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riflessioni su arte e tecnologia Alfonso Belfiore 2016-articolo

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REFLECTIONS ON ART, NATURE AND TECHNOLOGY
Alfonso Belfiore
Composer,
Contact the Department of Music and New Technologies,
Coordinator of the Multimedia Centre / Sec. Productions
Florence Conservatory
Abstract
Today we can assume that every process of knowledge takes place in the our neural patterns, has the shape of
thoughts, they are nothing more then the activity of our brain's cells and particles; knowledge, science, each religion,
is at the end neurons'activity, electrical impulses that flow in the axons and dendrites. Therefore, any investigation on
the world, every contemplation of the universe is an investigation of inner worlds, of mind, tha comes to neural
pathways and sensations that can have place in no other place can happen... in fact "reality" for us is in our minds, can
only exist in our brain. The reality, all that we know or reach is in our psyche and is the only world we can possibly
experience. What does not belong to our psyche is completely invisible to us, is unattainable, we might even say nonexistent. It is not surprising that we often desire to link emotions, aesthetics and poetics to mathematics or even to
electronic and digital technologies because they are part of the same psychic universe, they all belong to our
consciousness. Art can broaden its horizons through technology, it can open up its reality towards different directions
that were not imaginable. Art can use technology to grow, to expand, to discover new identities and possibilities, to
conduct an investigation in those places, on the edge of casuality and irrationality. This is an analysis of our psyche, of
our inner world and any discovery is about humanity. Technology and its evolution is an expression of the effort
(sometimes of illumination) of humanity, is an example of the intent to achieve something that at that time still doen't
have, is an expression of the ability to dream and imagine… so, step by step, the metamorphosis of knowledge might
take place.
Oggi possiamo supporre che alla fine, ogni processo di conoscenza, si svolge nelle configurazioni neurali della nostra
mente, si concretizza in pensieri che altro non sono che attività di cellule e particelle di materia del nostro cervello, così
ogni sapere, ogni conoscenza, ogni scienza, ogni religione, è alla fine un’attività mentale, attività di scariche neurali,
impulsi elettrici che scorrono negli assoni e nei dendriti dei nostri neuroni. Dunque, ogni indagine sul mondo, ogni
contemplazione dell’universo altro non può essere che un’indagine nel proprio mondo interiore, nella propria mente,
dando vita a percorsi neurali e a sensazioni reali che in nessun altro luogo per noi possono formarsi, in nessun altro
luogo per noi possono accadere... di fatto, ogni realtà per noi non può che vivere nella nostra mente, non può che
attuarsi là. Tutto ciò che noi possiamo sapere o raggiungere del mondo, della realtà, vive nella nostra psiche, lì è il
nostro mondo, l’unico mondo possibile. Ciò che non appartiene alla nostra psiche è per noi del tutto invisibile,
irraggiungibile, potremmo perfino dire inesistente. Non ci sorprenda, dunque, il desiderio di avvicinare l’emozione, la
dimensione estetica e poetica, a formule matematiche o perfino a tecnologie elettroniche e digitali, perché anche queste
respirano lo stesso profumo dell’universo psichico a cui appartiene la nostra coscienza. L’arte, attraverso la tecnologia,
può allargare i propri orizzonti, può aprirsi a realtà e percorsi diversi prima non immaginabili. L’arte può servirsi della
tecnologia esattamente come può farlo l’uomo di cui è espressione, per crescere, per espandersi, per scoprire nuove
identità, nuove possibilità, per condurre un’indagine in quei luoghi lontani, ai confini con il caso e l’irrazionale, dove
caso e irrazionale si confondono con l’ordine ed è, questa, a tutti gli effetti, un’indagine condotta nella nostra psiche, nel
nostro mondo interiore e le eventuali scoperte sono dunque scoperte della cosa umana. E la tecnologia, con la sua
evoluzione, è espressione dello sforzo (qualche volta di un’illuminazione) per l’intento umano, di raggiungere qualcosa
che in quel momento ancora non gli appartiene, è espressione della capacità di sognare e di immaginare... così forse,
giorno dopo giorno, si attua la metamorfosi della conoscenza.
RIFLESSIONI SU ARTE, NATURA E TECNOLOGIA
Alfonso Belfiore
Compositore,
Coordinatore Dipartimento di Nuove tecnologie e linguaggi musicali
Coordinatore di Segni Digitali/lab. per la produzione multimediale
Conservatorio di Firenze
Realtà e mondo interiore
La natura è sempre stata fonte di ispirazione, di contemplazione, di stupore.. c’è un’energia magica,
fantastica in ciò che possiamo percepire soltanto aprendo gli occhi... una visione che non può non
turbare la nostra mente, la nostra coscienza, la stessa percezione di noi… così si crea questo
speciale feedback “dentro-fuori” o meglio ancora, questa congiunzione, questa continuità fra il
mondo esterno e il nostro mondo interiore.
