Dopo La Fine Dell’Arte L’arte contemporanea e il confine della storia Arthur C. Danto “Viviamo oggi in un’epoca di grande pluralismo e assoluta tolleranza, almeno nel mondo dell’arte e forse solo in esso. Niente è escluso.” (Danto 2008: XVIII) Abstract: Il presente paper intende affrontare il tema dell’arte dopo la fine delle grandi narrazioni o nella sua fase poststorica come lo meglio definisce Danto e ha come scopo descrivere la situazione artistica attuale e stabilire i principi che si possono utilizzare in tale situazione dove tutto può essere opera d’arte e niente è escluso. Si vedrà anche chiarire dichiarazioni contrattidorie dell’autore: com’è possibile per l’arte che sia finita e non sia finita e quali sono le conseguenze di questo sul mondo dell’arte? e com’è possibile nella fase poststorica dell’arte che tutto sia possibile e non tutto sia possibile?. Questo libro è nato dalla Mellon Lectures of Fine Art che Danto ha tenuto nella primavera del 1995 alla National Gallery of Art di Washington con il tilolo di Contemporary Art and the Pale of History (L’arte contemporanea e il confine della storia) che è oggi un sottotitolo del Volume. La prima parte del tilolo chiarisce il tema centrale delle lezioni cioè l’arte contemporanea con particolare riferimento alla discontinità tra arte moderna e arte contemporanea. La seconda parte del titolo delle Lectures invece affronta una tesi sulla fine dell’arte che è un tema trattato a lungo nelle scritture del grande filosofo dell’arte Arthur C. Danto. In questo libro, scritto a trent’anni dal saggio “La Fine Dell’arte” pubblicato nel 1984, Danto rivede e rivisiona la sua tesi presentata trent’anni prima nel suo saggio sopra citato che l’arte sarebbe finita quando la Brillo Box di Andy Warhol alla Stable Gallery a New York nel 1964 ha spinto i filosofi a chiedere perché si considerava arte se l’oggetto reale non si vedeva distintamente e di conseguenza, viene fuori la domanda che cosa potrebbe distinguere un opera d’arte da un oggetto comune ad esso identico o in che cosa consiste la differenza tra un'opera d'arte e qualcosa che non è arte nel momento in cui non si riesca a rilevare nessuna differenza percettiva tra i due oggetti?, una domanda importante che ha preoccupato tanti filosofi e ha spinto loro a rivedere la definizione dell’arte e ha predetto in qualche modo la fine dell’arte intesa da Danto come la fine delle grandi narrazioni e l’inizio di una fase poststorica di arte libera dove non esiste più uno stile dominante che esclude altri stili e li mette fuori dalla storia. Secondo Danto la storia dell’arte ha un percorso che inizia dal 1400 fino al 1964. Infatti, prima dell’era dell’arte le icone o le immagini non venivano concepite come arte, o meglio dire che il concetto di arte non aveva nessun ruolo nella loro creazione in quanto non era emerso completamente nella consapevolezza collettiva e la gente non comprendeva ciò che si faceva all’epoca come arte. Le immagini erano oggetto di venerazione e non di ammirazione artistica: “le icone non erano nemmeno considerate manugfatti nel senso più elementare, cioè oggetti prodotti da persone che imprimevano segni su una superficie, poiché si riteneva avessero origine miracolosa, come l’impronta dell’immagine di Gesu’ sul velo della Veronica.” (Danto, 2008, p.1) Nella prima fase dell’era dell’arte il pittore aveva lo scopo di ritrarre il mondo nella sua essenza raffigurando persone, paesaggi ed eventi esattamente come sono nella realtà nuda e cruda. L’arte cercava di realizzare la verosimilitudine percettuale e si basava sulla mimesi. La seconda fase è quella del modernismo iniziato nel 1880 con Manet come Danto lo afferma rifacendosi a Geenberg“I quadri di Manet divvennero il primo esempio di pittura modernista in virtu’ della franchezza con cui essi sottolineavano la piattezza della superficie su cui erano dipinti.” (ivi, p.6) Sotto la guida del modernismo l’attenzione si è spostata sulle condizioni di rappresentazione, l’arte è diventata soggetto di se stessa e si è verificato il passaggio dalla rappresentazione degli aspetti mimetici a quelli non mimetici. Il modernismo (chiamato anche l’epoca dei Manifesti) è un periodo caratterizzato da tante definizioni in quanto ogni maifesto cercava di trovare una definizione filosofica dell’arte. I movimenti