DISPENSE DI FILOSOFIA CLASSE IV Modulo n° 1 Contenuti Cognitivi A. B. C. D. E. La filosofia medioevale La filosofia cristiana e il suo rapporto con la cultura greca La patristica e Agostino: l’interiorità e la riflessione sul concetto di tempo La scolastica: Anselmo e Tommaso; la prova ontologica e le cinque vie ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 1 (A) La filosofia medioevale La filosofia medioevale si sviluppò in un contesto storico, geografico e culturale estremamente vario e ricco di fermenti talvolta in sinergia tra loro, talvolta profondamente opposti. Le motivazioni furono diverse e possiamo provare a darne uno schema sintetico: In primo luogo la caduta dell’impero romano d’occidente nel 476 d.C. La sopravvivenza tuttavia delle profonde radici del pensiero che aveva caratterizzato la cultura sia greca che latina Dall’altra parte la sopravvivenza dell’impero romano d’oriente che finì per chiudersi nei confini estremamente conservatori e statici della cultura bizantina grecizzata Molte delle popolazioni europee che erano state sottomesse a Roma, ritrovarono le proprie radici culturali e linguistiche, rielaborandole comunque alla luce della cultura di Roma che aveva lasciato in loro un segno indelebile Lo sviluppo e la diffusione della Chiesa cristiana e del messaggio Evangelico in Europa, nel vicino Medio Oriente e nell’Africa settentrionale Roma, perduta la centralità di potere, assunse nel mondo cristianizzato, il ruolo di centro religioso La Chiesa di Roma divisa tra potere spirituale e quello materiale e politico in costante crescita Lo scontro tra le diverse posizioni di interpretazione teologica ed organizzativa che portarono alla progressiva spaccatura del mondo cristiano tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Bisanzio, a partire dal I Concilio di Nicea (IV sec.) fino al Grande Scisma del 1054 che vedrà la separazione definitiva in due Chiese: Cattolica e Ortodossa Infine lo sviluppo di dottrine filosofiche diverse nei mondi culturali che si affacciavano sul Mediterraneo e il loro rapporto con il pensiero filosofico cristiano. Il pensiero filosofico del primo Medio Evo, nacque spontaneamente dallo sviluppo e dalla rilettura attenta della tradizione filosofica classica greca(sia la più antica sia la più recente) e romana, sulla base degli interrogativi e delle risposte che la visione religiosa ed etica cristiana imponeva. In Europa la diffusione del Cristianesimo, già in piena età imperiale romana, aveva segnato la fine della filosofia ellenistica e l’inizio di un nuovo indirizzo di pensiero che venne definito poi dalla storiografia, la “filosofia Patristica” (ovvero il pensiero degli antichi padri della Chiesa), dalla quale si svilupperà la filosofia medioevale. Mentre i primi studiosi cristiani si limitarono ad esaminare la filosofia greca dei secoli precedenti con il solo obiettivo della conoscenza e dell’eventuale critica, senza volerla identificare per forza con il messaggio evangelico, assunse per primo una posizione diversa, Giustino di Nablus (vissuto ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 2 tra il 100 ed il 168). Fu uno dei primi filosofi cristiani e Padri della Chiesa, e nelle sue opere la “ Prima apologia dei cristiani” e la “Seconda apologia dei cristiani” fu tra i primi a identificare il Cristo incarnato con il concetto di “logos” dei filosofi greci. Mentre in Europa si diffondeva dunque l’attenzione del pensiero cristiano verso il Platonismo ed il Neoplatonismo, durante tutto il Medioevo nell’area culturale del mondo arabo (altra cultura di religione monoteista insieme al Cristianesimo stesso e all’Ebraismo), si era mantenuta viva la tradizione filosofica che risaliva ad Aristotele, attraverso commenti e traduzioni del filosofo greco e lo sviluppo di profondi interessi per le scienze matematiche e naturali. Si trattava di una forma di aristotelismo penetrato in Medio Oriente durante l’età dell’Ellenismo insieme a contenuti giudaici, cristiani, e soprattutto neoplatonici. In questo sincretismo di culture, favorito dalle conquiste arabe nei territori d’Occidente, fiorirono nuovi centri come Bagdad (attuale Iraq), Granada e Cordova in Spagna, e Palermo in Sicilia. Tra le figure più importanti dell’ambito islamico, che cercarono di conciliare il rispetto e l’adesione al Corano (il testo sacro dell’Islam) con le esigenze della ragione, vi furono diversi studiosi e filosofi arabi tra cui Avicenna e Averroè. Avicenna, in qualità di medico, fu autore di un “Canone della medicina” e del “Libro della Guarigione”, nei quali si proponeva di far guarire l’anima dall’ignoranza. Sensibile alle idee di Plotino (vedi ultimo § Dispense di Filosofia II anno), sostenne che il mondo non si è creato nel tempo, ma è stato originato per emanazione dall’Uno, secondo uno sviluppo di eventi collegati tra loro e attraverso i quali, Dio ha generato direttamente i livelli astrali superiori (le Sfere Celesti) e indirettamente, i livelli astrali inferiori, l’ultimo dei quali è l’Intelletto Attivo identificato da Aristotele , che Avicenna associa alla Luna. Pur essendone partecipi, i singoli uomini possiedono soltanto un intelletto potenziale. Averroè invece presuppose che