CAP. 2 FONETICA E FONOLOGIA 2.1 FONETICA S’è detto che il significante primario della lingua è di carattere fonico-acustico. Occorre quindi rendersi conto di come sono fatti fisicamente i suoni di cui le lingue si servono. La parte della linguistica che si occupa di questo compito è la fonetica (dal greco phoné ‘voce, suono’). La fonetica si divide in 3 campi principali: 3) Fonetica uditiva: che 1) Fonetica articolatoria: che 2) Fonetica acustica: che studia i suoni del linguaggio in studia i suoni del applicando i principi base al modo in cui vengono linguaggio in base al dell’acustica, studia i suoni del ricevuti, percepiti modo in cui vengono linguaggio in base alla loro dall’apparato uditivo umano. articolati, cioè prodotti consistenza fisica, in quanto dall’apparato fonatorio onde sonore che si propagano umano. in un mezzo 2.1.1 APPARATO FONATORIO E MECCANISMO DI FONAZIONE L’apparato fonatorio umano (fig. 2.1 p. 45) è l’insieme degli organi e delle strutture anatomiche che l’uomo utilizza per parlare. I suoni del linguaggio vengono prodotti mediante l’espirazione, quindi con un flusso di aria egressivo: l’aria attraverso i bronchi e la trachea, raggiunge la laringe, dove nella glottide incontra le corde vocali (o ‘pliche laringee’). Quest’ultime, che durante la normale respirazione silente restano separate e rilassate, nella fonazione possono contrarsi e tendersi avvicinandosi o accostandosi l’una all’altra. Cicli rapidissimi di chiusure e aperture delle corde vocali costituiscono le ‘vibrazioni’ delle corde vocali. Il flusso d’aria passa poi nella faringe e da questa nella cavità boccale. Nella parte superiore della faringe, la parte posteriore del palato (o ‘velo’), da cui pende l’ugola, può a questo punto lasciare aperto o chiudere il passaggio che mette in comunicazione la faringe con la cavità nasale. Nella cavità orale, svolgono una funzione importante nella fonazione alcuni organi mobili o fissi: - la lingua, in cui si distinguono una ‘radice’, un ‘dorso’ e un ‘apice’; - il palato, in cui occorre considerare separatamente il velo e gli alveoli, cioè la zona immediatamente retrostante ai denti; - i denti; - le labbra; - anche la cavità nasale può partecipare al meccanismo di fonazione quando velo e ugola sono in posizione di riposo. Fig. 2.1 p. 45 Suoni mediante inspirazione (flusso d’aria ‘ingressivo’) o senza la partecipazione dei polmoni (detti ‘avulsivi’) si hanno in lingue dell’Africa centrale e meridionale. In ciascuno dei punti compresi tra la glottide e le labbra al flusso di aria espiratoria può essere frapposto un ostacolo al passaggio, ottenendo così rumori che costituiscono i suoni del linguaggio. Il luogo in cui viene articolato un suono costituisce un primo parametro fondamentale per la classificazione e identificazione dei suoni del linguaggio; un secondo parametro fondamentale è dato dal modo di articolazione, e cioè dal restringimento relativo che in un certo punto del percorso si frappone o no al passaggio del flusso d’aria. Un terzo parametro è dato dal contributo della mobilità di singoli organi (corde vocali, lingua, velo e ugola, labbra) all’articolazione dei suoni. In base al modo di articolazione abbiamo una prima grande opposizione fra i suoni del linguaggio; quella fra suoni prodotti senza la frapposizione di alcun ostacolo al flusso d’aria fra la glottide e il termine del percorso (suoni vocalici), e suoni prodotti mediante la frapposizione di un ostacolo parziale o totale al passaggio dell’aria in qualche punto del percorso (suoni consonantici). I suoni prodotti con la concomitante vibrazione delle corde vocali sono detti ‘sonori’. Le vocali sono normalmente tutte sonore, le consonanti possono essere sia sonore che sorde. 2.1.2 CONSONANTI MODO DI ARTICOLAZIONE Le consonanti sono caratterizzate dal fatto che vi è frapposizione di un ostacolo al passaggio d’aria. A seconda che questo ostacolo sia completo o parziale, si riconoscono due grandi classi di consonanti: - consonanti fricative = ostacolo parziale (così chiamate perché producono un rumore di frizione) Esistono suoni consonantici la cui articolazione inizia come un’occlusiva e termina come una fricativa. Si tratta di consonanti ‘composte’, costituite da due fasi, che vengono chiamate consonanti affricate. Nel modo di articolazione per alcune consonanti intervengono altri fattori, quali movimenti, atteggiamenti della lingua, partecipazione della cavità nasale. Abbiamo così consonanti laterali, quando l’aria passa solo ai due lati della lingua, e consonanti vibranti, quando si hanno rapidi contatti intermittenti tra la lingua e un altro organo articolatorio. Laterali e vibranti sono riunite sotto l’etichetta di ‘liquide’. Abbiamo invece consonanti nasali quando vi è