Nell’esperienza comune:
• il mondo esterno spesso è vissuto come reale, concreto, solido, fisico, perfino vero...
• il mondo interiore, al contrario, è vissuto spesso come immaginario, etereo, fatto di
pensiero, di “sostanza mentale”, perfino non vero…
in questa scissione risiede forse l’opposizione concettuale tra oggettivo e soggettivo, gli altri ed io.
La nostra conoscenza, la nostra scienza, sono in sostanza lo studio, l’analisi, la comprensione e la
descrizione del mondo esterno oggettivo separandolo dal mondo interiore soggettivo.
La fisica, lo studio dell’universo, della materia, delle relazioni e dei processi che la animano sono
una prassi esistenziale che ha caratterizzato la specie umana almeno negli ultimi millenni... la
scoperta di altri mondi, lo studio dei corpi celesti, dei loro movimenti e delle loro relazioni ha
sedotto e ispirato, talvolta perfino guidato, la mente umana... ma questa conoscenza dove si attua?
dove si concretizza? dove prende forma? dove diviene sostanza?
Oggi possiamo supporre che alla fine, ogni processo di conoscenza, si svolge nelle configurazioni
neurali della nostra mente, si concretizza in pensieri che altro non sono che attività di cellule e
particelle di materia del nostro cervello, così ogni sapere, ogni conoscenza, ogni scienza, ogni
religione, è alla fine un’attività mentale, attività di scariche neurali, impulsi elettrici che scorrono
negli assoni e nei dendriti dei nostri neuroni.
Là, in quei luoghi nascosti della nostra mente, del nostro cervello, si annidano, si svelano e si
attuano i moti di Saturno, le fasi della Luna, l’antimateria, le macchie solari, la velocità della luce,
le orbite degli elettroni in un atomo, la gravitazione cosmica, l’amore, il dolore, la lealtà, l’inganno
ed ogni altro pensiero che colleghi e sviluppi queste ed altre “verità”.
Le immagini “reali” che noi abbiamo del mondo, l’albero davanti casa, l’ombra sul marciapiede, lo
spigolo acuminato del cancello, la solidità di un tavolo, sono anch’esse, alla fine, espressione di
questa attività mentale.
Dunque, ogni indagine sul mondo, ogni contemplazione dell’universo altro non può essere che
un’indagine nel proprio mondo interiore, nella propria mente, dando vita a percorsi neurali e a
sensazioni reali che in nessun altro luogo per noi possono formarsi, in nessun altro luogo per noi
possono accadere... di fatto, ogni realtà per noi non può che vivere nella nostra mente, non può che
attuarsi là.
L’arte come mimesi della natura, non può che essere espressione della nostra realtà interiore, della
nostra condizione di “esseri pensanti”, portatori ciascuno del proprio mondo, di un proprio universo
da cui non possiamo fuggire, a cui non possiamo sottrarci, a cui ispiriamo, e da cui traiamo, ogni
nostro gesto, ogni nostro istante di coscienza, ogni nostro senso.
Il ruolo della tecnologia
Ogni opera d’arte, oltre la propria dimensione estetica e l’esperienza di un incontro con un atto
creativo del suo autore, porta al centro dell’attenzione anche una questione di focale importanza
nella prassi generativa: il peso e il senso della tecnologia investita nella sua realizzazione,
tecnologia che talvolta ne è strumento, talvolta perfino ne costituisce la sostanza, l’essenza.
Spesso, davanti ad opere in cui assistiamo ad un investimento tecnologico significativo, può essere
difficile cogliere quel respiro profondo e sommesso capace di rivelare la vita che potrebbe scorrervi.
Vorrei pertanto dirigere lo sguardo in profondità e riuscire così ad osservare e ad afferrare quel filo
sottile che unisce questa dimensione ad un gesto di poesia, ad una vibrazione interiore capace di
cogliere una verità nascosta nelle pieghe dell’accadere stesso della realtà.
Non ci tragga in inganno l’accostamento abbastanza diffuso tra ciò che sa di tecnologico con ciò
che attiene ad un mondo freddo privo di passione e di calore umano, un mondo lontano dallo spirito
e quindi dalla poesia, dalla musica, dall’arte e dall’emozione.
Il legame profondo che unisce queste dimensioni è proprio nella sostanza della psiche che poi è
l’humus comune in cui, tutte quelle umane energie, trovano la loro origine, la loro espressione, la
loro realtà.
