INFORMAZIONE FILOSOFICA Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Istituto Lombardo per gli Studi Filosofici e Giuridici Via Monte di Dio 14, 80132 Napoli Viale Monte Nero 68, 20135 Milano Registrazione n. 634 del 12 ott. 1990 Tribunale di Milano. Spedizione in abbonamento postale gruppo IV/70. Prezzo: L. 7500 Copie arretrate L. 10000 Abbonamento annuale (4 numeri): L. 28000, studenti L. 20000, estero L. 42.000 Redazione, direzione, amministrazione e pubblicità: Edinform. Informazione e Cultura Società Cooperativa a r. l. Viale Monte Nero, 68 20135 Milano tel. 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Milano Per l'invio di articoli e materiale informativo indirizzare a: Informazione Filosofica Viale Monte Nero, 68 20135 Milano In copertina: particolare del frontespizio del vol. II delle Opere di Aristotele in edizione latina (Venezia 1483). EDITORIALE Questo terzo numero si apre con una serie di riflessioni su un tema che appartiene in modo preminente al medesimo ambito problematico, su cui anche si fonda il progetto di questa rivista, quello del rapporto tra attualità e tradizione nel loro interagire all’interno di ogni processo di comunicazione del sapere. “Informazione Filosofica” ha voluto proporre questo tema a un gruppo di studiosi, Aldo Masullo, Vittorio Mathieu, Mario Dal Pra, Corrado Mangione e Carlo Sini, che hanno accettato con grande disponibilità di intervenire su questo complesso nodo tematico, mettendo a disposizione la loro propria opera di studio e di insegnamento. Da parte nostra vorremmo dire che abbiamo iniziato a lavorare a “Informazione Filosofica” chiedendoci quali potessero essere gli intenti, quali le modalità, quali gli obiettivi di un simile progetto. Oggi sappiamo che questi interrogativi non li si può superare, perchè semplicemente sono divenuti parte integrante di un metodo, di una scelta operativa. Qualche progresso è già stato compiuto, alcune soluzioni sono già state individuate e praticate. Le riflessioni che gli studiosi sopra citati hanno sviluppato intorno al progetto di questa rivista portano ulteriore materiale al nostro lavoro di chiarificazione e approfondimento dei presupposti, dei metodi, degli scopi. Non so se la rivista diventerà mai, come è stato osservato, un’opera originale, in cui una “letteratura terziaria”, per così dire, trova il proprio linguaggio, la propria sfera di legittimazione. Certamente “Informazione Filosofica” cerca di dare al pensiero una disponibilità, un uso, un’efficacia, pur restando consapevole di quanto il pensiero sfugga alla comunicazione, di quanto la comunicazione modifichi il pensiero nel momento in cui esso viene comunicato. L’intento che oggi questa rivista si pone è d’altra parte un antico problema della tradizione filosofica. Se lo erano già posto gli enciclopedisti del Settecento, volendo raccogliere l’intero sapere in un lessico di tutte le idee, di tutti i concetti, perchè chiunque potesse usufruirne e trovarvi un’utilità per i propri fini. A questo proposito vorremmo presentare qui un breve estratto dall’Introduzione di Hans Jörg Sandkühler alla recente edizione della Europäische Enzyklopädie zu Philosophie und Wissenschaften (Meiner, Amburgo 1990), da lui stesso curata, che rende in modo significativo l’esigenza che oggi, come nell’epoca illuminista, sta alla base di ogni progetto di comunicazione del sapere. «Contrassegni della nostra epoca sono le rivoluzioni nel mondo sociale e nel mondo del sapere. Il rivolgimento del sapere e degli ordinamenti sociali, economici, politici e culturali si compie parallelamente al divenire della coscienza dei problemi globali dell’umanità. Le vie di soluzione urtano contro i limiti delle condizioni in cui queste soluzioni necessariamente si sviluppano. Una rivoluzione epistemica deve essere annoverata tra i contrassegni storici dell’epoca. La rivoluzione tecnico-scientifica implica una crescita quantitativa del sapere e del suo collegamento reticolare, non però necessariamente il passaggio ad una nuova qualità del sapere a partire da una sua connessione globale. Divisione del lavoro e specializzazione, disintegrazione delle scienze e loro separazione dalla cultura quotidiana, segmentazione dell’esperienza sociale e rassegnazione di fronte alla massa dei dati in sé priva di struttura approfondiscono in misura crescente l’estraniamento da ciò che significa episteme in quanto sapere razionalmente comprovato: l’essere informato del mondo, l’avere conoscenza delle cose e delle nozioni, trattare con esse, portare all’unità la molteplicità dei fenomeni attraverso teorie di grande portata, l’agire con la coscienza del proprio sapere. Lo sviluppo rivoluzionario conduce a una crisi del sapere, e questo non è che uno dei problemi globali, di cui cominciamo appena a renderci conto. Questa crisi minaccia di distruggere quel terzo mondo del sapere obiettivo, che in quanto universo storico dei significati è il presupposto per cui l’uomo possa orientarsi in un mondo significativo. Solo attraverso il mondo dei significati, che deve darsi apertamente ai soggetti dell’esperienza e della conoscenza, si realizza quell’appropriazione individuale di un mondo, che senza l’azione dei soggetti sarebbe amorfo e senza struttura. La riproduzione tecnica allargata del sapere produce innanzitutto solo un museo immaginario di ciò della cui possibilità possiamo divenire coscienti. La partecipazione degli individui a questo immaginario non garantisce una tale possibilità. E’ dunque necessario che si parli di un sapere sulla realtà, di un sapere in cui natura, storia e possibile futuro divengono coscienti come connessione globale del cosmo in evoluzione dei significati». EDITORIALE EDITORIALE (Testo lievemente ridotto di una conferenza dal titolo: Der Mensch und seine Hand im heutigen Zivilisationsprozess, tenuta il 15 febbraio 1978 presso il «Werkbund Bayern» di Monaco di Baviera. Il testo, tradotto in italiano da Franco Volpi con il titolo: L’uomo e la sua mano nell’odierno processo di civilizzazione, compare insieme ad altri saggi nel volume di Hans-Georg Gadamer, Elogio della teoria, Milano, Guerini e Associati 1989, pp.103-109.) SOMMARIO 5 RESOCONTO 5 Attualità e tradizione in filosofia. Il ruolo dell’informazione nella diffusione e nello sviluppo del sapere 39 Il giovane Nietzsche e Platone 40 CONVEGNI E SEMINARI 41 Omaggio a Derrida 14 AUTORI E IDEE 41 Segni del tempo 15 Ranke e Burckhardt 15 Sulle tracce di Benjamin 42 La follia del Chisciotte: linguaggio e rappresentazione 16 Limiti dell’interpretazione 42 Nietzsche a Sils Maria 16 Fenomenologia della disillusione 43 Responsabilità ed utopia 17 Il realismo e la verità 44 Industria, società, cultura 17 I ritratti dell’io 45 Einstein e l’idealismo tedesco 17 Todorov: virtù e morale della storia 46 Vico pensatore del moderno 18 Parlando della stessa cosa 47 La parola metaforica come accadere 19 Un’analisi pragmatica del pensiero greco 47 Nuove intelligenze 49 La teodicea in Kant 20 TENDENZE E DIBATTITI 50 Gadamer: arte, filosofia e verità 21 Simone Weil 51 Un convegno su Gadamer a Heidelberg 21 L’educazione alla complessità: per una epistemologia umana 53 La ‘Naturphilosophie’ di Hegel 22 Capire l’uomo 54 Scienza e tecnica all'alba del XXI secolo 53 Razionalità e complessità 23 I limiti dello spirito 24 Conoscenze analitiche 55 CALENDARIO 24 La politica fra scienza, etica e caso 26 L’etica di Foucault 58 DIDATTICA 26 Attualità di Gentile 58 La filosofia e i manuali 27 Forme di consenso 61 Filosofia e storia della filosofia 27 Epistemologia costruttiva 61 Convegni 28 L’etica in letteratura 28 Un viaggio lungo il pensiero analitico 64 NOTIZIARIO 30 Pensando la guerra 30 La riscoperta del privato in Francia 66 RASSEGNA DELLE RIVISTE 31 La teoria dell’agire 72 NOVITA’ IN LIBRERIA 32 PROSPETTIVE DI RICERCA 33 Nuove edizioni degli scritti di Herder 33 L’argomento ontologico 33 Alexandre Kojève: la fine della filosofia 34 Fontenelle: un monumento editoriale 35 Itinerari nietzscheani nella ex-DDR. 36 Pascal a Port-Royal 36 Lettere filosofiche di Kant 37 I lumi nella politica 38 L’armonico Leibniz RESOCONTO Frontespizio del vol. II delle Opere di Aristotele in edizione latina (Venezia, 1483) RESOCONTO Se si volesse caratterizzare in breve il pro- fico; si trattava piuttosto di fare un lavoro Come puro osservatorio, seppure privilegetto che muove questa rivista, si potrebbe di ricostruzione, un lavoro di interpreta- giato per il suo intento specifico, questa dire che “Informazione Filosofica” si pro- zione, pur considerando questi due termini rivista non può far altro che registrare e pone di praticare un limite, una linea di in una accezione dilatata e quanto più verificare quello che di fatto “accade”, confine, che è quella del pensiero e della obiettiva possibile, che tenesse conto di “avviene” nel mondo della filosofia, e sucsua comunicazione. Una linea che da sem- tutte le tendenze e le piegature del discorso cessivamente procedere alla sua interprepre fa parte del lavoro della filosofia. L’in- filosofico, anche di quelle meno evidenti. tazione e ricostruzione. Certo l’intento dotento dunque non è nuovo; la novità sta Una tale diffusione e disponibilità del sa- vrebbe anche essere quello di proporre, di piuttosto nel diverso contesto problemati- pere ad accogliere la più ampia varietà di indicare e suggerire delle strade di ricerco in cui si inserisce questo tentativo: dif- richiesta di conoscenza non si dà tuttavia ca, di mostrare delle possibilità di riceziofondere il sapere filosofico nelle attuali immediatanmente, ma solo attraverso scel- ne, delle direzioni di dibattito non ancora condizioni storiche e culturali. te, inquadramenti, individuazioni, ricostru- divenute esplicite; ma per il momento il Due sono i motivi fondamentali che hanno zioni delle diverse tendenze, dei dibattiti, lavoro che “Informazione Filosofica” può condotto “Informazione Filosofica” a que- delle direzioni di ricerca che muovono il concretamente affrontare è un lavoro di sta linea di confine. Uno interno alla filo- mondo della filosofia. “Informazione Filo- raccolta e vaglio di materiali, un lavoro di sofia: la diffusione del pensiero filosofico, sofica” cerca appunto di raccogliere que- definizione e descrizione di tutti quei monel suo prodursi attraverso la ricerca delle ste molteplici emergenze, tenta di dare una menti in cui il mondo filosofico si rende origini, l’approfondimento delle tematiche configurazione a questo mondo. Un mon- evidente nei suoi prodotti, assume un cae il confronto delle idee, all’inrattere comunicabile. terno del suo proprio ambito, E’ qui propriamente che si può oltrepassando l’istituziocogliere l’apporto della tradinalizzazione accademica della zione filosofica alla comunicafilosofia, ma anche, d’altro canzione del sapere. Di fatto attualito, l’istituzionalizzazione della tà e tradizione sono gli elementi filosofia come scuola, come diattraverso i quali si costituisce la sciplina specialistica. L’altro è misura e l’efficacia dell’inforun motivo esterno e lo si può mazione, che diviene in tal senso cogliere in generale come un momento di contatto, di fusione tacito appello, rivolto da più pardi queste due componenti essenti alla filosofia, a non lasciare ziali del discorso filosofico, di senza risposta la crescente doogni discorso filosofico. L’attuamanda di conoscenza, che la lità filosofica, il mondo della fisocietà contemporanea produlosofia come lo si può cogliere ce con insistenza da quando l’innella sua contingenza di tempo e sieme delle costruzioni ideololuogo, è un mondo che si costruInterventi di Aldo Masullo, giche, finora chiamate a questo isce solo in funzione del lavoro Vittorio Mathieu, compito, non sembrano più in del pensiero accumulatosi nel Mario Dal Pra, Corrado Mangione. grado di adempiervi. Questi due tempo; non è un mondo che si motivi: da una parte la tensione costruisce in fasi separate e interna all’ambito filosofico, dovuta alla do, come ogni altro, fatto di cose: sono i discontinue, non si costruisce attraverso le necessità, apparentemente contraddittoria, libri, che concretizzano il pensiero sotto mode, non si costruisce semplicemente nella di diffondere la filosofia all’interno del suo l’aspetto materiale della scrittura; fatto di varietà delle opinioni e delle tendenze, ma stesso mondo; dall’altra l’investimento uomini: sono coloro che si dedicano al è sempre tensione tra un’attualità, che si esterno che colpisce la filosofia con una pensiero, alla riflessione, coloro che si raccoglie in un momento contingente del rinnovata domanda di sapere, a fronte del confrontano con le idee; fatto di veicoli di divenire della riflessione filosofica, e una progressivo vuoto ideologico che affligge comunicazione, sono i convegni, i semina- tradizione di pensiero, che è frutto del il mondo contemporaneo; questi due moti- ri, le lezioni universitarie, le conferenze lavoro passato della filosofia. vi hanno per primi concorso alla nascita pubbliche. Il mondo che ne emerge, con le Sulla scorta di queste considerazioni “Indel progetto di “Informazione Filosofica”. sue forme, i suoi colori, i suoi climi, i suoi formazione Filosofica” ha organizzato il La difficoltà che subito si è presentata è mutamenti, tutto ciò di cui in primo luogo 24 maggio 1991 al Circolo della Stampa di stata quella di conciliare questi due mo- “Informazione Filosofica” tenta di “dare Milano un incontro sul tema: Attualità e menti, diffusione del pensiero filosofico da notizia”, non è un mondo che sotto altra tradizione in filosofia. Il ruolo dell’inforuna parte, risposta alla richiesta esterna di forma possa essere semplicemente ripro- mazione nella diffusione e nello sviluppo sapere dall’altra. Fin dall’inizio è stato dotto nella sua sistematicità, nella sua strut- del sapere. Al convegno, patrocinato dalchiaro che produrre “informazione filoso- tura, nella sua complessità. L’informazio- l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e fica” significava innanzitutto assumersi ne che si raccoglie in questa rivista è ne- dall’Istituto Lombardo per gli Studi Filoun compito interpretativo, che solo poteva cessariamente un’infornmazione legata al sofici e Giuridici, hanno partecipato Aldo saldare questi due diversi momenti. Dare modo in cui certe prospettive, certe circo- Masullo, Vittorio Mathieu, Mario Dal Pra, “informazione” non poteva essere sempli- stanze, certe vicende di pensiero si lascia- Corrado Mangione, di cui presentiamo qui cemente riportare con obiettività e com- no cogliere e interpretare, mostrano cioè di seguito il testo delle relazioni. pletezza ciò che accadeva in campo filoso- una disponibilità ad essere comunicate. Vorrei subito chiarire che nell’elen- Attualità e tradizione in filosofia. Il ruolo dell’informazione nella diffusione e nello sviluppo del sapere RESOCONTO Aldo Masullo co dei membri del comitato scientifico di questa rivista figura il mio none e quello di qualche altro collega; debbo però confessare che il mio nome non è all’origine della rivista, ma è in qualche modo il risultato dell’apprezamento della rivista, cioè di un lavoro già impostato. Quando fu chiesto a me, e credo anche a qualche altro collega, se volessi far parte del comitato scientifico, mi si mostrò il numero zero della rivista, dal quale io trassi la convinzione della bontà dell’iniziativa e della correttezza dell’impostazione. Questo per sottrarre il sospetto che qualche mia eventuale valutazione positiva della rivista sia da parte di un cointeressato. In effetti io sono disinteressato, perchè non ho in nessun modo contribuito a creare la rivista, un prodotto che apprezzo dunque disinteressatamente. Il tema del nostro discorso, attualità e tradizione in filosofia, vorrei toccarlo, per quei pochi minuti che ragionevolmente mi spettano, in modo abbastanza libero dai binari del binomio attualità e tradizione e vorrei toccarlo chiedendomi immediatamento quale sia la ragione non semplicemnete accademica o astrattamente intellettuale - il che è perfettamente legittimo per una iniziativa di questo genere -, ma la ragione che va al di là di questo limite. Credo che questa ragione stia in ciò che ci viene testimoniato quotidianamente dal bisogno di filosofia che la gente esprime, dal bisogno di filosofia che si avverte in settori specialistici anche diversi dalla filosofia o che si avverte nel pubblico che vive la propria esistenza quotidiana come la vive del resto ciascuno di noi. E’ evidente che dietro questo bisogno di filosofia possono esserci degli equivoci; si può sentire il bisogno di filosofia perchè si pensa che la filosofia possa darci delle risposte di tipo magari religioso o magico, o comunque delle risposte soddisfacenti ai nostri usuali, quotidiani bisogni di sostegno. In effetti credo che il bisogno di filosofia sia altra cosa. Il bisogno di filosofia credo che possa essere indicato oggi tenendo presente che la filosofia, le sue operazioni, la sua costruzione disciplinare, la sua circolazione sono cose sottoposte allo stesso inconveniente a cui è sottoposto oggi l’intero regime della vita mentale: intendo quella difficoltà nota a tutti e varie volte registrata a partire da Goethe, all’estrema accellerazione dei processi della vita contemporanea. Un’accellerazione che diventa sempre maggiore, un’accellerazione per cui noi non riusciamo oggi a fissare quello che stiamo leggendo, perchè ci sopravviene una nuova informazione. Questo fatto, mi sia consentito, mi fa sempre venire in mente una cosa che mi piace molto ricordare: quello che diceva un filosofo tedesco del Settecento, Christian Wolff, allievo di Leibniz, quando in uno dei paragrafi del suo libro Ontologia - il paragrafo 499, se non ricordo male distingue il mondo vero dal mondo della favola e del sogno e dice che il mondo della favola e del sogno si distingue dal mondo vero perchè nel mondo della favola e del sogno i cambiamenti avvengono in istanti absque ratione, avvengono istantaneamente e senza spiegazione. Ed è evidente che sia così, perchè quando i cambia- menti si succedono con estrema rapidità il pensierio non ha la possibilità di riposare per così dire tra i due termini e cercar in essi i cambiamenti; la rapidità sconvolge ogni programma di una loro ricerca. Perciò la rapidità è in qualche modo la negazione della possibilità di comprendere, la negazione della possibilità di spiegare, la negazione della possibilità di governare sia a livello teorico, sia naturalmente a livello pratico, i cambiamenti che intorno a noi si svolgono come in un turbinio fantasmagorico. Se noi guardiamo al mondo contemporaneo, alle cose di oggi, ci accorgiamo che effettivamente il nostro mondo è un mondo in cui il vero dall’onirico e dal favoloso non si riesce più adeguatamente a distinguere. Questo avviene anche nella filosofia; quante cose si scrivono, quante cose si dicono, quante cose si registrano, quante discussioni si fanno con una velocità straordinaria. Ma se la filosofia non riesce più a governare, per eccesso di velocità, neppure i propri cambiamenti, certamente la filosofia è il sintomo di una crisi estrema nella quale tutta la società contemporanea è coinvolta. Mi pare allora che uno dei primi effetti di questa velocità di cambiamento sia non soltanto nelle persone, che non hanno familiarità professionale con la filosofia, ma negli stessi cultori professionali di filosofia: una sorta di effetto di straniamento per cui noi siamo sempre più stranieri a noi stessi, al nostro mestiere, alla nostra disciplina, e difficilmente riusciamo a raccordare quello che pensiamo con quello che pensano altri, al punto tale che alla fine spesso si pensa una cosa che già altri hanno pensato e non lo sappiamo, o si pensa in modo improvvisatorio e superficiale spinti dalla necessità dell’accellerazione. Uno strumento come “Informazione Filosofica” mi pare allora che venga incontro a contrastare questa sorta di effetto di straniamento, venga incontro al bisogno di ricostruire la mappa dei cambiamenti, delle differenze che nello stesso momento si vengono realizzando nel vasto mondo della ricerca o della riflessione filosofica, una mappa che tolga ciascuno di noi dalla sensazione certamente sgradevole di trovarsi in un labirinto. Il che non significa abolire il labirinto; significa piuttosto dare qualche gomitolo, seguendo lo srotolarsi del quale ci si possa in qualche modo muovere con familiarità nel labirinto stesso e comunicare quello che va comunicato, perchè se la filosofia non è comunicazione non si capisce più che cosa sia. E’ chiaro allora che il primo punto che emerge da queste considerazioni sia dunque quello della necessità di spazieggiare il cambiamento. Immaginate una registrazione che si faccia andare a velocità straordinaria: nessuno di noi riesce più ad intendere ciò che in questa registrazione è stato per così dire fissato. Dobbiamo invece reintrodurre delle spaziature, dobbiamo reintrodurre delle pause come certi campi veneziani nei quali, dopo aver errato per i labirinti delle piccole strade, ci si ritrova e per un istante si ha la sensazione finalmente di poter orientare sè stessi. Ecco, mi pare che una prima funzione di una pubblicazione come questa sia proprio quella di spazieggiare, di dare spazio al cambiamento RESOCONTO estremamente rapido, che nel caso della filosofia non è soltanto cambiamento, ma è proliferazione di punti e di centri di pensiero. Una proliferazione che peraltro non è affatto un danno, ma è un fatto positivo: in fondo credo che la filosofia sia l’unica cosa che non è affatto un bene che la coltivino pochi specialisti, ma che sarebbe un bene che la coltivassero tutti. La filosofia non è che l’esistenza stessa dell’uomo alla ricerca della comprensione di sé; la filosofia è il tentativo che ciascuno di noi fa per uscire dalla confusione e dallo smarrimento; la filosofia è il tentativo che ciascuno di noi fa attraverso la ragione di legarsi in modo corretto, significativo e produttivo di effetti positivi, con gli altri. Non esiste la ragione, esiste il ragionare, il mettere il relazione. Un ragionare che viene dall’aperto e va verso l’aperto; un ragionare che non ha confini del prima e del poi; un ragionare all’interno del quale noi siamo per così dire immersi; un ragionare che dobbiamo imparare a gestire per farne uno strumento di libertà e di civiltà e non viceversa uno strumento di sottomissione degli altri. Allora, se questa è la filosofia, è chiaro che l’esigenza fondamentale della filosofia sia la circolazione massima possibile, ma allo stesso tempo il disporre di strumentari che impediscano a questa circolazione massima di diventare dispersiva a danno di ciascuno. Da questo punto di vista mi sembra allora che questa rivista, “Informazione Filosofica”, sia uno strumento valido per l’attualità del filosofare, capace soprattutto di contrastare, attraverso questa sorta di mappatura intelligente e critica di quello che si va dicendo, un altro effetto estremamente malefico dell’accellerazione: che nella velocità dei cambiamenti, nell’impossibilità di fermarsi a comprendere la ratio, la connessione tra un cambiamento e l’altro, noi rinunciamo a giudicare e ci affidiamo a quello che io amo chiamare “l’estasi della contingenza”. Ci ubriachiamo di queste successioni senza ragione, come oggi avviene quando colui che guarda lo spettacolo televisivo ad un certo punto è preso dalla tentazione di cambiare rapidamente canale: ad un certo punto egli non segue più una ragione, sia pure favolosa, di una narrazione, ma semplicemente si abbandona all’ubriacatura di queste immagini che si succedono absque ratione. Questo significa, tradotto in termini di vita quotidiana, il qualunquismo. Noi avemmo negli anni subito dopo la guerra quel grande fenomeno politico detto qualunquismo. Ma qualunquismo non è soltanto un fenomeno politico, che irrompe nei momenti di massima crisi di orientamento; qualunquismo è il connotato, sempre più fortemente presente nella società contemporanea, della rinuncia a giudicare, della rinuncia a pronunciare valutazioni fondate, valutazioni in prima persona, valutazioni di cui ciascuno assuma sopra di sé la responsabilità. Nel mondo del mutamento rapidissimo, nel mondo dei cambiamenti senza alcun intervallo che permetta di coglierne la ragione, non rimane che rinunciare al giudizio e ridursi a qualunquisti. Ecco, mi pare che il problema che una rivista come questa affronta con i suoi mezzi è appunto il problema di aiutare specialisti e non specialisti nell’orientarsi all’interno di questo grande e turbolento universo della filosofia, che dovrebbe a sua volta essere lo strumento per comprendere, per difendere la nostra esistenza, l’esistenza di noi tutti nei suoi valori fondamentali. Ma dell’altro ancora può fare un organo culturale come questo, come “Informazione Filosofica”. Può aiutare il linguaggio filosofico che, come dicevo prima, non è un linguaggio soltanto per gli specialisti, ma è un linguaggio di vita e di esistenza, di cui naturalmente va fatta una gestione critica. Uno dei compiti fondamentali che una rivista come questa può contribuire a soddisfare è quello di aiutare la filosofia a liberarsi delle sue stesse scorie. Il linguaggio filosofico oggi, specialmente in questo intenso intersecarsi di posizioni diverse, in questo rapidissimo pullulare di idee e di ricerche, spesso corre il rischio di diventare portatore di stereotipi. Gli stereotipi sono la negazione del pensiero, perchè il pensiero è vivo, attivo, critico, assunzione di responsabilità, o non è affatto. Ecco la tradizione in senso positivo, la grande tradizione come capacità di ascoltare i pensieri veri detti nel passato; la tradizione negativa è quella di assumere la comoda posizione del non pensare in proprio, limitandosi ad assumere gli stereotipi che vanno circolando. Quindi è una funzione critica che la filosofia deve assumere, funzione critica alla quale una rivista come questa credo che possa offrire utili strumenti. E in ultimo - poiché non voglio abusare del tempo, visto che il tempo, se è abusato da qualcuno, costringe gli altri ad accellerare e quindi a produrre quell’effetto di assenza di comprensibilità che noi vogliamo combattere - l’ultima cosa che vorrei dire riguarda il carattere democratico, nel senso di non demagogico, dell’operazione filosofica. Nel mondo odierno la democrazia non è la democrazia degli