. Ugualmente scontato è il fatto che le strategie del presente “Allegato” siano coerenti e conformi a quelle più generali del Piano per il Parco, così come riportate, nello specifico, nel paragrafo dedicato alla “gestione delle attività estrattive” della Relazione illustrativa. In effetti, è stato tenuto debito conto: a) della rilevanza, attuale e potenziale, delle attività estrattive e di quelle indotte e collegate, sia per il sistema apuano complessivo, sia per alcuni sistemi locali e minori; b) del radicamento storico e culturale della produzione marmifera, sia in quanto fattore decisivo di elaborazione paesistica, che ha conferito ai “paesaggi d el marmo” celebrità e visibilità internazionale, sia in quanto fattore identificativo di prestigiose tradizioni e culture tecnologiche e produttive; c) della consistenza dei giacimenti utilizzabili per la produzione di lapidei di elevata qualità, appetibile dal mercato internazionale; d) dell’impatto ambientale e paesistico, potenzialmente devastante, delle nuove tecnologie estrattive; e) dello sviluppo di attività di estrazione del tutto slegate dalle tradizioni e dalle specificità del territorio. Seguendo ancora le strategie del Piano, la valutazione delle scelte localizzative inerenti lo sviluppo delle attività estrattive e di quelle di lavorazione del materiale estratto ha considerato un insieme complesso di fattori. Si è partiti dal vagliare le condizioni geologiche, geomorfologiche ed idrogeologiche, nonché l’accessibilità e il livello infrastrutturale in atto, con la possibilità di razionalizzare l’utilizzazione delle risorse e dei collegamenti tra cave e luoghi della lavorazione, passando poi a considerare l’i nsieme degli impatti paesistici e ambientali. 6 La Relazione illustrativa del Piano per il Parco ha profilato due principali alternative di scenario, suscettibili di molte variazioni, per il prosieguo delle attività estrattive nelle aree contigue. In particolare, si tratta: a) del compattamento e sviluppo in profondità degli attuali bacini estrattivi, con un crescente ricorso all’estrazione “in galleria” a partire dagli attuali fronti d’attacco ed utilizzando il più possibile le infrastrutture esistenti, senza grandi cambiamenti nell’attuale organizzazione logistica ed evitando attentamente di diffondere gli sviluppi estrattivi in aree non ancora compromesse; b) della netta opzione per gli scavi “in galleria” a partire da nuovi fronti d’attacco tendenzialmente a bassa quota, concentrati su un asse al crinale principale, opportunamente scelto, da sviluppare con tecnologie più prettamente “minerarie” in parallelo al contenimento delle estrazioni a cielo aperto negli attuali bacini e con una progressiva modificazione dell’intera organizzazione logistica. Nella fase applicativa delle strategie di Piano, anche a seguito del definirsi più puntuale degli indirizzi politico-amministrativi (specificati nel capitolo che segue), è prevalso un atteggiamento di scelta più favorevole, nel breve termine, alla prima alternativa, lasciando la seconda in un campo di definizione sperimentale e di fattibilità ancora da sottoporre a verifica, a cui eventualmente accedere in una prospettiva di lungo periodo. 7 GLI INDIRIZZI SEGUITI La stesura del presente “Allegato” ha seguito diversi atti d’indirizzo e di direttiva tecnica, sia previsti dalla normativa vigente, sia definiti in sede politico-amministrativa per orientare l’attività di pianificazione del Gruppo di lavoro del Piano per il Parco. In prima istanza, è stato puntualmente recepito l’insieme di direttive discendente dalle Norme Tecniche d’Attuazione del redigendo “Piano Regionale Integrativo per i materiali ornamentali”, nella stesura ultima conosciuta del 2 ottobre 2000. In particolare, tali indirizzi si ritrovano all’art. 6, comma 3, delle N.T.A. di tale Piano per gli ornamentali e sono così esplicitati: a) individuare soluzioni localizzative e tecnologiche tese a valorizzare le risorse minerarie e a tutelare le risorse territoriali in genere; b) tutelare i materiali pregiati evitando l’esaurimento della risorsa; c) approfondire ipotesi di escavazione in sotterraneo, da assoggettare ad attente verifiche strutturali; d) recuperare le aree escavate dimesse e quelle interessate da ravaneti che presentino condizioni di degrado; e) tutelare i siti di archeologia industriale, quali lizze e ravaneti storici che costituiscono elementi qualificanti del territorio; f) individuare scelte di piano tese a tutelare la sicurezza dei lavoratori nella coltivazione delle cave. A questi, si aggiunge il contenuto dell’art. 8, comma 1 delle stesse N.T.A., in cui si stabilisce la tutela delle cave dei materiali ornamentali storici, in quanto risorsa di valenza territoriale, ambientale e paesaggistica, nonché luogo di reperimento di materiali unici indispensabili per il restauro dei monumenti. Ulteriori indirizzi presi in considerazione sono quelli presenti nell’Ordine del giorno del Consiglio Regionale della Toscana del 24 luglio 1997, deliberato a latere dell’approvazione della L.R. n. 65/97 istitutiva del nuovo Ente Parco. In tale O.d.G. veniva già richiesto l’impegno della Giunta Regionale a predisporre direttive – da applicare in sede di rilascio di Nulla osta autorizzativi e comunque utili a definire il quadro normativo del Piano e del Regolamento del Parco – secondo le condizioni qui di seguito sunteggiate: a) le modifiche morfologiche indotte dalla coltivazione non devono alterare le linee di crinale e di vetta; b) le modifiche morfologiche indotte dalle discariche non devono alterare permanentemente i compluvi e, in generale, il deflusso delle acque superficiali; c) è prescritta prioritariamente la coltivazione in galleria, mentre quella a cielo aperto è ammissibile solo a seguito di comprovata impossibilità di procedere in sotterraneo; d) la coltivazione in galleria deve essere effettuata in modo da evitare l’intercettazione di cavità naturali; e) l’eventuale intercettazione di cavità naturali non rilevate dagli strumenti dà luogo a modifiche del piano di coltivazione che garantiscano la conservazione dell’ambiente sotterraneo; f) le convenzioni, che regolano le autorizzazioni alle attività estrattive, tengono conto della fattibilità degli interventi, dell’impiego di tecniche di prospezione e coltivazione necessarie, dell’ammontare delle risorse indispensabili per i progetti di ripristino e per le procedure di controllo periodico. I due gruppi d’indirizzi sopra esposti hanno ricevuto una diversa valutazione nella stesura del presente “Allegato” al Piano per il Parco. In particolare, quell i discendenti dagli artt. 6 e 8 delle N.T.A. del Piano Regionale Integrativo per i materiali ornamentali, hanno assunto un valore 8 vincolante, mentre i contenuti dell’O.d.G. del Consiglio Regionale del 24 luglio 1997 sono stati considerati in termini soltanto orientativi. La scelta di una diversa ponderazione degli indirizzi regionali di cui sopra, è avvenuta in applicazione della direttiva contenuta nel punto 1) lettera a) del dispositivo della deliberazione del Consiglio direttivo n. 55 del 29 dicembre 2000. Inoltre, con quest’ultimo atto sono stati definiti ulteriori indirizzi utili per la redazione dello stralcio “aree contigue del Parco delle Alpi Apuane” del Piano Regionale delle Attività Estrattive, settore “pietre ornamentali”, quale collegato al Pian o per il Parco delle Alpi Apuane. In sintesi, degli indirizzi aggiuntivi, impartiti dal Consiglio direttivo, sono qui di seguito riassunti, selezionandoli tra quelli riferiti all’attività pianificatoria e di regolamentazione delle attività estrattive: 1. non devono essere previste nuove aree estrattive rispetto all’attuale perimetrazione, salvo operazioni limitate di ricucitura e razionalizzazione delle aree destinate a tali attività, oltre a quanto indicato al successivo punto 8; 2. è da stabilire la dismissione di alcuni bacini, cave o porzioni di siti in condizioni ambientali e paesaggistiche precarie e contrastanti; 3. l’attività estrattiva deve essere rivolta unicamente alla produzione di blocchi di lapidei ornamentali, mettendo in atto normative che escludano forme surrettizie di produzione di inerti o di polveri di carbonato di calcio; 4. i “bacini marmiferi industriali dei Comuni di Carrara e Massa” (recuperando lo spirito dell’art. 5, comma 2, della L.R. n. 52/94) vanno individuati come area di tutela di risorse naturali ed essenziali, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della L.R. 16 gennaio 1995, n. 5 e succ. mod. ed integr.; 5. bisogna stabilire un tetto estrattivo annuale totale per le aree contigue - comprensivo di materiale prodotto e scartato - non prevedendo ulteriori autorizzazioni o il rinnovo oltre il limite programmato; 6. sono da individuare due diversi tipi di zona contigua di cava, senza ulteriori e sostanziali ampliamenti di superficie complessiva rispetto alla situazione attuale. A fianco di una tipologia ordinaria non dissimile dall’odierna, è da localizzare un tipo di zona estrattiva speciale, in cui subordinare l’attività all’impiego di tecnologie meno impattanti e all’utilizzo contingentato della risorsa lapidea, da finalizzarsi a lavorazioni di qualità in loco; 7. vanno previsti incentivi economici e facilitazioni normative alle imprese estrattive che operino con procedure di certificazione di qualità e/o che sperimentino soluzioni innovative e a più ridotto impatto ambientale nella coltivazione dei lapidei, nell’accesso ai siti e nel trasporto dei materiali estratti; 8. nuovi bacini estrattivi rispetto agli attuali vanno riconosciuti soltanto – a seguito dell’estensione dell’area contigua fino al margine pedemontano delle Apuane – in quei siti di margine, non interclusi nel territorio protetto, attualmente in attività o in via di attivazione secondo i dati desunti dal P.R.A.E. e se contemporaneamente caratterizzati da materiali lapidei ornamentali tradizionali; 9. per la Pietra del Cardoso va individuata un’a rea sufficientemente ampia per consentire la rilocalizzazione delle cave attualmente in attività, in siti prossimi all’esaurimento e troppo a ridosso dell’omonimo centro abitato, attribuendo a quest’area il valore di zona prospezione, in cui individuare – con successivi studi di V.I.A. e di ricerca mineraria a basso impatto – un subcomparto di più limitata estensione, da rendersi disponibile alla rilocalizzazione complessiva di tutte le cave in dismissione; 10. il Piano non deve prevedere aree disponibili all’e strazione e alla rilocalizzazione della dolomia; 11. nei siti dichiarati in dismissione, le cave in regolare attività potranno terminare i piani di coltivazione, se autorizzati dai Comuni prima dell’adozione del Piano per il Parco. Sarà possibile autorizzare un successivo piano di coltivazione, con prevalenti interventi di 9 riqualificazione dei siti estrattivi e rinaturalizzazione dei ravaneti stabili, purché il termine delle attività non superi i cinque anni dalla data di approvazione del Piano per il Parco. In seguito saranno possibili soltanto interventi di conservazione, manutenzione, restituzione e rinaturalizzazione; 12. per i ravaneti posti in prossimità di cave in attività si conferma il divieto ad abbandonare ulteriore materiale lungo i versanti di discarica. I residui inerti della lavorazione dei fronti potranno essere usati solo per modellamenti funzionali all’attività di cava e per interventi di manutenzione e restituzione. E’ possibile lo stoccaggio provvisorio per quantità e tempi da definire, mentre è da vietare la rimozione di ravaneti rinaturalizzati; 13. la tutela e la valorizzazione dei materiali lapidei storici passa attraverso una sostanziale loro esclusione dall’escavazione, a cui si può eccepire - nell’area parco - soltanto per interventi puntuali finalizzati al restauro di monumenti o a produzioni artistiche e artigianali di pregio; 14. i materiali storici presenti in area contigua di cava devono rientrare nelle zone speciali con utilizzo sperimentale delle tecnologie, nonché uso della risorsa contingentata nelle quantità e finalizzata a lavorazioni di qualità in loco. Con successiva deliberazione del Consiglio direttivo, n. 8 del 10 maggio 2002, sono state apportate modifiche all’atto d’indirizzo