di avanguardia avevano intrapreso molte direzioni e ciascuno di essi vedeva se stesso come l’unico che conta, escludeva gli altri generi,vedeva gli altri come competitori e pensava di aver trovato o meglio dire identificato l’unico percorso dell’evoluzione futura dell’arte. L’essenza dell’arte era identificata con uno stile artistico specifico lasciando intendere che tutto il resto rappresenti una forma di arte falsa e le rivisite d’arte hanno diviso il mondo dell’arte in quello che conta e quello che non conta. “Il manifesto circoscrive un determinato tipo di arte e di stile e lo dichiara, in linea di massima, l’unico che conta ... Ciacuno di questi movimenti era ispirato a una specifica percezione della verità filosofica dell’arte: la sostanza dell’arte fosse “xy” e tutto ciò che differenziava da “xy” non fosse arte, o almeno non essenzialmente.” (ivi, p.27) Il modernismo è uno stile che ha dei presupposti che dovevano essere adotttate dalla pittura coeva, altrimenti non sarebbe trovato collocazione all’interno di tale narrazione perché sarebbe stata esculsa; per esempio, secondo Greenberg, il surrealismo e la pittura accademica “ricadevano al di fuori della storia” in quanto non hanno abbracciato i presupposti del modernismo e non hanno contribuito all’evoluzione della storia. Secondo la narrazione modernista, l'arte esclusa non appartiene all'ambito della storia. Il contribuito essenziale dell’epoca dei manifesti è l’aver introdotto la dimensione filosofica all’intetrno della produzione artistica che secondo l’autore cercava di arrivare a una definizione dell’arte e di rileggerne la storia al fine di scoprire la sua verità. Il pensiero di Danto a tal proposito - che lui stesso ammette che sia in tutto e per tutto hegeliano- è che “la natura filosofica dell’arte emerse come domanda dall’interno della storia dell’arte stessa” e vede che “la fine dell’arte si ha quando emerge a consapevolezza la vera natura filosofica dell’arte.” (ivi, p.30) Inoltre si è fatto evidente che l’arte non si basa più sull’apparenza e l’opera d’arte non doveva significare, ma essere. Gli anni sessanta sono considerati un periodo importante per capire il passaggio dal modernismo all’arte contemporanea o poststorica dato che si sono susseguiti tanti stili come colorfield painting, neorealismo francese, pop art, op art, minimalismo, arte povera, new sculpture e infine l'arte concettuale e non esisteva orientamento narrativo univoco in cui un opera d’arte dovesse presentarsi per potersi differenziare dai meri oggetti. L’esempio più famoso è le Brillo Box di Wahrol alla Stable Gallery a New York nel 1964, identiche alle scatole di spugnette Brilloin in vendita al supermercato. Tutto questo ha portato al fatto che non si poteva riconoscere un opera d’arte dal proprio mero oggetto comune. Un argomento che è divenuto urgente per Danto e che ha sviluppato nei suoi scritti successivi a partir dal suo noto articolo “The Artworld” nel 1964 il quale introduce una teoria dell’opera d’arte essenzialista ed esternalista, fondata sul concetto delle “coppie indiscernabili” dove un oggetto è un opera d’arte e l’altro no. In sintesi, Danto dice semplicemente che se un’opera d’arte è identica all’oggetto comune al punto che non è possibile distinguere opera d’arte e mero oggetto sulla base delle proprietà materiali percettibili, è necessario spostare l’attenzione dall’esperienza sensoriale al pensiero e afferma pure che l’intenzionalità dell’artista occupa la posizione centrale in quanto criterio di riferimento per la definizione e la comprensione dell’opera. (Giacobbe, 2011, p.1) In parole più semplici possiamo dire così: dato che, in materia all’aspetto esteriore, tutto poteva essere un’opera d’arte, era necessario spostare l’attenzione dall’esperienza sensoriale al pensiero e l’intenzionalità dell’artista ha rivestito la posizione centrale come criterio di riferimento per la definizione e la comprensione dell’opera. Dopo gli anni sessanta non si può più fare riferimento alla teoria estetica classica. Greenberg, sulla scia di Kant, il quale afferma che l’arte esiste per il piacere estetico e il giudizio doveva essere universale, usa una critica basata sulla reazione istintiva e sostiene che l’essenza dell’arte si vede nella forma e che l’arte possa essere giudicata da parte di quelle