passaggio dell’aria anche attraverso la cavità nasale. LUOGO DI ARTICOLAZIONE Le consonanti vengono classificate anche in base al punto dell’apparato fonatorio in cui sono articolate. Partendo dal tratto terminale del canale fonatorio abbiamo le consonanti: - (bi)labiali, prodotte dalle labbra o tra le labbra (es. b e m); - labiodentali, prodotte fra le labbra e i denti anteriori (es. b e m); - dentali, prodotte a livello dei denti; - palatali, prodotte dalla lingua contro o vicino al palato; - velari, prodotte dalla lingua contro o vicino al velo; - uvulari, prodotte dalla lingua contro o vicino all’ugola; - faringali, prodotte fra la base della radice della lingua e la parte posteriore della faringe; - glottidali, prodotte direttamente nella glottide, a livello delle corde vocali. Esistono altri modi e luoghi di articolazione: ad es. le consonanti dette ‘retroflesse’, che vengono articolate flettendo all’indietro la punta della lingua (es. la pronuncia dd nella parola siciliana beddu = bello). N.B. Utile, in tal senso, la consultazione della Fig. 2.2 p. 49 e del Box 2.1 p. 49-51. - consonanti occlusive = ostacolo completo; 2.1.3 VOCALI S’è già visto come le vocali siano suoni prodotti senza che si frapponga alcun ostacolo al flusso dell’aria nel canale orale. Le diverse vocali non sono quindi caratterizzate dal modo di articolazione né dagli organi che partecipano alla loro realizzazione, ma dalle diverse conformazioni che assume la cavità orale a seconda delle posizioni che assumono gli organi mobili, in particolare la lingua. Per classificare i suoni vocalici occorre far riferimento alla posizione della lingua, e precisamente al suo grado di: a) avanzamento o arretramento, per cui le vocali possono essere anteriori, posteriori o centrali; b) innalzamento o abbassamento, per cui le vocali possono essere alte, medie(medio-alte e medio-basse) e basse. La posizione in cui vengono articolate le vocali secondo il duplice asse orizzontale e verticale, può essere rappresentata dallo schema detto ‘trapezio vocalico’(cfr. Fig. 2.3 p. 52). 2 Occorre distinguere dalle fricative le cosiddette approssimanti, in cui l’avvicinamento degli organi articolatori non giungono a produrre frizione. Sono approssimanti le semiconsonanti e le semivocali. Un altro parametro importante nella classificazione dei suoni vocalici, è la posizione delle labbra durante l’articolazione. Le labbra possono trovarsi distese, formanti una fessura (da cui le vocali cosiddette ‘non arrotondate’), oppure essere tese e protruse, cioè sporgendo in avanti a dando luogo ad un arrotondamento, da cui appunto le vocali ‘arrotondate’ (o ‘labializzate’). I suoni possono inoltre essere prodotti con o senza passaggio contemporaneo dell’aria nella cavità nasale. Nel primo caso abbiamo ovviamente le vocali dette ‘nasali’. 2.1.4 SEMIVOCALI Vi sono suoni con modi di articolazione intermedio fra vocali e consonanti fricative, e quindi prodotti con un semplice inizio di restringimento del canale orale, cioè con la frapposizione di un ostacolo appena percettibile al flusso dell’aria, detti ‘approssimanti’. Si tratta di suoni assai vicini alle vocali, di cui condividono la localizzazione articolatoria, e vengono chiamati ‘semivocali’ o anche ‘semiconsonanti’. A rigore semiconsonanti e semivocali andrebbero distinte, riservando il primo termine ai suoni in cui la componente fruscìo è più marcata rendendoli più vicini alle fricative. A differenze delle vocali, le semivocali non possono costituire apice di sillaba e assieme alle vocali contigue costituiscono un dittongo (o trittongo, se più d’una). Un classificazione delle semivocali distingue quelle ‘anteriori’ (o ‘palatali’) da quelle ‘posteriori’ (o ‘velari’). 2.1.5 TRASCRIZIONE FONETICA Nei sistemi alfabetici tipici delle lingue europee ogni singolo suono viene reso in linea di principio da un particolare simbolo grafico. Le grafie alfabetiche formatesi per convenzione e accumulo di abitudini grafiche sono però tutt’altro che univoche e coerenti. Non c’è rapporto biunivoco tra suoni e unità grafiche (o grafemi, cioè le lettere dell’alfabeto): allo stesso singolo suono possono corrispondere più grafemi differenti: in italiano, per es., il primo suono della parola cane può essere reso con c ma anche con q. Viceversa, uno stesso grafema può rendere suoni diversi. Ad esempio, il suono della lettera c in cane è ben diverso da quello in cena (cfr. Box 2.2 pp. 54-55). L’ortografia italiana (come quella tedesca e diversamente da quella inglese e francese) è comunque abbastanza ‘fonografica’ perché a ogni suono corrisponde una singola lettera (al massimo due) e siamo abituati a leggere e pronunciare ‘come si scrive’. L’inglese ha invece un’ortografia con elementi addirittura