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Gestione dei conflitti

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Ama i tuoi nemici perché essi tirano fuori il meglio di te, scriveva Friedrich Nietzsche. Sebbene
provare amore e stima per le persone che non ci piacciono sia complicato, sul lavoro può capitare
di aver bisogno di una collaborazione “forzata” con chi non ci va a genio. Magari dobbiamo
lavorare a un progetto importante con un collega o una collega che percepiamo come ostile o di cui
non condividiamo idee o modalità. Fare squadra in questi casi è essenziale per raggiungere gli
obiettivi che ci siamo prefissati. Come possiamo collaborare in modo efficace?
Per rispondere ci viene in aiuto Adam Kahane con il suo manuale “Usa il tuo nemico” (BUR,
Biblioteca Universale Rizzoli). L’autore è un esperto di gestione dei conflitti che lavora da molti
anni con aziende, enti e governi di tutto il mondo. Raccontando aneddoti e storie reali, Kahane
mostra che l’idea tradizionale di collaborazione - basata sulla completa armonia tra i membri del
gruppo - è spesso controproducente. L’esperto spiega come dare vita a una collaborazione elastica,
gestendo la discordia e il confronto in modo da arrivare a una soluzione efficace sia per noi che per
il “nemico”.
“Può capitare di dover collaborare con persone con cui non concordiamo, che non ci piacciono o di
cui non ci fidiamo", scrive Kahane nel suo libro. "La sindrome del nemico ci circonda. Domina i
media ogni giorno: la gente identifica gli altri non solo come oppositori da sconfiggere, ma
come nemici da distruggere. Considerare gli altri come nemici ci seduce perché è rassicurante: noi
siamo a posto e non siamo responsabili per le difficoltà che stiamo affrontando. L’attribuzione agli
altri del ruolo di nemici, che ci sembra emozionante e soddisfacente, perfino legittima ed eroica, di
solito offusca anziché chiarire la realtà delle sfide che affrontiamo”.
La sindrome del nemico amplifica così i conflitti, riduce il margine per il problem solving e la
creatività. Ma sul lavoro e in altri ambiti cooperare è necessario. Come possiamo modificare il
nostro comportamento? Innanzitutto, bisogna capire quando è il caso di avviare una
collaborazione. “Tentiamo la collaborazione quando vogliamo cambiare la situazione in cui ci
troviamo e riteniamo di poterlo fare solo se lavoriamo con altri - spiega l’autore - La costrizione
quando riteniamo che dovremmo e potremmo riuscire a modificare lo stato delle cose senza
lavorare con altre persone; l’adattamento quando pensiamo di non poter cambiare la situazione e di
dover trovare pertanto una maniera per convivere con essa; l’abbandono quando pensiamo di non
poter cambiare la situazione in cui ci troviamo e non siamo più disposti ad accettarla. Possiamo
abbandonare licenziandoci, divorziando o andandocene”.
I limiti dell'atteggiamento collaborativo e i suggerimenti per
superarlo
Secondo Kahane, si può collaborare bene solo quando le forze in campo sono pari e nessuno può
imporre la propria volontà. Il modello collaborativo ha quindi dei limiti.
1) La collaborazione tradizionale funziona solo in situazioni semplici e controllate. Nelle altre è
indispensabile essere "elastici". La collaborazione tradizionale dà infatti per scontato che siamo in
grado di controllare l’obiettivo, il piano per raggiungerlo e ciò che ogni persona deve fare per
applicare il piano, mentre la collaborazione elastica offre un sistema per proseguire senza avere il
controllo. Di conseguenza, dobbiamo aprirci al conflitto, sperimentare prospettive e possibilità
molteplici, scoprendo ciò che ci farà progredire un passo alla volta e rimanendo aperti a modificare
quello che stiamo facendo.
2) Essere certi di conoscere la risposta giusta rende più arduo lavorare insieme. “Credere che
'io ho ragione e tu hai torto' può facilmente scivolare in 'io merito di essere superiore e tu inferiore'",
prosegue l’autore. "È una ricetta che porta a un’imposizione destinata a degenerare. Ci aggrappiamo
alla convinzione di avere ragione per proteggere la nostra percezione di noi stessi”. Ciascuno ha la
sua verità su quello che sta accadendo, sul perché e su chi deve fare che cosa per risolvere la
questione. Per questo, è necessario proseguire anche in assenza di intese.
3) Per collaborare è necessario litigare. Nella collaborazione tradizionale ci concentriamo sul
lavorare in armonia con i membri del nostro team per ottenere ciò che è meglio per l’intero gruppo.
Parliamo anziché litigare. Questo approccio funziona quando le circostanze sono semplici e sotto
controllo. Ma quando ci troviamo in situazioni complesse e non controllate, in cui punti di vista e
interessi sono in contrasto, dobbiamo litigare oltre che parlare.
4) Non si può dare la priorità al bene di tutti. “Che si tratti del nostro team, associazione o
comunità, non è né sensato né legittimo”. scrive Khane. La chiave per poter lavorare con molteplici
insiemi è riuscire a farlo sia con potere che con amore, sia con coinvolgimento e che con
assertività.
5) Non possiamo controllare il futuro, ma possiamo influenzarlo. Nella collaborazione
tradizionale, procediamo concordando quale sia il problema, quale le soluzione e suill piano per
applicarla. Quando ci troviamo in situazioni complesse dobbiamo fare un passo avanti, osservare
ciò che succede e poi farne un altro: creiamo insieme la strada per progredire. “Non possiamo
conoscere la rotta prima di metterci in viaggio; non possiamo prevederla o controllarla; possiamo
solo scoprirla man mano. Lavorare in questo modo può essere entusiasmante, ma anche snervante"
riconosce l’autore. "Il processo di sperimentazione è un processo creativo: bisogna produrre
qualcosa che ancora non esiste. Lavorare così richiede la capacità di guardare un risultato ancora
insufficiente e ancora incompleto senza spaventarsi o affezionarcisi”.
6) L’ascolto disponibile è la pratica base per sperimentare le soluzioni. Ci consente di scoprire
opzioni ancora non manifeste. La chiave per aumentare la creatività di una collaborazione è aprirsi
a sperimentare quattro modelli di parola e ascolto: “Non dobbiamo usarne uno soltanto - specifica
Kahane - Piuttosto, dobbiamo essere in grado di muoverci tra loro agilmente e con scioltezza”. Si
tratta del downloading (è quando ascoltiamo solo noi stessi, rimanendo sordi alle altre storie), del
dibattito (si ascoltano oggettivamente le idee), del dialogo (si ascoltano gli altri con empatia) e del
presencing (si va oltre le idee individuali, scoprendo uno scopo condiviso, nonostante le
differenze).
7) Smetterla di dare la colpa agli altri. Piuttosto "bisogno di spostare l’attenzione su ciò che
stiamo facendo noi stessi, chiedendoci quale contributo stiamo dando e che cosa dobbiamo fare per
cambiare le cose" scrive l’esperto.
di Eleonora Giovinazzo
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