scienza in primo piano - Società Italiana di Fisica

SCIENZA IN PRIMO PIANO
MAGNETISMO MOLECOLARE:
STRUTTURE MESOSCOPICHE E NANOSCOPICHE
R. SESSOLI e D. GATTESCHI
Dipartimento di Chimica, UdR INSTM, UniversitaÁ di Firenze, 50019 Sesto Fiorentino
Il Magnetismo molecolare eÁ un settore scientifico relativamente nuovo che si eÁ sviluppato
partendo dalla Magnetochimica ( 1). Quest'ultima
era tradizionalmente intesa come l'uso di tecniche magnetiche per ottenere informazioni
strutturale sui composti dei metalli di transizione. Misure magnetiche potevano infatti fornire informazioni sul numero di elettroni non
accoppiati presenti su un dato ione metallico e
quindi sulla natura del legame chimico. Un caso
esemplare eÁ quello dei complessi di nichel(II)
tetracoordinato, che puoÁ avere una coordinazione quadrata planare o tetraedrica. Nel primo
caso un trattamento a livello di teoria del campo
cristallino suggerisce che non ci siano elettroni
spaiati, e quindi il composto debba essere diamagnetico; nel secondo caso invece ci devono
essere due elettroni spaiati e quindi il composto
dovrebbe essere paramagnetico. Una semplice
misura di suscettivitaÁ magnetica a temperatura
ambiente permette quindi di discriminare tra le
due possibili strutture del composto.
Con il passare degli anni si cominciarono a
studiare composti sempre piuÁ complessi e a
stabilire importanti correlazioni tra la loro
struttura e le loro proprietaÁ magnetiche. In
particolare si comincioÁ ad estendere la gamma
di temperature entro le quali effettuare le misure magnetiche e lo studio si estese dai semplici paramagneti a sistemi accoppiati magneticamente. Il salto che determinoÁ il passaggio al Magnetismo Molecolare avvenne negli
anni '80, in conseguenza del forte sviluppo dei
conduttori organici. L'idea fu la seguente: se la
materia organica, tradizionalmente associata
agli isolanti, puoÁ fornire nuovi tipi di conduttori
perche non ipotizzare la possibilitaÁ di ottenere
anche dei magneti puramente organici? O, piuÁ in
generale, ci si chiese se era possibile pensare a
sostituire i reticoli metallici o ionici dei magneti
tradizionali con reticoli basati su strutture molecolari. L'idea era affascinante e sollecitoÁ un
discreto numero di chimici a progettare e realizzare sinteticamente strutture molecolari
sempre piuÁ complesse interessando allo stesso
tempo gruppi di fisici a misurare le proprietaÁ di
questi nuovi sistemi. Il nuovo settore scientifico
nacque quindi intrinsicamente interdisciplinare
e come tale si eÁ mantenuto.
Il primo obiettivo ambizioso fu quello di costruire un ferromagnete puramente organico. Si
trattava di una sfida di non poco conto perche le
molecole organiche sono generalmente diamagnetiche, a causa dell'elevata reattivitaÁ degli
elettroni di valenza corrispondenti a orbitali s o
p. Sostanze organiche con elettroni spaiati sono
in generale instabili, percheÁ gli elettroni di una
molecola si appaiano con quelli di un'altra con
formazione di un forte legame covalente. Per
costruire sistemi in cui gli elettroni spaiati si
accoppino ferromagneticamente eÁ stato necessario estendere i modelli dell'interazione
magnetica per tener conto delle peculiaritaÁ dei
sistemi molecolari.
Dopo alcune false partenze si scoprõÁ che una
molecola di nitronil nitrossido (2), mostrata in
fig. 1, organizzata in un reticolo cristallino opportuno, daÁ luogo ad una transizione ad ordine
ferromagnetico alla temperatura di 0,6 K! Certo
una temperatura poco adatta alle applicazioni,
ma si era finalmente dimostrato che il ferromagnetismo puramente organico era possibile.
25
IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 1. ± Struttura del primo radicale organico, un
nitronil- nitrossido, che ha mostrato ordine ferromagnetico a bassa temperatura. L'elettrone spaiato, indicato con il punto, eÁ ugualmente delocalizzato sui due
gruppi N-O.
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Negli anni successivi si sono preparati altri sistemi e le temperature critiche a ordine magnetico sono oggi piuÁ elevate. In particolare un
radicale contenente atomi di zolfo e di azoto
ordina come debole ferromagnete a 37 K. Debole ferromagnete significa che l'accoppiamento tra radicali vicini nel reticolo eÁ prevalentemente antiferromagnetico, ma l'angolo tra
gli spin eÁ diverso da 180ë a causa dell'interazione
spin-orbita non trascurabile determinata dalla
presenza degli atomi di zolfo.
Vale la pena sottolineare che in questo caso
ogni molecola eÁ portatrice di un elettrone
spaiato e che il magnetismo osservato eÁ ben
diverso dal debolissimo contributo ferromagnetico, ancora oggetto di controversie, osservato per derivati di grafite o per semiconduttori
non contenenti centri paramagnetici ( 3,4).
Usare molecole per ottenere magneti comporta la difficoltaÁ di costruire un edificio tridimensionale di interazioni tra i mattoni scelti.
Questo eÁ relativamente facile nei metalli e negli
ossidi percheÁ i mattoni magnetici sono atomi o
ioni, quindi sferici. Le molecole hanno invece
intrinsecamente una simmetria piuÁ bassa, e
tendono a dare sistemi di bassa dimensionalitaÁ
magnetica. Se si vuole costruire ferro- o ferrimagneti questo eÁ certamente uno svantaggio.
Ma se si vuole preparare nuovi tipi di magneti di
bassa dimensione, questo puoÁ essere un vantaggio. CosõÁ, ad esempio, usando molecole sono
stati ottenuti ferrimagneti monodimensionali.
Ritorneremo su questo punto piuÁ avanti. Probabilmente il piuÁ bell'esempio fin qui riportato
di magnete molecolare di bassa dimensionalitaÁ eÁ
un sistema ibrido che contiene piani di ossalati
di metalli di transizione alternati a molecole
organiche ( 5), quali il bis(etileneditio) tetratio-
fulvalene (BEDT-TTF) che eÁ una delle molecole
base dei superconduttori organici.
L'accoppiamento tra gli ioni metallici eÁ ferromagnetico nei piani e tra i piani, con gli elettroni spaiati essenzialmente localizzati sugli ioni
metallici. I radicali sono invece conduttori e la
conducilibilitaÁ eÁ di tipo metallico. Il sistema
ordina come ferromagnete soltanto a 5,5 K ma, a
differenza dei sistemi inorganici classici come il
ferro, gli elettroni responsabili del ferromagnetismo sono diversi da quelli responsabili
della conduzione, aprendo nuove prospettive,
ad esempio per le proprietaÁ magnetoresistive.
Il limite piuÁ basso nella dimensionalitaÁ magnetica eÁ rappresentato dai magneti zero-dimensionali e questi sono il punto di forza dei sistemi molecolari. Un sistema zero dimensionale
contiene un numero finito di centri paramagnetici accoppiati ed offre la possibilitaÁ di investigare proprietaÁ mesoscopiche, cioeÁ intermedie
tra quelle descrivibili con tecniche classiche dei
sistemi massivi e quelle quantistiche dei sistemi
discreti( 6). Per avere accesso ai sistemi zero-dimensionali formalmente si possono seguire due
approcci diversi, quello dall'alto (top-down) e
quello dal basso (bottom-up). Il primo porta alla
formazione di particelle magnetiche partendo da
materiali massivi, in genere ossidi o metalli. Dimensioni tipiche sono dell'ordine di 2±20 nm e in
questa regione si osserva un comportamento
superparamagnetico delle nanoparticelle(7).
Tutti gli spin individuali all'interno della parti-
Fig. 2. ± Dipendenza dell'energia potenziale di una
particella magnetica mono-dominio al variare dell'angolo u fra la direzione di orientazione della magnetizzazione e la direzione di facile magnetizzazione.
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cella sono paralleli e si muovono coerentemente.
Per riorientarsi devono superare una barriera
dovuta all' anisotropia della magnetizzazione,
che puoÁ essere considerata direttamente proporzionale al volume V della particella. Quando
la barriera eÁ comparabile con l'energia termica la
magnetizzazione fluttua liberamente nel tempo.
Il sistema non ha quindi magnetizzazione spontanea e la riacquista solo in un campo magnetico.
Il tempo di rilassamento t della magnetizzazione
segue il comportamento tipico dei processi termicamente attivati:
(1)
t ˆ t0 exp [D=kT]
dove D eÁ la barriera di anisotropia e t0 il tempo
medio richiesto alla magnetizzazione per saltare
da una buca di potenziale all'altra (fig. 2).
Un oggetto classico puoÁ rilassare solo seguendo la legge di Arrhenius di eq. 1. Un oggetto
quantistico puoÁ anche rilassare per effetto tunnel passando sotto la barriera, con un meccanismo che eÁ indipendente dalla temperatura.
All'inizio degli anni '90 l'attenzione sulla possibilitaÁ di osservare rilassamento di un magnete
mesoscopico per effetto tunnel era molto grande ( 8). Era peroÁ difficile trovare sistemi adatti a
fornire la prova dell'esistenza di questo meccanismo percheÁ per poter osservare l'effetto tunnel eÁ necessario effettuare o misure su singole
particelle o su un insieme di particelle identiche.
PoicheÁ gli effetti quantistici scalano esponenzialmente con le dimensioni delle particelle
eÁ necessario avere un controllo particolarmente
elevato sulla dispersione delle particelle. D'altra
parte misure su una singola particella erano, e
sono ancora oggi, difficili.
All'inizio degli anni '90 fu scoperto che una
molecola contenente dodici ioni manganese,
mostrata in fig. 3, Mn12ac ( 9), ha uno spin S ˆ 10
nello stato fondamentale e la sua magnetizzazione rilassa lentamente tanto che a 2 K il
tempo di rilassamento diventa dell'ordine di alcuni mesi (10). A quelle temperature la molecola
si comporta quindi come un piccolo magnete, di
dimensioni estremamente ridotte. Per questo
tipo di comportamento fu coniata una nuova
espressione, Single Molecule Magnet, SMM.
L'espressione non eÁ del tutto corretta perche un
magnete eÁ caratterizzato da una divergenza
nella lunghezza di correlazione e questo non eÁ
chiaramente possibile in un sistema con solo
dodici centri magnetici. Comunque il termine
ben rappresenta la peculiaritaÁ di questi sistemi
ed eÁ entrato nell'uso comune.
Fig. 3. ± Struttura dell'archetipo dei magneti a singola molecola. Il cluster Mn12ac, [Mn 12O 12(CH3COO) 16(H2O) 4]. Gli ioni Mn3+ sono rappresentati in
verde, i Mn 4+ in ocra e gli ossigeni in rosso. Le frecce
indicando l'orientazione relativa degli spin nello stato
fondamentale S ˆ 10.
L'origine del rilassamento lento nel cluster
Mn12ac eÁ associata ad un' elevata anisotropia
magnetica con direzione preferenziale corrispondente all'asse tetragonale del cristallo ( 11).