persone che hanno “un gusto artistico” “Esiste un consenso nel gusto. Il gusto migliore è quello di coloro che, in ciascuna generazione, dedicano più tempo e fatica all’arte, e questo gusto superiore ha sempre emesso verdetti, entro certi limiti, unanimi.” (Danto, 2008, p. 88) Infatti, la sua attività critica si ferma alla fine degli anni sessanta perché la sua esperienza non era più applicabile al fatto che tutto poteva essere arte. La pop art sì che si ispirava alla grafica pubblicitaria, però era un’arte. Secondo Danto, la pop art gioca un ruolo da protagonista dal punto di vista filosofico nella storia dell’arte moderna in quanto segna la fine delle grandi narrazioni e ha fatto sì che l’arte lasci la sua fase storica per entrare nella sua fase poststorica. E così arriviamo alla fine dell'arte dato che qualunque oggetto poteva diventare opera d'arte e si pone la domanda “perché quella è un'opera d’arte?”. Infatti gli ultimi 25 anni del secolo sono stati caratterizzati da una produttività incredibile, ma senza un orientamento narrativo univoco capace di escludere le tendenze concorrenti, ciò che conferma ancora una volta che con fine dell’arte non si intende l’arrestarsi delle attività artistiche, ma la fine dell’era delle grandi narrazioni. Poi l’arte entra nell’era poststorica. I punti essenziali e caratterizzanti di questo scenario artistico sono: • la definizione filosofica dell’arte non comporta nessun imperativo stilistico, ma tutto può essere un’opera d’arte e l’arte non si identifica con nessuno stile storico che fa da ambasciatore della storia ; • nessuno stile è più autentico dell’altro e non esiste più un confine della storia e quindi nessuna espressione artistica viene “esclusa” il che vuol dire anche includere tutto quello che, secondo le grandi narrazioni, ricada al di fuori della storia; • l'arte contemporanea è pluralistica cioè può presentarsi sotto varie tipologie e ciò che ora conta è il pensiero; • la visione hegeliana per cui solo alcune regioni del mondo in un determinato momento storico facevano la storia mondiale e che solo alcuni tipi di arte erano considerati rilevanti scartando tutti gli altri in quanto “estranei alla storia del mondo” non è più ammissibile perché non esiste più un'arte ambasciatrice esclusiva della storia; • non esiste più una struttura oggettiva con un solo stile che la definisce, ma possiamo dire che esiste una struttura storica oggettiva in cui tutto è possibile; • l’estetica non è più essenziale nell’arte e ciò che conta è il pensiero come abbiamo menzionato prima; • siccome l’arte nella fase poststorica è libera, gli artisti anche sono liberi di fare arte come vogliono, una caratteristica della fase poststorica che le espressioni artistiche del passato siano a disposizione per qualunque uso gli artisti vogliano farne; • il concetto del museo nell’età contemporanea consiste in un museo in cui tutta l'arte trova posto, senza un criterio su come debba presentarsi un'opera d'arte; • la critica d’arte nel periodo poststorico deve essere pluralistica quanto l’arte stessa. Greenberg aveva una visione della storia dell’arte basata su uno sviluppo graduale che poi nel 1964 si è interrotto. L’interpretazione alternativa è concepire l’arte come giunto al termine perché è giunto a un diverso livello di consapevolezza, cioè il livello della filosofia, però bisogna tenere in conto che l’arte non si è mai trasformato in filosofia, ma ciò che è successo è che è stato affidato ai filosofi il compito di definire la propria essenza. Pure nella sua fase poststorica non si tratta di arte senza scopi e incapace di dire qualcosa, ma invece viene descritto come “librated from a burden as free now to please itself and to celebrate its polyglot multiplicity.” (Mothersill, 2001, p.214) E così definendo il compito storico dell’arte come peso da cui doveva liberarsi, allora l’arte non può essere spiegata nei termini della sua fase storica e di più si può dire che sin dall’inizio dell’era dell’arte, l’arte andava verso la sua fine come se dovesse compiere tutto questo percorso perché arrivi alla sua fine e passi alla fase poststorica a cui assistiamo oggigiorno. C’erano anche dei segnali che lo dicevano di tanto in tanto partendo dalla fontana di Duchamp arrivando al Brillo Box di Warhol. “On this account, the importance and the