logografici, con suoni che corrispondono a una sequenza di lettere e lettere che non hanno alcun corrispondente fonico. Va comunque tenuto presente che la realtà della lingua è primariamente fonica, e quel che conta è la fonia e non la grafia. Pertanto l’analisi linguistica deve sempre basarsi sull’immagine fonica delle parole. Per ovviare alle incongruenze delle grafie tradizionali e avere uno strumento di rappresentazione grafica dei suoni del linguaggio, valido per tutte le lingue, che riproduca scientificamente la realtà fonica, i linguisti hanno elaborato sistemi di trascrizione fonetica, in cui c’è corrispondenza biunivoca fra suoni rappresentati e segni grafici che li rappresentano. Lo strumento più diffuso per la trascrizione fonetica è l’Alfabeto Fonetico Internazionale, indicato solitamente con la sigla IPA (International Phonetic Alphabet) o API (Alphabet Phonétique Internationale). Una parte dei grafemi IPA corrisponde a quelli dell’alfabeto latino, usati nella grafia normale dell’italiano, ma molti altri grafemi hanno una forma speciale (vedi a tal fine il Box 2.3 a p. 60). Alcuni esempi di trascrizione fonetica compaiono nelle Tabelle 2.1 e 2.2 a p. 56, dove sono riportati tutti i suoni consonantici e vocalici. La trascrizione fonetica convenzionalmente si pone fra parentesi quadre […]. L’accento nella trascrizione IPA è identificato con un apice (‘) posto prima della sillaba su cui esso cade. Due punti indicano l’allungamento della vocale. 2.1.6 CONSONANTI OCCLUSIVE: - bilabiali: [p], sorda, come in pollo [‘pollo], [b], sonora, come in bocca [‘bokka]3; - dentali (o alveolari, a seconda se vengono articolate con la punta della lingua sugli incisivi o, un po’ più indietro, contro gli alveoli): [t] come in topo [‘tɔpo], [d] come in dito [‘dito]; - velari: [k] come in cane,[‘kane], [g] come in gatto [‘gatto]; - uvulari: [q], sorda, come in arabo Iraq [ʕi’ra:q]; - glottidali: [Ɂ] (indifferente alla distinzione fra sorda e sonora), che si trova in tedesco all’inizio di ogni parola cominciante per vocale (ein Apfel ‘una mela’ [Ɂajn ‘Ɂapfǝl]). In italiano si possono avere occlusive glottidali quando si pronuncia sillabando, cioè staccando le sillabe l’una dall’altra. Si noti che consonanti lunghe o doppie o rafforzate’ in grafia IPA possono essere espresse in due modi: o raddoppiando il simbolo corrispondente o con due punti dopo il simbolo: [‘bok:a]. FRICATIVE: - bilabiali: [ф], sorda come nella pronuncia fiorentina di tipo, [‘tiфo], [β], sonora come in spagnolo cabeza ‘testa’ [ka’βeθa]; - labiodentali: [f], come in filo [‘filo], [v], come in vino [‘vino]; - dentali (e alveolari): [θ] (articolata, come quella che segue, con la punta della lingua fra i denti ‘interdentale’), come in inglese think ‘pensare’ [θiŋk], [δ], come in inglese that ‘quello’ [δæt]; [s] (che è tipicamente alveolare), come in sano [‘sano], [z] (alveolare) come in sbaglio [‘zbaʎʎo] ([s] e [z], insieme alle fricative palatali sono a volte dette anche ‘sibilanti’); - palatali (più propriamente postalveolari): [ʃ] come in sci [ʃi], [ʒ], come in francese jour ‘giorno’ [ʒuʁ] (la fricativa palatale sonora [ʒ] non esiste in italiano standard: c’è però nella pronuncia fiorentina di parole come valigia [‘valiʒa]); - velari: [x], come in tedesco Buch ‘libro’ [bux] o spagnolo hijo ‘figlio’ [‘ixo], [ɣ], come in spagnolo agua ‘acqua’ [‘aɣwa]; - uvulari: [χ], come in arabo shaykh ‘sceicco’ [ʃæjχ], [ʁ], come in francese jour [ʒuʁ] (la tipica erre fricativa francese); - faringali: [ʕ], sonora, come in arabo _Iraq [ʕi’ra:q]; - glottidali: [h], sorda, come in inglese have ‘avere’ [hæ:v], in tedesco haben ‘avere’ [‘ha:bǝn] e nella pronuncia fiorentina di parole come poco [‘pɔho]. Spesso tale fricativa viene impropriamente definita ‘aspirata’. Le pronunce fiorentine, qui esemplificate con le fricative bilabiale e velare sorde, sono note come ‘gorgia toscana’. AFFRICATE: - labiodentali: [pf], sorda, come in tedesco Apfel ‘mela’ [‘Ɂapfǝl]; - dentali: [ts], come in pazzo[‘pattso], [dz] come in zona [‘dzɔna]; - palatali: [tʃ], come in cibo [‘tʃibo], [dʒ], come in gelo [‘dʒelo]. In IPA le affricate si trascrivono corrispondentemente alla loro natura fonetica come la sequenza della occlusiva più la fricativa: [ts], affricata dentale, è rappresentata come [t], occlusiva dentale (prima fase), più [s], fricativa alveolare (seconda fase). Per convenzione le affricate lunghe o doppie si trascrivono ripetendo il solo simbolo della fase occlusiva. NASALI: - bilabiale: [m], come in mano [‘mano]; - labiodentale: [ɱ], come in invito [iɱ’vito]; - dentale(alveolare): [n], come in nave [‘nave]; - palatale: [ɲ], come in gnocco [‘ɲɔkko]; - velare: [ŋ], come in fango [‘faŋgo]. Tutte le nasali sono sonore. LATERALI: - dentale (alveolare): [l], come in lana [‘lana]; - palatale: [ʎ], come in gli [ʎi]. Tutte le laterali sono sonore. VIBRANTI: - dentale (alveolare): [r], come in riva [‘riva]; la [r] italiana e plurivibrante; esiste un corrispondente monovibrante, notata con [ɾ], come in spagnolo toro [‘toɾo]; - uvulare: [ʀ], come in francese rose ‘rosa’ [ʀoz], in tedesco rot ‘rosso’ [ʀot]. Tutte le vibranti sono sonore. 