Eduardo De Filippo è un artista che molto presto e con sorprendente lungimiranza si è posto il problema dei media e della loro capacità di conservazione e diffusione del messaggio artistico. Dopo moltissime esperienze di teatro in cinema e in televisione, Eduardo arrivò con gli ultimi cicli del suo teatro in televisione ad una soluzione radicale: negli anni settanta ricostruì negli studi televisivi di via Teulada e poi a Cinecittà, un palcoscenico e recitò e fece recitare i suoi attori come se l'azione si svolgesse in teatro. Il suo scopo, dichiarato, era quello di lasciare un documento, il più possibile fedele, del suo teatro in azione. Il trucco quindi era teatrale, così come i costumi, le scene, addirittura gli effetti erano creati con tecniche da teatro e non importava se sul piccolo schermo non si vedessero. Era il suo piccolo omaggio all’artigianato del teatro, una citazione non sottolineata. Da una intervista al Radiocorriere Tv del ’77: <<-Come si serve del mezzo televisivo? –Per fare teatro, non per fare televisione che finge di essere teatro. Io porto il teatro con il mezzo televisivo, con un arco scenico e con il pubblico non dal vero. Il delle Vittorie diventa così una televisione teatro, con un finto teatro, ma con quella finzione del teatro che dà la magia del teatro stesso… >>. Analisi tecnica del teatro di Eduardo. “L’analisi strutturale applicata alle versioni video delle commedie ha portato a confermare come in Eduardo i luoghi dell’azione siano ordinati e costruiti secondo un’idea geometrica forte e coerente.” (Ho maturato l’idea che De Filippo, nel realizzare le commedie non pensasse a tutto in modo così schematico. Forse è proprio nei movimenti comuni di tutti i giorni che c’è una certa intrinseca sistematicità.) Eduardo stesso infatti scrive: <<Quanti hanno detto:”La recitazione a soggetto dei De Filippo….” Non state a sentire! Non è vero quello che dicono!….. è impossibile inventare una scena. [….] Il gesto deve essere come spontaneo. Badate, non spontaneo, come spontaneo. [….] E se ci serviamo della tradizione come un trampolino…. Arriveremo più in alto che se partissimo da terra>>. Quindi non è lecito parlare di una teatralità esclusivamente “genetica”, di un’arte ereditata di generazione in generazione, copiata e riproposta pedissequamente. Il teatro di cui ci stiamo occupando è, quasi sempre, un teatro erudito, assolutamente cosciente delle proprie peculiarità, strutturato e definito nei minimi particolari e, soprattutto, fondato su di una consapevolezza tecnica (ma anche storico-filosofica) realmente altissima (che si mantiene anche quando il mezzo televisivo sembra poter alterare le regole). Radiocorriere, n. 45,5 – 12 novembre 1933. << I’ m’aggio dovuto spoglià, io mi sono dovuto spogliare da cima a fondo. Quando un attore ha recitato per anni ed anni in un genere mettendosi addosso tutt’i lenocini, tutte le maniere di una recitazione artificiosa e tradizionale, preveduta, combinata, architettata, se vuole finalmente ritrovare se stesso sotto i vestiti degli altri, senza offesa alla decenza, sapite ch’a da fa? S’ha da mettere nudo, nudo come Dio l’ ha fatto. E così noi abbiamo fatto: io, sorema e frateme [mia sorella e mio fratello. (Titina e Peppino De Filippo)]. Nudi, nudi tutt’e tre… E così ricominciare a rivestirsi, a poco a poco, coi panni nostri, ma non panni belli e fatti, buoni per tutti i casi e tutti gli usi, ma abiti fatti volta per volta, tagliati su la carne viva del personaggio, messi insieme con la nostra commozione, a seconda della nostra diversa sensibilità….. Così ci andiamo, piano piano, facendo un repertorio schietto, semplice, umano…. E mo’ simmo decenti, presentabili. Mo’ simmo rivestiti, ma vestiti – mo’ ce vò – a modo nostro. Dopo tanti anni in cui abbiamo dovuto essere come erano gli altri, ora, grazie a Dio, si respira. Mo’ simmo nuie!>>