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TESI FINALE - ALLUCE VALGO IN UNA VISIONE OLISTICA

INDICE
RINGRAZIAMENTI
pag.1
INTRODUZIONE
pag.3
CAPITOLO 1 - Istologia e anatomia funzionale del piede
pag.6
1.1
Istologia dei tessuti della regione plantare del piede
pag.1
1.2
Anatomia funzionale del piede
pag.13
1.2.1
Struttura ossea e legamentosa
pag.13
1.2.2
Struttura muscolare
pag.23
1.2.3
Meccanica delle articolazioni
pag.26
1.2.4
Le funzioni del piede
pag.33
CAPITOLO 2 - La postura e il sistema tonico posturale
pag.55
2.1
Il controllo dinamico della postura
pag.56
2.2
La postura ideale
pag.60
2.3
Le azioni muscolari
pag.62
2.4
Le catene muscolari
pag.64
2.5
La necessità e le difficoltà di una buona postura
pag.67
2.6
Le anomalie podaliche come principali fattori nello
squilibrio posturali
pag.69
2.7
Le alterazioni nel piede e le conseguenze posturali
pag.77
2.7.1
Il piede piatto valgo
pag.77
2.7.2
Il piede cavo varo
pag.78
2.7.3
Il piede a doppia componente
pag.79
CAPITOLO 3 - L’ALLUCE VALGO
pag.81
3.1.
Classificazione
pag.83
3.2
Epidemiologia
pag.87
3.3
Eziologia e Genesi della disfunzione osteopatica
pag.88
3.4
Anatomia disfunzionale
pag.92
3.5
Clinica
pag.95
3.6
Trattamento conservativo
pag.98
3.7
Trattamento chirurgico
pag.102
3.7.1
Complicanze
pag.102
CAPITOLO 4 - SQUILIBRI ENERGETICI E PIEDI
pag.105
4.1
I piedi in un approccio psicosomatico
pag.105
4.2
Il piede nella storia
pag.106
4.3
Riflessologia e M.T.C.
pag.109
4.4
La lettura energetica
pag.114
4.5
La sacralità della malattia
pag.117
4.5
La resilienza e la malattia
pag.120
4.6.1
La resilienza e la crisi generata dalla malattia
pag.121
4.6.2
La forza interiore, la resilenza e la malattia
pag.122
CAPITOLO 5 - CLINICA
pag.125
5.1
Il Metodo E.T.R.
pag.125
5.2
La Baropodometria, cos’è e quali informazioni
può darci
pag.129
5.2.1
L’analisi baropodometrica
pag.130
5.3
Trattamento e analisi dei dati
pag.132
5.3.1
Trattamento con metodo E.T.R.
pag.135
5.3.2
Esame baropodometrico e analisi del passo
pag.145
5.3.3
Sintesi dei dati dei restanti soggetti esaminati
pag.158
CONCLUSIONI
pag.168
BIBLIOGRAFIA
pag.170
SITOGRAFIA
pag.171
Allegati
a
questa
tesi
possono
essere
consultati
gli
esami
baropodometrici completi per ciascun soggetto da noi analizzato, sia
prima che dopo il ciclo di trattamenti.
RINGRAZIAMENTI
“ Per voi che siete stati il mio sostegno, la mia energia, il mio aiuto…”
Con poche righe vorrei citare tante persone che sono state parte integrante di
questo percorso…mi perdonerete ma non riuscirò a fare i nomi di tutti.
Ringrazio i miei docenti che hanno reso preziosi questi tre anni, un pensiero
speciale va al professor Roberto Menghini e al professor Franco Casella,
Enzo Isopo, Nora Veronese, Marco Gaudenzi e Danilo Bonometti, per
avermi avvicinato ad una nuova dimensione della vita, rendendomi
veramente consapevole della mia identità e per avermi avvicinato in questo
mondo, trasmettendomi, con umiltà e conoscenza, una vera passione,
sperando, nei prossimi anni, di poter contare ancora su di loro.
“Per sapere chi siamo dobbiamo essere consapevoli di ciò che sentiamo”
Alexander Owen
Ringrazio i miei genitori Giovanna e Luigi per avermi sostenuto in ogni
momento della mia vita, mia sorella Alessandra, per l’allegria che ci
trasmette.
Ringrazio Elena Pianti, per il suo supporto, per le sue parole, per la sua
presenza.
1
Impossibile non citare la mia amica Franceschina per la forza che dimostra
di avere, ogni giorno.
L’ultimo saluto va ai miei compagni con i quali ho condiviso momenti
straordinari e tante risate. In particolar modo ringrazio i miei compagni di
appartamento, Alberto Castellan, Marco Franceschini, Luca Andreotti e non
ultimo, il grande Anton Roy Fernandez.
2
INTRODUZIONE
Ricordo la prima volta che ebbi dolore all’alluce. Successe così,
all’improvviso, su un campo da calcio. Dico all‘improvviso perché sucesse
senza nessun apprente motivo, senza traumi, senza sovraccarichi di cui
potessi accorgemi; anzi ricordo con piacere un particolare stato di forma
fisica ritrovato dopo gli anni sedentari dell’università e qualche infortunio di
troppo avuto durante l’adolescenza.
Ricordo come ieri i miei pensieri a riguardo perché non mi capacitavo di
quelllo strano dolore, profondo, sordo, un dolore che inziava al primo passo
al mattino e mi abbandonava soltanto quando chiudevo gli occhi la notte.
Ricordo bene quel dolore, perché ha segnato la mia vità, nel bene e nel
male; nel male perché presto mi impedì di svolgere qualsiasi attività fisica
che comportasse la deambulazione.
Mi sentivo imprigionato in un disturbo che non volevo accettare e a cui non
volevo arrendermi. Nel bene perché ha cambiato la mia vita in meglio
proprio perché non mi sono arreso nel cercare una soluzione al mio
problema.
Dopo aver subito 4 interventi chirurgici in seguito a delle complicanze post
operatorie la dolorosità al piede era sì diminuita, ma non così come
prometteva la “propaganda” pre-operatoria del chirurgo.
3
Proprio questa ricerca della verità mi ha fatto arrivare qui ora.
Qua, dove ho molte delle armi che prima non conoscevo. Le armi che mi
permettono di indagare oltre quelo che appare noto.
In questa tesi ho voluto ragguppare molta della la letteratura inerente
l’alluce valgo, considerando diversi punti vista: il punto di vista della
chirurgia, della posturologia, della fisioterapia, della riflessologia plantare,
quindi una lettura energetica e infine il punto di vista della medicina
psicosomatica.
Nel mutamento paradigmatico sviluppatosi negli ultimi decenni relativo al
concetto di “cura” della persona è palese dover considerare la persona
come un sistema unico e irripetibile interagente, nello spazio e nel tempo,
con l’ambiente e le altre realtà, non solamente quindi una somma di parti
ed entità separate (organi, apparati, tratti caratteriali, ideologici, eccetera).
Sul piano degli strumenti conoscitivi l’approccio olistico considera, oltre a
ciò che viene comunemente riconosciuto dall’oggettività e verificabilità
scientifica, tutte le possibili forme di conoscenza (empatica, intuitiva,
emozionale, metafisica) di cui dispone il genere umano. Ritengo che a
questo scopo sia fondamentale un percorso fondato su un intervento
multidisciplinare che utilizzi stimoli e tecniche per una percezione, una
comprensione ed uno sviluppo contemporaneo di tutte le componenti
fondamentali della persona: quella corporea, quella emotiva, quella
mentale, relazionale e spirituale.
4
Se tali competenze sono culturalmente riferibili a quanto era inteso
nell’antichità come
ϑεραπεία (therapeía):
cura, guarigione, il ruolo
dell’operatore non può né deve essere quello peculiare di risolvere aspetti
specifici di quanto viene definito patologico o malato ma quello di riorientare la persona affinché possa sviluppare, semmai ne necessiti, anche
una domanda più consapevole in ambito medico, psicologico, fisioterapico,
energetico o spirituale
Gli operatori olistici osteopatici sono le figure professionali che mostrano
una rara sensibilità ed esigenza ad ampliare le loro già diversificate
capacità di approccio e intervento di ambito psicosomatico ed olistico.
5
CAPITOLO 1
ISTOLOGIA E ANATOMIA FUNZIONALE DEL PIEDE
Il piede è una struttura altamente specializzata ed ha diverse caratteristiche
che sono peculiari della specie umana. Presenta molte analogie strutturali
con la mano, ma essa non è così specializzata in termini di anatomia
macroscopica. Attraverso l’evoluzione, il piede ha modificato la sua
struttura perdendo le funzionalità prensili (come l’opponibilità del primo
dito), e sviluppando una complessa funzionalità antigravitaria, intesa come
attitudine al controllo delle forze ambientali, tra le quali primeggia appunto
la gravità. Nella stazione eretta e nella camminata il piede svolge, infatti, la
tripla funzione d’interfaccia informativa con l’ambiente, di base di
appoggio attraverso la quale è scaricato l’intero peso del corpo e di leva
per mezzo della quale viene respinto il suolo. Il piede infatti non è
solamente un organo deputato al movimento: è un organo complesso che
esplica la sua funzione fornendo informazioni al cervello sotto forma di
sensazioni e ricevendo da questo ordini motori. Il controllo che regola il
contrasto tra funzione recettoriale e funzione effettrice, ne fa alternare le
condizioni di rilasciamento e irrigidimento. Nella prima, tramite i recettori
sensoriali sparsi su tutta la sua superficie, il piede si “informa” delle
caratteristiche del suolo. Le terminazioni nervose percepiscono la
temperatura e la morfologia del terreno su cui camminiamo, la pressione
6
esercitata sul piede e le sollecitazioni che provocano dolore su di esso.
I
movimenti, piccoli e grandi, che costituiscono la deambulazione sono la
conseguenza di ordini provenienti dal cervello, che provvede a muovere in
sincronia i muscoli del piede, facendoli contrarre o rilasciare in funzione
della necessità. Viene da se che funzioni così complesse necessitino di una
forte precisione strutturale. La connessione intersegmentaria del piede e,
conseguentemente, la tutela della integrità della struttura podalica, sono
compiti delle formazioni legamentose ed aponevrotiche, nonché di quelle
muscolari. Disfunzioni o deformazioni di queste delicate “impalcature”,
compromettono pesantemente l’efficienza e la funzionalità di questo
meccanismo
(descritto
drammaticamente
in
l’ultimo
dettaglio
anello
della
in
seguito),
catena
modificando
antigravitaria:
la
distribuzione delle pressioni a livello plantare. Inoltre le anomalie
strutturali sono anche di ostacolo alla ricezione corretta della stimolazione
ambientale: il funzionamento dei recettori gravitari risulta alterato, essendo
anomali la disposizione dei tessuti che li ospitano. Ciò compromette il
meccanismo antigravitario a monte della forma che il piede riceve
istruzione di assumere: captando stimolazioni parziali o scorrette e
inviandole al cervello, il piede assume conformazioni o esegue movimenti
non adatti alla reale situazione ambientale in cui si trova. Un classico
esempio, è quello del piede neuropatico: il soggetto, avendo una parziale o
assente ricezione nervosa, non si rende conto che i movimenti che sta
eseguendo per camminare, o la postura che fa assumere al piede, gli stanno
procurando ferite a livello plantare. È evidente quindi la fondamentale
7
importanza di ricorrere a dispositivi che impediscano la formazione di
picchi pressori nel caso di neuropatie, o che prevengano o correggano le
anomalie dell'appoggio plantare e quindi posturali.
Figura 1.0 Immagine indicativa della distribuzione delle pressioni a
livello plantare durante le fasi del passo
8
1.1.Istologia dei tessuti della regione plantare del piede
L’interfaccia tra il piede e il suolo è costituita da tessuti specializzati nel
sopportare i pesanti scambi di forze tra le due parti rigide (ossa e suolo).
Figura 1.1 Sezione di tessuto epiteliale della pianta del piede
Deformandosi elasticamente, questi sono in grado di ammortizzare le
tensioni locali che si sviluppano nei punti di contatto con il terreno e di
conservare la loro integrità.
La pelle del piede è simile a quella della mano, ma molto più spessa. Lo
strato più esterno è costituito da un epitelio cheratinizzato fortemente
cornificato (figura 1.1). I numerosi strati di cellule dell’epidermide, infatti,
si riproducono continuamente spostandosi verso livelli più esterni,
formando
numerosi
strati
e
garantendo
un
costante
ricambio.
Superficialmente si presentano quindi più strati di cellule morte, prive di
nucleo e ridotte a piastre appiattite e strettamente ancorate alla matrice
proteica. Nelle zone soggette a maggior carico, cioè in corrispondenza del
9
tallone e della testa del primo metatarso, lo strato esterno di cheratina ha
uno spessore maggiore di quello di tutte le altre zone del corpo.
L'epidermide non contiene vasi sanguigni e viene nutrita per diffusione.
Una membrana basale la lega al derma che risulta costituito da tessuto
connettivo, con funzione di ammortizzatore per i traumi meccanici della
pelle. Il derma ospita molte terminazioni nervose di tipo meccanorecettoriale, che forniscono la sensibilità tattile e termica. Essi sono per lo
più barocettori, capaci di percepire variazioni di pressione con una
sensibilità di 0,3 g.
Il suo strato più profondo è composto da fibre di collagene, reticolari ed
elastiche, che conferiscono
alla
resistenza
La disposizione in direzioni preferenziali di
alle
trazioni.
pelle
l'elasticità,
l'estensibilità e la
queste fibre conferisce alla pelle una forte anisotropia.
Lo strato più profondo della pelle, chiamato ipoderma, è costituito da
cellule rotondeggianti piene di lipidi, circondate da una fitta rete di vasi
arteriosi e venosi; in questa sede esso funge soprattutto da ammortizzatore,
ma ha inoltre funzioni isolanti e favorisce la mobilità della pelle rispetto
alle strutture più profonde. Lo spessore del sottocutaneo è variabile sotto il
piede: poiché i cuscinetti adiposi svolgono un ruolo importante nel
sostenere il peso del corpo, essi sono maggiormente sviluppati nelle aree
soggette a maggior carico pressorio, quindi, come già detto, in
corrispondenza del calcagno, dell’ avampiede e delle teste dei metatarsi.
Lo spessore medio del cuscinetto calcaneale negli adulti sani varia dai 14
mm ai 19 mm. In queste zone, i cuscinetti adiposi plantari presentano una
10
configurazione che li rende specializzati nel sostenere carichi senza
sviluppare eccessive deformazioni in senso trasversale, che li renderebbero
inutili.
Il tessuto adiposo è infatti attraversato da numerosi fasci
connettivali molto sottili, che complessivamente però costituiscono una
robusta impalcatura che vincola la cute e limita lo spostamento della
materia molle, migliorando le qualità meccaniche (plasticità ed elasticità) di
questi cuscinetti. L’orientazione di questi fasci fibrosi corrisponde alla
direzione delle sollecitazioni meccaniche prevalenti (Bojsen-Moller et
Flagstad, 1979) (fig.1.2). Inoltre le cellule di adipe sono molto compatte e
tra loro non scorre alcun fluido, rendendole così fortemente viscose.
Figura 1.2 Sezione in cui si nota la disposizione delle fibre verticali e i
diversi livelli di spessore del tessuto adiposo
11
Figura 1.3 Immagine dell’aponeurosi plantare e del cuscinetto calcaneare
La parte intermedia, più robusta e spessa delle altre, posteriormente è più
stretta ed è fissata alla tuberosità del calcagno, mentre avanzando diventa
più larga e sottile. Portandosi in avanti essa si divide in cinque nastri, che
rimangono connessi tramite fasci trasversali e obliqui fino al punto di
divisione, in corrispondenza delle teste dei metatarsi. A questa altezza, lo
strato superficiale di ciascun nastro si fissa al derma mediante legamenti
cutanei che garantiscono la connessione tra la cute, la parte ossea e
quella legamentosa.
12
L’aponeurosi plantare, tendendosi con la flessione dorsale delle dita,
collabora infine con i muscoli intrinseci nell’aumentare la concavità dell’
arcata plantare quando il tallone viene sollevato dal suolo durante la
deambulazione (fig.1.4).
Figura 1.4 Immagine computerizzata che illustra come la flessione dorsale
delle dita (implicata dalla fase di spinta del passo) tenda l’aponeurosi plantare.
1.2. Anatomia funzionale del piede
1.2.1. Struttura ossea e legamentosa
La struttura scheletrica del piede è composta di 26 ossa (fig.1.5) e si può
dividere topograficamente in tre porzioni: 1) avampiede, che comprende le
ossa delle falangi e dei metatarsi; 2) mesopiede, con i tre cuneiformi, il
cuboide e lo scafoide (o navicolare); 3) retropiede, composto da astragalo e
calcagno.
Durante la stazione eretta il peso del corpo viene distribuito sui due piedi,
anche se in diverse persone il peso grava di più sul piede sinistro. Il peso
13
che si scarica su ciascun piede viene distribuito attraverso l’astragalo nel
tallone e nell’avampiede ed in particolare nella parte laterale dove avviene
il contatto con il suolo (fig.1.6) . Ciò si verifica perché la parte media
della pianta del piede è fatta ad arco concavo in basso, più
accentuato nel lato mediale e meno sviluppato lateralmente.
Figura 1.5 Visione dorsale e plantare delle ossa del piede
Dal punto di vista strutturale, l’astragalo è costituito da un corpo, un collo e
una testa. Il corpo si articola mediante la superficie superiore con la
superficie distale della tibia che gli trasmette la forza peso. Sui lati si
articola con i malleoli mediale e laterale. Le linee lungo le quali si trasmette
il peso sono schematizzate in figura.
Le linee di scarico del peso, sono dirette obliquamente, e ciascuna di esse
può essere scomposta in due risultanti, una verticale e una orizzontale.
14
Quella verticale rappresenta la pressione del peso sul terreno, ed è
bilanciata dalla forza di reazione trasmessa dal suolo, mentre quella
orizzontale avrà tendenza ad appiattire l’arco longitudinale del piede, ed è
invece bilanciata dall’attrito e dalla tensione di aponevrosi, legamenti e
muscoli della pianta del piede.
Figura 1.6 Immagine che schematizza l’andamento delle linee di distribuzione
del carico durante la stazione eretta
La posizione della verticale abbassata dal centro di gravità corporeo cade
più avanti dell’articolazione della caviglia. La linea della gravità deve
infatti intersecare l’apice dell’arco tra i punti di contatto col suolo, ossia il
calcagno e l’avampiede perché il peso venga adeguatamente distribuito.
Infatti usualmente essa passa tra il tubercolo del navicolare sul lato
mediale, e la base del quinto metatarsale sul lato laterale. Dunque la linea
che rappresenta la pressione esercitata attraverso la tibia non è verticale, ma
15
leggermente obliqua, in quanto passa per il baricentro del corpo (figura
1.6).
La testa dell’astragalo è diretta in avanti, e si articola col navicolare sul lato
mediale del piede. Da questo punto la linea di distribuzione del peso passa
attraverso i tre cuneiformi e raggiunge i capitelli dei tre metatarsali mediali.
L’osso del tallone è il calcagno. La parte anteriore di quest’osso è diretta
lateralmente, ove si articola col cuboide sulla parte laterale del piede. A sua
volta il cuboide si articola direttamente coi due restanti metatarsali.
La linea di distribuzione del peso verso l’avampiede raggiunge i metatarsali
1° 2° e 3° attraverso astragalo, navicolare e cuneiformi, mentre passa
attraverso astragalo, calcagno e cuboide per raggiungere i metatarsali 4° e
5°.
Sebbene la distribuzione delle pressioni scaricate al suolo al livello del
piede sarà un argomento trattato nel dettaglio in seguito, è importante
sottolineare in questa sede come, nella stazione eretta,il 60% delle pressioni
sia scaricato nel calcagno e il 30% a livello delle teste metatarsali (fig.1.7).
Il 10% delle pressioni rimanente risulta distribuito tra le dita e la fascia del
mesopiede.
16
Figura 1.7 Distribuzione, in un soggetto sano durante la stazione eretta, della
pressione (%) a livello plantare
I cuneiformi intermedio e laterale hanno forma di cuneo, e il più acuto dei
loro angoli è diretto plantarmente. Per la loro disposizione l’avampiede
presenta un marcato arco trasversale (fig.1.8).
La tensione di quest’arco dipende soprattutto da potenti legamenti
interossei. Per sfruttare il miglior braccio di leva, quindi queste ossa si
articolano tra loro per mezzo di artrodie che risultano il più possibile vicine
al dorso del piede. Esse consistono in una tipologia di articolazione in cui le
due superfici articolari sono pianeggianti e consentono solo movimenti di
scivolamento relativo delle due parti, non consentono movimenti angolari.
Poiché la capsula di un'articolazione a superfici piane è sempre tesa,
il movimento concesso è limitato ma multi direzionale.
Le cavità articolari sono rivestite soltanto dorsalmente da una capsula molto
sottile. Sulla superficie plantare l’intera area non articolare presenta i
legamenti interossei. Questa disposizione consente di neutralizzare la
tendenza
dell’arco
ad
appiattirsi,
17
senza l’intervento attivo di fasci
muscolari. L’arco trasversale è sostenuto anche dal tendine del peroneo
lungo, quando il muscolo è contratto.
Figura 1.8 Sezione che evidenzia l’arco trasversale formato dalle ossa
metatarsali
Le articolazioni e i legamenti a livello delle basi metatarsali sono disposte
in modo da replicare la disposizione esistente tra i cuneiformi. Dorsalmente
vi sono artrodie, plantarmente robusti legamenti interossei che coprono
l’intera area disponibile.
Le cinque ossa metatarsali divergono un po’ nella parte anteriore. Sono
unite alle rispettive ossa del tarso da robusti legamenti situati plantarmente.
Sono connesse tra loro anche anteriormente da robusti legamenti interossei
inseriti sul collo di queste ossa lunghe.
Grazie a questa disposizione, la pressione sull’avampiede si distribuisce
normalmente su tutti e cinque i metatarsali, scaricando su di essi il peso del
18
corpo. Il capitello del primo metatarsale è separato dal suolo per
interposizione di una coppia di ossa sesamoidi tra i due tendini del flessore
breve dell’alluce. Ciò significa che non ci sono cinque, ma sei strutture che
trasmettono il peso del corpo dall’avampiede al pavimento. Il peso è
distribuito più o meno uniformemente su tutti e sei, quindi circa due sesti
(1/3) del peso scaricato sull’avampiede è trasmesso al suolo dal più robusto
metatarsale dell’alluce,ed un sesto per mezzo di ciascuno degli altri.
L’arco longitudinale mediale si estende dal tallone al capitello del
metatarsale dell’alluce ed ai metatarsali 2° e 3°. È composto da calcagno,
testa dell’astragalo, navicolare, ossa cuneiformi, tre ossa metatarsali
mediali che assorbono 4/6 del peso esercitato sull’avampiede.
19
Figura 1.9 Illustrazione dei tendini e legamenti in una visione plantare
Le ossa del piede sono legate saldamente tra loro dai potenti legamenti
interossei situati plantarmente (fig.1.9), ad eccezione della testa
dell’astragalo che non è legata direttamente né al calcagno né al navicolare.
Il collo dell’astragalo sta sopra la parte del calcagno che è chiamata
“sustentaculum tali”. Tale processo sporge medialmente come una mensola,
e funge da blocco. Il margine anteriore del sustentaculum è congiunto al
navicolare dal robusto legamento calcaneonavicolare plantare, o legamento
20
molla. La testa dell’astragalo poggia sulla superficie superiore di questo
legamento, superficie che è rivestita dalla cartilagine articolare. Questo
legamento svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’arco
longitudinale mediale. Nel caso che questo si danneggi o sia
congenitamente lasso, la testa dell’astragalo viene spinta tra il calcagno e il
navicolare dal peso del corpo, e l’arco potrà abbassarsi del tutto, fenomeno
patologicamente noto con il nome di “piede piatto”.
L’arco longitudinale laterale invece è compreso tra il tallone e i capitelli dei
metatarsali 4° e 5°. È formato da calcagno, cuboide e queste due ossa
metatarsali. Quando è soggetta all’azione della forza peso, la base del 5°
metatarsale può sfiorare il suolo.
Il calcagno è sede di molti legamenti: degno di nota è il legamento
biforcato, il cui tronco è inserito sul calcagno e le cui braccia vanno in
avanti, divaricate, per inserirsi sul navicolare e sul cuboide. Sulla superficie
plantare, il calcagno e il cuboide, che fanno parte dell’arco laterale, sono
uniti dal legamento plantare breve (calcaneo-cuboidale). L’arco è sostenuto
anche da un altro legamento, il plantare lungo, posto superficialmente al
plantare breve. Nella parte posteriore è inserito su una vasta superficie del
calcagno, e in quella anteriore è inserito sul cuboide e sulle basi delle ossa
metatarsali, specialmente dalla parte laterale del piede.