antichi; la democrazia degli antichi era il dominio di una classe, la classe dei nullatenenti. La democrazia oggi, se ha un significato, ha un significato negativo, cioè sta a significare il rifiuto di qualsiasi potere esclusivistico di gruppi o di individui. Ma è chiaro che il potere esclusivistico di gruppi o di individui può essere contraddetto soltanto se il sapere non è esclusivo di gruppi o di individui, soltanto quindi se si ha una democrazia della cultura. Democrazia è civiltà. Democrazia della cultura non significa negare che la cultura sia aristocrazia, ma significa riconoscere in essa un’aristocrazia che deve essere aristocrazia di tutti, un’aristocrazia paradossalmente democratica. Solo a queste condizioni la società odierna può essere, può cominciare forse ad essere una società civile, ma è necessaria questa democrazia della cultura; la democrazia della cultura trova la propria radice nell’assunzione da parte di ciascuno, quindi da parte di tutti, della propria responsabilità di pensare, quindi in qualche modo della propria responsabilità di filosofare. La possibilità per tutti di filosofare sta nel fatto che ogni individuo abbia gli strumenti che lo aiutino a orientarsi, che lo aiutino a costruire la propria selezione ed il proprio giudizio critico. Da questo punto di vista io credo che sia molto utile l’iniziativa di questa rivista e quindi vadano incondizionatamente lodati coloro che questa iniziativa hanno pro- RESOCONTO Frontespizio del libro II dell'Etica Nicomachea di Aristotele composta da Andrea Matteo, duca d'Atri (1458-1529) RESOCONTO mosso. Occasionalmente io mi trovo a parlare da questa parte del tavolo, ma in realtà, almeno all’inizio, le cose che sto per dire sono dette dalla parte del pubblico, perchè l’impatto che ho di fronte a questa rivista è l’impatto di un fruitore, di un ricettore, di un utente, non la parte di un attore. E non soltanto perché non ho avuto l’onore di partecipare alla fondazione, all’ideazione, ma perchè pur essendo un addetto ai lavori, penso di aver bisogno di “Informazione Filosofica” nel senso, se volete, più banale della parola informazione, cioè lasciando da parte le teorie dell’informazione, lasciando da parte l’informazione in senso aristotelico, semplicemente informazione come trasmissione di notizie. Vorrei dire di più: forse proprio perchè sono un addetto ai lavori, appunto per questo ho particolarmente bisogno di un’informazione di questa specie. La situazione di chi per dovere professionale abbia bisogno di essere aggiornato, è in questo campo particolarmente diffficile. Non farò intervenire in questo caso una variabile così delicata come la velocità di cui ha parlato Aldo Masullo, ma semplicemente una grandezza puramente quantitativa. In tutti i campi l’informazione per noi oggi è difficile per la sua sterminata quantità, per il diluvio di informazioni che ci raggiunge; quando noi apriamo la posta, selezioniamo la corrispondenza, dobbiamo veramente tenere un ritmo rapidissimo per non perdere delle ore preziose e gettarne la maggior parte nel cestino senza leggerla. Ora, questo può capitare anche nel proprio campo - a me confesso capita quando arrivano bollettini di case editrici, quando arrivano notizie di congressi e così via. Perchè? Perchè questa informazione non è sufficientemente organizzata, selezionata, decantata e quindi successivamente trasmessa. Quindi ringrazio la provvidenza se mi arriva qualche informazione nel mio campo che non sarei in grado di raggiungere personalmente o dovrei perderci troppo tempo, con danno per altri lavori a cui dovrei dedicarmi; se questa informazione mi arriva decantata, ordinata, facilmente accessibile e anche collocabile in poco spazio ed eventualmente, come spero in futuro verrà fuori dagli indici periodici, reperibile anche senza ricorrere a banche dati o ad altri tipi di scambi di informazione. Questa è forse una circostanza in cui un tipo di sapere come il sapere filosofico si trova in una situazione diversa da quella di un sapere scientifico, e questo entra nel merito proprio del nostro tema: “tradizione e attualità”. In altri campi il rapporto tra tradizione e attualità è diverso quando si tratta di un sapere in qualche modo cumulativo. Non che ci siano mai delle verità scientifiche accertate una volta per tutte, una frontiera che si muove e che ha quindi un passato e una linea di demarcazione degli eventi, di cui lo specialista deve informarsi. In questo caso il suo tipo di reperimento dell’informazione assume dei caratteri speciali, particolari. Un collega ora purtroppo morto, Vittorio Mathieu uno dei più grandi meccanici celesti del nostro secolo, Giuseppe Colombo, mi diceva un giorno che lui andava ogni tanto qualche mese in America, perchè in questo modo guadagnava tempo per raccogliere quelle informazioni che gli erano necessarie. Allora le banche dati erano meno sviluppate, ma probabilmente ancora oggi questo metodo potrebbe essere economico e fruttuoso per un tipo di informazione come quella di cui ha bisogno uno scienziato. Ma nel nostro campo, nel campo del sapere della filosofia, che a mio parere non è assimilabile alle scienze postgalileiane, questo modo di informarsi, vuoi attraverso lettere, vuoi attraverso riviste, vuoi attraverso banche dati o bollettini di editori, non sarebbe praticabile, implicherebbe un’eccessiva dispersione di forze e di tempo, quella dispersione che qui giustamente si è voluta evitare. Ecco perchè saluto questa iniziativa come benefica per i non addetti ai lavori, ma sostengo che anzitutto servirà come informazione per gli addetti ai lavori. Notiamo che non è la prima iniziativa di questo genere; su un piano molto più modesto e con scarsezza di mezzi ha chiuso recentemente la sua attività un bollettino filosofico, ideato da Marina Gentile ed elaborato nella sua scuola, che aveva un po’ la stessa funzione informativa. Questo non esclude che la funzione informativa possa essere anche formativa, su questo punto vorrei anche esprimere un dissenso rispetto a una parola che è stata pronunciata. La parola divulgazione a mio parere è troppo modesta ed anche impropria. Non credo che possa esistere propriamente una divulgazione filosofica, ma certamente una informazione filosofica intorno alla filosofia. Come non penseremmo di divulgare la musica, caso mai di indurre ad ascoltarla; non penseremmo di divulgare la pittura, ma di parlare della pittura per aiutare a vedere la pittura, così penso non si tratti di divulgare la filosofia, ma di aiutare a scegliere ed a approfondire qualche briciola di filosofia: anche noi che siamo del mestiere non possiamo approfondire che pochissime briciole di qualche autore che conosciamo meno male degli altri. Si tratta quindi di aiutare lo specialista, ma anche il non specialista, ad avere un primo orientamente grazie a cui poi potrà avere un contatto diretto con qualche opera di letteratura filosofica. Si parla in tedesco di letteratura secondaria, questa sarebbe per così dire una “letteratura terziaria”, che informa sulla letteratura secondaria, la quale a sua volta interpreta la letteratura primaria. In realtà, nulla esclude che come un’opera di interpretazione ridiventa un’opera originaria di filosofia - pensate alle opere di Hegel e Reinhardt sulla filosofia antica: sono a loro volta opere di filosofia su una filosofia - nulla esclude che una letteratura terziaria come questa diventi, attraverso un’interpretazione ermeneutica, il tentativo di mettere a contatto con altre opere, diventi essa stessa un’opera originale: nulla lo esclude, ma se anche non lo diventasse l’utilità di questa impresa rimarrebbe tale e quale. Quindi non direi divulgazione filosofica, ma facilitazione, intermediazione filosofica. Passo ad un altro punto, brevemente, a mio parere RESOCONTO molto importante, che è stato appena accennato qui a congiungere questo Istituto Lombardo al noto predeproposito del titolo di questo Istituto Lombardo per gli cessore napoletano, vorrei ricordare che all’origine Studi Filosofici e Giuridici, perchè vorrei esprimere, l’Istituto di Studi Filosofici di Napoli aveva come suo come dire, la mia partecipazione, anche direi quasi nume titolare un filosofo del diritto, diventato poi sentimentale ad un programma del genere; penso che filosofo morale, Pietro Piovani; questo, direi, è un alla filosofia sia molto utile una specie di esercitazione parallelo augurale anche per l’Istituto Lombardo, augiuridica: un grande filosofo come Kant continua ad gurale nel senso che implica un contatto con problemi esprimersi con linguaggio giuridico ed a pensare da umani vissuti, la cui tecnicizzazione, anche giuridica, giurista anche quando fa filosofia. E questo ha permes- non deve essere messa da parte. Non si deve infatti so a Kant di elaborare una filosofia particolarmente credere di poter trattare del diritto così come viene, oggettivabile, anche se in forme scolastiche, a volte senza una sapienza prima legislativa e poi cifrate, ma che possono essere rese accessibili attra- giurisdizionale che si vanno perdendo. Questa circoverso una sorta di interpretazione, che spesso si ricollega stanza può quindi far del bene anche ad una riflessione ad un’interpretazione filosofica che non giuridica. D’altra parvoglia perdere i conte penso anche che tatti con l’umano, oggi il diritto abbia come almeno appamolto bisogno di filorentemente è accasofia, forse anche duto dopo l’illuperchè è stato ampiaminismo scolastico mente corrotto dalla fitedesco. Anche quelosofia. Ma che cosa sta terminologia così hanno fatto i primi tecifrata, che una volologi della chiesa? Per ta era la normale terevitare di essere inganminologia filosofica nati dalla filosofia si e che oggi è stata sono messi a studiare sostituita da altre più a fondo la filosospesso non meno cifia, e penso che i frate della scuola di giuristi che ieri erano Parigi, non prive di incantati dal diritto pouna certa petulanza sitivo e sprez-zavano e saccenteria pseucome elucu-brazione do-letteraria, anche campata in aria tutto questo male penso quello che sapesse di possa essere in parte diritto naturale, per guarito con un conusare la vecchia denotatto più diretto con minazione della cattel’esperienza uma-na dra di filosofia del diche dovrebbe avere ritto, oggi credo che sia il diritto, sia la ripensino a questo loro filosofia, senza pergiudizio, proprio dere nulla della loro perchè la “scienza giutecnicità. Credo che ridica” si è trovata di quest’ultimo di per fronte a certi limiti, a sè sia un punto di certe situazioni di cricontatto immediato si che la pongono di tra tradizione e atfronte a problemi non tualità filosofica. più di tecnica giuridiL’attualità filosofica Frontespizio del libro VI dell'Etica Nicomachea di ca. Lo stesso è capitanon è l’attualità, diAristotele composta da Andrea Matteo Acquaviva, duca to alla scienza mateciamo, dei media, del matica, che pure, fino a poco tempo fa, spregiava la sensa-ziona-lismo dei giornali o di altri mezzi di inforfilosofia della matematica o anche la logica come un mazione; l’attualità filosofica è precisamente l’attualità divertimento della domenica per un matematico serio. della tradizione filosofica e la tradizione filosofica vive Lo stesso è capitato alla fisica all’inizio dell’Ottocen- attualmente, oppure è semplicemente una curiosità storito, allorchè, trovandosi di fronte a certi concetti limite, ca, come può essere la tradizione astrologica. Se la è stata costretta a rifilosofizzarsi dall’interno, senza filosofia non è una credenza come l’astrologia o altre andare a prendere a prestito concetti ai filosofi. Lo cose del genere, vive sempre in questa attualità ripensata stesso, infine, penso che avverrebbe oggi nel diritto se di volta in volta da ciascuno di noi: a far questo ci può il giurista, come sta capitando io credo in certi casi appunto aiutare l’”Informazione Filosofica”. felici, si andasse rifiloso-fizzandosi dall’interno. Per RESOCONTO Io mi trovo per mestiere, per interessi, in quella zona di confine, in quel limbo che i filosofi ritengono appartenere alla matematica e i matematici alla filosofia. Il discorso che qui penso semplicemente di fare è questo: se si prende la filosofia in termini seri, la filosofia deve aiutarci a capire tutta una serie di cose che avvengono anche nel nostro mondo; fra le cose che avvengono oggi nel nostro mondo c’è in particolare il discorso scientifico o la scienza. Non ricordo chi abbia detto che la filosofia ha un grosso vantaggio rispetto alla scienza in generale. Se per ipotesi dovesse finire tutta la scienza, gli scienzati non ci sarebbero letteralmente più, mentre i filosofi potrebbero ancora chiedersi: perchè tutta la scienza? Questo vantaggio che la filosofia ha in qualche modo sulla scienza è però anche un grosso impegno che viene alla filosofia nei riguardi della scienza. Molti scienziati hanno riflettuto sulla loro scienza, e quindi hanno tentato di raggiungere delle analisi e delle concezioni che fossero di carattere più generale, relativamente alla metodologia con cui, da un punto di vista scientifico, studiavano una certa realtà. In genere tuttavia queste riflessioni di carattere generale, dal punto di vista dei filosofi, non raggiungono la dignità di filosofia. Per ricordare ancora Giulio Preti, egli aveva fatto una distinzione di carattere convenzionale, secondo me estremamente utile, anche se non credo che gli desse un’importanza assoluta: chiamava epistemologo lo scienziato che rifletteva sulla propria scienza, e chiamava invece filosofo della scienza il filosofo che rifletteva sulla scienza. Ora, invece di avere solo una settorializzazione specifica della filosofia, quella che poi si chiama filosofia della scienza, la quale non sempre tiene presente in particolare il discorso scientifico quando fa filosofia, molto probabilmente sarebbe più interessante e opportuno seguire tutta una serie di discussioni in campo epistemologico, che oggi in particolare ci vengono da più parti. Qui s’innesta uno dei possibili compiti di questa rivista. Tutto sommato, se non si da divulgazione della filosofia, allora non si da divulgazione di niente, certamente neanche della scienza. Se divulgazione la intendiamo in termini concreti, espliciti, allora indubbiamente c’è divulgazione tanto in filosofia, quanto nella scienza, e la filosofia in particolare è il veicolo principe di divulgazione e informazione in questo senso. Io non vedrei la divulgazione come un fatto così marcatamente e necessariamente negativo; bisogna vedere cosa si intende per divulgazione. Se divulgazione vuol dire rendere facile in modo artefatto quello che è difficile, allora evidentemente non sono daccordo con questo tipo di divulgazione; se divulgazione significa portare alla complessità dei concetti le persone che non sono addette a quei concetti, allora ben venga la divulgazione. Il compito dei filosofi in questo senso è raccogliere il lavoro che certamente molti scienziati hanno fatto e sempre più vanno facendo; la scienza ha l’abitudine di mettere in crisi sé stessa molto più della filosofia; ma il tutto avviene secondo una metodologia che ha bisogno poi di riscontri concreti di carattere concettuale, perchè lo scienziato deve dimostrare, cercare delle “verità”, e oggi si è anche più convinti, non tutti, ma la maggioranza, che le verità che si vanno cercando non sono verità assolute. Questo non vuol dire che si sia persa una data certezza nel discorso scientifico; solo si sono cambiate, ampliate, esplicitate Corrado Mangione le condizioni per cui il discorso può essere certo oppure no. Faccio un solo esempio, che riguarda il mio lavoro. Mathieu ha scritto una delle cose più chiare e più concise ed interessanti sul teorema di Gödel. Egli diceva: «adesso la logica è passata armi e bagagli alla matematica». D’altra parte però lui, filosofo, riteneva importante discutere e presentare questo grosso problema e questi grossi risultati che erano rappresentati dal teorema di Gödel. Ora devo dire che non sono convintissimo che la logica sia passata armi e bagagli alla matematica, se non foss’altro per il motivo che ho detto prima, che i matematici non ci credono; i filosofi l’hanno scaricata dicendo che dopo il neopositivismo ne avevano abbastanza, i matematici l’hanno scaricata dicendo che in fin dei conti è un discorso che fanno i filosofi. Perchè? Perchè il discorso logico è caratterizzato dal fatto di avere una portata di carattere generale che è stata sempre caratteristica della logica, e che quindi ha una valenza di raccordo con la filosofia, che il filosofo dovrebbe cogliere immediatamente e che invece si va sempre meno praticando. L’esempio che volevo fare è questo: oggi in logica c’è una grossa discussione, fra i logici ovviamente, se si debba mantenere la denominazione di logica matematica, oppure si debba invece passare a chiamarla logica computazionale. Logica computazionale è un mascheramento abile per dire logica informatica. In effetti l’informatica ha dato un grosso impulso alla logica di recente, ma ha dato un grosso impulso alla logica non tanto perchè l’ha attirata dentro di sé, quanto perchè da un lato ha ricosciuto che alla base teorica dei grandi successi dell’informatica di oggi, quella teorica intendo, c’è proprio un discorso di carattere logico, e una volta che l’informatica si è assicurata un suo posto di carattere accademico non ha più rigettato questa paternità, che invece fino agli anni sessanta rigettava in modo totale ed assoluto; dall’altro ha proposto alla logica una serie di problemi, alla quale la logica ha risposto nei suoi propri termini. Dal punto di vita logico porre un problema di questo tipo è assurdo; non ha molto senso cambiare il nome da logica matematica a logica informatica, solo perchè oggi una serie di problemi e di riflessioni che possono far sviluppare il discorso logico proviene dall’informatica. Un problema di questo tipo dovrebbe interessare direttamente il filosofo. Certo vi è qualche difficoltà di linguaggio; ma il linguaggio filosofico non è meno specialistico del linguaggio matematico. La filosofia ha una tecnica esattamente come hanno una tecnica le scienze fisiche matematiche e così via; solo che l’accezione comune di tecniche si riferisce ai prodotti di cui noi poi fruiamo. Così, mentre della scienza possiamo avere una fruizione pressochè immediata, della filosofia non è vero che abbiamo questa fruizione immediata. E’ allora estremamente interessante una rivista che non solo dà informazione agli addetti ai lavori, ma in effetti può dare informazioni non specialistiche a un pubblico molto più vasto. Nel fare questo, secondo me, c’è da un lato il livello a cui si mantengono queste informazioni, e questo è un dato che credo le persone del comitato scientifico e i redattori mi sembra diano un ottima garanzia; dall’altro naturalmente occorre vedere su che cosa si da informazione, cioè su che cosa si intende che la filosofia debba in qualche modo cimentarsi. Da questo punto di vista credo che la filosofia abbia pochi elementi della vita umana sui quali non cimentarsi, il problema è vedere come ci si cimenta. Mi pare che la questione intorno alla quale è opportuno RESOCONTO accennare qualche problema è proprio la questione centrale, quella del rapporto tra attualità e tradizione. L’attualità filosofica non si forma in una maniera qualsiasi, la filosofia non si fa in mille modi inprevedibili, inderterminabili, senza una struttura. La filosofia come la scienza, mi permetto di dire, ha una impalcatura; e allora chi si preoccupa di elaborarare una filosofia bisogna che immediatamente si interroghi su quali sono i caratteri della filosofia, del discorso filosofico, quale è la disciplina specifica che la costituisce e che in certa maniera la garantisce; anche perchè si tratta poi di mettere in rapporto la persona che filosofa oggi con persone che hanno filosofato ieri, e quindi nasce il problema della tradizione. Quando si dice filosofia non si può intendere la filosofia né in senso troppo largo, né in senso troppo stretto. In senso troppo largo la filosofia viene confusa con altre forme di cultura; in senso troppo stretto viene intesa in una forma autoritativa, il cui valore è quello che le attribuisce la persona che la propone e basta; non ha nessun seguito, e non fa nessun incontro con la tradizione. La tradizione è importante perchè senza tradizione si ha quella specie di storia della filosofia che è una filastrocca di idee, da cui non emerge alcuna coordinazione. Appena si costituisce, la tradizione deve già essere un punto di riferimento della tradizione medesima, per vedere che cosa rispetto a questa tradizione cambia e permane. Ecco, a me importa di ricordare a tutti gli amici che sono qui presenti, che il tema dell’attualità della filosofia, cioè i caratteri che distinguono il discorso filosofico, in quanto tale, e i caratteri che distinguono e formano la tradizione filosofica sono stati dibattuti in piena regola in un momento preciso della nostra storia del pensiero e sono stati determinati, chiariti, discussi circa i loro temi, almeno i temi più importanti, attraverso la figura di un filosofo, al quale vorrei fare qui riferimento: Giulio Preti. Nel convegno che fu fatto qualche anno fa all’Università di Milano sul pensiero di Preti, fu dedicata un’attenzione particolare alla metodologia della filosofia e della storia della Mario Dal Pra diverse, anche molto diverse tra loro, contribuiscono con i loro spunti argomentativi, i loro suggerimenti teorici, le loro obiezioni e puntualizzazioni, a mettere in evidenza alcuni compiti urgenti, alcune immediate direzioni di lavoro, che spetta ora a “Informazione Filosofica” tradurre in suoi specifici criteri operativi. Di fatto è necessario per un progetto come questo, finora filosofia. E' chiaro che storia della filosofia e filosofia hanno un qualche legame. Preti osservava che si può considerare la filosofia dal punto di vista della sua autonomia, cioè del suo carattere; si può anche considerarla dal punto di vista della sua eteronomia, cioè come strumento di riflessione di una persona condizionata economicamente ecc.., ma questo non riguarda più propriamente le strutture interne, autonome della stessa filosofia. Non si può prendere per filosofia ogni sparata di carattere più o meno originale, senza capo né coda e senza riferimenti all’impianto della tradizione. Ecco allora la funzione di questa rivista. Essa dice: qui c’è il tale filosofo che ragiona così, si appella ad una tradizione configurata in questi termini, intende stabilire una distanza fra certi momenti di questa tradizione e certi altri. La tesi intermedia che bisognerebbe tenere presente è che ci vuole continuità e discontinuità per spiegare il mutamento e lo sviluppo; altrimenti, se tutto è continuo la filosofia si riduce, come avveniva in certe fasi della tradizione idealistica, ad una sola filosofia e tutte le altre non erano che pseudofilosofie. Se invece si accentua la discontinuità, allora avviene proprio la filastrocca delle idee: non c’è più legame, non c’è più connessione.Lo scopo della rivista medesima è in tal modo molto, ma molto più elementare e ridotto. Quindi sostengo che è estremamente importante avere in filosofia un’attualità; ma un’attualità si costruisce attraverso una struttura, e questa struttura è una specie di essenza, non un’essenza metaempirica, non un’essenza metafisica, ma un’essenza con cui si dà validità a delle strutture di carattere generale che costituiscono la riflessione. Poi quando si guarda alla tradizione in cui l’attualità si riferisce, si costruisce, si allarga una prospettivadi pensiero nella quale noi siamo egualmente impegnati, così come siamo impegnati nell’attualità. Da questo punto di vista non si tratta dunque di filosofare come per scherzare, come per tentare l’arte, ma filosofare per costruire una maniera di comprensione della realtà che abbia un suo disegno, una sua struttura alla quale ci riferiamo e nella quale riusciamo anche a riguadagnare le strutture del passato che costituiscono la forza preminenete della tradizione. Gli interventi che hanno preceduto, pur sviluppandosi per vie impraticato, che si costituisca fin dall’inizio un bagaglio di pensiero, di riflessione sul progetto stesso, che nel momento della scelta pratica intervenga come sostegno metodologico in grado di correggere, migliorare, sviluppare il lavoro di interpretazione, di verifica, di ricostruzione di una tendenza, di un contesto, di una tradizione di pensiero, che sta alla base di questa di problemi dell’attualità, un primo livello per l’informazione filosofica è quello di carattere divulgativo. A suo parere è possibile, e in quali limiti, salvare in questo passaggio la specificità del linguaggio e dei contenuti della filosofia, senza diluirne i problemi in giudizi basati su un generico buon senso? R. Certamente questo compito pone limiti invalicabili. rivista. A questa esigenza risponde anche un’intervista espressamente concessa da Carlo Sini, a cui è stato proposto il medesimo tema che ha guidato i precedenti interventi. Presentiamo qui, a conclusione di queste considerazioni, il testo dell’intervista a cura di Flavio Cassinari. D. Come possibilità per la filosofia di riflessione e intervento nei confronti Non esiste la perfezione di una proposta di informazione; ci sono però alcuni canoni che vengono oggi largamente disattesi e che un tempo erano invece più rigorosamente seguiti; se si vuol fare dell’”informazione filosofica” occorre che essa sia effettivamente tale. Non è un buon sistema trasformare l’informazione filosofica in una sorta di spettacolarizzazione del messaggio, anche se in RESOCONTO buona fede lo scopo è sollecitare l’interesse attraverso uno strumento estrinseco: quel tipo di interesse che viene ottenuto con mezzi non filosofici ricade su se stesso, non va mai all’oggetto filosofico propriamente detto. L’informazione deve certamente proporsi un problema di traduzione in un linguaggio il più possibilmente chiaro, accessibile e non specialistico, ma non deve tradire la sostanza della questione. L’informazione deve, cioè, mirare al linguaggio comune, che è proprio il luogo della filosofia. Occorre aiutare il pubblico a comprendere qual è il problema che sta dietro a ogni questione filosofica propostagli. Se tutti quelli che fanno questo lavoro prezioso di informazione