Se si guarda in dettaglio la struttura si vede che
ci sono otto ioni manganese(III), S ˆ 2, che
formano un anello a otto termini, e un tetraedro
di ioni manganese(IV), ciascuno con S ˆ 3/2. Gli
ioni manganese(III) sono facilmente identificabili nella struttura percheÁ hanno una coordinazione ottaedrica elongata, come atteso a causa
della distorsione Jahn-Teller di uno ione d 4. I
cluster cristallizzano tutti con l'asse facile parallelo all'asse tetragonale del cristallo.
In prima approssimazione la separazione dei
livelli del multipletto di spin fondamentale in
campo nullo eÁ descritta dall'hamiltoniano:
(2)
H an ˆ ÿ DSz2
dove D eÁ il parametro, detto di Zero Field
Splitting (ZFS), che descrive l'anisotropia assiale. Gli stati corrispondenti hanno energie
E(M) ˆ ÿ DM 2, dove M eÁ la componente di S
lungo l'asse di quantizzazione, in questo caso la
direzione di facile magnetizzazione. Evidenze
varie hanno mostrato che lo stato fondamentale
S ˆ 10 eÁ scisso in campo zero in modo tale che le
componenti M ˆ 10 hanno energia piuÁ bassa,
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IL NUOVO SAGGIATORE
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Fig. 4. ± Schema dei livelli energetici del multipletto
fondamentale, S ˆ 10 in campo nullo (in alto) in presenza di un campo applicato lungo l'asse di facile magnetizzazione (in mezzo) e nel caso che venga applicato un campo magnetico H ˆ 2D=gm B . I meccanismi
termicamente attivati sono indicati da frecce rosse
mentre in verde eÁ indicato l'effetto tunnel.
fig. 4. Il campione viene preparato a bassa temperatura in una delle due buche di potenziale
applicando un campo magnetico lungo l'asse
facile. Quando il campo eÁ rimosso il sistema rilassa interagendo con fononi per raggiungere la
sommitaÁ della barriera e poi discendendo nell'altro pozzo. Questo corrisponde ad un comportamento termicamente attivato come richiesto dall'eq. (1). Per questo aspetto il comportamento eÁ analogo a quello di un superparamagnete.
Se si fa variare lentamente il campo magnetico in modo ciclico si osserva un andamento
isteretico che eÁ dovuto al rilassamento lento
della magnetizzazione. A differenza di un superparamagnete si osservano peroÁ degli scalini
in corrispondenza di campi applicati che soddisfano la relazione:
(3)
Hn ˆ n
D
,
gmB
dove n ˆ 0, 1,... Questi valori del campo sono
quelli ai quali coppie di livelli con valori diversi
di M diventano accidentalmente degeneri. Ad
esempio per n ˆ 0 tutte le coppie di livelli M
sono in prima approssimazione degeneri. In
queste condizioni il rilassamento della magnetizzazione puoÁ avvenire non solo tramite il
processo termicamente attivato ma anche attraverso l'effetto tunnel, detto per questo tunnel
risonante ( 12,13). Questo fa sõÁ che per valori del
campo che soddisfano la (3) si abbia un tempo
di rilassamento comparativamente piuÁ breve e
quindi si osservi uno scalino nella curva di magnetizzazione, come mostrato in fig. 5.
Questa osservazione sperimentale ha sollecitato notevoli sforzi per comprendere l'origine teorica dell'effetto tunnel ( 11). Per poter osservare l'effetto tunnel eÁ necessario che i livelli
M siano mescolati e quindi che siano presenti
termini nell'hamiltoniano di spin che non commutino con il termine che descrive l'anisotropia
assiale. L'applicazione di un campo magnetico
trasverso ha sicuramente questo effetto, ma se
siamo interessati ad un puro meccanismo di
tunnel dobbiamo considerare il mescolamento
dei due stati piuÁ profondi nel pozzo, ovvero
M ˆ 10. In questo caso una semplice teoria
delle perturbazioni ci dice che questa eÁ efficace
solo all'ordine 2S. Sono percioÁ dominanti gli
effetti intrinsechi di ansiotropia trasversa. In
effetti nella simmetria tetragonale cioÁ puoÁ avvenire solo introducendo termini di quart'ordine
in S x e Sy in uno sviluppo multipolare del potenziale. La presenza di effetti esadecupolari eÁ
stata messa in evidenza con tecniche di risonanza paramagnetica elettronica, EPR.
I termini di quart'ordine non sono comunque
Fig. 5. ± Isteresi magnetica ossservata in un cristallo
di Mn12ac a T ˆ 2:1 K applicando il campo magnetico
lungo l'asse facile.
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Fig. 6. ± Struttura del cluster Fe8. Gli ioni Fe 3‡ sono
riportati in ocra, l'ossigeno in rosso e l'azoto in blu. Le
piccole sfere bianche rappresentano gli atomi di idrogeno legati ad ossigeno ed azoto. Le frecce indicano
l'orientazione relativa degli spin nello stato fondamentale S ˆ 10.
sufficienti a giustificare in maniera quantitativa
gli effetti osservati sperimentalmente, ed altri
meccanismi sono stati suggeriti cooperare con
quelli di anisotropia tetragonale. Alcuni autori
hanno suggerito che ci possa essere disordine
nei monocristalli di Mn12ac sotto forma di dislocazioni ( 14). Comunque evidenza di disordine
eÁ stata trovata in un'indagine di diffrazione X a
bassa temperatura, che ha mostrato la presenza
di almeno 5 tipi di isomeri distorti di Mn12ac
dovuti a interazioni di legame a ponte d'idrogeno con molecole di acido acetico di cristallizzazione ( 15). Altri effetti sono dovuti alle
interazioni dipolari con altre molecole di
Mn12ac presenti nel reticolo cristallino.
Il cluster Mn12ac, eÁ certamente interessante
anche per le prospettive di immagazzinarvi informazione, ma il tempo di rilassamento della
magnetizzazione diventa cosõÁ lungo a bassa
temperatura che rende impossibile osservare
sperimentalemente il regime di effetto tunnel
puro. Questo regime eÁ stato invece direttamente
osservato in un'altra molecola, generalmente
indicata come Fe8, fig. 6.
La molecola contiene otto ioni ferro(III),
S ˆ 5/2, e , in modo del tutto casuale, ha anch'essa S ˆ 10 nello stato fondamentale come il
Mn12ac. A differenza di quest'ultimo peroÁ la
simmetria eÁ C 1 e l'anisotropia trasversa compa-
re giaÁ nei termini di quadrupolo del potenziale.
Inoltre l'altezza della barriera eÁ ridotta dai 65 K
di Mn12ac a circa 20 K. In effetti sotto i 300 mK,
il tempo di rilassamento della magnetizzazione
di Fe8 eÁ indipendente dalla temperatura come
atteso per l'effetto tunnel ( 16).
Numerosi studi sono stati effettuati sul Fe8.
Di particolare importanza sono stati queli che
hanno messo in evidenza il ruolo dei nuclei nel
rilassamento della magnetizzazione a bassa
temperatura. In effetti fin qui abbiamo trascurato il fatto che nei composti studiati sono
presenti anche nuclei magnetici. Al di laÁ dei
protoni, deuteroni e 13C, ubiquitari in composti
organici, nel Mn12ac sono anche presenti nuclei
55
Mn che hanno uno spin nucleare = 5/2 e hanno
abbondanza naturale del 100%. Nel Fe8 sono
presenti anche 14N, 78, 81Br e 57Fe, quest'ultimo
con un'abbondanza naturale solo del 2,12% e
I ˆ 1=2. Misure di rilassamento magnetico effettuate su Fe8 standard e su derivati arricchiti
rispettivamente in deuteroni e in 57Fe, hanno
mostrato che la velocitaÁ di rilassamento della
magnetizzazione scala con il momento magnetico dei nuclei, dimostrando che l'interazione iperfine tra gli elettroni di Fe8 e i nuclei
magnetici ha un ruolo importante nel meccanismo di tunnel ( 17). L'accoppiamento con i nuclei fa sõÁ che i livelli M e M 0 coinvolti nel meccanismo di tunnel diano origine a stati iperfini
che formano in pratica due bande. Queste
bande sono molto piuÁ larghe della larghezza
naturale degli stati dovuta alla frequenza di
tunnel. L'effetto tunnel puoÁ essere osservato se
le due bande hanno almeno una sovrapposizione parziale.
Un altro effetto importante che eÁ stato osservato nel Fe8 eÁ l'oscillazione della scissione di
tunnel (tunnel splitting) in presenza di un
campo trasversale variabile ( 18). Questo fenomeno eÁ un illustrazione della fase di Berry che
riguarda la variazione di fase della funzione
d'onda in un circuito chiuso costituito da due
possibli cammini diversi ( 19). In un sistema magnetico il vettore S puoÁ essere orientato parallelo o antiparallelo alla direzione dell'asse facile, z. Applicando un campo magnetico variabile
lungo la direzione dell'asse duro, x, si attiva la
rotazione del vettore S che puoÁ avvenire nel
piano yz seguendo due cammini diversi. La fase
di Berry determina un'interferenza che puoÁ essere distruttiva o costruttiva. In particolare si ha
interferenza distruttiva quando la superficie
racchiusa dai due percorsi eÁ uguale a kp=S con k
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IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 7. ± A sinistra: uno spin semiclassico diretto lungo A per raggiungere la posizione B puoÁ percorrere due
traiettorie. A secondo del valore del campo applicato lungo x (asse duro di magnetizzazione) le due traiettorie
possono avere interferenza costruttiva o distruttiva. A destra; separazione in energia, misurata sperimentale per il
cluster di Fe8, fra lo stato fondamentale e quello quasi degenere fra cui avviene il tunnelling in funzione del campo
applicato lungo x. Le tre curve corrispondono a diverse condizioni di risonanza, la rossa in campo longitudinale nullo,
la blu per H z ˆ D=gmB la verde per Hz ˆ 2D=gmB .
30
dispari (20). I risultati sperimentali sono mostrati
in fig. 7. Gli esperimenti sono stati effettuati
misurando la velocitaÁ di rilassamento nel regime
di tunnel su monocristalli di Fe8 con un campo
statico applicato lungo z e uno variabile lungo x.
I campi applicati lungo z corrispondevano ai
valori H 0, H1 e H2 dove i pedici sono definiti
dall'eq. (3). I dati di fig. 7 mostrano chiaramente
effetti di paritaÁ, percheÁ i valori di H x che determinano i minimi nella scissione di tunnel per
H 0 e H2 corrispondono ai massimi osservati per
H1 e viceversa.
La ricerca sui SMM eÁ continuata lungo diverse
direzioni, tendenti ad aumentare le temperature
di bloccaggio della magnetizzazione da un lato e
dall'altro a sviluppare gli effetti quantistici. Il
primo obiettivo corrisponde all'idea di usare le
SMM per immagazzinare informazione in modo
classico, il secondo sfruttando gli aspetti quantistici. Per quanto riguarda il primo punto va
subito detto che solo recentemente si eÁ riusciti
ad innalzare la temperatura di bloccaggio a
4K ( 21). In compenso si eÁ riusciti ad ottenere sistemi contenenti un alto numero di centri magnetici interagenti che stanno spostando le dimensioni degli SMM verso le dimensioni delle
nanoparticelle magnetiche, come nel caso di un
cluster che contiene 84 ioni di Mn III (22).