Questi legamenti svolgono l’azione di contrastare la tendenza degli archi
longitudinali ad allungarsi e appiattirsi sotto l’azione del peso corporeo.
Questa tendenza è contrastata anche dall’aponevrosi plantare (illustrata in
seguito) che s’inserisce sul calcagno e su una vasta area dell’avampiede,
21
compresa la base delle dita. Poiché occupa una posizione decisamente
superficiale, ha un miglior effetto di leva rispetto ai legamenti plantari
lungo e breve. Anche i muscoli intrinseci ed estrinseci disposti
longitudinalmente lungo la pianta del piede e capaci di forti contrazioni
svolgono un’azione, in questo caso attiva, di contrasto all’appiattimento
dell’arco.
I muscoli peronieri (breve e lungo) e il tibiale posteriore inviano robusti
tendini che dalla loggia posteriore della gamba si inseriscono sul piede
rispettivamente al lato esterno ed al lato interno della caviglia, passando
sotto i rispettivi malleoli (fig.1.10). La loro funzione è di stabilizzazione e
flessione plantare del piede durante il cammino, la corsa ed il salto. Altro
tendine degno di nota è quello d’Achille:
è il robusto tendine che si
inserisce sul calcagno originando dai muscoli della loggia posteriore della
gamba; esso ha il compito di trasmettere la forza originata da tali muscoli
allo scheletro ed è implicato costantemente durante la deambulazione, la
corsa ed il salto. Per diminuire l’attrito durante il movimento, esistono delle
strutture che si interpongono tra osso e tendine chiamate “borse”.
22
Figura 1.10 Illustrazione dei tendini visibili lateralmente nel piede
In condizioni statiche il sostegno degli archi dipende esclusivamente dai
legamenti. In condizioni dinamiche invece, il piede sopporta un
considerevole aumento della tensione che chiama in causa l’azione dei
muscoli.
1.2.2.Struttura muscolare
I muscoli del piede sono, come nella mano, molto numerosi. Questi
molteplici “motori” sono gli effettori di due tipi di azioni: quelle inviate
direttamente dal cervello (ad esempio responsabili dei movimenti propri
dell’atto del camminare) e quelle reattive ai segnali ricevuti dalle
terminazioni nervose della pianta del piede, che compiono innumerevoli
piccole stabilizzazioni dell’impalcatura su cui grava tutto il peso del corpo.
Patologie in cui questo controllo retroattivo non funzioni adeguatamente
23
(come la neuropatia diabetica), compromettono pesantemente, se non
completamente la funzionalità del piede e la sua struttura.
In questa sede non si ritiene opportuno fornirne una esaustiva descrizione
anatomica, preferendone una più agile di carattere funzionale. Da un punto
di vista istologico, si nota innanzitutto che i muscoli del piede sono
costituiti per la maggior parte da fibre rosse. Le contrazioni di tali fibre, in
antitesi con quelle relative alle fibre bianche, sono lente, a metabolismo
anaerobico e a basso costo energetico. I fusi muscolari sono i recettori della
stimolazione ambientale,
mentre
le
fibre
extra-fusali
fungono
da
effettori, essendo connesse alle formazioni legamentose. Nel meccanismo
antigravitario, l’intervento dei muscoli è limitato ad un’azione di controllo,
che si svolge in genere decelerando il movimento e svolgendo un’azione
stabilizzatrice della parti in gioco. L’economicità dell’azione muscolare a
livello del piede è determinata da diversi fattori: in primo luogo la
contrazione muscolare è favorita dal fatto che il muscolo si trova disteso
per azione della gravità, spesso, inoltre, un muscolo controlla due o
più
articolazioni
(muscoli poliarticolari). In letteratura, già dagli anni
’70, si vedono registrati potenziali inferiori a quelli propri della contrazione
tetanica (attività muscolare acceleratrice). I movimenti del piede sono
attuati sia da muscoli intrinseci (cioè situati completamente nel piede) che
da muscoli estrinseci (che hanno cioè origine nella gamba). Questi ultimi
esercitano la loro azione sui tendini che s’inseriscono sulle ossa del piede:
sono
responsabili
della
dorsoflessione,
della
flessione
plantare,
dell’inversione e dell’eversione del piede. Quelli intrinseci sono invece
24
responsabili della flessione, estensione, abduzione e adduzione delle dita
del piede (fig.1.11).
Nella regione dorsale del piede vi è l’estensore breve delle dita, un muscolo
appiattito ed allungato che concorre all’estensione delle dita del piede, e,
per la sua obliquità corregge l’obliquità in senso contrario dei tendini
dell’estensore lungo delle dita.
Nella regione plantare del piede, i muscoli hanno una disposizione simile a
quelli della mano, con alcune differenze dovute alla mancanza di
opposizione e di capacità prensile del piede. Si raggruppano in tre masse:
Figura 1.11 Immagini dei gruppi muscolari presenti nella pianta del piede
- Gruppo mediale , che comprende tre muscoli: muscolo abduttore
25
dell’alluce, muscolo flessore breve dell’alluce, muscolo adduttore
dell’alluce.
- Gruppo laterale, costituito da tre muscoli: muscolo abduttore dell’alluce
del mignolo, muscolo flessore breve del mignolo, muscolo opponente del
mignolo
- Gruppo intermedio, formato dal muscolo flessore breve delle dita, dal
muscolo quadrato della pianta, dai muscoli lombricali, dei muscoli
interossei dorsali e dai muscoli interossei plantari. Questi ultimi sono
ricoperti dall’aponeurosi plantare e hanno principalmente la funzione di
mantenere la concavità delle arcate plantari. Il loro indebolimento porta
come conseguenza quella deformazione nota come piede piatto.
1.2.3 Meccanica delle articolazioni
La possibilità di adattamento alla superficie di appoggio e di adeguamento
nei confronti delle richieste funzionali derivano dalle molteplici libertà di
movimento delle articolazioni podaliche nel loro complesso. L’arto
inferiore possiede ben 29 gradi di libertà, a cui corrispondono le azioni di
48 muscoli diversi.
Complesso peri-astragalico:
26
Figura 1.12 Complesso astragalico, visione frontale e laterale interna
Poiché l’irrigidimento podalico è ottenuto per mezzo di rotazioni relative
dell’avampiede e del retro piede che interessano il piano frontale, a valle di
rotazioni sul piano trasverso che avvengono a livello sovrapodalico, è
intuibile che esista un dispositivo di trasmissione del moto tra i due piani
tra loro perpendicolari. Questo compito è svolto sia in sede sottoastragalica sia a livello dell’articolazione tibio-peroneo-astragalica, in
quello che è chiamato “complesso peri-astragalico” (fig.1.12).
L’astragalo (o Talo), centro nevralgico di questo sistema, è privo di
inserzioni muscolari. Le sue superfici sono fortemente cartilaginizzate, ed il
suo compito è di stabilire il rapporto tra le varie parti concorrenti (ossa
della gamba, calcagno, scafoide), per mezzo delle sollecitazioni che gli
provengono dai corpi adiacenti, unica fonte del suo moto. L’astragalo è
quindi considerabile osso del piede quando ruota con i segmenti sottoastragalici in flessione plantare ed estensione dorsale, e osso della
27
gamba quando, seguendo le strutture soprapodaliche, trasmette al piede le
rotazioni della gamba (fig.1.13).
La troclea astragalica è una superficie a forma di cono. Le facce trocleari
dei malleoli vi si accoppiano perfettamente, tanto da non consentire
spostamenti dell’astragalo sul piano frontale. Le piccole traslazioni laterali
di quest’ultimo, utili ai fini di ammortizzazione, sono dovute a altrettanto
modeste rotazioni peroneali.
La conicità della troclea fa sì che alle escursioni flesso-estensorie del
piede si accompagnino rotazioni sul piano trasverso: in particolare,
alla flessione plantare si connette una rotazione interna e all’estensione
dorsale una esterna .
Figura 1.13 Schematizzazione dei movimenti consentiti dalle atricolazioni
centrate sull’astragalo
Quando il piede è sotto carico, e soprattutto nelle fasi del passo in cui il
piede compie movimenti di flessione ed estensione rispetto alla gamba,
questo meccanismo risulta particolarmente importante. Il suo intervento
28
infatti contribuisce a potenziare la già presente intra-rotazione della
gamba in fase di flessione plantare, ed extra-rotazione in concomitanza alla
estensione dorsale. Nell’arco della fase portante l’ampiezza media della
flesso-estensione della tibio-tarsica è di 24°, e le rotazioni dell’arto nel
piano trasverso sono di un’ampiezza media di 11°.
A livello sotto-astragalico invece sono distinguibili due articolazioni: quella
tra astragalo e calcagno e l’astragalo scafoidea. La superficie concava
plantare dell’astragalo accoglie la testa del calcagno, mentre la testa
astragalica è alloggiata nella concavità dello scafoide.
L’interfaccia astragalo-calcagno è particolarmente interessante: è costituita
dal legamento interosseo che, trattandosi di una tenace formazione fibrosa,
torcendosi connette sempre più strettamente le due ossa, nel corso
dell’irrigidimento antigravitario.
Il movimento proprio della sotto-astragalica è la prono-supinazione, un
complesso movimento triplanare composto da: flessione-estensione (piano
sagittale), adduzione- abduzione (piano trasverso), inversione-eversione
(piano frontale). Questo movimento è mediamente stimato di 20° in
supinazione e 10° in pronazione. La complessità di questa articolazione si
accentua con il fatto che durante il movimento avvengono reciproci
scivolamenti dell’astragalo sul calcagno, e che quest’ultimo varia il suo
rapporto col piano di appoggio tramite rotolamento sulla superficie di
contatto. Nel corso dell’irrigidimento antigravitario, a causa di queste non
linearità, varia la collocazione spaziale dell’asse articolare, che assume
quindi carattere momentaneo, attenuandosi progressivamente la sua
29
obliquità (stimata mediamente a 16° verso l’interno rispetto al piano
sagittale) ed accentuandosi la sua elevazione (42° rispetto al piano
trasverso).
Il rapporto tra le rotazioni trasversali sovrapodali e le conseguenti rotazioni
prono- supinatorie dell’astragalo-calcaneare esprime la conformazione
articolare dei singoli soggetti. In un soggetto sano, a 1° di rotazione sul
piano trasverso, corrispondono in media 0.5° di prono-supinazione. Tramite
questo rapporto è quindi possibile interpretare quantitativamente difetti di
rilasciamento (caso del piede cavo) e di irrigidimento (caso del piede
piatto).
Il trasferimento del moto nei piani interessati avviene, come già accennato,
tramite il cono astragalo-calcaneare, a livello del quale i moti attorno
all’asse
meccanico
dell’arto (giacenti sul piano trasverso), vengono
trasmessi in piani intermedi, perpendicolari all’asse momentaneo di
rotazione, fino a manifestarsi sul piano frontale con la prono-supinazione.
Sono tuttavia da considerare sia la centralità dell’astragalo nell’indurre
torsioni della gamba quando viene sollecitato da spostamenti del calcagno
(piede che ricerca e si adatta al suolo), che la sua tendenza a trasmettere le
rotazioni delle gamba e quindi ad indurre prono-supinazioni del piede
quando vi si carica il peso del corpo (piede come leva)
30
Articolazione medio-tarsica:
A
B
Figura 1.14
Rappresentazione dell’elica podalica tramite sezioni
successive. (A) . i segmenti in rosso indicano l’inclinazione delle ossa in
ogni sezione. Si nota come a livello delle dita sia orizzontale, inclinandosi
mano a mano che ci si avvicina al retropiede, dove raggiunge la verticalità
(B).
È costituita dall’insieme delle due articolazioni astragalo-scafoidea e
calcaneo-cuboidea. È la sede di separazione tra retropiede e avampiede. In
questa sede si giocano le rotazioni relative che creano il contrasto retroavampodalico in fase di carico: il retro piede tende a verticalizzarsi sotto
l’azione dei segmenti soprapodalici, mentre l’avampiede è sollecitato
all’eversione dalla reazione del suolo, rispetto al quale si rende più
aderente. In fase di rilasciamento invece avviene l’inverso. Proprio per
questo avvolgimento, che avviene sul piano frontale, il piede può essere
assimilato ad un’”elica a passo variabile” (figura 1.14), in sede di unione a
31
1/3 posteriore e 2/3 anteriore: all’irrigidimento corrisponde l’avvolgimento
(e quindi un accorciamento del passo), al rilasciamento uno svolgimento
(che allunga il passo dell’elica).
Articolazione tarso metatarsale
In questa sede si definisce l’adattamento dell’avampiede alla superficie
d’appoggio: le sollecitazioni provenienti dalla superficie, agendo sulle teste
metatarsali, ne modificano la disposizione. Grazie alla mobilità tarsometatarsale
ed
al
suo
comportamento
a “ventaglio”, questo
meccanismo svolge anche l’azione di ammortizzazione.
Nel meccanismo di avvolgimento dell’elica podalica, la supinazione del
calcagno, attraverso il cuboide, sollecita il 4° e 5° metatarso a spingere
sulla superficie d’appoggio. Questa sollecitazione è massima per il 4°, in
quanto il 5°, con la sua tuberosità laterale, è finalizzato a stabilizzare
l’appoggio ed impedire un improponibile rollio del piede. L’avampiede fa
così perno sul 4°metatarso, che resta aderente al suolo, mentre i metatarsi
mediali, tramite le connessioni con le ossa tarsali che seguono il movimento
dell’astragalo, s’innalzano, mantenendo contatto col suolo tramite i
capitelli. Le ossa tarsali assumono così una posizione sempre più
verticalizzata, disponendosi in serie sul cuboide. Sul primo metatarso
agisce come fattore di stabilizzazione il muscolo lungo peroneo.
La seconda articolazione cuneo-metatarsale è la meno mobile della serie, ed
assume il ruolo di elemento di riferimento nei rapporti tarso-metatarsali.
Per questo motivo per asse longitudinale del piede si intende la linea
immaginaria che dal centro del calcagno arriva alla metà del capitello del
32
secondo metatarso.
Articolazioni metatarso-falangee ed interfalangee
Le articolazioni metatarso-falangee, sede di rotazioni che avvengono
sia sul piano trasverso che sagittale, avviano un meccanismo ad
“argano:
l’avvolgimento
delle digitazioni della aponeurosi plantare,
determinato dalla estensione dorsale delle dita, tende la stessa aponeurosi,
realizzando l’ultimo grado di irrigidimento podalico. Nella fase di
rilasciamento, al contrario, le dita si adagiano ed ampliano la superficie di
appoggio, distendendo l’aponeurosi.
1.2.4 Le funzioni del piede
Generalmente si tende a dare scarsa importanza al piede, considerato spesso
e semplicisticamente, come qualcosa che serve per muoversi sul terreno.
Esso invece rappresenta una delle cause più frequentemente all’origine di
quadri patologici su base posturale.
Raramente si pensa, infatti, che questo “organo” è chiamato a sopportare
notevoli
sollecitazioni,
specialmente
nello
sport,
come
brusche
accelerazioni, arresti repentini, ripetuti slittamenti, violente ricadute e
cambi di direzione.
In queste situazioni il carico di lavoro può essere elevatissimo e le
articolazioni sono costrette a sopportare forze pari a multipli del peso
corporeo. Alcuni calcoli hanno mostrato, ad esempio, che per una distanza
di 1.500 metri in un soggetto di 70 Kg, ogni piede sopporta più di 60
tonnellate durante la marcia normale, e 110 tonnellate durante la corsa a 12
33
Km/h!
L’azione “biomeccanica” del piede è quindi essenziale e consiste
nell’assorbire l’energia meccanica generata nell’impatto con il suolo,
immagazzinarne parte sotto forma di energia elastica e nel trasmettere,
nella fase di spinta, la forza generata dai muscoli: una sorta, insomma, di
ammortizzatore biologico.
Il piede, nel corso dell'evoluzione che dura da circa 350 milioni di anni, per
le esigenze sorte nell'assunzione della stazione eretta e della deambulazione
bipodale, ha acquisito, quale caratteristica umana peculiare e differenziale,
l'attitudine all'irrigidimento ovvero alla coesione intersegmentale. Tale
coesione podalica è realizzata dalle formazioni capsulo-legamentose
e aponeurotiche a cui si aggiungono le formazioni muscolari con funzioni
di "legamenti attivi" e posturali. Questi muscoli, in particolare quelli
intrinseci del piede, sono a prevalenza di fibre rosse (fibre ad attività lenta
ed energeticamente economica), in stato contrattile pressochè ininterrotto in
stazione eretta e in rapporto topografico e funzionale con le formazioni
capsulo-legamentose (in sede di inserzione ossea si osserva, in alcuni di
loro, una notevole abbondanza di fibre collagene espanse e non raccolte
come al solito; ciò ricorda le formazioni legamentose e aponeurotiche).
Anche se l'intervento muscolare globale nella realizzazione della coesione
interossea sembra comunque essere meno rilevante rispetto alla funzione di
controllo e regolazione della funzione antigravitaria, la complessità
dell'azione podalica richiede una polivalenza funzionale. Inoltre, la podo-
34
meccanica antigravitaria è cosparsa di interventi muscolari che coinvolgono
due o più aricolazioni. I muscoli poliarticolari infatti offrono particolari
vantaggi ai fini dell'economia energetica in quanto sono in grado di
sviluppare tensioni notevoli con modici accorciamenti. Tali muscoli
frequentemente agiscono stabilizzando l'articolazione prossimale favorendo
così
i
movimenti
dell'articolazione
particolare
dei
segmenti
relativa).
economia
distali
(e
quindi
la
rotazione
L'indagine elettromiografica conferma
energetica
realizzata
dai
muscoli
in
la
fase
antigravitaria: vengono infatti realizzati potenziali inferiori a quelli propri
della contrazione tetanica (caratteristica dell'attività dei muscoli a fibre
bianche o acceleratori). L'insieme delle formazioni muscolari che
interessano il piede, quali effettori nel sistema di controllo gravitario,
rappresentano le forze interne in "contrasto" con le forze esterne ovvero
ambientali.
Il piede umano quindi si evolve da una forma prensile alla forma
stabilizzatrice antigravitaria conservando la complessità della propria
muscolatura; all'afferramento prensile si sostituisce l'aggrappamento
antigravitario. Il piede è così il dispositivo di gran lunga più valido che
l'uomo possiede per il controllo dell'ambiente sottoposto alle legge di
gravità. L'informazione genetica conferisce alla struttura podalica la
modellatura di fondo. L'informazione ambientale confluisce nella genetica
che la memorizza gradualmente, nel corso delle generazioni, potenziando la
genesi delle prerogative antigravitarie. Il fattore culturale però interferisce
su
tale
sviluppo
alterando
35
l'informazione
ambientale
(creando terreni e scarpe inadeguati) causando così un ritardo evolutivo.
In biomeccanica, nessuna forza interna a un corpo, ossia che si esaurisce
nell'ambito del corpo (rappresentata dai muscoli nel caso dell'uomo), è in
grado di spostarlo nello spazio. Affinchè il corpo si muova è necessaria una
forza esterna. Le forze esterne ambientali per eccellenza sono: la gravità,
la reazione dal suolo e l'attrito. L'uomo moderno ha nei piedi i più efficaci
strumenti
per
prelevare
dalla
gravità
le
energie
necessarie
per
la locomozione. Non vi è dubbio che quella "gravitazionaria" è l'attività
senso-motrice di gran lunga più importante e il movimento che la esprime
può essere concepito come il fattore determinante al fine della vita
dell'uomo, quale essere più esposto alle "aggressioni" ambientali.
Il corpo umano è un sistema di equilibrio instabile; l'altezza del centro di
gravità (idealmente anteriore alla terza vertebra lombare) rispetto a una
base ristretta e la struttura composta da una successione di segmenti
articolati, sono fattori di instabilità. Solo un vigile controllo (sistema tonico
posturale) riesce, in tale condizione, a ricercare l'equilibrio dinamico stabile
nella stazione eretta e l'equilibrio dinamico instabile durante la
locomozione
(che
consente
la
trasformazione
dell'energia
potenziale in energia cinetica). Ciò avviene soprattutto grazie a un servizio
informativo (esterocettori cutanei e propriocettori) talmente preciso e
tempestivo
da
consentire
risposte
validissime
con
interventi
energeticamente economici (non rilevabili elettromiograficamente) da parte
di muscoli con prevalenza di fibre rosse. Si tratta della manifestazione
informativa più importante in quanto fornisce all'uomo il privilegio di
36
adattarsi alle più svariate condizioni ambientali.
Il piede è un diaframma interposto tra forze esterne (ambientali) e forze
interne (muscolari), che in esso si incontrano, si contrastano e infine si
fondono per l'affermazione della condizione di equilibrio. Il piede è una
struttura "spaziale" ossia atta ad assorbire e smistare le forze, relativamente
agli infiniti piani dello spazio.
Il piede, nel suo ruolo di "base antigravitaria", in un primo tempo prende
contatto con la superficie di appoggio adattandosi ad essa rilasciandosi,
successivamente si irrigidisce, divenendo una leva per "respingere" la
superficie stessa. Il piede deve quindi alternare la condizione di
rilasciamento con la condizione di irrigidimento. L'alternanza di lassitàrigidità
giustifica
l'analogia
con
l'elica
a
passo
variabile. Retropiede e avampiede si dispongono infatti in piani che si
intersecano in modo variabile. Nella condizione ideale, il retropiede è
disposto verticalmente e l'avampiede orizzontalmente (su una superficie di
appoggio orizzontale). A piede sotto carico la torsione tra retropiede e
avampiede si attenua nel rilassamento (il piede diviene una piattaforma
modellabile) e si accentua nell'irrigidimento (il piede diviene una leva). La
disposizione ad arco è in realtà apparente essendo espressione del grado di
avvolgimento dell'elica podalica. Il piede quindi non ha il significato di
un arco o volta reale ma apparente, che si alza durante l'avvolgimento e si
abbassa durante lo svolgimento dell'elica. L'avvolgimento dell'elica, con la
conseguente accentuazione dell'apparente disposizione ad arco, corrisponde
al suo irrigidimento. Lo svolgimento dell'elica, con conseguente
37
attenuazione
dell'arco apparente,
è il rilasciamento.
La
torsione
(avvolgimento)
dell'elica podalica
è
connessa
alla rotazione
esterna (extrarotazione) dei segmenti sovrapodalici (gamba e femore).
L'astragalo
ruotando
all'esterno
solidalmente con le ossa della
gamba, sale sul calcagno chiudendo
in tal modo l'articolazione mediotarsica; il retropiede si verticalizza.
L'avampiede aderente tenacemente al suolo reagisce alle forze torcenti
applicate
sul
retropiede;
il
piede
è
quindi
irrigidito.
Occorre tener presente che in biomeccanica sono presenti numerosi
meccanismi elicoidali in quanto, fungendo come piani inclinati, consentono
di agire con sforzi minimi su rilevanti resistenze.
Nella biomeccanica del piede il "dispositivo centrale" di controllo della
gravità è il complesso articolare peri-astragalico(retropiede) composto da:
1.
articolazione tibio-peroneo-astragalica;
2.
articolazione sotto-astragalica posteriore (astragalo-calcaneare)
3.
articolazione sotto-astragalica anteriore(astragalo-scafoidea)
38
4.
articolazione medio-tarsica o di Chopart (astragalo-scafoidea +
calcaneo-cuboidea)
L'astragalo, osso con cui non prende rapporto diretto nessun muscolo (non
presenta inserzioni muscolari), si muove a seguito delle forze trasmesse
dalle ossa adiacenti. L'astragalo è un osso del piede in quanto è
solidarizzato al calcagno e allo scafoide nelle rotazioni sul piano sagittale
(flesso-estensione) ed è osso della gamba in quanto è solidarizzato con la
tibia e al perone, tramite la pinza bimalleolare, nelle rotazioni dei segmenti
sovrapodalici
Il
movimento
sul piano
proprio
trasverso (intra-extrarotazioni).
dell'articolazione
sottoastragalica è
la prono-
supinazione (eversione-inversione) che avviene intorno all'asse noto come
"asse di compromesso". L'asse di compromesso è in realtà un asse
"momentaneo", in quanto varia la sua collocazione nello spazio durante il
passaggio dalla fasi di irrigidimento (in cui accentua la sua elevazione) a
quella di rilasciamento del piede; i valori angolari a cui si fa riferimento
vanno pertanto intesi come intermedi di un range di normalità (al di fuori
del quale si va nella disfunzione osteopatica). L'articolazione astragalocalcaneare(sotto-astragalica posteriore) è divisa in una regione anteromediale e una postero-laterale da una tenace formazione fibrosa, il
legamento interosseo, che torcendosi connette sempre più tenacemente
astragalo
e
calcagno
durante
l'irrigidimento
antigravitario.