filosofica su quotidiani e riviste si proponessero, ma raramente lo fanno, di dire al lettore non competente qual è il problema che un libro o un convegno ha inteso sollevare come problema largamente umano e vissuto nell’ottica della filosofia, e si proponessero di mettere in luce la domanda che è comune a tutti, credo che questa sarebbe una buona informazione filosofica. Chi ne è colpito va poi a vedere il testo; e occorre ribadire a questo lettore che il testo è insostituibile, cioè che non si può sostituire il testo con l’articolo di giornale. D. A partire da queste premesse, quale ruolo crede possa giocare l’informazione filosofica per evitare il pericolo di una riduzione della filosofia a scienza dell’uomo, sullo stesso piano, cioè, di una delle tante branche specialistiche del sapere - la psicologia, piuttosto che l’antropologia - che riguardano l’uomo e vengono accolte all’interno degli inserti culturali dei giornali, piuttosto che nelle riviste più o meno specializzate? R. Credo che ci siano almeno due strategie: la prima è non accettare dalla consuetudine culturale questa classificazione. Occorre non tradurre l’informazione filosofica in informazione lato sensu relativa a una delle “scienze umane”: l’informazione filosofica può riguardare la chimica, la fisica, la biologia. In altri termini, occorre guardare al complesso del sapere, con lo sguardo proprio della filosofia. Già questo eliminerebbe la mentalità un po’ da libraio, che prevede scaffali in cui da una parte c’è la filosofia fra le scienze umane, dall’altra, ad esempio, l’astronomia; nessuno ha stabilito che la filosofia non debba mai occuparsi di astronomia. Già questo obiettivo richiede competenze rare nell’ambito della filosofia; occorre la capacità di cogliere, poniamo nella fisica, luoghi nei quali il problema è filosofico e addirittura è avvertito come tale dagli stessi fisici, e portarli davanti agli occhi del lettore. In questo modo si scardina quella specie di sapere enciclopedico, non scritto ma editorialmente reale, che assegna la filosofia a un determinato settore e la esclude da tutti gli altri. La seconda strategia è più sottile: è necessario dare l’informazione, nella quale le scienze umane avranno pure grandissimo peso; ma nel modo di dare l’informazione si va al di là della notizia, e lì comincia il complicato, difficile e terribile compito. Occorre dare una notizia non nell’ottica delle scienze umane, ma sempre sottolineando qual è la questione filosofica sottesa; nel segnalare il testo, al di là della semplice citazione, dico quelle cose che orientano verso il problema. Questo devono fare i collaboratori, se riescono a mettere in primo piano l’interesse filosofico in senso lato piuttosto che non l’interesse specifico, specialistico. In questi due modi si potrebbe evitare un appiattimento della filosofia tra le scienze umane. D. Si pone qui però un problema ulteriore: al di là delle ripartizioni a essa estrinseche, che la collocano in un ambito piuttosto che in un altro, la ricerca filosofica stessa si ripartisce in discipline sempre più specialistiche. Non è un paradosso, ammesso che lo sia mai stato, che un docente di filosofia della scienza abbia più argomenti di discussione con un collega di matematica, o con uno di fisica o di biologia, anziché con il collega che insegna filosofia della storia. A un livello che non sia più solo divulgativo, l’informazione filosofica può, secondo Lei, svolgere un ruolo per ricostruire uno “spazio comune” per la ricerca filosofica in quanto tale? R. Certo che lo può; se usa l’informazione come orientamento. Credo che in una rivista come “Informazione filosofica” ci debba essere una parte cospicua che non si proponga altro che un servizio: in maniera modesta, il più possibile oggettiva, si dice che si è tenuto un certo convegno, che è uscito il tale libro e così via. Così si dà un’informazione puramente neutrale, nella quale entrano problemi relativi alla “completezza” e alla scelta fra le cose che sembrano più importanti. Laddove però la rivista si impegna a presentare in maniera più ampia, allora evidentemente entra in gioco una sua decisione, anzi una decisionalità, consistente nel sottolineare, anche controcorrente, certe cose piuttosto che certe altre. Qui la rivista acquista una sua fisionomia: ciò di cui si fa carico, e non semplicemente cita, diventa una scelta culturale precisa. Mi sembrerebbe passivo un giornale che registra tutto quel che succede. Non lo potrà mai fare, e quando lo farà, opererà sempre dei tagli che saranno dovuti al caso; la rivista sarà inadempiente per uno scrupolo di obiettività neutrale, che poi si riduce in sostanza a una sorta di inefficace inventario. Laddove la rivista fa delle scelte, queste devono essere ricondotte a una concezione della filosofia, che deve essere presente e in modo neppure troppo dissimulato, ma esplicitamente dichiarato. In questo modo potranno esserci molti consensi per una rivista che parla di filosofia, che ha capito la specificità, sia pure lata, discutibile, della ricerca filosofica. Allora viene superato il problema di avere il fisico che discute col matematico di filosofia della scienza,e che solleva questioni epistemologiche in senso stretto, perché interessa invece che ciò determini una discussione di natura effettivamente filosofica. Qui le scelte diventano compromettenti: vi assumerete la responsabilità di trascurare il grande evento del quale si dà la semplice notizia, perché non è in realtà un grande evento per la filosofia, e di sottolineare un piccolo evento, che in realtà non è un piccolo evento, perché là si è parlato di filosofia davvero. Questo sarebbe uno scopo molto dignitoso, in un certo modo una battaglia. RESOCONTO AUTORI E IDEE Jacob Burckhardt nel 1892 (Basilea, Biblioteca Universitaria) AUTORI E IDEE AUTORI E IDEE Ranke e Burckhardt Esce postuma l’ultima opera dello storico recentemente scomparso, Felix Gilbert, già allievo di Friedrich Meinecke, che con il suo studio, History: Politics or Culture? Reflections on Ranke and Burckhardt (Storia: politica o cultura? Riflessioni su Ranke e Burckhardt, Princeton University Press, Princeton 1990). prende in esame l’opera dei due grandi storici tedeschi del secolo scorso, mettendone in luce i motivi comuni e indicandone alcuni motivi di attualità. Nell’opera dei due grandi storici tedeschi del secolo scorso, Leopold von Ranke e Jacob Burckhardt, sono numerosi i motivi di interesse per la filosofia, sia dal punto di vista della riflessione sulla metodologia della ricerca storica, sia per le connessioni che legano la ricerca di entrambi alla tradizione della filosofia tedesca. Gli aspetti di interesse metodologico della storiografia di Ranke sono stati sottolineati con particolare incisività da Wilhelm Dilthey, che individuava in Ranke uno dei maggiori esponenti della “scuola storica” tedesca e il sostenitore di una storiografia che si sottraeva agli elementi speculativi della filosofia della storia di Hegel. Pur mantenendo come impianto teorico di fondo un orizzonte di carattere teologico, la ricerca di Ranke si rifà - risalendo oltre Hegel - all’eredità della tradizione classico-romantica di Goethe, Schleiermacher e Humboldt e critica la concezione hegeliana della storia: compito della storiografia è di ricostruire i fatti «così come essi sono propriamente stati», attraverso gli strumenti della documentazione e della critica comparativa delle fonti. Allievo di Ranke e di Johann Gustav Droysen - l’altro grande storico che ha sviluppato la riflessione metodologica e gnoseologica sulla ricerca storica Burckhardt è stato ripetutamente contrapposto a Ranke. Nella sua storiografia, che in particolare vede nell’espressione artistica una via di accesso privilegiata alla comprensione dei fatti storici - un’idea di cui Burckhardt è in parte debitore a Schopenhauer e che sarebbe poi stata ripre- sa da Dilthey - diversi interpreti hanno individuato il modello di una storia della cultura (Kulturgeschichte) scettica, pessimistica e contemplativa, alternativa alla storia “politica” e alla religione ottimistica della storia di Ranke. Una tradizione interpretativa questa, che venne messa in discussione dallo storico e filosofo tedesco Friedrich Meinecke in una conferenza del 1948 dal titolo Ranke und Burckhardt, dove venivano messe in luce le affinità presenti nelle concezioni dei due storici. Nella sua ultima opera Felix Gilbert, emigrato negli Stati Uniti, tende a superare la contrapposizione tra Ranke e Burckhardt, tra storia politica e Kulturgeschichte, mettendo in evidenza gli aspetti comuni alle rispettive concezioni della storia. Con l’intento di individuare i tratti effettivamente innovativi nel metodo di ricerca di Ranke, Gilbert mette in relazione il rapporto, stabilito da Ranke, tra culto del “fatto” storico e visione teologica della storia con la costituzione della storiografia come scienza autonoma, e indica le differenze tra la posizione di Ranke e quelle di Hegel e Droysen. Anche nel caso dell’analisi della Kulturgeschichte di Burckhardt il procedimento di Gilbert è quello della contestualizzazione: da un lato l’opera di Burckhardt viene esaminata nel suo sviluppo interno, dal libro su Costantino il Grande e i suoi tempi (1853) alla Storia della civiltà greca (pubblicata postuma tra 1894 e 1902); d’altro lato vengono delineati i suoi rapporti con le tradizioni popolari romantiche tedesche. Alla fine del suo studio Gilbert si chiede quali siano gli elementi che connettono le opere dei due storici, e soprattutto quale sia la ragione dell’ammirazione più volte espressa da Burckhardt per il suo maestro Ranke. La risposta a questa domanda mette in luce quelli che per Gilbert sono i motivi di attualità dei due storici, entrambi impegnati nella costruzione di una “storia universale” che coincide con la storia europea, la storia di un’Europa intesa da Ranke non come entità geografica, ma come un insieme di esperienze culturali comuni. E’ proprio questa concezione europeistica che appare a Gilbert non solo come la base di esperienze comuni ai due storici tedeschi, ma anche come un’eredità culturale di grande attualità. La questione della continuità della storia, venuta alla ribalta dopo la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, viene ripresa nell’opera di Ranke e Burckhardt, che la trasformano nel problema della tradizione della cultura europea, trasmettendola al nostro presente. In questa prospettiva deve essere letta l’affermazione conclusiva di Gilbert, in contrasto con quella sorta di “religione” della storia reperibile ancora nel suo maestro Meinecke, di un’etica secolarizzata nel rapporto con il passato: un’etica in base a cui la storia viene intesa come rapporto di riflessione rispetto ai valori tramandati dalla tradizione. M.M. Sulle tracce di Benjamin Nell’attuale fioritura di studi sull’opera di Walter Benjamin sono presenti motivi che vanno oltre la ricorrenza occasionale del cinquantennale della morte del filosofo: la rilevanza del suo pensiero si va imponendo al di sopra di qualsiasi congiuntura. A Benjamin è stato di fatto dedicato un numero monografico della “Revue d’Esthétique”, curato da Marc Jimenez e Marc B. De Launay, con saggi di Sholem, Marcuse, Habermas, mentre un importante saggio critico ad opera di Marie-Cécile Dufour-El Maleh è recentemente apparso nelle librerie francesi: Angelus Novus. Essai sur l’oeuvre de Walter Benjamin (Angelus Novus. Saggio sull’opera di Walter Benjamin, Edizioni Ousia, Librairie Vrin, Parigi 1991). Lo studio di Marie-Cécile Doufour-El Maleh, se non ha la pretesa di ricostruire l’intero percorso filosofico di Benjamin, è notevole pe la capacità di riproporre il movimento del suo pensiero, quella «vicinanza micrologica» all’oggetto, di cui parlava Adorno, che non punta all’identificazione, ma che lo apre in una gamma di possibili letture. Facendo proprio il carattere volutamente incompiuto di questo pensiero, la studiosa riprende alcuni frammenti dell’opera di Benjamin per rinnovare gli «accordi segreti» tra il politico, il mistico e il filosofo della storia che non crede al AUTORI E IDEE progresso, ma per il quale «ogni attimo è la porta stretta dalla quale può entrare il Messia». In questa luce l’adesione al marxismo di Benjamin acquista una valenza che non è semplicemente ideologica. Essa rileva piuttosto la necessità di portare l’esigenza messianica nella concretezza della contingenza storica; in questa peculiare coniugazione della prospettiva teologico-religiosa con il materialismo resta comunque la prima a conservare la predominanza. Ugualmente, l’opposizione allo storicismo, incardinata sulla critica alla pretesa oggettività del dato storico, cristallizzazione dell’evento e ostruzione del senso, apre ad una cognizione indivisa del tempo dove passato, presente e avvenire si condensano nella «folgorazione dell’attimo», in un’esperienza metafisica che non può essere nominata nel linguaggio, ma di cui il linguaggio rimane un paradossale rivelatore. In tal senso DoufourEl Maleh accosta la posizione di Benjamin con la sensibilità artistica di Proust, entrambi capaci di far brillare il senso a partire dal frammento: «il linguaggio non ha il contenuto, è esso stesso il suo proprio contenuto, non comunica nulla ma comunica se stesso [...] non si tratta di produrre un linguaggio ma di ascoltarlo». A questo spinge «il dono rarissimo di pensare poeticamente», di cui parlava Hanna Arendt a proposito di Benjamin. Sempre su Benjamin è anche da segnalare l’uscita dello studio di Daniel Bensaïd: Walter Benjamin, sentinelle messianique (Walter Benjamin, sentinella messianica, Plon, Parigi 1991). E.N. di chi, accusando il proprio avversario di essere un metafisico perché tenta di provare l’esistenza di Dio con dimostrazioni razionali, tenta nello stesso modo di provarne l’inesistenza. Anche i teorici della misinterpretazione, sostiene Eco, fanno riferimento a un’interpretazione “corretta” e, ponendo - per quanto involontariamente - questa correttezza in relazione con l’esistenza di una “verità in sé” al di là dell’interpretazione, entrano in contraddizione con la propria tesi fondamentale, che sostiene il carattere ermeneutico della totalità degli atti di comprensione. Eco non rinuncia affatto alla nozione di “interpretazione corretta”, che, anzi, ripropone contro la “misinterpretazione”. Solo fonda questa nozione su un terreno diverso da quello della verità “oggettiva” del testo. Eco propone, infatti, un criterio di carattere deontologico e pragmatico, un criterio cioè riferito all’operatività dell’interprete, distinguendo interpretazione e uso. L’interprete si impegna a intendere e a divulgare ciò che un fatto o un testo “vogliono dire”, cioè la loro “verità”. Il carattere problematico di tale nozione, sottolineato dalle varie impostazioni ermeneutiche che ne fanno uso, è così fatto salvo con il criterio proposto da Eco; ricondotto non a un “senso” oggettivo dei fatti o dei testi, questo carattere problematico della nozione di verità viene ascritto alla struttura dell’interpretante stesso e permette di reintrodurre, su basi nuove, la distinzione fra interpretazioni “vere” e interpretazioni “false”. Si dà con ciò la possibilità di stabilire, rispetto ad atti di comprensione ermeneutica, se non l’assoluta verità, perlomeno la probabile falsità. F.C. Limiti dell’interpretazione Contro gli interpreti americani, più che contro Derrida stesso, è rivolta l’ultima opera di Umberto Eco, I limiti dell’interpretazione (Bompiani, Milano 1991), che vuole essere innnanzitutto un attacco ai teorici della “misinterpretazione” (misreading). Sostenere il carattere ermeneutico della totalità degli atti cognitivi non significa dissolverne il valore euristico; segnalare i limiti euristici di questi stessi atti non comporta necessariamente un’apologia del fraintendimento, assunto a paradigma della conoscenza. Secondo Umberto Eco la nozione di “misinterpretazione” è autocontraddittoria, perché, contro i suoi stessi apologeti, è ancora profondamente impregnata di “metafisica”. Si può infatti sostenere la falsità dell’universalità degli atti di comprensione solo facendo riferimento a una “verità in sé” della cosa, o del testo, che si sta tentando di comprendere. Al di là del fatto di essere posta come inconoscibile, o come conoscibile solo all’infinito, questa verità sussisterebbe solo al di là dell’interpretazione. La posizione dei teorici della misinterpretazione è paragonabile a quella Fenomenologia della disillusione Il problema dei possibili effetti negativi delle acquisizioni delle scienze naturali e della tecnica nella società moderna e di come sia possibile controllare socialmente tali effetti, sia in rapporto alle relazioni interumane sia per quanto riguarda gli effetti distruttivi sull’ambiente naturale, è attualmente al centro della riflessione di pensatori che si collocano al confine tra la filosofia, le scienze umane e l’epistemologia. Anche il recente studio del filosofo berlinese Peter Furth, Phänomenologie der Enttäuschungen. Ideologiekritik nachtotalitär (Fenome-nologia delle disillusioni. Critica post-totalitaria dell’ideologia, Fischer, Frankfurt a. M. 1991) si colloca in questa direzione di ricerca. Nonostante le notevoli oscurità e difficoltà di linguaggio, l’importanza dei temi trattati e l’originalità del punto di vista di Peter Furth raccomandano l’opera all’attenzione del lettore interessato a quel complesso e talvolta difficilmente delimitabile ambito di problemi che vanno usualmente sotto il titolo di “modernità”. Con una particolare attenzione agli aspetti psicologici della condizione della modernità, Furth sviluppa un’analisi delle strategie messe in atto dall’individuo occidentale per liberarsi del senso di disillusione che nasce laddove «il lavoro viene inteso come oggettivazione, (...) come apparenza esterna di un’essenza interiore» - dunque come realizzazione delle disposizioni psichiche dell’individuo - e quando, correlativamente, «fenomeno ed essenza, interno ed esterno vengono pensati sotto la norma dell’identità». Quali sono, si chiede Furth, le strategie messe in atto dal soggetto estraniato a se stesso, che a causa dei meccanismi di organizzazione sociale non raggiunge nel lavoro la realizzazione di sé e delle sue potenzialità psichiche e umane, mentre il processo di civilizzazione lo spinge sempre più lontano dalla sua natura originaria? Nella fenomenologia delineata da Furth il soggetto estraniato tenta anzitutto di orientare se stesso, nel tentativo di porre fine alla propria estraniazione, secondo le direzioni indicate dalle avanguardie artistiche e politiche. Ma la fenomenologia di questo rapporto con le correnti di avanguardia è per Furth la fenomenologia di un duplice fallimento. Da una parte il cosiddetto socialismo reale, un «insieme di utopia, scienza, politica e tecnica», che strutturalmente sviluppa non solo una quantità di insufficienze a livello produttivo, ma anche oppressione dell’individuo. D’altra parte il fallimento delle avanguardie artistiche ed estetiche risulta per Furth già dall’analisi dell’estetismo di Nietzsche. Il nichilismo nietzscheano sarebbe in tal senso il risultato della frattura «tra estraniazione tragica e teoria ottimistica dell’estraniazione», una teoria che avrebbe i suoi ultimi esponenti nelle filosofie di matrice dialettica di Hegel e Marx. Ricercando la redenzione del soggetto estraniato all’interno della dimensione del vissuto artistico, Nietzsche diviene il rappresentante di un estetismo che, secondo Furth, si avvicina già, nelle sue modalità di funzionamento, ai moderni mass-media: in entrambi si assiste ad una estetizzazione della realtà, che di per sé non sembra più offrire al soggetto alcuna possibilità di soddisfazione. La caratterizzazione delle conseguenze di questo processo è forse il punto più interessante delle analisi di Furth: «L’estetizzazione diffusa logora la sacralità dell’estetico (...) Il sottrarsi (con l’aiuto dell’arte) alla disillusione si arresta solo se l’uomo stesso è divenuto un ‘fenomeno estetico’». Dopo la crisi delle avanguardie di fronte all’affermazione del progresso scientifico e tecnologico si impone la domanda di quale obiettivo rimanga valido per il soggetto che nel frattempo perde se stesso nell’estraniazione. Solo se desiderio ed estraniazione vengono intesi come uguali possibilità all’interno dell’esistenza, e la “memoria viene rinnegata”, può sviluppar- AUTORI E IDEE si quella “saldezza nella disillusione”, che secondo Furth può ancora essere d’aiuto di fronte alla fine delle speranze. Nonostante l’impressione di un eccesso di cedimento al disinganno e al cinismo, di facile indulgenza verso un’accettazione dell’esistente che impone un rifiuto della storia e della memoria, bisogna riconoscere che l’intenzione di Furth non è tanto di proporre modelli e formule edificanti, quanto di tener fermo rigorosamente all’analisi di ciò che è, per poter da qui rispondere alla domanda circa ciò che deve o può essere. M.M. Il realismo e la verità Nel 1976 Hilary Putnam annunciava ad un pubblico stupefatto di Boston l’intenzione di modificare alcune sue posizioni, a seguito del suo rifiuto di quell’insieme di teorie che egli definiva “realismo metafisico”, secondo il quale, rispetto ad un limite ideale, è possibile affermare che il vero può superare la sua verificabilità. Da allora Putnam ha cercato di definire ed elaborare una forma più accettabile di realismo, il cosiddetto realismo interno. In Realism with a human face (Realismo dal volto umano, James Conant, Harvard University Press, Harvard 1990) egli continua in questo suo proggetto. Uno dei compiti principali che Hilary Putnam si pone in questo scritto è quello di mostrare come la nozione di oggettività non decade se si abbandona il realismo metafisico. In secondo luogo, considerando che la natura del vero è stata spesso il principale sostegno per la determinazione dei valori, Putnam applica la sua teoria del realismo interno all’etica e all’estetica. In questo egli rifiuta ogni stridente dicotomia tra la scienza e l’etica in base all’epistemologia delle affermazione di entrambe le discipline, e considera conseguenza del realismo metafisico il mantanere questa dicotomia. La sua attuale posizione mostra in alcune casi una certa affinità con le principali dottrine dei pragmatisti americani, per esempio con la posizione di Williams James. La discussione di fondo presente in quest’ultimo scritto di Putnam, che per altro fonda il realismo interno, verte su un positivo trattamento del vero. Per affermare che una dichiarazione è vera, essa deve essere giustificabile in presenza di condizioni epistemiche accettabili. Questa tesi certo ha il vantaggio di non implicare nessuna riduzione di un discorso ad un altro. Tuttavia le affermazioni sull’estensione e sui limiti del vero, e la sua relazione con la giustificazione, non sono sorretti da un’indagine per determinare la natura del capire, che dovrebbe definire proprio quella estensione e quei limiti. Proprio questa mancanza pre- giudica almeno in parte l’esposizione di Putnam. In alcuni saggi sull’etica, contenuti in questo volume, Putnam sviluppa ulteriormente la sua teoria del vero, attaccando la posizione di Bernard Williams, secondo il quale se per le credenze scientifiche e percettive esistono fatti che le spiegano e le rendono realmente vere, non esiste niente di analogo per le credenze morali. Putnam individua nella posizione di Williams l’inaccettabile forma che assume la teoria del vero, quale componente integrale del realismo metafisico. Sebbene la descrizione del realismo interno di Putnam sia cambiata attraverso gli anni rispetto alla sua esposizione iniziale, due importanti punti sono rimasti. Il primo è che anche nella versione odierna della sua trattazione del vero non c’è niente di non verificabile all’interno di un’affermazione che riguardi la credenza percettiva di un qualcosa, dato che essa risulta spiegabile a partire dall’essere stesso dell’oggetto percepito, e dal fatto che può esser verificata in un qualsiasi moderno laboratorio di psicologia. Il secondo punto è quello che permette di affermare che una dichiarazione è interamente consistente tramite l’ausilio di tutte le esperienze che appartengono ad un certo individuo e che contribuiscono per esempio all’individuazione di un oggetto percepito come avente determinate caratteristiche. Anche se ancora lontano dal riuscire a fornire un sistema completo, con la sua trattazione del vero Putnam è riuscito a raggiungere, e a far raggiungere, lo scopo di ri-pensare il realismo metafisico, ponendo la sua posizione come una valida alternativa. V.R. I ritratti dell’io Il secondo volume di una monumentale ricerca sulle “scritture dell’io”, Lignes de vie (Percorsi di vita), che Georges Gusdorf sta conducendo da diversi anni, porta il titolo: AutoBiographie (Auto-biografia, Odile Jacob, Parigi 1991). Con questo studio Gusdorf compie un passo significativo verso la chiarificazione di quell’ambito di analisi che era stato aperto con il primo volume, Les Ecritures du moi (Le scritture dell’io). Allievo di Bachelard e seguace di Dilthey, Georges Gusdorf rimane un “grande marginale” della filosofia francese, decisamente ostile alla prospettiva di chi celebra la morte del soggetto come il grande guadagno filosofico della modernità. E’ invece nell’intento di restituire all’antropologia «quella priorità di significazione che la scolastica accordava alla teologia» che egli scava nella storia occidentale alla ricerca delle forme culturali attraverso cui la coscienza di sé diviene riflessione e scrittura. L’autobiografia, percorso narrativo verso l’identità, opera «una trasmutazione della coscienza di sé in scrittura del sé», è un itinerario di formazione e di interrogazione che sembra chiedere una garanzia del proprio senso e della propria legittimità. Gusdorf infatti, risalendo a ben prima di Rousseau, rintraccia «le origini religiose di quelle scritture che, per un lungo corso di tempo, furono praticate in qualità di esercizi spirituali, realizzati attraverso l’invocazione della presenza divina». Con prodigiosa erudizione la sonda analitica di Gusdorf affonda nelle opere dei mistici medioevali, in Montaigne, Chateaubriand, Kafka e Joyce, per definire i contorni di un oggetto che rimane conteso tra memoria, opera