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La ragion pura pratica e lo scopo della seconda critica di kant

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La ragion pura pratica e lo scopo della
seconda critica di kant
La ragione non dirige solo la conoscenza ma anche l’azione successiva alla scelta. Vi è quindi una
ragione teoretica (prima critica, pura) e una ragione pratica (seconda critica).
Vi è tuttavia una differenza da fare all’interno della ragione pratica:
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Ragione pura pratica, che opera indipendentemente dall’esperienza e dalla sensibilità
Ragione empirica pratica, opera sulla base dell’esperienza della sensibilità.
Nella critica della ragion pratica si cerca quindi di distinguere in quali casi è utilizzata la ragione
pratica pura, quindi con morale, e in quali casi è utilizzata la ragione pratica empirica, quindi senza
morale.
Sostanziale differenza da porre inoltre tra ragione pratica pura e ragione pratica empirica è che la
ragione pratica pura non ha bisogno di critica in quanto ogni scelta e/o azione che fa è perfettamente
legittima in quanto obbedisce a una legge universale.
La ragione empirica invece segue l’esperienza portandosi su una strada scostata rispetto alla morale,
serve quindi la critica.
La ragione pura pratica ha però ugualmente dei limiti in quanto la morale in sé è profondamente
segnata dalla finitudine dell’uomo, e tale finitudine è abbinata alla natura sensibile dell’uomo. Tale
resistenza dell’uomo implica un lavoro “del dovere” da parte della morale.
La realta’ e l’assolutezza della legge morale
Alla base di questo scritto vi è una legge universale valida per tutti e a priori.
Dal punto di vista di Kant la morale può essere vista sotto due aspetti:
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Come chimera, in quanto l’uomo agisce solamente secondo fatti inclini alla sua natura
sensibile .
Come incondizionata perché deve presupporre una ragione pratica pura con la capacità
di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili dell’uomo per poterlo guidare in una condotta
corretta.
Quest’ultima tesi a sua volta implica altre due convinzioni di Kant:
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La libertà di agire che essendo incondizionata porterà l’uomo a pensare di potersi
autodeterminare al di là delle sollecitazioni istintuali facendo sì che la libertà diventi il
primo presupposto per una vita etica corretta.
La validità universale di tale legge, secondo cui, se indipendente da ogni impulso e
condizioni particolare questa legge morale si vedrà come universale e necessaria e quindi
anche immutabile.
Moralita’=incondizionatezza=liberta’=universalita’ e necessita’.
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Questa equazione è il fulcro dell’analisi kantiana degli studi sulla legge morale: categoricità, formalità
e
autonomia.
Da considerare però il fatto che Kant considera la morale come assoluta e quindi sciolta in quanto ai
condizionamenti istintuali, questa gioca infatti un ruolo di bipolarità assoluta tra ragione e sensibilità.
Se l’uomo avesse una ragione pura la morale non avrebbe più senso e ci sarebbe una santità etica,
nonché situazione perfetta per adeguarsi a questa legge.
Vivendo questa bipolarità costante la morale si vede costretta ad assumere un ruolo imperativo nei
confronti dell’uomo, questa richiede di sacrificare le inclinazioni sensibili per una corretta via etica,
l’uomo però essendo limitato e imperfetto è in grado di trasgredire.
E’ così che la natura finita dell’uomo ha la forza di condizionare i desideri e gli impulsi ma nega al
tempo stesso che tale forza possa essere una movente morale utilizzabile come scusa.
Il sentimento e l’inclinazione alle passioni non può essere alla base dell’etica in quanto questa deve
avere valore universale e quindi deve essere valida per tutti e per sempre.
L’articolazione dell’opera
Anche la critica della ragion pratica si divide in due parti:
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La dottrina degli elementi, che tratta degli elementi della morale. Si divide a sua volta
in: analitica (l’esposizione delle regole della virtù) e dialettica (affronta l’idea del sommo
bene)
Dottrina del metodo, nonché modo in cui le leggi morali possono “accedere” all’animo
dell’uomo di modo da renderla in parte soggettiva in base, semplicemente, ai buoni
esempi e alla buona educazione per la capacità di giudicare in modo retto.
