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Metaprogrammi

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I METAPROGRAMMI
E tu, che tipo sei? Molte riviste di psicologia –e non solo- propongono ai loro lettori svariati
test per avere la risposta a questa domanda. Naturalmente la validità di questi test è
paragonabile a quella degli oroscopi (con tutto il rispetto per l’astrologia). Anche diversi
modelli psicologici offrono descrizioni di “personalità” e “tipi caratteristici” in cui ognuno di
noi dovrebbe più o meno essere incasellabile. In effetti la richiesta di caselle in cui poter
mettere noi e gli altri è forte. Da un lato ci toglie la responsabilità di essere come siamo
(sono un introverso, cosa posso farci?) dall’altro ci dà la rassicurante sensazione di poter
prevedere e spiegare i comportamenti altrui (per forza fa così, è un tipo orale!). Nella PNL
non esiste nulla di tutto questo. Il presupposto è che ognuno di noi ha somiglianze e
differenze con diversi altri individui, ma il suo modo di fare e agire è frutto di una sua scelta
adattiva a un determinato contesto, e nessuno di noi è “costruito” in modo tale da essere
obbligato ad essere in un certo modo. Qualunque sia la nostra storia, abbiamo sempre la
possibilità di scegliere fra molteplici opzioni – o quantomeno di imparare a farlo.
E’ vero però che nel modo di comportarsi e atteggiarsi di ogni essere umano è di solito
riconoscibile un’impronta tipica, uno “stile” caratterizzato da schemi che si ripresentano con
una regolarità a volte molto evidente. E’ solo frutto di abitudini oppure c’è qualcosa di più
profondo e radicato? In questo capitolo vedremo cosa sono i Metaprogrammi e perché sono
così importanti per capire meglio gli altri e noi stessi.
LA VITA È TUTTA UNA ROUTINE
Tutti noi sappiamo più o meno cos’è una routine. E’ una sequenza ripetitiva di scelte e
comportamenti pressoché automatici che portano a qualche tipo di risultato atteso. La
routine ha due facce. Una è quella –negativa- per cui si dicono frasi come “Sono stanco della
solita routine” oppure “Che barba questa routine”.
Ma l’altra faccia, quella che di solito non si considera, costituisce invece uno straordinario
vantaggio. Pensate per un attimo a quante cose facciamo nell’arco di una giornata. Cose
semplici come lavarsi i denti, oppure più complesse come andare in auto al lavoro. Se ogni
volta dovessimo affrontare questi compiti eseguendoli con cura e concentrazione, dopo
poche ore saremmo sfiniti. Invece dopo un po’ di ripetizioni tutte queste cose diventano
routine che portiamo a termine senza quasi pensarci. Basta dare l’avvìo, e il nostro corpo –
assieme alla nostra mente- fanno tutto quanto mentre la nostra coscienza riflessiva è libera
di dedicarsi ad altro. Salite in auto, e dopo un po’ siete alla solita destinazione senza quasi
rendervi conto di cosa sia successo. In modo efficace, fluido e poco faticoso. Una routine è
una competenza inconscia: un programma esecutivo ben collaudato che è lì a vostra
disposizione tutte le volte che si presentano determinate circostanze. Ogni routine viene
appresa in un contesto specifico come una procedura per “funzionare bene” proprio in quel
contesto lì. Diverse routine possono essere organizzate assieme per formare una routine più
complessa e generale. La giornata-tipo di un monaco benedettino è un buon esempio di
routine composta da sottoroutine più semplici.
METAPROGRAMMI, LE ROUTINE NASCOSTE
I problemi nascono quando il contesto in cui noi agiamo il nostro programma cambia. Se ce
ne accorgiamo –come ad esempio quando cambiamo sede di lavoro- la soluzione di solito è
semplice: dopo qualche ripetizione della nuova procedura, la routine sostitutiva viene
installata. Ma le cose non vanno sempre così lisce, semplicemente per il fatto che in molti
casi noi non siamo consapevoli di stare agendo degli schemi ricorsivi.
Dentro di noi infatti agiscono anche delle routine di ordine così vasto e generale da apparirci
come “il modo naturale di affrontare le situazioni” oppure “il buon senso” o anche “la nostra
natura”. Sono routine per scegliere, decidere, relazionarsi, orientarsi, apprendere, dare
senso alle cose e via dicendo.
Queste strutture servono naturalmente anche come cornice per generare tutte le routine di
ordine inferiore. Ecco perché in PNL vengono chiamate Metaprogrammi.
COME NASCONO I METAPROGRAMMI
Essendo di ordine così alto e vasto, i Metaprogrammi sono la struttura portante del nostro
modo di fare esperienza. Affondano le loro radici nella genetica e nei primi anni di vita,
tanto che molti di essi sono addirittura pre-verbali e si installano attraverso le prime
esperienze di relazione del neonato con gli adulti e l’ambiente in cui vive. Sono strutture
legate ai ritmi dell’organismo, al tipo di relazione con la madre, all’uso dei sensi, ai
movimenti alternati del corpo, all’alternanza buio/luce. Poiché gli esseri viventi –uomo
incluso- percepiscono per differenze e somiglianze, ognuna di queste strutture è appresa
come un asse a due polarità percettive, del tipo pieno/vuoto, contratto/rilassato e così via.