d’arte e storia: se scrivere la propria vita significa conferire un senso alla propria realtà e in definitiva alla vicenda umana, a quale ambito appartiene allora la scrittura autobiografica, alla finzione narrativa o alla storia? E.N. Todorov: virtù e morale della storia I due ultimi libri di Todorov Les morales de l’histoire (Le morali della storia, Grasset, Parigi 1991) e Face à l’extrême (Di fronte all’estremo, Gallimard, Parigi 1991) criticano in modo concertato le posizioni contemporanee rispetto alla problematica etica: da un lato l’affermazione ludica della morte del dovere a favore dell’autenticità, dall’altro lo sforzo sistematico di “moralizzare” ogni dimensione dell’esistenza. Certo per Todorov bisognerebbe incominciare a non ostracizzare dalla cittadella scientifica delle scienze umane la discussione sul carattere normativo delle stesse e rivendicare all’attività scientifica delle “scienze morali e politiche” la discussione razionale e pubblica sui valori. Poichè non siamo estranei alla nostra specie, le scienze umane si contraddistinguono per la coincidenza fra soggetti analizzanti e oggetti analizzati. Questi ultimi non si limitano a reagire alle sollecitazioni degli antropologi o dei sociologi, bensì costruiscono le loro “risposte” in configurazioni complesse di azioni, di cui sanno rendere conto attraverso scale differenziate di valore. Il tabù che vieta di parlare di giudizio di valore nelle scienze sociali e storiche snatura la ricerca stessa: la relazione tra fatto e valore definisce necessariamente la specificità delle scienze umane. Todorov preferisce la denominazione di “scienze morali e politiche “ a quella asettica, quasi medicale di “scienze umane”. Il metodo che egli assume non cerca di interrogare i cieli della storia ufficiale (quella divisa per sezioni cronologiche, per avvenimenti epocali), per reperire stelle di orientamento nel dibattito sui valori. Qui AUTORI E IDEE con “storia” s’intende il senso di racconto, di intrico di azione e di assunzioni di valori, da cui puo’ dipanarsi una sua “possibile morale”. Ben lungi dal moralismo queste storie raccontano di dibattiti pubblici sulle grandi categorie della storia delle comunità (tolleranza, equità, libertà, oppressione...), ma lo fanno a partire da certe “spie”, da certi aspetti non fondamentali, bizzarri. In questo lavoro Todorov segue il filo problematico dei possibili criteri per arbitrare il dibattito pubblico all’interno di una comunità data di valori: per esempio, la tolleranza entra o no in competizione con il valore di uguaglianza, o con quello di libertà? La libertà ha bisogno di una certa intolleranza? E ancora: la comprensione di tutte le culture deve divenire giustificazione? E’ possibile distinguere fra storia dei costumi e civiltà? La posizione di Todorov è in linea con quella di Montesquieu, al di sopra e al di sotto di una massimalizzazione di tutti i punti di vista e di un appiattimento della pluralità delle scelte e dei valori possibili. Per difendere la legittimità della discussione sui valori, Todorov si riferisce alla disputa fra Weber (la scienza non si pronuncia sui valori; in particolare nulla può dire sulla scelta possibile fra diversi sistemi di valori) e Strauss (i valori sono trascendenti e gerarchizzabili), in cui s’inserisce la posizione di Aron. Questi reinterpreta la ragione al di fuori dell’argomentazione logico-matematica a cui pensava Weber e rivendica la gerarchia dei valori e la loro assolutezza non come trascendenti, come voleva Strauss, bensì come passibili di essere sottoposti alla discussione pubblica e al consenso, al limite dell’intera umanità. Per Todorov i valori possono far coesistere e l’aspetto sensibile, contestuale, storico della loro origine, e la loro aspirazione a valere per tutti: basta reinterpretare tale esigenza di universalità come ricerca di un senso in grado di rendere intelligibile e accettabile tutto cio’ che non dipende semplicemente dalle circostanze e determinazioni del momento. L’umanismo interviene a questo punto come apprendistato nella discussione sui valori in seno alle scienze dell’uomo. E’ chiaro che l’educazione umanista non puo’ che proporre e non imporre i possibili orientamenti di senso e di valore. A questo punto è chiara l’unità di intenti e di preoccupazioni che unisce questo libro a quell’altro, uscito nello stesso momento, Face à l’extrême, dedicato ai racconti dei sopravissuti ai campi di concentramento del totalitarismo nazista e comunista. La lezione, la morale da trarre da questi racconti - resoconti del male estremo - è quella di capire le motivazioni, i passaggi obbligati, ma taciti che conducono a certe nefandezze della storia degli uomini. La spiegazione di un male così radicale è da ricercarsi a livello politico e sociale nella natura dello stato totalitario che mira per transizioni, per influenze sottili, per minacce, a espropriare il soggetto della sua volontà ed autonomia. Tuttavia questo male estremo non è che uno dei modi possibili di realizzare e organizzare una società: appartiene al repertorio delle società realizzate storicamente. Todorov sottolinea la facilità tanto del male, che del bene. Cio’ non significa che tutto si equivalga: la morale dovrebbe permettere di distinguere sempre in modo razionale fra termini contrapposti. Grande interesse ha suscitato quest’azione concertata di Todorov, tesa all’auspicio e alla ricerca di una metodologia da parte delle scienze dell’uomo che sappia da un lato integrare la discussione razionale sui valori, dall’altro, arbitrare fra “lezioni” diverse, fra “morali” differenti, tratte dalla medesima “storia”. Va comunque segnalato un certo numero di critiche: da un lato è stato sottolineato il carattere un po’ vago e sibillino delle definizioni: dall’altro è risultato evidente l’ideale di società a cui Todorov pare mirare e che pare ricondurre all’ideale della discussione pubblica e razionale dei valori, di cui gli intellettuali dovrebbero essere garanti, rimanendo all’esterno della vita pubblica, esercitando la funzione critica che Socrate assegnava loro parlando del tafano della città. Ma basta semplicemente asserire che dovrebbe essere cosi’ perchè lo sia? Gli intellettuali dovrebbero “rianimare “l’ideale che pare spento di un buon funzionamento della società: ma non si dice mai come si configuri questo ideale, né cosa significhi rianimare e vivificare un ideale nella situazione ideale a meno di considerare questa come un decadimento, una perversione, una patologia. F.M.Z. Parlando della stessa cosa Uno dei dibattiti maggiormente sviluppati dalla filosofia anglosassone è quello che si chiede se e in che misura un individuo possa subire delle modifidazioni, senza per questo cessare di essere se stesso. Questa tematica filosofica di notevole complessità e di lunga tradizione, pone immediatamente una serie di problemi, tra cui quello di fornire criteri di identificazione e criteri di reidentificazione per gli individui, rendendo contemporaneamente evidente il grado di interazione tra questi due criteri. Uno dei tanti studi pubblicati su questo argomento è quello di C.J.F. Williams, W h at is Identity? (Che cos’è l’identità?, Clarendon Press, Oxford 1990) che completa la trilogia iniziata dall’autore con What is Truth? (Che cos’è la verità?, 1976), cui ha fatto seguito What is Existence? (Che cos’è l’esistenza?, 1981). Il paradosso dell’identità a cui si cerca qui di dare una soluzione risale in realtà a Platone e ha creato perplessità in molte generazioni di filosofi. Se una proposizione afferma una relazione d’identità tra una cosa e qualcos’altro, allora essa è necessariamente falsa; ma se afferma che tale relazione esiste tra una cosa ed essa stessa, allora si ha la più banale delle tautologie (per esempio l’affermazione: “Il Primo Ministro è identico al capo dei Conservatori”, formulata rispetto all’anno 1990 e in Inghilterra). Sorge allora il problema: può un’affermazione del genere essere informativa, come di fatto vuole essere? Nella diagnosi del problema dell’identità e nella sua soluzione C.J.F. Williams segue Wittgenstein. L’errore infatti consiste nel considerare l’identità cone una strana relazione a due posti tra oggetti. La soluzione dell’impasse che scaturisce da questa premessa non è fornita dall’analisi di Frege, ma dalla teoria delle descrizioni di Russell, cosicchè la finta relazione: “è identico al”, si tramuta nella seguente formulazione: “C’è esattamente una persona che governa l’Inghilterra e che è capo del Partito Conservatore”. Dove per Russell quell’ ”esattamente una” implica tuttavia un ulteriore uso o del segno d’identità, o del segno di differenza, rendendo circolare l’affermazione. E’per questa e per altre ragioni che Wittgenstein elimina il segno d’identità dalla formulazione russelliana, proponendo un’esclusiva interpretazione delle variabili. L’identità risulta ora espressa dall’identità di segno - ad esempio: “C’è (un individuo) x tale che x è il capo dei Conservatori e x governa l’Inghilterra” - e la differenza dalla differenza di segno - per esempio l’affermazione: “Il Primo Ministro è differente dal capo dei Laburisti”, viene trasformata in: “Ci sono (individui) x e y tale che x governa l’Inghilterra e y è il capo dei Laburisti”. A dispetto della chiarezza di questo approccio, Williams devia da Wittgenstein, introducendo il segno d’identità per trattare certe inferenze non valide, ma plausibili, che si basano sull’opacità referenziale, caratteristica dei nomi propri, in quanto privi di senso descrittivo. Senza tale segno, secondo Williams, è possibile confondere due distinti pensieri che una persona può possedere, come quando qualcuno pensa che “a è F” e che “b è G”, senza realizzare che “a” e “b” sono la stessa cosa. L’analisi di questo problema culmina con l’interessante idea di Williams secondo cui il concetto d’identità non sarebbe espresso da una relazione a due posti, ma da un’operazione di riflessione, anticipata da Geach e Quine e definita da Williams “xi-operazione”. Alcuni linguaggi come l’ebraico possiedono infatti specifiche coniugazioni riflessive che esprimono l’idea dell’autonominarsi: in questo s’incarnerebbe per Williams il significato dell’identità. La “xioperazione” si serve di questa caratteristica per trasformare le proposizioni d’identità e i loro illusori predicati a due posti, applicandosi manifestatamente ad un oggetto singolo. Tuttavia questo metodo può essere applicato al paradosso dell’identità solo per proposizioni non informative del ti- AUTORI E IDEE po:”Margaret Thatcher è identica a Margaret Thatcher”. Senza un argomento che dimostri che non ci sono proposizioni d’identità che di fatto non siano informative (ma logicamente informative), la teoria di Williams non ha successo nell’affermare che l’identità non è una relazione. V.R. Un’analisi pragmatica del pensiero greco Nei paesi anglo-sassoni si assiste ad un rinnovato interesse per il pensiero greco, che viene innanzitutto affrontato per cercare risposte a domande che ancora oggi gravano sull’uomo. Ciò che risalta in questo approccio alla filosofia antica è il pragmatismo di fondo con cui vengono trattati i problemi della virtù, della conoscenza e del realismo. Questa impostazione risulta particolarmente evidente in alcune recenti pubblicazioni: Virtue and Knowledge: an introduction to ancient greek ethics (Virtù e conoscenza: una introduzione all’antica etica greca, Routledge, Londra 1990 ), di William J. Prior; Greek scepticism anti-realist trends in ancient thought (Scetticismo greco: la tendenza anti-realista nel pensiero antico, McGill-Qeen’s University Press 1990), di Leo Groarke; Scepticism (Scetticismo, Routledge, Londra 1990), di Christopher Hookway. William Prior cerca di fornire una chiara e semplice esposizione della relazione che esiste tra la nozione di virtù e quella di vita desiderabile, ed in particolare della virtù del conoscere o saggezza pratica. Il suo scopo è quello di cercare di rispondere agli interessi di un particolare approccio della filosofia etica, che ha messo in evidenza la nozione generale di ciò che è giusto fare, e che considera la costrizione logica della coerenza il solo ostacolo per una scelta dei principi morali. In tal senso l’attrazione verso il pensiero greco è dovuta al fatto che esso cerca di dare una risposta al perchè un individuo è ciò che è, in relazione a quella che potrebbe essere la sua vita desiderabile. Partendo da un’analisi del pensiero scettico, Leo Groarke e Christopher Hookway, rilevano invece l’esigenza di dare risposta a un problema che ancora oggi appare irrisolto. Come si può essere sicuri dei nostri sensi e del nostro apparato cognitivo, quando elaboriamo delle affermazioni conoscitive? Come possiamo essere sicuri di conoscere qualcosa senza un sicuro metodo di conoscenza? Prendendo spunto dalla filosofia scettica, Groarke mostra come il pensiero greco voglia essere una filosofia realista, ma sia ostacolato nel far ciò dai suoi propri dubbi sulla possibilità di conoscere. Questa doppia tensione la si rileva in Protagora, che pur non trovando un criterio generale, af- Pericle (copia antica da Cresila) Londra, British Museum ferma che l’individuo è il metron di tutte le cose che sono e che non sono; allo stesso modo Parmenide sembra distruggere la percezione, ma contemporaneamente dichiara una grande fiducia nella ragione come motore della conoscenza, ponendo come suo unico limite ciò che è. Il rifiuto del realismo da parte degli scettici avviene proprio richiamandosi ad una affermazione di Democrito, il quale considera la realtà composta da atomi non più reale del nulla o del vuoto. Gli scettici del periodo ellenistico reagiscono a questi dubbi in maniera differente fra loro: chi rifiuta in modo completo la conoscenza e chi invece ricerca un compromesso sull’accettabilità del reale, posizione che ricorda in qualche maniera quella assunta dal moderno pensiero scientifico. Hookway riprende la discussione sugli scettici con lo scopo però di mostrare come lo scetticismo ha influenzato nei secoli moderni lo sviluppo dell’epistemologia. Egli rileva nel pensiero scettico le nozioni di relativismo e di circolarità, propri anche dell’epistemologia contemporanea. Nel 1500 Henri Estienne, traducendo i libri di Sesto Empirico, divulga le principali concezioni dello scetticismo, che influenzano subito il nuovo movimento filosofico e scientifico, a cui appartengono figure come quella di Montaigne, Gassendi, Cartesio. Questi si servono appunto di argomenti scettici per mettere in crisi il sistema aristotelico. Da allora le obbiezioni scettiche non hanno più permesso al dogmatismo o fondazionalismo di riprendersi; esse sono radicate nella nostra tendenza a porre il problema della conoscenza. Ma a differenza degli scettici la nostra curiosità rimane vitale, dato che non cediamo all’ataraxia e la nostra apparente libertà di agire non è ostacolata dal fatto che le regole di questo mondo ci sono sconosciute. E’ evidente come l’interesse per la filosofia antica mostrato dagli studiosi di provenienza anglo-sassone si diriga principalmente verso la filosofia etica e la gnoseologia, che si prestano a rispondere a interessi più pratici e pragmatici, propri della cultura anglo-sassone. V.R. AUTORIE DIBATTITI E IDEE TENDENZE Simone Weil a Marsiglia nel 1941-42 TENDENZE E DIBATTITI TENDENZE E DIBATTITI Simone Weil La pubblicazione in traduzione tedesca di alcuni testi di Simone Weil, raccolti nel volume Zeugnis für das Gute. Traktate, Briefe und Aufzeich-nungen (Testimone del bene. Trattati, lettere e appunti, a cura di Friedhelm Kemp, Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1990), e l’uscita del volume di Heinz Abosch, Simone Weil zur Einführung (Introduzione a Simone Weil, Junius Verlag, Hamburg 1990), contemporanee alla pubblicazione in Francia del secondo volume delle opere della filosofa O e u v r e s completes: l’expérience ouvrière et l’adieu à la révolution, (Opere complete: l’esperienza operaia e l’addio alla rivoluzione, Gallimard, Parigi 1991) sembrano segnalare la ripresa di un interesse critico per l’affascinante, irrequieta e discussa figura della pensatrice francese, quanto meno costituiscono dei documenti fondamentali per interpretare i diversi aspetti della sua opera. A questo proposito è da segnalare, in ambito italiano, la recente pubblicazione del volume di Gabriella Fiori, Simone Weil. Una donna assoluta (La Tartaruga, Milano 1991). E’ stato notato da più parti, anche in tempi recenti, il carattere originale e difficilmente situabile all’interno di sistemazioni scolastiche, o semplicemente storicofilosofiche tradizionali, del pensiero di Simone Weil. Già Maurice Blanchot, in uno dei più notevoli saggi a lei dedicati, osservava che «per alcuni il pensiero di Simone Weil è così irritante che quasi non lo considerano un pensiero». Tale irritazione derivava non di rado da una sorta di coerenza di carattere più morale che logico e teoretico - un “grottesco” rigorismo morale, come apostrofava Georges Bataille che finiva col risolvere il suo pensiero in una mitizzazione della vicenda biografica di segno positivo (come negli esistenzialisti), o di segno negativo (come in Jean Améry, che vedeva in lei nient’altro che un “oggetto di culto”). Quando Simone Weil, malata di tubercolo- si e ricoverata in un ospedale della città di Ashford nel Kent, in Inghilterra, moriva il 30 agosto del 1943 a causa dell’ostinato rifiuto di cibarsi, aveva alle spalle un’esistenza inquieta che l’aveva portata dalle lezioni di Alain e di René Le Senne al lavoro in fabbrica, dalla guerra civile spagnola all’esperienza della teologia cristiana. Nel 1934 la giovane intellettuale, brillantemente uscita dagli esami di baccalaureato in filosofia, si fa assumere, non senza difficoltà, come operaia in una fabbrica. Questa scelta è stata vissuta dalla Weil come una prova esistenziale, una verifica necessaria sul campo di una pratica di vita in cui la teoria politica e filosofica, o anche il concetto di alienazione, si traducono in una bruciante esperienza. I frammenti dolorosi di questa fatica ci vengono proposti senza compiacimento dal Giornale di fabbrica: «Chi ha le ossa rotte da una giornata di lavoro, o è restato per lungo tempo sottomesso alla materia, porta nella carne la realtà dell’universo come una spina». La parte centrale dell’opera è costituita da una serrata critica del marxismo, espressione di un pessimismo radicale. Le tappe successive della sua avventura umana ed intellettuale sono tracciate nel profilo biografico di Heinz Abosch: dalla milizia nelle truppe anarchiche di Buenaventura Durruti, nel corso della guerra civile spagnola del 1936, ad un periodo trascorso nel 1937 nell’abbazia benedettina di Solesnes, dove si apriva all’esperienza della mistica e della teologia cristiana; dagli Stati Uniti, dove si era rifugiata al momento dell’invasione nazista della Francia, fino all’Inghilterra, dove milita nelle file dell’organizzazione gaullista “France libre”. E’ a causa di questo irrequieto attivismo e di questa inquietudine esistenziale, giudicati da Trockij, suo ospite clandestino a Parigi, come una forma di attivismo “piccolo-borghese”, che negli anni dell’esistenzialismo si sviluppò in rapporto a Simone Weil più il culto della sua vita avventurosa ed enigmatica che non un serio ed approfondito confronto con i temi portanti del suo pensiero. Lo studio di Abosch affronta anche un altro aspetto fondamentale della filosofia di Simone Weil, quello del suo rapporto con le correnti della teologia ebraica e con i modelli fondamentali del pensiero cabalistico. Ma anche sotto questo aspetto resta nel lettore il desiderio di un maggiore approfondimento di alcuni motivi essenziali, come ad esempio quello del rapporto tra l’idea di Dio e quella del nulla, soprattutto in rapporto all’idea di “creazione”, un motivo che nella Weil - per la quale “la creazione è una finzione di Dio” - sembra rinviare direttamente ad alcune concezioni della mistica ebraica. M.M./E.N. L’educazione alla complessità: per una epistemologia umana Non c’è stagione editoriale in Francia che non veda l’apparizione di almeno un paio di testi importanti per la discussione sulla scienza. Tre titoli si segnalano nelle librerie: Tout, Non, peut-être. Education et vérité, (Tutto, Nulla, Possibile. Educazione e verità, Seuil, Parigi 1991) di Henri Atlan; Introduction à la pensée complexe, (Introduzione al pensiero della complessità, ESF edizioni, Parigi 1991) e Un nouveau commencement, (Un nuovo inizio, Seuil, Parigi 1991), entrambi di Edgard Morin. Quest’ultimo testo è stato pubblicato in Italia col titolo: Turbare il futuro. Un nuovo inizio per la civiltà p l an e ta ri a, (Moretti e Vitali, Bergamo 1991). Una delle considerazioni di partenza di Edgard Morin è che alla base di qualsiasi pensiero vi sia un principio di semplificazione. Il principio d’ordine, che si vuole alla base della razionalità scientifica, è quello che risolve la complessità, riducendola ai suoi elementi costitutivi, per poi analizzarli singolarmente e ricostruire l’insieme come somma delle parti. Da anni Morin attacca la razionalità mutilante dell’episteme scientifica, che, nella sua vulgata neopositivista, è diventata nel frattempo immagine del mondo spettacolare e vincente. Contro il riduzionismo scientifico che unifica il diverso e pretende di costituire un sistema unificato e totalizzante, Morin invita a considerare la trama complessa delle cose come un sistema di interazioni, di eventi singolari in permanente relazione di scambio e di interdipen- TENDENZE E DIBATTITI denza, secondo un modello “organicistico” che vede nei fenomeni dei sistemi aperti. Il nuovo paradigma epistemologico, che si confronta con le ultimissime e problematiche acquisizioni delle Scienze, quali il costituirsi dell’ordine dal disordine, o l’inclusione del tutto nelle parti, non intende certo rinunciare ad un criterio di razionalità, quanto allargare quest’ultima fino alle frontiere del caos, dell’«indeterminazione fondatrice». Esso assume l’indeterminato come elemento costitutivo del divenire, senza relegarlo semplicemente nel caso. Considerando il determinismo alla stregua di una metafisica meccanicistica e, posto che «l’essenza del mondo è inconcepibile», Morin sostiene che, malgrado agli scienziati non spettino altro che «verità biodegradabili», diventa più impegnativo il compito di pensare ad una scienza per l’oggi, meno totalitaria e più vicina agli interrogativi che sono posti dalla società. In questa prospettiva si pone Un nouveau commencement, un testo che è costituito da una serie di articoli di Morin, apparsi sulla stampa francese, e dalle acute analisi di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti. In modo eclettico Morin sembra qui voler dar corpo a una immagine della scienza quale “sistema aperto”, nel quale trovano posto e interagiscono saperi diversi; un sistema sensibile tanto a una domanda di conoscenza, quanto alle sollecitazioni che vengono dalla società. A questo ordine di problemi risponde anche il libro di Henri Atlan, scienziato e pensatore, autore di apprezzate ricerche nel campo della biologia molecolare, della biofisica e dell’intelligenza artificiale, da diversi anni impegnato nella ricerca delle relazioni che intercorrono tra sapere scientifico e mentalità extrascientifiche (riguardo all’opera di Atlan, si segnala la pubblicazione degli atti di un convegno a lui dedicato, tenutosi a Cerisy nel 1986, dal titolo: Les Théories de la complexité, Le teorie della complessità, Seuil, Parigi 1991). Lo studio di Atlan prende in esame il tema dell’educazione, divenuto problematico da quando si è spezzato il legame che teneva unite la verità scientifica e i fondamenti dell’etica. Un antico vincolo che, da Platone in poi, consentiva all’uomo, in qualità di essere razionale, di accedere alla conoscenza della verità e nello stesso tempo di fondare una morale di condotta. L’essenziale unità del vero e del bene permetteva di pensare all’etica fondamentalmente come ad un problema di educazione al vero. Se oggi il potere di legittimazione della verità scientifica rispetto ai valori etici è venuto meno, ciò è dovuto innanzittutto alle conquiste scientifiche, che non hanno affatto contribuito a rafforzare la pratica e il concetto di una moralità comune, ponendo ad essa invece una serie di interrogativi che incrinano i tradizionali paradigmi etici. Nel campo della biologia molecolare e della genetica, per esempio, si è rinunciato completamente all’idea di finalità; la logica scientifica svuota di significato nozioni quali quella di “persona” o di “valore”, tradizionalmente suscettibili di una trattazione etica. Ripensare lo statuto e i limiti della verità scientifica, non più origine e certificazione delle “verità” e dei valori, ma modello predittivo valido in un ambito locale, non ha, per Atlan, semplicemente il significato di riconsiderare la logica che fa della scienza un criterio di legittimazione delle posizioni etiche. Quello che innanzittutto viene posto in questione è l’unicità del criterio di intellegibilità della scienza, che espelle tutti i saperi che non si adeguano ad essa. Accettare un modello depotenziato di verità scientifica, non vuol dire concedere ai fondamentalismi etici o religiosi di decidere delle norme da adottare. Il riconoscimento razionale dei limiti della ragione scientifica sostituisce all’assolutezza ideale di una verità o di un principio una nuova nozione di sapere, infinitamente perfettibile, che non rinuncia al suo diritto di definire una norma per l’agire, ma che la vuole conquistata attraverso il dialogo e il confronto con le ragioni degli altri. Il venir meno del progetto della scienza di costituirsi quale sapere totalitario apre così alla possibilità di un nuovo concetto di universalità, un “universale possibile”, non più originariamente dato, ma che ha il carattere di una produzione. Si viene in questo modo a definire il ruolo di quello che Atlan designa come «potere mediatico» o «poetico» dell’educatore e del filosofo. In un mondo dove il discorso scientifico e quello politico sembrano pressocché inverificabili, e proprio per questo tendono a divenire «profetici», agli «artisti della ragione» - afferma Atlan - spetta il compito di controllare che ciascuna sfera del sapere rimanga distinta nelle