L'articolazione medio-tarsica o di Chopart è costituita dalle due
articolazione astragalo-scafoidea e calcaneo-cuboidea. Essa è la sede di
separazione tra retropiede e avampiede nonchè il luogo dove converge il
39
contrasto retro-avampodalico durante l'elicazione del piede. Da questa
articolazione
l'azione
procede
chiamando
in
articolazioni distali ossia
causa
le
dell'avampiede.
L'avampiede assume il significato, oltre che di "adattatore" alla superficie
di appoggio (fase di rilasciamento), di "reattore" in quanto sede di
applicazione della reazione al suolo ossia della spinta propulsiva che
nell'arco dell'irrigidimento migra in direzione calcaneo-digitale; le sue
articolazioni sono:
1.
articolazione tarso-metatarsale o di Lisfranc
2.
articolazioni metatarso-falangee
3.
articolazioni falangee
L'intervento
dell'articolazione
tarso-metatarsale
o
articolazione
di
Lisfranc nella meccanica podalica determina il comportamento del
ventaglio costituito dai metatarsi. Nell'articolazione di Lisfranc si definisce
l'adattamento dell'avampiede alla superficie di appoggio, per via delle
sollecitazioni
di
quest'ultima
sulle
teste
metatarsali.
Le articolazioni metatarso-falengee, tramite la flessione dorsale delle dita,
avviano il meccanismo dell'argano nel periodo ultimo e definitivo
dell'irrigidimento
podalico
(propulsione),
durante
la deambulazione.
L'estensione dorsale delle dita tende la aponeurosi plantare realizzando il
grado estremo di irrigidimento; L'avvolgimento delle singole digitazioni
dell'aponeurosi plantare attorno al capitello del relativo metatarso realizza
una condizione meccanica simile a un argano (elica --> leva --> argano).
Nella fase di rilasciamento, al contrario, le dita si adagiano e ampliano la
40
superficie di appoggio e l'aponeurosi plantare è detesa.
Oltre alla funzione meccanica, al piede spetta un altro fondamentale
compito: quello di informare sulle sollecitazioni alle quali è sottoposto e
sulla natura del terreno sul quale viene ad operare.
L’esterocettore plantare permette di situare l’insieme della massa corporea
in rapporto all’ambiente, grazie a delle misure di pressione a livello della
superficie cutanea plantare.
Essa è ricca in recettori e possiede una soglia di sensibilità molto elevata (i
baropressori percepiscono le pressioni anche di 0,3 gr); fornisce
informazioni sulle oscillazioni dell’insieme della massa corporea e si
comporta dunque come una piattaforma stabilometrica. Le informazioni
plantari sono le uniche a derivare da un recettore fisso direttamente a
contatto con un ambiente immobile rappresentato dal suolo. Le
terminazioni nervose stimolate durante la stazione eretta e il movimento,
infatti, fanno del piede un organo
“posturale” ed uno straordinario
informatore del cervello. I nervi sensitivi trasmettono ad esso tutte le
informazioni recepite, principalmente al livello della cute, dei tendini e
delle articolazioni: sensazioni tattili, vibratorie, spaziali e traumatiche.
Grazie a queste informazioni, associate a quelle provenienti da altre fonti
quali occhi, labirinto, mandibola, il cervello formula una risposta motoria
modulata, estremamente importante, in quanto rappresenta uno degli
elementi principali di salvaguardia della integrità di tutto l’apparato
41
locomotore.
Nella stazione
eretta comoda
la linea
gravitaria (G = asse gravitario, M = asse
mecanico, A = asse anatomico, C.G.
= centro di gravità) cade ventralmente
rispetto
all'articolazione
L'articolazione sottoastragalica si
tibio-trasica
trova
in
posizione
(caviglia)
intermedia
tra pronazione e supinazione. L'articolazione medio-tarsica è disposta in
pronazione rispetto al retropiede. La serie delle teste metatarsali si adatta
alla superficie di appoggio. Si tratta in realtà di una condizione
momentanea in quanto, passando la linea gravitaria davanti all'articolazione
tibiotarsica, il peso applica su di essa momenti rotatori che sollecitano il
corpo in avanti; la migrazione ventrale della linea gravitaria è ragione di
42
accentuazione della torsione retroavampodalica (irrigidimento podalico). Il
compito della muscolatura podalica e del tricipite della sura in particolare
(gastrocnemio e soleo), in funzione antigravitria, è quello di neutralizzare
tali momenti rotatori, oltre quelli che inducono oscillazioni sul piano
frontale. La stazione eretta è infatti in realtà non un equilibrio statico ma un
"movimento
su
base
stazionaria"
(equilibrio
dinamico stabile);
le
oscillazioni, sia pure minime (verificabili tramite esame stabilometrico),
che
la
caratterizzano
circolatorie e respiratorie.
sono
I riflessi
dovute
alle
spinali assumono
attività cardioqui
un
ruolo
fondamentale. La verticalità infatti si verifica prevalentemente per mezzo di
meccanismi estero-propriocettivi(compresi
quelli visivi e vestibolari).
A differenza di tutti gli altri mammiferi quadrupedi, che stanno in piedi e
camminano in modo corretto poco tempo dopo la nascita, l'uomo deve
attendere circa 6 anni per ottenere una postura stabile (e una maturazione
degli atti di deglutizione e masticazione). A circa dodici mesi di vita si ha il
passaggio graduale al bipodalismo ma è solo all'età di 5-6 anni che si
formano e si stabilizzano le curve vertebrali (lordosi lombare e cervicale e
cifosi
dorsale)
e
ciò
avviene
grazie
alla
maturazione estero-
propriocettiva del piede (il piede è fisiologicamente piatto fino all'età di
43
circa 4 anni per poi trasformarsi gradualmente in una struttura elicoidale a
passo variabile). E' quindi il piede il responsabile delle modificazioni delle
curve vertebrali in posizione eretta (ortostatismo); la fisiologica lordosi
lombare si forma e si stabilizza a partire dalla formazione di una fisiologica
e stabile volta plantare, a 5-6 anni di età, che libera il tronco cefalico da uno
stato di ipertonicità, regolando così anche la cifosi dorsale e la lordosi
cervicale. Prima di questa età, a partire da circa 1 anno, è normale che il
piede sia un pò pronato e piatto, che le ginocchia siano un pò valghe e che
vi sia una leggera iperlordosi lombare. Mentre nel neonato e fino a circa 8
mesi, è fisiologica la presenza di ginocchia vare e piede in
supinazione. Tutti gli studi hanno confermato che la formazione delle curve
parte dal basso. Va però aggiunto che a circa 6 anni, con la comparsa dei
primi
molari, deglutizione, masticazione, equilibrio
occlusale giungono
contemporaneamente a completa maturazione. Il completamento dello
sviluppo della funzione posturale (sistema tonico posturale) avviene
abitualmente verso gli undici anni e resta poi stabile sino a circa 65 anni
(contemporaneamente alla stabilizzazione della funzione visiva sensoriale e
motoria). La formazione e l'accrescimento del sistema muscolo-fascialescheletrico e del piano occlusale sono il risultato della complessa e
personale azione antigravitazionale dell'individuo. Il piede, assieme
alla lingua (per quanto riguarda le ossa del cranio), rappresenta un
conformatore organo-funzionale di primaria importanza.
La deambulazione (marcia
o
44
cammino) bipodale dell'uomo è condizionata dal sollevamento del centro di
gravità e dalla esiguità della base di appoggio, rispetto al quadrupedismo. E'
un atto complesso risultante dalle interazioni fra forza interne ed esterne
dirette da un mirabile sistema di controllo posturale e dell'equilibrio, che
regola attimo per attimo, tramite i muscoli, i rapporti fra le forze. La
maggior parte dei gruppi muscolari degli arti inferiori sono attivi durante la
deambulazione (l'arto inferiore possiede ben 29 gradi di libertà di
movimento
a
cui
corrispondono
48
muscoli).
La locomozione umana è una combinazione di ritmica propulsione in avanti
ed elevazione del corpo in alto. Il baricentro corporeo in deambulazione ha
un andamento sinusoidale sul piano sagittale raggiungendo il punto più
basso nell'appoggio doppio (bipodalico) e la massima altezza in appoggio
monopodalico, con un'escursione di 4-5 cm. Dal punto di vista strettamente
meccanico, la progressione del corpo nello spazio è il risultato della
combinazione di rotazioni articolari. Esattamente come i movimenti
circolari delle ruote si traducono nel movimento in avanti del veicolo,
movimenti rotatori (cerchi parziali) degli arti o di parti di essi si traducono
nel movimento in avanti di tutto il corpo. Grazie al posizionamento alto
del baricentro corporeo, l'accelerazione del nostro corpo è sostanzialmente
di genesi gravitaria (energia potenziale che si trasforma in energia cinetica).
Solo in misura modesta entrano in gioco contrazioni muscolari acceleranti
ed è questa la ragione del fatto che l'uomo può protrarre il suo cammino
molto a lungo. Si può infatti affermare che nella deambulazione il lavoro
muscolare è richiesto solo nella risalita periodica del centro di gravità.
45
Il ciclo della deambulazione è compreso fra i due appoggi calcaneari dello
stesso piede ed è costituito da una fase portante (60% dell'intero ciclo) e
una fase oscillante (40% dell'intero ciclo).
•
Fase portante (Stance phase)
A.
Appoggio calcaneare (ricezione, fase frenante / initial contact)
Al contatto del calcagno con la superficie di appoggio (ricezione), l'elica si
rilascia per consentire la lassità del piede atta ad ammortizzare il peso del
corpo e ad adattarsi alla superficie stessa. A tal fine l'arto inferiore ruota
internamente, l'astragalo, ad esso solidale, ruota quindi anch'esso
internamente supinando,
il
calcagno prona,
ruotando
esternamente.
L'assunzione del peso da parte del piede è graduale ed è massima nel
momento in cui la linea gravitaria cade nel centro della superficie podalica.
B.
Appoggio totale (contatto / midstance): Quando tutta la superficie
plantare è a contatto con la superficie, la rotazione interna dell'arto si
46
trasforma bruscamente in rotazione esterna. Ciò fa scattare il meccanismo
che ha come sede l'articolazione sotto-astragalica. Seguendo la rotazione
dell'arto, l'astragalo ruota sul piano trasverso esternamente (per ca. 12°
mediamente) pronando e risalendo al di sopra del calcagno (allontanandosi
dal legamento calcaneo-scafoideo-plantare). A sua volta il calcagno ruota
internamente, supinando attorno all'asse di compromesso: il retropiede si
verticalizza
tramite
l'avvitamento
reciproco
astragalo-calcaneare.
Il cuboide, tenacemente collegato al calcagno, migra plantarmente
assumendo
"sulle
sue
spalle"
la
serie
dei
cuneiformi.
L'avampiede si dispone in contrasto rotatorio con il retropiede per
la reazione al suolo. Si ha così l'avvolgimento dell'elica podalica e il
conseguente "inarcamento" del piede: l'articolazione medio-tarsica è
bloccata e si ha il contemporaneo passaggio del peso sul IV e V metatarso
per eversione dell'avampiede non ancora rigido. Il muscolo peroniero lungo
(lungo peroneo) richiama a contatto col suolo la testa del I metatarso
eseguendo un lavoro di stabilizzazione facendo si che il peso sia ora
distribuito su tutte le teste metatarsali (ventaglio metatarsale); il piede si
trasforma da elica in rigida "barra di leva".
C.
Appoggio
digitale
(propulsione, fase propulsiva
/
terminal
stance)
Il calcagno si solleva dal
terreno. Le dita dopo essersi
47
adattate tenacemente alla superficie di appoggio si flettono dorsalmente.
Ciò fa sì che la aponeurosi si accorci tendendosi di ca. 1 cm (le digitazioni
dell'aponeurosi plantare raggiungono le falangi basali corrispondenti,
connettendosi al periostio, nei segmenti adiacenti alle articolazioni)
innescando
il
meccanismo
dell'argano che
completa
la
coesione
intrapodalica.
Il centro di gravità del corpo migra ventralmente e il corpo si avvia a cadere
in avanti. L'intervento del controllo muscolare, in particolare del
muscolo tricipite surale, formato da gastrocnemio e soleo (oltre al tibiale
anteriore, tibiale posteriore, peroneo lungo e flessori dorsali) e il tempestivo
contatto
controlaterale,
esercitano
azione
da
freno.
Nella fase propulsiva le forze agenti sul piede sono pari a 3-4 volte il peso
del corpo. In situazione di corretta fisiologia il piede si comporta a elica in
modo tale che la proiezione a terra del baricentro corporeo resti perlopiù
centrata ossia passi lungo il proprio asse, che corrisponde all'incirca all'asse
podalico, asse passante centralmente al retropiede e al centro tra II e III
dito.
48
•
Fase oscillante (Swing phase)
La fase oscillante si verifica tra il distacco delle dita dal suolo e il
successivo l’appoggio del tallone dello stesso piede. Essa rappresenta la
provvidenziale preparazione per la fase portante. La rotazione interna
dell'arto, attorno all'asse meccanico, che inizia in questa fase, è
indispensabile premessa per la successiva rotazione esterna. E' grazie a
questa alternanza di rotazioni che l'energia potenziale si trasforma nel corpo
umano in energia cinetica. Le fasi oscillanti e portanti sono pertanto legate
relativamente alla continuità della progressione. Il pendolo podalico è in
realtà un pendolo portante. Il complesso neuro-muscolare vigila su questo
reciproco
passaggio
di
consegne
stabilizzandolo,
modulandolo
e
caratterizzandolo quale espressione tipica dell'individualità.
Alla nascita sono già presenti i circuiti nervosi predisposti alla
deambulazione, essi però, al fine di consentire l'adeguato e indispensabile
sviluppo muscolo-scheletrico, sono temporaneamente inibiti dai centri
superiori. La postura quale atto volontario diviene così un fenomeno
49
maturativo e di apprendimento. Il lattante, grazie allo sviluppo muscolare
estensorio, assume la posizione assisa (seduta) e successivamente quella
eretta a 4 mesi. A circa un anno inizia la deambulazione dapprima appresa e
in seguito automatizzata. Solo a circa due anni di età, a seguito dello
sviluppo delle strutture relative, il controllo automatico è efficiente. La
maturazione finale posturale avviene a 11-12 anni (contemporaneamente
alla stabilizzazione della funzione visiva sensoriale e motoria).
E' quindi nel piano trasverso che la
moderna
biomeccanica
individuato
l'elemento
prioritario
nella
statica
ha
spaziale
e
nella
dinamica dell'uomo. Difatti è dalla
rotazione
nel piano
trasverso che
scatta il meccanismo antigravitario, il quale consente la migrazione
del baricentro verso l'alto. L'altezza del baricentro carica il sistema
di energia potenziale, ovvero di instabilità che però, come abbiamo detto, si
trasforma in indispensabile energia cinetica nella dinamica, consentendo
così la progressione nello spazio con un modesto consumo di energia
muscolare.
Relativamente all'arto inferiore, le articolazioni in cui si compie il
movimento nel piano trasverso sono, a catena cinetica chiusa, la
coxofemorale (articolazione dell'anca) e la sottoastragalica. In particolare,
l'articolazione coxofemorale e l'articolazione astragalo-scafoidea sono
analogamente strutturate e corrispondentemente disposte. I movimenti
50
essenziali nella meccanica antigravitaria dell'anca sono l'estensione e la
concomitante rotazione esterna e viceversa (flessione-intrarotazione). Nel
trasferimento dalla flessione all'estensione quindi il femore ruota verso
l'esterno
riflettendosi
nel
meccanismo
di rilasciamento-irrigidimento
podalico. E' questa quindi una condizione anatomo-funzionale che
favorisce
la
nostra
antigravitarietà.
E' ancora da chiarire con precisione il ruolo delle masse muscolari nella
stabilizzazione dell'arto inferiore nel piano trasverso. Si ritiene che i
muscoli chiamati in causa siano gli adduttori dell'anca, i flessori del
ginocchio, lo psoas, il piccolo e medio gluteo, ma il muscolo determinante
sembra essere il grande gluteo (estensore, abduttore ed extrarotatore
dell'anca). Il grande gluteo è considerato il più potente stabilizzatore
dell'anca nel piano trasverso. La sua attività di estensore contribuisce
validamente al mantenimento del centro di gravità (o baricentro) al di sopra
dei centri di rotazione delle anche. La sua prevalente attività stabilizzatrice
esplica una funzione essenziale nella deambulazione e la sua azione si
estende all'articolazione del ginocchio tramite il tratto ileo tibiale.
L'analisi delle caratteristiche morfologiche e funzionali dell'arto inferiore
relativamente al piano trasverso apre un grosso capitolo di disfunzione
osteopatica strutturale che contempla le anomalie di rotazione femorotibiale e le ripercussioni sulla funzionalità podalica e viceversa. Si getta in
tal modo un robusto ponte che connette sempre più il piede ai segmenti
corporei soprastanti, in particolare, col cingolo pelvico, col cingolo
scapolo-omerale, con la cerniera cervico-occipitale fino all'articolazione
51
temporomandibolare, nel contesto della biomeccanica e della patomeccanica.
Ricapitolando…
Si definisce ciclo del cammino o “gait cycle” il periodo che intercorre tra
due appoggi successivi dello stesso arto al terreno. Si suddivide tale
intervallo in due fasi distinte.
Fase di stance, o fase d’appoggio, durante la quale il piede rimane a
contatto con il terreno. Nella normo-deambulazione occupa circa il 60% del
ciclo del passo, si accorcia sensibilmente con la corsa, riducendosi fino al
37% nella corsa veloce.
Fase di swing, o fase di trasferimento. L’arto viene portato avanti per
prepararsi all’appoggio successivo.
Le suddette fasi sono suddivise a loro volta dal punto di vista funzionale in
otto sottofasi, cinque riferite alla fase di stance e tre a quella di swing
La fase di stance è usualmente suddivisa in cinque sottofasi.
Initial contact, è una fase molto breve che va dallo 0% al 2% del ciclo del
passo. Il piede proiettato in avanti tocca il suolo con il tallone.
Loading response, coinvolge circa il 10% del ciclo del passo. Il piede si
appoggia per intero al terreno e la caviglia ha una leggera flessione dorsale
in
risposta
al
carico
sull’arto
del
peso
corporeo.
Mid stance time, si estende dal 10% al 30% del ciclo del passo. Inizia con
lo stacco del piede contro laterale (termina la fase di doppio supporto) e
52
termina quando il piede è interamente supportato dal calcagno, dalle ossa
del metatarso e dalle dita. Il ginocchio è mantenuto in estensione dalla
contrazione del quadricipite, mentre la caviglia si flette per azione del
tibiale
anteriore.
Terminal stance time, si estende dal 30% al 50% del ciclo del passo.
Termina quando l’arto contro laterale tocca il suolo. L’arto ha superato la
verticale e il corpo comincia a cadere in avanti, il ginocchio si flette
lievemente sotto il suo peso e il centro di gravità si abbassa.
Pre swing, si estende dal 50% al 60% del ciclo del passo. Termina con lo
stacco dal terreno delle dita dell’arto di interesse. E’ la fase di trasferimento
del peso. I muscoli posteriori della gamba entrano in contrazione e
producono
l’estensione
della
caviglia
e
delle
articolazioni
metatarsofalangee, fornendo una spinta verso l’alto e in avanti.
La
fase
di
swing
è
usualmente
suddivisa
in
tre
fasi.
Initial swing, si estende dal 60% al 73% del ciclo del passo. Comporta lo
spostamento in avanti dell’arto inferiore di interesse subito dopo lo stacco
conseguente alla flessione di anca, ginocchio e contemporanea leggera
dorsi-
flessione
del
piede.
Mid swing, si estende dal 73% al 87% del ciclo del passo. Coinvolge lo
spostamento dell’arto interessato da una posizione posteriore al tronco ad
una anteriore. Simultaneamente la caviglia si flette per azione del tibiale
anteriore e recupera l’estensione che aveva spinto il corpo in avanti alla fine
dell’appoggio. Terminal swing, copre l’ultimo intervallo del ciclo del
passo. Si ha la continuazione del movimento progressivo dell’arto di
53
interesse ed il completamento dell’estensione del ginocchio e della caviglia
in preparazione al successivo contatto con il suolo.
54
CAPITOLO 2
LA POSTURA E IL SISTEMA TONICO POSTURALE
La postura è essenzialmente la posizione assunta dalle varie parti del corpo
le une rispetto alle altre (sistema di coordinate egocentriche) e rispetto
all’ambiente circostante (sistema di coordinate exocentriche). Il terzo
sistema di riferimento è quello del campo gravitazionale (sistema di
coordinate geocentriche).
L’orientamento di una parte del corpo può essere descritto rispetto ad uno
di questi sistemi di riferimento a seconda del particolare contesto
comportamentale. Per esempio, la conoscenza della posizione del capo
rispetto all’ambiente è importante per stabilizzare la visione, mentre la
conoscenza della sua posizione rispetto alle altre parti del corpo lo è per il
mantenimento della postura eretta. La regolazione della postura rispetto alla
forza di gravità è naturalmente fondamentale per il mantenimento
dell’equilibrio posturale, che può essere definito come quella condizione in
cui tutte le forze che agiscono sul corpo sono bilanciate, quindi il corpo
rimane nella posizione che intende assumere (equilibrio statico) o è in
grado di eseguire il movimento che intende compiere senza perdere
l’equilibrio (equilibrio dinamico). (Kandel 2003)
E' possibile localizzare infatti, un punto in cui si può applicare una singola
forza che equivale, per intensità, al peso del corpo e che agisce
verticalmente verso l'alto, in modo da conferire al corpo equilibrio in ogni
posizione. Questo punto è detto centro di gravità o baricentro, che può
essere descritto come il punto in cui si pensa sia concentrato tutto il peso
55
del corpo.
La postura standard in stazione eretta è rappresentata dal prolungamento
della linea verticale o di gravità all’interno del piano di appoggio (data da
un poligono di forma quasi trapezoidale costituito dal profilo laterale dei
piedi e dalle due linee che costituiscono rispettivamente la parte anteriore e
posteriore dei piedi) passante sul piano sagittale e frontale (fig. 1).
Attorno alla linea di gravità il corpo è ipoteticamente in una posizione di
equilibrio che implica una distribuzione uniforme del peso del corpo ed una
posizione stabile di ogni articolazione.
FIG. 2.1
2.1 Il controllo dinamico della postura
L’Uomo non fa altro che “stare dietro” al proprio equilibrio, manifestando
la tendenza a tornare verso la propria “posizione di equilibrio”, creando
così una propria stabilità posturale (Gagey, 1988).
56
FIG. 2.2
Secondo il “modello biomeccanico del pendolo invertito” (fig. 2) l’Uomo
in situazione posturale eretta presenta movimenti oscillatori anteroposteriori.
La postura eretta può essere mantenuta anche con posizioni differenti del
corpo o di alcuni segmenti corporei, purchè il baricentro
(centro di gravità) si proietti a terra nell’area del poligono di sostentamento
(fig. 1).
57
Il controllo della postura eretta può organizzarsi in due modalità principali
che, in condizioni naturali, si integrano:
1.
Controllo dell’allineamento verticale dei segmenti corporei rispetto
alla verticale gravitaria, lungo l’asse immaginario che unisce il capo
all’area d’appoggio plantare, con rispetto della geometria corporea.
2.
Controllo della posizione del baricentro, senza rispetto della
geometria corporea.
Queste modalità corrispondono a quanto descritto da Nashner, ovvero le
strategie di caviglia e d’anca:
•
Quando il soggetto in stazione eretta viene perturbato in avanti
oppure indietro dallo spostamento della superficie di supporto nella
direzione opposta (ad esempio quando inizia a muoversi il tram),
l’attivazione muscolare origina nei muscoli dell’articolazione delle caviglie
e si irradia in sequenza verso i muscoli inferiori del tronco. Questo pattern
viene chiamato strategia di caviglia, perché corregge le oscillazioni
esercitando una torsione rispetto alla superficie di supporto e una rotazione
del corpo verso l’indietro, primariamente attorno alle articolazioni di
caviglia. La strategia usa la torsione attorno alle articolazioni della caviglia
per resistere alla forza di gravità e ruotare il corpo come una massa
relativamente rigida. La torsione attiva sulla caviglia muove il centro di
gravità in distanze relativamente lunghe verso una nuova posizione di
equilibrio. Poiché il momento di inerzia del corpo sulle caviglie è
relativamente grande, solo movimenti lenti del centro di gravità possono
58
essere eseguiti usando la strategia di caviglia.