il mondo esistesse per l’azione diretta di Dio, ma sempre in un contesto fuori dal tempo. Sostenne in forma neoplatonica, la corrispondenza tra le Sfere Celesti e la Terra, ma separò anche l’Intelletto passivo dalle singole anime umane: per lui l’attività intellettiva, sia agente che potenziale, era unica e identica in tutti gli uomini. Secondo Averroè la religione destinata a tutti, si doveva affiancare alla ricerca filosofica riservata invece a pochi. Tra le numerose opere di Averroè, la più imponente fu il “Commentario” alle opere di Aristotele, che lo rese noto nell’Europa cristiana. Infine in ambito culturale Ebraico, con Filone di Alessandria (I secolo d.C.) si ebbe un primo tentativo di conciliare la Legge di Mosè con la filosofia platonica. Più tardi Avicebron, e Mosè Maimonide, cercarono un effettivo confronto tra la fede ebraica e l’eredità filosofica e culturale greca, riflettendo su alcuni princìpi fermi riguardanti l’esistenza di Dio. Dall’Aristotelismo, e dal Neoplatonismo, ripresero alcuni concetti utili a conciliare la fede ebraica espressa nel libro della Torah e nel Talmud , con forme razionali di speculazione filosofica, sostenendo la trascendenza di Dio, la libera volontà umana e divina, e l’origine della creazione del mondo, ma negò come Averroè, l’immortalità dell’anima individuale. ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 3 Per tutto il periodo medioevale dunque, la filosofia continuò a procedere parallelamente allo sviluppo del pensiero religioso, manifestando in alcuni casi la necessità di rendere il pensiero più autonomo e libero nei confronti della religione, sottolineando l’impossibilità di decifrare con la ragione i misteri della fede. Ma spesso, nei momenti più critici del percorso della Chiesa e della Cristianità, questa esigenza fu interpretata come ribellione negativa e tacciata di “eresia” come vedremo nel secondo modulo delle presenti dispense. (nell’illustrazione ritratto di Averroè) (B) La filosofia cristiana e il suo rapporto con la cultura greca Come abbiamo già anticipato, in Europa la diffusione del Cristianesimo aveva segnato la fine della filosofia ellenistica e l’inizio di un nuovo indirizzo di pensiero. II carattere che distingue più nettamente la tradizione filosofica greca dalla nuova tradizione cristiana è il seguente: tutta la grande tradizione filosofica greca, dalle sue origini fino alla sua conclusione con la scuola neoplatonica di Atene (tra la fine del V e l'inizio del VI sec. d.C.), si era fondata su un’indagine razionale e libera, cioè una ricerca che non accettava limiti imposti dall’esterno. I filosofi della tradizione greca si sentivano pienamente liberi di indagare razionalmente ogni campo del reale e, attraverso questa libera indagine, arrivarono quindi a conclusioni dettate soltanto dalla loro ragione. ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 4 Ovviamente, tali conclusioni furono tutt’altro che univoche, ma, pur nella loro molteplicità e contraddittorietà, furono tutte il risultato del libero uso della ragione; al contrario, la filosofia cristiana si costituì fin dall’inizio come un’indagine all’interno del campo limitato dalle verità determinate dalla fede. Essa non fu dunque una ricerca pienamente libera di costruire le proprie verità, in quanto, presupponendo il quadro dottrinario delle verità rivelate, potè svilupparsi e progredire soltanto nel rispetto dei vincoli posti da tale quadro. Come vedremo, la rottura di tali vincoli ed il ritorno ad un atteggiamento di completa libertà intellettuale, avverrà soltanto alla fine del medioevo, con la civiltà dell’Umanesimo e del Rinascimento. Tuttavia, la filosofia cristiana si ricollegò alla tradizione filosofica greca, considerandola come guida indispensabile da un punto di vista concettuale e dialettico. La nuova visione filosofica che ne derivò, rappresentò il primo tentativo di fusione fra il pensiero cristiano e la filosofia greca. Per filosofia cristiana intendiamo il percorso di pensiero che, nei tempi immediatamente successivi alla prima diffusione del Cristianesimo, cercò di dare risposte al mistero dell’esistenza del mondo e dell’uomo tenendo presente la parola dei Vangeli, la predicazione di Cristo e la fondamentale tradizione ebraica alla sua base. Nella rilettura della filosofia greca, i filosofi cristiani colsero subito la sua tendenza al misticismo sviluppato per indagare l’aspetto esteriore del divino, portandolo ad un livello più introspettivo e razionale. E compresero che, oltre ad una religiosità di tipo tradizionale, la filosofia greca aveva analizzato un’altra forma di religiosità, più profonda, misterica e adeguata a pochi intellettuali “iniziati” a comprendere il rapporto col divino e ad affrontare diverse questioni: sull’etica e sul modo in cui l'uomo conduce la propria. Infatti compresero come l’indagine filosofica di Socrate, Platone ed Aristotele avesse ampliato la propria ricerca ben oltre le questioni naturalistiche trattate dalla filosofia greca più antica, arrivando a sviluppare questioni di teologia, pur mantenendo intatto un rigoroso modello razionale. Platone infatti si era riallacciato all’arché dei pitagorici e al Nous di Anassagora. Pertanto, dal