value of art could not be explained as connected to its historical destiny. Moreover, in allowing that its historical duty was a burden from which it was liberated, art’s historical phase looks more like a tangent than part of its essential nature and purpose” (ivi, p.215) Ritornando alla concezione della fine dell'arte di cui abbiamo parlato all’inizio risulta chiaro che l’intenzione di Danto non è che l’arte non sarebbe più esistita, ma si riferisce al fatto che le grandi narrazioni, che hanno caratterizzato l'arte tradizionale e quella moderna, sono giunte al termine e che l'arte contemporanea non si lascia più rappresentare da nessun genere di grande narrazione e nessuno stile può effettivamente reclamare egemonia sugli altri perchè oramai l’arte nella fase poststorica o contemporanea si considera libera e l’estensione dell’opera d’arte è aperta. Danto sostiene che le moltitudini siano assetate di arte, ma di un tipo di arte che i musei fino ad oggi non sono stati capaci di offrire: “ cercano un’arte che sia loro” (Danto, 2008, p. 188) e parla di Community Based Art (arte a base comunitaria) che si tratta di attività artistiche che hanno a che vedere con la comunità. In altre parole sono opere d’arte caratterizzate da interazione e dialogo con la comunità e sono fatte per il cambiamento sociale e implicano un rafforzamento dei membri della comunità che si collaborano con gli artisti per creare opere d'arte. Si parla anche di arte pubblica e arte del pubblico: la prima è rappresentata dallala costruzione dei monumenti celebrativi, cioè collocare monumenti negli spazi pubblici dove la gente può vivere emozioni estetiche il che crea un museo aperto e senza muri, portando il museo al pubblico e non viceversa, cioè arte a beneficio del pubblico; la seconda si tratta di due modalità: la prima è chiamare il pubblico a contatto con le opere d’arte negli spazi extramudseali a partecipare al processo decisionale (estetica partecipatoria) e la seconda è la creazione fi arte non museale trasformando il pubblico stesso in artista. Nonostante che il suo pensiero nella filosofia dell’arte sia stato recepito antiessenzialista, Danto si dichiara un filosofo essenzialista e sostiene che l’arte abbia un’identità immutabile e universale e abbia un’essenza che rimane sempre uguale. Secondo lui, il problema dei grandi filosofi non è che erano essenzialisti, ma che hanno individuato l’essenza sbagliata; il punto della questione è che se oggetti come la Fontana di Duchamp e la Brillo Box si considerano opere d’arte, allora quasi tutte le definizioni dell’essenza dell’arte che sono state avanzate fino ad oggi sono errate. Secondo lui, l’unico filosofo che ha colto fino in fondo la complessità del concetto dell’arte è stato Hegel in quanto l’ha definito attraverso una visione storica e non eternalista come faceva la maggior parte dei filosofi. Secondo Hegel la definizione dell’arte non può essere fatta utilizzando un metodo induttivo, cioè trarre i principi generali dell’arte osservando dei casi particolari, ma sostiene che i caratteri che definiscono un’opera d’arte sono il godimento immediato e il giudizio, “Ciò che in noi ora è suscitato dalle opere d’arte è, oltre il godimento immediato, anche il nostro giudizio, poiché noi sottoponiamo alla nostra meditazione (I) il contenuto, (II) i mezzi di manifestazione dell’opera d’arte e l’appropriatezza o meno di entrambi.” (ivi, p.204) Invece, Danto, nel definire l’essenza dell’arte, sostiene che un’opera d’arte debba soddisfare due conzioni necessarie quali, avere un contenuto e incarnarne il significato: “essere un’opera d’arte comporta I) avere un contenuto II) incarnarne il significato” (Ibidem) Danto dice che l’essenzialismo dell’arte comporta pluralismo e insieme allo storicismo costituiscono i tratti principali della situazione attuale dell’arte e aiutano anche a formularne un’accettabile definizione che parte dal riconoscimento che tutto può essere arte, tanto che viviamo in un’epoca in cui tutto è possibile per un artista e non c’è nulla che ricada al di fuori della storia, come sostenuto da Hegel. Detto questo, bisogna prender nota della tesi di Wölfflin secondo cui non tutto è possibile in ogni fase storica:“Ogni artista si trova di fronte a determinate possibilità ottiche a cui è vincolato” sostenendo “anche il