•
Quando il soggetto è in piedi su una superficie d’appoggio più corta
della lunghezza dei piedi, o quando il centro di gravità si localizza in
prossimità dei limiti di stabilità, oppure quando la perturbazione
dell’equilibrio del soggetto è troppo ampia o veloce (ad esempio una
spinta), si attivano inizialmente i muscoli inferiori della schiena in modo da
opporsi allo spostamento del corpo. Questo pattern si chiama strategia di
bacino. Essa corregge le oscillazioni esercitando una forza contro la
superficie d’appoggio e ruotando il corpo primariamente attorno alle
articolazioni delle anche. Questa strategia usa rotazioni rapide orizzontali
attorno alle anche per generare forze transienti orizzontali. Poiché il
momento d’inerzia del tronco è piccolo rispetto al corpo, a livello pelvico la
strategia di bacino produce movimenti rapidi in avanti ed indietro del
centro di gravità. Le distanze lungo le quali può essere mosso il centro di
gravità con questa strategia sono relativamente piccole, in confronto a
quelle prodotte dalla strategia di caviglia.
L’utilizzo di una strategia piuttosto che dell’altra è funzione delle
condizioni e dei compiti posturali.
In età avanzata, in patologie del movimento o dell'equilibrio può prevalere
la strategia d'anca, ma questo è poco "economico" dal punto di vista
energetico e poco vantaggioso per l'equilibrio.
E' bene chiarire che non esiste una postura ma un numero infinito di
posture: esse corrispondono a qualsiasi "posizione in equilibrio". Per ogni
59
individuo la postura ideale è quella nella quale i segmenti corporei sono
equilibrati nella posizione di minimo impegno e massima stabilità.
2.2
La postura ideale
FIG. 2.3
Nella veduta laterale, la linea di riferimento standard rappresenta la
proiezione della linea di gravità nel piano frontale, che divide
ipoteticamente e asimmetricamente il corpo in una porzione anteriore e in
una posteriore di peso equivalente come segue:
•
parte dal trago in prossimità dei condili occipitali sino a toccare
l’apofisi odontoidea di C2, la testa si presenta eretta in posizione ben
equilibrata senza tensioni muscolari.
60
•
passa
davanti
alla
colonna
dorsale,
leggermente
convessa
posteriormente con le scapole ben allineate e appiattite contro il torace. Si
mantiene in una posizione che favorisce la funzione ottimale degli organi
della respirazione, influenzata dalla struttura della colonna lombare e del
bacino che è indice di buon allineamento dell’addome, del tronco e degli
arti inferiori.
•
incrocia la colonna lombare a livello di L3, leggermente convessa
anteriormente.
•
passa dietro le ultime vertebre lombari, davanti al sacro.
•
leggermente indietro rispetto la cavità cotiloidea con le anche né
flesse né estese. Si prende in considerazione la posizione delle spine iliache
antero-superiori che devono essere allineate sullo stesso piano orizzontale e
sul piano verticale con la sinfisi pubica.
•
segue l’asse del femore e passa davanti all’articolazione del
ginocchio (né flesso né iperesteso), della tibia e dell’articolazione tibiotarsica in avanti rispetto al malleolo esterno con la gamba perpendicolare
alla pianta del piede.
•
termina a livello dell’articolazione calcaneo-cuboidea.
Nella veduta posteriore la linea di riferimento standard rappresenta la
proiezione della linea di gravità nel piano sagittale, che divide
ipoteticamente e simmetricamente il corpo in due porzioni laterali come
segue:
61
•
passa nel piano antero-posteriore lungo la linea mediana del cranio,
dello sterno, delle apofisi spinose della colonna.
•
le spalle non sono elevate né depresse e le scapole hanno i margini
mediali paralleli ed equidistanti.
•
Proseguendo attraversa la linea mediana del bacino che rimane
orizzontale, con le spine iliache postero-superiori sullo stesso piano
trasversale.
•
le anche non sono né addotte né abdotte.
•
gli arti inferiori sono dritti senza valgismi o varismi.
•
termina a metà distanza tra i due appoggi podalici.
La statica normale può essere definita secondo questi criteri di valutazione.
Solo un 10% circa della popolazione però rientra in questi parametri, ed è
rappresentata da quei soggetti che manifestano raramente sintomatologia
dolorosa.
2.3 Le azioni muscolari
La più recente e completa classificazione suddivide i muscoli in tre
categorie: stabilizzatori locali (più profondi), stabilizzatori globali e
mobilizzatori globali (più superficiali).
•
Gli stabilizzatori locali hanno la funzione principale di mantenere
una forza minima continua in tutte le posizioni dell’ampiezza di movimento
dell’articolazione e in tutte le sue possibili direzioni. Questa attività serve a
controllare l’eccessivo movimento fisiologico e traslatorio. L’attività di
questi muscoli aumenta, in modo anticipatorio, già prima di un carico o di
62
un movimento, consentendo così di proteggere e sostenere l’articolazione.
La
loro
contrazione
non
produce
movimento:
hanno
un’attività
indipendente dalla direzione del movimento e continua durante tutto il
movimento, fornendo un input propriocettivo sulla posizione articolare e il
movimento stesso.
•
Gli stabilizzatori globali hanno la duplice funzione di generare
movimento, provvedendo al controllo eccentrico dell’escursione articolare
durante tutto il range anatomo-fisiologico, e alla decelerazione dei
movimenti con carico minimo (rotazione), particolarmente a livello del
tronco e dei cingoli. La loro attività non è continua ed è dipendente dalla
direzione del movimento.
•
I mobilizzatori globali hanno la funzione principale di produrre
ampiezza di movimento; la loro contrazione produce una variazione di
lunghezza
e
un’accelerazione
concentrica
del
movimento
(flessione/estensione); contribuiscono inoltre ad assorbire lo choc da carico.
La loro attività non è continua ed è dipendente dalla direzione del
movimento.
Lo studio sulle effettive competenze dell’attività muscolari risulta
significativo per l’impostazione di un corretto esercizio terapeutico , che
per essere veramente funzionale deve rispettare la fisiologia dei gruppi
muscolari e correggere in modo più esatto e senza compensazioni le
anomalie di tonicità e di lunghezza muscolare che il soggetto presenta.
63
2.4 Le catene muscolari
La priorità dell’uomo è essenzialmente quella di assumere e mantenere per
lungo tempo la stazione eretta nel modo più economico e confortevole
possibile.
Esaminando la posizione della linea di gravità a livello cefalico (passante
attraverso il foro occipitale e con il peso distribuito per i 2/3 in avanti e 1/3
dietro) e a livello plantare (passante per il cuboide), si nota un netto
squilibrio da cui possiamo dedurre che l’uomo in stazione eretta non è mai
in equilibrio, ma in sbilanciamento anteriore con continue oscillazioni e
aggiustamenti posturali. Occorreranno forze maggiori per perdere
l’equilibrio indietro, e lo squilibrio anteriore produrrà anche una
padronanza migliore delle instabilità laterali, rimandando le tensioni
statiche alla parte posteriore del soggetto.
Nel normotipo i muscoli anteriori e posteriori inseriti sul bacino lo
mantengono in allineamento, i muscoli addominali tirano verso l’alto e i
flessori dell’anca verso il basso. Posteriormente i muscoli dorsali tirano
verso l’alto e gli estensori dell’anca verso il basso, di conseguenza gli
addominali e gli estensori lavorano in sinergia inclinando il bacino
posteriormente, mentre i lombari e i flessori dell’anca agiscono insieme
inclinando il bacino anteriormente. Da alcuni principi della statica
apprendiamo che esiste sia un equilibrio statico, che permette di mantenere
il corpo in una posizione statica, sia un equilibrio dinamico che consente ai
segmenti corporei di raggiungere una condizione di stabilità. La difficoltà
di mantenere un buon equilibrio dipende molto dal rapporto tra l’altezza del
64
baricentro e l’ampiezza della base d’appoggio podalico.
I 2/3 della nostra muscolatura più fibrosa, resistente, più in profondità, di
forte tono, è costituita da muscoli della statica o tonici (antigravitari o
posturali) che ci garantiscono, con la loro continua contrazione, la stabilità
in stazione eretta e negli spostamenti. I muscoli della dinamica o fasici
(deputati al movimento), più superficiali e con scarsa resistenza allo sforzo,
invece, non sono indispensabili per il mantenimento della postura in
quanto, terminata la loro contrazione, ritornano nel loro stato di quiete. Per
questo motivo nei casi di deviazioni o deformazioni vertebrali una delle
cause principali è sicuramente una differenza di tensione fra i muscoli
statici e mai tra quelli dinamici.
I muscoli sono fra loro embricati, organizzati in catene muscolari ed in
relazione con il tessuto connettivale, formando un unico sistema miofasciale.
FIG. 2.4
65
Correlazione fra le diverse catene:
Catene muscolari del tronco.
•
La catena statica posteriore.
•
Le catene rette anteriori che producono la flessione.
•
Le catene rette posteriori che producono l’estensione.
•
Le catene crociate anteriori che producono le torsioni anteriori (fig.
5).
•
Le catene crociate posteriori che producono le torsioni posteriori
(fig. 7).
Queste catene muscolari del tronco sono in relazione con quelle degli arti
inferiori.
•
La catena statica continua fino alla volta plantare.
•
Le catene rette anteriori diventano catene di flessione.
•
Le catene rette posteriori diventano catene d’estensione.
•
Le catene crociate anteriori diventano catene di pronazione o di
chiusura.
•
Le catene crociate posteriori diventano catene di supinazione o di
apertura (fig. 6, fig. 7).
Tutte le catene muscolari si allacciano a livello del diaframma (L.
Busquet).
66
FIG. 2.5
FIG. 2.6
FIG. 2.7
Per riuscire a mantenere la stazione eretta per tempi prolungati, il corpo,
utilizza le soluzioni statiche più economiche.
Le catene muscolari ci permettono di programmare il movimento nel
soggetto, ma per ottenere un buon funzionamento di esse, è necessario la
presenza di unità del corpo, intesa come funzionalità globale per assicurare
il riequilibrio intorno alla linea di gravità.
Non c’è un equilibrio perfetto. La “torre umana”(Souchard) è infatti in
squilibrio anteriore: questo determina tensioni statiche alla parte posteriore
del soggetto.
2.5 La necessità e le difficoltà di una “Buona Postura”
L’assunzione di una postura corretta è una buona abitudine che contribuisce
al benessere della persona. La struttura e la funzione del corpo forniscono
tutte le potenzialità per il raggiungimento ed il mantenimento di una
67
postura appropriata.
Viceversa, l’assunzione di una postura scorretta è una cattiva abitudine, la
cui incidenza tra la popolazione è purtroppo alta. I difetti posturali hanno
origine dall’impiego non corretto delle potenzialità del corpo e non dalla
struttura e funzione di un corpo normale.
Se la postura difettosa fosse solo un problema estetico, ci si potrebbe
limitare a preoccuparsi dell’aspetto. Tuttavia, la persistenza di questi difetti
posturali può determinare l’insorgenza di disagio, dolore o invalidità, a
seconda della durata o della gravità di tali problemi.
I modelli culturali della civiltà moderna si aggiungono agli stress già a
carico delle strutture fondamentali del corpo umano, imponendo un’attività
sempre più specializzata e limitata. E’ necessario creare delle influenze che
compensino questa situazione in modo da raggiungere una funzione
ottimale nelle condizioni imposte dal nostro stile di vita.
Negli adulti, l’incidenza di difetti posturali è legata a questa tendenza verso
un modello di attività altamente specializzata o ripetitiva. La correzione di
queste condizioni dipende dalla comprensione delle influenze che ne sono
la causa e nell’attuazione di un programma di misure di prevenzione ed
informazione.
La buona postura è quindi rappresentata da un buon equilibrio muscolare e
scheletrico che protegge le strutture portanti del corpo da una lesione o da
deformità. In queste situazioni i muscoli lavorano in modo efficace e gli
organi toracici e addominali si trovano in posizione ottimale, al contrario di
68
quanto accade in una postura scorretta, dove le relazioni tra le parti del
corpo sono alterate e producono aumenti di tensione.
Possiamo sintetizzare il costrutto di postura con le parole di Kendall:
“Generalmente, la postura viene definita come la disposizione delle parti
del corpo. Una buona postura è quello stato di equilibrio muscolare e
scheletrico che protegge le strutture portanti del corpo da una lesione o da
una deformazione progressiva malgrado la posizione in cui queste strutture
lavorano od oppongono resistenza. In queste condizioni i muscoli
lavoreranno in modo più efficace. La postura è cattiva quando si ha una
relazione scorretta delle varie parti del corpo che produce un aumento di
tensione sulle strutture portanti e quando l’equilibrio del corpo sulla sua
base di appoggio è meno efficiente.”
2.6 Le anomalie podaliche come principali fattori nello squilibrio
posturale
Il piede è il punto fisso al suolo su cui grava l'intero peso del corpo. Esso si
trova alla base del sistema di controllo antigravitario (sistema posturale o di
69
equilibrio) che consente all'uomo di assumere la postura eretta e di spostarsi
nello spazio. Il piede è sia un effettore sia un ricettore ossia riceve ed
esegue dei comandi (risposta motoria), tramite i muscoli, e, nel contempo,
interagisce col resto del corpo sia attraverso il sistema miofasciale sia
fornendo
costanti
cutanei presenti
informazioni
sulla
sua
provenienti
pianta
e
dagli esterocettori
dai propriocettori dei
suoi
muscoli, tendini e articolazioni. Gli esterocettori cutanei del piede sono ad
alta sensibilità (0,3 g) e rappresentano l'interfaccia costante tra l'ambiente e
il sistema tonico posturale o dell'equilibrio. Le informazioni plantari infatti
sono le uniche a derivare da un recettore sensoriale fisso a diretto contatto
col suolo. Il riflesso plantare (flessione delle dita al graffiamento della
pianta), legato alle stimolazioni cutanee della pianta del piede, è in grado di
attivare e modulare riflessi molto complessi con funzioni posturali di
notevole importanza. Pertanto il piede è considerato il principale organo di
senso e di moto antigravitario del corpo umano, come si denota nelle
rappresentazioni
motorie
e
sensitive
dell'homunculus.
Per questo motivo il piede, nelle popolazioni dei paesi sviluppati che
vivono su un terreno poco fisiologico quale è il terreno piano, è
normalmente l'origine dello squilibrio posturale. Nello stesso tempo esso è
anche l'elemento adattativo che tampona, meglio che può, gli squilibri alti,
in genere discendennti dall'apparato stomatognatico (denti e articolazione
temporomandibolare) e/o dagli occhi e/o dal vestibolo.
Nella disfunzione
osteopatica
podomeccanica l'assimilazione piede-
elica costituisce sempre il riferimento di base ai fini di un'adeguata
70
elaborazione diagnostica e programmazione terapeutica. Nel prendere
contatto con la superficie di appoggio, infatti, il piede acquisisce il
significato di dispositivo ammortizzante, in grado di assorbire e
neutralizzare le forze e i momenti di forza applicati istantaneamente sotto
forma di urto, al fine di tutelare la propria integrità. Il piede riesce a
realizzare ciò grazie al suo svolgimento elicoidale graduale; mentre
avvolgendosi realizza l'azione antigravitaria. Si tratta di interventi che
impegnano al massimo il piede, prova ne è la frequenza delle
manifestazioni
podo-patologiche
da
ipersollecitazione
(metatarsalgia, neuroma di Morton, spina calcaneare, callosità ad esempio),
per gradi anche modesti di alterazione posturale che rendono il piede
inadatto a regolare il rapporto fra forze interne ed esterne. Quanto più è
rapido l'impatto tanto più è probabile il danno alla struttura podalica (da cui
l'inadeguatezza di attività quali la corsa o i salti prolungati nel tempo).
Rivolgendo l'attenzione alle superfici (terreni piani) e agli involucri
(scarpe) con cui il piede viene a contatto, fin dai primi passi e per tutta la
vita, spesso inadatti ma che la civiltà e la moda ci impongono (per la forma
senza riguardi per la sostanza ovvero per la salute), il rapporto fra
informazione
genetica,
rivelata
dalla
morfostruttura
originaria,
e
l'informazione ambientale, invece di un armonico incontro assume gli
aspetti di una disputa alla quale, nelle età successive, si risale attraverso i
segni lasciati nel piede e nella postura. L'insufficienza gravitaria primaria
scaturisce da anomalie dell'integrazione informativa genetica-ambientale e
si esprime usualmente come inattitudine dell'elica podalica a svolgere
71
fisiologicamente
il
suo
compito.
Il piede piatto (ritenuto fisiologico fino a circa 6 anni di età), risulta
abitualmente da una carenza di irrigidimento per difetto di rotazione dei
segmenti anteriori all'astragalo (l'elica podalica si avvolge in maniera
insufficiente) dando luogo, in successione cronologica, a cedevolezza nel
piede
infantile,
piede
valgo-piatto
nell'adolescenza
e
piede
piatto artrosico nell'adulto. Al contrario, nel piede cavo avremo un eccesso
di rotazione (pronazione) dei segmenti anteriori all'astragalo (e quindi un
difetto di rilasciamento e un'eccessiva elicatura podalica). Occorre
considerare che l’organismo reagisce di norma sul terreno piano cercando
di aggrapparsi ad esso cavizzando il piede (lo stesso motivo favorisce
l'alterazione in dita a martello o a griffe o ad artiglio). Data la comune
asimmetria posturale, si riscontrano di frequente atteggiamenti diversi dei
due piedi. La baropodometria, in statica e in deambulazione, risulta uno
strumento di estrema importanza per la corretta valutazione del piede
piatto/cavo.
Ulteriore frequente disfunzione osteopatica podalica è l'alluce valgo, che è
accompagnata da lussazione dei relativi ossi sesamoidi ed esostosi laterale
della I testa metatarsale (ricoperta da callosità per il continuo sfregamento
con la calzatura). Le cause dell'alluce valgo sono da ricercarsi nei carichi
squilibrati sul piede, in modo particolare sull'avampiede durante la fase
propulsiva del passo, a cui si aggiunge il contributo di scarpe inadeguate
(tacchi
alti,
punta
stretta)
e
della
predisposizione
genetica.
Non va trascurato il fatto che il piede è anche un organo di senso, ossia
72
porta di ingresso degli stimoli ambientali. Di conseguenza, le anomalie
strutturali del piede non solo rendono precaria la risposta motoria (ovvero
l'avvolgimento dell'elica) ma sono anche ragione di ostacolo alla ricezione
corretta della stimolazione ambientale. La ricettività dei recettori gravitari,
presenti in gran numero nei muscoli e nelle formazioni articolari
e aponeurotiche del piede, risulta alterata essendo anomali la disposizione e
la condizione circolatoria dei tessuti che li ospitano. I legamenti (legamento
deltoideo, legamento calcaneo-scafoideo plantare, legamento interosseo
ecc.) e le formazioni muscolo-tendinee(nel piede piatto ovvero nel difetto
di avvolgimento dell'elica podalica, in particolare, il tibiale posteriore, il
flessore lungo dell'alluce e il flessore lungo delle dita, essendo strutture che
controllano la pronazione), infatti, sono sollecitati da tensioni abnormi.
Come conseguenza di ciò, il circuito di controllo della gravità risulta
almeno
parzialmente
occluso.
Risulta chiaro che un appoggio non corretto può far sentire le conseguenze
a caviglia, ginocchio, anca, tutta la colonna vertebrale, fino a interessare il
posizionamento del cranio e quindi il apparato occlusale (stomatognatico).
Normalizzando la ricezione dell'informazione ambientale, ne risulterà
potenziata l'integrazione informativa genetica-ambientale favorendo così
l'iter
evolutivo.
E' evidente la fondamentale importanza della posturologia e di plantari.
calzature e pavimenti ergonomici quale supporti idonei a prevenire e
correggere le anomalie dell'appoggio plantare e quindi posturali.
Il 90% degli individui infatti, presenta un atteggiamento posturale viziato.
73
Si possono notare meglio questi squilibri analizzandoli nei tre piani dello
spazio:
il piano antero posteriore, il piano frontale e il piano orizzontale.
1) NEL PIANO ANTERO POSTERIORE
Sono da prendere in esame 5 parametri principali:
•
Piano scapolare
•
Piano gluteo
•
Freccia cervicale (da 6 a 8 cm dal piano posteriore)
•
Freccia lombare (da 4 a 6 cm dal piano posteriore)
•
Distanza occipite/piano posteriore (non più di 2 dita trasverse)
FIG. 2.9
Solo la figura A è considerata normale; mentre quattro sono considerati gli
squilibri statici principali:
74
a)
piano scapolare e glutei allineati con aumento frecce
b)
piano scapolare posteriore
c)
piano scapolare anteriore
d)
piano scapolare e glutei allineati con diminuzione delle frecce
In associazione con le anomalie podaliche:
a)
L’aumento delle curve (B) è il compenso dei piedi valghi
b)
La diminuzione delle curve (E) è il compenso dei piedi vari
c)
Il piano scapolare posteriore (C) è il riflesso dei piedi piatti
d)
Il dorso piatto, piano scapolare anteriore (D) è quello dei piedi a
doppia componente
2) NEL PIANO FRONTALE
Si noteranno più facilmente squilibri a livello dei cingoli scapolare e
pelvico.
Generalmente il disequilibrio del cingolo scapolare nel destrimane risulta
con un’inclinazione verso l’alto dalla parte sinistra, mentre nel mancino
avviene l’esatto contrario (fig. 14).
Inoltre, solitamente, un’anomalia podalica causativa provoca uno squilibrio
del bacino inverso a quello delle spalle.
75
FIG. 2.10
3) NEL PIANO ORIZZONTALE
Si notano rotazioni delle spalle e del bacino con tensioni in rotazione o in
torsione. Si parla quindi di:
•
ileo anteriore o posteriore
•
scapola anteriore o posteriore
La lateralità del cingolo scapolare è fortemente influenzato dalla lateralità
(fig. 15), mentre per ciò che concerne le rotazioni di bacino, esse possono
presentarsi nello stesso senso di quelle delle spalle o in senso opposto (fig.
16).
FIG. 2.11
FIG. 2.12
2.7 Le alterazioni nel piede e le conseguenze posturali
76
Una deformazione o un’asimmetria qualsiasi si ripercuoterà sempre a monte
e come conseguenza ci sarà un adattamento del sistema posturale. Il piede è
il punto d’unione tra uno squilibrio d’origine alta e il suolo: esso si adatterà
sempre per riarmonizzare l’appoggio come tampone terminale del sistema
posturale.
Nell’ambito delle problematiche posturali, il piede può presentarsi in tre
modi diversi:
•
come elemento causativo: quando è responsabile dello squilibrio
posturale che provoca la sua disfunzione osteopatica.
•
come elemento adattativo: quando tampona uno squilibrio che viene
dall’alto (generalmente dagli occhi e dai denti); in un primo tempo
l’adattamento è reversibile poi si fissa, alimentando lo squilibrio posturale
sottostante.
•
come elemento misto: quando presenta contemporaneamente un
versante adattativo e un versante causativo.
Tra le anomalie podaliche più frequenti troviamo il piede piatto valgo, il
piede cavo varo e il piede a “doppia componente”:
2.7.1 Il piede piatto valgo
E’ caratterizzato da un indebolimento, da un cedimento e da una caduta
dell’arco plantare interno, provocati essenzialmente da una lassità
legamentosa anomala.
Si associa a valgo calcaneare, ad una rotazione interna della gamba e della
77
coscia, ad un’apertura del bacino, ad un antiversione iliaca e ad un aumento
delle curve fisiologiche del rachide.
Si presenterà quindi un accorciamento delle catene muscolari posteriori e il
rilasciamento di quelle anteriori. Questo tipo di piede sarà accompagnato,
come detto, da una iperlordosi lombare e da una ipercifosi dorsale: quindi,
più il piede sarà piatto e più il piano scapolare tenderà a posteriorizzarsi.
FIG. 2.13
2.7.2 Il piede cavo varo
È caratterizzato da un talo varo con caduta astragalo-calcaneare esterna, che
provoca una rotazione esterna degli assi tibiale e femorale, con tendenza al
ginocchio varo e iperpressione rotulea. Si associa a varo calcaneare, ad una
rotazione esterna della gamba e della coscia e quindi del femore, ad un a
retroversione iliaca e ad una diminuzione della lordosi lombare.
78
FIG. 2.14
2.7.3 Il piede a doppia componente
Rappresenta il piede dell’uomo moderno ed è caratterizzato da uno
squilibrio del sistema posturale che si manifesta clinicamente. Nella statica
può risultare patologico oppure no, ma lo è sempre nella sua dinamica: il
piede, durante il passo, appoggia prima sul bordo esterno del tallone e cade
immediatamente in valgo.
Si associa essenzialmente a dorso piatto e ad un piano scapolare anteriore,
con una proiezione anteriore del centro di gravità.
79
FIG. 2.15
Non sempre si verifica però, simmetria nell’atteggiamento posturale dei
piedi.
E’ possibile, infatti, trovarsi di fronte ad un’asimmetria o a una disarmonia
tra i piedi di uno stesso soggetto: il primo caso si verifica quando appunto,
manca simmetria tra i due piedi, ovvero la componente di valgismo o
varismo è più accentuata da un lato rispetto all’altro; compaiono quindi
solitamente, a livello posturale, bascule e rotazioni.