Una strategia alternativa per raggiungere
temperature di bloccaggio piuÁ alte puoÁ essere
quella di passare dai sistemi zero-dimensionali
ai sistemi monodimensionali, cioeÁ dai quantum
dot ai quantum wire. EÁ necessario sintetizzare
polimeri magnetici caratterizzati da elevata
anistropia magnetica di tipo Ising e che siano
ben separati gli uni dagli altri, per evitare che il
regime di bassa temperatura sia dominato dalle
debole interazioni fra catene con una transizione a magnete massivo. Il primo sistema monodimensionale scoperto dare luogo a rilassamento lento della magnetizzazione eÁ stato sintetizzato mettendo insieme due tipi diversi di
mattoni magnetici ( 23). In effetti si eÁ usato un
mattone contenente come centro magnetico uno
ione di un metallo di transizione legato ad un
legante organico, M(hfac) 2: in questo mattone il
metallo ha ancora due posizioni libere per legarsi ad altri leganti. La scelta del legante organico eÁ stata fatta per aumentare la reattivitaÁ
dello ione metallico verso leganti addizionali.
Inoltre un gruppo hfac - contiene due gruppi CF3
ingombranti che minimizzano le interazioni laterali tra le catene. Il secondo mattone scelto eÁ
un radicale nitronil nitrossido analogo a quello
riportato in fig. 1. I due atomi di ossigeno, sui
quali c'eÁ un'elevata densitaÁ di spin, possono le-
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da probabilitaÁ relative diverse:
dove il q eÁ un parametro che tien conto della
Fig. 8. ± Struttura del sistema molecolare monodimensionale [CoPhOMe]. Gli ioni Co 2‡ sono riportati in
blu, l'ossigeno in rosso, l'azoto in azzurro ed il fluoro
in verde. Le frecce indicano la struttura ferrimagnetica generata dal forte accoppiamento antiferromagnetico fra lo spin 12 del radicale e quello dello
ione metallico.
garsi ciascuno ad uno ione metallico diverso,
formando un polimero magnetico come schematizzato in fig. 8. Le interazioni di scambio tra i
centri metallici e i radicali sono molto forti ed in
genere antiferromagnetiche. Se si scelgono ioni
metallici con S 6ˆ 1=2 il risultato saraÁ un ferrimagnete monodimensionale. In effetti questi sistemi sono stati trovati comportarsi come magneti monodimensionali quasi perfetti, con debolissime interazioni inter-catena. L'anisotropia
del sistema eÁ determinata dall'anisotropia del
metallo, perche il radicale eÁ praticamente isotropo. Se si usa M ˆ Co II si introduce un'anisotropia di tipo Ising e si osserva rilassamento
lento della magnetizzazione, senza transizione a
ordine magnetico tridimensionale. Il sistema,
CoPhOMe, si comporta quindi come un SMM,
dando anche luogo a isteresi magnetica di origine molecolare. Per analogia ai SMM questi sistemi sono stati indicati come Single Chain
Magnets, SCM ( 24).
Il rilassamento lento della magnetizzazione in
SCM eÁ stato razionalizzato ricorrendo alla dinamica di Glauber. Si tratta di una teoria enunciata negli anni sessanta dal premio Nobel per
descrivere la dinamica di spin di un ferromagnete monodimensionale ( 25), che peroÁ non era
mai stata applicata a sistemi magnetici reali
perche questi ultimi non erano disponibili. L'idea alla base della dinamica di Glauber eÁ legata
alla probabilitaÁ, p, di invertire il verso di uno
spin in una catena in cui sono operative solo
interazioni di tipo Ising a primi vicini. Ci sono
tre tipi diversi di transizione in funzione dell'orientazione relativa dello spin caratterizzate
velocitaÁ di flipping degli spin in assenza di interazione e il fattore g dipende dalla forza dell'interazione a primi vicini e dalla temperatura:
(4)
g ˆ tanh (2 J=k B T):
Partendo da un sistema a saturazione, con tutti
gli spin paralleli, ad ogni sito k la magnetizzazione si inverte con un costo energetico equivalente a violare due interazioni, cioeÁ il fenomeno avviene superando una barriera D ˆ 4J. Il
tempo di rilassamento della magnetizzazione
segue una legge di Arrhenius, cioeÁ del tipo riportato in eq. (1). La barriera nei SCM eÁ potenzialmente piuÁ grande che negli SMM percheÂ
per i primi eÁ determinata dalla costante di accoppiamento che in alcuni casi, come nel CoPhOMe, puoÁ essere grande. Se si confrontano i
tempi di rilassamento di Mn12ac e CoPhOMe si
vede che il primo rilassa piuÁ lentamente tra 20 K
e 10 K, mentre al di sotto di questa temperatura eÁ
il sistema monodimensionale a rilassare piuÁ
lentamente. Questo eÁ dovuto ai valori di barriera
e di fattore pre-esponenziale misurati per i due
sistemi, riportati in tabella I.
Tabella I. Ð Fattore pre-esponenziale e barriera nei
due archetipi di SMM e SCM.
Mn12ac
CoPhOMe
t 0 …S†
D=k (K)
2 10ÿ7
3 10ÿ11
62
152
L'aumento della barriera in CoPhOMe eÁ compensato dal valore piuÁ piccolo del fattore preesponenziale. Sfortunatamente i parametri che
influenzano il fattore pre-esponenziale non sono
ancora stati chiariti.
Altre questioni restano ancora da comprendere pienamente. Ad esempio, la lunghezza di
correlazione in un sistema di Ising monodimensionale aumenta esponenzialmente al diminuire della temperatura. In queste condizioni
31
IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 9. ± Meccanismi di rilassamento della magnetizzazione in magneti a singola catena a partire
dallo stato di saturazione (a). La nucleazione puoÁ avvenire all'interno di un segmento (b) o al bordo (c) con
un costo energetico dimezzato. In questo caso il rilassamento procede attraverso un processo di nucleazione, propagazione e annichilazione, ma a bassa
temperatura e per segmenti brevi puoÁ essere competitivo un processo collettivo (d).
32
anche deboli interazioni tra le catene, come ad
esempio le interazioni di dipolo magnetico, dovrebbero essere sufficienti a determinare la
transizione ad ordine a lungo raggio. Per superare questa contraddizione eÁ stato suggerito che
i difetti possano avere un ruolo importanti. In
effetti eÁ ben conosciuto che i sistemi monodimensionali reali sono molto sensibili ai difetti,
percheÁ una rottura nella catena non puoÁ essere
evitata percorrendo sentieri di scambio alternativi, come invece succede in sistemi bi- e tridimensionali.
In effetti la dinamica di Glauber eÁ molto sensibile alla presenza di impurezze diamagnetiche
nelle catene. Questo lo si apprezza immediatamente, come mostrato in fig. 9, se ci si concentra
su uno spin vicino ad un impurezza diamagnetica: l'energia spesa per invertire la magnetizzazione non eÁ piuÁ 4 J, ma 2 J, perche si
deve rompere un solo legame. Ovviamente l'inversione della magnetizzazione costeraÁ meno
energia se parte da un sito vicino ad un difetto
ma questi sono in numero molto minore, Si os-
serveranno cosõÁ due distinti regimi in funzione
della temperatura e della quantitaÁ di difetti
presenti. Indicando con L la lunghezza media tra
due difetti, i due regimi dipendono dai valori
relativi di L e della lunghezza di correlazione tra
gli spin, j. Se L j, ovvero in regime di alta
temperatura, l'inversione degli spin inizia da un
sito casuale e la barriera eÁ 4 J. Viceversa quando
j L, regime di bassa temperatura, l'inversione
avviene di preferenza al sito difettivo e la barriera diventa 2 J. Perche il meccanismo sia efficiente eÁ necessario che la parete nucleata a un
estremo del segmento raggiunga l'altro estremo.
Il numero di passi necessario eÁ proporzionale a
L, e cosi anche il tempo di rilassamento ( 26). A
bassa temperatura e per segmenti brevi esiste la
possibilitaÁ di un meccanismo competitivo che
corrisponde ad un moto collettivo di tutti gli
spin del segmento e che quindi non dipende da
J. Una schematizzazione dei diversi regimi eÁ riportata in fig. 9.
Se le difficoltaÁ nell'incrementare la temperatura di bloccaggio di SMM e SCM stanno rallentando la transizione di questo settore ad una
fase applicativa, da un punto di vista fondamentale nuovi orizzonti di ricerca si sono aperti
per questi sistemi. Materiali magnetici nanostrutturati, come per esempio i multistrati, hanno
mostrato proprietaÁ di magnetotrasporto veramente eccezionali, quali la magnetoresistenza
gigante su cui si basano le attuali testine di lettura
degli hard disk. La continua tendenza alla miniaturizzazione ha portato ad investigare l'utilizzo
di magneti a singola molecola in dispositivi per
quella che viene comunemente detta ``spin-tronica''( 27). Recentemente eÁ stato predetto che le
caratteristiche degli SMM, ed in particolare la
peculiare dipendenza del tempo rilassamento dal
campo magnetico applicato, possano riflettersi
nella conducibilitaÁ elettrica(28).
Fig. 10. ± Schema di una giunzione nanometrica per le
misure di trasporto attraverso una molecola. I due
elettrodi di oro funzionano da source e drain. Un
sottostante strato di alluminio ossidato superficialmente funziona da gate. La giunzione nanoscopica
puoÁ essere ottenuta per deformazione meccanica o per
elettromigrazione.
R. SESSOLI E D. GATTESCHI: MAGNETISMO MOLECOLARE: STRUTTURE MESOSCOPICHE E NANOSCOPICHE
Fig. 11. ± Immagine topografica di una superfice di Au(111) dove sono state depositate molecole di Mn12 funzionalizzate con gruppi ±S-CH 3 ottenuta con un microscopio a scansione ad effetto tunnel (STM). Le dimensioni dei
rilievi corrispondono a quelle del cluster depositato.
Questi materiali, costituiti da cristalli molecolari, sono in genere dei pessimi conduttori
elettrici ma la situazione eÁ totalmente diversa se
legami covalenti uniscono il nocciolo magnetico
della molecola direttamente agli elettrodi. Molecole opportunamente progettate possono essere inserite all'interno di giunzioni nanoscopiche e le proprietaÁ di trasporto della singola
molecola misurate anche in funzione del potenziale di un terzo elettrodo che agisce da gate.
Lo schema di questo sistema di misura eÁ riportato in fig. 10. Misure preliminari mostrano
una interessante dipendenza della conducibilitaÁ
differenziale dI/dV dal campo magnetico, altrimenti nota come spin blockade ( 29,30).
La versatilitaÁ indotta dalla natura molecolare
di questi oggetti ha permesso di modificare la
sfera esterna delle molecole inserendo sulla
parte organica gruppi funzionali capaci di interagire fortemente con substrati conduttori. Lo
stesso approccio ha permesso anche la deposizione di molecole isolate su superfici. Molecole
cosõÁ organizzate rappresentano il sistema ideale
per sviluppare la lettura della magnetizzazione
di una sola molecola attraverso microscopie a
scansione di sonda, le uniche che permettano
una risoluzione spaziale cosõÁ elevata.
La natura molecolare di questi sistema ha
anche degli svantaggi. La maggior parte degli
SMM non possono essere sublimati senza che i
legami coordinativi relativamente deboli vengano spezzati. Sono state percioÁ messe a punto
varie tecniche di deposizione alternative.