sopra citato (n. 55 del 29 dicembre 2000), accogliendo diverse pre-osservazioni e proposte soprattutto di enti locali, che sono scaturite dal confronto sulla bozza di Piano licenziata nell’agosto 2001 ed inviata a tutti i soggetti istituzionali del territorio. Le principali modifiche sono qui di seguito riportate, mantenendo la stessa numerazione di cui sopra, al fine di poter operare un miglior raffronto: 1. è possibile prevedere un limitato numero di nuove zone contigue di cava rispetto all’attuale perimetrazione, purché la superficie complessiva di tutte le aree di Piano destinate alla coltivazione di lapidei non superi quella attualmente in vigore con la L.R. n. 65/97, escludendo comunque dal computo le zone cha vanno ad aggiungersi tramite quanto indicato al precedente punto 8; 11. nei siti dichiarati in dismissione, le cave in regolare attività potranno terminare i piani di coltivazione, se presentati dai Comuni prima dell’adozione del Piano per il Parco. Sarà possibile autorizzare un successivo piano di coltivazione “a chiusura”, con prevalenti interventi di reintegrazione e riqualificazione dei siti estrattivi e/o rimodellamento dei ravaneti, a fianco di una limitata estrazione di lapidei ornamentali, nei termini e con modalità analoghi al punto 3.4, ipotesi B, della deliberazione della Giunta Regionale n. 3886 del 24 luglio 1995 e succ. mod. ed integr., purché tutte le attività sopra dette abbiano la loro conclusione non oltre i cinque anni dalla data di approvazione del Piano per il Parco. In seguito saranno possibili soltanto interventi di conservazione, manutenzione, restituzione o rinaturalizzazione; 12. si conferma l’orientamento generale contrario all’abbandono dei detriti derivanti dall’attività di cava lungo i versanti di discarica. I ravaneti in uso ad una cava attiva devono essere serviti da infrastrutture viarie capaci di consentirne la rimozione una volta superati i limiti massimi di stoccaggio provvisorio, da definirsi in sede progettuale. I residui inerti della lavorazione dei fronti possono essere usati per modellamenti funzionali all’attività di cava e p er interventi di manutenzione e restituzione. E’ vietata la rimozione di ravaneti rinaturalizzati; 13. i materiali lapidei storici sono oggetto di specifica tutela e valorizzazione. La loro estrazione nelle aree contigue di cava deve essere contingentata e finalizzata a lavorazioni di qualità in loco. In area parco, i prelievi sono autorizzabili in deroga al divieto di escavazione, se consistenti in interventi puntuali, ambientalmente sostenibili e finalizzati al restauro di monumenti o a produzioni artistiche e artigianali di particolare pregio; 10 La deliberazione del Consiglio direttivo, n. 8 del 10 maggio 2002 aggiunge due ulteriori direttive per la redazione dell’Allegato “attività estrattive”, a cui si assegna dunque una numerazione di riferimento progressiva: 15. l’attività sperimentale di coltivazione in galleria, a profondità considerevoli, lungo passanti stradali, deve aver inizio dal collegamento ‘Arni-Arnetola’. L’attivazione di simile bacino estrattivo, una volta confermata la sua fattibilità progettuale e verificata la sua compatibilità ambientale: a) è finalizzato principalmente alla ricollocazione di cave in attività, con precedenza a quelle poste in contesti ambientali critici o prossime all’esaurimento. b) è rimessa alla variante generale di cui al successivo punto g), con definizione degli esatti perimetri, acquisiti pure gli elementi conoscitivi della campagna di rilevamento ivi specificata”; 16. una variante generale al Piano riguardante la perimetrazione delle aree estrattive deve essere prefigurata in termini programmatici dalle norme dello stesso strumento, una volta conosciuti i risultati della campagna di rilevamento, attualmente in corso a cura del Servizio Geologico Italiano e dalla Regione Toscana, e tesa a cartografare le varietà merceologiche dei lapidei apuani, nonché lo stato di fratturazione principale degli ammassi rocciosi. Rimane in ultimo da trattare la parte d’indirizzi stabiliti d’intesa con le Amministrazioni provinciali di Lucca e Massa-Carrara in materia di attività estrattive. Si tratta di una concertazione necessaria ma non obbligatoria ad una lettura attenta dell’art. 14, comma 4, della L.R. n. 65/97, che intende escludere tale materia (ad eccezione delle “altre” di cui all’art. 32, comma 1, della L. 394/91) dalla fase d’intesa con que sti soggetti istituzionali. Ai vari incontri bilaterali che si sono succeduti tra Parco e Province, ne è scaturita una piattaforma articolata che ha trovato evidenza in atti con la deliberazione del Consiglio di Gestione n. 73 del 13 novembre 1999. In estrema sintesi, il presente “Allegato” al Piano per il Parco ha adottato principi in materia di cave perfettamente coincidenti e compatibili con quelli dei Piani Territoriali di Coordinamento provinciali. La cosa è dimostrabile dal fatto che le direttive definite dal Parco, con la deliberazione sopra detta, sono state desunte alla lettera da quelle del P.T.C. di Massa-Carrara, a cui è seguita la successiva verifica del rispetto dei pochi e più generali indirizzi del corrispondente Piano della Provincia di Lucca. Si riportano per esteso questi indirizzi, escludendo quelli non riferibili alle pietre ornamentali, quanto piuttosto agli inerti e ai materiali usati per scopi industriali-tecnologici. In particolare, nella localizzazione e nell’esercizio delle attivit à estrattive, dovranno essere evitate: a) le interferenze con i deflussi delle acque sotterranee e con sorgenti utilizzate o potenzialmente utilizzabili per non modificare le risorse idriche esistenti; b) le modifiche al reticolo idrografico superficiale, anche in relazione alle aree di discarica (ravaneti) e ai tombamenti permanenti dei corsi d’acqua naturali; c) l’eccessivo avvicinamento degli scavi agli acquiferi per escludere situazioni di rischio d’inquinamento delle acque sotterranee; d) il pregiudizio degli ambienti ad elevato pregio dal punto di vista naturalistico e paesaggistico-ambientale (siti d’interesse comunitario, aree di rilevante valore ambientale dei P.T.C.); e) l’interessamento di versanti a franapoggio con pendenza degli strati inferiore a quella di pendio e di siti caratterizzati da franosità in atto o da condizioni di precaria stabilità. Relativamente ai depositi di materiali di scarto dell’attività estrattiva si dovrà tendere a privilegiare soluzioni che comportino il riuso degli inerti, oltre che tramite progetti di 11 risistemazione ambientale dei siti di cava che prevedano l’utilizzazione del materiale, anche per la sua commercializzazione, al fine di minimizzare il dimensionamento dei ravaneti. La realizzazione di questi ultimi dovrà essere suffragata da accertamenti di carattere geologico tecnico e dovrà evitare di compromettere importanti valenze ambientali e, in ogni caso, dovrà essere prevista la compensazione tra il materiale scaricato e quello asportato. In linea generale, i progetti di recupero e di risistemazione dei siti di cava, diversificati rispetto alle caratteristiche dell’attività estrattiva e della natura geologica e geomorfologica dello stesso sito, dovranno tendere alla sistemazione ambientale dell’area interessata in modo differenziato: • per le cave di materiali inerti, l’intervento dovrà essere orientato al recupero del preesistente aspetto dei luoghi; • per le cave di pietre ornamentali, l’intervento dovrà essere orientato alla messa in sicurezza del sito di cava, alla riqualificazione ambientale e funzionale dell’area in relazione al contesto paesaggistico-ambientale in cui è collocata. 12 I FABBISOGNI DESUNTI I fabbisogni, ai quali è soggetto il mercato del lapideo apuano, sono stati desunti, a norma di legge, dai dati e dalle tendenze rilevate dall’omonima Relazione del Piano Regionale Integrativo dei Materiali Ornamentali, analizzandoli alla luce dei criteri di sostenibilità ambientale, i cui principi sono da ritenersi alla base di qualsiasi atto di pianificazione di un’area protet ta. Nel rapporto sulle caratteristiche e sulle linee evolutive del mercato del lapideo toscano, la relazione regionale sui fabbisogni evidenzia in prima battuta la seguente caratteristica fondamentale: a fronte di una domanda che varia in virtù di molteplici fattori, l’offerta si presenta tendenzialmente costante e rigida. L’invarianza dell’offerta, ovvero la sua eventuale contrazione in quantità, è il dato di partenza per l’elaborazione dell’Allegato “attività estrattive” del Piano per il Parco, dipendendo ciò da ragioni di mercato, di produzione, nonché da vincoli normativi regionali e nazionali. Il Piano regionale integrativo dei materiali ornamentali ricostruisce i fabbisogni di lapideo secondo un duplice percorso di analisi: a) attraverso la rappresentazione dei dati statistici degli ultimi anni e la conseguente costruzione di modelli di proiezione per gli anni a venire; b) attraverso l’indagine diretta, effettuata presso gli operatori del settore (produttori, trasformatori, commercianti e operatori pubblici). I risultati, vista la complessità della materia, le peculiarità dei materiali (calcari, arenarie, ecc), le differenze tra mercato nazionale ed internazionale, non sono riconducibili a un quadro univoco, cui associare facilmente un trend positivo o negativo in senso assoluto. Nel primo percorso di ricostruzione dei fabbisogni, elaborato sulla base dei dati statistici e sulla costruzione dei modelli di interpretazione dei possibili sviluppi, si evidenziano in sintesi i seguenti accadimenti e tendenze: • nel decennio 1990/99, il consumo nazionale dei lapidei subisce una contrazione (legata in parte alla congiuntura sfavorevole che ha interessato l’industria edilizia), a fronte di un complessivo leggero aumento del consumo mondiale; • tra il 1990 e il 1997, in ambito toscano, si assiste ad una contrazione delle produzioni del granito e dell’alabastro, a fronte di una tenuta/incremento delle produzioni dei marmi bianchi e delle arenarie; • nell’analisi delle tipologie di impiego del materiale lapideo italiano, per l’a nno 1997, la percentuale maggiore è rappresentata da pavimentazioni e rivestimenti interni (46%), seguono le pavimentazioni e i rivestimenti esterni (13,5%), le scale e i lavori strutturali (13,5%), l’arte funeraria (12%) e altre tipologie di utilizzo (15%). Dall’analisi dell’industria delle costruzioni, direttamente influente sul consumo dei lapidei, emerge un quadro che confermerebbe alcune tendenze involutive. Considerando l’industria delle costruzioni scomponibile in attività settoriali e specialistiche, emerge il seguente quadro specifico: • l’ attività edilizia residenziale, che all’interno dell’industria delle costruzioni rappresenta la voce prioritaria, registra negli ultimi 20 anni un’involuzione il cui andamento negativo viene confermato anche nelle stime per il prossimo decennio; • l’ attività edilizia non residenziale, a fronte di un andamento ondivago degli ultimi decenni, registrerebbe una crescita per i prossimi 10 anni; • le opere pubbliche a fronte di una consistente involuzione, culminata nel picco negativo del 1994, sembrano essere interessate da una ripresa per i prossimi anni; • l’ attività di riqualificazione e di manutenzione si conferma come un’importante fonte di crescita per i fabbisogni dei lapidei: a fronte di un decremento delle nuove edificazioni si assiste necessariamente ad una consistente riqualificazione dell’esistente. In termini poi di 13 consumo, si deve considerare che il periodo medio entro cui una casa è sottoposta a consistenti interventi di manutenzione si sta, in certi casi, accorciando. Una considerazione a parte viene dedicata all’arte funeraria. Tale settore, relativamente indipendente dall’industria delle costruzioni, costituisce un’interessante fonte per il consumo di lapidei (si consideri a tal proposito l’incremento dei decess i e il tendenziale aumento degli investimenti medi dedicati alla cura delle sepolture), pur interessando solo il 12% del consumo generale. Nel secondo percorso di analisi, elaborato sulla base delle indagini dirette, rivolte agli operatori del settore, si evidenziano in sintesi i seguenti accadimenti e tendenze: • per il