Nel caso della disarmonia tra i due piedi, invece, osserviamo caratteristiche
opposte: da un lato notiamo valgismo, mentre al contro laterale è
apprezzabile varismo, o viceversa; compaiono quindi, a livello posturale,
antiflessione iliaca dal lato valgizzante e estensione dal lato varizzante.
Generalmente nei destrimani la tendenza valgizzante è a sinistra, la
tendenza varizzante è a destra, mentre nel mancino avviene il contrario.
80
CAPITOLO 3
L’ALLUCE VALGO
Il termine “alluce valgo” fu introdotto per la prima volta da Carl Hueter nel
1871 che definì altrimenti l’alluce valgo come la sublussazione della prima
articolazione metatarso-falangea associata alla deviazione in valgismo del
primo dito con conseguente sintomatologia dolorosa e limitazione della
funzionalità del piede.
Si definisce valgo l’alluce i cui assi, interfalangeo o metatarso-falangeo,
presentano un angolo aperto all’esterno superiore ai limiti considerati
fisiologici.
L’alluce valgo è una deformità dell’articolazione metatarso-falangea del
primo raggio e rappresenta una delle patologie più diffuse del piede.
La mole di letteratura sull’argomento è dispersiva e impedisce un’univoca
interpretazione e uno schematico inquadramento dell’alluce valgo. Tuttavia
ai fini espositivi ritengo utile la seguente classificazione:
a)
Interfalangeo (o distale)
b)
Metatarso-falangeo (o prossimale)
c)
Dell’infanzia
d)
Dell’adulto
L’alluce valgo è classificato come interfalangeo o metatarso-falangeo per
differenziare topograficamente il valgismo intervenuto ai due livelli
articolari dell’alluce. L’alluce valgo interfalangeo, è caratterizzato da
valgismo della falange distale sulla prossimale. Per il disassamento
81
all’esterno dei tendini a inserzione distale (flessore lungo ed estensore
proprio) si può avere secondariamente un alluce valgo metatarso-falangeo
con sovrapposizione delle due deformità.
L’alluce valgo è classificato come dell’infanzia o dell’adulto per
differenziare cronologicamente quadri intervenuti prima o dopo la pubertà
considerato che ad essa corrisponde il limite superiore dell’infanzia.
L’alluce valgo dell’infanzia è molto più raro, quasi sempre bilaterale.
Clinicamente, l’alluce è abdotto ma non è pronato a differenza di quanto
avviene nell’alluce valgo dell’adulto. Sono state formulate tre ipotesi per
spiegare l’eziologia di questa disfunzione osteopatica giovanile: la teoria
embriopatica, la teoria fetopatica e la teoria osteogenica. La teoria
embriopatica sostiene che la deformità potrebbe essere causata da
un’inserzione anomala più dorsale del capo falangeo dell’abduttore
dell’alluce e da un’ipoplasia della cresta intersesamoidea. In questo caso la
maggior potenza esercitata dal capo falangeo dell’abduttore dell’alluce
retratto, associata alla ridotta resistenza ossea opposta dalla cresta
ipoplasica, porterebbe al valgismo dell’alluce e al varismo del primo
metatarso. La teoria fetopatica fa dipendere la deformità da un viziato
atteggiamento intrauterino che porterebbe a un anomalo rapporto della
prima articolazione metatarso-falangea, determinando così un alluce valgo
primitivo. Questo sarebbe poi responsabile sia della tipica deformità a sella
della prima testa metatarsale che del varismo metatarsale causa della
deformazione a cuneo dell’epifisi prossimale del metatarso. La teoria della
lesione osteogenica attribuisce la genesi della deformità a due possibili
82
meccanismi patogenetici che potrebbero anche coesistere tra loro. Nella
prima ipotesi la lesione osteogenica provocherebbe una maggiore crescita
(enostosi) laterale, a cuneo, della cartilagine di accrescimento prossimale
del primo metatarso, determinando così il varismo del primo metatarso e il
valgismo dell’alluce. La seconda ipotesi postula la presenza di un nucleo
epifisario accessorio distale. Questa deformità verrebbe così a essere la
causa del valgismo dell’alluce e, in un secondo momento, elemento
dinamico di spinta in varo del primo metatarso. E’ difficile stabilire quale
tra queste condizioni in realtà si realizzi perché non è possibile valutare,
con la radiografia, la morfologia del nucleo di accrescimento del primo
metatarso prima dei tre anni e anche perché non sempre il quadro
radiografico corrisponde al quadro anatomo-patologico.
Il termine “alluce valgo”, senza significazione topografica o di periodo di
vita, è di comune riferimento all’alluce valgo metatarso-falangeo
dell’adulto, senza dubbio il più frequente.
Nel corso di questa tesi sarà trattato elettivamente quest’ultimo.
L’alluce valgo classico è caratterizzato da:
a)
varismo del primo metatarso (superiore a 8°)
b)
deviazione in valgo della falange prossimale del primo dito
(superiore a 14°)
c)
pronazione dell’alluce.
3.1 Classificazione
Esiste una classificazione radiografica dell’alluce valgo che lo divide in tre
83
classi di gravità crescente. I criteri radiografici che vengono presi in
considerazione sono l’angolo metatarso-falangeo (HVA) e l’angolo
intermetatarsale tra primo e secondo metatarso (IMA).
L’angolo metatarso-falangeo o angolo di valgismo dell'alluce è formato
dall'intersezione dell'asse longitudinale della falange prossimale e il primo
metatarso; un angolo di valgismo inferiore ai 15° è considerato normale.
L'angolo intermetatarsale tra il primo e il secondo metatarso è formato
dall'intersezione dell'asse longitudinale del primo e secondo metatarso; un
angolo inferiore ai 9° è da considerarsi normale.
Sulla base di queste misurazioni si pu definire:
a)
Alluce valgo lieve (HVA < 20° e IMA ≤ 13°).
b)
Alluce valgo moderato (HVA ≥ 20° e < 40° e IMA >13° e ≤20°).
c)
Alluce valgo grave (HVA ≥40° e IMA >20°).
Un secondo aspetto che deve essere considerato a fine prognostico è il
grado di artrosi dell’articolazione metatarso falangea. La classificazione
radiografica di Coughlin e Shurnas è la più utilizzata per quantificare il
grado di artrosi dell’articolazione metatarso falangea.
Vengono individuati 5 gradi di artrosi di gravità crescente:
•
Grado 0: articolazione normale.
•
Grado 1: osteoaddensamenti, riduzione dello spazio articolare
(<50%), osteofiti dorsali e leggero appiattimento della testa
metatarsale.
•
Grado
2:
riduzione
dello
spazio
articolare
(>50%),
osteoaddensamenti, osteofitosi circonferenziale, aspetto irregolare
84
dei sesamoidi
•
Grado 3: anormalità come nel grado 2 ma con una maggiore
riduzione dello spazio
•
articolare e con la presenza di cisti.
•
Grado 4: completa scomparsa dell’articolazione metatarso falangea.
Un’altra classificazione utile ai fini del trattamento distingue l’alluce valgo
come congruente o incongruente.
La congruenza della prima metatarso-falangea viene valutata tracciando le
linee che sottendono rispettivamente le superfici articolari della testa del
primo metatarsale e della base della prima falange. Secondo i criteri di
Pigott, se le linee sono parallele, l’articolazione viene definita congruente;
se sono convergenti nello spazio intermetatarsale, si definisce deviata; se
sono convergenti nella metatarso-falangea si definisce lussata (Fig. 3.1).
Un’articolazione congruente è un obiettivo chirurgico indispensabile per
giungere ad un buon risultato funzionale.
.
Fig. 3.1Congruenza
3.1
della MTF1
Vi sono poi numerosi altri angoli che possono essere calcolati nella
85
valutazione dell’alluce valgo.
Un’ultima classificazione utile a inquadrare l’alluce valgo riguarda la
posizione dei sesamoidi.
In base al rapporto tra asse del primo metatarso e sesamoide mediale si
distinguono quattro
posizioni:
•
Posizione 1: quando il sesamoide si colloca medialmente all’asse
metatarsale.
•
Posizione 2: quando il sesamoide si colloca medialmente e tangenzialmente
all’asse metatarsale.
•
Posizione 3: quando il sesamoide è attraversato dall’asse metatarsale.
•
Posizione 4: quando il sesamoide si colloca lateralmente all’asse
metatarsale.
La posizione 1 e la posizione 2 sono normali, mentre 3 e 4 sono posizioni
patologiche, determinate da una progressiva lussazione dei sesamoidi,
condizione che si associa ad alluce valgo (Fig. 3.3).
86
Fig. 3.2
Classificazione
radiografica
dei
sesamoidi.
3.2 Epidemiologia
Anche se l’alluce valgo ha attirato grande attenzione nella letteratura sia
storica che recente, numerosi autori hanno sottolineato la difficoltà di
definire con precisione la vera prevalenza di questa disfunzione osteopatica
nella popolazione. Negli Stati Uniti è stato stimato che circa lo 0.9% della
popolazione generale, indipendentemente dall’età, è affetta da alluce valgo.
In Inghilterra invece è stata riportata una prevalenza del 28,4% nella
87
popolazione adulta. Uno studio condotto da Menz e collaboratori nel 2001
mostra una prevalenza del 74% nella popolazione anziana.
La disfunzione osteopatica colpisce principalmente la popolazione
femminile e anziana ma a causa dell’elevata diffusione della disfunzione
osteopatica e del fatto che non tutti i soggetti affetti da tale disfunzione
osteopatica si sottopongono a cure mediche è difficile stimare con esattezza
la prevalenza della disfunzione osteopatica nella popolazione.
Nel 2010 in una meta-analisi pubblicata su Journal of Foot and Ankle
Research è stata fatta una revisione di 78 articoli indicizzati su Pubmed
considerati rilevanti per fare una stima della prevalenza dell’alluce valgo
nella popolazione. I risultati di questo studio mostrano che la prevalenza di
alluce valgo nella popolazione compresa tra 18 e 65 anni è del 23% ed è
maggiore di 2.3 volte nelle femmine (30%) rispetto ai maschi (13%).
Roddy E. e collaboratori nel 2008 riportano una prevalenza del 28,4% nella
popolazione compresa tra 40 e 80 anni. Anche in questo caso è stata
dimostrata una netta prevalenza nelle donne in cui la disfunzione
osteopatica è presente in circa il 38% della popolazione contro il 21% della
popolazione maschile. Inoltre è statisticamente significativo che il 21,2%
della popolazione generale femminile l’alluce valgo è bilaterale mentre solo
nel 17% è monolaterale. Nei maschi invece la prevalenza dell’alluce valgo
bilaterale è pressappoco sovrapponibile a quella monolaterale (11% contro
9.3%).
88
3.3 Eziologia e Genesi della disfunzione osteopatica
L’alluce valgo metatarso-falangeo dell’adulto riconosce cause estrinseche e
intrinseche; tra le prime ricordiamo soprattutto il ruolo delle calzature,
infatti l’incidenza di alluce valgo è maggiore in popolazioni abituate ad
indossare scarpe, rispetto a popolazioni che non le indossano e la forma
delle calzature da donna può spiegare la netta preponderanza di questa
disfunzione osteopatica nel sesso femminile. In genere, la forma della
scarpa maschile rispecchia quella del piede dell’uomo e questo non causa
compressione dell’avampiede, come invece capita nelle calzature
femminili, la cui forma non rispecchia le dimensioni del piede e sono in
media 1 o 2 cm più strette dell’avampiede. Inoltre, più aumenta l’altezza
dei tacchi, più aumenta il carico sull’avampiede spingendo l’alluce sempre
più all’interno della punta della scarpa, provocando così una deviazione
all’esterno del primo dito e all’interno del quinto. Il primo e il quinto dito
quindi spingono le dita centrali, che per mancanza di spazio si lussano
dorsalmente e si deformano. E’ stato dimostrato che l’aver portato per
lungo tempo scarpe con tacco alto in età giovanile-adulta può dare dei
problemi in età avanzata.
Tra le cause intrinseche, geneticamente determinate, invece sono state nel
tempo citate la familiarità. La morfologia della superficie articolare della
testa metatarsale ha un ruolo nello sviluppo di alluce valgo: una testa
appiattita è più stabile e resiste maggiormente alle forze deformanti, mentre
una testa arrotondata è più suscettibile allo sviluppo di alluce valgo. Il
primo metatarso varo per molti autori si sviluppa contestualmente alla
89
deformità ma in alcuni casi può essere considerato il primum movens. Il
primo metatarso breve comporta un allargamento del ventaglio metatarsale
e quindi facilita lo sviluppo di alluce valgo. Il piede egizio, cioè quel piede
in cui l’alluce è più lungo del secondo dito, sembra essere maggiormente
soggetto a sviluppare valgismo dell’alluce.
Il piede in “cavismo” presenta una più spiccata pronazione del I metatarso
mentre, poiché è di solito un piede più rigido, minore è il varismo; il
contrario appare nel piede in “piattismo”, di solito associato ad avampiede
lasso.
Uno dei principali fattori predisponenti all’alluce valgo è la presenza di
avampiede addotto, cioè quel piede in cui l’asse longitudinale del
retropiede forma con l’asse longitudinale del secondo metatarso un angolo
superiore a 15°. Secondo Dragonetti, Root e collaboratori l’anomala
pronazione della sottoastragalica, tipica di deformità come il piede piatto e
il piede cavo valgo, è la causa principale dell’insorgenza di alluce valgo;
l’ipermobilità della prima articolazione cuneo-metatarsale o l’orientamento
obliquo di tale articolazione per un incremento dell’angolo metatarsale
predispongono all’alluce valgo.
Inoltre hanno un’incidenza significativa tutte le anomalie torsionali
dell’arto. Ad esempio l’extrarotazione tibiale comporta un compenso in
varo del I metatarso poiché questo si traduce sul piano orizzontale in una
rotazione interna compensatoria del piede. Secondo alcuni autori anche
l’antiversione
dell’anca
potrebbe
cercare
compenso
nel
valgismo
dell’alluce; lo specifico assetto torsionale dell’arto inferiore della donna,
90
condizionato anche da diverso assetto del bacino e del rachide può
giustificare, forse al di là di altri fattori variamente invocati, la maggior
incidenza di alluce valgo nel sesso femminile.
Vengono definiti come secondari gli alluci valghi insorti successivamente a
disfunzione osteopatica di altre dita, o ad altra disfunzione osteopatica
dell’avampiede o sovrasegmentaria. Più propriamente dovrebbero essere
definiti “valgismi dell’alluce”.
Patologie neuromuscolari (paralisi muscolari, contratture, spasticità)
possono provocare la comparsa di alluce valgo determinando l’anomala
pronazione del piede così come le malattie genetiche dei tessuti
mesenchimali (Sindrome di Marfan, la malattia di Ehlers-Danlos, la lassità
legamentosa generalizzata, la sindrome di Down); in queste condizioni un
ruolo
fondamentale
è
svolto
dalla
lassità
legamentosa
e
dalla
compromissione delle strutture capsulari.
I traumi possono essere causa di alluce valgo secondario come esito di
fratture.
Per quanto riguarda le patologie di altre dita, la deviazione in valgo
dell’alluce può intervenire secondariamente a deformità a martello del 2°
dito o a una sua griffe congenita o acquisita (2° dito lungo in un piede
“greco”): in entrambi i casi il dito tende a portarsi spontaneamente
sovraddotto e l’alluce tende a disporsi al di sotto di esso avviando una
secondaria deformità in valgo. Analogo processo si può sviluppare come
complicanza nell’amputazione del II dito di cui l’alluce va a occupare il
vuoto residuo.
91
A distanza dalla formazione di un valgismo dell’alluce, post traumatico o
ex vacuum, si sviluppa anche il varismo del metatarso; con la deviazione in
valgo del primo dito, la trazione del muscolo adduttore dell'alluce provoca
una deviazione laterale della base della falange prossimale sulla testa del
metatarso, che spinge il primo metatarso in varo. La capsula mediale
s’indebolisce e le strutture laterali si retraggono. Il legamento metatarsale
trasverso ancora i sesamoidi al secondo metatarso e per questo i sesamoidi
rimangono in posizione durante i movimenti mediali della testa del primo
metatarso, appiattendo la cresta. Il risultato è un’alterazione meccanica
della
prima
articolazione
metatarso-falangea,
con
formazione
di
un’eminenza mediale prominente, sublussazione laterale della base della
falange prossimale, dissociazione del complesso metatarsosesamoidi,
pronazione dell’alluce e aumento dell’angolo compreso fra il primo e il
secondo metatarso.
3.4 Anatomia disfunzionale
L’anatomia disfunzionale dell’alluce valgo fa riferimento a lesioni
scheletriche, articolari e delle parti molli (tendini, legamenti, capsula, cute e
sottocute) alle quali si possono aggiungere lesioni associate alle altre dita.
Le lesioni scheletriche sono rappresentate dall’esostosi e dalla deviazione,
assiale e rotatoria, del 1° metatarso e della falange basale dell’alluce.
L’esostosi è sviluppata alla faccia mediale del 1° metatarso, in
corrispondenza
dell’inserzione
del
legamento
laterale
interno
dell’articolazione metatarso-falangea, come rilievo più o meno voluminoso
92
costituito da osso rimaneggiato talora comprendente formazioni geodiche
ripiene di tessuto fibro-adiposo che possono essere coperte da neocartilagine irregolare. La prominenza mediale della testa metatarsale, oltre
che dal tessuto esostosico, è anche dovuta all’ipertrofia della parte mediale
della testa che non è più coperta da parte della falange basale dell’alluce,
sublussata lateralmente; un solco ben evidente, che chirurgicamente
rappresenta il limite della buniectomia, la separa dal versante cartilagineo
cefalico del 1° metatarso. La falange basale dell’alluce, pronata e valga,
rispecchia il quadro clinico, come il varismo del 1° metatarso rispecchia il
quadro radiografico.
I sesamoidi sono disposti lateralmente alla testa del 1° metatarso, talora il
laterale è interposto nello spazio tra 1° e 2° metatarso. E’ la cosiddetta
“lussazione dei sesamoidi”: in effetti non sono i sesamoidi a muoversi, ma
è la testa metatarsale che ha perso il rapporto di congruenza dislocandosi in
varo e la migrazione intermetatarsale del sesamoide laterale è da
considerarsi “ex vacuo”. Secondaria è la retrazione delle strutture di
stabilizzazione del sesamoide laterale; la lisi di questo dal collo del
metatarso è pertanto tempo chirurgico indispensabile al recupero dei
normali rapporti metatarso-sesamoidei. Inferiormente al condilo interno
della testa del 1° metatarso e sulle superfici articolari sesamoidee è
possibile mettere in evidenza alterazioni degenerative ed usura della
cartilagine di rivestimento.
Le superfici articolari metatarso-falangee con il tempo sviluppano gravi
lesioni degenerativo-strutturali. Anche se il quadro anatomo-patologico
93
delle lesioni scheletriche tende nel tempo ad aggravarsi, evolvendo di solito
nel volgere di anni, talora può
manifestare un brusco peggioramento,
espressione di disfunzione osteopatica degenerativa capsulo-legamentosa o
di insufficienza muscolare (peroneo lungo).
Le lesioni osteoarticolari si accompagnano a importanti alterazioni delle
parti molli (tendini, capsula, legamenti, cute e sottocute). Il tendine
dell’estensore proprio dell’alluce è dislocato lateralmente, disposto a corda
tra i due segmenti scheletrici in valgo e appena ancorato medialmente da
qualche bandelletta fibrosa traccia delle strutture di stabilizzazione;
parimenti i tendini che s’inseriscono sulla glena sesamoidea (adduttore,
abduttore, flessore breve dell’alluce) e il flessore lungo dell’alluce, solidale
con la glena, sono tutti disassati lateralmente. Il disassamento anatomico
all’esterno dell’apparato tendineo proprio del 1° raggio, fa in modo che i
muscoli corrispondenti diventano tutti concorrenti alla valgizzazione
dell’alluce. Questo processo rappresenta un componente fondamentale nel
circolo
vizioso
che
interviene
all’aggravamento della deformità.
L’apparato
capsulo-legamentoso
dell’articolazione
metatarso-falangea
dell’alluce è accorciato e retratto lateralmente
mentre
appare
disteso
e
assottigliato
medialmente, in particolare in corrispondenza
dell’inserzione
del
legamento
collaterale Fig.3.4
Azione dei
patogenesi
e
dell’alluce
interno.
94
muscoli
legamenti
valgo.
A livello dell’esostosi la cute, per frizione con la calzatura, si presenta
ispessita e discheratosica; una callosità è spesso presente al bordo interno
della falange distale dell’alluce per la pronazione del dito. A questo livello
può essere presente una borsite che, da semplice reazione congestizia può
acquisire
caratteristiche d’infiammazione cronica.
Spesso è presente, come lesione associata la griffe del 2° dito o dito a
martello. A livello cutaneo si osserva callosità e discheratosi in
corrispondenza dell’articolazione interfalangea e plantarmente callosità
tipiche
dell’alluce
valgo
con
sovraccarico metatarsale.
alla sua falange distale. In questi casi è quasi sempre presente sovraccarico
sulla testa del 2° metatarso con ipercheratosi e callosità in corrispondenza
della superficie plantare della testa stessa (Fig. 3.5)
Nel 2° dito in griffe la falange prossimale del dito è sublussata o lussata
dorsalmente, con retrazione dei tendini di estensore comune delle dita e
pedidio; l’apparato capsulo-tendineo metatarso-falangeo presenta un
aspetto degenerativo con sinovia ipertrofica, ispessita e grigiastra. Le
superfici articolari possono apparire degenerate e la base della falange
deformata dall’usura del suo versante articolare inferiore.
3.5 Clinica
L’alluce valgo è una disfunzione osteopatica
a evoluzione progressiva. Il quadro clinico è
caratterizzato
da
tre
componenti
che
intervengono come modificazioni assiali e
95
Fig.6
Abduzione
pronazione
e
dell’alluce,
rotatorie a livello della articolazione metatarso-falangea: abduzione e
pronazione dell’alluce e varismo del 1°
metatarso (Fig. 3.6).
Il valgismo dell’alluce, fisiologico entro i 15°, può superare i 40°-45°; in
casi estremi l’alluce è disposto trasversalmente a cavaliere delle altre dita.
La pronazione può
essere di 45° in rapporto al piano di appoggio.
Medialmente è evidente la prominenza paracefalica del 1° metatarso
sovente ricoperta da cute discheratosica e talora con formazione borsitica,
anche ulcerata. Spesso si associa un sovraccarico sulla testa dei metatarsi
laterali legati a insufficienza varismo del 1° metatarso.
Nel tempo si sviluppano deformità a carico del 2° dito, diverse in rapporto
al fatto che l’alluce venga a disporsi ventralmente o dorsalmente ad esso.
Nel primo caso (2° dito sovraddotto) la falange prossimale del 2° dito si
verticalizza mentre la media e la distale si orizzontalizzano, ponendosi su di
un piano più dorsale rispetto alle altre dita; il polpastrello riposa sul
versante laterale dell’alluce pronato. Nel secondo caso invece (2° dito
infraddotto) le falangi media e distale sono flesse ed è il polpastrello
dell’alluce che appoggia su di esse. In entrambi i casi comunque si ha nel
tempo la progressiva lussazione dorsale, presto irriducibile, del 2° dito.
Sulla base delle alterazioni morfo-strutturali sopraelencate il quadro clinico
che si delinea è dominato dal dolore e dalla deformità.
Il dolore soggettivamente riferito a livello esostosico, è di solito
inizialmente legato all’uso di calzature; successivamente può
essere
costante e talora acuto per il sovrapporsi di componente infiammatoria da
96
borsite reattiva. Talora la deambulazione è limitata e precauzionale, con
piede in supinazione.
Alla
sintomatologia
dolorosa
sulla
testa
del
1°
metatarso
può
accompagnarsi anche dolore in corrispondenza della callosità mediale alla
falange distale dell’alluce (pronazione dell’alluce), dolore all’articolazione
interfalangea prossimale del 2° dito (sovraddotto), al polpastrello di 2° dito
(infraddotto) e sulla superficie plantare delle teste dei metatarsi centrali
(sovraccarico). L’avampiede diventa più largo per la deviazione in varo del
1° metatarso e più alto per la deformità a martello del 2° dito; questo,
associato alla sintomatologia dolorosa, crea un piede che mal si adatta alle
comuni calzature in commercio.
Spesso in questi soggetti il problema estetico è ben più importante delle
manifestazioni dolorose, specialmente nelle giovani donne. Infatti, mentre
alcuni soggetti tollerano anche psicologicamente la loro deformità
adattando a essa la calzatura, molti mal sopportano di non poter utilizzare
calzature legate a un particolare tipo di vita lavorativa o sociale. Abbiamo
stimato che un’alta percentuale di donne giovani vanno incontro
all’intervento in assenza o con modesto dolore, lo scopo della chirurgia in
questi casi è esclusivamente estetico.