La categoricita’ dell’imperativo morale
Kant distingue i «principi pratici» che regolano la nostra volontà in «massime» e «imperativi».
Le massime sono puramente soggettive e quindi valide solamente per l’individuo che le fa proprie.
Gli imperativi sono invece oggettivi e quindi validi per tutti.
Gli imperativi sono poi a loro volta categorizzabili in
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“ipotetici” che si basano sul fine del “se..devi..” e sui
“categorici” che ordinano in modo incondizionato con il puro “devi”.
La forza del principio imperativo è condizionata alla volontà del soggetto e questo non può dipendere
da impulsi sensibili o ricadrebbe nella categoria degli “ipotetici.
C’è da dire che solamente gli imperativi categorici sono incondizionati quindi, e solamente questi
saranno quindi considerabili come “leggi” valide per tutti gli uomini e per tutte le circostanze con ordini
perentori, contrassegnano la moralità.
La legge morale è quindi l’esigenza di una legge che agisce secondo un massima ed è valida per tutti
dimostrando la sua conseguente universalità.
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Si basa quindi tutto su un concetto di superamento di un “test della generalizzabilità” dove oltre a
confermare l’universalità di tale legge morale si va a definire se un comportamento è veramente tale.
Vi sono poi altre due definizioni successive che Kant vi riabbinerà leggermente scostate.
La prima riguarda anche il concetto di dignità umana per la propria persona e per gli altri; se infatti
la caratteristica fondamentale di una persona fosse diversa dallo scopo a se stessa non vi sarebbe
più l’idea di uomo soggetto bensì quella di uomo oggetto.
La morale è diventata quindi “regno dei fini” dove le persone libere possono riconoscere le dignità
altrui e le proprie agendo di conseguenza, è una comunità ideale.
La seconda definizione invece riguarda più che altro l’autonomia della volontà e la volontà razionale
come comandante della morale di modo da poter creare un regime di obbedienza in noi stessi
divenendo così legislatori e sudditi al tempo stesso.
La formalita’ della legge e il dovere per il dovere
Altra caratteristica Dell’etica kantiana è il ruolo della formalità in quanto le leggi morali non ci dicono
cosa dobbiamo fare ma come dobbiamo farlo e questa sua caratteristica non si abbina ad altro che
alla libertà della norma etica.
Se questa infatti fosse vincolata sotto tale punto di vista perderebbe la sua universalità.
Questo significa che l'imperativo etico risiede soltanto nella legge formale-universale: quando agisci tieni
presenti gli altri e rispetta la dignità umana che è in te e nel prossimo.
Sta poi a ognuno di noi "tradurre" in concreto, nell'ambito delle varie situazioni esistenziali la parola della
legge.
Oltre ad un carattere formale contiene anche un carattere anti-utilitaristica.
Infatti, se la legge ordinasse di agire in vista di un fine o di un utile, si ridurrebbe a un insieme di imperativi
ipotetici e comprometterebbe la propria libertà, in quanto non sarebbe più la volontà a dare la legge, ma gli
oggetti a dare la legge alla volontà.
Noi non dobbiamo agire per la felicità, ma solo per il dovere.
Da ciò il cosiddetto "rigorismo" kantiano, che esclude dall'etica emozioni e sentimenti, che sviano la morale,
oppure, quando collaborano con essa, ne inquinano la severa purezza.
Non basta che un'azione sia fatta esteriormente secondo la legge, ovvero in modo conforme a essa.
La morale implica una partecipazione interiore, altrimenti rischia di scadere in atti di legalità ipocrita oppure
in forme più o meno mascherate di autocompiacimento.
Kant sostiene dunque che non è morale ciò che si fa, ma l'intenzione con cui lo si fa (morale dell'intenzione),
essendo la «volontà buona», ovvero la convinta adesione della volontà alla legge, l'unica cosa
incondizionatamente buona al mondo.
Il dovere e la volontà buona, secondo Kant, innalzano l'uomo al di sopra del mondo sensibile (fenomenico),
in cui vige il meccanismo delle leggi naturali, e lo fanno partecipare al mondo intelligibile (noumenico), in cui
vige la libertà.
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