Questa prima dotazione di Metaprogrammi Corporei sarà la matrice dei successivi
Metaprogrammi Cognitivi rappresentati come schemi linguistici. E naturalmente gli schemi
linguistici non potranno che conformarsi ai precedenti, assumendo anch’essi una forma
bipolare: ad esempio normale/trasgressivo, autonomo/dipendente, o anche il classico
introverso/estroverso.
INCLINAZIONI VS. OBBLIGHI
Un aspetto importante sta nel fatto che ogni individuo si colloca, rispetto ai suoi
metaprogrammi, in una delle due polarità, trovando “sbagliata” o “innaturale” quella
opposta. Ciò detto, non dobbiamo aspettarci che una data persona con determinati
metaprogrammi si comporti necessariamente sempre nello stesso modo. E’ più appropriato
parlare di “inclinazioni”, “tendenze”, oppure “impostazioni di default”: insomma, il modo di
agire che una persona trova più agevole e connaturato per sé. Ciò non toglie però che –nella
costante azione del miglior adattamento possibile ai diversi contesti- la stessa persona possa
sempre scegliere di comportarsi in un modo che contrasta anche notevolmente con quello
che ci aspetteremmo da lei. E’ l’esempio del timido che diventa improvvisamente coraggioso,
del generoso che diventa di colpo egoista, dello spirito ribelle che si adatta a rientrare nei
ranghi.
In sintesi, i metaprogrammi si formano nel processo di crescita della persona e possono
subire variazioni anche significative nel corso della vita, qualora si verifichino esperienze ed
eventi che abbiano un impatto significativo. Permettono di descrivere e motivare
comportamenti e di descrivere i criteri di congruenza ed equilibrio con cui si aggregano nella
persona valori, credenze e capacità. Sono particolarmente dipendenti dal contesto ma ogni
persona ne ha comunque un certo numero di preferenziali. Si possono rintracciare quelli di
prevalenza a seconda di contesti tipo "lavoro" "apprendimento" "relazione" ecc.
Anche qui vale il principio secondo cui avere più scelte e più strumenti per un solo stimolo o
situazione consente una migliore gestione che avere una sola risposta, un solo strumento.
Non ci sono metaprogrammi "giusti" o "sbagliati" o "inutili" o "di qualità" in senso assoluto.
METAPROGRAMMI DI BASE
I metaprogrammi di base che si rifanno alle descrizioni originarie, sono tentativi di
costruzione già di tipo diagnostico e sono connessi ad elementi base della PNL: il
comportamento esterno, il processo interno, lo stato interno.
Legato al comportamento
1. estroverso (circa il 70% della popolazione)
2. introverso (circa il 30% della popolazione).
Legato al processo interno di pensiero e di rappresentazione
1. intuizione, intesa come chunk up (circa il 25% della popolazione)
2. sensazione, intesa come chunk down (circa il 75% della popolazione)
Legato allo stato emotivo interno
1. associato [sentimento] ( circa il 50% della popolazione con leggera prevalenza di donne)
2. dissociato [pensiero] (circa il 50% della popolazione con leggera prevalenza di uomini)
Legato alla relazione col mondo, adattivo
1. giudizio, tende a portare il mondo al suo funzionamento
2. percezione/opzioni, tende ad essere lui che si adatta al mondo. (I dati sono riferiti da Tad
James e Wyatt Woodsmall nel loro libro “Time line” edito da Astrolabio.)
La direzione: via da e verso
Come orientiamo la nostra attenzione? “Leggo per apprendere” – “leggo per non restare
nell'ignoranza”.
Nel primo caso cerchiamo un valore; nel secondo ci vogliamo allontanare da un
valore. Tendenzialmente il 20% delle persone è orientato verso il piacere e l’80% verso
l’evitamento del dolore. Ambedue sono collegati a rappresentazioni e a stati emotivi interni:
si tratta di rappresentazioni piacevoli per chi è orientato "verso" e spiacevoli (a volte anche
disastrose) per chi è orientato "via da". Nello scegliere una nuova auto, se pensiamo alla
linea o alle prestazioni, avremo un certo tipo di rappresentazione di estetica e di azione
legata alla linea e alle prestazioni. E se pensiamo alla sicurezza, un altro: infatti in qualche
modo, per definire la sicurezza, ci dobbiamo rappresentare un inconveniente o incidente da
cui l'auto scelta ci tutelerà, ci allontanerà. Andare verso qualcosa può essere anche andare
via, allontanarsi da dove si è. A volte conta più il modo che non la direzione, cioè il "come"
mi muovo verso o via da.
La comparazione: somiglianze e differenze
Rileviamo con maggiore facilità somiglianze o differenze? Per qualcuno l'ultima vacanza è
stata simile a quella dell'anno precedente, anche se la località e le persone non erano le
stesse.