sue prerogative e nei suoi limiti; che la politica non mistifichi i suoi fini con ragioni pseudoscientifiche e che la scienza non cerchi di assolutizzare il suo modello di razionalità come l’unico legittimo . In questa sorta di conversione umanistica della scienza, impegnata nella proposizione di una “universalità possibile”, si inscrive un voluminoso studio sulla linguistica come “teoria generale dell’umano” che in questi ultimi tempi sta riscontrando l’attenzione degli studiosi francesi. Si tratta del libro di Jean-Claude Milner, Introduction à une science du langage, (Introduzione a una scienza del linguaggio, Seuil, Parigi 1989). Il lavoro di Milner si presenta in effetti come un momento significativo di quella più ampia ripresa epistemologica in atto da qualche tempo in Francia, in connessione con i lavori di Alain Badiou, Christian Jambet, Yves Duroux, rappresentanti del vecchio gruppo dei “Cahiers pour l’analyse”, che ha prodotto negli ultimi tempi alcune opere di grande respiro teorico, per molti versi legate alla scuola matematica francese (Dieudonné, Thom, Petitot). Muovendo all’inizio del volume da una ridefinizione della scienza galileiana, e caratterizzandone la “matematizzazione” in termini non tanto di quantifica- zione quanto di letteralizzazione (ossia “simboli presi alla lettera, indipendentemente da ciò che designano, e utilizzati unicamente in base a regole proprie”), Milner afferma che la linguistica può senz’altro essere una scienza allo stesso titolo di una scienza della natura. Il primo problema che sorge in tal senso è quello del rapporto tra categorie logiche e categorie grammaticali, talmente intrecciate nella storia del pensiero da non poter essere separate se non con grande difficoltà. Milner distingue un factum loquendi, relativo alla pura esistenza del linguaggio, ossia il fatto che vi siano esseri parlanti, e un factum linguae, relativo all’esistenza di lingue concrete, ossia il fatto che si possa distinguere una lingua dall’altra o da un’eventuale nonlingua, campo proprio della linguistica. Da qui il discorso si sviluppa attraverso la dimostrazione dell’impossibilità del metalinguaggio, o dell’anonimia del nome; nell’analisi dell’innatismo e per contro delle posizioni riguardanti la funzione costitutiva del linguaggio; nelle implicazioni della letteralizzazione come condizione di ogni forma di conoscenza e dei paradossi sintattici e semantici; nell’esposizione del problema della contingenza, o necessità condizionata, vera crux della scienza del linguaggio. E.N./F.E. Capire l’uomo Al limite fra indagine sociologica ed etnologica, testi come quelli di Louis Dumont, Homo hierarchicus. Il sistema delle caste e le sue implicazioni (Adelphi, Milano 1991) o di Remo Guidieri, Voci da Babele (Guida, Napoli 1990) mettono in discussione i fondamenti e i compiti dell’antropologia secondo una tendenza ormai ricorrente per questa “scienza dell’uomo”. Il ponderoso e ostico studio di Louis Dumont, autore anche di Homo aequalis, pubblicato presso Adelphi nel 1984, si costruisce attorno all’ipotesi di un’alterità fra il sistema castale e quello egualitario. Al di là delle ipotesi sull’origine storica della stratificazione castale nella società indiana, a Dumont interessa affrontare il nodo del passaggio dal sistema castale a quello individualistico, che consisterebbe nell’affermazione dell’individualismo. Nell’analisi di questo passaggio, l’influenza di Weber è evidente: mentre nelle società gerarchizzate il rapporto decisivo è in primo luogo quello fra individuo e individuo, nella società individualistica occidentale esso è mediato da quello fra l’uomo e le cose, con l’estensione generalizzata del paradigma economico. Si passa con ciò da un sistema dove la posizione dell’individuo è legata a una valutazione di quest'ultimo da parte del sistema stesso, a un sistema dove invece il ruolo sociale è determi- TENDENZE E DIBATTITI nato dal giudizio non sull’essere dell’individuo, ma sulla sua funzione, che richiede un giudizio “oggettivo” sulle cose. Di qui la pretesa di superiorità, a parere di Dumont, del sistema di valutazione dell’Occidente moderno, che oppone tale “oggettività” ai presunti “pregiudizi” delle società gerarchizzate. Il problema, chiarisce Dumont, non è contrapporre i valori delle società tradizionali a quelli dell’Occidente moderno, ma il pervenire da parte di quest’ultimo a una comprensione intellettuale delle prime. Proprio questo è il compito dell’antropologia: compito particolarmente importante, perché la comprensione delle società “altre” è in realtà un’autocomprensione, dove il fraintendimento degli altrui paradigmi sociali comporta e riflette un fraintendimento dei propri. Un esempio di questo fraintendimento è per Dumont l’errata valutazione del ruolo dell’individuo nel sistema castale, con la confusione tra status e potere. Nell’organizzazione castale indiana le due determinazioni sono del tutto distinte, tant’è che la casta socialmente più elevata, quella sacerdotale, non detiene il potere. Il giudizio sull’individuo non è dunque qui direttamente deducibile dall’organizzazione sociale, come invece può credere il moderno osservatore occidentale, abituato a una sovrapposizione, mediata dall’elemento economico, di detenzione del potere e riconoscimento sociale. Questo stesso compito di comprensione intellettuale dei presupposti della propria e dell'altrui società è primario anche per Remo Guidieri, che critica l’inadeguatezza dell’antropologia tradizionale rispetto a questo obiettivo. La radice di tale inadeguatezza risiede per Guidieri nelle assunzioni fondamentali dell’antropologia, orientata su un paradigma unilineare dello sviluppo storico; si determina così una prospettiva di inglobamento e gerarchizzazione, sulla base dei presupposti della cultura occidentale, di culture a essa invece estranee. In questo senso la stessa rivalutazione del “pensiero selvaggio” è frutto, per Guidieri, di un atteggiamento positivistico: la credenza in società “arcaiche” non alienate è un’illusi-one o una speranza, fondata in ogni caso sul presupposto di uno sviluppo progressivo e unidirezionale del mondo civilizzato. F.C. I Limiti dello spirito Un’ipotesi di rilettura critica della storia della filosofia, attuata anche grazie alle indicazioni di Jacques Derrida, è ciò che ci offre l’opera di Maurizio Ferraris, La filosofia e lo spirito vivente (Laterza, Bari 1991). Il volume è stato presentato a Milano in un dibattito, cui hanno partecipato Aldo Gargani, Francesco Moiso, Carlo Sini e Stefano Zecchi. Sul pensiero di Derrida si segnala, in Italia, la pubblicazione dello studio di Caterina Resta, Pensare al limite (Guerini e Associati, Milano 1991), e in Francia il saggio di Geoffrey Bennington, Jacques Derrida (Seuil, Paris 1991). Oltre che in Francia, soprattutto in Italia la figura di Jacques Derrida è da qualche tempo al centro del dibattito filosofico che fa capo al filone ermeneutico, tanto che taluni parlano già di una “via italiana” al decostruzionismo. Con La filosofia e lo spirito vivente Maurizio Ferraris ricostruisce, sotto la cifra della nozione di spirito, la storia della filosofia dal mondo greco a Heidegger. Sottolineando la peculiarità di questa ricostruzione, storica e non storicista, dei problemi filosofici, Aldo Gargani ha rilevato la difficoltà di cogliere la specificità di ciascuna delle figure dei filosofi, soprattutto di quelle richiamate in funzione polemica. Ciò accade proprio per l’approccio autorevocativo dell’interprete ai suoi autori, per cui ciascuno di essi confuta e sorpassa la sua stessa posizione. Lo spirito si caratterizza per purezza, incontaminatezza, in quanto espunge da sé l’empirico, il caduco, il finito. E’ il miraggio di una conoscenza e di una vita “vere”, di fronte alle apparenze del mondo sensibile. La tensione è verso una dimensione “autentica” e “originaria”, che redima l’uomo dalla necessità della finitezza, vissuta comunque come una caduta. Sulla scorta di Derrida, per Ferraris anche il pensiero heideggeriano della finitezza soggiace a questa tensione e a quel miraggio: la rivalutazione del concetto di spirito (Geist) negli scritti “politici” degli anni Trenta ne sarebbe una riprova. Il pensiero di Heidegger come pensiero dell’Essere, della Presenza, è dunque il capolinea della filosofia idealistica classica: su questo aspetto si è soffermato in particolare Francesco Moiso. E’ lo sguardo totalizzante dello Spirito che spinge Heidegger a inglobare ogni forma di vita contingente per “innalzarla” all’immortalità, alla “vita eterna”, per renderla eternamente presente. Vittima di questa illusione, di questo tentativo di “far vivere” in eterno il passato, non è dunque solo l’idealismo: il mito dello “spirito vivente” pervade anche l’ermeneutica, quando essa tenta di “far rivivere”, rendendolo “presente” all’interprete, ciò che è morto e, in quanto tale, irrimediabilmente “altro” nei confronti dell’interprete stesso. Fra le obiezioni a questa prospettiva d’interpretazione quella di Stefano Zecchi, che ha rilevato la problematicità, una volta rimosso il problema del valore, di riproporre ancora, come fa a suo parere Ferraris, un impegno etico, quale è quello di “restare fedele all’altro”, non inglobandolo in una prospettiva totalizzante. Secondo Zecchi un tale impegno etico è destinato a rimanere senza possibilità di fondazione. Ancor più radicale l’obiezione di Carlo Sini che, riprendendo il rilievo di Zecchi, ha notato come effettivamente la questione etica del rispetto dell’ ”altro” rimanga, in Ferraris e nell’ermeneutica, una “regola del gioco” infondata. In questa impostazione resta irrisolta proprio la “questione della verità”, alla quale l’ermeneutica pretende di aver rinunciato sul piano ontologico, ma che, così facendo, ripropone. Se nell’opera di Ferraris la presenza di Derrida è ravvisabile nell’impostazione “ricostruttiva” del discorso, di carattere più marcatamente storiografico è invece lo studio che Caterina Resta ha dedicato al filosofo francese, del quale vengono evidenziati alcuni cruciali nodi teoretici: il rapporto fra testo e interpretazione, il concetto di limite e quello di differenza. Proprio nell’ambiguità del tentativo di “pensare al limite”, richiamato nel titolo del saggio, è rintracciabile uno dei tratti decisivi della riflessione derridiana. “Pensare al limite” vale come “pensare il limite”, ovviamente, del pensare stesso, del Logos e delle sue possibilità. Con ciò il pensiero si pone proprio “al limite” del pensare e della dicibilità. Su questo luogo di confine tra il pensiero e ciò che è ad esso irriducibile, insistono la riflessione e la pratica di scrittura derridiane, nel tentativo di sfuggire all’alternativa fra le due facce della medesima “metafisica della Presenza”: quella dell’onto-teo-logia e quella che mitizza un pensiero e una riflessione “altre”, a cui rapportarsi con la comprensione mistica o con quella poetica. L’opera di Geoffrey Bennington, che appare nella collezione Les Contemporains una serie di profili intellettuali dei maggiori filosofi di oggi - è invece una buona griglia di lettura dell’opera di Derrida che ci viene mostrata nella sua logica generica da uno studioso che è anche discepolo appassionato del filosofo. Ma, ad evitare il rischio che l’esegesi divenga classificazione, sulla stessa pagina è la scrittura stessa di Derrida ad accompagnare, o più spesso a fare da contrappunto il testo critico. Sono note fuori campo, avvenimenti della memoria - "circonfessioni" le definisce Derrida - che improvvisamente vengono ad illuminare il lavoro filosofico: «è da sempre che io, cercando una frase, mi cerco in una frase». A queste "circonfessioni" fa eco Bennington, sottolineando come tutti i testi di Derrida siano in certa misura autobiografici. Ma non è una biografia intellettuale quella che ci viene proposta, quanto piuttosto il sistema di pensiero del filosofo quale potrebbe essere letto da un archivio computerizzato, nel quale fossero stati introdotti i testi delle opere. Non si tratta di una metafora: «Derridabase» è infatti il titolo di questo lavoro di compilazione e di esposizione critica che fornisce - per Bennington - «la versione lineare - una versione tra le tante possibili - di un libro senza ordine di lettura precostituito, scritto in Hypertext». Ai lettori la stimolante fatica di leggere in modo interattivo questa tavola dei concetti chiave di Derrida. F.C. TENDENZE E DIBATTITI Conoscenze analitiche Dare un corpo all’ego cartesiano, concretizzare l’Io trascendentale kantiano: questo il compito che si assume la raccolta di saggi di Bernard Williams, Problemi dell’Io (introd. di S. Veca, Il Saggiatore, Milano 1990). Il metodo, e i limiti, di quest’opera, sono quelli della filosofia analitica. Alla stessa prospettiva di ricerca appartiene la raccolta di John Austin, Saggi filosofici (trad. di P. Leonardi, Guerini e Associati, Milano 1990), alla quale può essere accostato, con ben altri profondità e rilievo filosofici, l’importante testo di Ludwig Wittgenstein, Grammatica filosofica (a cura di M. Trinchero, La Nuova Italia, Firenze 1990). Da segnalare in proposito la monografia di Giuseppe Di Giacomo, Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein (Pratiche, Parma 1990). Metà dei saggi della raccolta di Bernard Williams sono dedicati a problemi riguardanti l’identità personale; di qui il titolo e l’interesse principale di questo testo, la cui edizione originale risale al 1973. L’obiettivo polemico è la questione del carattere spirituale dell’io, concernente la necessità di definire l’identità personale a prescindere dagli aspetti corporei. Se Cartesio è il padre nobile e riconosciuto di questa problematica, la stirpe dei suoi figli è numerosa: a parte il trascendentalismo kantiano, dobbiamo annoverare lo stesso empirismo classico che fonda - o critica, nel caso di Hume - l’idea di identità personale sulla base di criteri di ordine puramente mentale. Williams riporta puntigliosamente le difficoltà che hanno determinato la fortuna della “tesi cartesiana”: i casi di personalità multipla, il possibile trasferimento di dati mnemonici e caratteriali da un corpo all’altro, o addirittura lo scambio degli stessi, per cui il corpo di un individuo accoglie la “personalità” di un altro e viceversa, hanno indotto a credere che la “personalità” fosse un’entità che non si esaurisce a livello della corporeità. A parere di Williams, però, la tesi di uno scambio di “personalità” e di “corpi”, e la distinzione stessa fra le due classi di determinazioni, non regge a un esame rigoroso condotto con il metodo della filosofia analitica: non è affatto chiaro, dal punto di vista dell’analisi concettuale, cosa sia la “persona”, in quanto distinta dal “corpo” da cui può trasmigrare. L’unica soluzione è che la persona venga definita come “corporeità materiale pensante”. Si può obiettare che una tale definizione salti a piè pari i problemi, più che risolverli, richiamandosi all’evidenza del senso comune. E’ una caratteristica, quest’ultima, ancora più evidente nei saggi di carattere etico che compongono la seconda parte del volume di Williams. Contro l’idea stessa di una “teoria” in campo morale, e quindi non solo contro il formalismo kantiano, ma contro l’utilitarismo come teoria, Williams recupera Hume, con l’intento di fondare l’etica non in una qualche “logica”, ma nella concretezza dell’esperienza intersoggettiva. Il medesimo ricorso al “buon senso comune”, dissimulato dalla raffinatezza dell’analisi dei fenomeni linguistici, è stato spesso rimproverato a John Austin. Questa raccolta postuma di Saggi filosofici, via via ampliata fino all’attuale edizione, che in lingua originale risale al 1979, costituisce un’introduzione al quadro filosofico d’insieme delle sue analisi linguistiche. Come spesso accade per i filosofi anglosassoni di orientamento analitico, la ricerca nel campo della teoria della conoscenza ha sempre sullo sfondo un marcato interesse per l’etica. Per quel che riguarda la gnoseologia e l’ontologia, l’atteggiamento antimetafisico di Austin non lo porta a ridurre né la conoscenza, né la realtà al linguaggio: i “fatti”, così come gli atti conoscitivi, eccedono sempre quelli linguistici. Anche se non vi si richiama direttamente, e pur nella diversità delle soluzioni proposte, l’analisi del linguaggio ordinario porta Austin nell’orizzonte di ricerca di Ludwig Wittgenstein, del quale è recentemente stata pubblicata la Grammatica filosofica. Questo testo ha avuto varie peripezie: originariamente era un voluminoso dattiloscritto, redatto nel 1933 a scopo di rendiconto accademico delle ricerche svolte con una borsa di studio. La forma in cui il libro venne alla fine pubblicato nel 1969 non è di Wittgenstein, tuttavia molti presupposti della riflessione wittgensteiniana emergono qui più evidenti che altrove. Così, mentre in una parte dell’opera vengono riprese le tematiche delle Ricerche filosofiche relative al linguaggio in generale, in un’altra si ripercorrono invece i temi di Osservazioni sui fondamenti della matematica, relativi al linguaggio logico-matematico. In evidente contrasto con l’approccio anglosassone, la monografia di Giuseppe Di Giacomo sottolinea l’aspetto metafisico della filosofia di Wittgenstein, riconducendola al quadro del trascendentalismo kantiano. L’evoluzione della riflessione wittgensteiniana dal Tractatus logicophilosophicus alle Ricerche filosofiche per Di Giacomo segnerebbe il passaggio, nella considerazione della realtà, dall’impostazione logica a quella estetica; quest’ultima, sulla scorta della Critica del giudizio, avrebbe il compito di fondare la necessità del contingente, con la coniugazione di attività pratica e attività teoretica. F.C. La politica fra scienza, etica e caso La pubblicazione di un corso di lezioni del 1970, La teoria del giudizio politico. Lezioni sulla filosofia pratica di Kant, (Il Melangolo, Genova 1990), il numero monografico di una rivista (“aut aut”, 239-240), un saggio di Marco Cangiotti, L’ethos della politica. Studio su Hannah Arendt (Quattroventi, Urbino 1990), e una fortunata biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah A r e n d t 1 9 0 6 - 1 9 7 5 (Bollati Boringhieri, Torino 1990) sono i segnali in Italia di un notevole interesse intorno al pensiero di Hannah Arendt. Filo conduttore di questo interesse è la possibilità di una teoria politica che non rinunci a essere teoria, cioè giudizio sui fatti, senza essere deducibile da concetti o premesse universali. Nel corso di lezioni del 1970 Hannah Arendt cerca indicazioni non nel Kant degli scritti politici, ma in quello della Critica del giudizio,: il giudizio estetico, che «non si fonda su alcun concetto dato dall’intelletto, né ne fornisce alcuno», e riguarda quella relazione che necessariamente - vale a dire a priori, cioè per ogni soggetto giudicante - si instaura fra il piacere del soggetto e la rappresentazione dell'oggetto, è scelto dalla Arendt come modello del giudizio politico. Lo scopo è appunto quello di poter “valutare” la storia, non assumendo di fronte a essa un atteggiamento giustificatorio. D’altra parte per evitare di ridurre il giudizio politico ad arbitrio, la Arendt si richiama espressamente alla “comunità degli esseri giudicanti”, implicita nel giudizio estetico kantiano. Proprio l’esigenza di coniugare legittimità e pluralità dei giudizi politici, facendo riferimento alla prassi dialogica dei soggetti politici stessi, è l’aspetto più rilevante dell’attenzione di cui oggi gode oggi il pensiero di Hannah Arendt. Nel suo recente studio Marco Cangiotti pone l’accento sul carattere dualistico della riflessione arendtiana: la critica delle varie forme di soggettivismo coesiste con la rivalutazione della spontaneità dell’individuo, l’esaltazione della libertà del singolo di agire senza fini predeterminati si accompagna con la considerazione delle istituzioni come condizione indispensabile di questa libertà. La filosofia politica della Arendt è una filosofia della cultura, che rifiuta di imporre alla realtà modeli teoretici “scientifici” a essa estranei; l’esperienza politica deve piuttosto, secondo la pensatrice tedesca, radicarsi nel terreno dell’etica. Alla formazione del pensiero della Arendt sono tutt’altro che estranei gli elementi biografici, come sottolinea Elisabeth TENDENZE E DIBATTITI Hanna Harendt poco prima della morte, nel 1975 TENDENZE E DIBATTITI Young-Bruehl. I rapporti personali con Heidegger, Jaspers, Benjamin e Anders, così come l’esperienza del nazismo, non sono meno importanti delle eredità più strettamente teoretiche per capire l’interesse della Arendt per la critica del totalitarismo. Particolarmente significativo, forse, per il comune rifiuto di un costituirsi a professione della pratica filosofica, il rapporto con Günther Anders, che della Arendt fu anche il primo marito. Anders è filosofo radicalmente asistematico e antistoricista, che per le sue “riflessioni sparse” sul mondo utilizza strumenti della teoria critica francofortese. In primo luogo, il riconoscimento della necessità funzionale per l’ordinamento sociale dell’estraniazione dell’uomo dalla natura; estraniazione, questa, che non è semplicemente perdita del mondo da parte dell’uomo, ma piuttosto perdita dell’uomo da parte del mondo naturale, che diventa soggetto primario del processo storico. F.C. L’etica di Foucault Lo studio di Wilhelm Schmid, Auf der Suche nach einer neuen Lebenskunst. Die Frage nach dem Grund und die Neubegründung der Ethik bei Foucault (Alla ricerca di una nuova arte del vivere. La questione del fondamento e di una nuova fondazione dell’etica in Foucault, Suhrkamp Verlag, Frankfurt a.M. 1991) ripercorre l’itinerario di pensiero di Michel Foucault alla luce del filo conduttore del problema dell’etica. Partendo da Nietzsche e Heidegger, l’etica viene intesa da Foucault come “arte del vivere”, come progetto che reca le tracce della insuperabile finitezza dell’essere umano. La più autentica eredità di pensiero di Foucault è da ravvisarsi, secondo Wilhelm Schmid, nell’acquisizione di una nuova etica, coincidente con un modo di pensare “altro”, che si discosta dalle due tendenze dominanti nella filosofia francese di questo secolo, lo strutturalismo e la fenomenologia, che pure hanno rappresentato un importante punto di partenza del pensiero foucaultiano. Nell’interpretazione di Schmid l’etica non avrebbe in Foucault il senso di una norma che si impone esternamente alla vita del singolo individuo, ma andrebbe invece intesa come progetto esistenziale che rende possibile una soddisfacente economizzazione dei desideri e delle esigenze dell’individuo, delle sue inclinazioni e delle sue pulsioni. Questo progetto, che ha i caratteri dell’apertura e dell’incompiutezza, è l’espressione di un soggetto che non è più l’io trascendentale, nella sua duplice versione kantiana e fenomenologica, ma un io che è “a priori” inserito in una rete di relazioni storiche di sapere e di potere e che appartiene a determinate strut- ture sociali ed etniche. Se questa concezione del soggetto apparenta Foucault allo strutturalismo, è pur vero che la posizione foucaultiana non considera il soggetto come semplice effetto di relazioni tra strutture che lo trascendono. Della fenomenologia husserliana, d’altra parte, Foucault critica, esplicitamente o implicitamente, la volontà di giungere ad una fondazione ultima del sapere all’interno della dimensione della coscienza trascendentale. Foucault ha sempre considerato se stesso più come uno storico ed un archeologo che come un filosofo. Inserendosi nella tradizione di certa storia della scienza francese (Cavaillés, Bachelard, Canguilhem, Koyré), egli ha tentato nei suoi studi di ripercorrere la genesi delle forme della razionalità occidentale e delle sue pretese di universalità, mettendo in luce, in opere come Le parole e le cose, Storia della follia nell’età classica, Nascita della clinica, L’archeologia del sapere, Sorvegliare e punire, l’indissolubile intreccio dei rapporti tra potere e sapere. Nel suo studio Wilhelm Schmid evidenzia questo aspetto della posizione di Foucault: «Cosa era per Foucault la questione del fondamento? Essa si manifesta nei concetti dell’archeologia. Compito dell’archeologia era quello di mostrare la mutabilità storica delle forme di sapere. Le forme della razionalità e dell’uomo venivano così fluidificate. Il soggetto, l’uomo non è il fondamento (Grund) fisso ed immutabile come viene assunto a partire da Descartes, ma trova il proprio fondamento proprio nella sua modificabilità, che fa della questione circa la sua forma un compito immenso». La questione della critica foucaultiana della soggettività cartesiana ed il compito di un’analisi genealogica della costituzione dei saperi sono connessi, nella riflessione di Foucault, al problema dell’etica. Partendo da queste premesse, Schmid sottolinea come la concezione etica di Foucault risponda anzitutto e soprattutto della finitezza dell’essere umano, mettendone in risalto le conseguenze filosofiche: la crisi di un progetto umano inteso come lineare sviluppo di una storia della salvezza o della redenzione, da un lato, e di un soggetto trascendentale che sia il risultato di una fondazione ultima e definitiva, dall’altro. Il concetto che fa da filo conduttore delle accurate analisi dello studio di Schmid è quello dell’etica intesa come “arte del vivere”. L’impulso originario per la formulazione di questo concetto si sviluppa nel corso degli studi foucaultiani sul soggetto del piacere nell’antichità e sul processo per cui in tale soggetto il piacere diventa qualcosa che ha a che fare con l’etica. Ma Schmid mette in rilievo anche l’importanza, per lo sviluppo della riflessione di Foucault, del suo interesse per Heidegger e Nietzsche. Decisivo appare l’apporto di quest’ultimo, in cui Schmid individua la presenza di alcune delle tematiche essen- ziali del pensiero di Foucault: entrambi intendono la propria ricerca come la diagnosi della crisi di un’epoca, ed entrambi pongono la genealogia delle forme del pensiero occidentale al centro delle rispettive preoccupazioni metodologiche. M.M. Attualità di Gentile Il rinnovato interesse di cui sono oggetto da circa tre anni la figura e l’opera di Giovanni Gentile, testimoniato da rilevanti studi critici e convegni, è ora culminato in una ponderosa antologia