2.1.7 VOCALI E SEMIVOCALI ANTERIORI (non arrotondate) - Semivocale (approssimante): [j], come in [‘pjano]. Un’approssimante anteriore in italiano con pronuncia particolare è la labiodentale [ʋ], la cosiddetta ‘erre moscia’: [‘pa:dʋe] padre pronunciato con ‘erre moscia’; - Vocali: [i], alta, come in vino [‘vino]; [ɪ], fra alta e medio-alta (più aperta di [i]), come in inglese bit ‘pezzo’ [bɪt]; [e], medio-alta, come in it. standard meno [‘meno]; [ɛ], medio-bassa, come in bene [‘bɛne]; [æ] bassa, come in ingl. bad ‘cattivo’ [bæ:d]. - Tra le vocali anteriori arrotondate, ricordiamo: [y], alta, come il franc. mur ‘muro’ [myʁ], il ted. kühl ‘fresco’ [ky:l], il piemontese ‘zuppa’ [‘sypa]; [ø], medio-alta, come in franc. peu ‘poco’ [pø], piem. ‘gioco’ [dʒøɡ]; [ɶ], medio-bassa, come in franc. peur ‘paura’ [pɶ:ʁ]. CENTRALI - Medio-alta (o media): [ɘ], come in francese je ‘io’ [ʒɘ] o in inglese the, articolo determinativo; [δɘ] (detta anche ‘indistinta’ o ‘neutra’, questa vocale è chiamata scwa, dal nome di una lettera dell’alfabeto ebraico); [a], bassa, come in mano [‘mano]. POSTERIORI (arrotondate) - Semivocale (approssimante): [w], come in uomo [‘wɔmo]; - Vocali: [u], alta, come in muro[‘muro]; [ʊ], fra alta e media, come in inglese full ‘pieno’ [fʊ]; [o], medioalta, come in bocca [‘bokka]; [ɔ], medio-bassa, come in uomo [‘wɔmo]. - Fra le posteriori non arrotondate: [ʌ], medio-bassa, come in inglese but ‘ma’ [bʌt]; [ɑ], bassa, come in inglese car ‘auto’ [kɑ:], piem. ‘sale’ [sɑl]. Le vocali possono anche essere nasali: in questo caso si trascrivono con una tilde ( ˜ ) sovrapposta, come in francese un ‘uno’ [ɶ], pain ‘pane’ [pε]. N.B. Attenzione manca la tilde sulle due lettere! Non ho trovato il carattere. 2.2 FONOLOGIA 2.2.1 FONI, FONEMI, ALLOFONI Ogni suono producibile dall’apparato fonatorio (rappresentabile con un qualche simbolo dell’alfabeto IPA),ù rappresenta un potenziale suono del linguaggio, che chiamiamo ‘fono’. Un fono è la realizzazione concreta di un qualunque suono del linguaggio. Quando i foni hanno valore distintivo, cioè si oppongono sistematicamente ad altri foni nel distinguere e formare le parole, si dice che funzionano da fonemi. I foni sono le unità minime in fonetica; i fonemi sono le unità minime in fonologia (o ‘fonematica’). La fonologia studia l’organizzazione e il funzionamento dei suoni nel sistema linguistico. La parola [‘mare] è costituita da quattro foni diversi in successione; posso pronunciare ognuno dei foni costitutivi della parola in modi diversi ma la parola rimarrà sempre identificata come mare. Ciascuno dei quattro foni distingue/oppone la parola in considerazione da/a altre parole: [m] oppone ‘mare’ a, per esempio, [‘pare] o [‘kare] (si usa anche la notazione /m~p/, /m~k/, [a] la oppone a, per esempio, [‘mɔre], [r] la oppone, per esempio, a [‘male], [e] la oppone, per esempio, a [‘mari]. La parola “mare” è quindi formata dai 4 fonemi /m/a/r/e/, e secondo la trascrizione fonematica, dove si impiegano le barre oblique (/.../) al posto delle parentesi quadre ([...]), avremo /’mare/. Mentre la trascrizione fonetica può essere ‘larga’ o ‘stretta’ nella misura in cui intende riprodurre il più possibile o no tutti i caratteri della pronuncia, la trascrizione fonematica riproduce solo le caratteristiche pertinenti alla realizzazione fonica, trascurando particolarità e differenze che non hanno valore distintivo, quindi è sempre una trascrizione ‘larga’. Ciascuno dei quattro fonemi è identificato per opposizione mediante un procedimento che consiste nel confrontare un’unità in cui compare un fono di cui vogliamo sapere se è un fonema o no con altre unità uguali tranne che nella posizione. Tale procedimento si chiama prova di commutazione. Va tuttavia notato che vocali e consonanti non sono mai in opposizione, ma vocali si oppongono a vocali e consonanti (e semivocali) si oppongono a consonanti (e semivocali); più precisamente, vocali e consonanti sono in opposizione sintagmatica (o ‘contrasto’) mentre all’interno delle due classi, cioè tra consonanti e semivocali da un lato e tra vocali dall’altro, c’è opposizione paradigmatica.Fonema è dunque l’unità minima di seconda articolazione del sistema linguistico, cioè un fonema è una classe astratta di foni dotata di un valore distintivo tale da opporre una parola ad un’altra in una data lingua. Foni