Trattandosi di una disfunzione
osteopatica a carattere evolutivo, è possibile suddividere l’alluce valgo in
quattro stadi clinici:
Nel primo stadio si ha una sublussazione laterale della falange prossimale
dell’alluce rispetto alla testa del primo metatarso. L’alluce valgo è
riconoscibile solo mediante radiografia. E’ asintomatico ma talvolta si
97
possono riscontrare delle lievi ipercheratosi.
Nel secondo stadio si ha l’abduzione dell’alluce visibile anche clinicamente
oltre che radiograficamente. L’alluce spinge contro il secondo dito fino a
che questo ne limita l’abduzione. Talvolta si riscontra un’unghia incarnita.
Il dolore è raro. Questo stadio segue o si sviluppa in maniera
contemporanea con il primo.
Il terzo stadio è caratterizzato da un marcato varismo del primo metatarso.
L’eminenza mediana della prima metatarso-falangea appare dolente,
arrossata e tumefatta. Compare la metatarsalgia da trasferimento dovuta al
sovraccarico delle teste metatarsali nel periodo propulsivo quando la prima
metatarso-falangea è incapace di sostenere il carico. In questa fase è
presente la sublussazione dei sesamoidi. È possibile che sia presente
mononeurite o neuropatia associata alla compressione della branca mediale
del nervo cutaneo dorso-mediale nel suo passaggio al di sopra della faccia
dorso-mediale della testa del primo metatarso (dolore e parestesie).
Infine nel quarto stadio si ha una dislocazione dell’alluce sulla prima testa
metatarsale. Il secondo dito perde tutta la sua capacità di sostegno contro
l’abduzione dell’alluce. L’alluce spinge verso il terzo dito dal momento che
il secondo si è sublussato e non oppone più resistenza. Nei casi più gravi
l’alluce si sposta al di sotto delle dita centrali o più raramente vi si
sovrappone.
3.6 Trattamento conservativo
Il trattamento conservativo ha lo scopo di diminuire la sintomatologia
98
dolorosa ma non è in grado né di correggere la deformità né di modificarne
l’evoluzione.
Il trattamento correttivo dell’alluce valgo è di tipo prettamente chirurgico.
Sono state descritte negli anni più di 150 tecniche chirurgiche ma ancora
non esiste un trattamento di scelta.
La deformità anatomica si può
correggere solo ripristinando i giusti
rapporti articolari tra le componenti ossee.
Tuttavia, si possono effettuare trattamenti preventivi o semplicemente
conservativi con lo scopo di alleviare la sintomatologia clinica o, al
massimo, di rallentare l’evoluzione di questa particolare affezione.
Generalmente, un trattamento conservativo iniziale è intrapreso in maniera
autonoma dal soggetto quando la sintomatologia interferisce con le normali
attività quotidiane. Consiste nell’utilizzo di calzature larghe, spesso aperte
sull’avampiede e dall’applicazione di cuscinetti.
Il primo approccio terapeutico comprende l’educazione del soggetto,
l’analisi della storia naturale del disordine, la valutazione del tipo di
calzatura e le eventuali terapie precedenti. Il trattamento conservativo inizia
con la prescrizione di una calzatura adatta che può alleviare i sintomi. Nel
soggetto anziano la calzatura deve essere leggera, confortevole e
stabilizzante. Altra caratteristica da tenere in considerazione è il volume,
considerando che né scarpe strette né larghe giovano alle alterazioni già
presenti. Quindi, prima dell’acquisto della calzatura, è necessario che i
piedi siano misurati, anche in prospettiva dell’inserimento di eventuali
ortesi plantari, dato che spesso i soggetti anziani tendono ad introdurle in
99
qualsiasi calzatura causando ulteriori iperpressioni. Spesso vengono
utilizzati materiali termoformabili che permettono di avvolgere il piede
deforme, evitando delle compressioni. Le cuciture sia della tomaia che della
fodera vanno realizzate in modo da impedire sfregamenti nei punti critici di
flessione del piede. L’allacciatura dovrà essere maneggevole, spesso è
realizzata in velcro per permettere una chiusura graduata, facile e veloce.
La suola deve essere costituita da materiale ammortizzante con profilo
antiscivolo, per compensare l’atrofia del pannicolo adiposo plantare dovuta
all’età. Il tacco deve essere basso e largo per favorire la distribuzione equa
del peso.
Molto utili sono i dispositivi di ortopedia correttiva, o ortesi, al fine di
svolgere una funzione protettiva della zona dolente che si vuole trattare. Le
ortesi più utilizzate sono in silicone e sono controindicate in caso di micosi
cutanee o di macerazione interdigitale. Le ortesi utilizzate nel trattamento
dell’alluce valgo si distinguono in ortesi plantari e ortesi digitali.
L’ortesi plantare è un dispositivo medico rappresentato da una soletta
ortopedica concepita con la finalità di ridurre al minimo gli squilibri
posturali e i picchi di pressione a cui il piede è soggetto durante la fase del
passo. Infatti, uno degli scopi principali del plantare nell’alluce valgo
durante la funzione del passo, è quello di assorbire l’onda di shock durante
l’impatto del tallone al suolo e quello di aiutare a stabilizzare il piede nella
fase di appoggio totale per poi distribuire e ridurre al minimo l’impatto
traumatico dell’avampiede. Anche le ortesi plantari non possono essere
standardizzate ma devono essere costruite per quello specifico soggetto. Al
100
fine di realizzare un plantare funzionale e ben tollerato devono essere
valutati una serie di fattori come l’età, le dimensioni del piede, il peso
corporeo, la sudorazione, eventuali malattie sistemiche come il diabete,
attività lavorativa e velleità sportive e infine le caratteristiche morfologiche
del piede, per esempio un piede piatto pronato necessita di ortesi
completamente differenti da quelle di un piede cavo con avampiede
addotto.
Le ortesi digitali in silicone, vengono utilizzate come dispositivo
compensatorio nei casi di alluce valgo. All’inizio rallentano l’evoluzione
dell’alluce valgo poi, quando la mobilità delle dita lo consente,
rappresentano un’ottima soluzione per riallineare le dita interessate dalla
deformità in griffe o a martello. Si dividono in protettive e correttive. Le
ortesi protettive hanno lo scopo di eliminare il conflitto con la calzatura,
con il piano d’appoggio (suola) o con le dita adiacenti. Il conflitto è dato da
un sovraccarico, cioè da una pressione eccessiva su una superficie ridotta.
Per ridurre il sovraccarico si riduce la pressione o si aumenta la superficie.
Le ortesi protettive distribuiscono la pressione su una superficie più vasta.
Le ortesi correttive hanno lo scopo di ridurre la deformità senza la pretesa
di eliminarla.
In definitiva, sebbene non ci sia evidenza scientifica a sostegno
dell’efficacia di un trattamento ortesico in caso di alluce valgo, in alcuni
soggetti questo può recare un certo sollievo dai sintomi. Inoltre nei soggetti
molto anziani, esclusi dall’indicazione chirurgica per età avanzata o per
patologie sistemiche associate, l’impiego delle ortesi resta l’unico
101
espediente in grado di alleviare anche parzialmente il dolore.
3.7 Trattamento chirurgico
Gli obiettivi principali del trattamento chirurgico sono la risoluzione del
dolore, il ripristino del bilanciamento morfologico e della funzionalità del
primo raggio e la correzione del problema estetico.
I numerosi interventi di correzione descritti in letteratura indicano che non
esiste una procedura applicabile universalmente per tutte le deformità.
La scelta della tecnica chirurgica deve dipendere dalle alterazioni
anatomiche e dalle caratteristiche del soggetto (età, stile di vita,
aspettative…).
Nonostante questo inquadramento generale del soggetto sia condiviso da
pressoché la totalità degli autori il tipo di tecnica da utilizzare nei diversi
casi è ancora molto discusso in letteratura.
3.7.1 Complicanze
Le complicanze che possono verificarsi nella chirurgia percutanea sono
sovrapponibili a quelle della chirurgia aperta.
I ritardi di consolidazione e le pseudoartrosi sono diagnosticabili
radiograficamente, per il persistere del dolore a livello dei focolai
osteotomici. In caso di ritardo di consolidazione si procede prolungando
l’utilizzo dei bendaggi contenitivi post-operatori per periodi più lunghi,
fino alla guarigione dell’osteotomia. Le pseudoartrosi possono causare
102
deformità e disturbi funzionali, come ad esempio metatarsalgia da
trasferimento, necessitando quindi d’interventi correttivi. Sono descritte
pseudoartrosi asintomatiche, in questi casi non è consigliato intervenire.
Le infezioni, superficiali o profonde, si trattano come di consueto mediante
drenaggio e antibioticoterapia mirata. Talvolta una permanenza nel
sottocute di tessuto osseo da “debris”, non adeguatamente lavato, comporta
una reazione da corpo estraneo con secrezione che pu persistere anche
alcune settimane.
Le lesioni vascolari o nervose sono rare e riguardano essenzialmente vasi e
nervi dorsali delle dita del piede e quindi non compromettono in modo
significativo né la vascolarizzazione del singolo dito né la sensibilità. La
complicanza neurologica più fastidiosa, è la comparsa di parestesie nella
regione dorso-mediale del piede dovuta a lesione del nervo cutaneo
dorsomediale che si può avere quando l’accesso percutaneo è praticato
troppo dorsalmente.
La necrosi avascolare è particolarmente rara, soprattutto se la tecnica
chirurgica viene rispettata.
L’alluce rigido è una delle complicanze più frequenti in seguito ad
osteotomie distali del 1° metatarso. Una certa diminuzione dell’escursione
articolare è spesso presente. Secondo Roots e collaboratori l’escursione
articolare in dorsiflessione dell’articolazione metatarso falangea necessaria
per effettuare in maniera fisiologica il passo è di 65°-75°. Un alluce la cui
escursione articolare scende sotto questi valori comporta delle anomalie
posturali e del passo e quindi nel breve o lungo termine complicanze per il
103
soggetto. Le cause ricercate per spiegare questa complicanza sono il
ritensionamento dei tessuti molli, la rotazione in plantarflessione della testa,
un processo d’infiammazione della sinovia e delle parti molli che può
essere causata anche dall’accumulo di detriti di osso in seguito all’azione
della fresa utilizzata per l’osteotomia.
Il sovraccarico sui metatarsi centrali è una complicanza frequente e
fastidiosa che si associa spesso agli interventi di correzione dell’alluce
valgo. È inoltre, nella maggioranza delle casistiche riportate in letteratura,
la causa più frequente di reintervento in seguito a tecnica di correzione
percutanea secondo Reverdin-Isham.
Casi di sindrome dolorosa regionale complessa sono riportati in letteratura.
104
CAPITOLO 4
SQUILIBRI ENERGETICI E PIEDE
4.1 I piedi in un approccio psicosomatico
I piedi da un punto di vista psicosomatico rappresentano il modo in cui noi
ci muoviamo nella vita e nel mondo: rappresenta il "nostro andare avanti";
sono un simbolo di venerazione in molte religioni proprio perché sono in
relazione con lo sviluppo della coscienza spirituale di una persona.
Chiaramente anche come una persona cammina ha una importanza
fondamentale: la sua andatura rappresenta proprio il mondo di sentirsi parte
dell’Universo e della Terra.
Il piede ci permette di spingere in avanti e di conseguenza di avanzare,
come pure di bloccare i nostri appoggi e, conseguentemente, di rimanere
sulle nostre posizioni. Il piede rappresenta quindi il mondo delle posizioni,
l'estremità manifesta della nostra relazione con il mondo esterno.
Simboleggia i nostri atteggiamenti e le nostre posizioni affermate
riconosciute, il nostro ruolo ufficiale. Non si mette forse il piede tra la porta
per bloccarla? Rappresenta i nostri criteri di vita, se non addirittura i nostri
ideali. Si tratta della chiave simbolica dei nostri sostegni relazionali, il che
spiega l'importanza della vita del lavacro dei piedi in tutte le tradizioni.
Esso purificava la relazione dell'uomo con il mondo, con il divino. I piedi
dei grandi maestri spirituali sono venerati, e di fatto in tal modo, si onora il
loro progresso spirituale.
105
I piedi, la camminata esprimono il modo in cui una persona avanza nella
vita. Infine sono simbolo di libertà in quanto consentono i movimento.
I piedi indicano la possibilità di ricongiungersi alle "terre interiori" è un
ritorno al grembo, a quel grembo da cui il bambino era uscito molto tempo
prima.
I piedi riassumono e sintetizzano tutto ciò che c’è nel nostro corpo: infatti,
nei piedi, si trovano tutte le terminazioni dei meridiani e, per questo, chi si
occupa di "cure energetiche" spesso lavora sui piedi. Ci sono agopuntori
che intervengono esclusivamente a livello piedi e operatori vari che
rimettono in moto le energie bloccate massaggiando e manipolando i piedi.
4.2 Il piede nella storia
Un tempo i piedi erano molto venerati; nella tradizione cristiana non
possiamo dimenticarci del Cristo che lava i piedi agli apostoli e, in questo
gesto simbolico mostra la possibilità di lavare tutte le ferite "spirituali".
L’alluce è la parte più umana del corpo umano, nel senso che nessun altro
elemento di questo corpo è così differenziato dall’elemento corrispondente
della scimmia antropoide (scimpanzé, gorilla, orangutango o gibbonet).
Questo deriva dal fatto che la scimmia è arboricola, mentre l’uomo si
sposta sulla terra senza aggrapparsi ai rami, essendo diventato lui stesso un
albero, cioè elevandosi dritto nell’aria come un albero, e tanto più bello se
la sua erezione è corretta. Così la funzione del piede umano consiste nel
dare una base ferma a questa erezione di cui l’uomo è tanto fiero (l’alluce,
cessando di essere utile alla prensione eventuale dei rami, si adatta al suolo
106
sullo stesso piano delle altre dita).
Ma qualunque sia il ruolo svolto nell’erezione dal piede, l’uomo, che ha la
testa leggera, cioè elevata verso il cielo e le cose del cielo, lo guarda come
uno sputo col pretesto che egli ha questo piede nel fango.
Benché all’interno del corpo il sangue scorra in uguale quantità dall’alto in
basso e dal basso in alto, il favore va a ciò che si eleva e la vita umana è
erroneamente considerata come una elevazione. La divisione dell’universo
in inferno sotterraneo e in cielo perfettamente puro è una concezione
indelebile, il fango e le tenebre essendo i principi del male come la luce e lo
spazio celeste sono i principi del bene: i piedi nel fango ma la testa quasi
nella luce, gli uomini immaginano ostinatamente un flusso che li
eleverebbe senza ritorno nello spazio puro.
La vita umana comporta infatti la rabbia di vedere che si tratta di un
movimento di va e vieni dall’immondo all’ideale, e dall’ideale
all’immondo, rabbia che è facile scaricare su un organo così basso come un
piede.
Il piede umano è comunemente sottomesso a supplizi grotteschi che lo
rendono deforme e rachitico.
E stupidamente destinato ai calli, ai duroni e agli occhi di pernice e, se si
tiene conto degli usi che sono ora in via di sparizione, alla sporcizia più
disgustosa: l’espressione paesana “avere le mani sporche come i piedi” che
non è più valida oggi per tutta la comunità umana lo era ancora nel XVII
secolo. Lo spavento segreto causato all’uomo dal suo piede è una delle
spiegazioni della tendenza a dissimulare il più possibile la sua lunghezza e
107
la sua forma. I talloni più o meno alti a seconda del sesso tolgono al piede
una parte del suo carattere basso e piatto. Inoltre questa inquietudine si
confonde frequentemente con l’inquietudine sessuale, e ciò colpisce in
particolare nei Cinesi che, dopo aver atrofizzato i piedi delle donne, li
collocano nel punto più lontano delle loro rimozioni. Il marito stesso non
deve vedere i piedi nudi di sua moglie e, in generale, e scorretto e immorale
guardare i piedi delle donne. I confessori cattolici, adattandosi a questa
aberrazione, chiedono ai loro penitenti cinesi “se hanno guardato i piedi
delle donne“. La medesima aberrazione si ritrova presso i Turchi (Turchi
del Volga, Turchi dell’Asia centrale) che considerano come immorale
mostrare i piedi nudi e si coricano persino con le calze.
Niente di simile può essere citato per l’Antichità classica (a parte l’uso
curioso delle altissime suole nelle tragedie). Le matrone romane più
pudiche lasciavano vedere costantemente i loro alluci nudi. Per contro, il
pudore del piede si è sviluppato eccessivamente nei tempi moderni e non è
scomparso che nel XIX secolo.
Salomon Reinach ha lungamente esposto questo sviluppo nell’articolo
intitolato “Piedi pudichi”, insistendo sul ruolo della Spagna, dove i piedi
delle donne sono stati oggetto dell’inquietudine più angosciosa e anche
causa di delitti. Il semplice fatto di lasciar vedere il piede calzato oltre
l’orlo della gonna era considerato indecente. In nessun caso era possibile
toccare i piedi di una donna, essendo questa licenza, salvo un’eccezione,
più grave di qualsiasi altra. Beninteso, il piede della regina era l’oggetto
108
della proibizione più terrificante. Cosi, secondo Mine d’Aulnov il conte di
Villamediana essendo innamorato della regina Elisabetta pensò di appiccare
un incendio per avere il piacere di portarla tra le sue braccia: tutta la casa,
che valeva centomila scudi, bruciò quasi interamente, ma egli se ne trovò
consolato allorquando approfittando di una occasione cosi favorevole prese
la sovrana tra le braccia e la portò per una piccola scala. Là le rubò alcuni
favori e, cosa che fece molto scalpore in quel paese, le toccò anche il piede.
Un paggetto lo vide, riportò la cosa al re e questi si vendica uccidendo il
conte con un colpo di pistola …”
Questo bellissimo saggio di Georges Bataille illustra come il movimento di
copertura imposto al piede lungo i secoli, abbia formalmente contribuito a
crearne il pudore. Da qui l’assunto: “Ciò che vive nascosto, va tenuto
nascosto”. Al pari della sessualità, che si pratica in abbondanza, ma di cui si
parla pochissimo (per sessualità intendiamo educazione sessuale, non
provocazione sessuale, il piede vive una vita ascosa agli occhi del mondo
nelle sue tenere scarpine di pelle, e molte persone si frenano stupite,
all’idea che si possa ristabilire l’equilibrio psicofisico comprimendo parti
del piede.
4.3 Riflessologia e MTC
Suddividendo, come sempre si fa in reflessologia, il piede in tre parti,
quindi anteriore, mediano e posteriore, avremo la possibilità di riconoscere
se vi siano carichi energetici che possono provocare disequilibrio, e dove
109
questi siano distribuiti nella nostra personale visione del mondo.
Al tallone corrispondono le radici, la base, la struttura, descrive da dove si
proviene e proprio personale bagaglio di esperienze. Alla parte mediana,
ovvero all'arco plantare, corrisponde la capacità di mediare tra il proprio
passato e il modo in cui si affronta il futuro, ovvero le occasioni che la vita
ci propone. Come intuibile, la parte anteriore del piede rappresenta il modo
di procedere nella vita, l'azione. Descrive la direzione che prendo, il modo
in cui mi comporto per raggiungere i miei obiettivi.
La parte anteriore che comprende una parte
plantare e le dita che
rappresentano l’avanzare nella vita che deve cambiare a seconda della
consapevolezza e degli ideali: per correre, saltare e camminare, bisogna
infatti appoggiare bene la parte anteriore, ma anche per dirigere la vita si
devono comunque spostare ed appoggiare i piedi.
La parte centrale o mediana del piede (Luna) rappresenta il passaggio tra
ciò che si è acquisito ( tallone = Giove) e il modo in cui si utilizzeranno le
esperienze (Nettuno = consapevolezza).
Il tallone che rappresenta il radicamento nella vita, le basi, le risorse, le
sicurezze e ciò che si è accumulato (Giove); camminare troppo sui talloni
indica un bisogno di radicamento e di appoggio. Il tallone è anche legato a
ciò che abbiamo acquisito sotto forma di esperienza dal passato.
Nel "linguaggio del corpo" proprio ai piedi vengono collegate le nostre
capacità di direzionarci; avere i piedi in fuori indica una difficoltà nello
scegliere la direzione da prendere nella vita: sono proprio i piedi a darci la
"direzione della testa" e, nel caso in cui le punte dei piedi siano rivolte
110
verso l’esterno indica una doppia anima, una lotta tra la parte.
Il dolore ai piedi è spesso collegato con l'impressione di non procedere, di
rimanere sul posto, al fatto che ci si può sentire bloccati in ciò che si
desidera fare oppure, indicano che i nostri atteggiamenti abituali, le
posizioni che assumiamo che abbiamo, mancano di affidabilità, di stabilità
o di sicurezza.
Di qualcuno che non è tranquillo, che ha paura o che non osa affermare le
sue opinioni o le sue posizioni, non diciamo forse che sta sulle spine? O più
semplicemente, di qualcuno che fa uno sbaglio danneggiando se stesso, che
si dà la zappa sui piedi?
Infine, di qualcuno che non sa quale atteggiamento prendere in una data
situazione (relazionale chiusa), non diciamo che tiene il piede in due staffe?
Le problematiche relative al piede ci riconducono ad un significato premio
di interesse se vogliamo indagare la natura dell'uomo.
I piedi piatti sono caratterizzati dall'indebolimento dell'arco plantare. I
bambini che nascono con i piedi piatti hanno spesso una mamma che non si
è sentita abbastanza sostenuta durante la gravidanza. L'esperienza personale
di chi scrive, è molto forte in questo senso.
Le persone che hanno piedi piatti hanno bisogno di acquisire fiducia il loro
stesse e nella vita per lasciare andare ciò che, per loro, rappresenta una
ancora di salvataggio, generalmente la madre per i bambini, e il padre per le
111
femminucce. Potranno allora vivere esperienze che consentiranno loro di
crescere lungo la via dell'evoluzione.
Il piede cavo è caratterizzato da un'impronta plantare che non lascia quasi
alcun segno dell'arco.
L’incavato esagerato dell'arco plantare ricorda un embrione in posizione
fetale; questo è tipico di persone che, spesso, si ripiegano su se stesse per
bisogno di sicurezza e protezione, che hanno tendenza essere sempre di
fretta, che non si concedono mai il tempo di posare i piedi per terra.
Trascinare i piedi può essere segno di timidezza, ma anche indice del fatto
che non possediamo il gusto di avanzare nella vita; camminare con i piedi
rivolti verso l'interno denota una natura che attraversa il rifiuto di crescere,
si tratta di qualcuno che vorrebbe rimanere bambini in eterno.
L'alluce valgo è una deviazione del primo osso metatarsale e dell'alluce.
Colpisce coloro che hanno difficoltà prendere il proprio posto, perché si
sentono obbligati a soddisfare i desideri e le aspettative altrui.
Tutte queste lesioni o condizioni del piede, possono suggerire al praticante,
altrettante interazioni per il miglioramento della salute psicofisica.
Per interpretare correttamente un sintomo è necessaria una visione
distaccata ed esterna, non scordiamoci, infatti, che il contenuto che esso
trasporta è già stato rifiutato dalla coscienza, altrimenti non sarebbe
112
necessario che il corpo lo manifesti. Una volta integratone completamente
il contenuto conflittuale, qualsiasi malattia è in grado di guarire, ed il corpo
ritorna
al
suo
equilibrio
abituale.
E' interessante notare che qualsiasi interpretazione data ad un soggetto e da
questi accettata di buon grado, o non è corretta o è troppo superficiale!
L'interpretazione corretta è relativa a un aspetto di sé che il soggetto non
vede, che tenderà quindi a negare più o meno aspramente qualora gli si
presenti davanti (così come tenderà ad essere particolarmente irritato da
quelle persone che lo manifestano apertamente nella propria vita:
meccanismo dello specchio).
Per riuscire a interpretare i nostri sintomi dobbiamo chiederci che cosa mi
fanno fare (che in condizioni normali non farei) e che cosa mi impediscono
di fare (che in condizioni normali farei), in questo modo troviamo la finalità
e dunque il messaggio.
Mi ammalo sempre al mio compleanno, oppure prendo il raffreddore dopo
un periodo di grande fatica al lavoro. O forse mi è venuta una malattia dopo
un lutto o un evento particolarmente stressante. Siamo sicuri che la malattia
è solo un sintomo da curare e non qualcosa di più?
Restando in ambito reflessologico l'alluce, rappresenta la testa. In un'ipotesi
di trattamento, andremo a lavorare questo binario, unitamente ai riflessi
dello stomaco, del nervo vago, del sistema parasimpatico e simpatico, oltre
che approfondire talmente il rene che è la sede dell'energia ancestrale
dell'uomo.