marmo bianco del comprensorio apuano si individua un utilizzo prevalentemente legato alla edilizia e si rileva la presenza di un mercato nazionale senza prospettive di crescita, mentre si conferma la tendenza favorevole del mercato internazionale. Si rileva inoltre la forte preponderanza dalla produzione di Massa Carrara (90%) rispetto a quella di Lucca (10%), sottolineando come la forbice tra le due produzioni provinciali si sia ulteriormente accentuata nel corso degli ultimi dieci anni; • per l’ arenaria, variamente prodotta in diversi siti regionali, si sottolinea come il materiale lavorato sia di provenienza quasi esclusivamente locale, ovvero non soffra della concorrenza rappresentata da materiali provenienti al di fuori della Toscana. I suoi utilizzi sono prevalentemente rappresentati dall’edilizia e dall’arredo urbano. Il mercato di riferimento è prevalentemente regionale e nazionale. Tale materiale non sembra risentire delle congiunture negative che investono l’edilizia residenziale, in quanto è per lo più legato al settore del recupero e restauro del patrimonio edilizio esistente. Dal punto di vista dei materiali apuani, le considerazioni riferite all’arenaria sono trasponibili alla pietra del Cardoso e ad altre eventuali pietre arenarie estratte in territori attualmente al di fuori delle competenze del Parco ma suscettibili di entrarvi nel caso del previsto allargamento della area contigua; • per i marmi colorati il piano regionale non contempla particolari approfondimenti conoscitivi. Le analisi sono limitate a situazioni singolari, difficilmente paragonabili e confrontabili con le condizioni apuane. Si evidenzia comunque un aspetto interessante e comune a tutti questi materiali, che è rappresentato dall’alto valore aggiunto che i marmi colorati possono acquisire nel caso in cui vengano promosse lavorazioni artigianali ed artistiche di pregio e se ne divulghino i valori e gli impieghi storici. Il Piano regionale integrativo per i materiali ornamentali giunge ad alcune considerazioni finali conseguenti alle analisi effettuate: • per il marmo bianco si conclude che il suo consumo non è immediatamente e direttamente legato alle componenti dell’industria delle costruzioni toscana, ma è correlato funzionalmente all’andamento del mercato mondiale, nel quale esso riveste una funzione fondamentale, sia in termini quantitativi sia in termini di qualità. Il buon andamento delle esportazioni è limitato comunque al materiale grezzo o semilavorato, mentre l’e sportazione dei lavorati è in calo. Si prevede dunque un incremento di produzione, del bacino apuano, da 1,5 milioni di tonnellate del 1997 a 1,8 milioni di tonnellate del 2008. • per l’ arenaria si conclude che il suo consumo è strettamente collegato al recupero edilizio e alla edilizia non residenziale, ovvero ad opere di abbellimento e ristrutturazione degli edifici pubblici, dei centri storici, delle piazze e dei lastricati, al cui rifacimento e manutenzione le pubbliche amministrazioni locali fanno sempre più ricorso. Si prevede quindi un incremento di produzione, per tutta la regione, da 150.000 tonnellate del 1997 a 200.000 tonnellate del 2008. • per i marmi colorati, in conseguenza di una mancata richiesta di questo materiale da parte del settore della edilizia residenziale, il piano regionale prevede una diminuzione dei fabbisogni. Il settore della edilizia non residenziale, entro cui i marmi colorati sembrano continuare ad avere un ruolo significativo, nonché le lavorazioni artistiche e artigianali di 14 pregio, non riescono a controbilanciare una tendenza che vede per il futuro una contrazione dei volumi estratti. Dopo una ricognizione sulla distribuzione ed articolazione territoriale delle attività estrattive in Toscana e nello specifico delle Alpi Apuane, il Piano regionale assume una prima ipotesi sui fabbisogni, indotta soprattutto da colloqui con gli Uffici tecnici dell’Ente, che ripropone il dato storico sulle quantità estratte di marmo in area di competenza del Parco, confermando il 20% del totale apuano (dato che la parte rilevante della produzione è circoscritta al Bacino marmifero industriale di Carrara e Massa). Quale propria considerazione critica, il Piano regionale indica il quantitativo del 20%, di cui sopra, un valore limite difficilmente raggiungibile nei prossimi anni, sia per l’impossibilità di reperire nuove aree estrattive in un tale contesto ambientale, sia per la naturale contrazione delle aree estrattive esistenti, dovuta alla fuoriuscita dalla produzione di alcune cave che operano ai limiti dei costi che il mercato può accettare. A fianco della precedente ipotesi, la Relazione sui fabbisogni del Piano regionale ne avanza una seconda, ritenuta forse più credibile, che contempla una flessione delle produzioni, principalmente per i comparti dell’area contigua del Parco, insieme ad “ una contrazione delle superfici stesse (pari alla metà) in conseguenza della fuoriuscita dalla produzione delle cave che operano ai limiti dei costi che il mercato può accettare”. In base ai dati disponibili, il Piano regionale rileva, ormai in atto, un fenomeno di progressiva dismissione di siti estrattivi, soprattutto nel versante interno delle Apuane, poiché le stesse cave sono prossime all’esaurimento della risorsa “appetibile” oppure tendono alla fuoriuscita dal mercato, per ubicazione e/o dimensioni, quantitativi estratti, qualità dei materiali, struttura imprenditoriale, costi dei trasporti, ecc. Per la redazione dell’Allegato “attività estrattive” del Piano per il Parco, si è fatto riferimento soprattutto alla prima ipotesi del Piano regionale o, più precisamente, ad uno scenario di sostanziale tenuta delle produzioni. Più recenti tendenze rilevate, a cura dell’I.M.M. S.p.A. di Carrara, nel “Censimento 2000” dell’industria lapidea e collaterale del comprens orio apuoversiliese, fotografano “un contesto di generale diminuzione dell’attività di cava”, da intendersi non tanto come quantità di escavato, ma come specializzazione produttiva unica aziendale. In effetti, la serie storica dei dati statistici evidenzia un calo progressivo e sensibile del numero di aziende di sola escavazione, senza distinzione significativa nelle varie sub-aree geografiche delle Alpi Apuane. Rimangono sul mercato e continuano nelle loro attività le aziende anche con escavazione, confermando pure nel settore del lapideo come vincente sia chi privilegia la filiera rispetto alla specializzazione produttiva. Il rapporto dell’I.M.M. S.p.A. conclude la sua analisi sottolineando come, “nonostante i cambiamenti intervenuti nelle tecnica di esca vazione e nella tecnologia ad essa applicata, le quantità di escavato utile non si sono modificate, almeno ufficialmente, nel corso degli ultimi anni, mentre nel frattempo sono diventati realmente operativi alcuni cambiamenti a lungo annunciati, che vanno dalla gestione della sicurezza a quella del rispetto ambientale, alla sperimentazione ed entrata in produzione di tecniche innovative, ancor più che di macchinari”. * * * Ad ogni modo, gli obiettivi di uno strumento di pianificazione di un’area p rotetta di dimensione locale, anche per quanto riguarda le attività estrattive, non possono ragionevolmente prefiggersi di modificare e/o interagire con i fattori che producono le macroeconomie, ormai tutte fortemente globalizzate. Buona parte della produzione e del consumo del marmo apuano risponde a leggi economiche che trascendono i limiti locali, regionali e pure nazionali, e pertanto sono aliene da qualsiasi principio di sostenibilità ambientale (intendendo come sostenibile lo sviluppo le cui ricadute sono direttamente percepibili nell’ambito territoriale che lo produce). Pur tuttavia la stessa Relazione sui fabbisogni elaborata per il Piano Regionale dei materiali ornamentali, entrando nello specifico delle diverse categorie merceologiche di lapidei, permette di intravedere 15 spazi in cui tentare operazioni di orientamento del mercato, magari per piccole quantità, con limitati effetti, forse solo per specifici e particolari tipi di materiali. Di sicuro è cosa ardua pensare di poter agire strutturalmente sui fabbisogni e sulle produzioni del marmo bianco, poiché si tratta di gran lunga del più importante materiale calcareo non solo del bacino apuano. La Relazione sui fabbisogni ha più volte sottolineato la stretta correlazione che questo materiale stabilisce con le macroeconomie del pianeta. Inoltre, la presunta crescita, nell’immediato futuro, dei fabbisogni di marmo bianco presenta più di un’eccezione già nei documenti di fonte regionale, in cui si trova scritta questa previsione generale. In effetti, non mancano riferimenti preoccupati all’andamento incerto del mercato mondiale, alla brusca inversione nelle quantità estratte nelle ultime rilevazioni annuali e alla progressiva dismissione in corso di siti estrattivi (con specifico riferimento alle Apuane). Per altro, appare discutibile, in termini macroeconomici, far sempre coincidere un’eventuale aumento della domanda con un corrispondente aumento della quantità offerta, senza giocare sulla dinamica dei prezzi. A fronte della ineluttabile tendenza che vede la progressiva sottrazione di questa preziosa risorsa, si ritengono comunque attivabili, da parte delle pubbliche amministrazioni locali, alcuni piccoli interventi correttivi che abbiano almeno il fine di arricchire formalmente il nostro territorio, tramite la presenza di tale prezioso materiale. Per quanto riguarda l’ arte funeraria, che come abbiamo visto rappresenta un settore importante per determinare i fabbisogni del lapideo, preme ricordare il fortunato esempio rappresentato dal cimitero monumentale di Brescia. Tale complesso, costruito come tutti i grandi cimiteri italiani nei primi anni del secolo XIX, deve la sua bellezza e la sua unicità al fatto di avere realizzato tutte le sepolture, dalle più modeste alle più sontuose, con un medesimo tipo di marmo che si trova in loco: il botticino. Un intelligente regolamento cimiteriale, redatto dallo stesso progettista nel XIX secolo e mai modificato, ha reso possibile il miracolo: uno spazio in cui il legittimo desiderio di differenziarsi si realizza con le forme ed i volumi, tenendo invariati colori e materiali. L’aver bandito graniti colorati e stravaganti marmi esotici ha salvaguardato sicuramente la qualità dell’ambiente cimiteriale e forse anche un poco dell’economia estrattiva locale. Adottare regolamenti cimiteriali che impongano l’uso dei marmi locali risponderebbe a criteri estetici, di sacralizzazione di un materiale tanto importante, nonché di ulteriore valorizzazione economica dello stesso. Per quanto riguarda l’ arredo urbano valgono considerazioni analoghe alle precedenti. Gli studi sulle applicazioni del marmo come materiale di arredo delle città non sembrano mai bastanti ed approfonditi se riferiti ad un comprensorio che ha fondato la propria fortuna su questo materiale. Lo studio di applicazioni innovative e l’adozione di regolamenti edilizi che diffondano l’uso dei lapidei apuani, dovrebbero essere obiettivi prioritari di ogni amministrazione locale del nostro territorio. Per finire, le pietre arenarie in generale e la pietra del Cardoso (con l’ ardesia apuana ad essa collegata) in particolare, possono produrre economie più sostenibili, nell’ottica di un’area protetta, rispetto a quelle prodotte dal marmo bianco, per diverse ed evidenti ragioni, a partire dal minore impatto ambientale e paesaggistico realizzato. La Relazione sui fabbisogni ha ben precisato che tali lapidei sono caratterizzati da una produzione e un consumo locali, che difficilmente travalicano i limiti regionali. L’ipotesi di un’attività estrattiva che più che sottrarre risorse a d un territorio, provvede a spostarle da un sito di origine ad un vicino luogo pubblico, quale la piazza o il lastricato stradale di un centro storico, è certamente più condivisibile in termini di sostenibilità ambientale e valorizzazione delle risorse. L’ uso delle pietre arenarie come elementi di arredo urbano e di valorizzazione dei centri storici produce un modello di sfruttamento della risorsa lapidea certamente più sostenibile, in termini ambientali, rispetto a quanto accade con il consumo, sempre più