diversi che costituiscano realizzazioni foneticamente diverse di uno stesso fonema ma prive di valore distintivo si chiamano allofoni (o ‘varianti’) di un fonema: in italiano, per es., per [n] e [ŋ] sono due allofoni dello stesso fonema, dato che possono comparire nella stessa posizione senza dar luogo a parole diverse, come in [‘dɛnte], pronuncia standard della parola dente, e [‘deŋte], pronuncia settentrionale. Un fonema che abbia diversi allofoni si identifica con il più frequente degli allofoni e si dirà pertanto che la ndentale (alveolare) [n] e la n velare [ŋ] sono allofoni del fonema /n/ (dentale) o, meglio, che [ŋ] è un allofono di /n/. Una coppia di parole che siano uguali in tutto tranne che per la presenza di un fonema al posto di un altro in una certa posizione, forma una coppia minima, che identifica quindi sempre due fonemi. Nell’esempio di [‘mare], ciascuna parola citata, come [‘pare] o [‘kare], sono con [‘mare] una coppia minima. 2.2.2 FONEMI E TRATTI DISTINTIVI I fonemi sono unità minime di seconda articolazione, i più piccoli segmenti cui arriva la scomposizione del significante; non sono quindi ulteriormente scomponibili: ad es., non è possibile scomporre un fonema /t/, occlusivo dentale, in due pezzi più piccoli, uno occlusivo e un secondo dentale. I fonemi si possono però analizzare sulla base delle caratteristiche articolatorie che li contrassegnano: ad es., potremmo identificare /t/ come ‘occlusiva dentale sorda’, /d/ come ‘occlusiva dentale sonora’, /m/ come ‘nasale bilabiale sonora’, ecc. Un fonema si può quindi ulteriormente definire come costituito da un fascio di proprietà articolatorie che si realizzano in simultaneità. Le caratteristiche articolatorie diventano allora, in fonologia, proprietà che permettono di analizzare e rappresentare i fonemi in termini di diverse combinazioni possibili di tratti facenti parte di un inventario comune. Fonemi diversi saranno definiti dalle diverse combinazioni di questi tratti (cfr. Tab. 2.3 p. 66). Due fonemi sono differenziati da almeno un tratto fonetico pertinentemente binario (i due valori + ‘si o presenza’ e - ‘no o assenza’): nella tabella citata, ad es., /t/ e /d/ sono distinti in maniera necessaria e sufficiente dal valore del tratto (+ sonoro; - sordo) e un solo tratto basta a differenziarli. La correlazione di ‘sonorità’ o ‘sordità’ è importante perché interviene a differenziare parecchie coppie di fonemi uguali per gli altri tratti. Da queste considerazioni si è sviluppata la teoria dei tratti distintivi, che consente di rappresentare tutti i fonemi con un fascio di tratti distintivi con un determinato valore + o –, grazie anche all’utilizzo di proprietà acustiche che consentono un trattamento migliore in termini di binarietà. In tal modo si è giunti a formulare un certo numero di tratti distintivi binari che, opportunamente combinati, consentirebbero di dar conto di tutti i fonemi possibili nelle lingue del mondo (cfr. Box 2.5 pp. 67-70). 2.2.3 I FONEMI DELL’ITALIANO Non tutte le lingue hanno gli stessi fonemi e lo stesso numero di fonemi. Gli inventari fonematici delle diverse lingue del mondo sono costituiti in genere da alcune decine di fonemi: l’inglese ne ha 34 (44 con i dittonghi), il francese 36, il tedesco 38, l’arabo egiziano 37 (64 se si computano le consonanti lunghe). L’italiano standard ha 30 fonemi (o 28, secondo alcuni autori che non considerano fonemi a sé le semivocali), ma si arriva a 45 se calcoliamo come fonemi le consonanti lunghe. L’inventario fonematico dell’italiano è connesso con numerosi problemi per un’adeguata trascrizione fonetica. Ovviamente per trascrivere foneticamente occorre basarsi sul modo in cui una parola è pronunciata e non com’è scritta: sulla fonia e non sulla grafia, che spesso può essere fuorviante, anche in italiano. Si noti anche che uno stesso simbolo può indicare due cose ben diverse nell’alfabeto italiano e in IPA: la lettera z, ad es., nella grafia normale vale /ts/ o /dz/ (affricate alveolari), ma nell’alfabeto IPA rappresenta la fricativa alveolare e vale appunto per /z/. Veniamo allora ai problemi generali della fonologia dell’italiano. Anzitutto, è problematico lo statuto delle consonanti lunghe o doppie o geminate. Se accettiamo per esempio che [‘kane] vs. [‘kanne] costituisca una coppia minima, lo è se accettiamo [‘kanne] come formata da quattro [‘kan:e] e non da cinque fonemi, dobbiamo aumentare di 15 il numero dei fonemi italiani, essendo 15 le consonanti che possono dar luogo a coppie minime basate sulla lunghezza, cioè tutte le consonanti tranne le cinque che in posizione intervocalica sono sempre lunghe e la /z/, mai lunga. Le affricate dentali, la fricativa palatale, la fricativa nasale e le laterali palatali (cioè, [ts], [dz], [ʃ], [ɲ], [ʎ]) sono in italiano sempre lunghe o doppie se poste tra due vocali. Per la fricativa, la nasale e la laterale la cosa non è mai riprodotta nella grafia tradizionale, mentre per le affricate in certi casi lo è (es. pazzo), in altri no (es. azione [at’tsjɔ:ne]: in grafia fonetica stretta trascriviamo come lunga anche la vocale tonica in sillaba libera (cfr. § 2.3.3 Lunghezza). Quindi le due rese alternative [‘kanne] e [‘kan:e] per canne rispondono a due analisi e interpretazioni fonologiche diverse del fatto fonetico. In genere, nella pronuncia dell’italiano esistono molte differenze regionali (cfr. § 7.2.2 Dimensione di variazione, p. 278), evidenti anche nella pronuncia delle persone colte. Le opposizioni fra /s/ e /z/, fra /ts/ e /dz/, fra /j/ e /i/, fra /w/ e /u/ hanno uno statuto non chiarissimo, con molta variabilità e differenti distribuzioni da regione a regione, e partecipano a formare un numero non alto di coppie minime (si dice quindi che hanno un basso ‘rendimento funzionale’). Nell’italiano del Settentrione, ad es., la fricativa dentale (o alveolare) è sempre realizzata sonora in posizione intervocalica, quindi [‘kjɛ:ze] vale chiese sia come nome nel caso di ‘edifici di culto’, sia come voce verbale (‘domandò’), mentre in toscano (e italiano standard) si distingue fra [‘kjɛ:ze], con la sonora nel caso di ‘edifici di culto’, e [‘kjɛ:se], con la sorda, nel caso di ‘domandò’; al Nord casa si pronuncia [‘ka:za] con s sonora, ma al Centro e al Sud si pronuncia [‘ka:sa] con s sorda. [Differenze d’apertura]. L’opposizione fra vocali medio-alte e vocali medio-basse (/e~ɛ/ e /oɔ/), che si attua peraltro soltanto in posizione tonica, cioè quando le rispettive vocali recano l’accento, è tipica della varietà tosco- romana ma è ignota, o ha distribuzione diversa e molto più ristretta, nelle altre varietà regionali. A rigore, avremmo quindi /’peska/ ‘azione di pescare’ vs. /’pɛska/ ‘frutto’, e /’botte/ ‘recipiente di vino’ vs. /bɔtte/ ‘percosse’, costituenti entrambe coppie minime. Infine, un fenomeno da menzionare è il c.detto ‘raddoppiamento (fono)sintattico’, ossia l’allungamento (pronuncia come geminata) della consonante iniziale della parola quando questa è preceduta da una serie che appunto provoca tale fenomeno (si tratta di tutte le parole con l’accento sull’ultima sillaba, di molti monosillabi e di alcuni bisillabi): es., [‘do:ve vaj] dove vai?, [a r’ro:ma] a Roma. Cfr. comunque la Scheda 2.1 p. 74, che fornisce un riepilogo delle convenzioni IPA da tener presenti. 2.2.4 SILLABE Le minime combinazioni di fonemi che funzionino come unità pronunciabili e utilizzabili come ‘mattoni’ per costruire la forma fonica sono le sillabe. In italiano, e anche in altre lingue, una sillaba è sempre costruita attorno a una vocale: una consonante o una semivocale ha sempre bisogno di appoggiarsi a una vocale, che costituisce quindi il picco sonoro (detto ‘apice’ o ‘nucleo’) della sillaba. In alcune lingue, anche alcune consonanti (r, e a volte l e n) possono fungere da nucleo: si dice quindi che sono caratterizzate dal tratto /+sillabico/. La struttura fonica di una parola è comunque data da un’alternanza continua tra foni più tesi e ‘chiusi’ (con minor sonorità: le consonanti) e foni più ‘aperti’ (con maggior sonorità: le vocali). Ogni sillaba è formata da almeno una (non più di una) vocale e da un certo numero (da zero a qualche unità) di consonanti (o semivocali). Una sola vocale può pertanto costituire una sillaba, ma non tutte le consonanti possono combinarsi nel formare, insieme a una vocale, una sillaba. Esistono infatti numerose ‘restrizioni fonotattiche’ sulla distribuzione e combinabilità dei fonemi. In ogni lingua esistono comunque strutture sillabiche canoniche, cioè preferenziali. In italiano la struttura sillabica canonica è CV (V vocale e C consonante) come in [‘ma:no], struttura costituita da due sillabe entrambe CV ([ma] + [no]). Frequenti e ‘normali’ sono comunque anche le strutture: V come in [‘a:pe] = a [a]+[pe]; VC come in [‘alto] = a [al]+[to]; CCV come in [‘sti:le] = a [sti]+[le]; CVC come in [‘kanto] = a [kan]+[to]; CCCV come in [‘stra:no] = a [stra]+[no]; non sono possibili in italiano le sillabe: CVCC, possibili invece in inglese: [lænd] land ‘terra’ (l’inglese ha molte parole monosillabiche); e in tedesco [‘lɔjtəʀn] läutern ‘chiarire’ = [‘lɔj]+[təʀn]; e tantomeno CCCVCCC, come nel russo zdravstvujt’e ‘salve!’