della sua produzione filosofica, Giovanni Gentile, Opere filosofiche (a cura di E. Garin, Garzanti, Milano 1991). Non si tratta della “riscoperta”, pur giustificatissima, dell’opera di un pensatore che ha conosciuto un periodo di eclissi, quanto piuttosto della rivalutazione di aspetti della sua riflessione in sintonia con alcune tendenze oggi dominanti, della filosofia italiana ed europea. Divisa in quattro parti, ciascuna delle quali introdotta da un’ampia presentazione dei testi, questa antologia focalizza le articolazioni della filosofia di Giovanni Gentile con un criterio che è insieme teoretico e storiografico: dalla nascita della “filosofia della prassi” nel confronto con Marx, alla costruzione del sistema idealistico nella sua espressione più compiuta, La teoria generale dello spirito come atto; l’ultima sezione è dedicata ad alcune tematiche particolari del sistema gentiliano. Nella sua introduzione Eugenio Garin riporta il discorso sulla dimensione europea della filosofia di Gentile, a suo parere, per una doppia ragione: per la reintroduzione operata da Gentile, inizialmente attraverso Marx, del pensiero di Hegel nella cultura italiana, e perché la filosofia di Gentile si inserisce nella crisi del pensiero europeo fra Ottocento e Novecento. Per quanto riguarda il primo punto va sottolineato il ruolo di Gentile che, ribadendo il rapporto fra Hegel e Marx, contribuì a liberare il pensiero di quest’ultimo dell’incrostazione delle interpretazioni positivistiche, invalse all’epoca in Italia e in Europa. Gentile riconduce il pensiero di Marx alla sua dimensione autenticamente filosofica contro i molti, “marxisti” e non, che avevano ridotto Marx a un economista o, al più, a un critico della società industriale. La “filosofia della prassi” pone così Gentile in oggettivo dialogo con l’interpretazione leninista e con quella gramsciana, contro il determinismo positivista dei vari riformisti, italiani ed europei. Per quanto riguarda il secondo punto, il rapporto di Gentile con la crisi dei fondamenti del pensiero europeo è più profondo di una mera relazione storiografica; esso però non va tanto ricondotto alla crisi, fra Ottocento e Novecento, della razionalità scientifica nella sua interpretazione positivista, quanto letto in relazione alle tematiche proprie dell’impostazione heidegge- TENDENZE E DIBATTITI riana. Il carattere formale con cui Gentile caratterizza il soggetto assoluto, l’atto puro, il suo carattere di totale alterità e, nel contempo, di fondazione rispetto alle determinazioni fenomeniche, avvicinano Gentile alla ricerca ontologica di Heidegger, con esiti non dissimili. Con ciò non vogliamo riferirci al fin troppo facile parallelo fra l’adesione al fascismo del primo e al nazismo del secondo. Al di là delle apparenze, infatti, le posizioni dei due furono ben diverse. Da parte di Gentile vi è una limpida consapevolezza del rapporto organico fra il proprio impegno filosofico, quello pedagogico e quello politico; da parte di Heidegger una adesione al nazionalsocialismo motivata forse, in primo luogo, da ambizioni e risentimenti personali. La consonanza della posizione politica dei due filosofi risiede piuttosto altrove, nel carattere giustificatorio che - forse contro le intenzioni di Heidegger, senz’altro contro quelle di Gentile - entrambe le impostazioni assumono sul piano della filosofia della storia. La rivendicazione dell’assoluta alterità della dimensione ontologica porta entrambi i pensatori all’impossibilità di fornire criteri discriminanti per il livello ontico. Se da un lato questa rivendicazione è frutto di un anelito all’originario, espressione di un tentativo di radicalizzare la questione del pensiero fino a estrarne le radici, a toccarne i limiti, dall’altro essa espose Gentile e Heidegger alla necessità, sul piano filosofico, di giustificare tutte deprecabili o auspicabili - le concrete manifestazioni della storia. F.C. Forme di consenso Aristotele fu il primo che pose la distinzione tra conoscenza valida, che appartiene alla scienza , e retorica che invece è propria della politica e che si serve primariamente della persuasione per dare valore ad affermazioni non valide. A questo proposito risalta lo studio di Alan G. Gross, The rhetoric of science (La retorica della scienza, Harvard University Press, Harvard 1990) che al contrario cerca di restituire giusto valore alla retorica, affermando come essa non sia una forma di conoscenza inferiore e servile, ma piuttosto essa stessa una scienza, e a sua volta la scienza non altro che una forma limitata di retorica. Questa sorprendente conclusione deriva dal fatto di considerare la scienza non come un percorso privilegiato per raggiungere una conoscenza valida, ma come una delle tante attività intellettuali, alla stregua delle altre attività umane. Per affermare una retorica della scienza Alan G. Gross risale alla filosofia greca. Il testo su cui più si sofferma è proprio la Retorica di Aristotele, prendendo anche dall’opera di Chaim Perelmane e L. Olbrechts-Tyteca, The new rhetoric, che tenta anch’essa una riabilitazione della retorica come disciplina, limitandosi però solo alla tecnica della persuasione nelle scienze umane. Gross al contrario non riconosce tale confine alla retorica. Una delle forme di retorica classica analizzate è l’analogia, e a questo proposito Gross mostra come i discorsi politici di F.D.Roosvelt, gli argomenti del dibattito tra Popper e Khun, e gli sforzi fatti dagli scienziati per decifrare il codice genetico si basino tutti su analogie di vario genere. Con questo però Gross non afferma l’esistenza di un metodo universale proprio della scienza; vuole solo affermare che il consenso nella scienza è prodotto da procedimenti concordati in funzione di ben determinati argomenti. Gross esamina come le differenti forme di consenso sono variate storicamente all’interno dei diversi dibattiti scientifici. Tutte le sue argomentazioni cercano di superare le affermazioni che restringono la retorica agli aspetti superficiali della scienza. Non solo la forma ed il progetto della scienza sono retoriche, ma anche la scoperta dei fatti e la produzione di teorie. Egli afferma infatti che anche i fatti bruti non sono indipendenti da un certo contesto persuasivo. Analizzando un insieme sbalorditivo di episodi scientifici, Gross giunge alla conclusione che già i trattati scientifici, con le loro parole ed i loro calcoli, bastano per persuadere e per produrre il senso della realtà riguardo a una certa teoria, senza tener presente che gli strumenti e i laboratori utilizzati per produrre una teoria sono altrettanti mezzi potenti utili al raggiungimento di quel senso della realtà necessario per dare consistenza ad una teoria e renderla ammissibile. V.R. Epistemologia costruttiva Le difficoltà del positivismo hanno reso attuale il dibattito di nuove ipotesi teoriche. In un recente libro, Teoria e interpretazione (Guerini e Associati, Milano 1991), Silvana Borutti delinea con chiarezza la proposta di una epistemologia costruttiva, in una posizione di autonomia e, insieme, di intenso dialogo con altre tendenze contemporanee, in primo luogo la filosofia analitica e l’ermeneutica. Nello stesso filone va collocato un volume di Lorenzo Magnani, Filosofia e geometria (Guerini e Associati, Milano 1990). Successivi interventi e incontri hanno arricchito il dibattito in corso. La denuncia del tradizionale atteggiamento positivistico sul tema della conoscenza va aggiornata. E’ possibile andare oltre le consuete accuse di obiettivismo, riduzionismo, scientismo ecc.. e mettere in luce aspetti più nascosti e sottili delle sue connotazioni filosofiche. Potremo così scopri- re l’autentica vocazione del cosiddetto buon senso positivistico, implicita in formule quali rispecchiare la realtà oppure afferrare la realtà, che sottintendono il carattere di datità come peculiare dell’oggetto di conoscenza. Nei confronti di questa tradizione di pensiero la riflessione filosofica di Silvana Borutti si costituisce in uno spazio di radicale e meditato allontanamento. I suoi punti di riferimento sono dichiarati: lo schematismo trascendentale di Kant da una parte, e dall’altra la concezione del linguaggio di Wittgenstein, con particolare riferimento alle Ricerche filosofiche. A partire da questi si delineano i contorni generali di una epistemologia costruttiva ancorati a due capisaldi teorici: a) la conoscenza si configura attraverso il processo di mediazione della forma (di ascendenza kantiana e, ancor più, cassireriana) b) l’agente di questo processo di mediazione è il linguaggio (l’ascendenza è wittgensteiniana). Il punto di partenza non è più l’accertamento dell’oggettività scientifica, ma di come si costruisce l’oggetto della conoscenza. Il richiamo più immediato è alla tematica del “vedere come” di Wittgenstein. Lo sguardo costruisce una prospettiva entro cui vedere la realtà. Il linguaggio è l’agente della formalizzazione, della configurazione, della strutturazione dell’oggetto. Secondo la Borutti nella conoscenza è dunque in atto la funzione di un selettore, «un filtro linguistico-categoriale che ritaglia gli oggetti nell’indistinto del continuo percettivo». Il discorso scientifico non pone pertanto questioni di sintassi logica, ma relazioni costruttive di tipo simbolico-categoriale con gli oggetti. Dal proficuo dialogo con un ventaglio molto ampio di indirizzi filosofici e campi di sapere, le competenze dell’epistemologia appaiono trasformate radicalmente: l’obiettivo non è più quello di sottoporre le conoscenze ad una “ricostruzione razionale”, ma di analizzare i processi simbolici e metaforici che le producono. Il luogo specifico di configurazione di questi processi di strutturazione dell’oggetto di studio è il “modello”, la cui intrinseca linguisticità evidenzia come esso assuma non tanto qualità “predittive”, quanto piuttosto qualità “metaforiche”, di produzione e di incremento semantico. La modellizzazione è una operazione di interpretazione e di invenzione, che consente di ri-descrivere e di ri-configurare gli ingredienti della realtà presi in considerazione. Si assottiglia di conseguenza la demarcazione, tradizionalmente rigida, tra fare scientifico e fare artistico, accumunati da un affine intento pioetico. Sebbene animato da altre finalità riflessive, notevoli convergenze con questa impostazione presenta il saggio di Aldo Gargani,”La filosofia post-analitica”, pubblicato in Filosofia ‘90 (a cura di G. Vattimo, Laterza, Roma-Bari 1991). Questi sostiene che un elemento accomuna le differenti versioni del pluralismo conoscitivo dell’e- TENDENZE E DIBATTITI pistemologia post-analitica (i “paradigmi” di Kuhn, le “versioni del mondo” di Goodman, gli “schemi concettuali di decidibilità razionale” di Putnam), ovvero la loro correlazione ad una esperienza neutrale, a priori, non interpretata, che profilerebbe una situazione di irrevocabile relativismo. Opportuna risulta allora la mossa teorica di Wittgenstein, che colloca la fonte ed il luogo della verità entro i contorni del linguaggio. Così se la partita della verità si gioca tutta sul piano linguistico, non si corre più il rischio della subordinazione relativistica della conoscenza ad una realtà pre-interpretata - una irraggiungibile cosain-sé - e la verità può fondarsi sul carattere di intransitività del linguaggio. Se dunque il linguaggio è intransitivo, tra le differenti costruzioni semantiche si possono gettare ponti comunicativi solo precari e provvisori. Ciò corrisponde alle considerazioni sul tema della “traduzione” elaborate dalla Borutti, secondo la quale la traduzione indica il carattere faticoso, non pacificato e non sovrano della conoscenza. Nello stesso tempo essa apre di continuo uno spiraglio verso l’altro, il diverso, l’inesplorato e l’inafferrabile. La traduzione è una operazione sul linguaggio che non si presenta con i caratteri del dominio, ma con quelli della eventualità, della revocabilità, della finitezza. In questo senso diventa “paradigma di conoscenza”. Proprio su questi motivi si è incentrato il dibattito svoltosi l’11 aprile 1991 presso il Collegio Borromeo di Pavia sul libro della Borutti, che è stato affrontato secondo due domande di fondo: come si colloca il tema della verità nella prospettiva dell’epistemologia costruttiva? Che rapporto si istituisce tra essa e la questione dell' etica, ovvero del riferimento ai valori? L’altra direzione di arricchimento dell’epistemologia costruttiva è costituita dall’intensificazione del dialogo con i differenti saperi. Un prezioso supporto in tal senso giunge dall’ultimo volume di Lorenzo Magnani, che, basandosi sull’interpretazione kantiana della geometria e su alcuni attuali aggiornamenti di essa, dimostra il carattere paradigmatico di questa scienza come matrice di una teoria della conoscenza di tipo costruttivo. La costruzione del concetto come esposizione a priori dell’intuizione corrispondente è isomorfa alla presentazione della geometria nella kantiana Dottrina del Metodo come conoscenza per costruzione di concetti. Neppure le contemporanee interpretazioni logiciste della geometria - dimostra Hintikka riescono a inficiare il carattere sintetico e, quindi, costruttivo delle proposizioni geometriche. Magnani ha fatto in tal senso riferimento alla proposta di Petitot di sbloccare la rigidità degli a priori kantiani, ammettendo una storicità delle intuizioni pure e, dunque, una storicità dell’oggettività e dell’esperienza possibile. Questo, tuttavia, non interdice il carattere a priori e sintetico della conoscenza geometrica, ma comporta solo l’idea di “pluralizzazione” degli a priori. Queste argomentazioni sono state al centro di una interessante tavola rotonda che si è svolta alla Fondazione Corrente di Milano l’8 maggio 1991 con la partecipazione di cultori di differenti saperi. Alcuni interventi, in particolare, hanno messo in rilievo l’interesse della psicoanalisi per il ruolo del linguaggio come agente del senso, costruttore non di significati trasparenti e compatti, ma soprattutto elemento sintomatico delle smagliature e dei punti ciechi della comunicazione. Il rimando è, di nuovo, ai caratteri veritativi che si configurano nelle pratiche della conoscenza. Come ha ricordato nelle conclusioni Fulvio Papi, una grande virtù del costruttivismo è la sua possibilità di trasporsi in differenti spazi discorsivi, sia della produzione di saperi che della produzione artistica. Una virtù che merita di essere coltivata e sperimentata. F.S. L’etica in letteratura Negli anni '70 lo studio della letteratura negli Stati Uniti ha subito un periodo di crisi. La vecchie assunzioni da cui dipendevano il New Criticism ed uno storicismo ingenuo sono state attaccate dai filosofi di scuola francese con l’accusa di essere inadeguate e poco incisive. I concetti forti di significato e soggettività, di scrittore e intenzione sono crollati, anche perché essi si giustificavano solo attraverso la nozione di autonomia estetica, senza possedere un’ideologia di fondo. Ma ciò che inizialmente sembrava un movimento eterodosso, ha assunto ben presto un carattere di ortodossia: ciò che prima scandalizzava, è divenuto familiare. Questo cambiamento radicale sembra aver completamente abbandonato quelli che erano i temi fondamentali della critica letteraria precedente. A questo proposito si assiste negli Stati Uniti ad un ripensamento che evidenzia la ricerca di un compromesso tra queste due contrapposte posizioni, se non addirittura la rinascita di una critica latteraria che consideri soprattutto il tema dell’etica e dei suoi valori all’interno della letteratura. I lavori di Robert Scholes, Wayne Booth, Daniel Schwarz ed altri mostrano infatti un interesse per l’etica presente nella narrativa: il ruolo del lettore, la pragmatica del criticismo, e la prospettiva della difesa di ideali culturali da un punto di vista proggressivo. Il pensiero contemporaneo ha lasciato indefinita la nozione di valore. Lo strutturalismo per esempio ha concentrato il proprio interesse sul processo di significazione; i post-strutturalisti hanno continuato per questa strada. Altrove i critici hanno demolito il concetto di canone letterario, affermando che esso è condizionato storicamente. Altre forme di criticismo ideologico invece riducono la letteratura ad un esercizio di potere, in cui sono assenti valori etici o estetici. Contro questa situazione Robert Scholes, pur dichiarando il suo debito a Derrida, in Protocols of readings rifiuta l’ ”ermeneutica nichilista” del decostruttivismo. Per Scholes i valori letterari devono essere ristabiliti attraverso un’etica del romanzo, basata sul fatto che alcuni lettori e alcuni testi sono migliori di altri. La critica descostruttivistica ha escluso questa possibilità, in quanto enfatizza il fallimento dell’atto del leggere e della distinzione tra vita e testo e tra mondo e testo. Per Scholes il leggere è un’attività costruttiva attraverso la quale il testo viene integrato nella vita del lettore, creando una identificazione metaforica con la lettura. Mentre Derrida nega che il significato è sempre presente ed attuale per i lettori o gli interpreti, Scholes preferisce un approccio più pragmatico: la “presenza pragmatica” è parte della nostra esperienza ed è una cruciale dimensione del linguaggio. Senza una qualche nozione di presenza e di reale comunicazione, il soggetto si perde nell’abisso del linguaggio o nell’aporia del pensiero. Su questa linea si pone anche lo studio di Wayne Booth, The company we keep, che presenta una grande varietà di giudizi etici impliciti nel criticismo, mentre suggerisce un approccio più congeniale alla letteratura. V.R. Un viaggio lungo il pensiero analitico Nel panorama della filosofia analitica di stampo anglo-sassone il libro di Peter Hylton, Russell, idealism and the emergence of analytic philosophy (Russell, l’idealismo e l’emergere della filosofia analitica, Clarendon Press, Oxford 1990) rappresenta una positiva appertura verso un approccio storico allo studio della filosofia. La tradizione analitica ha reso l’attività filosofica pragmatica e astorica, se non a volte addirittura antistorica, data la sua propensione verso la pratica e non verso la storiografia filosofica. Al contrario Hylton, pur essendo legato alla tradizione analitica, ritiene che lo studio del passato in quanto tale sia filosoficamente utile, e che le idee filosofiche derivino dallo sviluppo di un metodo. Gli eventi che Peter Hylton analizza sono quelli che appartengono alla rivoluzione filosofica avvenuta in Gran Bretagna tra il 1895 ed il 1913, legata all’opera di Georg Edward Moore e di Bertrand Russell, che si opposero all’idealismo prevalente all’epoca nell’università di Oxford e di Cambridge, con l’intento non solo di distruggerlo, ma anche di sostituirgli un insieme di contenuti e procedimenti, in cui si può già ravvisare il primo embrione della futura filosofia TENDENZE E DIBATTITI Bertrand Russel analitica inglese. Il libro ha decisamente un taglio cronologico, ma lo scopo di Hylton è quello - e lo afferma esplicitamente - di fornire un’interpretazione di alcuni testi di Moore, e soprattutto di Russell, che sono stati indebitamente trascurati. Egli espone con chiarezza quali sono state le letture che hanno influenzato il Russell dei primi lavori filosofici, sottolineando anche quei temi e quelle costanti, da cui si possono ricavare le linee di sviluppo che la filosofia britannica percorre nel suo passaggio dall’idealismo hegeliano al realismo analitico. Fra i temi sollevati da Hylton nella sua ricostruzione storica il più importante è forse quello dell’unità complessa, che si ricollega ad un vecchio problema metafisico, il problema di come un’entità complessa possa essere un tutto unico e unito, e nello stesso (f. di A. Eisenstaedt) tempo nient’altro che la somma delle sue varie parti. A questo proposito Hylton sostiene che per la comprensione di questo problema è necessario chiarire le differenze e le analogie con l’uso delle nozioni idealistiche di sintesi, assoluto, tutto organico e relazione interna, analizzando la distinzione posta da Russell tra classe-diindividui e classe-di-classi, ed anche i motivi che lo conducono alla teoria delle descrizioni definite. Hylton riesce a dare una buona interpretazione dei testi di Russell e di Moore, rilevando sia le invarianze che i cambiamenti nelle loro dottrine e nel loro modo di succedersi l’una all’altra. Ciò che invece Hylton non riesce a mostrare è come la ricerca storica può essere anche fonte di riflessione filosofica. Questo è dovuto a parecchi fattori, fra cui il non tener presente che spesso i benefici che si possono ricavare da una ricerca storica sono inversamente proporzionali alla vicinanza temporale e culturale con l’oggetto di studio. Inoltre egli non sorregge la sua analisi con una teoria strutturata della ricerca storica, ma si sofferma quasi esclusivamente sulla connessione logica degli eventi, senza esprimere una relazione storica per spiegare il perchè di certi eventi. D’altro canto nello spiegare l’emergere della filosofia analitica Hylton si rifà solo alla filosofia dell’epoca di Oxford e di Cambridge, senza considerare che invece è stata soprattutto l’influenza della filosofia matematica, logica, psicologica e fisicista continentale a porre le basi della filosofia analitica anglo-sassone. TENDENZE E DIBATTITI L’esigenza di radicare storicamente una cultura ha necessariamente bisogno di una teoria della storia che possieda la capacità ed il potere di spiegare il perché dell’accadere di determinati eventi, cosa che ancora manca al recente bisogno storiografico inglese. V.R. Pensando la guerra E’ vero che i tempi del pensiero sono più lenti di quelli della cronaca e tuttavia una “riflessione d’urgenza” che utilizzi gli strumenti dell’analisi storica e filosofica, sembra oggi necessaria, anche se semplicemente nei termini di una interrogazione aperta sulle ragioni che hanno condotto al recente confronto militare, almeno per sgombrare il campo dalla retorica e dalla superficialità di tante analisi dei media. Il volume collettivo: Guerra virtuale e guerra reale: riflessioni sul conflitto del Golfo (Mimesis Edizioni, Milano 1991) raccoglie alcuni interventi di filosofi, composti mentre la guerra era ancora in corso. Uno dei principali nodi tematici affrontati è la stretta articolazione tra la logica del conflitto e l’uso dei media. Nei paesi occidentali l’orchestrazione televisiva del conflitto che appiattisce la tragica realtà dell’evento in un immaginario bellico tecnologico e asettico, non ha avuto la capacità di prevedere l’impatto psicologico dell’evento sugli spettatori: accaparramento di generi alimentari, paura, insofferenza. Carlo Formenti rileva come nei giorni della guerra si sia realizzata una vera e propria identificazione con l’occhio televisivo, l’instaurazione definitiva di un idolo tecnogico «la cui potenza diviene tanto maggiore quanto più riflette la pura datità del reale: il fascino e l’orrore parlano da soli, non richiedono interpretazione né commenti». Lo scoppio del conflitto ha, da un lato, tragicamente smentito le previsioni di chi riteneva obsoleta l’opzione militare: l’esibizione della potenza distruttiva dell’apparato bellico anticipa e neutralizza qualsiasi posizione conflittuale attraverso la rappresentazione anticipata degli esiti del conflitto. La deterrenza non ha tuttavia fatto presa in una situazione caratterizzata da un diverso panorama storico e culturale, dove le motivazioni ideologico-religiose conservano una forte energia polemica. La risposta dell’Occidente all’agitazione strumentale del fanatismo fondamentalistico - sottolinea Mario Perniola - si è espressa nel senso della riproposizione di un poco credibile letteralismo giuridico. In breve si è passati dal registro consolidato della Realpolitik, alla solennità dei discorsi sul diritto internazionale. D’altro canto la guerra del Golfo ha confermato una linea di tendenza già annunciata da Clausewitz, ovvero il carattere “illimitato” del conflitto moderno che non tollera più cesure tra l’ambito civile e quello militare. L’ostaggio - considera Jean Baudrillard - diventa la figura tipica di questa guerra così come l’uso strategico della minaccia e del ricatto ambientale diventano opzioni normalmente agibili. Dobbiamo tuttavia rilevare in questo contesto di riflessione che la guerra del Golfo, gli episodi di intolleranza razziale, la spinosa problematica del rapporto fra Stato e nazione sono stati invece oggetto, proprio attraverso i media, di un vivace e sentito dibattito pubblico in Francia. Negli ultimi mesi molteplici sono stati gli interventi da parte di filosofi, storici, sociologi francesi sugli avvenimenti più drammatici e contraddittori della nostra storia quotidiana, e non solo di quella più recente. Al di là delle baruffe, degli scoramenti in diretta o delle osservazioni oculate affidate alle pagine scritte, lo “spirito del tempo” ha segnato la presenza sulla scena pubblica di due tipi di approccio intellettuale all’attualità. Da un lato si profila l’intellettuale “alla Sartre”, per così dire, sempre pronto ad esprimere a caldo le propie opinioni, a firmare petizioni, ad avanzare previsioni. E’ ciò che è accaduto per esempio quando il quotidiano “Libération” ha pubblicato in febbraio tre “manifesti” distinti sull’intervento bellico nel Golfo, che riportavano l’opinione di intellettuali di campi diversi, ma tutti impegnati attorno alla questione della legittimità o meno dell’intervento dell’ONU. Contro la guerra si sono pronunciati Balibar, Bourdieu, Breton, sostenendo che l’azione bellica in gioco non era che il frutto della volontà di due diversi imperialismi, e si faceva appello agli intellettuali di impegnarsi a difendere «il punto di vista dei popoli rispetto a quello degli imperialismi, e di resistere alla propaganda e liberare l’informazione». Di contro Finkielkraut, Lyotard e Fontenay hanno assunto una posizione volutamente «al di là tanto della morale angelica, quanto del cinismo bellico», rivendicando i caratteri di legalità, legittimità e di necessità dell’intervento militare, per cui gli intellettuali sono chiamati ad assumere «la via difficile di una morale politica scevra da illusioni» e nutrita di un sano realismo politico. Altri intellettuali come Lacoture e Rodinson hanno invece difeso con