frequente, di piastrelle di marmo per il rinnovo periodico di rivestimenti e pavimentazioni interni alle residenze e agli spazi commerciali; consumo che sembra risentire eccessivamente, dei ritmi frenetici imposti dal mondo della moda. 16 I MATERIALI ORNAMENTALI STORICI Il Piano regionale integrativo per i materiali ornamentali dedica ai materiali ornamentali storici tutta la seconda parte della Relazione sui fabbisogni. In accordo sostanziale con la definizione riportata in tale contesto, vanno sicuramente considerati tali quei litotipi non più estratti, sia per l’esaurirsi delle risorse conosciute, sia per sopraggiunti motivi di carattere ambientale che, legati alla localizzazione della cava, impediscono la prosecuzione dell’attività estrattiva. Aggiungeremmo volentieri un’altra ragione per spiegare la loro scomparsa dal mercato, invocando il mutamento nei gusti e nelle mode, che in determinati periodi hanno premiato ed in altri invece punito alcuni di questi ornamentali. Nella categoria degli “storici” a ndrebbero poi aggiunti quei litotipi, dal passato illustre e documentabile, la cui produzione è oggi ridotta ai minimi livelli, conservandosi soltanto in termini di economia di nicchia, talvolta con apprezzamenti soltanto locali. Nelle comprensorio delle Apuane, dove l’attività di cava ha avuto più di altrove continuità ed intensità nel tempo, a fianco delle pietre universalmente conosciute e diffuse, sono state tentate anche altre escavazioni, non sempre minori, grazie alle competenze tecnologiche e alla presenza nel territorio di imprese interessate ad ampliare la gamma estrattiva. Ecco dunque perché in questi luoghi eletti della cultura del marmo possono ancora sopravvivere simili escavazioni, che rispondono ad una domanda capace di apprezzare l’esclusivi tà del prodotto, nonostante la generale massificazione ed appiattimento del mercato. Il Piano regionale è convinto che l’impiego di questi materiali possa andare oltre le “attività di conservazione attiva del patrimonio edilizio storico”, seguendo quella t endenza indotta all’ampliamento progressivo della domanda, che passa “dalle emergenze architettoniche ai tessuti urbani, dagli edifici di antica costruzione a quelli di datazione più recente”. Un impiego non solo finalizzato al recupero e al restauro del patrimonio architettonico monumentale, ma pure rivolto a quella parte dell’edificato di valore storico, senza caratteri d’emergenza e di singolarità tipologica, da cui tentare l’aggancio verso le nuove costruzioni di pregio e di distinzione sociale. La Relazione sui fabbisogni del “Piano ornamentali” propone scenari ottimistici sul futuro impiego dei materiali storici in interventi sul patrimonio edilizio, monumentale ed edilizio storico, non tralasciando di considerare la domanda proveniente dal settore specializzato del restauro, per il tramite della spesa pubblica. Per l’impiego dei materiali storici, la stessa Relazione individua due distinti mercati: a) il mercato del restauro monumentale per le sostituzioni dei materiali degradati nelle emergenze monumentali ed architettoniche, in cui le quantità in gioco sono assai modeste per l’impostazione dominante in Italia di sostanziale non sostituzione del materiale lapideo deteriorato, spesso rappresentato da litotipi rari e non più estratti; b) il mercato del recupero urbano per il rifacimento soprattutto di strutture viarie, manufatti e arredi collegati, che comporta impieghi di litotipi ancora estratti, anche se di caratteristiche qualitative talvolta differenti dai materiali sostituiti del passato. La Relazione sui fabbisogni del Piano ornamentali segnala la necessità di reperire alcuni tipi di materiali storici ritenuti indispensabili per il restauro monumentale. Tuttavia, nell’elenco delle 14 varietà riconosciute come “utili” mancano del tutto i litotipi riferibil i al comprensorio apuano, se non nella generica definizione del “Rosso ammonitico” e del “Calcare cavernoso in diverse colorazioni”, che risultano reperibili anche in altri e più luoghi della Toscana. Nonostante che la Relazione tecnica del Piano Regionali li abbia per gran parte individuati, è singolare che la Relazione sui fabbisogni abbia poi tralasciato alcune pietre che hanno contribuito in modo notevole alla produzione di monumenti, soprattutto in edifici religiosi, ma pure in palazzi e in opere scultoree. Si pensi alla diffusione e alla fama raggiunta, dal XVI sec. in poi, dalle brecce 17 policrome di Stazzema, sotto i vari nomi di medicea, africana, persichina, varicolore, ecc., che hanno letteralmente invaso le cento e più capitali dell’Italia preunit aria. Al di là di questa imperdonabile dimenticanza della Relazione sui fabbisogni, bisogna aggiungere altri materiali apuani hanno goduto in passato di un’eco non solo locale, da far rivendicare a loro un posto sicuro nell’elenco dei litotipi necessari al restauro monumentale. In prima battuta, la citazione è doverosa per il Nero di Colonnata, coevo e spesso sostitutivo del Portoro di Portovenere, nonché per il Paonazzo di Carrara, il cui nome richiamava omonimi e somiglianti marmi dell’Antichità romana. Un elenco dei materiali storici apuani, riconosciuti pure dal Regolamento del Parco, è riportato nella tabella che segue. Si tratta, nella sostanza, di un insieme eterogeneo di ornamentali colorati, che hanno avuto la loro massima consacrazione dal tardo Rinascimento, nell’età del Barocco e, più recentemente, nei decenni a cavallo tra il XIX e XX secolo: Materiali storici Aree indicative di reperimento Bardiglio fiorito Breccia imperiale Breccia arlecchina Breccia di Metato Breccia di Seravezza s.l. (B. africana, B. cenerina, B. medicea, B. paonazza, B. persichina, B. varicolore, B. violetta, Skyros Italia, ecc. - talvolta denominate anche “mischi”) Corallo rosa Cipollino apuano (o Verde apuano) Stazzema (Mulina, Piastraio, M. Alto) Minucciano (Acquabianca, Orto di Donna) Stazzema (Fornetto, La Risvolta) Camaiore (Metato) Seravezza (La Polla), Stazzema (Piastraio, Petarocchia, C. Oreto, Sullioni, M. Corchia), nonché a Massa (Renara, Manico del Paiolo, M. Tallino) Fior di pesco Giallo liberty Giallo di Renara Giallo di S.Croce Mischio carnicino Mischio nero Nero di Colonnata Nero (o Portoro e Portargento, anche brecciato) di Castelpoggio (o Carrara) Nero (o Portoro e Portargento, anche brecciato) del Lucese (o di Camaiore) e di Pescaglia Nero di Pescina-Boccanaglia Paonazzo Paonazzetto Persichino zonato rosso Rosso Camaiore (o del Lucese) e di Pescaglia Rosso di Gragnana Vagli Sotto (S. Viano) Careggine (Isola Santa, Colle di Capricchia), Minucciano (M. Tombaccio-Gorfigliano), Stazzema (Volegno, Pruno, Cardoso, Canale delle Fredde, Campagrina, Arni), Vagli Sotto (S. Viviano, Arnetola, Fontana Baisa) Massa (Colle delle Scope, Renara), Seravezza (Retroaltissimo), Stazzema (M. Corchia) Stazzema (La Risvolta) Massa (Renara) Carrara (Codena) Stazzema (M. Matanna) Stazzema (S. Rocchino) Carrara (Colonnata) Carrara (Ponte Storto, Padula, M. D’Arma, La Foce), Fivizzano (Ragiolo di Tenerano) Camaiore (Lucese, Versona, Rio dei Colli), Pescaglia (Ribuio, T. Pedogna, Botro di Ritrogoli, M. Rondinaio) Carrara (Pescina-Boccanaglia) Carrara (Boccanaglia, Crestola) Carrara (Boccanaglia) Massa (Brugiana), Stazzema (Buca della Vena) Casola in Lunigiana (Pedignoni) Camaiore (Lucese), Pescaglia (T. Pedogna) Carrara (Gragnana, Castelpoggio) 18 Rosso o Rosato di Vinca Rosso rubino Rosso Sforza Rosso e Violetto antico di Castelpoggio Fivizzano (Vinca) Stazzema (La Risvolta) Montignoso (Castello Aghinolfi) Carrara (Castelpoggio) Dall’esperienza acquisita in questi ultimi anni, si conferma che è in aumento la domanda dei materiali rari, che vengono oggi soprattutto reperiti con il contributo – talvolta sommerso – di collezionisti, ricercatori di pietre ed artigiani restauratori, capaci di recuperare piccole quantità nelle antiche cave dismesse. Il problema è quello di sostenere questa tendenza, se riportata alla luce del sole ed utile ad interventi di restauro di monumenti e soprattutto di recupero di memoria storica e di cultura del marmo. In accordo con la Relazione sui fabbisogni, è necessario comunque accumulare prima i residui giacenti nei depositi per costituire una riserva di pronto intervento e, nel contempo, concedere limitate autorizzazioni ad estrarre nuove quantità degli stessi litotipi, al fine di rispondere ad una domanda crescente sulla base di accurate analisi giacimentologiche. 19 IL PARCO ARCHEOLOGICO DELLE ATTIVITÀ ESTRATTIVE La L. 23 dicembre 2000, n. 388, al suo art. 114, comma 15, ha promosso l’istituzione del “Parco archeologico delle Alpi Apuane”, al fine di conservare e valorizzare gli antichi siti di escavazione e i beni di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale, connessi con l’attività estrattiva. Tale “Parco” è da istituirsi con decreto del Ministro dell’Ambiente, d’intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali e con la Regione Toscana, individuando i siti e i beni di rilevante valenza di testimonianza storica, culturale e ambientale connessi con l’attività estrattiva, nonché gli obiettivi per il recupero, la conservazione e la valorizzazione degli stessi siti e beni. L’individuazione di siti, beni ed obiettivi di cui sopra è stabilita dal citato decreto del Ministro dell’Ambiente anche d’intesa con i comuni interessati e, per il territorio del Parco Regionale delle Alpi Apuane, d’intesa con l’ente di gestio ne della medesima area protetta, ai sensi del successivo comma 16, dell’art. 114 della L. 388/00; Bisogna innanzitutto considerare come l’attività estrattiva abbia profondamente segnato il paesaggio e la cultura del territorio delle Alpi Apuane, in oltre duemila anni di storia, di modo che diversi quadri ambientali sono oggi spesso la risultante complessa ed un articolato intreccio tra le formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche costituenti il patrimonio naturale, e le opere di trasformazione antropica discendenti dalla coltivazione degli agri marmiferi. Dal punto di vista storico, l’attività estrattiva tradizionale e dominante delle Alpi Apuane, che ne ha maggiormente caratterizzato i tratti paesaggistici e condizionato lo sviluppo economico e sociale, è stata da sempre quella rivolta ai lapidei, anche perché le attività minerarie propriamente dette hanno giocato, nel tempo, ruoli non così rilevanti come l’escavazione dei marmi, da cui la diffusa e collettiva associazione dell’oronimo “Ap uane” con i soli materiali ornamentali. Nei secoli, l’escavazione dei lapidei apuani ha sempre ricercato un suo naturale sviluppo in attività di prima e successiva lavorazione dei materiali estratti, spesso in luoghi del comprensorio non coincidenti con la cava, costituendo una filiera che talvolta ha trovato esiti di valore nelle produzioni artistiche ed artigianali di pregio, come ne sono testimoni i manufatti e le opere disseminati in ogni angolo del mondo per mano e ingegno di nomi prestigiosi della storia dell’arte. Volendo recare un contributo interpretativo del più reale significato di questa nuova istituzione, si sottolinea come la definizione di “archeologico”, per l’istituendo Parco delle Alpi Apuane, vada oltre il significato comune e abituale che si conferisce al termine, non dovendosi qui soltanto intendere i siti e i beni - comunque presenti e giunti fino a noi come tracce e reperti - che l’attività estrattiva ha prodotto dall’Antichità al Medioevo, ma pure l’insieme di testimonianze ed emergenze storiche, culturali e ambientali (anche nei loro aspetti tecnologici e geominerari), che hanno contraddistinto le vicende estrattive delle Alpi Apuane, nell’età protoindustriale ed industriale fino ad un recente passato, quale segno di una continuità storica unica nel suo genere. Pertanto, il Parco archeologico dovrà avere il precipuo compito di tutelare i siti e i beni d’interesse archeologico connessi con l’attività estrattiva, secondo l’accezione di cui sopra, all’interno di una più vasta attività di salvaguardia del paesaggio minerario e soprattutto del delicato e prezioso paesaggio naturale di cornice, su cui già intervengono le azioni di protezione e conservazione del Parco Regionale delle Alpi Apuane. L’oggetto di tutela