. L’identificazione dei confini sillabici si effettua in base a diversi criteri fonetici e fonologici. In italiano uno di questi è che due consonanti contigue all’interno di una parola sono assegnate entrambe alla sillaba che ha come nucleo la vocale seguente se tale combinazione compare anche in inizio parola (ma-gro, come gre-co), mentre se questo non si dà sono assegnate la prima alla sillaba precedente e la seconda alla seguente (tan-to, nessuna sillaba in italiano inizia col nesso nt-). Le consonanti doppie o lunghe come ripetizione dello stesso fonema chiudono la sillaba che le precede, in quanto il primo membro viene assegnato alla sillaba precedente il secondo alla seguente. Inoltre, le vocali della sillaba che reca l’accento sono sempre lunghe se la sillaba è aperta (es. [‘mano] contro [‘mando]). Più tecnicamente, in una sillaba la parte che eventualmente precede la vocale è detta ‘attacco’ (o ‘inizio’, onset), la vocale è il nucleo e la parte che eventualmente segue la vocale è la ‘coda’. Questi sono i costituenti della sillaba. Un’interessante combinazione di fonemi è il ‘dittongo’, che combina una semivocale (o approssimante) e una vocale, che costituisce sempre, ovviamente, l’apice sillabico. Se ad es. la sequenza è V + sV, avremo un dittongo discendente, come in [‘awto] = a [aw]+[to]; viceversa, sV + V, un dittongo ascendente, come in [‘pjε:no] = a [pjε]+[no]. Si possono avere anche combinazioni di due semivocali e una vocale: si avrà allora il ‘trittongo’, come per es. in [a‘jwɔ:la] = a [a]+[ jwɔ]+[la], analizzabile peraltro anche come [aj]+[ wɔ]+[la], cioè con due dittonghi. 2.3 FATTI PROSODICI (O SOPRASEGMENTALI) Vi è una serie di fenomeni fonetici e fonologici che riguardano non i singoli segmenti, ma la catena parlata nella sua successione lineare, i rapporti tra foni che si susseguono, e hanno la sillaba e la successione di sillabe come contesto d’azione. All’insieme di questi fenomeni si dà il nome di fatti o tratti soprasegmentali - perché agiscono al di sopra del singolo segmento minimo riguardanti le relazioni tra foni sull’asse sintagmatico – o tratti prosodici (dal greco ‘verso il canto’) – perché concernono l’aspetto melodico della catena parlata e ne determinano l’andamento ritmico. I fondamentali fra di essi sono l’accento, il tono e l’intonazione, e la lunghezza o durata relativa. 2.3.1 ACCENTO L’accento è la particolare forza o intensità di pronuncia di una sillaba (quindi della vocale che ne fa da apice) rispetto ad altre sillabe che fa sì che in ogni parola una sillaba (detta sillaba tonica) presenti una prominenza tonica rispetto alle altre (dette sillabe atone). In italiano l’accento è fondamentalmente dinamico o intensivo, cioè la sillaba tonica è tale grazie a un aumento del volume della voce. In altre lingue invece l’accento è piuttosto musicale, connesso cioè all’altezza della sillaba, e in altre ancora è connesso con la durata della vocale (l’accento sta sulla sillaba mantenuta più a lungo. L’accento, come tratto prosodico, non va confuso con l’accento grafico, un simbolo diacritico che in italiano indica nella grafia la posizione dell’accento fonico nelle parole ossitone (l’ortografia italiana prevede sempre che l’accento sia sempre segnato: città, così, ecc.). A volte l’accento grafico è circonflesso, e sta a indicare che la vocale î è la risultante della fusione di due suoni (es. principî, plurale di principio) La posizione dell’accento, cioè la posizione della sillaba all’interno di una parola su cui cade l’accento, può essere libera o fissa. In certe lingue è rigorosamente fissa, come in francese, dove l’accento cade sempre sull’ultima sillaba, o tendenzialmente fissa, come in turco, dove cade quasi sempre sull’ultima. In altre lingue la posizione è libera e l’accento può cadere su una qualunque delle sillabe della parola. In italiano l’accento è tipicamente libero e può trovarsi: - sull’ultima sillaba, come in ‘qualità’ [qwali’ta] e la parola si dice tronca; - sulla penultima come in ‘piacere’ [pja’tʃe:re] e la parola si dice piana (o parossitona) - è la posizione più frequente in italiano; - sulla terzultima come in ‘camera’ [‘kamera] e la parola si dice sdrucciola (o proparossitona); - sulla quartultima, più raramente, come in ‘capitano’ [‘ka:pitano] (cioè la terza persona plurale del verbo ‘capitare’) e la parola si dice bisdrucciola; - sulla quintultima, ma solo in parole composte con pronomi clitici: es. [‘fabbrikamelo], e la parola si dice trisdrucciola. ATTENZIONE: si chiamano ‘clitici’ quegli elementi (particelle, parole monosillabiche) che nella catena fonica non possono rappresentare la sillaba prominente e quindi recare accento proprio ma devono ‘appoggiarsi’ su un’altra parola. Ad esempio, sono clitici gli articoli e i pronomi personali atoni come me e lo (come nell’esempio citato). Inoltre, in parole con quattro o più sillabe oltre all’accento principale vi sono anche uno o più accenti, cioè emergenze che fanno da contrappeso alla sillaba tonica (es., in fabbricamelo c’è un accento secondario su [lo], l’ultima sillaba. 