Molecole isolate possono essere ottenute
sfruttando un'interazione chimica con la superficie secondo la tecnica dell'auto-assemblamento di monostrati, anche conosciuto con
l'acronimo inglese SAM (Self-Assembled Monolayer). In questo caso la molecola eÁ collegata ad
un gruppo ancorante attraverso uno spaziatore,
Fig. 12. ± Schema del procedimento usato per ancorare magneti a singola molecola su superfici giaÁ funzionalizzate: il
legante, protetto per non reagire con la superfice viene ancorato sulla superficie di silicio utilizzando una reazione di
silanizzazione (1). L'aggiunta di un acido (2) rende le terminazioni capaci di coordinare il cluster (3) attraverso una
reazione di scambio dei leganti.
33
IL NUOVO SAGGIATORE
34
spesso una lunga catena alifatica. Il gruppo ancorante cambia a seconda della superficie a cui
si vuole ancorare la molecola d'interesse. Per
esempio i gruppi solforati hanno forte affinitaÁ
per le superfici d'oro e d'argento, mentre sulle
superfici di silicio terminate con idrogeni si
possono ancorare molecole con terminazioni
costituite da un legame C-C insaturo. In fig. 11 eÁ
mostrata una immagine della topografia di una
superfice (111) di oro su cui sono ancorate
molecole di un cluster di Mn12 funzionalizzate
con gruppi ±S-CH 3 (31). I gruppi spaziatori, attraverso deboli interazioni non covalenti, contribuiscono a dare un maggiore ordine e stabilitaÁ
al film che si forma.
Nano-organizzazioni tipo quella mostrata
precedentemente possono essere ottenute sia
facendo reagire direttamente le molecole funzionalizzate con la superficie, oppure coprendo
prima la superficie con un monostrato di molecole capaci di ``agganciare'' i cluster attraverso
una reazione di scambio dei leganti, come
schematizzato in fig. 12 ( 32).
Queste nuove nanostrutture magnetiche sono
estremamente interessanti per investigare il
ruolo giocato dall'intorno sulla dinamica della
magnetizzazione. Abbiamo visto in precedenza
che nel regime termicamente attivato i fononi
promuovono il superamento della barriera di
energia potenziale creata dall'anisotropia. Quale effetto ha un intorno cosõÁ diverso, rispetto al
reticolo cristallino, sull'accoppiamento spin-fonone? Ugualmente sensibile all'intorno eÁ il
meccanismo di tunnel della magnetizzazione e
sensibili differenze sono attese passando dall'intorno cristallino ad una superficie.
Purtroppo, sebbene le tecniche di indagine di
superficie basate su sonde a scansione abbiano
raggiunto una risoluzione ben superiore alle dimensioni dei SMM, la rivelazione locale del
magnetismo di queste molecole eÁ ancora un
obiettivo da raggiungere. L'utilizzo di magnetometri tradizionali, come quelli basati sui
dispositivi SQUID (Superconducting Quantum
Interference Device), non eÁ appropriato data
l'esigua quantitaÁ di materiale magnetico presente. Quest'ultima tecnica di indagine eÁ peroÁ in
rapida evoluzione, come recentemente mostrato
dall'uso di SQUID basati su nanotubi di carbonio
per poter rivelare il magnetismo di sistemi di
dimensioni nanometriche ( 33).
Concludendo possiamo dire che siamo ancora
agli stadi iniziali di questa nuova e stimolante
fase della ricerca nel magnetismo molecolare.
Sebbene potenziali applicazioni nella spin-tronica siano ancora limitate dalle basse temperature di bloccaggio della magnetizzazione dei
materiali, i magneti molecolari nanorganizzati
possono rappresentare sistemi ideali per investigare le correlazioni fra il trasporto elettronico
e le proprietaÁ magnetiche in strutture nanoscopiche rinnovando cosõÁ l'impatto che questi
sistemi hanno avuto sulla comprensione della
dinamica della magnetizzazione di sistemi nanoscopici.
***
Il campo del magnetismo molecolare non
avrebbe conosciuto un cosõÁ ampio sviluppo
senza il fondamentale contributo di tanti colleghi fisici che con grande entusiasmo hanno
guardato oltre le complicate formule chimiche
dei sistemi molecolari. A loro va la nostra sincera riconoscenza.
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CACCIA AL ``LADRO'' DI ANTIPROTONI
E. LODI RIZZINI, L. VENTURELLI e N. ZURLO
Dipartimento di Chimica e Fisica per l'Ingegneria e per i Materiali,
UniversitaÁ di Brescia, 25133 Brescia
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Gruppo Collegato di Brescia, 25133 Brescia
1. ± Introduzione
36
``... Scienza e limite, conoscenza e ignoto: la
tensione tra questi due poli, sempre presenti
insieme e simultaneamente, eÁ al cuore del fascino della ricerca'', M. Bersanelli ed E. Sindoni
``Alle colonne d'Ercole'' (Il Nuovo Saggiatore,
vol. 22, n o 3-4, (2006) p. 21. EÁ da questa riflessione che eÁ nato il desiderio di comunicare
in modo ``originale'' quanto da noi vissuto nei tre
anni che ci hanno condotto alla scoperta di cioÁ
che nell'apparato ATHENA ( 1) operante all'Antiproton Decelerator (AD) al CERN di Ginevra si eÁ prodotto oltre all'antiatomo di idro ( 2), vedi fig. 1, 2, 3.
geno, H
Fa piacere qui ricordare come il CERN di Ginevra sia stato teatro nei primi anni sessanta
della produzione della prima struttura dell'antimateria: quella del nucleo dell'antideuterio, cioeÁ l'antideutone ( 3).
Sicuramente affascinante ed intrigante eÁ la
situazione che ci ha portati a scoprire di aver
Fig. 1. ± Vista d'assieme dell'apparato ATHENA nella
sala sperimentale dell'Antiproton Decelerator al CERN
di Ginevra. Gli antiprotoni arrivano nella linea di fascio
da sinistra; sul fondo a destra vi eÁ la sorgente dei positroni. Il cilindro maggiore contiene il solenoide superconduttore che genera un campo di 3 T e permette di
raffreddare la regione centrale, vedi fig. 2, all'interno
del detector, (la cosiddetta ``camera di ricombinazione''
degli antiprotoni e dei positroni) alla temperatura di
circa 15 K con un vuoto migliore di 10ÿ11 Torr.
Fig. 2. ± In alto, schematizzazione della rivelazione
contemporanea dell'annichilazione dell'antiprotone e
del positrone a seguito dell'interazione di un antiatomo di idrogeno, che puoÁ annichilare solo per collisione con atomi o molecole, con la parete della
trappola di ricombinazione. Al centro schema del potenziale elettrostatico presente all'interno della
trappola. Sono presenti 10 4 antiprotoni e 108 positroni
(lunghezza complessiva qui rappresentata 20 cm). In
basso la parte centrale della trappola elettromagnetica dell'apparato ATHENA circondata da due
strati di microstrip per ricostruire le traiettorie dei
mesoni carichi prodotti nell'annichilazione dell'antiprotone e da 16 array di 12 cristalli per rivelare i fotoni
da 511 keV dell'annichilazione del positrone, come
nello schema in alto.
E. LODI RIZZINI, L. VENTURELLI E N. ZURLO: CACCIA AL ``LADRO'' DI ANTIPROTONI
Fig. 4. ± Maschere, ma di chi eÁ il volto ed il profilo?
Come far cadere le maschere?
Fig. 3. ± L'evoluzione della distribuzione dei vertici ricostruiti dell'annichilazione degli antiprotoni allorche la
temperatura dei positroni eÁ la piuÁ bassa, circa 15 K ((a) e
(c)), e la piuÁ alta, circa 8000 K ((b) e (d)), eÁ ben documentata confrontando sia la loro ``vista'' nel piano (x; y)
normale al campo magnetico ed all'asse della trappola
((a) e (b)) sia il loro ``profilo'' in un diagramma (r; z) in
cui sono riportate, per ogni vertice, la coordinata z e la
distanza r dall'asse per lo stesso volume della camera
cilindrica di ricombinazione ((c) e (d)). La figura (c) ricorda un'anatra in volo vista dall'alto con le ali dispiegate
e il collo a sinistra della figura.
involontariamente prodotto accanto all'antiatomo di idrogeno anche il protonio, Pn, sistema
legato pp detto anche idrogeno antiprotonico, a
seguito della prima reazione chimica tra materia
e antimateria e di cui abbiamo dato notizia in
PRL ( 4). A questa scoperta siamo giunti attraverso una serie di ``colpi di scena'' degni del
miglior giallo. E, come in tutti i gialli, si tratta di
scoprire il ``volto'' del colpevole attraverso lo
studio del suo ``profilo'', fig. 4;.
Di chi saraÁ il ``volto''? Ed il suo ``profilo'' perche eÁ
cosõÁ strano?! Cosa celano le maschere? PercheÂ
cosõÁ diverse, cosõÁ variabili tra ``inverno'' (15K,
temperatura della nuvola di positroni ``freddi'') ed
``estate'' (8000 K, la piuÁ alta temperatura cui abbiamo portato la nuvola di positroni) ? ``L'aureola''
dell'antiidrogeno che annichila sulla parete della
camera c'eÁ ``d'inverno'' (15K) e scompare quanto
piuÁ si va verso ``l'estate'' (8000 K)! Oltretutto noi
sapevamo di essere in grado di produrre l'aureola
di antiidrogeno senza produrre nulla al centro.
Che cosa avevano colpito di cosõÁ diverso d'inverno
e d'estate i ``pallini'' antiprotoni all'interno della
camera di ricombinazione? Come era possibile
che avvenisse cioÁ che palesemente potevamo osservare?
2. ± Caccia aperta
Ma partiamo dall'inizio. L'esperimento
ATHENA aveva giaÁ per primo formato nel 2002
gli atomi freddi di antiidrogeno nello stesso apparato sperimentale che adesso eÁ teatro di
questa nuova scoperta. Il ``marchio D.O.C.'' della
produzione dell'antidrogeno eÁ dato dalla presenza di 2 fotoni aventi particolari caratteristiche che vengono emessi negli eventi di annichilazione con la materia incontrata. I due fotoni
sono emessi con direzioni opposte e hanno
energia di 511 keV e cosõÁ sono visti dal rivelatore
apposito in ATHENA (fig. 2 in alto). La bassa
efficienza del singolo cristallo alla rivelazione
del fotone da 511 keV comporta peraltro che la
contemporanea rivelazione di entrambi i fotoni
sia solo una piccola percentuale del campione
completo. La distribuzione caratteristica dell'angolo dei fotoni emessi (cos gg, coseno dell'angolo tra i due fotoni) eÁ riportata in fig. 5 e
risulta in ottimo accordo con quella del Monte
Carlo di simulazione dell'apparato.
La scoperta dell'antidrogeno riportata da
ATHENA eÁ apparsa sulla rivista ``Nature'' nel
settembre 2002 ( 2);. Tra le figure ivi riportate
compare in particolare la distribuzione speri-
37
IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 5. ± La tipica distribuzione del coseno dell'angolo
tra due fotoni nelle annichilazioni di antiatomi di
idrogeno, cioeÁ cos gg ÿ1, eÁ ben evidente allorche si
utilizzano solo i vertici in prossimitaÁ della parete
(r > 1 cm ad esempio, linea nera), mentre nessun
``picco'' in cos gg ÿ1 si osserva quando gli eventi di
annichilazione avvengono in prossimitaÁ dell'asse dell'apparato (r < 0:5 cm, linea rossa).