momento che le scritture dell’Antico Testamento ebraico confluite nella dottrina Cristiana, erano basate sulla stessa ricerca razionale per cui nella religione dei Padri, Dio è al di fuori di qualunque legame con il tempo e lo spazio, essendo Dio semplicemente “Colui che è”, i filosofi cristiani videro la possibilità di conciliare la tradizione filosofica greca con la religione all’interno di un pensiero che potesse aiutare l’animo umano ad elevarsi a Dio, trasformando questa tendenza a Dio in una sorta di misticismo. Come poc’anzi accennato, l’espressione filosofica pagana concettualmente più vicina a questa nuova esigenza filosofica e religiosa, fu il Neoplatonismo di Plotino, l’ultimo dei grandi filosofi greci, che aveva affrontato il tema della trascendenza dell’Idea platonica, identificandola come la forza spirituale che plasma gli ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 5 organismi viventi secondo un progetto prestabilito e che proponeva anche un percorso ascetico verso l’Uno (vedi ultimo § Dispense di Filosofia II anno). Tuttavia uno stretto legame con la teologia fu notato dai filosofi cristiani anche nello Stoicismo dell’età ellenistica. L’obiettivo per questi filosofi,fu dunque quello di assimilare il concetto del “logos”, che era stato la chiave di lettura della filosofia greca, in particolare di quella stoica e neoplatonica appunto,per le quali il concetto di “logos” si identificava con la ragione ed il fondamento universale del mondo, grazie al quale la realtà terrena veniva ricondotta ad un principio intellettivo ideale, in cui risiederebbe la vera dimensione dell’essere. Da sottolineare come alcuni importanti rappresentati del primo pensiero filosofico cristiano, (ad esempio Tertulliano) In una fase successiva la filosofia cristiana studiò con molto interesse soprattutto con l’apertura di vere e proprie scuole ( le università) in terra italica e nelle più importanti città europee, anche l’Aristotelismo, la cui conoscenza gli era pervenuta filtrata dalla cultura araba. Nel suo complesso il percorso di pensiero cristiano in ambito filosofico, teologico e scientifico, fu elaborato sostanzialmente in due periodi : A. Prima età medioevale (tra il 500 e il 1100), dove viene designato con il termine di “filosofia Patristica” (come già spiegato e come approfondiremo più avanti, fase caratterizzata dall’indagine razionale sulla fede con l’ausilio della filosofia neoplatonica mediata attraverso Agostino, Boezio, Dionigi Areopagita, Scoto Eriugena, Anselmo d’Aosta e Abelardo che furono tra i più importanti filosofi di questo periodo). B. Medio Evo inoltrato (tra il 1100 ed il 1300), dove viene designato con il termine di “filosofia Scolastica”. Il termine deriva dal fatto che nel Medioevo inoltrato, la produzione intellettuale fu legata alle scuole delle Università, libere corporazioni di studenti e insegnanti, dove la filosofia ebbe un ruolo centrale per la dimostrazione razionale dei contenuti di fede e coincise sostanzialmente con la lettura e la reinterpretazione dei testi aristotelici. C. Tardo Medio Evo (dal 1300) periodo in cui la filosofia del mondo cristiano cercò nuovi equilibri con lo studio rigoroso di metodi e linguaggi propri delle singole discipline , in particolare con Duns Scoto, Guglielmo d’Ockham, Marsilio da Padova, Giovanni Buridano. Procederemo ora alla conoscenza delle diverse fasi e dei suoi più importanti rappresentanti ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 6 (C) La patristica e Agostino l’interiorità e la riflessione sul concetto di tempo La “filosofia Patristica” si sviluppò dunque nel periodo compreso dal I sec. d.C. fino all’età Carolingia esclusa (cioè, fino a circa la metà dell' VIII sec.). Il termine Patristica come abbiamo già accennato, si riferisce al pensiero dei padri della Chiesa, cioè a quei primi esponenti della gerarchia ecclesiastica che, negli ultimi secoli dell’età antica e nei primi secoli del medioevo, dettero una forma stabile e precisa al corpo dottrinale cristiano e da questa, si svilupperà la filosofia medioevale. La Patristica può essere suddivisa in tre periodi: quello della difesa contro pagani e gnostici, quello della formulazione dottrinale delle credenze cristiane e, infine, quello della trasmissione della cultura cristiana al mondo medioevale. A)La difesa contro pagani e gnostici è il periodo che va dal I al II sec. d.C.; nei primi due secoli dell’era volgare, mentre nell’Impero Romano il Cristianesimo era perseguitato violentemente dal potere statale, dal punto di vista dottrinale, si poneva il problema della sua difesa nei confronti delle posizioni della religione pagana e di quelle della tradizione filosofica greca; ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 7 in quegli anni, la corrente della “gnosi” (Basilide, Valentino e altri) tendeva a interpretare lo stesso Cristianesimo alla luce del Pitagorismo e del Neoplatonismo; infatti, per gli gnostici, la salvezza dell’uomo non dipendeva sostanzialmente dalla fede ma, piuttosto, dalla conoscenza filosofica degli esatti rapporti fra Dio, le sue emanazioni (o eoni, fra cui Gesù) ed il mondo, secondo uno schema di tipo neoplatonico; contro i pagani e gli