2.3.2 TONO E INTONAZIONE I fenomeni di tonalità e intonazione riguardano l’altezza musicale con cui le sillabe sono pronunciate e la curva melodica a cui la loro successione dà luogo. ‘Tono’ è l’altezza relativa di pronuncia di una sillaba, dipendente dalla tensione delle corde vocali e della laringe e quindi dalla frequenza delle vibrazioni delle corde, che determinano la ‘frequenza fondamentale’. In molte lingue dette appunto ‘lingue tonali’ (o ‘lingue a toni’), il tono può avere valore distintivo, cioè può distinguere da solo parole diverse nel resto foneticamente uguali. Si parla in tal caso di ‘tonemi’. Ad es., sono lingue tonali il cinese, lo svedese e molte lingue africane. In cinese mandarino, ad esempio, [ma] con tono alto costante vale per ‘mamma’, con tono alto ascendente vale per ‘lino’ o ‘canapa’, con tono basso discendente-ascendente vale per ‘cavallo’, con tono alto discendente vale per ‘ingiuriare’. L’‘intonazione’, invece, è l’andamento melodico con cui è pronunciata una frase o un intero gruppo tonale. L’intonazione, in sostanza, è una sequenza di toni che conferisce all’emissione fonica nel suo complesso una certa curva melodica. Ad es., sarà ascendente un’intonazione in cui l’ultima sillaba (o fra le ultime) di un enunciato è di tono più alto. In molte lingue l’intonazione della frase distingue il valore pragmatico (cfr. § 5.6) di un enunciato, cioè permette di capire se si tratta di un’affermazione, un’esclamazione, un ordine, una domanda, un’ammissione, ecc. In italiano, ad es., il contorno intonativo degli enunciati è spesso l’elemento principale che distingue il valore di un enunciato. Infatti, se [‘vjɛ:ne] = viene è: - pronunciato con un’intonazione ascendente è una domanda: viene?; - pronunciato con un’intonazione costante senza modificazioni dell’altezza (con valore ‘sospensivo’ o ‘neutro’) è un enunciato dichiarativo = viene; - pronunciato con un’intonazione discendente ha grosso modo valore esclamativo: viene!. 2.3.3 LUNGHEZZA La ‘lunghezza’ (o ‘durata’ o ‘quantità’) riguarda l’estensione temporale relativa con cui i foni e le sillabe sono prodotti. Ogni fono può essere breve o lungo, cioè durare in un tempo più o meno rapido. Ad es., la lunghezza delle vocali o delle consonanti fricative, per la loro natura fonica, può essere tenuta per un tempo teoricamente indeterminato, mentre l’articolazione delle consonanti occlusive non può essere tenuta che momentaneamente. La quantità delle vocali o delle consonanti può avere valore distintivo. In italiano, la quantità (o ‘durata, o ‘lunghezza’) delle consonanti non ha funzione distintiva, a meno che non supponiamo che le consonanti, che possono essere doppie o semplici, realizzino appunto un’opposizione di durata. Infatti, possiamo considerare ogni consonante doppia o come una ripetizione di uno stesso fonema o come fonema a sé (soluzione preferita da molti fonologi). In tal caso le consonanti doppie sono considerate ‘lunghe’ e quelle semplici ‘brevi’ (o meglio, ‘non lunghe’). L’opposizione lunga ~ breve quindi interverrebbe a costituire coppie minime (cfr. § 2.2.3); pertanto [‘ka:ne] cane ~ [‘kanne] canne sarebbe una coppia minima, /’kane ~ ‘ka:ne/ che identifica due fonemi distinti, una nasale dentale breve /n/ e una nasale dentale lunga /n:/. In IPA la lunghezza è notata coi due punti dopo il simbolo. Per le consonanti, però, può essere adottata la ripetizione del simbolo: la scelta dipende dall’interpretazione delle consonanti doppie, corrispondendo le due modalità a due diverse analisi fonologiche. Si ricordi che per le consonanti affricate la lunghezza in IPA si segnala o ripetendo il simbolo o coi due punti davanti ad esso: ad es., pazzo sarà [‘pattsp] oppure [‘pat:so]. Nella divisione in sillabe, se adottiamo la rappresentazione delle consonanti doppie con la ripetizione, la prima sarà assegnata alla sillaba che precede, l’altra a quella che segue: mat-to-ne [mat’to:ne]. Per le vocali la durata in italiano non è pertinente. Una vocale lunga, infatti, individua un’accentuazione enfatica della stessa parola, non un’altra parola: una [ma::no], per es., non è qualcosa di diverso da una [‘mano], ma è la stessa parola detta con enfasi. Certo, a rigore in italiano la vocale della sillaba tonica è sempre un po’ più lunga, per cui la trascrizione fonetica dovrebbe essere [‘ma:no], ma nella trascrizione fonematica non si segnalerà mai la lunghezza vocalica essendo l’allungamento un mero espediente espressivo. In molte lingue, invece, la durata vocalica funziona da tratto pertinente, mentre in genere la lunghezza consonantica non ha rilevanza. La lunghezza vocalica, per es., è distintiva del latino classico, per cui malum con la a breve è ‘male, malanno’ mentre con la a lunga è ‘mela’.