costanza l’esigenza della negoziazione. Un altro approccio, questa volta diremmo “alla Aron”, ha privilegiato un intervento ponderato, privo di “j’accuse”, teso invece a darsi i tempi della riflessione, a «fare la parte delle cose»: su questa linea ricordiamo i numerosi articoli e dibattiti pubblici da parte di studiosi arabi (per esempio Stora) che si sono dedicati alla ricostruzione di determinate costellazioni storicoculturali per trovare delle chiavi di comprensione al fanatismo, alla contraddizione fra antico e moderno in seno alle comunità arabe. Particolarmente accesa è stata infine la discussione suscitata dal libro di Alain Minc, La vengeance des nations (La ven- detta delle nazioni, Grasset, Parigi 1991), dove l’autore si schiera contro ogni forma di “tribalismo” vecchio o nuovo e reputa possibile l’arbitraggio fra Nazione e Stato solo in seno allo stato di diritto. E.N./ F.M.Z. La riscoperta del privato in Francia L’attuale dibattito francese sulla complessa nozione di individualità/individualismo nelle società contemporanee ha una delle sue più sorprendenti “versioni” nel concomitante e crescente interesse per la sfera del “privato”, anzi della vita più che interiore, “intima”. Segnaliamo a questo proposito tre prospettive di indagine. La prima, ad opera di Pierre Pachet, Les barométres de l’âme. La nassaince du journal intime, (I barometri dell’animo. La nascita del diario intimo, Hatier, Parigi 1990), focalizza il significato della vita interiore attraverso la “storia del diario”. La seconda prospettiva cerca di assumere un punto di vista sulla “struttura simbolica e sociale dei sentimenti nel privato”: ci riferiamo allo studio di Luc Boltanski, L’amour et la justice comme compétences, (L’amore e la giustizia come competenze, ed. Marie Méraillé, Parigi 1991) e alla traduzione francese dell’ultimo libro di Niklas Luhmann, Amour comme passion. De la codification de l’intimitè, (Amore come passione. La codificazione dell’intimità, trad. di A. M. Lionnet, Aubier, Paris 1991). La terza infine è una prospettiva particolare, che tende ad interpretare il richiamo filosofico all’etica in chiave privata nel campo di quelle buone/cattive abitudini e di quelle piccole “virtù”, che gli individui tengono in relazioni molto strette o molto formali: ci riferiamo alla pubblicazione in corso della collana “Morales” presso le edizioni Autrement a cura di Nicole Czechowski, di cui sono usciti i primi tre titoli: Honneur, Fidelité e Politesse. Se il dibattito sul “pubblico” mette in gioco le problematiche relative alla tensione fra convinzioni personali e argomentazioni comuni, fra valori soggettivi e fini oggettivi, fra condotte particolari e criteri universali, non di meno la gestione del dominio del privato non va esente da similari preoccupazioni. E questo vale tanto per il rapporto con se stessi, per l’intimità come cassa di risonanza affettiva e umorale in cui il tempo vissuto si riversa, quanto per il significato dato all’investimento affettivo con una persona “altra”, quanto per le abitudini quotidiane in bilico fra ordine privato e gestione del sociale. In questo senso non si TENDENZE E DIBATTITI pensi, invita Pierre Pachet, che il fatto di scrivere un diario sia un gesto naturale ed innocente; al contrario, l’annotazione privata dei propri stati d’animo è divenuta un vero genere letterario, a partire dalla pubblicazione dei diari di Constant, Maine de Biran, Stendhal, Hugo, Delacroix, sebbene siano reperibili illustri predecessori come Casanova e Lavater. Ma è con la pubblicazione del diario di Le Brun (1887) che la scrittura intimistica cessa di essere un semplice stratagemma contro la solitudine per divenire «un’ulteriore tappa nel cammino di privatizzazione e laicizzazione del “lavoro del sé”». Diversamente dalle pratiche religiose - confessioni, pentimenti, apprendistati mistici - il diario è la presa in carico solipsistica, individuale e particolare di una singolarità che cerca di dare una prospettiva alla propria «natura incostante, metereologica, di una variabilità che non conosce regola». Ciò che il diarista teme maggiormente è la variabile incontrollabile del tempo che cambia e che segna le nostre stagioni facendoci ritrovare alla fine un po’ sorpresi e un po’ estranei. Per questo, in mancanza di riferimenti trascendenti a cui commisurarsi, nella nostra epoca l’anima diviene sempre più una «cometa senza nucleo», una «intima mobilità», la proiezione degli stati metereologici dell’animo. La convinzione che l’individuo contemporaneo si liquefi nell’umoralità dei suo stati e nel cangiante caleidoscopio del mondo esteriore è condivisa anche da chi, come Luc Boltanski e Niklas Luhmann, per cammini diversi, cerca altre vie di cristallizzazione. Per il primo (direttore di studio all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi e animatore di un gruppo di sociologia morale e politica del CNRS) il mondo di relazioni fra pubblico e privato è inquinato dalla pratica di abitudini attraverso le quali amministriamo i contenziosi della vita sociale di tutti i giorni, con amici, parenti, colleghi. Rimarchevole di questa specie di «sociologia della disputa», al confine fra una microsociologia del quotidiano ed un privato allargato, è il tentare di risolvere le tensioni, invocando principi di equivalenza, regolativi dei dissidi, detti “competenze”, quali veicoli di comunicazione di un consenso in grado di dare ragione del «sentimento di giustizia» nelle controversie. Una di queste fondamentali competenze è l’amore, inteso come “agape”, gratuità del dono, stato di pace e di accordo. Sull’amore come passione e dispositivo di comunicazione si è espresso anche Luhmann. Egli parte dalla considerazione che nella società moderna, dove tutto è ruolo, funzione, ambiente sociale, l’interazione si realizza attraverso dei “media simbolici e comunicazionali”, come il denaro e l’amore. Così anche la vita affettiva privata non è che un codice e Luhmann, rintracciandone la storia a partire dall’amor cortese e concentrandosi sulla Francia del XVII secolo, giunge alla laconica conclusione che oggi «non esiste nessuna semantica per regolare i propri comportamenti in proposito». Nel- la società iperdifferenziata, contraddistinta da una «endemica potenzialità di generare conflitti» non esiste nessun modello di amore come investimento affettivo e progetto di un’alleanza per l’esistenza, a cui ci si possa conformare. Bisogna riconoscere però che se il panorama teorico in cui si incrociano differenti approcci alla sfera del privato pare suggerire che nella rete della modernità i sentimenti si sfilaccino in comportamenti sociali e microsociali o in un disagio personale, ugualmente c’è chi crede che il ritorno ai valori etici professato da Jankelevich o Levinas, abbia qualcosa a che fare con quella panoplia di buone maniere e di solide virtù che mettiamo in campo nella regione fluttuante dei rapporti personali, non propriamente pubblici, non solamente intimi. La collana “Morales”, inaugurata dall’editore Autrement, prevede di pubblicare tre o quattro titoli all’anno, ciascuno dei quali porta il nome di una “virtù”: onore, fedeltà, cortesia, e poi perdono, pazienza, coraggio, tolleranza. Si tratta di qualità operanti nel comportamento, sospese ancora una volta fra microsociale, come è il caso delle buone maniere in pubblico, e un privato allargato, come è il caso della fedeltà nei rapporti di coppia, la cui natura ambigua - psicologica, etica, sociale, culturale - non viene sempre debitamente investigata. Ogni libro è una raccolta di interventi di esperti di varia natura (sociologi, antropologi, letterati), cui spesso fa difetto la dimensione unitaria e sintetica. Per quanto il gruppo dei collaboratori vanti nomi prestigiosi (Kristeva, CompteSponville, Levinas, Fontenay), il progetto è stato finora accolto dalla critica con qualche interrogativo. Il più significativo mette in guardia dal rischio di piegare la discussione etica verso l’intimismo, il lirismo e il galateo. F.M.Z. La teoria dell’agire Nel mondo anglo-sassone già da qualche tempo il pensiero di Wittgenstein sta suscitando grande interesse. Recentemente si sono sviluppate interessanti teorie, che pur allontanandosi, se non addirittura contrapponendosi al primario pensiero di Wittgenstein, stanno significativamente influenzando la cultura filosofica anglosassone. Una di queste è la teoria dell’agire che è stata oggetto in questi ultimi tempi di una serie di studi: Natural agency: an essay on the causal theory of action di John Bishop (L’agire naturale: un saggio sulla teoria causale dell’agire, Cambridge University Press, Cambridge 1990); Explaining human action di Kathleen Lennon (Spiegare l’agire umano, Duckworth, London 1990); The philosophy of action: an introduction di Carlos J. Moya (La filosofia dell’agire: un’in- troduzione, Polity, Oxford 1989); On action di Carl Ginet (Sull’agire, Cambridge University Press, Cambridge 1990). Wittgenstein ha posto le basi del problema dell’agire, affermando che esso si risolve solo se si riesce a rispondere alla domanda su che cosa rimane dell’agire se si elimina l’azione stessa dell’individuo che agisce. Pur non riuscendo a dare una risposta chiara a questa domanda, Wittgenstein si è sempre rifiutato di analizzare questa nozione in termini causali, rifiutando anche l’idea che l’agire debba riferirsi a esperienze interne. Nel 1960 questo paradigma viene confutato e sostituito con un altro, secondo cui quando si spiega un comportamento si rinvia - esplicitamente o meno - all’esistenza di una connessione causale tra la ragione e l’azione. Di conseguenza un movimento è un’azione solo in virtù del fatto che possiede una causa. L’intenzione viene in tal senso trattata come uno stato psicologico che causalmente interviene tra la ragione e l’agire. La versione ancora oggi accettata di questa teoria è quella di Donald Davidson, di cui sono stati tentati approcci differenti, ponendo attenzione sopprattutto all’individuazione degli eventi che intervengono tra l’intenzione e il movimento corporeo, affinchè questo si trasformi in azione. John Bishop in Natural agency cerca di eliminare il vizio di circolarità che per Davidson deve esistere nella catena causale che interviene nell’analisi di un’azione. Per Bishop l’agire spiegato attraverso una causazione circolare non aiuta a capire e giustificare l’interpretazione causale di questo processo. Un’altra tesi di Davidson, confutata questa volta in Explaining human action da Kathleen Lennon, è quella secondo cui le regole dell’agire riguardano solamente proprietà fisiche, escludendo per esempio i desideri e le credenze. Questa soluzione non tiene conto degli aspetti psicologici di tali stati, che rinviano invece a regole psico-fisiche e possono rientrare in una teoria generale degli stati psicologici. Gli studi di Carlos Moya e di Carl Ginet, a differenza dei precedenti, non tentano un miglioramento della teoria di Davidson, ma propongono delle spiegazioni alternative. In The philosophy of action, Moya afferma che il voler dare un carattere normativo agli stati psicologici rivela l’impossibilità di inserirli all’interno della teoria causale, che al contrario possiede un approccio di tipo naturalistico, opposto a quello normativo. Ginet invece sviluppa una teoria noncausale e propone una spiegazione originale, ma molto azzardata dell’agire, cercando di difendere l’incompatibilità presente nella tesi secondo cui se le nostre azioni sono causalmente determinate, esse non possono essere libere. Per giustificare questa situazione egli afferma che un’azione implica un atto mentale interno, una volizione che possiede sia un certo contenuto, sia una particolare “sensazione attiva”. Ciò che è in sé un’azione non necessita di nessuna PROSPETTIVE RICERCA TENDENZE E DI DIBATTITI Johann Gottfried Herder (incisione da un dipinto di Angelika Kaufmann) PROSPETTIVE DI RICERCA PROSPETTIVE DI RICERCA Nuove edizioni degli scritti di Herder La recente edizione dei Werke (Opere) di Johann Gottfried Herder, presso l’editore Hanser di Monaco, e dei Werke in zehn Bände (Opere in dieci volumi), da parte dell’editore Deutsche Klassiker di Francoforte, rende accessibili al grande pubblico alcuni dei principali testi del pensatore tedesco, disponibili finora solo nella vecchia edizione Suphan in trentatré volumi, pubblicata tra 1877 e 1913. L’opera di Johann Gottfried Herder (1744-1803) si pone come una testimonianza di quell’importante momento della cultura tedesca che va dal movimento anticlassicistico dello Sturm und Drang fino all’ultima fase dell’illuminismo tedesco, che accoglie in sé motivi naturalistici di carattere rousseauiano, fondendoli con una concezione etica del cristianesimo, sostanzialmente legata a quell’ideale di “umanità” che trova proprio in Herder la più importante espressione. Pensatore non sistematico e attento alle testimonianze della storia e dell’estetica, in una prospettiva generale che in termini moderni si potrebbe forse definire “antropologica”, Herder fu il sostenitore di un’estetica e di una critica letteraria che prestassero attenzione alla poesia “popolare” ed “ingenua”, precorrendo alcuni atteggiamenti di fondo che sarebbero stati fatti propri con maggiore radicalità dai romantici. Tra gli scrittori tedeschi, Herder fu il primo a raccogliere organicamente e a tradurre poesie popolari provenienti da diverse aree culturali, derivando da questa sua attività la consapevolezza del nascere, perire e mutare delle culture: la consapevolezza della uguale dignità di ogni cultura ed etnia, nella prospettiva generale di una “promozione dell’umanità” (un argomento a cui egli dedicò una serie di celebri Lettere) e di una filosofia della storia umanistica (argomento della sua opera più nota, le Idee per la filosofia della storia dell’umanità). L’edizione completa delle opere di Herder, pubblicata tra 1877 e 1913, è l’unica a cui manchino quei caratteri di pienezza informativa, accuratezza e attendibilità filologica che caratterizzano le edizioni delle opere di altri gran- di classici della letteratura classicoromantica tedesca. Anche negli anni Cinquanta e Sessanta, quando in Germania si ebbe un aumento delle edizioni a grande diffusione dei classici, l’opera di Herder restò esclusa dalle attenzioni degli editori. Solo i cinque volumi pubblicati presso l’editore Aufbau di Berlino Est, presentavano al pubblico della ex-DDR un’immagine relativamente ampia dell’opera di Herder. Dal 1984 l’opera di Herder è però nuovamente accessibile ad un ampio pubblico per iniziativa dell’editore Hanser di Monaco, che ha iniziato una edizione in tre volumi delle Opere herderiane, e dell’editore Deutsche Klassiker, presso cui ha preso avvio il progetto di un’edizione in dieci volumi (Werke in zehn Bänden). Nell’edizione hanseriana sono usciti finora due volumi, di cui il secondo, pubblicato nel 1987, raccoglie testi sul tema Herder und die Anthropologie der Aufklärung (Herder e l’antropologia dell’illuminismo, a cura di W. Pross, Carl Hanser Verlag, München 1987). L’edizione dell’editore Deutsche Klassiker presenta finora tre volumi: il vol.I, Frühe Schriften 1764-1772 (Primi scritti 1774-1772, a cura di U. Gaier, 1985); il vol.III, Volkslieder. Uebertragu-ngen. Dichtungen (Canzoni popolari. Trascrizioni. Poesie, a cura di U. Gaier 1990); il vol.VI, Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit (Idee per la filosofia della storia dell’umanità, a cura di M. Bollacher, 1989). Entrambe le edizioni sono arricchite da accurati commentari e introduzioni, che offrono al lettore un prezioso strumento per la comprensione del pensiero herderiano nella sua specificità e nelle sue connessioni storiche. M.M. L’argomento ontologico Gli atti di un convegno tenutosi all’inizio del 1990, L’argomento ontologico (a cura di Marco M. Olivetti, Cedam, Padova 1990), ripropongono una questione ricorrente nella storia della filosofia, la dimostrabilità dell’esistenza di Dio attraverso la pura ragione. Da Anselmo, che nell’XI secolo elabora il cosiddetto “argomento teologico” - l’esistenza deve essere attribuita all’essere perfetto, perché altrimenti esso non sarebbe tale - la questione della dimostrabilità dell’esistenza di Dio attraverso la pura ragione percorre la storia della filosofia, e arriva fino alla nietzschiana “morte di Dio”. Il problema è fino a che punto questa morte non sia stata causata da quello stesso Dio con la sua pretesa di presentarsi come il Dio della pura ragione. In questo modo la questione teologica coincide con quella ontologica: si svela così l’essenza ontoteo-logica della metafisica occidentale, come direbbe Heidegger. Un esito questo che, se è “destinale” per la filosofia, non era stato interamente precisato e voluto da Anselmo. Solo con Kant, infatti, l’argomento diventa “ontologico” e Dio si risolve nell’ontologia. Per Anselmo il Dio, di cui non si può pensare nulla di “più perfetto”, è al tempo stesso “più perfetto” di quanto il pensiero possa concepire, un qualcosa di irrevocabilmente “altro” da esso. F.C. Alexandre Kojève: la fine della filosofia Per circa quarant’anni uno dei più influenti filosofi politici e statisti del nostro secolo 'Alexandre Kojève' è stato largamente ignorato. Solo recentemente il suo pensiero, dopo essere stato ripreso in Francia, dove egli visse la maggior parte della sua vita dopo essersi allontanato dalla Russia con l’avvento della rivoluzione, ha raggiunto anche i paesi anglo-sassoni, che stanno mostrando interresse soprattutto per la sua filosofia politica. Ne è una riprova la recente pubblicazione negli Stati Uniti di On Tyranny di Leo Strauss (Sulla tirannia, a cura di V. Gourevitch e M. S. Roth, Free Press, New York ), che contiene in appendice la traduzione della corrispondenza fra Strauss stesso e Kojève. Questo materiale, fi-nora rimasto inedito, permette per la prima volta di fornire un quadro il più possibile completo del pensiero di Kojève, facendolo apparire come uno dei più emblematici pen- PROSPETTIVE DI RICERCA satori del no stro tempo. Da una visione d’insieme del pensiero si Alexandre Kojève si ricava l’impressione che ci sia un forte legame tra la sua interpretazione filosofica della storia del mondo e la sua idea politica. A differenza del pensiero politico, le idee più propriamente filosofiche di Kojève, che parlano della “fine della filosofia”, sono rimaste ancora largamente sconosciute. A questo ha voluto in parte rimediare la recente pubblicazione in Francia di Le concept, le temps et le discours (Il concetto, il tempo e il discorso, Gallimard, Parigi 1990). Si tratta dell’introduzione a quello che doveva essere il suo libro principale, una mise à jour del sistema hegeliano, in cui Kojeve proponeva una revisione dell’Enciclopedia (1817) di Hegel: studio peraltro mai interamente apparso durante la sua vita. Tuttavia da questo scritto si può già ricavare una certa coerenza e circolarità che lega l’interesse giovanile di Kojève per gli studi sulle religioni e sulle lingue orientali compiuti a Heidelberg, nonché le sue ricerche sul filosofo russo mistico e panteista Vladimir Solovyov, con il suo interresse maturo per la filosofia di Hegel e di Schelling. La conclusione a cui egli giunge in questo suo processo di maturazione è che la ricerca della saggezza iniziata con la filosofia greca si conclude nella “circolarità” dell’Enciclopedia di Hegel, e tutta la successiva filosofia (compresa quella di Marx e di Heiddeger) non è che una parziale interpretazione della filosofia di Hegel. Da notare a questo proposito che mentre l’attuale proclamazione della “fine della filosofia” deriva da uno scetticismo linguistico ed epistemologico circa la reale possibilità di fare filosofia, Kojève è l’unico pensatore di questo secolo ad annunciare l’estinzione della filosofia in nome della filosofia stessa: se la filosofia è amore per la saggezza, noi dobbiamo accettare con Hegel la sua fine. La corrispondenza che Kojève tenne con Leo Strauss mostra la continuità della sua riflessione sul tema della fine della filosofia, applicata anche alla situazione politica internazionale. Il loro accordo è soprattutto basato sulla convinzione di entrambi che la filosofia abbia raggiunto la fine nei tempi moderni. Ma mentre per Kojève questa è stata una fine progressiva, scaturita nella sapienza della conoscenza assoluta di Hegel, per Strauss ciò che giunge a termine con Nietzsche e con Heiddeger è il “progetto moderno”, la cui fine è sanzionata dall’ascesa delle moderne tirannie del 1930. Per entrambi questa situazione porta alla “fine dell’uomo”. Solo che Strauss inorridisce davanti alla possibilità che quel qualcosa che distingue l’uomo dall’animale venga spazzato via da una società ugualitaria basata sul consumismo o sul comunismo, mentre Kojève risponde che la disumanizzazione dell’uomo lo libera dalla fastidiosa duplice possibilità di divenire bestia o dio. V.R. Fontenelle: un monumento editoriale Con una coincidenza di pubblicazioni che sembra voluta, si presentano nelle librerie francesi quattro testi che ripropongono all’attenzione del pubblico la figura di Bernard Le Bovier de Fontenelle. Innanzitutto l’uscita del secondo volume dell’opera completa del filosofo, Oeuvres complètes, tome II (Fayard, Parigi 1991), annunciata in otto volumi a cura di Alain Niderst, che è anche l’autore di una biografia dal titolo: Fontenelle (Plon, Parigi 1990). Per le Edizioni de L’Aube sono usciti di Fontenelle gli Entretiens sur la pluralité des mondes habités (Conversazioni sulla pluralità dei mondi abitati, 1991), curati da François Bott, che al filosofo di Rouen dedica un breve saggio: L’Entremetteur, esquisses pour un portait de M. de Fontenelle (Il mediatore, linee per un ritratto di M. de Fontenelle, PUF, Parigi 1990). Alle fatiche di Alain Niderst dobbiamo la preziosa ricostruzione biografica della vicenda di Fontenelle, una personalità che, priva dei caratteri di una sicura originalità filosofica, funge da barometro della variabile temperie intellettuale del XVIII secolo. Morto centenario, Fontenelle rappresenta il trait d’union tra l’epoca di Corneille, di cui era nipote, e quella di Descartes, di cui si proclamava discepolo. Testimone della stupefacente mutazione degli spiriti che si andava svolgendo sotto i suoi occhi, l’autore degli Entretiens sur la pluralité des mondes habités e dei Dialogues des morts (Dialoghi dei morti), ricalca nella sua opera di divulgatore filosofico il percorso curioso e ancora incerto di un pensiero che si va costituendo attraverso un dialogo tra le culture e le discipline. Così lo troviamo impegnato nelle querelles di fisica, di politica e di astrologia, scrive delle tragedie di mediocre successo, dialoga con Newton, Leibniz e Luvois, si dedica al Bernard de Fontenelle. Antiporta da un'edizione del 1728 delle "Opere". PROSPETTIVE DI RICERCA calcolo infinitesimale, portando nella sua riflessione sul mondo quell’attenzione per il dettaglio e per l’evento microscopico che rimane uno dei tratti più significativi della sua scrittura filosofica, restando sempre fedele al comandamento di «avere la propria opinione» senza «mai avere un proprio partito». Il profilo di Fontenelle è in fondo quello disegnato da François Bott nel suo breve saggio, un mediatore che, in un’epoca di crisi, cerca di assortire con gusto la cultura classica con la curiosità illuminista. Il secolo di cui Fontenelle è stato testimone e archivista appassionato è anche l’oggetto storico dello studio di René Pomeau, L’Europe des Lumières, riproposto dalle Edizioni Stock, a venticinque anni dalla prima pubblicazione. Le radici dell’ideale di una patria comune europea, fondata sugli ideali illuministi di ragione, di uguaglianza e di progresso sono rintracciate in quella società cosmopolita che, da Napoli a Pietroburgo, da Oslo a Lisbona, parlava in una medesima lingua degli stessi ideali. Nell’ universalità del francese trovavano voce i progetti e le utopie di quell’Europa illuminista che aveva già raggiunto una sua dimensione, piccola ma reale, nell’attività della borghesia più intellettualmente vivace, aperta ai viaggi e agli scambi, che vedeva in Parigi il suo centro culturale. Come diceva un personaggio di Marivaux: «Parigi è il mondo, il resto della terra è soltanto la sua periferia». Tuttavia proprio in questo curioso sciovinismo dell’ideale francese sono da ricercarsi per Pomeau i limiti che hanno portato al fallimento dell’ideale europeo. E.N. Itinerari nietzscheani nella ex-DDR. Nella ex-DDR si assiste ad una sorta di “renaissance” della filosofia nietzscheana, parallelamente alla riscoperta di alcuni luoghi legati alla vita di Nietzsche e allo sviluppo del suo pensiero, che rimettono in circolazione un patrimonio storico-documentario finora inaccessibile. Percorrendo la strada che da Lipsia porta a Naumburg e Weissenfels, si giunge dopo 20 km. a Röcken, un comune abitato oggi da quattrocento anime. Qui il padre di Nietzsche esercitava la sua opera di pastore protestante. Sul muro della piccola casa della famiglia Nietzsche, che si trova accanto alla chiesa, si trova una lapide con l’epigrafe: «Casa natale del filosofo Friedrich Nietzsche, 15.10.1844 25.8.1900». Nella DDR marxista-leninista il pensiero di Nietzsche era bandito. Tuttavia l’avversione risale assai più indietro nel tempo, se è vero che nel registro dei defunti di Röcken si trova la seguente nota: Friedrich, figlio del pastore Nietzsche, «e dunque protestante; ma anticristiano per le sue opere La casa natale di Nietzsche a Röchen nei pressi di Lützen filosofiche». Conseguentemente i funerali si fecero «senza partecipazione cristiana». La nota riguardante Friedrich Nietzsche nel registro dei defunti non è numerata: di lui dunque non si tenne conto. Fino a poco tempo fa non si poteva mettere piede nella stanza in cui nacque Nietzsche. Ma probabilmente la situazione cambierà, e a Röcken si prevede per il futuro un vivace afflusso di pellegrini. Nella ex-DDR si sta infatti sviluppando una vera e propria Nietzsche-Renaissance, che ha avuto inizio con una serie di lezioni su Nietzsche nelle università e con una conferenza sul tema L’attualità di Nietzsche, a cui hanno preso parte quasi 100 persone, tenutasi l’8 giugno 1990 e organizzata dal circolo Philosophia redivivus della Berlino occidentale e dall’Accademia berlinese delle scienze. Tra gli interventi si