113
Volendo suggerire un'ipotesi a base di fiori di Bach, potremmo indicare
PIN per il senso di colpa, SCL per l'indecisione, WHC per il tormento
mentale, WIL per il risentimento.
Non bisogna inoltre scordare che anche le dita del piede veicolano un
messaggio:
•
L'alluce rappresenta la personalità dell'individuo, la capacità di
governare sul suo territorio personale.
•
Il secondo dito, rappresenta la direzione della nostra vita, l'autorità
che abbiamo nel proporci all'esterno.
•
Il terzo dito, rappresenta la sessualità, la creatività e il piacere.
•
Il quarto dito, è il campo affettivo, l'unione con ciò che amiamo.
•
Il quinto dito, rappresenta l'ascolto di se stessi, la capacità di
introspezione, l'intuizione. 1
Dalla raccolta di tutti questi dati è comprensibile come l'operatore di
reflessologia sia in grado di capire il cliente semplicemente osservando i
suoi piedi.
4.4 La lettura energetica
Nel caso di questa disfunzione osteopatica gli aspetti del Primo Chakra, che
sono la sicurezza e tutto ciò che rappresenta, come il denaro, la casa e il
lavoro, la sopravvivenza, il rapporto con la madre, sono enfatizzati dal fatto
114
che la disfunzione osteopatica riguarda l'alluce, cioè il primo dito del piede.
Nella lettura energetica dei sintomi le dita degli arti corrispondono ai primi
cinque Chakra; in questo caso, dunque, l'alluce rappresenta la sicurezza nel
campo del lavoro, della casa e del denaro. Il secondo dito del piede indica
la sicurezza nella sessualità e nel permettersi di sentire le emozioni; il terzo
è la sicurezza del potere personale o della libertà di essere se stessi; il
quarto la sicurezza nella percezione dell'amore e il quinto nell'espressione.
In questo caso si tratta di una paura che riguarda proprio gli aspetti che
dovrebbero invece rendere la persona sicura. Se poi c'è una manifestazione
della disfunzione osteopatica anche nel secondo dito del piede, il cosiddetto
"dito a martello", significa che la tensione, e quindi l'insicurezza, si estende
anche agli aspetti del Secondo Chakra, dunque nelle aree del sesso, del cibo
e delle emozioni. Dovremmo, come sempre, verificare la polarità yin-yang
e che cosa la disfunzione osteopatica impedisce di fare al soggetto per avere
un ulteriore dettaglio della lettura energetica. L'esito finale della malattia è
non permettere la deambulazione: potremmo porci domande come: "da
quale situazione il soggetto vorrebbe allontanarsi, e non lo fa per paura?"
oppure: "Perchè non si regge sulle sue gambe per quanto riguarda la
sicurezza e (se è coinvolto il secondo dito del piede) della sessualità?"
Consiglio energetico: la persona affetta da alluce valgo si sta
immobilizzando per la paura. Per ovviare a questa tensione deve
riconnettersi con la fonte primaria di sicurezza, costituita dal Primo Chakra.
Lo stato di questo centro energetico indica come lei si sente a stare sulla
Terra. Nella meditazione dei Colori, pertanto, la persona porrà particolare
115
attenzione al Colore Rosso , e all'immagine della Terra che ha sotto i piedi:
se è un terreno inospitale, arido o dove un albero non potrebbe radicarsi,
deve cambiarlo e visualizzare una terra ricca e fertile, così si sentirà nutrita
e accolta.
Un testo illuminante:
“Attendere la comparsa dei segni di una malattia per poi guarirla
è come forgiare una spada dopo aver dichiarato guerra
o cominciare a scavare un pozzo quando si ha sete.
Il grande terapeuta stronca la malattia
prima della sua apparizione,
mentre il piccolo mediconzolo si affanna a curare
i sintomi che non ha saputo prevedere“.
Huangdi Nei Jing, Libro dell’Interno, 475-221 a.C
Un approccio completo ha come obiettivo l'educazione alla salute e al
benessere dell'uomo nella sua globalità, nel suo essere corpo-mente-spirito
inscindibile, dentro il suo ambiente di vita e di relazioni.
Ogni intervento deve agire favorendo le capacità dell'organismo di reagire e
ripristinare il suo equilibrio interno, alterato dallo stress, dai ritmi di vita
frenetici, dall'alimentazione sregolata.
Secondo il medico e psicologo George W. Groddeck, la malattia è segno di
una forza vitale debole, segno che non si dà spazio all'ES, cioè alla Forza
Vitale che in ogni momento dentro di noi fa funzionare ogni cellula del
116
corpo.
La forza vitale è indebolita quando la nostra vita non segue ritmi e
dimensioni naturali, quando la mente razionale predomina e siamo
sommersi da pensieri, appuntamenti, programmi, idee fisse...
La salute è lo stato normale in cui vive e può vivere l’uomo. Ogni malattia
origina da uno squilibrio globale della persona, a livello sia fisico che
mentale o emotivo e l'intervento dell’operatore interviene a sostegno del
riequilibrio, in modo naturale, affinchè il corpo possa recuperare la sua
capacità di autoguarigione.
E’ necessaria la rieducazione a una dimensione di vita naturale in sintonia
con i propri tempi e desideri oltre il dover insegnare ad ascoltare i segnali
del corpo, ad esserne consapevoli.
Nell'approccio olistico alla malattia, per star bene sono quindi determinanti
le abitudini personali e lo stile di vita della persona, che diventa così
protagonista della propria salute e non un soggetto passivo.
4.5 La Sacralità della malattia
La malattia, dice Hamer, è un simultaneo squilibrio a livello psichico,
cerebrale e organico dovuto ad un trauma emotivo. Senza conflitto non vi è
malattia: rendersene conto è il primo passo verso la guarigione.
Se analizziamo la parola ‘malattia’ e la sezioniamo in due parti, ci
rendiamo conto che è formata dalla parola ma = madre e lat = latte.
La malattia assume, allora, significato di LATTE MATERNO, alimento
che nutre e che tiene in vita preparandoci ad affrontare l’esistenza, non solo
117
da
un
punto
di
vista
strettamente
fisico
e
materiale,
ma
contemporaneamente da un punto di vista emotivo, psichico e spirituale.
Grazie al nutrimento (latte) il neonato, per altro in modo del tutto istintivo,
cresce e si trasforma, allo stesso modo in cui grazie alla malattia tutti noi
cresciamo e ci trasformiamo.
La malattia può allora essere vista come mezzo per trasformarci e crescere,
per comprendere che qualcosa non sta procedendo nella giusta direzione,
quella che il nostro sé vorrebbe per noi.
Prima che sopraggiunga la ‘malattia’, dal profondo del cuore emergono
sensazioni di straniamento, insoddisfazione, tristezza, nervosismo, apatia,
sbalzi umorali, depressione, paura: questi sono i messaggi che potrebbero
farci cambiare rotta senza bisogno di ‘cadere’ nella rete della malattia.
Ma, spesso cerchiamo di minimizzare i segnali, o addirittura di metterli a
tacere, con anestetici di ogni natura: chimica, fisica, emotiva.
“TUTTO IL NOSTRO CORPO PENSA, QUINDI ANCHE IL
NOSTRO CUORE”
Uno dei maggiori contributi alla riunificazione della dicotomia umana in
medicina, è dovuto al lavoro e alla visione pionieristica di Candace Pert,
neurofisiologa, direttrice dell’istituto di biochimica cerebrale del NIMH –
National Institute for Mental Health - la quale ha scoperto le endorfine e un
vasto numero di neuropeptidi, le molecole che trasmettono le informazioni
nel sistema nervoso.
Ha, inoltre, evidenziato che i neuropeptidi sono i mediatori sia delle
118
informazioni che delle emozioni e sono attivi praticamente in tutte le
cellule del corpo: nel sistema nervoso, nel sangue, nel sistema immunitario
e nell’intestino. Dunque, è possibile affermare che: Ogni stato d’animo è
fedelmente riflesso da uno stato fisiologico del sistema immunitario.
Con le scoperte della Pert la concezione puramente meccanicistica del
corpo umano è stata scardinata completamente. Innanzitutto, i neuropeptidi
devono essere considerati delle ‘molecole psichiche’ in quanto non
trasmettono solo informazioni ormonali e metaboliche ma emozioni e
segnali psicofisici.
Ogni stato emotivo (gioia, ansia, paura, piacere, terrore) con le sue
moltitudini sfumature chiamate sentimenti, è veicolato nel corpo da
specifici neuropeptidi. Contrariamente alle aspettative scientifiche, questi
neuropeptidi e i loro recettori sono stati rinvenuti in ogni parte del corpo, e
non soltanto nel sistema nervoso:
L’INTERO CORPO PENSA / OGNI CELLULA, O PARTE DEL CORPO,
“SENTE”
E
PROVA
EMOZIONI,
ELABORA
LE
PROPRIE
INFORMAZIONI PSICOFISICHE e le trasmette ad ogni parte attraverso
una fittissima rete di comunicazioni di estrema varietà.
TUTTO IL CORPO È VIVO, INTELLIGENTE E COSCIENTE / OGNI
CELLULA PROVA PIACERE O DOLORE ed elabora strategie
metaboliche per il benessere collettivo.
Questo concetto può apparire sfuggente alla nostra normale comprensione e
a quella coscienza umana, così intrisa di concetti razionali, seppur
scientificamente opinabili. Ma, talvolta è facile perdersi nel bicchiere
119
d’acqua dell’ovvietà.
Le malattie ed i sintomi altro non sono che messaggi inviati dal corpo ad
una mente che si rifiuta di comprendere gli insegnamenti della vita. Quando
parla il corpo non mente mai e ciascuno di noi è in grado di comprenderne
intuitivamente il linguaggio, poiché parla con una lingua antichissima,
esistita da sempre e destinata a non morire mai: quella dei simboli.
L'interpretazione in chiave simbolica, psicosomatica, delle malattie
consente di integrarne il messaggio profondo a livello della coscienza, in
questo modo si può eliminare la vera causa di un disagio ed il corpo può
guarire. Viceversa se eliminiamo solo l'effetto di uno squilibrio interiore,
cioè il sintomo, questo è destinato a ripresentarsi nello stesso organo o in
un altro situato più in profondità (vicariazione regressiva).
4.6 La Resilienza e la malattia
La malattia nella visione olistica è la manifestazione di un disequilibrio. Sta
di fatto che questa manifestazione crea un'anomalia che a sua volta innesca
una reazione. È nella qualità di quella reazione che si entra nella
dimensione della resilienza.
Introspezione, indipendenza, interazione, iniziativa, disposizione di spirito
sono tutte componenti di quel concetto più grande che è la resilienza.
Introspezione come inshight, capacità
di autopercepirsi,
porsi
domande e farlo con una certa sincerità verso se stessi.
Indipendenza invece intesa come distacco, abilità di creare un sano
distacco tra quel che accade e il mondo emozionale e fisico che abitiamo.
120
L'interazione è l'abilità di creare energie, sinergie, connettere, costruire
ponti tra umani, connettersi in modo soddisfacente.
L’iniziativa è l'abilità di far fronte ai problemi, reagire non in modo
impulsivo ma ponderato, stando in quell'ambiente di pace interiore che è
dato solo da un allenamento alla calma della mente.
Vi sono poi tre fattori ulteriori di cui uno è la creatività concepita come il
fare ordine, il darsi obiettivi partendo dal caos, dal vasto orizzonte delle
molteplici intenzioni: si aggiunge lo spirito dell'allegria, una certa forza
vitale che si esprime nel vedere le cose con la giusta dose di relatività e
ottimismo concreto. A tutto questo si unisce una morale condivisa, fatta
dei valori della società di appartenenza.
4.6.1 La resilienza e la crisi generata dalla malattia
Quando subentra la notizia di una malattia, cosa accade nell'andamento
generale delle nostre azioni, siano esse o meno già condotte da uno spirito
di resilienza puro? Come resiste il sistema ai cambiamenti prodotti
dall'esterno?
Ci si chiede in termini di resilienza adattata a tanti ambiti, dal tessile
all'informatico e persino nella resilienza ecologica. In questo ambito la
variazione viene da dentro, dal corpo di chi si ammala o porta una malattia
cronica. Si verifica sempre una crisi che solo successivamente può dar
spazio a una ristrutturazione.
All'inizio qualcosa viene sconvolto, l'equilibrio e l'armonia si modificano.
Non si può cercare subito un sanguinamento minore della ferita, occorre
stare con quel dolore mentre, in modo simultaneo, si attivano le risorse che
121
serviranno come benzina per reagire una volta che si è attinto alla
propria disciplina interiore.
4.6.2 La forza interiore, la resilienza e la malattia
Tutta la vita è un imparare a prendere l'esistenza stessa, coglierla, saperla
valorizzare. In questo senso la morte assume la valenza di un'amica, come
in molte tradizioni spirituali. Un'amica, un faro, una grande luce di ricordo,
ovvero ricordarsi di sé, avere nel cuore chi si è. La malattia subentra e non
è un evento scelto o desiderato, apre il varco all'incertezza.
Molte delle discipline che si praticano attualmente, dallo yoga al tai chi,
servono per allenarsi al disequilibrio, senza temerlo, senza fuggirne. In
questo senso la meditazione è una potentissima risorsa per fluire
nell'esistenza.
Ci si trova di colpo di fronte alla limitatezza dell'essere umano. In questo
senso il termine resilienza può esser definito come un “saltare indietro per
prendere
un’altra
posizione” secondo Rundy
Paush,
brillante
informatico colpito da una malattia degenerativa, per descrivere il grado in
cui una struttura metallica o mentale è capace di resistere a un urto.
La vittima è soggetta a un doppio dolore, il trauma e la sua
rappresentazione successiva che consente di rivalutare la sofferenza,
integrandola nella propria storia personale. Miliardi di testi spiegano e
contribuiscono a dare un'idea di quella che è la forza interiore ma preferisco
ricorrere alle parole di Paush, tanto eloquenti quanto veritiere, contenute nel
suo straordinario libro “La vita spiegata da un uomo che muore”.
122
Queste parole sono una vera e propria risorsa per chiunque: "Ogni ostacolo,
ogni muro di mattoni, è lì per un motivo preciso. Non è lì per escluderci da
qualcosa, ma per offrirci la possibilità di dimostrare in che misura ci
teniamo. I muri di mattoni sono lì per fermare le persone che non hanno
abbastanza voglia di superarli. Sono lì per fermare gli altri."
Antonella Delle Fave, docente di Psicologia all’Università Statale di
Milano- Ospedale Sacco, spiega così la resilienza: "All’interno delle
definizione
di
resilienza
è
implicito
il
fatto
che
ci
sia
una
cosiddetta"condizione estenuante o estrema".
In sintesi, viene richiesto di accedere a un maggior numero di risorse, per
far fronte a una necessità che in questo caso è la malattia. La forza
interiore serve per innescare una vera e propria ripresa evolutiva.
Quando lo stato di energia cala, arriva un momento in cui si decide di far
fronte, attivare le risorse, riprendersi la vita. Come un sistema,
l'organismo tutto partecipa a riprendersi le proprie condizioni di equilibrio,
ripristinarle, renderle ancora più strutturate.
Nonostante gli antichi avessero ben compreso lo stretto legame tra corpo e
mente, la medicina moderna ha sempre più rafforzato la tendenza a
separare nettamente gli aspetti fisici da quelli mentali.
Questa insistenza nel distinguere gli eventi organici da quelli psichici,
accompagnata da una sempre più intensa specializzazione, ha portato la
medicina a separare tra loro addirittura gli stessi aspetti fisici.
È solo a partire dagli anni 50 del Novecento che, grazie ai lavori di Franz
123
Alexander, si è insinuato un differente orientamento di pensiero, il quale si
opponeva alla frammentazione specialistica, proponendo, in una visione
olistica, la ricomposizione dell’unità psicofisica dell’uomo, servendosi di
sistemi concettuali che cogliessero aspetti organici e psichici allo stesso
tempo.
124
CAPITOLO 5
CLINICA
Alla luce di quanto argomentato fino ad ora, lo scopo della tesi è dimostrare
che con l’osteopatia sia possibile riequlibrare la persona a tal punto da
dimostrare che la disfunzione osteopatica non è altro che l’aggravarsi e lo
stabilizzarsi di di un forte disequilibrio che colpisca il corpo , quindi la
struttura, ma anche altri piani dell’essere umano come corpo e mente.
Nel caso specifico, oggetto del nostro studio, vogliamo dimostrare
attraverso l’applicazione del Metodo E.T.R. che si possa giungere ad una
riducibilità del dolore dell’alluce e un relativo e stabile equilibrio.
5.1 Metodo E.T.R.
E’ un metodo di lavoro, un sistema di lavoro dinamico che ti permette di
dialogare col corpo.
Il metodo E.T.R. ti permette di circumnavigare il corpo nei suoi livelli
fondamentali:
•
Stutturale: ossa, muscoli e connettivo
•
Viscerale: organi, visceri e biochimica
•
Sistema cranio sacrale: motilità…respirazione cellulare
•
Neurovegetativo: modi per localizzare ed individuare il livello di
profondità di un disagio interiore.
125
Attraverso questa esplorazione il corpo ti guiderà verso la causa primaria
del suo disturbo perché è esso stesso che ti indica cosa fare, una volta che si
è imparato a comunicare con lui, a esplorare le sue vie, trovare il punto di
snodo e solo allora applicare la tecnica giusta per eliminare il problema.
NON IL SINTOMO, ma l'origine, la vera spina irritativa, ciò che
identifichiamo come CAUSA PRIMARIA.
Questa ricerca sequenziale NON E' PROTOCOLLABILE, perché si plasma
e adatta alla persona.
Ogni soggetto richiede un intervento esclusivo e mirato. Occorre, quindi,
imparare a connetterti, ascoltare e rincorrere l'informazione che ti darà la
possibilità di compiere l'azione specifica.
Il significato della sigla E.T.R:
•
ESPLORA: attraverso il dialogo col corpo
•
TROVA: la primarietà
•
RISOLVI: utilizzando la tecnica giusta
Ovvero, la possibilità di una scanerizzazione velocissima, per trovare la
primarietà altrimenti detta spina irritativa o restrizione di mobilità,
eliminarla per mezzo della sua tecnica specifica e consolidare il risultato
finale tramite esercizio fisico.
Tutto questo, naturalmente, è stato possibile anche a seguito delle grandi
scoperte fatte nel corso degli anni da eminenti scienziati studiosi della
cellula e microscopisti, soprattutto nell’ambito del tessuto connettivo e in
particolare della cellula chiamata fibroblasto. Essi furono in grado di
126
dimostrare scientificamente che il tutto è interconnesso e dialoga
costantemente attraverso un substrato che ha la stessa origine, tutt’altro che
amorfo, come un tempo si pensava, piuttosto vivo ed intelligente e al quale
fanno riferimento tutti gli approcci manuali: il “sistema mio-fasciale”.
Il metodo richiede un costante e quotidiano allenamento, ciò che rende ogni
operatore un ricercatore ed uno studioso a sua volta.
Grazie al metodo e alle sue incredibili potenzialità e possibilità (dettate
dall’ascolto sensibile di chi riceve sulla scorta di chi trasmette) è possibile
un connubio tra segnali di input ed output che possono portare alla
realizzazione e anche all’invenzione di tecniche inedite. Non solo, ma
anche di esercizi di supporto o di consolidamento del nuovo equilibrio
raggiunto, da somministrare alla persona con la quale si è lavorato.
Da tali postulati si possono estrapolare due concetti importanti: un lavoro
persona mirata, ed esercizi al bisogno sempre persona mirati. NO
PROTOCOLLI
UGUALI
per
TUTTIII!!!
Inoltre senza tralasciare tutto ciò che riguarda l’aspetto normativo in tema
di medicine complementari, bionaturali, rispetto alla legge vigente sul
territorio italiano.
Il Metodo E.T.R. è un “passepartout” utilizzabile da qualsiasi professionista
che lavori con le persone, per l’operatore olistico specializzato in tecniche
osteopatiche in particolare è una possibilità orientativa unica ma,
soprattutto, è priva del benché minimo rischio per la persona che si affida
alla ricerca di una soluzione del suo o dei suoi problemi spesso già presi in
considerazione anche da altri...... E’ un metodo efficacissimo e
127
potenzialmente tanto dinamico che il suo miglioramento è inarrestabile!!!
Con queste parole, l’inventore del metodo, Franco Casella, ci ha mostrato
una via che se esplorata e conosciuta nelle sue innumerevoli e direi
“infinite” possibilità, può fare la differenza rispetto a tutti i metodi di lavoro
principalmente conosciuti, per la plasmabilità di tale approccio alle diverse
entità, considerate come corpo, mente e spirito.
Personalmente, penso che un approccio alla persona come quello che
avviene con il metodo E.T.R., porti ad una più profonda conoscenza della
persona a tutti i suo livelli e quindi ad una più veloce e puntuale risoluzione
della spina irritativa nonché, una totale sicurezza nell’effettuare delle
tecniche e nella gestione degli effetti del post-trattamento che con altri
approcci possono verificarsi.
Quello che invece non possiamo misurare attraverso l’osservazione visiva è
se tale riassetto “posturale” permetta un migliore carico podalico.
Essendo il dolore riferito soprattutto durante la deambulazione, è
ipotizzabile che un riequilibrio che rimuova tutte le spine irritative ci porti
verso un miglior carico podalico, sia in misurazione statica, che in quella
dinamica.
Non potendo utilizzare il semplice feedback ricevuto dai soggetti come test
attendibile scientificamente, abbiamo deciso di studiare 6 persone
attraverso il test baropodometrico e analisi dinamica del passo, prima
dell’inizio del ciclo di trattamenti somministrati esclusivamente con metodo
E.T.R. .
128
Primo passo per ulteriore futuro studio con un significativo campione di
soggetti.
Abbiamo utilizzato il tendine centrale come test primario insieme allo
studio delle oscillazioni e test fasciale della gamba dura per trovare la
primarietà o lesione primaria o spina irritativa e l’allineamento dei reperi e
lo studio delle oscillazioni per orientarci sulla primarietà e come indice
visivo di verifica di riuscita del trattamento, in caso di assenza di
oscillazioni.
E’ stato annotato il diario di ogni seduta, dai feedbacks ai reperi,
congestione dei tessuti col test del tendine centrale, oscillazioni e tecnica
utilizzata, ad ogni “giro”, tutto per la futura analisi delle statistiche oggetto
del nostro studio.
5.2 La Baropodometria, cos'è e quali informazioni può dare
Con il termine baropodometria, di origine greca, si intende letteralmente
“misura della pressione del piede”.
Con questo termine è comunemente definita la somma di tutte le forze
attive in uno specifico sistema di interesse. Il carico di un corpo umano o di
una struttura di esso in particolare, ha un significato clinico diretto: se una
determinata parte è in sovraccarico (caricata cioè oltre certi limiti per
esempio dopo un trauma o per un sovraccarico cronicizzato), questa
struttura sarà prima o poi danneggiata. In clinica, il carico delle estremità
inferiori è abitualmente verificato dall’osservazione (esame obiettivo), del
soggetto in posizione statica o in deambulazione. Le anormalità, come per
esempio una chiara asimmetria nella deambulazione, possono essere
129
descritte solo qualitativamente. Tuttavia, un rapporto quantitativo inerente
gli schemi motori e/o di carico basati sull’osservazione del soggetto è
dubbio e potrebbe portare a conclusioni approssimative. Il controllo di
parametri oggettivi, definiti e comparabili porta con sé parecchi vantaggi
per l’uso clinico: la comparazione di più dati dello stesso soggetto,
investigazioni sullo stesso soggetto a lungo termine, creazione di database
oggettivi e riduzione dei dati cartacei. Per ottenere parametri quantitativi,
devono essere utilizzati metodi quantitativi per l’analisi del passo e del
movimento.
La baropodometria permette di valutare anatomicamente e funzionalmente
il piede, con il rilievo delle pressioni che esso esercita al suolo nella
stazione eretta e nella deambulazione.
Trattasi di metodica innovativa, innocua e non invasiva che permette di
evidenziare una disfunzione osteopatica con documentazione grafica (anche
tridimensionale), gestita da un computer con possibilità di valutazioni
obiettive non eseguibili con nessun altro sistema.
5.2.1 L’analisi baropodometrica
L'analisi baropodometrica risulta fondamentale nella determinazione delle
variazioni ambientali, capaci di guidare in maniera controllata, il baricentro
generale corporeo, sia in statica che durante la deambulazione: il
ristabilimento continuo di un equilibrio dinamico stabile garantisce
conseguentemente, il miglioramento della qualità della vita.
L’esame baropodometrico è un mezzo indispensabile per lo studio sia del
130
piede, ma anche della postura del nostro corpo; viene svolto sia in statica
che in dinamica.