talento più originale non può superare i confini fissati dalla sua data di nascita” (Danto, 2008, p. 208) L’autore dice semplicemente che nell’attuale fase poststorica tutto è possibile, ma questo deve essere in sintonia con il pensiero Wölfflin secondo cui non tutto è possibile in ogni fase storica, ciò vuol dire che il fatto che ogni artista sia vincolato al periodo storico in cui opera vale per gli artisti che operano anche nella fase poststorica come lo è per ogni epoca. “Tutto è possibile nel senso che non esistono limitazioni a priori sull’aspetto che deve avere un’opera d’arte visiva, cosicché qualunque oggetto visibile può rientrare in tale categoria ... Non è possibile rapportarsi a tali opere come facevano coloro nella cui forma di vita esse rivestivano ... Naturlamente nessun periodo si può rapportare all’arte di precedenti forme di vita come facevano quelli che li vivevano ... Tutto è possibile nel senso che tutte le forme sono nostre. Ma non tutto è possibile nel senso nel senso che non possiamo fare a meno di rapportarci a esse a modo nostro.” (ivi, p.208-209) Mary Mothersill (2001, p.215) commenta su questo nel suo articolo dicendo: “Artists are free to adopt any style they like, but where the cultural and intellectual settings that gave that style its significance are past, they are not free to give their work the content and the import that former artists might have done… Danto holds that artists can mention styles they appropriate, but cannot use them.” E come afferma Danto cercando di descrivere, alla fine del suo libro, i requisiti dell’artista ideale della fase poststorica, “I veri eroi del periodo poststorico sono gli artisti che dominano tutti gli stili pittorici senza averne uno.” (Danto, 2008, p. 230) Nonostante la libertà di cui godono gli artisti nella fase poststorica, secondo Mothersill la condizione messa da Wölfflin, che ogni artista è vincolato al periodo storico in cui opera ed è possibile per lui appropriarsi delle forme precedenti e adattarle a modo suo, ma non può usarle nello stesso modo in cui erano state usate dagli originari fruitori, indebolisce la tesi di Danto e limiterebbe l’arte poststorica allo stesso modo in cui erano limitate l’arte tradizionale e quella moderna e così, come i loro predecessori, gli artisti tecnicamente non possono fare tutto ciò che vogliono:“Once again, I think Danto has improved the theory, but at the expense of weakining it. The freedom that attends the end of art’s history, it turns out, is no less circumscribed than was so in the historical era. Even if any thing now might be made into artwork, artists are not more able to make any artwork they like than were their predecessors.” (Mothersill, 2001, p.215) Un altro problema individuata da Mothersill in questo libro è che Danto si concentra sulla pittura escludendo gli altri tipi d’arte, sull’arte alta ai danni dell’arte bassa e sulla storia dell’arte occidentale discriminando quella non occidentale. (Ibidem) In conclusione, devo dire che il libro è molto importante e merita di essere letto. Mette in luce la profondità e la sinteticità del pensiero di Danto come filosofo e critico dell’arte e sottolinea la sua modestia in quanto revisiona sempre il suo pensiero e impara continuamente dalle sue scritture. Forse l’unico difetto sarebbe la mancanza di linearità che si perde un po’ nella lettura, ma questo sarebbe dovuto al fatto che si tratta di una raccolta di articoli. Danto è riuscito a spiegare bene il suo pensiero e ha chiarito i concetti che ha voluto trattare, i fraintendimenti del suo pensiero e le sue dichiarazioni contradditorie sull’arte in generale e su quella poststorica in particolare. Bibliography Danto, A. C. (2008). Dopo la fine dell'arte, l'arte contemporanea e il confine dell'arte. Milano, Italia: Bruno Mondadori S.P.A. Giacobbe, L. Intenzionalità e interpretazione: la teoria di Arthur C. Danto e la (s)materializzazione dell’opera d’arte. Rivisita Palinsesti Vol. 1, No. 1 (2011); http://www.palinsesti.net/index.php/Palinsesti/article/viewArticle/4 Mothersill, M. After the End of Art: Contemporary Art and the Pale of History by Arthur C. Danto. The Journal of Aesthetics and Art Criticism Vol. 59, No. 2 (Spring, 2001), pp. 214-215; http://www.jstor.org/stable/432226?read-now=1&loggedin=true&seq=1#page_scan_tab_contents