38
mentale delle coordinate x; y (perpendicolari
all'asse di simmetria dell'apparato) delle annichilazioni di antiprotoni.
In questa vista ``frontale'', oltre agli eventi
dovuti principalmente alle annichilazioni di antiidrogeni sulla parete laterale della camera di
ricombinazione (corrispondente a una circonferenza di 1,25 cm di raggio), appare un ``blob'' di
eventi nella zona centrale, fig. 3a e fig. 3b. A
cosa sono dovuti questi eventi? Questa ``faccia''
a chi appartiene? Per capirlo conviene guardare
anche il ``profilo'' e cioeÁ gli stessi eventi ma in
una
rappresentazione
r; z dove r eÁ il raggio
p

2
2
Á
( x ‡ y ) e z e la coordinata lungo l'asse della
camera. Lo strano profilo, che ricorda il collo di
un'anatra, fig. 3c, mostra eventi a basso r che si
trovano in una stretto intervallo in z (tra ÿ 0.5 e
‡ 0.5 cm). Questo intervallo in realtaÁ si allarga al
crescere della temperatura dei positroni (che
sono situati al centro dell'apparato, r < 0:25 cm
e z tra ÿ 1.6 e ‡ 1.6 cm), fig. 3d. Questo strano
profilo ha peraltro suggerito di confrontare le
diverse distribuzioni radiali dei vertici di annichilazione. Come indicato in fig. 6 vi eÁ una notevole diversitaÁ tra la distribuzione radiale di
eventi che appartengono all'intevallo centrale in
z e quella di eventi che si trovano fuori dall'intervallo. Bisognava quindi chiaramente rendere conto di questi eventi che non sono in alcun modo riconducibili ad annichilazioni di antiatomi di idrogeno sulla parete.
In un primo tempo abbiamo pensato che
questi eventi fossero dovuti ad antiprotoni
Fig. 6. ± Distribuzione radiale (dN=dr) nel caso di
bassa temperatura dei positroni (15 K). La linea rossa
si riferisce alla regione del ``collo d'anatra'' (in particolare in questo caso si eÁ scelto un intervallo Dz ˆ 5
mm centrato attorno a z ˆ 0), la linea nera si riferisce
ad una regione al di fuori di essa (stesso Dz di prima,
centrato attorno a z ˆ 1 cm).
``esterni'' alla nuvola di positroni che, intrappolati dal campo elettrico e dal campo magnetico, come in fig. 2, annichilassero in ``volo''
su atomi o molecole del gas residuo presente
nella trappola. Un gran numero di antiprotoni,
dopo aver perso parte della loro energia nell'attraversamento della nuvola di positroni,
possono finire nelle due buche di potenziale
(L.W. e R.W.) che si trovano lateralmente alla
nuvola di positroni. Ma in realtaÁ non si osservano annichilazioni in volo in queste regioni
spaziali, ove comunque sarebbero presenti atomi o molecole neutre del gas residuo. Questa
prima ipotesi andava quindi esclusa.
Restava la possibilitaÁ che l'annichilazione
degli antiprotoni in volo avvenisse su ioni positivi del gas residuo, ioni che in quanto elettricamente carichi sarebbero confinati in zone
limitate della trappola. Ma nuovamente non si
riuscivano a riprodurre le distribuzioni dei punti
di annichilazione. Era pressoche impossibile riprodurre la distribuzione delle annichilazioni in
vicinanza della parete cosõÁ profondamente diverse a 8000 K ed a 15 K.
Ma se questi eventi non erano annichilazioni
di antiidrogeno e nemmeno di antiprotoni in
volo su nuclei del gas residuo, allora cosa potevano essere?
3. ± Identikit dell'ospite inatteso
Gli eventi ``incriminati'' risultavano nel caso di
temperatura dei positroni di 15 K confinati in z e
E. LODI RIZZINI, L. VENTURELLI E N. ZURLO: CACCIA AL ``LADRO'' DI ANTIPROTONI
diffusi in r. Forse sono annichilazioni di sistemi
neutri liberi di volare ma formati con caratteristiche particolari?
Campi elettrici e magnetici agiscono peraltro
su dipoli elettrici. In letteratura si trovano sufficienti informazioni sui possibili dipoli elettrici
che la nostra camera di ricombinazione poteva
produrre. La temperatura intorno a 15 K della
nostra trappola ci portava a considerare come
piuÁ probabili ioni di idrogeno o di elio. L'antiprotone poteva forse interagire con questi ioni
formando un sistema neutro metastabile.
Il ``volto'' ed il ``profilo'' dell'ospite sconosciuto presente nella trappola elettromagnetica
di ATHENA acquisivano cosõÁ un ben diverso significato, coinvolgendo non solo la sua vita
media ma anche la sua velocitaÁ ed il luogo di
nascita, dato che da queste dipendeva poi dove
statisticamente poteva morire per annichilazione reciproca dei costituenti, o per loro collisione con la parete della trappola.
Il primo anno delle nostre riflessioni si era
concluso con l'esclusione dell'ipotesi piuÁ probabile all'inizio (cioeÁ l'annichilazione in volo di
antiprotoni) e con un orizzonte ancor piuÁ vasto.
A farci restringere questo orizzonte contribuõÁ
in modo decisivo il ``becco'' del ``collo dell'anatra''. Quando la temperatura dei positroni eÁ di
15 K, la distribuzione dei vertici delle annichilazioni nella regione piuÁ vicina all'asse della
trappola, e dunque ai positroni (che si estendono per circa 1 mm radialmente dall'asse centrale
attorno cui ruotano come un tutt'uno), appare
estremamente contenuta lungo l'asse z, al piuÁ
qualche millimetro.
Era in quella regione che si formava un oggetto,
con la presenza dell'antiprotone, che poteva allontanarsene perche elettricamente neutro.
Se la distribuzione a ``collo d'anatra'' con il
suo becco ci suggeriva queste riflessioni, la distribuzione dei vertici di annichilazione a 8000 K
indicava come percorrere la strada giusta. In
fig. 7 eÁ mostrato in modo chiaro un andamento
esponenziale, tipico di oggetti animati da una
velocitaÁ iniziale e che muoiono con una sola vita
media.
Peraltro anche la distribuzione in densitaÁ radiale a 15 K (fig. 7) daÁ la stessa indicazione anche se la presenza dell'annichilazione dell'antiidrogeno sulla parete si sovrappone considerevolmente a quella dell'ospite misterioso,
che risulta avere una probabilitaÁ di produzione
inferiore in queste condizioni della nuvola di
positroni.
Fig. 7. ± DensitaÁ radiali dei vertici di annichilazione
(dN=(r dr)) per una temperatura dei positroni di
8000 K, a sinistra, e di 15 K, a destra. In questo secondo caso, la linea verde corrisponde alla densitaÁ
radiale per la distribuzione in rosso in fig. 6, mentre
quella azzurra corrisponde alla densitaÁ radiale per la
distribuzione in nero in fig. 6.
A questo punto della vicenda la presenza dei
positroni acquistava rilevanza ed appariva determinante per comprendere le caratteristiche
originali dell'ospite misterioso. La nuvola dei
positroni a 15 K si caratterizza per una certa
frequenza di rotazione v attorno all'asse z, direzione del campo magnetico, e per la sua temperatura.
Il secondo anno della nostra avventura inizioÁ
con il tentativo di riprodurre i vertici di annichilazione immaginando che l'antiprotone si
unisse ad uno ione positivo nella regione dei
positroni e che entrambe le cariche fossero in
equilibrio termodinamico con questi. La distribuzione Maxwelliana della velocitaÁ convoluta con quella superficiale di rotazione permetteva di ottenere distribuzioni dei punti di
annichilazione del dipolo, che riproducevano
quelle sperimentali, se gli si attribuiva una vita
media dell'ordine del microsecondo, come ben
illustrato nella fig. 8.
Questa vita media risulta indipendente dalla
temperatura dei positroni e risulta essere in ottimo accordo sia con vite medie misurate sperimentalmente che valutate fenomenologicamente per sistemi in cui l'antiprotone eÁ legato ad
un protone o all'elio He ‡ (5).
Finalmente eravamo riusciti ad ottenere una
buona ``ombra'' dell'ospite inatteso nella stanza
di ricombinazione. Non restava che ``far sfilare''
davanti a noi i possibili ospiti e mettere a confronto i loro ``dati segnaletici'' con alcuni elementi in nostro possesso grazie alle caratteristiche del rivelatore ATHENA. In effetti, sappiamo che l'annichilazione della coppia di particelle antiprotone-protone eÁ la sola a dar luogo
ad un numero pari di mesoni elettricamente
39
IL NUOVO SAGGIATORE
carichi per il principio di conservazione della
carica elettrica del sistema. La distribuzione di
probabilitaÁ del numero di mesoni carichi emessi
eÁ sperimentalmente ben nota. AllorcheÂ, viceversa, l'antiprotone annichila su un qualunque
altro nucleo, che sia il deutone o l'alfa, od uno
molto piuÁ pesante, vi eÁ una probabilitaÁ significativa che annichili su uno dei neutroni
presenti, anzicheÁ su un protone. In questo caso il
numero di mesoni carichi eÁ dispari. Di conseguenza, osservando un campione di annichilazioni di antiprotoni su nuclei, avremo una distribuzione di molteplicitaÁ del numero di mesoni
carichi diversa da quella del caso dell'annichilazione su protone.
La ``ricetta'' per fotografare l'ospite inatteso
era cosõÁ nelle nostre mani e l'abbiamo utilizzata
analizzando un buon numero di distribuzioni di
annichilazioni dell'antiprotone nell'apparato
ATHENA nelle piuÁ diverse condizioni sperimentali. Inequivocabilmente diverse erano le
distribuzioni di molteplicitaÁ dei mesoni carichi
emessi allorche l'annichilazione dell'antiprotone avveniva in volo, nel vuoto della camera di
ricombinazione, o sulle sue pareti. La tabella 1
riassume in modo chiaro questo risultato: le
annichilazioni in volo erano caratteristiche dell'annichilazione antiprotone-protone.
40
Tabella I. Ð Risultati sperimentali e risultati della
simulazione Monte Carlo per il numero di tracce relative a pioni carichi prodotti dall'annichilazione dell'antiprotone. R23 eÁ il rapporto tra vertici con due
tracce e con tre tracce.
Campione
R23 a parete
R23 al centro
positroni a 15 K
positroni a 8000 K
antiprotoni da soli
Monte Carlo pp
1,35 0,01
1,38 0,10
1,40 0,03
1; 19 0; 01
1,22 0,04
1,17 0,04
Ð
1; 19 0; 01
Alla fine del secondo anno d'indagine la domanda diventava quindi: come aveva fatto un
protone ad ``accoppiarsi'' all'antiprotone?
Fig. 8. ± In (a), schematizzazione della simulazione
Monte Carlo relativa al caso dei positroni con temperatura piuÁ alta (8000 K); a mo' d'esempio, viene illustrato un vertice di annichilazione con le tracce (dovute ai pioni carichi) provenienti da esso. In (b) e (c), i
risultati della simulazione Monte Carlo (rosso) sono
confrontati con i dati sperimentali (nero). In particolare in (b) si riporta la distribuzione radiale (dN=dr),
mentre in (c) si riportano le distribuzioni assiali
(dN=dz) al centro e a parete. La distribuzione di tutti i
vertici riproduce ottimamente le distribuzioni sperimentali.