Per altri era completamente diversa, perché l'hanno trascorsa in un altro albergo, anche se
nella stessa località e con le stesse persone. La domanda riguarda il numero di novità che la
gente ama avere nella vita. L'azione può essere quella di confrontare (ciò che si ascolta con
ciò che si sa già, i dati in proprio possesso) per ricavare somiglianze. Oppure l'azione può
essere quella di contrapporre, per rilevare differenze. Infine queste due azioni possono
essere combinate tra loro.
Approssimativamente: • il 60% della popolazione compara per somiglianze con aggiunta di
differenze • il 20% della popolazione compara per differenze con aggiunta di somiglianze • il
12% della popolazione compara solo per somiglianze • l’ 8% della popolazione compara solo
per differenze.
Il primo gruppo è composto da persone tendenzialmente stabili nella loro acquisizione; le
differenze servono a confermare le somiglianze; devono avere la sicurezza che non ci
saranno bruschi cambiamenti; svolgono volentieri il loro lavoro per periodi piuttosto lunghi,
ma hanno comunque bisogno di introdurre una certa quantità di innovazioni per colmare
l'aspetto della diversità. Come abbiamo già notato, il processo pubblicitario è incentrato
prevalentemente su questo gruppo, per il quale funziona un prodotto "un po' di più" e "ancora
migliorato" quindi simile a prima, ma con qualche differenza. Non si rivolgono a questa
categoria i prodotti presentati come “esclusivi”.
Al secondo gruppo appartengono coloro che sanno dove porre il cambiamento, ma colgono
anche elementi di unione. Nel loro lavoro necessitano di variazioni abbastanza frequenti ed
evidenziano le differenze prima degli aspetti simili. Spesso giungono ai livelli più alti nella
loro professione, perché sanno agire nei cambiamenti e risolvere problemi offrendo
comunque una certa stabilità e sapendo andare d'accordo un po' con tutti.
Per chi appartiene al terzo gruppo nessuna novità è abbastanza attraente poiché tutto è
simile. Tutto hanno "già fatto" e "già visto". "Sì riduce tutto a questo...". Queste persone
tendono così a cancellare grandi quantità di informazioni, di tutto ciò che è diverso.
Preferiscono comunque fare le cose come sono sempre state fatte, senza alcun motivo per
cambiare. Mantengono a lungo lo stesso lavoro e se lo cambiano lo fanno soprattutto perché
nel precedente erano state introdotte troppe innovazioni. La routine prevale.
Coloro che appartengono al quarto gruppo tendono a rilevare solo differenze, a notare
rapidamente le incongruenze ed a cancellare le informazioni relative a ciò che è simile.
Colgono ciò che non va e non funziona e per comprendere usano la contrapposizione dei dati.
Spesso le aziende li utilizzano per chiudere strutture obsolete o per riorganizzare una
struttura, non sono però in grado di gestire la fase successiva, di assestamento e stabilità e
non tengono in sufficiente conto la sensibilità della grande massa.
Riferimento: esterno o interno
Riguarda ad esempio il modo in cui scegliamo un acquisto, prendiamo una decisione, come
sappiamo di aver svolto un buon lavoro. Per alcune persone è determinante il giudizio altrui,
il supporto di dati e pubblicazioni, per altre conta soprattutto il riferimento personale:
decidono da sé. Si tratta insomma di definire quali parametri vengono usati per decodificare
qualcosa e attribuirvi un significato.
I bambini si rifanno alla referenza esterna dei genitori e degli insegnanti; gli adolescenti
cominciano a sperimentare la propria passando attraverso quella del gruppo: dato che non è
una referenza esterna concentrata in due persone ma distribuita in tutto il gruppo, ci
mettono almeno due ore per decidere se andare al cinema. Spesso spostiamo le referenze
verso l'esterno nella misura in cui l'esterno è percepito un po' più simile a noi, oppure se
abbiamo poche risorse, se condividiamo un obiettivo importante; anche situazioni di paura
portano ad accrescere la referenza esterna.
Per chi ricopre una posizione di leadership il riferimento interno è determinante nel
prendere decisioni, nel compiere valutazioni e scelte anche se questo deve essere supportato
dalla capacità di raccogliere informazioni e dalla capacità di instaurare buone relazioni con
le persone. Riferimento interno non significa chiusura ai dati e alle relazioni esterne.
Relazione col tempo
Riguarda l'orientamento nel tempo: siamo rivolti prevalentemente al passato, al presente, o
al futuro?
È naturale che i bambini siano tendenzialmente rivolti al futuro e gli anziani abbiano un
lungo passato da narrare, ma questo metaprogramma riguarda soprattutto il modo di
relazionarsi con queste tre aree: alcuni non riescono a staccarsi dall'esperienza del passato,
altri si gettano tutto alle spalle e guardano solo al proprio futuro. «Domani è un altro giorno»
dice Rossella O’Hara, coniugando, tra l'altro, il verbo al presente.
D’altra parte senza attenzione al passato, è difficile apprendere dall’esperienza; senza
attenzione al futuro è difficile fare progetti; senza attenzione al presente, avremmo
difficoltà a prestare attenzione a come sarebbe la vita che stiamo vivendo in questo
momento.
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