principale sono i siti e i beni connessi all’attività estrattiva dei lapidei, mentre i segni, i documenti e le testimonianze dell’impresa mineraria costituiscono interesse del Parco archeologico solo nel caso in cui sia possibile scorgervi un particolare rilievo rispetto al panorama estrattivo nazionale, inteso nella sua dimensione storica, oppure quando l’attività di miniera ha avuto, per determinati periodi, collegamenti e azioni sinergiche con l’escavazione dei materiali ornamentali. Tuttavia, l’insieme dei siti e dei beni “arche ologici” non può limitarsi alle 20 aree estrattive tal quali dei lapidei apuani, ma deve necessariamente ricomprendere i ravaneti, le vie di lizza, le sistemazioni dei versanti, le opere stradali e ferroviarie, le segherie, i laboratori e i depositi, nel caso emerga un loro ponderabile valore documentale e soprattutto quando siano testimonianza evidente di specifiche età e momenti culturali, oltre che segni della frequentazione o del passaggio in zona di personalità eminenti del mondo dell’arte e della cultura . In ultimo, va fatto un accenno ai possibili obiettivi di gestione che il Parco archeologico dovrebbe porsi. A fianco della più generale offerta verso un turismo culturale e ambientale di settore, va inserita pure la valorizzazione di alcuni utilizzi sostenibili dei lapidei apuani, che concorrano ad un modello di sviluppo fondato sulla qualità delle lavorazioni, in senso soprattutto artistico ed artigianale di pregio, con la riscoperta dei materiali storici ai soli usi del restauro filologico e della conservazione attiva del patrimonio edilizio storico, attribuendo così maggiore valore aggiunto ai prodotti lavorati, in una prospettiva di contenimento progressivo delle quantità estratte. * * * La stesura dell’elenco che segue, relativo ai siti e ai beni di rilevante valenza e testimonianza storica, culturale e ambientale connessi con l’attività estrattiva, ha avuto i seguenti e fondamentali criteri di selezione: 1) il Parco archeologico si riferisce, almeno in prima istanza, al solo settore dei lapidei ornamentali apuani e del marmo in particolare; 2) l’archeologia dei lapidei apuani comprende sia le tracce ed i reperti dell’attività estrattiva, dall’Antichità al Medioevo, sia l’insieme di testimonianze ed emergenze storiche, culturali ed ambientali (anche nei loro aspetti tecnologici e geominerari) che hanno contraddistinto le vicende estrattive delle Alpi Apuane, nell’età protoindustriale fino ad un recente passato 3) nell’individuazione dei siti e dei beni: a) si è evitato di stabilire sovrapposizioni ed interferenze dirette con le attività estrattive in esercizio; b) sono stati coinvolti il maggior numero di Comuni dell’area apuana, con una distribuzione su di un più vasto territorio possibile; c) è avvenuta una prima distinzione di diverse tipologie di siti e beni, all’interno delle quali si è operata una scelta di pochi esempi tra quelli più significativi; d) è stato applicato il principio della riconoscibilità e dell’apprezzamento pubblico dei siti e dei beni, al fine di consentire un’immediata e diffusa percezione identificativa del Parco archeologico; La proposta di siti e di beni da inserire nel Parco archeologico delle Alpi Apuane è contenuta nella tabella che segue: 21 N. Siti e Beni Comune Elementi distintivi 1 Cava romana di Fossacava e “piano inclina to” dei Campanili Carrara 2 Cava romana del Bacchiotto Carrara 3 Caesura de La Tagliata e bastionature a secco Carrara 4 Area estrattiva di SpondaZampone e tagliate di Crestola Carrara Cava del bacino di Colonnata, probabilmente in esercizio già dal I secolo a.C., come testimonia il rinvenimento, al suo interno, di una statuetta di Artemis-Diana risalente a quel periodo. E’ il sito estrattivo “lunense” che prese nta la maggior ricchezza di testimonianze archeologiche rilevabili in un unico contesto minerario. Il complesso estrattivo comprende numerose tagliate, trincee, pozzi e preparazioni minerarie, che fanno del sito la più grande cava romana di marmo esistente in Italia. Dalla tipica forma “ad anfiteatro”, vi si estraeva la varietà lapidea ‘nuvolato’, dal colore di fondo grigio, più o meno sfumato. E’ contiguo al sito e quindi collegabile con esso, in un percorso integrato di fruizione, il “piano inclinato” dei Campanili, già utilizzato nel primo ‘900 per il trasporto meccanico di blocchi di marmo. Cava di marmo ‘venato’ e ‘pavonazzetto’ coltivata in età imperiale nel bacino di Colonnata lungo l’antico percorso della via Car riona, che congiungeva le zone di estrazione con le città di Luni prima e di Carrara poi. Si rinvengono qui trincee e caesurae di epoca romana, come pure tagliate del tipo “a fasce alternate” di epoca post -medievale. Attualmente il sito è in parte ricoperto da terra e detriti di lavorazione. Il nome del luogo deriva dalla presenza di una grande caesura, la più estesa delle cave lunensi, che si conserva in buono stato, con evidenti linee di taglio “a f estone”. Nel sito è stata ritrovata anche un’ara votiva dell’età di Traiano. La cava posta nel bacino di Miseglia si caratterizza pure per la presenza di una vasta bastionatura dei primi del ‘900, con muretti a secco, a forme alternate concava e convessa, idonee a garantire la maggiore resistenza ed elasticità nel contenimento del versante. Area estrattiva sita all’imbocco del bacino di Torano; è stata tra le prime ad essere utilizzata, in epoca romana, per gli affioramenti di marmo ‘statuario’ e per la facilità d’accesso e la minore distanza dalla pianura. Numerose risultano le testimonianze delle antiche lavorazioni, tra le quali le tagliate di Crestola (romane e rinascimentali), poste sulla destra idrografica del Fosso di Torano. Nell’opposto versante vallivo, ora in gran parte ricoperto di detriti marmorei, si trovano i luoghi estrattivi dello Zampone, antica proprietà del vescovo-conte di Luni, nonché quelli di Sponda, da cui proviene il marmo del tabernacolo di Andrea Orcagna (1355-59) in Orsanmichele a Firenze. 22 5 Complesso estrattivo degli Scaloni Carrara 6 Cava di villa Fabbricotti (o della Padula) Carrara 7 Stazioni della Ferrovia Marmifera (RavaccionePolvaccio, Fantiscritti, Tarnone) e Ponti di Vara Carrara E’ un complesso estrattivo del bacino di Miseglia, attivo dal secolo XIX fino a metà del ‘900; che comprende fronti d’escavazione a cielo aperto, lavorazioni in sotterraneo, edifici di servizio con muratura in marmo, bastioni e muri a secco per il contenimento dei detriti, nonché un “piano inclinato” per il trasporto tramite argano delle “cariche” dei blocchi predisposte in cava. Rappresenta una delle poche aree di cava che ha conservato un paesaggio minerario tradizionale ed ancora integro, oltre che di facile accesso dal “poggio caricatore” di Fantiscritti. Nel parco della villa della Padula, già residenza della famiglia Fabbricotti, ed ora area pubblica destinata anche a promozione culturale, sono presenti le tracce di una cava ottocentesca. Si tratta di un sito estrattivo precedente all’introduzione del filo elicoidale che, aperto in un livello simil ‘portoro’ nel calcare massiccio, è stata utilizzato per l’edificazione dello stesso complesso abitativo. Nell’area di Carrara, questa cava costituisce anche un esempio inconsueto di escavazione lapidea non strettamente marmorea. La “Ferrovia Marmifera Privata di Carrara” era la linea ferrata che, costruita tra il 1876 e il 1890, consentiva di congiungere, fino al 1964, il porto di Marina e la stazione di Avenza con la città e i bacini marmiferi a monte, per complessivi 21,9 km di sviluppo. Grazie alle soluzioni tecniche utilizzate (per il superamento dei dislivelli esistenti e con la realizzazione di arditi viadotti e di gallerie lunghe anche più di un chilometro), risulta essere una delle opere ingegneristiche italiane più originali ed impegnative del secolo XIX. Di particolare interesse storico risultano ancora le stazioni di arrivo ai “poggi caricatori”, dove i marmi calati dalle cave lungo le “vie di lizza” passavano direttamente al trasporto ferroviario. Nel “poggio” di Ravaccione, presso il bacino di Torano, oltre agli edifici di servizio, in stato di abbandono, è presente una gru a ponte che consentiva il carico sui carrelli ferroviari. La stazione si affaccia sulla cava del Polvaccio, conosciuta anche con il nome di “cava Michelangelo”, per il documentato utilizzo in epoca rinascimentale del suo ‘statuario’. L’area estrattiva era già conosciuta in epoca romana, poiché da essa è stato ricavata la Colonna Traiana. La stazione di Fantiscritti, nel bacino di Miseglia, è già organizzata come punto di informazione e di accoglienza ai numerosi turisti in visita alle cave. Al di sopra dell’imbocco della galleria che conduce a Ravaccione, sono presenti tagliate d’epoca romana (Bocca di Canalgrande). Il nome di Fantiscritti deriva dal famoso rilievo, d’età Severiana (III sec. d.C.), scolpito sulla parete marmorea dell’omonima cava e raffigurante tre divinità (‘fanti’) con dedi ca in latino (‘scritti’). Infine, la stazione del Tarnone, nel bacino di Colonnata, si trova in prossimità della cava romana di Fossacava. Tra i beni censiti sono compresi pure i Ponti della “Marmifera” in località Vara. 23 8 Laboratorio Nicoli Carrara 9 Via dei cavatori di Vinca, “via di lizza” e teleferica (resti) del Balzone Fivizzano 10 Via Vandelli e “vie di lizza” del Padulello, Focolaccia e Mandriola Massa 11 Cave e “via di lizza” degli Alberghi Massa Situato a Carrara, in Piazza San Francesco, nel centro cittadino, è stato costruito nel 1878 ed ancora oggi è in attività. Il Laboratorio Nicoli costituisce la migliore testimonianza storica della tradizione artigianale nel campo della statuaria e dell’oggetti stica in marmo. Lo stabile, appositamente progettato, riunisce la lavorazione del marmo ed i modelli (al piano terra) con l’abitazione del proprietario (al piano superiore), secondo l’antica tradizione. L’attività del Laboratorio si è intrecciata nel tempo con la stessa storia della scultura, della locale Accademia di Belle Arti, delle nuove discipline, contribuendo a creare un significativo humus culturale. I più grandi scultori sono passati dal Laboratorio Nicoli, dove hanno trovato supporto e collaborazione per la realizzazione delle loro opere. Tra le presenze più significative spiccano quelle di Arturo Martini, Henry Moore, Carlo Sergio Signori, Cèsar, Pietro Cascella, Cardenas, Giuliano Vangi, Giò Pomodoro, Paolo Borghi e molti altri. Il mutare dei gusti e delle tendenze nell’arte hanno avuto diretta testimonianza in opere realizzate in questo atèlier di scultura: il realismo del primo dopoguerra, l’astrattismo, il recupero del classicismo e il postmoderno. Il Laboratorio Nicoli sarà oggetto di un prossimo vincolo da parte della Soprintendenza. Sistema composito di collegamento e di trasporto dalle cave del Monte Sagro. Assumono oggi un significato di mero reperto i resti della teleferica del Balzone che, costruita sul volgere degli anni venti, rimase in esercizio fino al 1957. L’impianto, unico nel suo genere in tutta Europa, consisteva di un’unica campata di 1200 m e riusciva a trasportare a Monzone i blocchi di marm o, per un dislivello di 600 m circa. Interessanti sono pure i tratti esistenti della “via di lizza” che, a partire dal 1887, riuscì a sostituire prima e ad integrare poi l’originaria teleferica. Non ultimo il sentiero dei cavatori di Vinca, lungo ed impervio, con stazioni di riparo, scavate nella roccia, in caso di fortunale. Celebre strada costruita dall’Abate Domenico Vandelli, tra il 1738 e il 1751, per unire Massa a Modena, attraverso la Garfagnana, passando per le valli di Arnetola e dell’Edron. E’ stata oggetto di tentativi di cava nelle sue immediate vicinanze ed utilizzata come “via di lizza” dalla metà del XIX secolo. Verso il fondovalle di Resceto giungono altre vie ottocentesche di trasporto a scivolo dei marmi, tra cui quella discendente dalla Focolaccia (con funzioni pure di sentiero di collegamento con Gorfigliano) e dal Padulello (impressionante per continuità incredibile di pendenza). Nell’area degli “Alberghi”, antico luogo di sosta dei pastori di Forno, si trovano cave abbandonate con intatte caratteristiche dell’epoca anteriore alle strade di arroccamento. La “via di lizza”, in buono stato di conservazione, mantiene “ piri” originali in marmo e si sviluppa entro una forra di particolare interesse naturalistico. 