4. ± Il complice dell'antiprotone
La possibile presenza di ioni H ‡
2 era stata documentata in altre trappole a seguito della ionizzazione di molecole di idrogeno ( 6,7). Inoltre
una specifica misura sulla possibile natura di
ioni positivi del gas residuo in ATHENA indicava
Á probabile.
lo ione H ‡
2 come il piu
E. LODI RIZZINI, L. VENTURELLI E N. ZURLO: CACCIA AL ``LADRO'' DI ANTIPROTONI
Il processo di attrazione coulombiana tra lo
ione dell'antiidrogeno, cioeÁ l'antiprotone, e lo
ione H‡
2 poteva essere la soluzione al nostro
quesito. Dove poteva accadere tale attrazione?
Valutazioni legate alla separazione centrifuga
tra ioni aventi massa diversa alla temperatura
di 15 K portavano a considerare gli ioni H‡
2
distribuiti sulla superficie del plasma di positroni. L'informazione sperimentale derivanteci
dal becco del collo dell'anatra determinava la
possibile distribuzione degli ioni H‡
2 come un
``anello'' equatoriale rotante con la stessa velocitaÁ angolare dei positroni sulla loro superficie.
La temperatura del plasma di positroni puoÁ
essere aumentata facendo oscillare la loro nuvola lungo l'asse della camera e noi l'abbiamo
fatto portando in tal modo la temperatura del
plasma sino a 8000 K. A questa temperatura
Á piuÁ limitata
la distribuzione degli ioni H‡
2 non e
ad una fascia equatoriale centrale come a 15 K.
Va sottolineato che a tali temperature la formazione di atomi, e di antiatomi, eÁ assai poco
probabile mentre una struttura come il protonio non risente apprezzabilmente di questa situazione.
Mentre noi speculavamo sui dati sperimentali di ATHENA, a nostra insaputa un teorico giapponese, Sakimoto, studiava l'interazione di antiprotoni proprio con ioni H‡
2, a
partire da qualche eV di energia cinetica (8 ).
Per tale via Sakimoto calcolava la probabilitaÁ di formazione del protonio e/o di dissociazione del sistema. L'energia cinetica dell'antiprotone doveva essere comunque tale da permettere una trattazione del processo in approssimazione adiabatica, con il moto relativo
dei due protoni non preso in considerazione. In
tale approssimazione la probabilitaÁ di formazione del protonio risultava comunque piuÁ alta
rispetto al caso in cui la collisione dell'antiprotone coinvolgesse la molecola neutra o l'atomo di idrogeno. Come ipotizzato da Sakimoto, per energia relativa tendente a zero del p e
dell H‡
2 , l'energia di rinculo viene assorbita
dall'atomo di idrogeno formatosi nello stato
fondamentale con piccola energia di rinculo del
protonio in una sorta di urto tra 3 biglie di ugual
massa, come nel ``pendolo di Newton''. L'energia cinetica del protonio eÁ quindi dovuta
interamente all'energia termica degli ioni che
l'hanno originato, e quindi di circa 1 meV (misurati nel sistema di riferimento rotante con il
plasma dei positroni) per la temperatura di
15 K. Molto interessante risulta inoltre la distribuzione di probabilitaÁ del numero quantico
principale n e di quello angolare L del protonio.
Da parte nostra si congetturoÁ , venuti a conoscenza di questi lavori di Sakimoto, che la vita
media dell'ordine del microsecondo da noi
trovata potesse accordarsi con una dinamica
del processo in cui si formavano un atomo d'idrogeno nello stato fondamentale ed un protonio che, per il principio di conservazione dell'energia, considerato che l'energia di dissoÁ di circa 2,56 eV, si trovava in
ciazione dell'H‡
2 e
uno stato eccitato con il numero quantico
principale n dell'ordine di 70.
Ne consegue che il numero quantico orbitale
L deve essere abbastanza piccolo, come si puoÁ
vedere nella fig. 9 dove eÁ associato ad un valore
di vita media per diversi valori del numero
quantico principale n.
EÁ peraltro abbastanza ragionevole pensare
ad una struttura molto allungata per il protonio,
dal momento che si forma a partire da uno ione
H‡
2 che viene molto sollecitato ad allungarsi
assialmente. Ma questo allungamento non eÁ
simmetrico attorno al baricentro, da una parte
essendovi il sistema residuo protone-elettrone
che si configura tanto piuÁ come un atomo d'idrogeno nello stato fondamentale quanto piuÁ
lontano eÁ l'altro protone e quanto piuÁ questo eÁ
in prossimitaÁ dell'antiprotone. L'atomo di idrogeno ed il protonio si ritrovano ad allontanarsi
con bassissima energia di rinculo. Quest'ultimo
fatto trova ottimo riscontro nei dati sperimentali ove la velocitaÁ dei protonii in volo a
partire dalla nuvola dei positroni ad 8000 K daÁ
luogo ad una ben diversa distribuzione spaziale
dei punti di annichilazione a partire dalla stessa
vita media. D'altronde il valore della temperatura dei positroni eÁ marginale nella dinamica
dell'attrazione coulombiana, ove le energie cinetiche in gioco sono almeno un ordine di
grandezza maggiori.
In conclusione la reazione chimica, rispettante la legge di Lavoisier sulla conservazione
della massa in gioco in una reazione chimica, tra
ÿ , ed il piuÁ
lo ione dell'antiatomo di idrogeno, H
semplice ione molecolare nel settore della maÁ
teria, H‡
2 , poteva essere posta alla base di cio
che avevamo osservato:
ÿ ‡ H‡ ! Pn(n; l) ‡ H;
H
2
od anche:
p(n; l) ‡ H:
p ‡ H‡
2 !p
41
IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 9. ± A sinistra, livelli energetici del protonio e relativi possibili intervalli del numero quantico orbitale (L) per
diversi valori del numero quantico principale (n). A destra, vita media radiativa prevista per il protonio in funzione
9
del numero quantico principale (n) e di quello orbitale (L) ( ); la line ondulata indica il nostro valore sperimentale
per la vita media ed implica che, per n 70, debba essere L minore di 10.
5. ± Prospettive
42
Felici e ``rilassati'' dopo aver risolto il puzzle con
tanti pezzi da far combaciare, ci stiamo chiedendo
cosa potremmo osservare se nella camera di ricombinazione avessimo degli ioni D‡
2.
Ancor piuÁ interessante si presenterebbe la
sperimentazione con ioni molecolari del tipo
NH ‡ , N2 H‡ , HCO‡ , etc., giaÁ peraltro studiati in
trappole di Penning ove se ne eÁ osservato il
comportamento a seguito dell'interazione con
nuvole ad esempio di 9 Be‡ (10). Cosa faraÁ l'antiprotone? RiusciraÁ a dissociare anche questi
ioni? E se sõÁ, in quale modo cioÁ accadraÁ? E se
produrraÁ ugualmente il sistema antiprotoneprotone, questo quali numeri quantici iniziali
avraÁ? Teniamo presente che il protonio con numero quantico principale dell'ordine di 120 ha
vite medie di centinaia di microsecondi!!
Estremamente interessante si presenta poi la
possibilitaÁ di sperimentazione senza positroni, e
dunque con situazioni che, in vista della macchina
per antiprotoni di bassissima energia FLAIR alla
facility FAIR in progetto a Darmstadt, lascia intravedere probabilitaÁ di produzione superiore all'attuale, che eÁ di circa un protonio ogni dieci antiidrogeni, di molti ordini di grandezza. Produzione
di protonio con vita media maggiore di 100 microsecondi e rate di produzione di 10 4 ± 105 al
secondo sono possibili.
Ed eÁ anche possibile che abbiano, in relazione
alla loro produzione a partire da opportuni ioni
molecolari pesanti, energie cinetiche anche minori del millielettronvolt da noi valutato nell'apparato ATHENA con positroni a 15 K. Ci
sembra di poter segnalare con tutta tranquillitaÁ
che, se la facility FLAIR verraÁ realizzata, il posto
assegnato a questa sperimentazione saraÁ sicuramente di primo piano.
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Rev. A, 60 (1999) 3903-3910.
VERIFICA SPERIMENTALE DELLE OSCILLAZIONI DI BLOCH FOTONICHE
R. SAPIENZA (*)
Laboratorio Europeo di Spettroscopia Nonlineare (LENS),
via Carrara 1, 50019 Sesto Fiorentino (Firenze) e INFM-MATIS
Nel 1928 Bloch predice che la velocitaÁ di una carica elettrica in un reticolo cristallino diventa una
funzione periodica nel tempo qualora essa sia sottoposta ad una forza esterna generando, per esempio,
un moto oscillatorio di elettroni in un conduttore sottoposto ad un voltaggio costante. Tali oscillazioni
rimasero a lungo difficili da misurare, sollevando vivaci controversie per oltre sessant'anni, poicheÁ in una
tipica struttura cristallina gli elettroni interagiscono con impurezze, imperfezioni e fononi, che ne riducono il tempo di rilassamento a valori inferiori al periodo caratteristico delle oscillazioni predette da
Bloch. In linea di principio tali oscillazioni esistono anche per onde luminose in materiali dielettrici
periodici con un gradiente di indice di rifrazione e diverse strutture sono state proposte negli ultimi anni.
Al contrario degli elettroni, i fotoni hanno tempi di coerenza piuÁ lunghi e ci si aspetta pertanto che
oscillazioni di Bloch fotoniche siano piuÁ facili da osservare. Presentiamo di seguito la prima verifica
sperimentale di oscillazioni di Bloch fotoniche con periodi di circa 500 fs, che vengono direttamente
risolte nel tempo al variare del gradiente di indice di rifrazione.
1. ± L'idea di base
Il fenomeno delle oscillazioni di Bloch eÁ
strettamente legato all'azione combinata di un
potenziale periodico ed una forza esterna che ne
perturbi la tipica simmetria per traslazione(1).
All'inizio degli anni '30 Bloch mostroÁ che gli stati
stazionari di un elettrone in un potenziale periodico sono onde piane modulate da funzioni periodiche della posizione(2). Per effetto del tunnelling attraverso il reticolo, un pacchetto d'onda inizialmente localizzato nello spazio si allarga
per divenire eventualmente delocalizzato. Una
forza esterna modifica il potenziale, rompe la
periodicitaÁ del reticolo imperturbato e pertanto
un pacchetto inizialmente localizzato puoÁ rimanere tale, confinato spazialmente quando il tunnelling eÁ soppresso. Il grado di localizazione
chiaramente dipende dall'entitaÁ della forza
esterna applicata. Il moto dell'elettrone eÁ comunque periodico nel tempo per effetto di ripetute riflessioni di Bragg, che avvengono con un
periodo dato da TB ˆ h=fD dove h eÁ la costante di
Planck, f la forza cui eÁ sottoposto l'elettrone e D
la periodicitaÁ del potenziale reticolare cristallino.