È così che il pensiero matematico, la mente logica, la mente tecnologica, coincidono con ciò che
attiene alla sfera umana delle emozioni, dei sentimenti, dello stupore: coincidono perché sono tutti
elementi della stessa sostanza.
Tutto ciò che noi possiamo sapere o raggiungere del mondo, della realtà, vive nella nostra psiche, lì
è il nostro mondo, l’unico mondo possibile. Ciò che non appartiene alla nostra psiche è per noi del
tutto invisibile, irraggiungibile, potremmo perfino dire inesistente.
Ci appare così immanente la straordinaria coincidenza fra tutto ciò che esiste e la nostra coscienza,
la nostra psiche, il nostro pensiero. L’universo, così come lo conosciamo, è totalmente espressione
del nostro pensiero, del nostro stesso essere. È in questa dimensione che si esprime il legame
profondo tra emozione, arte, pensiero matematico, tecnologia.
Il filosofo e matematico Douglas Hofstadter, a questo proposito, riferendosi alla sua opera più
importante, dice: «Mi resi conto che per me Gödel, Escher e Bach, erano solo ombre proiettate in
diverse direzioni da una qualche solida essenza centrale. Ho tentato di ricostruire l'oggetto
centrale e ne è uscito questo libro». L’opera è appunto il ponderoso e straordinario lavoro
d’indagine che affronta la complessità di questi rapporti: “Gödel, Escher, Bach: un'eterna
ghirlanda brillante” (1979).
C’è dunque un’emozione profonda nella nostra mente che risuona, che si sveglia talvolta davanti a
qualcosa di cui possiamo avere coscienza, di cui possiamo percepire l’esistenza.
Quando l’esistenza stessa di questa realtà si fa perno che solleva nella nostra psiche una parte di
essa, una parte fino a quel momento dormiente o addirittura mai nata, allora, è una sorta di
rivelazione, qualcosa di insinuante che si fa strada nella nostra mente, una sorta di epifania, che,
attivando aspetti sconosciuti del nostro pensiero, del nostro stesso essere, si colloca in una
dimensione perfino mistica, divina.
Così, Pierpaolo Pasolini, nel suo film “Medea” fa dire al Centauro Chirone mentre racconta a
Giasone, ancora bambino, la vicenda del Vello d’oro: “Tutto è santo! Tutto è santo! Tutto è santo!
Non c'è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tienilo bene in mente. Quando la natura ti
sembrerà naturale tutto sarà finito e comincerà qualcos'altro, addio cielo, addio mare... Guardati
alle spalle, che cosa vedi? Ha forse qualcosa di naturale? No, è un'apparizione quella che tu vedi
alle tue spalle, con le nuvole che si specchiano nell'acqua ferma e pesante delle tre del pomeriggio.
Guarda laggiù, quella striscia nera sul mare lucido e rosa come l'olio. Quelle ombre di alberi e
quei canneti. In ogni punto in cui i tuoi occhi guardano è nascosto un dio e se per caso non c'è, ha
lasciato lì i segni della sua presenza sacra, o silenzio, o odore di erba, o fresco di acque dolci..."
Ecco, l’inizio di ogni cosa è qui! Qui, il sentire della mente diviene condizione immanente nella vita
di ogni giorno, come ogni altra funzione vitale, scoprendo in essa la reale ed unica possibilità di
conoscenza.
Questo è lo stupore profondo, la poesia che si intreccia nelle trame del caos e dell’irrazionale. Nel
caos si annidano le leggi misteriose che legano ogni cosa esistente ad ogni altra, in un flusso
immenso e sfuggente, intrattenibile e ammaliante, capace con la sua forza inesorabile di sedurre e di
attrarre la nostra mente, capace perfino di giustificarla.
Non ci sorprenda, dunque, il desiderio di avvicinare l’emozione, la dimensione estetica e poetica, a
formule matematiche o perfino a tecnologie elettroniche e digitali, perché anche queste respirano lo
stesso profumo dell’universo psichico a cui appartiene la nostra coscienza.
Ciò nonostante, nell’atto creativo, vorrei sottolineare una differenza, a parer mio significativa, tra
l’uso di tecnologie di qualunque natura e l’uso di processi algoritmici.
La generazione algoritmica
C’è qualcosa di frustrante, in senso psichico, nel concetto di algoritmo che può perfino inquietare:
la sua finitezza.
Nel suo flusso di operazioni logico-matematiche, qualunque sia il suo scopo, la sua mission, un
algoritmo contiene tutte le condizioni per conoscere il suo esito, la sua essenza, il suo lavoro, il suo
valore, la sua identità.