gnostici reagirono i padri apologisti, fra cui possiamo ricordare Giustino (110 circa - 163 o 164) e Tertulliano (160 - 240 circa), che affermarono l’impossibilità di ridurre la dottrina cristiana ai risultati razionali della filosofia. B)La formulazione dottrinale delle credenze cristiane è il periodo compreso tra l’inizio del III sec. e la prima metà del V sec.; in questo periodo il Cristianesimo precisò sempre meglio il suo corpo dottrinale e inserì i fondamenti della fede all’interno di sistemi organizzati e coerenti. In questo periodo più propriamente, si svilupparono i primi sistemi filosofici cristiani. In generale, tali sistemi ebbero forti connotati platonici o neoplatonici ma incorporarono anche alcuni elementi stoici; fra i più importanti esponenti di questo periodo, possiamo ricordare Origene (185254), Gregorio di Nissa (IV sec.) e, soprattutto, S. Agostino (354-430), con il quale l’edificazione del corpo dottrinale cristiano raggiunge il suo culmine. C)La trasmissione della cultura cristiana al mondo medioevale Avvenne nel periodo compreso tra la seconda metà del V sec. e la prima metà dell'VIII sec. l’inizio di questo periodo fu segnato dalla rapida decadenza della vita culturale che, dopo la caduta dell'Impero Romano (476), iniziò a rinchiudersi all’interno della cerchia ristretta dei conventi e dei monasteri. Da sottolineare la nascita dell’attività monastica istituita da Benedetto da Norcia, autore della celebre regola “Ora et labora” (prega e lavora) che identificò anche nel lavoro manuale un elemento importante insieme alla vita spirituale nel percorso di salvezza del buon cristiano. Si propone così per la prima volta l’idea del progresso della comunità cui ognuno deve contribuire, concetto che sarà un fondamento della filosofia medioevale. Inoltre l’attività dell’ordine dei Benedettini fu importante perché dedicò molte ore allo studio ed alla riscoperta di testi antichi che i monaci amanuensi ricopiarono pazientemente, ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 8 salvando e trasmettendo ai posteri, testi antichi, religiosi, scientifici e letterari, di età greca e romana. Contemporaneamente, la tradizione filosofica greca perse la sua autonomia e di fatto si esaurì. La trasmissione della grande eredità culturale del mondo antico a quello medioevale avvenne come attraverso un filtro di posizioni del pensiero cristiano fortemente limitante: in questo modo, gran parte di tale eredità venne in effetti perduta; Tra la fine del V e l’inizio del VI sec. si diffusero una serie di scritti attribuiti falsamente a Dionigi l'Areopagita, un discepolo di S. Paolo morto martire e membro dell'Areòpago (alta corte di giustizia la cui sede si trovava sull’omonima collina di Atene, ad ovest dell'Acropoli). A causa di questa falsa attribuzione, essi sono comunemente detti gli scritti dello pseudo Dionigi. Tali scritti (tradotti in latino da Scoto Eriugena) furono storicamente molto importanti, in quanto esercitarono una grande influenza su tutta la successiva filosofia cristiana. In essi, si trova uno dei più sistematici tentativi di sintesi fra Cristianesimo e neoplatonismo. Dal V all’ VIII secolo vi fu l’ultimo sviluppo della Patristica, che lavorò soprattutto alla rielaborazione di dottrine già formulate, ma in parte anche in nuove riflessioni. Tra i filosofi più originali vi fu Severino Boezio, ritenuto uno dei precursori della Scolastica. Boezio (480-525), consigliere del re Ostrogoto Teodorico, poi da lui incarcerato e ucciso in quanto sospetto di congiura. Il suo più importante scritto è il “De consolatione philosophiae”, in cui egli fuse elementi cristiani, platonici, stoici ed aristotelici. Quest’opera contribuì in modo determinante a far conoscere la logica aristotelica al pensiero medioevale suddivise la filosofia in tre tipi di esseri: gli intellettibili, che sono gli esseri immateriali, concepibili solo dall’intelletto, senza l’ausilio dei sensi, come Dio, gli angeli, le anime; il ramo della filosofia che di questi si occupa è propriamente la teologia. Gli intelligibili invece sono gli intellettibili calati nelle realtà materiali, le quali vengono percepite dai sensi pur essendo sempre concepibili dall’intelletto. E infine la natura, oggetto della fisica, studiata da sette discipline che saranno suddivise in trivium e quadrivium. Cassiodoro (490 circa -583 circa), anch’egli appartenente all’ambiente della corte di Teodorico, scrisse una serie di influenti opere di sintesi; oltre che attraverso gli scritti dello pseudo Dionigi, di Boezio e Cassiodoro, la trasmissione della cultura cristiana si attuò anche mediante una serie di compendi o scritti di tipo enciclopedico che vennero redatti a partire dal VI sec. e fino a tutto l'VIII sec. Fra gli autori di tali testi, comunque piuttosto rozzi e poco organici, possiamo ricordare Isidoro di Siviglia (560-636) e l’inglese Beda il Venerabile (673-735). ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 9 Vediamo ora più dettagliatamente i rappresentanti più significativi della Patristica ed il loro pensiero. Giustino di Nablus Tra i più importanti cosiddetti “padri Apologisti” ricordiamo il già citato Giustino di Nablus. Questo importante personaggio di origine forse greco – latina, visse con la sua famiglia nella provincia della Giudea, negli anni successivi alla distruzione del Tempio di Gerusalemme voluta dall’imperatore Tito. Nacque pagano, gli fu data dalla famiglia un’ottima istruzione che gli permise di approfondire gli studi filosofici prima nella scuola di un Pitagorico poi in ambito Platonico. Fu proprio quest’ultima dottrina a stimolarlo verso la ricerca di Dio, obiettivo primario, secondo lui, della ricerca filosofica. Ritiratosi dalla vita mondana, si dedicò ad approfondire il suo pensiero riflettendo su una immagine di Dio libero dallo spazio e dal tempo ma intuibile solo da parte di uomini veramente illuminati come gli antichi profeti della Bibbia. A questo punto, ormai maturo e consapevole delle sue idee, si convertì al Cristianesimo. La sua convinzione e una fede incrollabile, lo porteranno ad essere condannato a morire come martire per decapitazione insieme ai suoi discepoli, sotto l’imperatore Marco Aurelio nel 167 circa. Giustino fu il primo ad utilizzare i termini e la dialettica propri della filosofia greca, per esprimere e difendere il pensiero cristiano cercando di conciliare fede e razionalismo. Si schierò duramente contro la religione pagana ed i suoi falsi miti mentre privilegiò l’incontro con il pensiero filosofico di quella cultura. Il suo pensiero appare chiaro in due opere : “La prima apologia dei Cristiani” e la “Seconda apologia dei Cristiani”, indirizzate rispettivamente all’imperatore Antonino Pio e al Senato romano. (il termine “apologia” significa “difesa”). Usando un linguaggio di grande rispetto ma di uguale fermezza, Giustino vi difese la causa della cristianità di fronte alle leggi dell’impero sottolineando le posizioni non violente e rispettose della comunità cristiana e rifiutando l’accusa di ateismo dovuta al fatto che rifiutavano di riconoscere la divinità imperiale e il pantheon degli dei. Tertulliano (Quinto Settimio Fiorente Tertulliano {Cartagine, 155 c.a – 230 c.a}) Dopo tra gli altri apologeti è da annoverare il famoso Tertulliano di Cartagine ( 155-220 ca. ) , apologista, polemista, teologo e moralista, il quale dimostrò l’ingiustizia delle persecuzioni e l’assurdità delle accuse contro i cristiani, sottolineando che stragi e calunnie avrebbero ottenuto un effetto contrario facendo aderire nuove persone al Cristianesimo. Anche lui nacque in una famiglia pagana. Grazie agli studi, acquisì una grande cultura filosofica e giuridica. Tra le opere : “Ad nattiones”, “La regola della fede” emolti trattati di etica e teologia. Nella sua opera più importante: l’ “Apologeticum”del 197, , Tertulliano si servì proprio della sua conoscenza come ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 10 avvocato per sottolineare le contraddizioni della legge romana relativa in merito alla considerazione della religione e delle comunità cristiane. Tertulliano fu altrettanto severo con quei cristiani che, per sfuggire alla morte, abiuravano o con coloro che in qualità di soldati o ufficiali, continuavano a combattere, una violenza secondo lui incompatibile con la fede cristiana. Da un punto di vista dottrinale, Tertulliano nei suoi trattati teologici, ed è forse l’aspetto fondamentale della sua attività, elaborò le basi della teologia trinitaria della chiesa latina con concetti che avranno una grande influenza sul pensiero degli autori posteriori. In particolare la formula che definisce la Trinità come “una natura in tre persone” rappresenta un’acquisizione mai cambiata. Agostino di Ippona l’interiorità e la riflessione sul concetto di tempo Cenni biografici: Agostino, di etnia punica o berbera, ma di cittadinanza romana, nacque a Tagaste (attuale Algeria) nel 354 d.C. e morì nel 430 ad Ippona (nello stesso territorio), a quei tempi una piccola città libera della Numidia proconsolare. Formatosi in ambito culturale ellenisticoromano, fu filosofo, vescovo e teologo di grande genialità riconosciuto e santificato come Dottore della chiesa cristiana. Apparteneva a una famiglia del ceto medio, il padre, (consigliere municipale della città), era pagano, mentre la madre si era convertita al Cristianesimo. Opere: Agostino fu autore di molte opere: scritti autobiografici, filosofici, apologetici, dogmatici, polemici, morali, esegetici, raccolte di lettere, di sermoni e di opere in poesia. Tra le più significative per conoscere il suo pensiero, ricordiamo: Le “Confessioni”, scritte intorno al 400, una storia autobiografica della sua maturazione religiosa, contengono il cardine del pensiero agostiniano racchiuso nel concetto che l’uomo è incapace di orientarsi da solo: riuscirà a trovare l’orientamento nella sua vita esclusivamente con l’illuminazione di Dio. La parola “confessioni” va intesa in senso latino (confiteor), come preghiera e abbandono all’azione di Dio. Le “Ritrattazioni” (composte verso la fine della sua vita, tra il 426 e il 428), sono un riesame dei propri lavori ripercorsi in ordine cronologico, spiegando l’occasione della loro genesi e l’idea dominante di ognuno. Rappresentano una guida di inestimabile valore per comprendere l’evoluzione del pensiero di Agostino. Le “Epistolae”, (Lettere), circa 270, sono utili per la conoscenza della sua vita, della sua influenza e della sua dottrina. ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 11 “La città di Dio” (De civitate Dei contra Paganos, La città di Dio contro i Pagani), in 22 libri, iniziato nel 413 e terminato nel 426; rappresentava la risposta di Agostino ai pagani che attribuivano la caduta di Roma (410) all’abolizione del Paganesimo. Il culmine dell’edificazione del corpo dottrinale cristiano venne raggiunto dal maggiore esponente della Patristica: Agostino di Ippona. Ebbe la carica di vescovo e il suo pensiero si rifece al Neoplatonismo, che gli permise di conciliare la con la fede cristiana. Egli infatti riprese da Plotino il tema delle tre nature o “ipostasi divine” (l’Uno, l’Intelletto e l’Anima) identificandole con le tre Persone della Trinità cristiana (Padre, Figlio e Spirito Santo),); tuttavia Agostino interpretò il loro rapporto di successione non più in senso digradante (ovvero dalla figura fondamentale (il Padre/Dio), ma secondo una visione di parità e consustanzialità. Infatti secondo Agostino, esistono dei limiti oltre i quali la ragione non può andare, ma se Dio illuminerà la nostra anima con la fede, riuscirà a placare il nostro desiderio di conoscenza. Sempre dal Neoplatonismo di Plotino, Agostino riprese anche la concezione del Male come semplice “assenza” di Dio: esso è dovuto perciò alla disobbedienza umana. A causa del peccato originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare; ciò non toglie che noi possediamo comunque un libero arbitrio. Su questo punto tuttavia, Agostino distaccò totalmente la filosofia cristiana rispetto da quella greca, nella quale era certamente presente l’idea della contrapposizione tra bene e male, ma era assente la nozione del peccato. Agostino era convinto che la lotta tra bene e male si svolgesse soprattutto nel divenire della storia. Pertanto anche il mondo e gli enti corporei hanno un loro valore e significato, in quanto frutti dell’amore di Dio, un Dio vivo che sceglie volontariamente di entrare nella storia umana. Agostino riflette sul concetto di “amore” e lo diversifica: mentre la filosofia greca aveva affermato che l’eros greco (inteso comunque come amore spirituale) aveva una “tendenza ascensiva” verso Dio, Agostino interpretò l’amore come “agape” in senso cristiano, cioè con una “tendenza discensiva” dove Dio discende verso le sue creature, proprio nell’ultima cena condivisa da Cristo con i suoi apostoli. La valorizzazione della storia, dell’esistenza terrena e del concetto di tempo Agostino, proponendosi dunque una riflessione più approfondita sul senso della nostra storia, personale e collettiva e contemporaneamente affascinato proprio dalla contraddizione a cui lui stesso era giunto: il Male come “assenza” di Dio, dovuto perciò alla disobbedienza umana, e la visione di Dio che discende verso le sue creature, comprese una importante implicazione insita in questa visione storica: cominciò quindi a riflettere in forma ampia e organica intorno al concetto di tempo soprattutto in due opere:le “Confessioni” e nella “Città di Dio”. Mentre la filosofia antica, aveva ricercato la stabilità delle essenze al di fuori dell’incessante ripetersi ciclico del divenire naturale, Agostino fu colpito da due misteri posti al centro della rivelazione cristiana: la creazione e la redenzione. Questi due misteri infatti, annunciano che l’intera vicenda umana si può comprendere nell’ambito di un segmento storico finito entro il quale si decide il nostro destino eterno, cioè il tempo della vita. Le domande con cui Agostino inizia la sua analisi della temporalità, si trovano nel libro XI delle Confessioni, e nascono da ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 12 un’obiezione di fondo contenuta nella stessa filosofia pagana: cosa faceva Dio ‘prima’ di creare il cielo e la terra? Secondo la verità cristiana della creazione, essa rappresenta un inizio assoluto rispetto all’immutabilità eterna della natura divina, così come la verità della redenzione, che era intesa dai cristiani come un nuovo inizio dopo aver peccato. Dunque si chiese Agostino se queste due verità cristiane non rappresentassero forse una regressione all’antico mito rispetto alle conquiste del pensiero greco, dove la perfezione era sinonimo di immutabilità? Un Dio che fa “cominciare e ricominciare” qualcosa non assomiglia troppo alla volubilità capricciosa degli dèi dell’Olimpo? Mentre nella prima parte della sua opera Agostino configura con stile narrativo il vissuto nella forma di una vera e propria autobiografia spirituale il suo vissuto, nella seconda parte delle Confessioni, all’interno di un ampio commento del libro della Genesi nella Bibbia, in particolare dei primi versetti dedicati alla creazione del mondo, il filosofo inserisce un’analisi del tempo che finisce per assumere una funzione di collegamento fra la sua storia personale e la storia del mondo e annulla il dubbio che la filosofia antica avrebbe potuto porre. Secondo Agostino, l’atto della creazione non solo chiama all’essere (come esistenza) dal nulla, ma costituisce un’alleanza inaudita fra Dio e uomo, che si sviluppa sia nel bene che nel male attraverso una storia, di per