Tale fenomeno eÁ noto come oscillazioni di
Bloch. L'esistenza di oscillazioni di Bloch di
elettroni in un cristallo ideale sottoposto ad un
(*) E-mail: [email protected],
www.complexphotonics.com
campo elettrico costante, inizialmente predette
da Bloch nel 1928 e poco dopo da Zener(2), eÁ
stata a lungo dibattuta dando origine a controversie durate per oltre 60 anni(3). I primi studi
di oscillazioni di Bloch elettroniche in semiconduttori risalgono agli anni '70 (4), mentre la
prima osservazione avviene in semiconduttori a
supereticolo nel 1992 (5).
Esse sono comunque un fenomeno piuttosto
generale poicheÁ possono essere osservate in
contesti diversi da quello elettronico. EÁ infatti
recente l'osservazione di oscillazioni di Bloch di
atomi posti in potenziali ottici accelerati ( 6,7), di
condensati di Bose-Einstein (8) o di gas fermionici degeneri (9), mentre recentissima eÁ
l'osservazione di oscillazioni di Bloch con atomi
ultrafreddi di stronzio ( 10), da utilizzarsi per
accurate misure gravimetriche e di interazioni a
distanze micrometriche. Oscillazioni di Bloch
sono state osservate in solitoni magnetici ( 11) e
predette per flussi magnetici in anelli superconduttori ( 12). Risale infine ad un anno fa la
misura di oscillazioni di Bloch acustiche, cui
sono sottoposte onde sonore in particolari cavitaÁ acustiche ( 13).
2. ± Oscillazioni di Bloch elettroniche.
Nel potenziale periodico di un generico materiale cristallino gli elettroni sono descritti da
onde spazialmente delocalizzate (Bloch Waves)
43
IL NUOVO SAGGIATORE
con (quasi)momenti k ed energie E(k) che sono
determinate dalle caratteristiche bande energetiche permesse e proibite del materiale. Bloch
mostroÁ ( 14) che, in un cristallo tridimensionale,
un pacchetto d'onda elettronico centrato attorno ad un quasi-momento k si muove con velocitaÁ
…1†
v(k) ˆ hÿ1 @E(k)=@E
e che k cresce secondo la legge
…2†
@k=@t ˆ hÿ1 f
quando l'elettrone venga sottoposto ad una
forza esterna costante f . Diversamente da un
elettrone libero per cui la velocitaÁ aumenterebbe indefinitamente, in un cristallo sottoposto, per esempio, ad un campo elettrico esterno
costante E0 , la velocitaÁ degli elettroni oscilla
periodicamente. La velocitaÁ v(k ÿ ehÿ1 E0 t) del
pacchetto elettronico ad un certo istante t (cf.
eq. (2)) ha secondo l'eq. (1) la stessa periodicitaÁ
della dispersione di banda E(k), e percioÁ ritorneraÁ ad essere quella all'istante iniziale v(k)
esattamente dopo un intervallo di tempo
TB ˆ h=eDE0 o multipli di esso.
Nello spazio reale invece la forza prodotta dal
campo elettrico E0 ha l'effetto di ``piegare'' il potenziale (1) come illustrato schematicamente in
44
Fig. 1. ± Nella banda elettronica permessa (D) di un
solido cristallino un pacchetto d'onda elettronico si
propaga verso destra nella direzione z (sopra). Per
effetto del campo elettrico esterno (E0 ) le bande si
piegano verso il basso costringendo l'elettrone ad
oscillare lungo z tra il bordo inferiore e quello superiore della banda piegata (sotto).
fig. 1. CioÁ genera riflessioni in due direzioni opposte, in corrispondenza ai due valori di segno
opposto della velocitaÁ, ogni qualvolta l'elettrone
incontri i bordi delle due bande superiore ed inferiore (area bianca). Per quanto controintuitivo
quindi, un pacchetto d'onda elettronico sottoposto ad un campo elettrico ``costante'' E0 compieraÁ
invece oscillazioni spaziali coerenti di ampiezza
LB ˆ D=eE0 , se D eÁ l'ampiezza della banda (vedi
fig. 1). Per un semiconduttore ideale, con una
cella unitaria D ' 5
A e una banda di conduzione
di larghezza 1 eV, un campo elettrico di E0 ˆ 100
V/cm riesce a confinare gli elettroni in uno spazio
di 100 mm facendoli oscillare ad una frequenza di
1 GHz (TB ˆ 1 ns) pur mantenendo la forma del
pacchetto inalterata (1).
Queste oscillazioni non sono mai state osservate in comuni materiali cristallini, poicheÁ
gli elettroni sono soggetti a diffusione, o in
altri termini le funzioni d'onda elettroniche
perdono la loro coerenza reciproca in tempi
piuÁ brevi del periodo TB di oscillazione. La
zona di Brillouin piuttosto estesa in tali materiali, ed il forte rilassamento elettronico inducono infatti una rapida attenuazione delle
oscillazioni coerenti. Pertanto, prima di avere
il tempo di compiere un'oscillazione completa,
il pacchetto elettronico avraÁ subito un evento
di diffusione, avraÁ perso coerenza e avraÁ avuto
un cambiamento casuale di momento: il suo
moto saraÁ quindi divenuto diffusivo, come nel
trasporto di corrente descritto dalla legge di
Ohm.
La chiave di volta eÁ stata la realizzazione di
semiconduttori a supereticolo, eterostrutture
formate da due o piuÁ semiconduttori alternati
sequenzialmente secondo un ordine periodico,
come per esempio GaAs-GaAlAs-GaAs-GaAlAs -GaAs. Questi materiali, in cui una struttura
periodica unidimensionale eÁ sovrapposta al reticolo atomico periodico, presentano una ridotta zona di Brillouin, consentono oscillazioni
di Bloch con periodo piuÁ corto del tempo di rilassamento elettronico e hanno permesso le
prime verifiche sperimentali di oscillazioni di
Bloch elettroniche ( 5).
3. ± Oscillazioni di Bloch fotoniche.
Per quanto gli elettroni siano fermioni interagenti dotati di carica e di massa mentre i fotoni
siano bosoni non interagenti privi di massa e carica, tuttavia in strutture spazialmente periodiche
R. SAPIENZA: VERIFICA SPERIMENTALE DELLE OSCILLAZIONI DI BLOCH FOTONICHE
esistono affascinanti analogie tra i due (15). L'analogia eÁ giaÁ evidente, per esempio, a livello formale ossia nelle equazioni che ne descrivono il
comportamento. L'equazione di Schroedinger per
la funzione d'onda (c) di un elettrone di energia E o
soggetto ad un potenziale V(r),
…3†
r2 c ‡
2m
(V (r) ÿ E o )c ˆ 0;
h2
eÁ infatti simile all'equazione di Helmholtz per il
campo elettrico (E) di onde luminose in un
materiale d'indice di rifrazione n2 (r), i.e.,
…4†
r2 E ‡ n2 (r)
v2
E ˆ 0:
c2
CioÁ permette di anticipare che allo stesso modo
in cui esistono gap proibite (electronic bandgap) per elettroni in materiali con un potenziale
V (r) periodico, cosõÁ esistano gap proibite (photonic band-gap) in strutture dielettriche ad indice di rifrazione n(r) spazialmente periodico.
Tali strutture dielettriche o cristalli fotonici
sono state infatti realizzate e in essi la propagazione della luce avviene solamente in bande
fotoniche permesse, esattamente come accade
per gli elettroni in un semiconduttore ( 16).
I cristalli fotonici sono generalmente ottenuti
tramite una modulazione periodica della costante dielettrica in strutture ordinate ad alto
contrasto di indice di rifrazione. Questo avviene
con l'impiego di moderne tecniche di litografia
elettronica, auto-organizzazione, deposizione
chimica ed attacco chimico che permettono di
produrre sia complesse strutture fotoniche tridimensionali che a piuÁ bassa dimensionalitaÁ. La
riflessione da cristalli fotonici eÁ fortemente selettiva in frequenza e puoÁ generare iridescenza
in modo del tutto analogo che in alcune strutture fotoniche naturali, di cui gli opali sono l'esempio piuÁ comune! Strutture fotoniche periodiche vengono anche riscontrate in alcuni animali, che le sfruttano per esibire colori appariscenti anche in assenza di pigmenti, come avviene per alcune farfalle tropicali (Polyommatus daphnis e Morpho rhetenor) o per le spine
del topo di mare artico (Polychaeta: Aphroditidae) ( 17). Un'altra analogia marcata si puoÁ riscontrare nel trasporto della luce in mezzi disordinati. Quando la propagazione della luce eÁ
dovuta alla diffusione, come ad esempio avviene
in mezzi torbidi come la nebbia, il latte o la
vernice bianca, eÁ possibile ritrovare, anche in
ottica, l'equivalente della legge di Ohm: la conducibilitaÁ ottica, ovvero la trasmittanza, au-
menta con l'inverso dello spessore del mezzo
attraversato.
La propagazione di luce attraverso un materiale puoÁ essere descritta in termini di pacchetti
d'onda fotonici, cosõÁ come avviene per i pacchetti d'onda elettronici, dove la dinamica del
centro del pacchetto descrive la posizione ed il
moto dei fotoni. Metodi ottici sono spesso piuÁ
adatti per osservare effetti d'interferenza, poicheÁ il tempo di coerenza di un pacchetto d'onda
luminoso eÁ tipicamente piuÁ lungo di quello di un
pacchetto d'onda elettronico; d'altro canto l'uso
di un buon cristallo fotonico richiede l'impiego
di un gran numero di microcavitaÁ ottiche, ovvero di campioni lunghi ( 100mm), di elevata
qualitaÁ, e inoltre senza assorbimento ( 18). Sorge
dunque spontanea la domanda se sia possibile
osservare oscillazioni di Bloch per fotoni, come
avviene per elettroni in un semiconduttore
soggetto ad un campo elettrico. Varie strutture
fotoniche sono state proposte per osservare
oscillazioni di Bloch di fotoni ( 19). Le prime
conferme della validitaÁ del modello di Bloch e
Zener nell'ambito delle onde luminose sono comunque venute dall'osservazione della scala
energetica di Wannier e Stark ( 20). Essa eÁ il
corrispettivo nel dominio delle frequenze delle
oscillazioni di Bloch risolte in tempo, e consiste
nella formazione di livelli energetici discreti
equidistanti, all'interno della banda di conduzione ottica ( 21). I primissimi esperimenti su
strutture bi-dimensionali mostrarono oscillazioni di Bloch spaziali dovute al confinamento
laterale ( 22-23). Super reticoli ottici, con un gradiente di indice di rifrazione parallelo alla direzione di propagazione della luce, che eÁ l'analogo
del campo elettrico statico per gli elettroni, furono in seguito proposti per osservare oscillazioni di Bloch fotoniche ( 24).
Oscillazioni di Bloch fotoniche risolte in tempo sono state recentemente osservate nell'ambito di una recente collaborazione tra il
LENS di Firenze e l'UniversitaÁ di Trento. Illustro
in questo articolo i risultati di un tale esperimento ( 25). L'osservazione consiste in una misura di trasmissione risolta in tempo su un super
reticolo ottico. Il pacchetto d'onda viene confinato longitudinalmente tramite un gradiente lineare dello spessore ottico. Esso piega la struttura fotonica allo stesso modo in cui agirebbe un
campo elettrico in un conduttore. Ci si aspetta
pertanto che a gradienti diversi corrispondano
periodi diversi, il che eÁ stato sperimentalmente
confermato dalle misure compiute.