24 12 Cava, “via di lizza” e “piano inclinato” delle Gruzze 13 14 15 16 17 18 Massa Il sito comprende un tipico esempio di cava apuana d’altitudine, insieme ad un primo tratto di piano stradale di “lizza” intagliato nella roccia. In basso, si trovano i resti di una “lizzatura meccanica”, condotta lungo un “piano inclinato a va e vieni” e passante sopra un alto ponte, detto del Pisciarotto, costruito intorno al 1931-32. “Via di li zza” di Piastreta e Massa L’interesse per questa “via di lizza” sta nel sistema meccanico, unico nel suo genere, qui messo in monorotaia Denham funzione per un lungo periodo di tempo. Si tratta di una monorotaia costruita nel 1922 che, provvista di un carrello motore ed una slitta di traino, scendeva a valle i marmi lungo il versante massese del M. Sella, per uno sviluppo di 3500 m circa in lunghezza. “Piano inclinato” Minucciano Nella zona di Gorfigliano rimangono i resti di quello che fu un ulteriore sistema di “lizzatura dell’Acqua Bianca (resti) meccanica”, consistente allora in un “piano inclinato”, lungo 720 metri, di cui un terzo in galleria, a binari fissi. Al “poggio caricatore”, si connetteva con la ferrovia a scartamento ridotto, “Marmifera No rd Carrara”, entrata in funzione nel 1901 e smantellata nel 1947. Nell’area di intervento è compresa pure la vecchia segheria di Gorfigliano. Cave “antiche” di Solaio e Pietrasanta Agro marmifero abbandonato e costituito da piccole cave, preindustriali, la cui coltivazione ha Castello avuto origine per lo meno in età medievale, forse nel X e XI sec., tenendo conto dei marmi impiegati nell’edificazione delle pievi versiliese. Nei pressi del Castello di Solaio, dove sorgeva la Rocca Flaminga, Santini (1861) rilevò, negli affioramenti marmorei, tracce di tagliate, dallo stesso attribuite all’età romana. Cave della “Marmoraria” Seravezza Sono cave che trovano menzione già in documenti del XIV secolo, sotto il nome di medievale di Ceràgiola (Pietrasanta “Marmoraria”. Un cenno a questa zona è probabilmente presente nei Libri memoriales di Guido in parte) da Vallechia (1264-1290). In alcuni estimi e livelli del XV sec. si fa riferimento a cave antiche e al rinvenimento di ferri da lavoro di precedenti epoche. Cave di ‘bardiglio’ della Seravezza Paesaggio minerario preindustriale, posto al di sotto della monumentale Pieve della Cappella Cappella (parte sommitale) (XIII-XVI sec.) e da dove furono estratti i marmi grigi (la varietà ‘bardiglio’) per la sua edificazione. Si tratta di cave coltivate, con una certa continuità, a partire dal tardo Medioevo e comunque in attività nel 1515, all’epoca della loro donazione al “Popolo et Dominio fiorentino”, insieme agli altri agri marmiferi delle Comunità di Seravezza e della Cappella. Cave “michelangiolesche” Seravezza E’ il luogo (“decto Finochiaia sive Transvaserra”) in cui Michelangelo Buonarroti insieme a di Trambiserra Donato Benti tentò di ricavare i marmi per la facciata della chiesa di S.Lorenzo a Firenze (1518). Al “poggio caricatore”, nel fondovalle, Michelangelo riuscì a condurre una strada di carreggiamento che poi, attraverso Seravezza e la sottostante pianura, fu portata alla marina, nel luogo dove oggi sorge Forte dei Marmi. 25 19 Cave e “vie di lizza” della Polla e Tacca Bianca del Monte Altissimo 20 21 22 23 24 Seravezza Nella zona della Polla-Vincarella furono eseguite le prime coltivazioni di marmo del Monte Altissimo, a partire dal 1569, sotto la direzione soprattutto di Vincenzo Danti, del Giambologna e del Moschino. Più o meno nella stessa zona ripresero le escavazioni nel 1822 ad opera della Società Borrini-Henraux, segnando così l’inizio di un periodo di intenso sviluppo economico per l’intero entroterra versiliese. Inoltre, le cave della Tacca Bianca costitui scono un eccezionale reperto d’insieme dell’ organizzazione di un’attività estrattiva in galleria, rimasta pressoché intatta dall’epoca del “filo elicoidale”. Palazzo Mediceo e Seravezza Villa rinascimentale costruita sotto la direzione di David Fortini (1561-1565), su progetto pertinenze del Monte Costa attribuito a Bernardo Buontalenti. L’edificio fu voluto da Cosimo I de’ Medici per poter seguire da vicino le attività estrattive in Alta Versilia. Nel fianco del vicino Monte Costa si trovano pure tracce evidenti di escavazioni di marmo della fine del XVIII ed inizi del XIX sec. “Via di lizza” del Canale Seravezza Ardita “via di lizza” che conduce dal fondovalle del Serra alla cresta del Monte Carchio. del Monte Carchio (Montignoso Probabilmente costruita nella seconda metà del XIX sec. e, per alcuni (Pierotti, 1995), seguendo in parte) una preesistente traccia viaria attribuita, con più di un dubbio, a Michelangelo Buonarroti. Cave delle brecce medicee Stazzema Sono i luoghi di affioramento delle c.d. ‘brecce di Seravezza’, a cui dette sviluppo e notorietà e del bardiglio fiorito del Cosimo I (per cui denominate pure “medicee”), a partire dal 1563. Questi marmi policromi sono Piastraio, Filone del stati cavati e/o utilizzati in opere di scultura e di architettura, tra gli altri, anche da Bartolomeo Granduca e Rondone Ammannati, Giorgio Vasari, Battista Lorenzi, Giovanni Fancelli. In contiguità si trovano le cave di marmo della rara varietà del ‘bardiglio fiorito’, iniziate a coltivarsi verso la fi ne del Settecento. L’area mantiene una connessione geografica e culturale con il Santuario del Piastrajo (XIX sec.), lungo la strada di antico collegamento tra la Versilia e la Garfagnana, attraverso il passo di Petrosciana. Cave di “pietra da forni” Stazzema Memorie di questo lapideo refrattario provengono già da documenti del Quattrocento, anche se le della Magona ad Orzale sue caratteristiche ebbero larga fama soltanto dopo la descrizione fatta da Andrea Cesalpino nel secolo successivo. La cava posta nei pressi del Ponte di Pruno e del borgo dell’Orzale iniziò la sua attività intorno al 1561 e il materiale estratto fu per secoli utilizzato dalla Magona granducale per il rivestimento dei forni fusori soprattutto della Colline metallifere toscane, ma pure delle ferriere della Montagna pistoiese, di Genova e della Romagna e Maremma pontificia. Cava delle “piastre” di Stazzema Cava in sotterraneo di materiale metarenaceo fissile, conosciuto come ‘ardesia apuana’ ed Casalina utilizzato, da tempo immemorabile, per le coperture locali dei tetti e, dal XIX sec., esportato per gli stessi usi anche nel territorio massese e garfagnino. 26 25 Cave e “vie di lizza” di M. Ceto, Canal delle Volte e Mosceta Stazzema 26 Via dei cavatori di Tre Fiumi e saggi di cava della Tùrrite Secca Stazzema 27 Cave dell’eremo del Beato Viano Vagli Sotto 28 “Evocava” e cava -museo di Vagli Sotto Arnetola Area che annovera diverse vie a “sdrucciolo”, saggi e cave abbandonate di marmo ‘bianco’, ‘arabescato’ e ‘breccia’, già estratti a metà del XVIII sec. e che ebbero un particolare impulso estrattivo dal 1841 in poi, nella zona di Acereto, all’indomani della scoperta dell’Antro del Corchia. Elementi originali superstiti della grande impresa ottocentesca di collegamento stradale e di conseguente sfruttamento economico dell’area estrattiva di Arni -Tre Fiumi (altrimenti detta la “Val le bianca”), che culminarono con il traforo del Cipollaio (1875 -78) ed il successivo arrivo della linea ferrata della tramvia versiliese (1926) per il trasporto dei marmi estratti nella zona. Lungo il corso della Tùrrite Secca sono inoltre presenti siti archeologici che hanno restituito cospicui reperti d’industrie mesolitiche, con probabili aree prossime di approvvigionamento litico. Si tratta delle prime attività estrattive intraprese in Garfagnana agli inizi del XX secolo. L’area assume rilievo particolare pure per il materiale lapideo d’interesse storico che vi si estraeva, la conosciuta varietà di marmo ‘corallo rosa’. Nella zona è pure presente un eremo sotto roccia - un vero e proprio “santuario d’abrì” - dedicato ad un “santo locale”, il Beato Viviano, a cui si associano culti precristiani. Nella zona di Bancaio Alto, presso la testata valliva di Arnetola, si concentrano spazi ed attività di valorizzazione storica e di riuso culturale delle attività estrattive, già posti in essere dal Parco Regionale delle Alpi Apuane. In primo luogo la cava-museo che ricostruisce e documenta le principali tecniche di scavo e di trasporto dei materiali lapidei apuani, che si sono succeduti nel tempo. Presso cava Borella, sito estrattivo abbandonato, si trova un’area attrezzata (detta “Evocava”) a fini espositivi e come luogo per spettacoli teatrali. 27 LA RISORSA LAPIDEA E LE ATTIVITÀ ESTRATTIVE TRADIZIONALI Con il termine “risorsa” estrattiva si intende – in senso lato – l’insieme delle formazioni geologiche che possono essere utilizzate come materiali ornamentali. In realtà è poco probabile che una formazione presenti, in tutta l’estensione dell’affioramento, caratte ristiche chimiche, fisiche e meccaniche omogenee, oltre che cromatiche, tali da renderla interessante dal punto di vista merceologico. Saranno presenti zone nelle quali sia l’ornamentazione sia le caratteristiche mineralogiche rendono il materiale una varietà interessante commercialmente. Viceversa ci saranno aree, all’interno dell’affioramento, in cui vari fattori quali giacitura, potenza della formazione, caratteristiche meccaniche, ecc., non ne consentono uno sfruttamento al fine della produzione di materiale ad uso ornamentale. La ricerca di un giacimento produttivo necessita quindi di studi di dettaglio geologico-strutturali, di prove geognostiche e saggi che non risultano realizzabili all’interno di questo Allegato “attività estrattive” del Piano per i l Parco delle Alpi Apuane. Per questo motivo, l’identificazione delle risorse estrattive si è basata essenzialmente sulle cave attive, sulle principali cave inattive, sulla bibliografia e sui dati esistenti in letteratura. Come già riferito in precedenza, il Piano per il Parco deve individuare i perimetri entro i quali sia consentito l’esercizio delle “ attività estrattive tradizionali”, ai sensi dell’art. 14, comma 2, della L. R. 11 agosto 1997, n. 65. Con l’espressione “ attività estrattive tradizionali” si intendono tutte quelle attività che, limitate al campo delle pietre ornamentali, si rivolgono alla coltivazione dei litotipi, non necessariamente esclusivi del territorio apuano, di cui vi sia attuale esercizio o attestazione storica evidente e duratura della loro escavazione, salvo che non rientrino nelle categorie di tutela di materiali storici in via di esaurimento della risorsa, già trattati in precedenza. Tra le attività estrattive tradizionali delle Alpi Apuane si possono annoverare quelle rivolte ai lapidei ornamentali che risultano appartenere alle grandi famiglie dei marmi s.l. e delle arenarie, anche metamorfosate, escavati sia in blocchi che in informi e destinati alla produzione di lastre lavorate ed affini. Dall’analisi delle successioni strati grafiche presenti nel territorio, è possibile estrarre l’elenco delle formazioni geologiche utilizzate a fini estrattivi, in passato e/o ai giorni nostri. In particolare esse appartengono soprattutto all’Autoctono Apuano, all’Unità di Massa e alla Falda To scana. Non risultano, neppure dalla documentazione storica, attività estrattive di un certo rilievo a carico di materiali ornamentali rintracciabili nelle formazioni Liguri s.l., con l’esclusione di limitati usi locali e finalizzati ad opere edilizie. Per altro, sono documentati prelievi e lavorazioni lapidee di materiali di formazione quaternaria, come nel caso di detriti di falda cementati e depositi di grotta (speleotemi), impropriamente definiti “onici” o “alabastri”. Tra le molte curiosità del passato estrattivo delle Apuane, vale la pena di ricordare la coltivazione di alcuni giganteschi “massi erratici” marmorei (o più propriamente massi di trasporto glaciale), che si trovavano tra i depositi morenici nei dintorni di Vagli Sopra. L’elenco delle formaz ioni che sono e/o sono state oggetto di coltivazione significativa è qui di seguito riportato, unitamente alla loro descrizione, con il raggruppamento nelle rispettive serie di appartenenza: 28 Formazioni BASAMENTO AUTOCTONO APUANO Calcari rossi nodulari COPERTURA AUTOCTONO APUANO Grezzoni Descrizione Metacalcari più o meno dolomitici, rossastri e con pellicole a fillosilicati. Calcescisti e filladi carbonatiche a clorite e muscovite………………………………………….Trias sup. ? Dolomie più o meno ricristallizzate grigio scure, con limitate modificazioni tessiturali metamorfiche…………………Norico [Il litotipo conosciuto come Nero di Colonnata, proviene dal tetto della formazione e consta di calcari dolomitici grigio scuri, a grana fine, con venature di calcite spatica biancastra. Sottoposto a taglio e lucidatura assume un colore nero con rameggiature chiare] Marmi a Megalodonti Brecce di Seravezza Marmi dolomitici Marmi s.s. Calcari selciferi Calcescisti Calcari selciferi ad Entrochi Scisti sericitici Cipollini Pseudomacigno COPERTURA UNITÀ DI MASSA Marmi saccaroidi, massicci o grossolanamente stratificati, con scarsa muscovite e clorite lungo i giunti di strato…Retico Brecce poligeniche metamorfiche a elementi marmorei e subordinatamente dolomitici, con scarsa matrice filladica a cloritoide di colore rossastro o verdastro…Retico (Lias inf. ?) Marmi spesso dolomitici, alternati a livelli di dolomie grigio chiare o rosate, più o meno ricristallizzate………….Lias inf. Marmi di colore variabile dal bianco al grigio, con rari e sottili livelli di dolomie e marmi dolomitici giallastri. Brecce monogeniche metamorfiche ad elementi marmorei da centimetrici a metrici. Rare brecce poligeniche metamorfiche a prevalenti elementi marmorei e subordinati elementi di “selci” grigio chiare e rosse, talvolta con matrice filladica rossastra o violacea…….