sé unica e irripetibile. Quindi secondo Agostino è del tutto inesistente la provocazione dei filosofi pagani perché nasce da una riflessione sbagliata: all’interrogativo “cosa faceva Dio prima di creare il cielo e la terra?” il filosofo risponde che non possiamo collocare l’atto creatore dentro una sequenza cronologica, e interrogarci sul prima e sul dopo. Per Agostino l’eternità divina non è un tempo infinitamente lungo, ma assenza di tempo; nemmeno il tempo, a sua volta, è infinitamente lungo: il tempo sta dentro la creazione, e solo nell’orizzonte della finitezza delle creature, ha senso adoperare avverbi di tempo. Affermato questo concetto, Agostino inizia un’indagine approfondita sulla natura del tempo, rilevando alcuni paradossi, come l’essere consapevoli del tempo ma non riuscire a spiegarlo. Il senso comune porta la mente umana a darne una definizione naturalistica, come se il tempo fosse “qualcosa che si muove”; lo stesso Platone lo aveva definito una “ immagine in movimento dell'eternità”. In questo senso si può parlare del tempo degli astri o della ruota del vasaio (oggi diremmo: il tempo degli orologi). Secondo il concetto temporale di Agostino, potremmo misurare il movimento del tempo lungo un asse lineare, costituito da tre “dimensioni” : quella del passato, del presente e del futuro; ma come possiamo descrivere (e quindi ‘oggettivare’) tali dimensioni? Il passato non è più qualcosa, il futuro non lo è ancora; nemmeno il presente, peraltro, ha una durata: propriamente parlando, non è ‘presente’ un giorno né un’ora, poiché a loro volta queste unità temporali possono scomporsi in una parte già passata e in una parte futura. Come rispondere allora a questo dilemma? Agostino giunge ad una ulteriore riflessione: la nostra storia personale è impastata di temporalità: il passato è il nome che diamo alla memoria delle esperienze vissute, il futuro ci abita attraverso i progetti e le speranze che orientano il nostro agire, ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 13 il presente costituisce la coscienza attuale di quello che stiamo vivendo. Potremo uscire dal dilemma abbandonando una logica naturalistica e accettando l’idea che: il tempo non è una cosa, né una proprietà delle cose, ma una relazione; una relazione fra le cose che passano e l’interiorità spirituale della creatura umana, che le ‘salva’ dalla dispersione, le ricorda, le articola, le riconosce come una trama storica, sensata e orientata. In un passaggio delle sue “Confessioni”, Agostino arriva ad affermare: “In te, spirito mio, misuro il tempo… non protestare… per il tumulto delle tue impressioni. In te, lo ripeto, io misuro il tempo. L’impressione, prodotta in te dalle cose che passano, sussiste anche oltre il loro passaggio: è questa che misuro, quando misuro il tempo” La dimensione temporale non va dunque situata all’esterno, in una spazialità cosmologica, ma all’interno di una dialettica personale di “intentio” e “distentio”: l’intentio esprime la tensione che anima lo spirito umano, costituito da una proiezione trascendente; la distentio esprime una sorta di movimento antagonista, vale a dire una potenzialità di dilatazione e dislocamento della vita dello spirito, che si sedimenta entro un vero e proprio ‘spazio’ interiore, dal quale dipende l’avvertimento della profondità temporale e quindi la possibilità stessa di ogni ricognizione sulla propria vita (scrive infatti il filosofo:“ecco la dilatazione della vita dello spirito è la mia vita”. La “distentio” dell’animo, attesta dunque l’unico modo in cui la creatura umana, a differenza di Dio, può vivere la durata: appunto come una sorta di ‘dilatazione spirituale’, che rovescia in avanti l’asse della temporalità. Proprio grazie a questa paradossale capacità di vivere “controcorrente”, la creatura umana può sperimentare nella finitezza la sua potenziale estraneità al divenire; afferma infatti ancora Agostino: “Se vai proteso in avanti, se pensi alle realtà future, dimentica le cose passate, non volgerti indietro a riguardarle, per non fermarti là dove hai posto il tuo sguardo” . ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 14 (D) La Scolastica: Anselmo e Tommaso; la prova ontologica e le cinque vie La filosofia Scolastica risale, come precedentemente ricordato, al Medio Evo inoltrato (tra il 1100 ed il 1300). Il termine deriva dal fatto che in tale periodo, la produzione intellettuale fu legata soprattutto alle scuole delle Università, che erano libere corporazioni di studenti e insegnanti, dove la filosofia ebbe un ruolo centrale per la dimostrazione razionale dei contenuti di fede e coincise sostanzialmente con la lettura e la reinterpretazione dei testi aristotelici. Oltre alla fondazione delle università, altri due fattori favorirono lo sviluppo di questo pensiero filosofico, e furono: a )l’attività culturale di due ordini monastici, creati in tempi più recenti rispetto all’ordine dei benedettini: l’ordine dei Francescani e quello dei Domenicani, entrambi in quotidiano e stretto contatto con le realtà cittadine e le università; b) la riscoperta attraverso la mediazione araba, degli scritti di metafisica e di fisica di Aristotele e il recupero della tradizione agostiniana. Il