45
IL NUOVO SAGGIATORE
4. ± L'esperimento
46
Un super reticolo ottico monodimensionale
puoÁ essere ottenuto assemblando in sequenza
due tipi diversi A e B di multistrato dielettrici. In
particolare abbiamo usato sequenze del tipo:
BABABABAB (AA) 1 BABABABAB (AA)2 (AA)m
BABABABAB. Questa struttura costituisce una
serie di m microcavitaÁ accoppiate (AA) dove la
sottostruttura BABABABAB funziona da specchio di Bragg. Gli indici di rifrazione degli strati
A e B sono nA ˆ 1;4 e nB ˆ 2;1 per avere un buon
contrasto di indice di rifrazione. La larghezza
degli strati eÁ scelta in modo che lo spessore ottico d, dato dal prodotto n d dell'indice di rifrazione n per lo spessore d dello strato, sia
uguale a l=4. In questo modo ogni cavitaÁ ha il
minimo spessore per essere risonante alla lunghezza d'onda l. Variando la riflettivitaÁ degli
specchi di Bragg si riesce a modificare l'accoppiamento ottico tra le microcavitaÁ, causando la
formazione di stati fotonici estesi (risonanze
ottiche). Quando si accoppiano microcavitaÁ
uguali, i modi degeneri si repellono ed ogni risonanza ottica degenere si divide, originando
minibande fotoniche che risultano essere separate da bande proibite in cui la propagazione
non eÁ permessa. Per ottenere oscillazioni di
Bloch, occorre rompere l'invarianza per translazione del sistema monodimensionale creando
un gradiente Dd ˆ (d zm ÿ dz1 )=dz1 nello spessore
ottico degli strati. Tale gradiente cambia leggermente la frequenza di risonanza di ogni microcavitaÁ, pur mantenendo l'accoppiamento tra
i modi e producendo un'inclinazione spaziale
della minibanda e della banda proibita, in modo
simile a quanto accade per il caso elettronico
mostrato in fig. 1. In questo modo gli stati fotonici estesi sono trasformati in una sequenza discreta di livelli di energia con una certa spaziatura DE B .
Nella fig. 2 calcoliamo la distribuzione spaziale della luce all'interno della struttura per i
due casi Dd = 0 e Dd = 14%, usando tecniche
standard di matrici di trasferimento. Il gradiente
lineare nello spessore ottico induce un'inclinazione lineare sia della minibanda (tra le linee
bianche tratteggiate) che della banda proibita
adiacente (regioni scure), fenomeno particolarmente evidente in fig. 2b. Gli stati di WannierStark sono visibili come linee chiare orizzontali
che si estendono tra le due bande proibite inclinate. Tale spettro discreto ed equispaziato
garantisce oscillazioni coerenti di tutto il pac-
Fig. 2. ± Mappa di scattering per la distribuzione
dell'energia elettromagnetica all'interno di un super
reticolo ottico composto da 10 microcavitaÁ accoppiate.
I parametri utilizzati sono gli stessi degli esperimenti.
Pannello a) caso in cui la banda eÁ piatta, Dd ˆ 0. Pannello b) banda inclinata, Dd ˆ 14%. Le linee tratteggiate indicano l'inclinazione teorica della minibanda.
Sopra ogni pannello eÁ riportata schematicamente la
struttura delle microcavitaÁ accoppiate; la scala di
grigio corrisponde alla variazione di indice di rifrazione in funzione della profonditaÁ nel campione
(piuÁ scuro piuÁ grande n).
chetto d'onda che, come per l'oscillatore armonico, lascino la forma dell'impulso inalterata.
Tali oscillazioni vengono qui identificate come
oscillazioni di Bloch ottiche di periodo
T B ˆ h=DEB , determinato dall'inverso della spaziatura DEB (h costante di Planck).
I campioni sono stati realizzati tramite attacco
chimico di silicio poroso ( 26,27), sfruttando il
fatto che l'indice di rifrazione di uno strato di
silicio poroso puoÁ essere ben controllato tramite il suo grado di porositaÁ. In questo modo, e
tramite la selettivitaÁ dell'attacco chimico, possono essere cresciuti strati a diverso indice di
rifrazione, in modo da formare 10 microcavitaÁ
R. SAPIENZA: VERIFICA SPERIMENTALE DELLE OSCILLAZIONI DI BLOCH FOTONICHE
Fig. 3. ± Spettro di trasmissione di un campione con
gradiente Dd ˆ 10%. L'equivalente di una scala di
Wannier e Stark eÁ la serie di picchi equidistanti in
trasmissione. Le frecce si riferiscono alle posizioni
attese dei picchi di trasmissione, calcolate tramite le
matrici di trasferimento. La linea tratteggiata rappresenta l'impulse laser incidente di riferimento.
accoppiate. In totale il campione consiste di 110
strati. Inoltre siamo riusciti a produrre campioni
con gradienti Dd di spessore ottico variabile tra
2 e 14 %. Nella fig. 3 eÁ rappresentato l'effetto di
un gradiente Dd ˆ 10 %: la scala di WannierStark eÁ chiaramente visibile come una serie di
picchi stretti (2 nm di larghezza a metaÁ altezza)
in trasmissione.
PoicheÁ, per oscillazioni dell'ordine di 500 fs,
non eÁ possibile sfruttare tecniche di rilevazione
diretta per misure di trasmittanza risolte in
tempo, abbiamo messo a punto una tecnica di
misura piuÁ complessa e raffinata, basata sull'utilizzo di una stretta finestra temporale di rilevazione. Il principio eÁ quello del gating ottico
che sfrutta la risposta non lineare di un cristallo
di borato di bario beta (BBO), dove si puoÁ generare la frequenza somma del fascio laser di
riferimento e del segnale. La somma delle due
frequenze avviene solo quando i due impulsi
laser ultracorti ( 150 fs) sono ben sovrapposti
nel cristallo, condizione che eÁ possibile realizzare utilizzando una linea di ritardo per variare il lasso temporale tra i due impulsi. Questo
ci permette di misurare il segnale per tempi variabili, con una risoluzione temporale inferiore a
100 fs. La fig. 4 mostra una serie di misure di
trasmittanza risolte in tempo per vari gradienti
Dd. Una scala di Wannier-Stark eÁ ben visibile a
partire da Dd 7% e, per gradienti superiori,
possono essere osservati fino ad 8 periodi di
oscillazione. Inoltre, quando il gradiente aumenta, il periodo T B di oscillazione diminuisce
cosõÁ come la luce trasmessa. Questo si spiega
Fig. 4. ± Risposta temporale del sistema per vari valori del gradiente Dd. Le oscillazioni osservate sono la
controparte ottica delle oscillazioni di Bloch elettroniche risolte in tempo. Il periodo delle oscillazioni
diminuisce quando si aumenta Dd, e la trasmissione
diminuisce. Nel pannello superiore eÁ riportato l'impulso di sonda senza campione.
con l'aumento dell'inclinazione della banda,
poicheÁ la luce misurata eÁ quella che sfugge dalla
banda per effetto tunnel (vedi anche fig. 1).
L'essenza della natura delle oscillazioni di
Bloch, ovvero il confinamento energetico, si
evidenzia nello studio dell'ampiezza e del periodo di tali oscillazioni. In fig. 5 confrontiamo i
valori di T B misurati con quelli teorici ottenuti
tramite il modello a matrici di trasferimento per
vari valori del gradiente. Come ci si aspetta, il
periodo TB diminuisce all'aumentare di Dd, poicheÁ l'inclinazione della minibanda aumenta. Oltre Dd 7% l'aumento del periodo TB si ferma.
Entro questo valore il gradiente di spessore ottico non eÁ sufficiente ad inclinare completamente la minibanda tra l'inizio e la fine del
campione, quindi le oscillazioni residue non
sono dovute ad altro che a riflessioni interne ai
capi del campione. In questo regime le variazioni residue di T B sono di qualche per cento, e
sono dovute alla diminuzione dell'accoppiamento ottico tra le microcavitaÁ. I dati sperimentali qui presentati 1 sono in ottimo accordo
con la dipendenza teorica calcolata (linea continua). Un'altra interessante osservazione in
fig. 5 riguarda il fatto che il tempo di decadimento t B , che determina lo smorzamento delle
oscillazioni, aumenta quando Dd aumenta. Questa eÁ una diretta conseguenza dell'aumentato
1
Recentemente i nostri risultati sono stati confermati da
analoghe verifiche in altre strutture monodimensionali ( 28 )
e bidimensionali (29 ).
47
IL NUOVO SAGGIATORE
Fig. 5. ± Periodo di oscillazione (TB ) e tempo di decadimento (tB ) misurati al variare del gradiente Dd. Le
barre di errore rappresentano la deviazione standard
ottenuta per varie misure su diverse posizioni sul
campione e quindi rappresentano l'effetto delle disomogeneitaÁ laterali. La linea continua eÁ il comportamento teorico ottenuto tramite le matrici di trasferimento.
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confinamento dei modi ottici nella scala di
Wannier e Stark. Quando la minibanda diventa
piuÁ pendente, le riflessioni ai bordi di banda
diventano sempre piuÁ forti e analogamente le
perdite per trasmissione diminuiscono. Per valori piuÁ grandi di gradiente, t B satura a circa
1.2 ps. Questa saturazione eÁ causata dalle perdite residue per diffusione e assorbimento nel
silicio poroso. La linea solida in fig. 5 eÁ ottenuta
utilizzando un coefficiente di estinzione (assorbimento ‡ scattering) aext 100 cmÿ1 , in accordo con una precedente misura (27).
Bloch potrebbe essere impiegato per rimpiazzare il confinamento ottico di una cavitaÁ con un
confinamento d'intra-banda. Il controllo attivo
del potenziale ottico e quindi del periodo delle
oscillazioni risulteraÁ cruciale per modificare in
maniera controllata le proprietaÁ della luce laser
emessa. EÁ per esempio recentissima la proposta
di oscillazioni di Bloch dinamiche per l'immagazzinamento e l'inversione temporale di impulsi luminosi, elementi basilari per l'informazione quantistica ( 30).
Le oscillazioni di Bloch per fotoni non rappresentano quindi solo un'interessante controparte di quelle per particelle massive, ma anche un nuovo strumento per confinare, modulare
e manipolare la luce. La loro comprensione saraÁ
quindi essenziale nella realizzazione dei circuiti
ottici di prossima generazione dove segnali luminosi controllati da nano-chips, che giaÁ presentano un livello di integrazione paragonabile a
quello degli attuali componenti elettronici, rimpiazzeranno gli attuali segnali elettronici.
Bibliografia
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5. ± Conclusioni
L'esperimento sopra descritto, in cui si osservano oscillazioni di Bloch per onde luminose
in un super reticolo di silicio poroso, contribuisce ad estendere la fenomenologia delle
oscillazioni ad un nuovo ed interessante campo
di ricerca come la fotonica. Si ritiene che tali
oscillazioni, osservate per onde elettroniche,
atomiche, sonore, ed ora anche per onde luminose, possano esistere anche per onde sismiche
o addirittura per onde gravitazionali. Le oscillazioni di Bloch si prestano peraltro ad importanti applicazioni. CosõÁ come quelle elettroniche
sono utilizzate per costruire nuove sorgenti di
radiazione al THz, quelle atomiche per mettere a
punto accurati test di gravitaÁ e di forze a brevi
distanze, si pensa che il particolare confinamento che genera oscillazioni fotoniche di
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