Un algoritmo, qualunque esso sia, non ha bisogno del tempo per definirsi, per esprimersi, per
rivelarsi, per conoscersi e farsi conoscere. Possiede al suo interno, nella sua struttura stessa, tutto
ciò che lo definisce completamente. È un sistema completamente definito e finito che può lavorare
esclusivamente in un mondo, un computer, che è a sua volta un altro sistema finito. Ogni volta che
un particolare algoritmo sarà eseguito sarà sempre inesorabilmente uguale a sé stesso perché il
numero dei suoi stati possibili è finito.
Un algoritmo logico-matematico è in sostanza ben diverso da un essere vivente, da ciò che vive,
che, solo nello scorrere del tempo, nel rapporto con l’ambiente, nell’accadere di cose e di eventi, nel
continuo collasso quantistico del proprio sistema, istante dopo istante, rivela il suo essere, la sua
natura, la sua identità, mai statica, sempre mutevole e in divenire.
Questo contrasto crea una relazione forte tra ciò che vive e l’arte, in quanto l’arte ha
sostanzialmente bisogno del tempo per esprimersi. L’arte ha una dimensione temporale, se non per
altro, perché il fine dell’arte è l’uomo vivente il quale vive quantisticamente nel tempo. L’arte, per
la psiche umana è qualcosa di vivente, una sorta di creatura misteriosa e imprevedibile come solo
una creatura vivente può esserlo, ciò perché la psiche umana si specchia nell’arte catturando,
attraverso essa, una visione di sé.
L’arte, attraverso la tecnologia, può allargare i propri orizzonti, può aprirsi a realtà e percorsi
diversi prima non immaginabili. L’arte può servirsi della tecnologia esattamente come può farlo
l’uomo di cui è espressione, per crescere, per espandersi, per scoprire nuove identità, nuove
possibilità, per condurre un’indagine in quei luoghi lontani, ai confini con il caso e l’irrazionale,
dove caso e irrazionale si confondono con l’ordine ed è, questa, a tutti gli effetti, un’indagine
condotta nella nostra psiche, nel nostro mondo interiore e le eventuali scoperte sono dunque
scoperte della cosa umana.
In sostanza, qualunque forma di tecnologia, può costituire un’occasione di crescita della
conoscenza.
Contrariamente, un processo algoritmico, proprio per la sua natura finita, laddove non sia un mezzo
ma divenga la sostanza di un’opera, ne costituirà di fatto il suo limite, trasferendo all’opera stessa la
sua prevedibilità e in sostanza il suo carattere finito e concluso, difficilmente utilizzabile dalla
psiche umana per specchiarsi, dunque difficilmente percepibile come qualcosa di vivente.
Psiche, immaginazione e desiderio nell’esperienza estetica
Anche se talvolta appare lungo e complesso il cammino che ci separa dall’appagamento della
comprensione, permane il senso del bello, la meraviglia e il senso di stupore e di scoperta davanti
ad ogni manifestazione della psiche, quand’anche si tratti di una formula matematica, di uno
sviluppo numerico, di un’evoluzione tecnologica.
E la tecnologia, con la sua evoluzione, è espressione dello sforzo (qualche volta di
un’illuminazione) per l’intento umano, di raggiungere qualcosa che in quel momento ancora non gli
appartiene, è espressione della capacità di sognare e di immaginare... così forse, giorno dopo
giorno, si attua la metamorfosi della conoscenza.
E qui non possono non venire in mente il “processo di individuazione” di Jung ed il pensiero di
Nietzsche espresso da Zarathustra: "L'uomo è una corda, tesa tra l'animale e il Superuomo, una
corda sopra un precipizio: un pericoloso oltrepassare, un pericoloso andamento, un pericoloso
volgersi indietro, un pericoloso trasalire ed arrestarsi. Ciò che è grande nell'uomo, è che egli è un
ponte e non una mèta: ciò che può venire amato, è che egli è un transito e una catastrofe.”
Ci sono desideri che appartengono alla nostra storia, alla storia umana, che forse non potremo
esaudire mai ma non per questo, quei desideri, saranno meno importanti per noi. Essi assolveranno,
in ogni caso, ad un compito fondamentale, il compito di nutrire le nostre risorse personali, le
energie della nostra mente a cui tracceranno la rotta.
Se, noi umani, corriamo per tentare di spiccare il volo finché esausti non ci arrendiamo, certo non
potremo sottrarci ad un senso di frustrazione, ma, al tempo stesso, non potremo non riconoscere la
vitale bellezza e la forza intrinseca di questo desiderio.
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