………………………….…..Lias inf. (medio?) Metacalcilutiti grigio scure, con liste e noduli di “selci”, e rari livelli di metacalcareniti, in strati di potenza variabili, spesso alternati con strati più sottili di calcescisti e filladi carbonatiche grigio scure, con tracce di pirite ed ammoniti piritizzate.………………..……………………Lias medio-sup. Calcescisti grigio verdastri, a patina d’alterazione marrone chiaro, con sottili intercalazioni di filladi carbonatiche……………………………….Lias sup. – Dogger Calcari selciferi metamorfici; metacalcilutiti grigio chiare o color avorio, ben stratificate e con liste e noduli di “selci”, metacalcareniti grigie più potenti con liste e noduli di “selci”…………………………. Titanico sup. – Cretaceo inf. Filladi muscovitiche verdastre, rosso violacee e più raramente grigie, con rari e sottili livelli di filladi carbonatiche, marmi a clorite e metaradiolariti rosse………Cretaceo inf. – Oligocene Filladi muscovitiche verdastre rosso violacee e più raramente grigie a macroforaminiferi………….…….Eocene-Oligocene Metarenarie quarzoso feldspatico micacee, alternate a filladi più o meno quarzitiche grigio scure………….Oligocene sup. Marmi a Crinoidi e brecce Marmi e marmi a muscovite, bianchi o grigi, con rari livelli marmoree dolomitici a patina di alterazione rosso bruna e abbondanti resti di Crinoidi e metabrecce a elementi marmorei, localmente anche quarzosi, in matrice filladico muscovitica, più o meno clorotica grigio scura o verdastra…….Anisico sup.? – Ladinico 29 FALDA TOSCANA Calcari e marne a Rhaetavicula Calcari, calcari dolomitici e dolomie con sottili intercalazioni contorta di marne. Di norma, prevalgono in basso calcari, calcari dolomitici e dolomie grossolanamente stratificati, cui seguono in alto bancate calcaree o calcareo dolomitiche di colore nero Retico (facies a Portoro) …………………………………..…. [Quest’ultime bancate, quasi al contatto con il Calcare massiccio, sono intensamente fratturate e ricementate da una matrice marnosa, per cui l’orizzonte as sume le caratteristiche di una breccia autoclastica. Dal punto di vista commerciale, questi calcari neri prendono la denominazione di Portoro se la matrice è di color giallo; Portargento se grigia] Calcare massiccio Rosso ammonitico Calcari e calcari dolomitici grossolanamente o non stratificati. La parte alta della formazione comprende calcilutiti grigie talvolta con sottili orizzonti giallastri in corrispondenza dei Hettangiano giunti di strato………………………..……….… Calcari nodulari rosati, rossi o giallastri e calcari stratificati rosa, talvolta con sottili interstrati di marne rosse e rare selci Lias inf. – medio rosse…………………………………………. [Alcune varietà locali di Rosso ammonitico, utilizzate come ornamentali, si differenziano per la mancanza di modularità e per l’aspetto, nella parte più massiccia, di breccia autoclastica con numerose vene di calcite] Diaspri Radiolariti rosso-scure o verdi, sottilmente stratificate, localmente con interstrati argillitico. Localmente sono presenti marne silicee, argilliti rosse e banchi calcarei…………. Malm [La varietà merceologica appartenente a questa formazione – conosciuta come Rosso e Violetto di Castelpoggio si trova in un’area della località citata in cui i Diaspri vengono a diretto contatto con la Scaglia toscana, in assenza della Maiolica, attraverso una fascia di transizione costituita proprio da un’alternanza di straterelli micritici verdi e calcari marnosi rossi] Maiolica Calcilutiti selcifere ben stratificate; bianche nella parte inferiore della formazione; grigie e con rari livelli calcarenitici nella Titonico sup – Cretaceo inf. parte superiore………………….. [Si ricorda qui perché un tempo anche usata come pietra da costruzione nelle chiese medievali della Valle del Serchio] Macigno DEPOSITI QUATERNARI Brecce di Metato Depositi di grotta Depositi glaciali Arenarie quarzoso feldspatico micacee gradate, in strati di potenza, con livelli più sottili di argilliti siltose.Oligocene sup. Brecce poligeniche ad elementi provenienti da formazioni mesozoiche e cenozoiche della Falda toscana e del Complesso metamorfico apuano…………. ?Miocene sup. – ?Quaternario Depositi carbonatici d’ambiente ipogeo (speleotemi) dovuti a deposizione chimica con formazione di concrezioni spesso Quaternario stalagmitiche………………………………….… Depositi spesso incoerenti, talvolta cementati, con clasti eterometrici di forma arrotondata e subangolosa in abbondante matrice limoso-sabbiosa. Nei maggiori accumuli massi anche ciclopici di trasporto glaciale……… Pleistocene medio e sup. 30 A quanto sopra descritto corrispondono, in campo merceologico, differenti varietà, di seguito indicate nella denominazione più diffusa e correlate alle formazioni geologiche in precedenza dette. Si riportano non soltanto i lapidei più diffusi ed in produzione, ma pure alcuni tipi di materiali storici di cui si è già detto in precedenza: Formazioni BASAMENTO AUTOCTONO APUANO Varietà merceologiche di pietre ornamentali Calcari rossi nodulari Breccia arlecchina, Rosso rubino, Giallo liberty Grezzoni Marmi a Megalodonti Brecce di Seravezza Bardiglio screziato, Nero di Colonnata Persichina, Fior di Pesco Breccia africana, B. Caprara, B. cenerina, B. medicea, B. paonazza, B. persichina, B. violetta; Fior di Pesco, Skyros d’Italia, ecc. Rosso o Rosato di Vinca, Giallo di Renara e buona parte delle varietà che seguono Arabescato (con la varietà Bianco brouillé), Bardiglio (compreso B. venato, B. fiorito e B. imperiale), Bianco, Bianco P, Calacatta, Nuvolato, Paonazzo, Statuario (compreso S. venato), Venato, Zebrino (compreso il Cremo e il Cremo delicato) – nonché Corallo rosa e Persichino zonato rosso come livello corrispondente al Rosso ammonitico della Falda toscana Grigio, Nero di Pescina-Boccanaglia Cipollino Cipollino Cipollino Cipollino, Verde apuano Ardesia apuana, Pietra del Cardoso, “Pietra da forni” COPERTURA AUTOCTONO APUANO Marmi dolomitici Marmi s.s. Calcari selciferi Calcescisti Calcari selciferi ad Entrochi Scisti sericitici Cipollini Pseudomacigno COPERTURA UNITÀ DI MASSA Marmi a Crinoidi e brecce Cipollino, Paonazzetto (viola-porpora), Verdello marmoree FALDA TOSCANA Calcare a Rhaetavicula contorta Rosso ammonitico Diaspri Macigno DEPOSITI QUATERNARI Brecce di Metato Depositi di grotta Depositi glaciali Mischio nero di S. Rocchino, Nero (o Portoro e Portargento, anche sbrecciato) di Castelpoggio (o Carrara), del Lucese (o di Camaiore) e di Pescaglia Rosso Sforza Mischio carnicino, Rosso (Rosa) Camaiore (o del Lucese) e di Pescaglia, Rosso di Gragnana Rosso e Violetto antico di Castelpoggio Pietra Serena Breccia di Metato Breccia-onice di Volegno, Onice di Pian dei Santi e del Nido del Corvo (o di Casania) Bianco e Venato (da massi di trasporto glaciale) Le grandi famiglie di marmi s.l. e di arenarie (anche metamorfosate) comprendono varietà merceologiche a cui spesso stati assegnati nomi diversi da zona a zona, pur trattandosi in certi casi di materiali del tutto simili. Qui di seguito, viene tentata una selezione delle principali varietà di 31 pietre ornamentali delle Alpi Apuane, attualmente oggetto di escavazione, con l’utilizzo del nome più conosciuto e meglio rappresentativo. Questa classificazione, ancora rudimentale, è coerente all’impostazione data da Meccheri (1996) nella “Carta geologico -strutturale delle varietà merceologiche dei marmi del Carrarese”, seguendo pure un ordine stratigrafico. Per il gruppo dei marmi, si è considerata una distribuzione delle varietà dal basso verso l’alto, dove le metabrecce (arabescato, calacatta, paonazzo) occupano le posizioni superiori della formazione, mentre il gruppo delle varietà relativamente più omogenee (bianco, venato, nuvolato, bardiglio) si trovano di preferenza negli intervalli inferiore e centrale. Non è tuttavia infrequente che una varietà delle prime, soprattutto l’arabescato, formi corpi lenticolar i anche in posizione più bassa entro il secondo gruppo; oppure che soprattutto nuvolato e venato arrivino talvolta a diretto contatto con il calcare selcifero. Qui di seguito è riportata la descrizione delle varietà merceologiche degne di nota dei marmi s.l., attualmente oggetto di coltivazione, che propongono quindi una prima sintesi terminologica ideale per le Alpi Apuane. L’ordine è quello stratigrafico delle formazioni dell’Autoctono, a partire dalle Brecce di Seravezza fino al Cipollino, passando attraverso le varietà dei marmi s.s., anch’esse riportate secondo la sequenza cronologica: 32 Varietà principali MARMI S.L. Breccia di Seravezza s.l. Marmo bianco Marmo venato Marmo nuvolato Marmo bardiglio Marmo statuario Marmo calacatta Marmo arabescato Descrizione Metabreccia poligenica e policroma, ad elementi eterometrici soprattutto marmorei e subordinatamente dolomitici, con scarsa matrice che assume colorazioni vistose (spesso paonazze, ma pure rosse, verdi, gialle in varia sfumatura) per la sua natura sericitica, sericitico-cloritica o quarzoso sericitica, con quantità subordinate di epidoto, calcite, ematite e con vari accessori, caratterizzandosi per la presenza di cloritoide. Metacalcare di colore bianco perlaceo, a grana da fine a mediogrossa, a fondo omogeneo oppure cosparso di piccole macchie e vene grigie, irregolarmente distribuite e dovute a presenza di pirite microcristallina. La frequente identità di ornamentazioni e, soprattutto, di colore con il venato rende spesso arbitrario distinguere queste due varietà. Metacalcare di colore variabile dal bianco perlaceo al grigio chiaro, a grana media, con venature quasi regolari di colore grigio scuro dovute a presenza di pirite microcristallina. In generale si passa da assetti quasi identici a quelli delle metabrecce ad alternanze piuttosto regolari che possono essere considerate come le tracce della primitiva stratificazione. Metacalcare grigio a grana da fine a media, attraversato da vene e bandature più chiare e più o meno sfumate. Il colore grigio è dovuto a pirite microcristallina variamente diffusa. Entro questo tipo si trovano frequenti passaggi ad apparenti corpi bardigliacei, di non facile delimitazione, e tasche di metabrecce tendenti a tipi arabescati. Metacalcare a grana fine di colore grigio scuro dovuto a diffusa pirite microcristallina. La presenza di venature (in genere ancora più scure) in questo litotipo dominante da luogo al bardiglio venato. Entrambi i tipi possono contenere bande dolomitiche grigie. Metacalcare molto puro a grana grossa e di colore bianco avorio (presenza di muscovite microcristallina omogeneamente diffusa), a volte con piccole e sparse macchie grigie