L'analisi fornisce diverse informazioni sulle pressioni scambiate tra piede e
terreno, sulla stabilità, sulla distribuzione del peso corporeo, sui
sovraccarichi metatarsali, retropodalici e digitali. Individua inoltre le
proiezioni a terra dei vari baricentri e le distribuzioni del carico del corpo in
statica e nella deambulazione; evidenzia la curva di svolgimento del passo
(andamento del baricentro generale del corpo durante il passo).
Il tutto al fine di individuare anomalie del piede ed eventuali complicazioni
che possano riflettersi sulla struttura corporea o sulla postura stessa.
In sintesi l'esame baropodometrico si suddivide in:
a) Esame Statico:
b) Distribuzione delle pressioni con zone di ipercarico
c) Visualizzazione della proiezione del baricentro corporeo e dei centri
di pressione dei due singoli piedi
d) Percentuali di carico rispetto al baricentro
Esame Dinamico:
a) Immagini complessive del/i passo/i
b) Curva di trasferimento del carico
c) Corse del baricentro
d) Punto virtuale dell'applicazione del carico
e) Visualizzazioni pressioni, tempi e percentuali di contatto nelle fasi
d’appoggio.
131
Il tipico output di un esame baropodometrico è rappresentato da una mappa
in scala di falsi colori
5.3 Trattamento e analisi dei dati
Sono stati somministrati 4 trattamenti distanziati tra loro di una settimana e
gli esami baropodometrici sono stati eseguiti primadell’inizio della prima
seduta di trattamento e alla fine, dopo la quarta seduta.
Sarebbe stato più corretto testare con test fasciale anche la frequenza dei
trattamenti ma per questioni di tempo di stesura della tesi e difficoltà
nell’accordarsi con i soggetti per svolgere gli esami e rispettare esattamente
la data degli appuntamenti, abbiamo deciso di adottare tale format.
L’analisi dinamica fornisce delle statistiche registrando per qualche
minuto una camminata tipo del soggetto oggetto di esame. Da questo tipo
di esame possiamo estrapolare una serie di dati come le zone d’ipercarico,
analizzando la media dei passi dell’intera camminata registrata (visualizzata
visivamente), la lunghezza del passo, tempo del passo, la swing phase o
fase aerea, la rotazione del piede.
Quello che cerchiamo, da uno studio di questo tipo, è un cambiamento e
una redistribuzione nel carico podalico ovvero, una distribuzione più
uniforme e più fisiologica per il soggetto dopo averlo trattato
“esclusivamente” con metodo E.T.R.
Come già enunciato, l’attuale scarsità del campione in termini quantitativi e
la non sufficiente quantità di tempo affinchè avvenga un più fisiologico
riadattamento dell’organismo ad un lavoro così puntuale e profondo ma
132
“educato e gentile con il corpo” come quello ottenuto con il metodo E.T.R.,
non ci consente di sbilanciarci sull’esito dell’esperimento perché servirebbe
un campione considerevole e, sarebbe doveroso domandare al corpo, con
test fasciale, la frequenza delle sedute e, probabilmente, occorrerebbe
affinare una serie di accorgimenti in sede di rilevazione dei dati durante
l’esame baropodometrico.
Detto ciò, visto e considerato che nulla costa, in questa sede, trarre delle
seppur fievoli considerazioni e conclusioni sull’esito del nostro esperimento
con 6 soggetti e quattro sedute di trattamento completate in un mese.
Di seguito riportiamo la sintesi dei dati delle rilevazioni baropodometriche
per ogni soggetto osservato, prima e dopo il trattamento e i dati relativi ad
ogni seduta, in particolare modo, abbiamo riportato lo studio delle
primarietá, vero fulcro della nostra ricerca per cercare di capire se il piede
sia adattivo o causativo della “disfunzione osteopatica”.
La difficoltà di riuscita di tale prova è giustificata dal fatto che l’ipotesi che
sta alla base del nostro studio è che il percorso lesionale che conduce al
manifestarsi di tale sofferenza dell’alluce che va a divenire “disfunzione
osteopatica”, è un percorso “strutturato” da tempo considerevole
Analizzeremo, di seguito, in maniera descrittiva un soggetto dei 6
del nostro studio e spiegheremo in maniera dettagliata l’esame
baropodometrico e le differenze dell’analisi prima del ciclo di sedute a cui
il soggetto è stato sottoposto sia in analisa statica che in quella dinamica,
analizzando il passo in tutte le sue componenti.
E’ stato analizzato lo studio delle primarietà trovate con il metodo E.T.R.
133
per ogni seduta, al fine di trarre delle conclusioni sulla causalità o adattività
del piede in uno schema lesionale e riadattivo del corpo che poi ha sfociato
nel disturbo preso in esame.
Gli esami degli altri soggetti del nostro studio, per motivi pratici, riportati
in allegato della presente tesi ma verrà stilata una sintesi per ogni soggetto
preso in esame
134
5.3.1 Trattamento con Metodo E.T.R.
Trattamento del 02-10-2017: 1° SEDUTA
I pallini rossi nella figura umana schematizzata indicano, come da metodo
E.T.R., le dismetrie dei punti di repere che prendiamo in considerazione e,
cioè, masse laterali dell’occipite, tubercoli trapezioidali delle scapole, le
sips e le basi sacrali.
1° Giro
Oscillazioni: Movimento a otto, si ferma in craniosacrale.
Tendine centrale: Alto strutturale non accorcia.
Gamba rigida: Sx
135
Ricerca primarietà: scarico surrene sx
2° Giro
Oscillazioni: Movimento ad 8, si ferma in craniosacrale.
Tendine centrale: Alto strutturale non accorcia.
Gamba rigida: Sx
Ricerca primarietà: Trapezio superiore Dx
136
3° Giro.
Primarietà: Rene dx in aptosi di 2 grado.
137
4° Giro
Primarietà: Vescica
138
Trattamento del 09-10-2017 : 2° SEDUTA
1° Giro
Oscillazioni: si ferma in strutturale
Tendine centrale: Alto strutturale non allunga.
Gamba rigida: Sx
Ricerca primarietà: membrane a tensione reciproca (Grande falce del
cervello e tentorio del cervelletto)
139
2° Giro
Oscillazioni: Si ferma in strutturale.
Tendine centrale: Alto strutturale non accorcia.
Gamba rigida: Sx
Ricerca primarietà:Paracervicale dx.
140
3° Giro.
Oscillazioni: Si ferma in craniosacrale
Ricerca primarietà: Osso sacro
141
Trattamento del 13-10-2017 : 3° SEDUTA
1° Giro
Oscillazioni: Si ferma in strutturale.
Tendine centrale: Medio non accorcia.
Gamba rigida: dx
142
Ricerca primarietà: K4 sx in superiorità.
2° Giro
Oscillazioni: Si ferma in strutturale.
Tendine centrale: Alto strutturale non accorcia.
Gamba rigida: Sx
Ricerca primarietà: Paracervicale sx
143
Trattamento del 19-10-2017 : 4° SEDUTA
1° Giro
Oscillazioni: Movimento ad 8, si ferma in craniosacrale.
Tendine centrale: basso non allunga.
Gamba rigida: Sx
Ricerca primarietà: Ascolto del cranio
144
Per una questione di spazio nella stesura della presente tesi, i dati relativi ai
restanti 5 soggetti verranno sintetizzati ma verranno riportati in allegato i
relativi esami baropodometrici, per un confronto esaustivo.In questa sede
verrà riportato per ciascun soggetto lo studio delle primarietà o spine
irritative, al fine di un confronto statistico.
5.2.1 Esame baropodometrico e analisi del passo
SOGGETTO #1
Tabella 5.1 – analisi statica – prima dei trattamenti E.T.R.
145
Tabella 5.2 – analisi statica – dopo ciclo di trattamenti E.T.R.
146
Tabella 5.3 – analisi statica – prima del ciclo di trattamenti E.T.R.
La tabella presenta al primo esame una dislocazione delle forze tendenti al
lato sinistro con un ipercarico retro podalico del piede SX.
Si può osservare come il baricentro o Centro di forza o COP si deviato
147
orizzontalmente di 7,8 mm a sx e deviato verticalmente di 12mm in alto.
I parametri riguardanti l’ellisse ci descrivono le oscillazioni con il soggetto
in statica e qui si può osservare come esso stia oscillando leggermente.
148
Tabella 5.4 – analisi statica – dopo ciclo di trattamenti E.T.R
Come si evince dal confronto delle due tabelle, il soggetto presenta ora un
assetto più normale con forze tendenti a valori di normalità (48% sul piede
sx e il 52% circa sul piede dx).
149
Il COP indica una normalizzazione orizzontale del centro di forza che passa
da 7,8mm sx a 1,7mm sx e un significativo cambio della deviazione
verticale da 12mm superiore a 12,9mm inferiore.
Tabella 5.5 – analisi dinamica
150
Tabella 5.6 – analisi dinamica – prima del ciclo di trattamenti E.T.R
La tabella 5.6 rappresenta un report con il ciclo completo del passo (Gait
Cicle), visualizzato in arto sinistro e arto destro. Risposta di carico,
ampiezza, attacco del tallone, stacco dell’alluce, fase statica, supporto
singolo, doppio supporto, ecc.
151
Tabella 5.7 – analisi dinamica – dopo ciclo di trattamenti E.T.R
152
Tabella 5.8 – analisi dinamica – prima del ciclo di trattamenti E.T.R
Il grafico denominato “Butterfly” rappresenta la cosiddetta “simmetria
laterale”, cioè la ricapitolazione grafica di decine di passi consecutivi
(tabella 5.10 e 5.11) al fine di evincere eventuali dominanze tra arto destro
e sinistro. Si può notare come le ali della cosiddetta “BUTTERFLY” o
153
farfalla non siano tra di loro simmetriche e questo sta ad indicare una
notevole diversità tra il passo sx e il passo dx in tutte le sue componenti.
Tabella 5.9 – analisi dinamica – dopo ciclo di trattamenti E.T.R
154
Dal confronto delle due tabelle del grafico “BUTTERFLY” si nota come
non ci sia dominanza di un piede sull’altro
Ciò è visibile da una rapida osservazione delle ali della farfalla diventate in
seconda misurazione pressochè identiche rispetto alla prima misurazione
“prima del ciclo dei E.T.R.” dove l’ala sx è più piccola rispetto a quella
destra.
Tabella 5.10 e 5.11 – analisi dinamica, confronto dei passi prima e dopo
ciclo di trattamenti E.T.R
Dal confronto nel riquadro “Average” del prima e post trattamento, si può
osservare una redistribuzione del carico podalico nell’avampiede
soprattutto nel piede sx.
155
Tabella 5.12 – analisi dinamica – prima del ciclo di trattamenti E.T.R
156
Tabella 5.13 – analisi dinamica – dopo ciclo di trattamenti E.T.R
157
5.3.3 Sintesi dei restanti soggetti analizzati
SOGGETTO #2
Riassunto analisi dei dati esame baropodometrico
Il confronto è tra l’esame iniziale del 25/09/2017 ed il finale del
06/11/2017.
L’esame statico mostra una distribuzione migliore dei carichi, ripartiti più
equamente. Il baricentro è ben stabilizzato.
La fase dinamica non mostra particolari differenze, con un marcato
ipercarico soprattutto in corrispondenza della teste metatarsali. In dinamica
si puù notare una leggera instabilità nell’area compresa tra mesopiede ed
avampiede. Risulta comunque importante la pressione esercitata al
momento dello stacco del I dito a sx.
Studio delle primarietà
Trattamento del 11-10-2017 :
in ordine: surrene sx, dura madre compressa, duodeno, surrene sx
Trattamento del 18-10-2017 :
in ordine: surrene sx, diaframma buccale.
Trattamento del 25-10-2017 :
in ordine: surrene sx,.
Trattamento del 3-11-2017:
IL soggetto non necessitava di un trattamento.
158
SOGGETTO #3
Il soggetto riferisce dolorabilità all’alluce sx e insensibiltà sulla punta
dell’alluce sx.
Riassunto analisi dei dati esame baropodometrico
Il confronto è tra l’esame iniziale del 09/11/2017 ed il finale del
06/12/2017.
L’analisi statica iniziale mostra una dislocazione delle forze tendenti al lato
destro con un ipercarico sull’avampiede del piede DX.
Si può osservare come il baricentro o Centro di forza o COP sia deviato
orizzontalmente di 21,8 mm a dx e deviato verticalmente di 15,8mm in
basso. Esso indica una discreta instabilità con continui e ripetuti
spostamenti laterali, posteriori e anteriori.
Dopo il ciclo di trattamenti si può osservare una normalizzazione
orizzontale del centro di forza che passa da 21,8mm dx a 1,6mm sx e un
cambio della deviazione verticale da 15,8mm superiore a 12,3mm inferiore
Come si evince dal confronto delle due tabelle in analisi statica, il soggetto
presenta ora un assetto più normale con forze tendenti a valori di normalità
(48,7% sul piede sx e il 51,3% circa sul piede dx rispetto alla misurazione
iniziale che indicava 47,2% sul piede sx e il 52,8% circa sul piede dx).
La dinamica mostra un ipercarico in quasi tutta la zona metatatrsale (tranne
sul I metatarso bialterale), con una tendenza a pronare il retropiede e
supinare l’avampiede bilateralmente.
Dal confronto delle due tabelle del grafico “BUTTERFLY” si nota come
nella sconda misurazione non ci sia dominanza di un piede sull’altro
159
Ciò è visibile da una rapida osservazione delle ali della farfalla diventate in
seconda misurazione pressochè identiche rispetto alla prima misurazione
“prima del ciclo dei E.T.R.” dove l’ala sx è più piccola rispetto a quella
destra.
Nella tabella di pag.6 dell’analisi dinamica si può osservare vi sia un più
equo carico su tutto il gate cycle con una pressione più uniforme su
entrambi i piedi mentre nella misurazione iniziale il carico pressorio era
sbilanciato sul retropiede e avampiede del piede sx.
Studio delle primarietà
Trattamento del 11-11-2017 :
in ordine: ascolto del cranio, osso sacro in craniosacrale, paracervicale dx
Trattamento del 17-11-2017 :
in ordine: aponeurosi lombare, esofago in inspiro, duodeno
Trattamento del 23-11-2017 :
in ordine: trapezio alto dx, scapola dx.
Trattamento del 30-11-2017:
controllo soggetto, nessuna primarietà da trattare.
Il Soggetto riferisce la scomparsa del dolore e un netto miglioramento
dell’insensibilità della punta dell’alluce sx.
160
SOGGETTO #4
42 anni. Lamenta una lieve dolorabilità sull’alluce sx ed una lieve sciatalgia
sulla gamba sx.
Il confronto è tra l’esame iniziale del 10/10/2017 ed il finale del
27/10/2017.
L’analisi statica iniziale mostra una dislocazione delle forze tendenti al lato
destro con un ipercarico sul retropiede del piede DX.
Si può osservare come il baricentro o Centro di forza o COP sia deviato
orizzontalmente di 17,2 mm a dx e deviato verticalmente di 35,5mm in
basso. L’ellisse e il relativo gomitolo indicano una leggera instabilità con
leggere oscillazioni anteriori e verso l’avampiede dx di 20,2 gradi.
Dopo il ciclo di trattamenti si può osservare una normalizzazione
orizzontale del centro di forza che passa , quindi, da 17,2mm dx a 2,6mm
dx e un cambio della deviazione verticale da 35,5mm superiore a 21,9mm
inferiore
Come si evince dal confronto delle due tabelle in analisi statica, il soggetto
presenta ora un assetto più normale con forze tendenti a valori di normalità
(47,6% sul piede sx e il 52,4% circa sul piede dx rispetto alla misurazione
iniziale che indicava 45,4% sul piede sx e il 54,6% circa sul piede dx).
La dinamica, nella rilevazione iniziale, mostra un ipercarico in quasi tutta la
zona metatatrsale (soprattutto sul 3° metatarso dx) con una tendenza a
pronare il retropiedebilateralmente e supinare l’avampiede a dx.
Nella seconda misurazione si può osservare una redistribuzione del carico
161
che passa da una situazione di ipercarico delle prime teste metatarsali ad
una situazione dove l’ipercarico lo troviamo sulla 3° e 4° a dx e sulla 4° e
5° testa metatarsale sul piede sx. Si osserva un miglior appoggio sul
retropiede in entrambi i piedi. Quello che salta maggiormente da un’analisi
visiva è come non ci sia più un carico massimo così gravoso sulle teste
metatarsali, soptattutto sulle prime.
Dal confronto delle due tabelle del grafico “BUTTERFLY” si nota come
nella sconda misurazione i passi siano più simili l’uno con l’altro e lo si
può osservare dalla vicinanza dellle linee che quasi si sovrappongono
rispetto alla prima misurazione che denota una incertezza e diseguaglianza
e instabilità dei passi e, questo lo si può osservare dalla distanza delle linee
che quasi mai si sovrappongono.
Si osserva inoltre dal confronto delle due tabelle un cambio del vertice
basso e del vertice basso dell’ala della farfalla di dx che indica come il
passo inizi più medialmente nel retropiede e vado cmq a gravare sulla 3°
testa metarsale.
Studio delle primarietà
Trattamento del 11-10-2017 :
in ordine: C1 sx, massetere sx, osso sacro in craniosacrale, K8 sx in
superiorità
(riferisce
in
seguito
di
averla
fratturata
nel
parto),
consolidamento con tecnica di scarico del surrene sx.
Trattamento del 19-10-2017 :
La signora riferisce la scomparsa totale del dolore all’alluce e della
162
sciatalgia fino a due giorni fa. Ora riferisce una lieve sciatalgia e la
somparsa del dolore all’alluce.
Primarietà: dura madre compressa, scarico surrene
Trattamento del 3-11-2017 :
Non riferisce dolore. I reperi sono ben allineati e non oscilla. Da test
fasciale, non necessita di trattamento odierno.
SOGGETTO #5
40 anni. Il soggetto lamenta una discreta dolorabilità sull’alluce sx
Il confronto è tra l’esame iniziale del 30/08/2017 ed il finale del
02/10/2017.
L’analisi statica iniziale mostra una dislocazione delle forze tendenti al lato
sinistro sul retropiede mediale e sul avampiede sulla 3° testa metastarsale
sia a sx che a dx ma, con un leggero ipercarico. Quello che salta all’occhio
dall’osservazione in analisi statica è il totale piattismo del piede dx.
Si può osservare come il baricentro o Centro di forza o COP sia deviato
orizzontalmente di 13,6 mm a sx e deviato verticalmente di 0,3mm in
basso. L’ellisse e il relativo gomitolo indicano una leggera instabilità con
leggere oscillazioni anteriori e verso l’avampiede sx.
Dopo il ciclo di trattamenti si può osservare una normalizzazione
orizzontale del centro di forza che passa , quindi, da 17,2mm dx a 2,6mm
dx e un cambio della deviazione verticale da 35,5mm superiore a 21,9mm
inferiore
Come si evince dal confronto delle due tabelle in analisi statica, il soggetto
163
presenta ora un assetto più normale con forze tendenti a valori di normalità
(47,6% sul piede sx e il 52,4% circa sul piede dx rispetto alla misurazione
iniziale che indicava 45,4% sul piede sx e il 54,6% circa sul piede dx).
La dinamica, nella rilevazione iniziale, mostra un ipercarico in quasi tutta la
zona metatatrsale (soprattutto sul 3° metatarso dx) con una tendenza a
pronare il retropiedebilateralmente e supinare l’avampiede a dx.
Nella seconda misurazione si può osservare una redistribuzione del carico
che passa da una situazione di ipercarico delle prime teste metatarsali ad
una situazione dove l’ipercarico lo troviamo sulla 3° e 4° a dx e sulla 4° e
5° testa metatarsale sul piede sx. Si osserva un miglior appoggio sul
retropiede in entrambi i piedi. Quello che salta maggiormente da un’analisi
visiva è come non ci sia più un carico massimo così gravoso sulle teste
metatarsali, soptattutto sulle prime.
Dal confronto delle due tabelle del grafico “BUTTERFLY” si nota come
nella sconda misurazione i passi siano più simili l’uno con l’altro e lo si
può osservare dalla vicinanza dellle linee che quasi si sovrappongono
rispetto alla prima misurazione che denota una incertezza e diseguaglianza
e instabilità dei passi e, questo lo si può osservare dalla distanza delle linee
che quasi mai si sovrappongono.
Si osserva inoltre dal confronto delle due tabelle un cambio del vertice
basso e del vertice basso dell’ala della farfalla di dx che indica come il
passo inizi più medialmente nel retropiede e vado cmq a gravare sulla 3°
testa metarsale.
164
Studio delle primarietà
Trattamento del 04-09-2017 :
Oscillazione: misto avanti- rotazione, si ferma in craniosacrale.
Tendine centrale: medio viscerale non allunga.
Primarietà: esofago bloccato in superiorità.
2° Giro:
oscillazione leggermente in avanti e si ferma in strutturale
Primarietà: riequilibrio del sacro.
3° Giro:
Oscillazione : si ferma in craniosacrale
Primarietà: lingua, sfenoide bloccato in estensione
4° giro:
Primarietà: Muscolo trasverso dell’addome dx, Psoas sx, massetere sx.
5° Giro:
oscillazione minima in avanti e si ferma in viscerale.
Primarietà: dura madre in craniosacrale
6° Giro
Oscillazione: si ferma in strutturale
Primarietà: suboccipitali a sx.
7° Giro:
Oscillazione si ferma in viscerale
Primarietà:colon discendente bloccato in superiorità
8° Giro:
Oscillazione: si ferma in craniosacrale
165
Primarietà: scarico surrene sx
9° Giro:
Oscillazione: si ferma in viscerale
Primarietà: scarico surrene sx
10° Giro:
Oscillazione: si ferma in craniosacrale
Primarietà: core link
Trattamento del 11-09-2017 :
1° Giro:
oscillazione: si ferma in viscerale
Primarietà: lunghissimo del collo
2° Giro:
Oscillazione : si ferma in strutturale
Primarietà: Parevertebrale lombare dx
3° giro:
Primarietà: Muscolo trasverso dell’addome dx, Psoas sx, massetere sx.
4° giro:
Oscillazione: si ferma in craniosacrale
Primarietà: diaframma cupola dx.
5° Giro:
Primarietà: processo xifoideo
6° Giro:
Primarietà: quadricipite dx da allungare
7° Giro:
166
Primarietà: trapezio dx da allungare.
8° Giro:
Riequilibrio sacrale
Trattamento del 19-09-2017:
Primarietà: In ordine: Polmone dx(lobo inferiore cloccato in inspiro; Atm
dx; Muscolo stilo faringeo; scarico surrene sx; Esofago bloccato in inspiro;
Decompressione mandibola; diaframma stiloioideo; Muscolo faringopalatino; scarico surrene sx.
Trattamento del 25-11-2017 :
Primarietà: in ordine: Vescica in inferiorità, paracervicale sx da allungare;
serrato posteriore da allungare; trapezio allungare; Paravertebrale lombare.
167
CONCLUSIONI
Con l’esperimento da noi eseguito abbiamo dimostrato come una
disfunzione osteopatica come l’alluce valgo possa essere affrontata con
l’osteopatia,
Il Metodo E.T.R. ci ha aiutato nell’affrontare i nostri casi studio con una
consapevolezza diversa senza preconcetti o schemi terapeutici prefissati,
esplorando il corpo e facendoci guidare da esso.
Il risultato ottenuto è estremamente positivo ha dimostrato come sia
possibile, attraverso il suo corretto utilizzo, un notevole “RIEQUILIBRIO”
del sistema corpo mente spirito , riequilibrio che poi è stato tradotto in un
maggior benessere e in un deciso miglioramento della dolorabilità del
piede.
Come
possiamo
osservare
dai
risultati
ottenuti
negli
esami
baropodometrici, una redistribuzione del carico podalico dove non ci siano
dei picchi pressori così forti, come quelli che abbiamo analizzato su tutti i
soggetti al primo esame, si traduce in un miglioramento della dolorabilità
sia in statica che in dinamica.
Dopo il ciclo di trattamenti, tutte le persone dai noi analizzate riferiscono,
inoltre, una maggiore stabilità e una maggiore consapevolezza del proprio
corpo e una miglior postura.
Osservando lo studio delle primarietà, siamo andati a risolvere primarietà
per lo più discendenti.
Maggiori considerazioni a riguardo possiamo trarle, a mio avviso, soltanto
quando avremo un numero considerevole di soggetti per avere un campione
168
statisticamente attendibile.
Lo scopo di questa tesi è inoltre quello di porre le basi per un’analisi futura
per un più dettagliato studio con i canoni che ho descritto precedentemente.
Per quel che riguarda il nostro piccolo esperimento, possiamo considerarci
soddisfatti per i risultati ottenuti e ancora una volta possiamo confermare la
grandezza e potenza del Metodo E.T.R.
169
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raisons du
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Roma 1999
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Wilmore J.H Costill D.L Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport
Calzetti Mariucci
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editore Perugina 2005
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