I LONGOBARDI E LA LORO CULTURA AGROALIMENTARE ALIMENTAZIONE E STORIA Per quanto riguarda i Longobardi, dobbiamo considerare che per indagare sulle loro abitudini alimentari, ci si è dovuti basare sull’apporto sia di fonti storiche e documentarie, sia di quelle archeologiche. In particolare, nuovi approcci scientifici integrati hanno consentito agli studiosi di compiere delle analisi sugli scheletri rinvenuti nelle necropoli longobarde, focalizzando l’attenzione sulla condizione dell’apparato osseo e, soprattutto, dello stato di conservazione dei denti. Così, studi complementari di bio-archeologia e misurazioni antropometriche circa l’altezza presunta e lo spessore delle ossa umane ritrovate, hanno permesso di ricostruire virtualmente non solo la corporatura media di uomini, donne e bambini, ma anche di capire quali fossero le abitudini alimentari dei Longobardi. IL VALORE SIMBOLICO DEL CIBO Dagli scavi nelle aree archeologiche di maggiore importanza sono state portate alla luce vere e proprie necropoli longobarde, dove un elemento costante è costituito da resti di pasti. La valenza del cibo è stata attribuita una duplice valenza: Una prima valenza è quella di offerta alimentare per il defunto, cui erano destinati animali quali volatili, ovini e bovini, uova, molluschi e pesci, semi di cereali e di altre piante oltre a recipienti contenenti tracce di olio o di altri condimenti per le pietanze e, soprattutto, di idromele, ritenuta una bevanda dalle proprietà magiche e terapeutiche, e di vino, che donava ai commensali saggezza e conoscenza. Una simile pratica conferma l’ipotesi che i Longobardi credessero in una vita ultraterrena, in cui il defunto mantenesse inalterate la sua personalità, il suo status sociale e di conseguenza anche la necessità di approvvigionarsi quotidianamente. La seconda valenza del cibo, invece, è quella di fungere da collegamento tra il regno dei vivi e quello dei morti. 3 LA DIETA ALTOMEDIEVALE Indubbiamente, l’alimento alla base dell’alimentazione era la carne suina, che tuttavia era consumata solo in minima parte fresca di macellazione, che avveniva tra i mesi di dicembre e gennaio. Al contrario, per conservare la carne si procedeva all’essicazione, alla salagione o all’affumicatura, cui era dedicata una stanza apposita delle case, senza contare la possibilità di ricavare anche salsicce, ciccioli, prosciutti e salumi. Di tutte le parti dell’animale, quelle considerate più pregiate erano la testa e la lingua, che pertanto erano destinate alla classe degli aristocraticiguerrieri. Proprio sulle tavole gentilizie, oltre al maiale era molto presente anche la cacciagione, sia di grossa taglia come cinghiali, cervi, daini e orsi, sia quella minuta, costituita da lepri e conigli selvatici, il tutto rigorosamente cotto sullo spiedo. Diversa era la situazione delle classi meno abbienti, che optavano per i bolliti di carne o per gli spezzatini in umido conditi con salse molto speziate, generalmente a base di vino. Molto frequenti sule tavole erano anche gli uccelli di palude come passeri, beccafichi, tortore e pernici, oppure quelli di stagno come oche, anatre selvatiche e persino cigni, cicogne, gru e aironi. LA DIETA ALTOMEDIEVALE I contadini e i più poveri, invece, imbandivano le loro parche mense con zuppe di cereali (grautr), a chicchi interi oppure macinati. Un altro tipo di farina diffusa era quella di legumi essiccati che serviva come base per i piatti unici di carne di maiale bollito. Della dieta facevano parte anche pesce, granaglie e verdure, nel segno della continuità della tradizione gastronomica mediterranea, mentre dalle tavole dei religiosi le carni erano assenti e venivano sostituite da vari tipi di polenta di cereali, poiché allora il mais era coltivato solo nel continente americano, non ancora scoperto. Ad accompagnare la polenta provvedevano lenticchie, fave o piselli, sotto forma di zuppa o in purea, così come abbondavano le verdure coltivate negli orti. Le varietà più diffuse erano rape, cavoli, verze e cavoli cappuccio insieme ai broccoli. Sulle tavole contadine, inoltre, non mancavano mai cipolle, aglio e porri, insieme a erbe di campo come lattuga, bietole, indivia, cicoria e radici, ossia carote violette, ravanelli e pastinaca. Le uova erano molto utilizzate per via della loro versatilità in cucina: potevano essere bollite o servite sotto forma di frittatone alte, cotte in recipienti detti “testi”. Nelle città di mare si consumavano anche alici preparate in diversi modi: fresche, salate o marinate; tuttavia, gli scavi archeologici hanno dimostrato che venivano pescati e consumati anche pesci insoliti e di grandi dimensioni come gli squali. L’anguilla, il salmone, il luccio, il lampreda e lo storione erano invece prediletti dalle famiglie gentilizie, che lo consumavano fresco oppure marinato, essiccato, affumicato