dovute a quantità infinitesime di pirite microcristallina. Ove queste impurità (insieme a quantità più consistenti di fillosilicati) sono organizzate in vene sottili e variamente anastomizzate, il tipo principale lascia posto allo statuario venato. Metabreccia a clasti marmorei bianco-giallastri molto chiari, talora con velature verdoline chiare, in matrice metacalcarea (a muscovite e clorite) appena più pigmentata degli elementi nei toni gialli ocracei e verdognoli. Sono frequenti volumi in cui bassi tenori di impurità primarie e l’amalgama dovuto a metamorfismo hanno determinato un sottotipo assai ricercato, il calacatta macchia oro, distinguibile dallo statuario solo per la presenza di tenui venature o aloni ocraceo dorati. La natura clastica del protolite è di solito meno evidente rispetto all’arabescato, ove invece questo aspetto si fa più deciso il calacatta ha forte somiglianza con la varietà dello statuario venato. Metabreccia a clasti marmorei eterometrici, bianchi o chiari, in subordinata matrice metacalcarea grigia più o meno scura. I metaclasti sono riferibili a tutte le varietà, ma soprattutto a bianco, venato e nuvolato/bardiglio. In alcuni bacini di Carrara e Massa, 33 affiora un sottotipo definito come bianco brouillé, caratterizzato da una ornamentazione più marcata legata alla regolarità di taglia e distribuzione dei metaclasti, nonché alla netta separazione fra questi Marmo paonazzo Marmo zebrino Cipollino metaclasti sono riferibili a tutte le varietà, ma soprattutto a bianco, venato e nuvolato/bardiglio. In alcuni bacini di Carrara e Massa, affiora un sottotipo definito come bianco brouillé, caratterizzato da una ornamentazione più marcata legata alla regolarità di taglia e distribuzione dei metaclasti, nonché alla netta separazione fra questi e la matrice grigia scura, uniformemente anastomizzata. Metabreccia a clasti marmorei tipo statuario e/o calacatta, in subordinata matrice fillosilicatica di colore da grigio nerastro a rosso violaceo. Quest’ultima è di sol ito ricca di prodotti ferriferi che generano frequenti aloni violacei di impregnazione entro i metaclasti. Per lo più costituito da livelli decimetrici di metacalcare biancastro giallognolo regolarmente alternati ad intervalli centimetrici di metacalcare grigio verde ricco di fillosilicati (clorite e muscovite). A luoghi le componenti carbonatica e fillosilicatica sono più mescolate, generando un aspetto più simile al calcescisto. I livelli marmorei possono amalgamarsi per formare corpi omogenei di discrete dimensioni, quasi privi di impurità e molto somiglianti al tipo statuario, denominati cremo e cremo delicato. Metacalcare con abbondante presenza di fillosilicati o più semplicemente “marmo a clorite”, presenta una caratteristica alternanza in sottilissimi livelli, spesso subparalleli ed ondulati, di porzioni carbonatiche chiare ad altre micacee verdi o grigio verdastre. La stessa classificazione viene proposta per il gruppo delle arenarie s.l. (comprendenti le metarenarie): Varietà principali Descrizione Pietra Serena Arenaria quarzoso feldspatica micacea gradata, di colore ceruleo chiaro. Ne esistono diversi sottotipi distinguibili grazie alle dimensioni della porzione clastica e dalla natura ed abbondanza del cemento. Metarenaria quarzoso feldspatica micacea gradata, di colore grigio ceruleo, più o meno intenso. Ne esistono diversi sottotipi distinguibili grazie alle dimensioni della porzione clastica e dalla natura ed abbondanza del cemento. Appartiene alla stessa Formazione del litotipo precedente e si distingue per il colore più scuro, tendente al nero, la grana finissima e la fissilità planare e marcata. Derivata da peliti argillose o argilloso-marnose, per epimetamorfismo, si caratterizza per la presenza di fillosilicati isoorientati. ARENARIE S.L. Pietra del Cardoso Ardesia apuana 34 LA VALORIZZAZIONE DEI MATERIALI LAPIDEI ESCLUSIVI DELLE APUANE Il Piano per il Parco deve individuare i perimetri entro i quali sia consentito, oltre all’esercizio delle attività estrattive tradizionali, anche la valorizzazione dei materiali lapidei esclusivi delle Alpi Apuane quali Marmi, Brecce, Cipollini e Pietra del Cardoso, ai sensi dell’art. 14, comma 2, della L.R. 11 agosto 1997, n. 65. Per quanto attiene la valorizzazione dei lapidei di cui sopra si ritiene che tale indicazione terminologica debba essere interpretata con il valore estensivo che si attribuisce ai corrispondenti nomi commerciali, al fine di comprendere, nei piani e nei progetti di valorizzazione, alcuni materiali esclusivi, altrimenti da escludersi con l’utilizzo della terminologia più restrittiva che richiama omonime formazioni geologiche. A titolo esemplificativo si consideri che, nel caso delle Apuane, il termine merceologico “Cipollino” individua, oltre agli or namentali dell’omonima formazione geologica, anche i similari lapidei provenienti dalla formazione dei Calcescisti, i livelli carbonatici coltivabili all’interno degli Scisti sericitici, i marmi cloritici dei Calcari ad Entrochi e perfino alcune varietà dei Marmi a crinoidi della copertura triassica dell’Unità di Massa. Si tratta di materiali, assai somiglianti, che sono stati oggetto di ricerca mineraria e di reperimento lapideo della varietà ornamentale in parola. Pertanto, se si assumesse il termine dell’art. 14 come di esclusivo riferimento formazionale, si dovrebbero escludere dalle azioni di valorizzazione gli analoghi materiali provenienti dagli Scisti sericitici, dai Calcescisti, ecc. E’ pur vero che, con il nome di cipollino, è stata indicata in pa ssato anche la varietà del Marmo Zebrino, particolarmente apprezzata e coltivata a Carrara già in epoca romana. Tuttavia, le notevoli differenze tessiturali, strutturali e cromatiche tra lo Zebrino e il gruppo dei “Cipollini” più propriamente detti, consentirebbe di non estendere al primo litotipo i benefici riconosciuti dalla L.R. per i secondi, limitatamente al termine in argomento. Con ciò si conferma pure la giustezza e la necessità del nostro tentativo di riordino nomenclaturale sulle varietà dei lapidei apuani, anche se in termini concreti - lo zebrino non risulterebbe poi escluso dalle proposte di valorizzazione della L.R. n. 65/97, in quanto pur sempre appartenente alla categoria dei “Marmi” che l’art. 14 richiama a fianco del cipollini. Simili considerazioni possono estendersi anche al termine “Marmi”, nella sua accezione merceologica piuttosto che formazionale. Se si adottasse la seconda ipotesi in luogo della prima, dalle ipotesi di valorizzazione saremmo costretti ad escludere alcuni materiali esclusivi, non provenienti dalla formazione dei marmi s.s. dell’Autoctono, quali il Rosso rubino tra quelli ancora in commercio, e il Nero di Colonnata, il Rosso di Castelpoggio, il Rosa di Camaiore, ecc. tra quelli storici, suscettibili di recupero per attività di restauro. Con i termini “Brecce” e “Pietra del Cardoso” – come citati dall’art. 14 – non è possibile oggi escludere, con l’una o l’altra interpretazione, alcun lapideo apuano degno di valorizzazione, nonostante che il primo sia di una genericità notevole e il secondo si limiti ad una definizione commerciale ristretta. In definitiva, con il criterio merceologico adottato, soltanto la Pietra serena risulta esclusa dal gruppo degli ornamentali delle Alpi Apuane meritevoli di valorizzazione. La cosa non desta sorpresa poiché il litotipo è piuttosto diffuso e coltivato anche al di fuori del comprensorio delle Alpi Apuane, per cui sarebbe difficile sostenere la sua esclusività. 35 APPENDICE SCHEDE DI RILEVAMENTO E DI VALUTAZIONE DELLA RISORSA Codici dei bacini estrattivi Ogni bacino estrattivo evidenziato negli elaborati cartografici dell’Allegato, è caratterizzato da un codice che ne consente l’immediata identificazione sia nelle schede di rilevamento sia nei supporti informatici. Tale codice è costituito da cinque campiture aventi il seguente significato: • prima campitura: sigla OR per indicare che si tratta di ornamentali [o sigla IN per indicare gli inerti (dolomia) in via di dismissione]; • seconda campitura: codici regionali dei comuni: 506 = Camporgiano 508 = Careggine 519 = Minucciano 524 = Pietrasanta 528 = Seravezza 530 = Stazzema 531 = Vagli Sotto 603 = Carrara 604 = Casola in Lunigiana 607 = Fivizzano 610 = Massa 611 = Montignoso • terza campitura: numero romano progressivo per indicare il bacino estrattivo nel comune di riferimento; • quarta campitura: codice di accorpamento formazionale; • quinta campitura: tipologia di bacino con le seguenti opzioni: BE = bacino esistente BEA = bacino esistente ampliato BN = bacino nuovo relativo alle aree contigue di cava di cui alla L.R. n. 65/97 BDR = bacino dismesso da recuperare BER = bacino esistente ridotto BPE = bacino prospezione estrattiva BT = bacino a termine A titolo esemplificativo si riporta uno dei codici attribuito: OR 604 I 14 BE Con la seguente lettura: OR 604 I 14 = = = = BE = ornamentali codice regionale del comune di Casola in Lunigiana (MS) primo bacino estrattivo del comune di Casola in Lunigiana (MS) codice di accorpamento formazionale relativo a: calcari saccaroidi, calcari cerioidi, calcescisti, marmi e cipollini bacino esistente 36 Codici delle cave Le schede per il censimento delle cave attive e principali inattive sono state predisposte in modo da fornire indicazioni relativamente alla caratterizzazione della cava sia per quanto riguarda la situazione in atto che le potenzialità future. Ogni cava è identificata da un codice costituito da cinque campiture aventi il seguente significato: • prima campitura: sigla OR per indicare che si tratta di ornamentali [o sigla IN per indicare gli inerti (dolomia) in via di dismissione]; • seconda campitura: codici regionali dei comuni: 506 = Camporgiano 508 = Careggine 519 = Minucciano 524 = Pietrasanta 528 = Seravezza 530 = Stazzema 531 = Vagli Sotto 603 = Carrara 604 = Casola in Lunigiana 607 = Fivizzano 610 = Massa 611 = Montignoso • terza campitura: numero arabo, progressivo all’interno di ciascun comune, seguito dalla lettera “A” per le cave attive o dalla lettera “I” per quelle inattive; • quarta campitura: codice di accorpamento formazionale; • quinta campitura: tipologia di cava con le seguenti opzioni: CE = cava esistente CEA = cava esistente ampliabile CN = cava nuova CIA = cava inattiva ampliabile CT = cava a termine CI = cava inattiva A titolo esemplificativo si riporta uno dei codici attribuito: OR 519 24A 14 CEA Con la seguente lettura: OR 519 24A 14 = = = = CEA = ornamentali codice regionale del comune di Minucciano (LU) cava n. 24, attiva, del comune di Minucciano (LU) codice di accorpamento formazionale relativo a: calcari saccaroidi, calcari cerioidi, calcescisti, marmi e cipollini cava esistente ampliabile 37 Accorpamento formazionale Necessità di semplificazione e schematizzazione hanno indotto ad utilizzare accorpamenti formazionali in cui riunire rocce similari per poter esprimere la quarta campitura dei codici di cui sopra. L’uso di diversi parametri di valutazione - quali litotecnico, genetico, di composizione mineralogica e petrografica, già definiti nell’ambi to del Piano regionale integrativo per le pietre ornamentali - ha consentito di definire i seguenti gruppi di rocce di interesse ornamentale in cui l’appartenenza alla medesima categoria dipende anche da modalità di estrazione e campi di impiego simili, benché non esclusivi del singolo raggruppamento. I criteri litotecnico e genetico sono stati ritenuti comunque più significativi rispetto a quello relativo al campo di impiego che avrebbe condotto a raggruppamenti ampi ed estremamente rigidi. Nella tabella che segue sono riportati i codici degli accorpamenti, insieme alla loro descrizione, utilizzando la stessa numerazione del P.R.A.E. regionale. Codice Formazioni 8 9 12 Arenarie quarzoso feldspatiche, spesso torbiditiche, con o senza marne o argilliti Arenarie e arenarie grossolane metamorfiche, formazione indifferenziata del Verrucano Calcari ben stratificati con o senza intercalazioni marnose, calcari litografici, selciferi, nodulari, calcareniti Calcari saccaroidi, calcari cerioidi, calcescisti, marmi e cipollini Dolomie e calcari dolomitici metamorfici (grezzoni e marmi dolomitici) 14 16 38