percorso della filosofia Scolastica si può distinguere in quattro diverse fasi: A. la prescolastica, B. l’alta scolastica, C. il culmine della scolastica D. la crisi della scolastica. La prescolastica Si sviluppò nel periodo segnato dalla Rinascita culturale Carolingia, cioè con l’ascesa della dinastia degli Heristal con Carlo Martello e l’età del Sacro Romano impero fondato da Carlo Magno. Dunque un periodo compreso tra la fine dell’anno 700 fino a tutto il 900. I due più importanti esponenti della rinascita carolingia furono Alcuino di York (730-804) e Giovanni Scoto Eriugena (810 circa - 877); Alcuino incaricato nel 781 da Carlo Magno a dirigere la scuola Palatina (la scuola del palazzo reale); fu autore di vari manuali che ebbero notevole diffusione nei secoli successivi; oltre alla scuola Palatina, fondò molte altre scuole in cui si insegnavano in modo sistematico le sette arti liberali; Scoto Eriugena fu una figura più importante, responsabile della scuola Palatina durante l'impero del figlio di Carlo Magno, Carlo il Calvo, (nato 823 - morto 877). Per suo tramite il mondo cristiano conobbe gli scritti e l’opera dello pseudo Dionigi, che egli tradusse in latino, di Plotino e di Agostino di Ippona. Purtroppo la dissoluzione del Sacro Romano Impero nell’anno 887 con la deposizione dell'ultimo imperatore discendente da Carlo Magno, bloccò nuovamente lo sviluppo della cultura occidentale. ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 15 Una certa ripresa si ebbe solo con la ricostituzione del Sacro Romano Impero anche se su una porzione europea meno estesa, da parte di Ottone I il Grande (imperatore dal 961al 973); a questa ripresa contribuì il movimento cluniacense, nuovo ordine religioso che ebbe origine dal monastero benedettino di Cluny (fondato nel 910) in Francia. L’alta scolastica Si sviluppò nel periodo che comprende all'incirca l’ XI ed il XII sec. Con la ripresa dell’urbanizzazione e lo sviluppo dei vecchi e nuovi centri cittadini nel corso dell’ XI sec., la cultura smise di essere quasi un monopolio esclusivo dei monasteri e delle abbazie, e l’insegnamento cominciò ad organizzarsi principalmente intorno alle grandi scuole presso le cattedrali delle città, fino alla costituzione delle prime università, alla fine del XII sec. Lo studio fu caratterizzato da un rinnovato interesse per la logica e la dialettica della filosofia aristotelica, con l’obiettivo di applicarle anche alle questioni teologiche. Si sviluppò così una forte polemica fra dialettici e antidialettici. I dialettici volevano affidarsi alla ragione per intendere le verità di fede; gli antidialettici, al contrario si opposero a tali innovazioni, negando qualsiasi valore al ragionamento per quanto riguarda le verità rivelate. (Tra i più importanti esponenti della corrente dei dialettici ricordiamo Berengario di Tours (1000 circa - 1088); in quella degli antidialettici Pier Damiani (1007-1072). Una possibilità di compromesso fra le due posizioni, fu sostenuta da Anselmo di Aosta (1033-1109) più tardi riconosciuto santo dalla chiesa. Infatti, riconobbe alla ragione la funzione di chiarificazione della fede. Ma approfondiremo più avanti il suo pensiero sul concetto di fede come via per la ragione (credo ut intelligam = credere per intendere) e per le sue prove dell’esistenza di Dio (prove ontologiche). Bernardo da Chiaravalle (1091-1153), fu il fondatore della mistica medioevale, che riteneva inutile e fuorviante ogni ricerca di tipo razionale sulla fede, poiché la vera conoscenza di Dio è ottenibile soltanto attraverso la via mistica. In essa, l’anima umana si perde in Dio, e l’uomo trascende così la sua corporeità. Il culmine della scolastica è nel pieno del 1200 ed è caratterizzato dalla graduale penetrazione e assimilazione, da parte della scolastica cristiana, della filosofia aristotelica, della quale prima si conosceva soltanto la parte logica, furono tradotte in latino, insieme a quelle dei suoi commentatori arabi Avicenna e Averroè ( vedi §§ precedenti). In un primo momento, la diffusione dei testi aristotelici, letti e commentati nelle scuole e nelle università, provocò la reazione degli ambienti più tradizionalisti, che si irrigidirono sulle consuete posizioni platonico-agostiniane. In un secondo momento si arrivò invece ad una conciliazione fra aristotelismo e cristianesimo, specialmente ad opera di Alberto Magno (che insegnò nelle università di Parigi e di Colonia) e di Tommaso d’Aquino. La crisi della scolastica ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 16 Dalla fine del XIII sec. a tutto il XIV venne messa in discussione la grande sintesi fra ragione aristotelica e fede cristiana compiuta nel periodo scolastico; la crisi della scolastica raggiunse il suo culmine con Guglielmo di Ockham (1290-1348 o1349) un francescano, che insegnò a Oxford, costretto a rifugiarsi a Monaco di Baviera sotto la protezione dell'imperatore Ludovico il Bavaro perché accusato di eresia; egli dichiarò che ciò che oltrepassa i limiti dell’esperienza non può essere né conosciuto né dimostrato dall’uomo. Copyright ©2016 by Istituto Internazionale di Istruzione Giovanni Paolo II srl – All Right Reserved ISTITUTO GIOVANNI PAOLO II 17