o sotto sale. Anche i molluschi e i crostacei come scampi, calamari, polipi, seppie, aragoste, granchi e gamberi di fiume erano assai apprezzati, insieme alle rane, diffuse nelle paludi della zona di Padova. LA DIETA ALTOMEDIEVALE Essiccazioni dei cereali Essiccazione delle carni Banchetto tavole gentilizi PANE E FOCACCE I cereali e i legumi erano alla base della dieta dei ceti più poveri, che li usavano in cucina a chicchi interi, per farne delle zuppe, oppure essiccati sotto forma di farina. Quest’ultima serviva per preparare l’impasto del pane, che tuttavia era assai raramente ben lievitato e cotto in forno perché conteneva più cerali quali segale, avena, farro, panico e miglio, più poveri di glutine rispetto al frumento. Il prodotto finale era un pane scuro, dalla forma di gallette o di focacce, e veniva cotto perlopiù sotto le braci o su apposite lastre di terracotta sopra il fuoco. Inoltre, sulla tavola potevano anche comparire altri cibi preparati con il medesimo tipo di impasto: ecco allora le pinsae, ossia focacce imbottite che costituivano la versione alto medievale delle odierne pizze e calzoni, e ancora pasticci vari ripieni di carne o di uova. LE BEVANDE Il bere non riguardava solo la soddisfazione di un bisogno, ma si trattava di un gesto conviviale, il quale diveniva centrale durante feste, matrimoni o funerali. Oltre all’acqua e al latte si beveva.. La birra(malto,orzo, luppolo fermentato e spezie) chiamata in 3 modi: Ol Bjorr Mungàt Veniva affidata la delicata ed importante produzione ad un «tecnico». L’ Idromele, a base di miele, era la bevanda per eccellenza al Nord. Tutte le bevande venivano servite in coni naturali, di metallo o in legno, alcuni non muniti di piede; si era obbligati a bere fino all’ultimo sorso poichè impossibile appoggiare la coppa piena. Un vero eroe doveva reggere più bicchieri di questi alcolici senza risparmiarsi. DOLCI TIPICI MEDIEVALI I conquistatori Longobardi, venuti in contatto con la popolazione della Penisola e i territori dell’impero bizantino, mutuarono dai costumi latini l’abitudine di preparare, sia pure in forma semplificata, la secunda mensa, ossia una portata dolce a conclusione del pasto più importante della giornata. Il dolce era costituito principalmente da frutta fresca: mele , fichi, sorbe, nespole, oppure cotta e condita col miele, a creare una sorta di confettura. Anche la frutta secca come noci, nocciole, mandorle e castagne era una presenza fissa a tavola, in quanto garantiva un importante apporto nutritivo anche alle diete più povere dei ceti umili. In particolare, le mandorle erano utilizzate come ingrediente principale per preparare i dolci tipici riservati ai banchetti nuziali, mentre con il loro latte si potevano cucinare minestre e budini a base di orzo, perché fungeva da addensante naturale. Tra i dolci più citati e diffusi vanno menzionati i melatelli, che ricordano l’odierno Pan Forte sensese. Si trattava di focacce dolci a base di farina di frumento cui veniva aggiunta frutta di stagione e cotte a fuoco lento; da ultimo, venivano ricoperte con del miele che mitigava il gusto acidulo della frutta. Vi erano poi focacce di fichi secchi e uva passa, budini di mosto d’uva e di confettura di frutta e altri dolcetti preparati con mandorle o altri tipi di frutta secca e poi avvolti con un impasto di immancabile farina e miele. Quest’ultimo tipo di dolci erano consumati per festeggiare nascite e matrimoni e se ne trova testimonianza già in epoca romana. LA COLOMBA DI ALBOINO Tuttavia, quella che è la preparazione dolciaria più legata alla tradizione longobarda in Italia è quella che viene chiamata Colomba di Alboino. Il dolce è legato alla leggenda dell’assedio e conquista della città di Pavia da parte del re Alboino nel 569. Si narra che il sovrano longobardo, dopo aver conquistato Pavia, ne avesse ordinato la distruzione e l’uccisone di tutti gli abitanti. Per dissuaderlo da una simile decisione, furono inviate ad Alboino dodici fanciulle, una delle quali portava in dono fra le mani un pane dolce a forma di colomba, preparato con farina, uova, miele e mandorle. Secondo la leggenda, il re fu colpito da un simile dono e decise non solo di risparmiare Pavia e i suoi abitanti, ma di fare della città la capitale del suo regno. Questo dolce, raffigurante un uccello simbolo della riconciliazione, fu adottato dalla tradizione cristiana per celebrare la Pasqua di resurrezione e da allora viene più semplicemente chiamato con il nome di colomba. Qui di seguito viene riportata la ricetta per la preparazione di questo dolce tipico, ormai ben noto e diffuso anche sulle nostre tavole. GLI UTENSILI Gli utensili, usati al tempo, venuti alla luce sono: •Piatti •Scodelle •1 coltello •1 cucchiaio LE FORCHETTE ERANO SCONOSCIUTE OVINQUE ! PRESENTAZIONE DI SPADARI NOA CLASSE 2^F 2019/2020