segnalano quelli di filologi esperti del pensiero di Nietzsche, come W. Müller-Lauter e R. Maurer, e quello di carattere più “attualizzante” di N. Bolz. Nella piccola chiesa protestante di Röcken, gremita da oltre duecento persone, si è tenuto il 25 agosto dello scorso anno, novantesimo anniversario della morte di Nietzsche, per iniziativa della locale comunità protestante e dell’amministrazione comunale, una serata filosofica: prima ed ultima commemorazione ufficiale di Nietzsche nella ex-DDR. Momento fondamentale della manifestazione è stata la conferenza dello studioso di Nietzsche Hermann Josef Schmidt sul tema “L’evento Nietzsche - A partire da Röcken”. Schmidt ha interpretato Nietzsche dal pun- to di vista della sua esperienza infantile a Röcken (ricostruibile dai primi testi). Secondo Schmidt il pensiero di Nietzsche porta l’impronta dell’iniziale esperienza di una «perdita totale del mondo, dell’essere e del senso», legata alla malattia e alla morte del padre e alla perdita del paese natale. Nello stesso giorno si è svolto sul prato antistante la chiesa di Röcken (in mancanza di luoghi più adatti) un incontro di studio su Nietzsche, introdotto da Mathis Schrader (Berlino), cui hanno partecipato germanisti e filosofi dell’Università di Halle, ma anche rappresentanti della Chiesa ed abitanti di Röcken interessati all’argomento. All’inizio del paese si trova ora un grande striscione con la scritta «Röcken - Città natale del filosofo Friedrich Nietzsche», mentre fino a poco tempo fa nello stesso luogo si leggeva: «Viva la DDR - Stato degli operai e dei contadini». Già in tempi passati Röcken fu meta di pellegrinaggi, anche se sotto il lugubre segno politico del nazionalsocialismo. Ancora nel 1944, per il centenario della nascita di Nietzsche, Hitler e Goebbels fecero deporre nel paese delle corone di fiori. Anche in altri luoghi della vita di Nietzsche si sono avute iniziative culturali. A Naumburg, nella casa al numero 18 del Weingarten, dove Nietzsche ha vissuto a più riprese a partire dagli anni di studio, Dieter Kneist ha allestito nella soffitta tre stanze: la prima accoglierà una stanza celebrativa, nelle altre due sarà possibile pernottare per gli studiosi dell’opera del filosofo. A Weimar sono soprattutto i turisti che chiedono di Nietzsche e che cercano la PROSPETTIVE DI RICERCA casa nella Humboldtstrasse dove egli morì il 25 agosto 1900 avvolto dalle tenebre della follia e dove, fino al 1945, si trovava l’Archivio-Nietzsche, chiuso in quell’anno per ordine del comando sovietico. Ora, dopo i cambiamenti politici in Germania, ai muri della casa al numero 36 della Humboldtstrasse, rimasta finora nel totale anonimato, verrà posta una lapide commemorativa, e l’intera casa aperta al pubblico. I locali al pianterreno, interessanti anche per il restauro in Jugendstil effettuato nel 1903 dall’architetto Henry van de Velde su incarico della sorella di Nietzsche, saranno rinnovati. La biblioteca è di nuovo accessibile ai visitatori. Una parsimoniosa mostra di libri e documenti presenta informazioni su vita e opera del pensatore. Nei prossimi anni altre due stanze dovrebbero aggiungersi allo spazio espositivo. Il lascito degli scritti di Nietzsche, comprese le lettere e i materiali della sorella, si trova dal 1947 sotto la protezione dell’ArchivioGoethe e dell’Archivio-Schiller, e recentemente è stato aperto alla consultazione degli studiosi occidentali. Ancora poco tempo prima dei rivolgimenti politici tedeschi, nella DDR le opere di Nietzsche erano messe all’indice. I libri di Nietzsche non erano in vendita, e per poterli prendere in prestito nelle biblioteche era necessario disporre di un permesso speciale, mentre i luoghi in cui Nietzsche trascorse infanzia e giovinezza venivano lasciati andare in rovina. Negli anni ottanta si fece un tentativo di presentare al pubblico alcune opere scelte di Nietzsche: le Considerazioni inattuali e la Gaia scienza. Iniziò una discussione, nel corso della quale i futuri curatori e commentatori dei due testi, Friedrich Tomberg e Renate Reschke non trovarono un sostegno, se si esclude quello di Hans-Martin Gerlach (Halle), che incontrò però l’opposizione di Wolfgang Harich e Manfred Buhr. In conclusione si giunse solo all’edizione del tardo testo nietzscheano Ecce homo, a cura di Mazzino Montinari e Karl-Heinz Hahn, direttore dell’Archivio-Goethe e dell’Archivio-Schiller di Weimar, che a causa dell’alto prezzo (200 marchi) sembrava però più adatto a portare nella DDR valuta occidentale che a diffondere la conoscenza della filosofia di Nietzsche. Nonostante queste condizioni, nella DDR ci fu qualcosa come una ricezione semiclandestina del pensiero nietzscheano. Nel 1987 si tenne alla Martin-LutherUniversität di Halle, sotto la direzione di Martin Gerlach, un incontro di studio su Nietzsche intitolato, per sottrarsi al controllo delle autorità, “Alle origini della filosofia tedesca del XIX e XX secolo”. Oggi chi si interessa della filosofia di Nietzsche non incontra più alcuna opposizione, e a Halle è stata fondata una “Interessegemeinschaft-Nietzsche” (Comunità di interesse per Nietzsche), che intende soste- nere e diffondere l’opera del filosofo nella parte orientale della Germania. M.M. Pascal a Port-Royal L’edizione completa dell’opera di Pascal, in corso presso la casa editrice belga Desclée de Bouwer per la cura di Jean Mesnard, viene salutata dagli specalisti come un contributo capitale, non solo per la conoscenza del filosofo di Port-Royal, ma della stessa storia del movimento giansenista. E’ del 1964 il primo volume dell’opera, Introduction génèrale, documents généraux (Introduzione generale, documenti generali), mentre soltanto nel 1970 è apparso il secondo, Oeuvres diverses, 1623-1654 (Opere diverse, 1623-1654). Questo terzo volume, Oeuvres diverses, 1654-1657, della trentennale ricerca filologica di Jean Mesnard copre un arco di quattro anni della vita di Pascal, quando, lasciati gli studi di fisica e di matematica, si converte interamente alla causa di Port-Royal. I testi presentati hanno la caratteristica di non essere stati pubblicati in vita da Blaise Pascal; perduti gli originali, essi sono giunti a noi attraverso le trascrizioni dei divulgatori della scuola giansenista. Sebbene non vi sia dubbio che essi provengano da un originario manoscritto pascaliano, una volta divenuti dei classici della meditazione giansenista, questi testi hanno conosciuto prima una divulgazione orale e poi successive ritrascrizioni che accolgono gli apporti della tradizione religiosa nella quale Pascal si iscrive. E’ il caso, per esempio, degli Ecrits sur la grace (Scritti sulla grazia) e del famoso Memoriale (Memoriale), l’atto di conversione del libertino Pascal all’ebbrezza mistica della fede. Al testo il curatore accompagna l’interessante epistolario della sorella del filosofo che, sconcertata, commenta questa metamorfosi, fornendoci un ritratto dal vivo di Pascal: tormentato, «impaziente» di assoluto, eccessivo nel disgusto per il mondo come nella fede. Per l’autunno è annunciato il quarto volume dell’opera che comprenderà le opere cosiddette minori del filosofo; il progetto definitivo conterà sette volumi di cui l’ultimo consacrato all’«eredità di Pascal». E.N. Lettere filosofiche di Kant Blaise Pascal, ritratto di anonimo Chi cercasse in questo testo significativi scorci di vita privata rimarrebbe deluso. La figura di Immanuel Kant nell’Epistolario filosofico 17611880 (a cura di O. Meo, Il Melangolo, Genova 1990) non esce dal riserbo per il quale il pensatore di Königsberg fu proverbiale. Rilevante è invece l’interesse filosofico di questa selezione di lettere. Lettere e testi brevi del filosofo sono raccolti anche in Immanuel Kant, Questioni di confine. Saggi PROSPETTIVE DI RICERCA polemici 1786-1800 (trad. di F. Desideri, Marietti, Genova 1990). Dopo l’edizione più ridotta, curata nel 1925 da Annibale Pastore, è questa la prima raccolta in lingua italiana delle lettere di Immanuel Kant. Come avverte il curatore del volume, il criterio che ha guidato la selezione di 84 lettere (su circa 300 pervenute, e 450 presumibilmente scritte) è stato la scelta di quelle di più esplicito interesse filosofico. L’arco di tempo coperto da questo epistolario accompagna il percorso filosofico di Kant dal primo sorgere del problema critico, che si determina in relazione all’indagine sulle fonti della conoscenza, - la “deduzione soggettiva” - agli ultimi anni, segnati da una decadenza psicofisica, di cui Kant stesso era consapevole. A quest’ultimo periodo appartengono i tentativi di difendere il senso della filosofia trascendentale di fronte agli “sviluppi” di discepoli ed epigoni quali Beck, Reinhold e Fichte: una delle lettere riportate in questa raccolta contiene la famosa pubblica sconfessione dell’interpretazione fichtiana del pensiero critico. Come è ovvio, la lettera a un interlocutore determinato è pur sempre qualcosa di diverso da un’opera “pubblica”, rivolta cioè alla totalità degli interlocutori possibili; d'altra parte, a un sodale filosofico o a un discepolo si possono chiarire aspetti che, nell’opera pubblicata, sarebbe superfluo o addirittura indisponente evidenziare. E’ il caso della celebre lettera a Christian Garve del 1783, dove Kant chiarisce il metodo di lavoro che ha guidato la stesura della prima edizione della Critica della ragion pura, e in cui si riflette la stessa concezione kantiana del procedere del sapere da un’impalcatura sistematica - l’”architettura della ragione” - della totalità della conoscenza umana, nelle sue potenzialità e nei suoi limiti, all’analisi delle singole parti che costituiscono il sistema. In un’altra lettera indirizzata a Moses Mendelssohn, coeva alla precedente e riferita sempre alla prima Critica, Kant chiarisce di aver portato a termine la stesura del prodotto di più di dodici anni di riflessione in pochi mesi, e attribuisce l’oscurità, nonché le critiche e le incomprensioni di cui l’opera era stata oggetto, a una scarsa cura da parte sua per la “forma” dell’esposizione. In effetti l’importanza delle revisioni cui Kant sottopose la Critica della ragion pura fra l’edizione del 1781 e quella del 1787 induce a considerare restrittiva l’attribuzione delle difficoltà a questioni puramente espositive. La notissima lettera a Marcus Herz del febbraio del 1772, d’altronde, prefigura già il disegno della prima Critica come quello di un’opera su I limiti della sensibilità e della ragione. In questa lettera Kant, preannunciando una «critica della ragion pura contenente la natura della conoscenza, sia teoretica che pratica, in quanto semplicemente intellettuale», ne prometteva la pubblicazione di lì a tre mesi. Problemi non esclusivamente formali, evidentemente, ma ascrivibili «alla natura stessa della cosa», come Kant scrive allo stesso Herz nell’aprile del 1778, determinarono dunque il “ritardo” di nove anni nella pubblicazione dell’opera. Alcune lettere di Kant a filosofi suoi contemporanei, fra cui Fichte, sono ospitate anche nel volume sulle Questioni di confine, che raccoglie alcuni saggi apparsi sulla rivista «Berliner Monatschrift». Sono effettivamente “saggi polemici”, come dice il titolo della raccolta. L’obiettivo è principalmente la commistione tra filosofia e misticismo, tra indagine razionale e intuizione visionaria, tra analisi concettuale e sentimento poetico. La rivendicazione del concetto di limite, come del problema centrale dell’umana conoscenza, è in Kant estranea non solo da qualsiasi tentativo di superamento del limite stesso, ma anche da ogni compiaciuta insistenza sul limite stesso e sulla finitezza umana: finitezza che è un “fatto” da cui prender le mosse, più che un concetto da elaborare. F.C. I lumi nella politica L’opera di Peter Gay, Voltaire politico. Il poeta come realista (Il Mulino, Bologna 1991) a trent’anni dalla sua prima pubblicazione in lingua originale è considerata un classico della “storia sociale delle idee”. Attraverso la figura di Voltaire, Gay fornisce un’interpretazione dell’illuminismo e dei suoi rapporti con la monarchia francese nel periodo prerivoluzionario. Nel quadro del sempre vivo interesse per l’illuminismo francese è da segnalare la pubblicazione di un breve testo dello stesso Voltaire, L’America (a cura di Valeria Gianolio, Sellerio, Palermo 1991) e di un’importante raccolta di testi di Denis Diderot, Dialoghi filosofici (a cura di M. Brini Savorelli, Le Lettere, Firenze 1990). François-Marie Arouet de Voltaire, in un dipinto di Nicholas de All’epoca della sua prima pubblicazione fu rimproverato all’opera di Peter Gay un eccessivo schematismo per la presentazione di un Voltaire a tutto tondo teorico dell’assolutismo, in contrasto con il più noto Voltaire patriarca dei diritti individuali, archetipo di quell’atteggiamento teorico che conosciamo come “individualismo borghese”. Se c’è contraddizione, essa è comunque ascrivibile non a Gay, ma a Voltaire, il quale è d’altronde ben attento a distinguere l’assolutismo dal dispotismo, e tanto esplicito sostenitore del primo quanto feroce oppositore del secondo. L’atteggiamento volterriano è sospeso fra la thése royale, ovvero la difesa delle prerogative legislative del monarca nei con- PROSPETTIVE DI RICERCA fronti delle rivendicazioni dell’assemblea parlamentare, e la polemica per la liberazione dell’individuo dalla sudditanza a qualsiasi forma di potere - morale, religioso che non sia quello della legge positiva. Se questa è una contraddizione, sostiene Gay, allora è la stessa di tutto l’illuminismo, non solo francese. La capacità della monarchia francese di adeguarsi alla realtà del paese nella seconda metà del Settecento sarà un nodo che spetterà alla Rivoluzione sciogliere. Il giudizio invalso a questo proposito sull’atteggiamento dei filosofi illuministi è quello di una presunta inconsistenza sul terreno della pratica politica concreta, di contro a una pur acuta critica intellettuale. Gay sfata questa tesi, perlomeno riguardo Voltaire, di cui mette in evidenza il realismo e l’accortezza politici nelle diatribe tra nobili e borghesi, a Ginevra, o quando si tratta di appoggiare la riforma fiscale di Machault d’Arnouville, e la tassa sul reddito, avversata dal clero; o quando, nel 1776, già ottantenne, vede nell’esautorazione di Turgot da parte di Luigi XVI la perdita dell’ultima occasione per evitare l’insurrezione. Il realismo e l’acume dei giudizi volterriani emergono anche dalle considerazioni contenute nel libretto L’America: il Nuovo Mondo è il luogo dove, molto più che nel Vecchio, è possibile immaginare e sperimentare nuove leggi e nuove forme sociali, senza trascurare naturalmente i nessi politici ed economici che legano la situazione europea a quella americana. In definitiva Voltaire diviene per Gay il modello con cui rivisitare il rapporto che i filosofi illuministi ebbero con lo scenario politico della loro epoca. In questo contesto offre ulteriore materiale interpretativo la raccolta di testi di Denis Diderot, Dialoghi filosofici, particolarmente interessante sia per l’ampiezza dell’apparato critico, sia perché contiene alcuni scritti finora inediti in lingua italiana. Come ha rilevato Paolo Rossi in una acuta recensio- ne, la forma del dialogo, comune a quasi tutti questi testi, «non è un semplice accorgimento letterario, né è espressione di “scetticismo”», ma vuole riflettere, attraverso il confronto e lo scontro delle ipotesi argomentative, il carattere problematico delle verità riguardanti i fatti naturali e il loro emergere. La polemica di Diderot contro la “mentalità teologica” di taluni filosofi ha, dunque, almeno due componenti: il sensismo materialistico, secondo cui la natura è animata da un movimento che non prevede soluzioni di continuità fra animato e inanimato, e il rifiuto di un sapere “chiuso”, costituito da dogmi, da certezze stabilite una volta per tutte. In modo non dissimile si presenta la concezione del sapere che sta alla base del contributo di Diderot all’Enciclopédie, preso in esame da Sylvain Auroux in Barbarie et philosophie (PUF, Parigi 1991), in cui viene messo in evidenza l’intento di Diderot di dissolvere l’unità cartesiana del sapere, fondata sulla certezza veritativa della ragione, per rifondarla sulla polifonia delle ragioni particolari, dei probabili e provvisori saperi delle scienze. F.C. L’armonico Leibniz Tra i saggi critici riguardanti la figura di Gottfried Leibniz è ora disponibile la traduzione della monografia di Eric J. Aiton, Leibniz (a cura di M. Mugnani, Il Saggiatore, Milano 1991) e il saggio di Guido Zingari, Leibniz, Hegel e l’idealismo tedesco (Mursia, Milano 1991). Filo d’Arianna nei meandri del pensiero leibniziano il primo, più finalizzato a misurare l’eredità leibniziana il secondo. Anche Baruch Spinoza, a torto o a ragione considerato il contraltare di Leibniz nel campo del razionalismo seicentesco, conosce un nuovo momento di interesse. Lo testimoniano due riedizioni di suoi testi: Trattato politico (Laterza, Roma-Bari 1991) e Principi della filosofia di Cartesio. Principi metafisici (Laterza, Roma-Bari 1991) a cui si aggiunge la monografia di Emilia Giancotti, Baruch Spinoza, (Editori Riuniti, Roma 1991). Baruch Spinoza, ritratto di anonimo Del multiforme pensiero di Leibniz, Eric Aiton, docente di matematica, privilegia ovviamente il contributo del filosofo tedesco in questo campo. L’approccio logico alla matematica, vista come paradigma del sapere, è la chiave del tentativo di individuare la “ragione” dell’esistenza e dell’armonia universale, e di dar conto della continuità fra “la” ragione dell’universo e “le” ragioni nell’universo, fra le leggi del possibile e quelle del reale. Il punto di partenza, logico e storico, del pensiero leibniziano è l’idea di una “matematica universale”: la riflessione giovanile sull’ ”arte combinatoria”, il tentativo di trovare un’ ”algebra PROSPETTIVE DI RICERCA Gottfried Wilhelm Leibniz della mente” con una formalizzazione matematica dei concetti, sfocia nell’interpretazione matematica dell’essere. Questo aspetto non è sufficiente, però, a “dar ragio ne” dell’esistente, a fondamento del quale vi è un atto di libera scelta da parte di Dio, che si rifrange in ciascuna delle sostanze finite; ognuna di esse, in tal modo, dà inizio a un’autonoma serie di concatenazioni causali, tra cui vi è accordo, “armonia”: un’armonia “prestabilita” dalla sapienza e dall’onniscenza divine, che ci hanno consegnato il “migliore dei mondi” fra quelli possibili. Quella fra Spinoza e Leibniz è una contrapposizione classica nella storiografia filosofica. Sostenitore il primo dell’assoluta necessità come fondamento del cosmo, per cui la libertà umana non può consistere se non nell’amor Dei intellectualis, nel riconoscimento e nell’accettazione della verità dell’essere. Più favorevole il secondo a una libera scelta, da parte di Dio e della monade, rispetto al meccanismo della natura, nella quale, peraltro, non ci sono soluzioni di continuità fra materia e spirito. Resta semmai da vedere fino a che punto l’un pensatore non si rovesci nell’altro: se a Spinoza resta il problema di conciliare la necessità universale con la libertà umana, fino a che punto anche la soluzione di Leibniz non è una forma di necessitarismo, dove Dio e gli uomini sono “obbligati”, nella loro libertà, a scegliere il meglio? Lo stesso Leibniz sembrerebbe dunque impigliato, da questo punto di vista, in una sorte di spinozismo: proprio questi, come mostra Guido Zingari, sono i termini del problema consegnato agli idealisti tedeschi, e in particolare a Hegel, “spinozista dialettico”. Da Kant a Hegel, compreso tutto l’idealismo tedesco, chi ha tentato un ripensamento della metafisica come domanda ontologica, più che fare i conti con Spinoza ha dovuto tentare di sottrarsi alla sua ombra. Su un altro versante, quello della riflessione politica, le posizioni di Spinoza, come sottolinea Emilia Giancotti, appaiono di un’attualità inaspettata. Ebreo sefardita, proveniente da una famiglia esule dalla Spagna per motivi religiosi, e tuttavia allontanato anche dalla sua stessa comunità confessionale, il pensiero di Spinoza non è estraneo alla sua condizione personale di “non appartenenza”. Ne è una riprova la sua concezione laica dello Stato, il cui monopolio del potere è la sola garanzia per i diritti individuali contro le persecuzioni religiose e partitiche. F.C. Il giovane Nietzsche e Platone Pubblicazione quasi contemporanea, in Francia e in Italia, delle lezioni del giovane Nietzsche su Platone: Friedrich Nietzsche, Introduction à la lecture de Platon (Introduzione alla lettura di Platone, a cura di O. Berrichon-Sedeya, L’Eclat, Combas 1991) e Friedrich Nietzsche, ‘Plato amicus sed’. Introduzione ai dialoghi platonici (a cura di P. di Giovanni, Bollati-Boringhieri, Torino 1991). Il testo tedesco cui fanno riferimento queste traduzioni è quello dei Gesammelte Werke nietzscheiani, pubblicati in ventitré volumi fra il 1920 e il 1929 presso Musarion di Monaco; l’edizione critica delle opere nietzschiane, curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari e tradotta in Italia da Adelphi, non ha ancora previsto la pubblicazione di queste lezioni. Con Platone, Friedrich Nietzsche ebbe modo, come “pensatore in proprio”, di ingaggiare un furioso combattimento che, nelle intenzioni del filosofo dello Zarathustra, doveva avere i caratteri della resa dei conti con la metafisica occidentale. Queste lezioni risalgono al periodo fra il 1871 e il 1876. Nietzsche, titolare di una cattedra di filologia classica all’Università di Basilea, ha già pubblicato La nascita della tragedia (1872), ma non ha ancora dispiegato i presupposti della propria critica filosofica, che sono già ben evidenti in queste lezioni. Il carattere astrattivo della conoscenza in Platone, il contrasto fra il suo ideale conoscitivo, “scientifico”, e l’arte, che si fonda invece sul genio, sono fra i molti problemi cruciali che qui Nietzsche mette a fuoco. Proprio tematizzando questi problemi in Platone, dando cioè agli ideali della ratio filosofica un’origine, Nietzsche approda a un’impostazione relativizzante PROSPETTIVE RICERCA CONVEGNI E DI SEMINARI Jacques Derrida (f. di C. Freire) CONVEGNI E SEMINARI CONVEGNI E SEMINARI Omaggio a Derrida Organizzato dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si è svolto a Napoli l’1 e 2 marzo 1991 un seminario di studi dal titolo: Omaggio a Derrida. All’interno del seminario che ha reso omaggio al filosofo in occasione del suo sessantesimo compleanno sono stati dibattuti alcuni nodi problematici del suo pensiero, individuati nelle relazioni di Carlo Sini e di Gianni Vattimo. E’ seguita quindi una tavola rotonda dedicata alla presentazione del testo di Maurizio Ferraris, Postille a Derrida. Infine ha chiuso il ciclo degli interventi una lunga conferenza di Derrida stesso. La relazione di Carlo Sini (“Pratica della voce e pratica della scrittura”) ha preso le mosse da un esame di tre definizioni emblematiche della “voce” (Platone, Heidegger, Derrida) per mostrare come in tutti e tre i casi - pur così distanti tra loro la voce venga sempre, inconsapevolmente tematizzata all’interno di una “pratica” che rende possibile l’interpretazione. La topica della voce risulta così sdoppiata: alla voce logica e metafisica decostruita da Derrida, Sini affianca una voce più ampia e più originaria, una pratica della voce che si sottrae ad ogni possibile fondazione, pena la riduzione metafisica della pratica stessa. Secondo Sini l’Occidente si trova in una «attiva paralisi», in cui, pur consapevole di non poter più frequentare l’idea (o la verità), continua tuttavia a vivere nelle pratiche, a trasformarle e a tradurle. Diversa la prospettiva di Gianni Vattimo (“Ricostruzione della razionalità”), che procede da una lettura sdoppiata dei testi di Derrida. Da una parte, in alcuni di essi sembra imporsi un paradigma metaforicopoetico, che Rorty chiama “ermeneutico” in contrapposizione ad un paradigma epistemologico-interpretativo: è il coup de dès mallarmeiano, o più in generale, la logica simbolista che, nella sua arbitrarietà, produce un eccesso rispetto alla tradizione metafisica. Dall’altra, in alcune pagine di Della grammatologia, si può riconoscere un interesse metodico ed un preciso rapporto rispetto all’epocalità heideggeriana. La prima immagine, quella di Derrida “estetizzante”, espone l’ermeneutica - alla quale, secondo Vattimo, Derrida appartiene - alle accuse di irrazionalismo. Si tratta invece, ripartendo anche dalla prospettive che traspare in Della Grammatologia, di costruire una “razionalità” ermeneutica: ciò sembra essere possibile se si radicalizza il procedimento gadameriano, se cioè si connettono l’analisi fenomenologica dell’esperienza e la sua esemplificazione storica. La storia può, a questo punto, essere intesa a partire da uno sfondo ontologico (destino dell’essere); immersa nel processo storico, l’ermeneutica non può rifiutare la prospettiva scientifica della modernità (come se si trattasse di contrapporre l’autentico all’inautentico), ma deve mostrare di essere una conseguenza della modernità: il darsi post-metafisico del senso dell’essere. La tavola rotonda, “Postille a Derrida”, ha messo in luce alcune possibili vie di ricerca a partire dal pensiero derridiano: Peñalvert ha in particolare posto l’accento sul rapporto tra Derrida e Levinas e sulla centralità del tema della “responsabilità”. Rovatti ha ricostruito il complesso intreccio della “visione” e dell’ ”ascolto” in due recenti testi di Derrida, mentre Ferraris ha posto le basi per l’analisi del rapporto tra il suo pensiero e la filosofia dell’esistenza, riferendosi alla tesi del filosofo francese dedicata al concetto di “genesi” nella fenomenologia di Husserl. Partendo dall’esperienza di un viaggio moscovita del ’90, su invito dell’Accademia delle Scienze, Jacques Derrida ha analizzato alcuni resoconti diaristici che arrivano a definire un genere letterario: il viaggio a Mosca (Etiemble, Gide, Benjamin), per decostruirne le strategie. Come mostra in modo particolarmente chiaro il testo di Gide, sono costitutive del genere la dimensione mitica e quella escatologica. Mentre per il cattolico Etiemble l’orizzonte escatologico risulta pienamente realizzato nella realtà rivoluzionaria (salvo poi pentirsi della propria cecità nei confronti di Stalin), l’ebreo Benjamin tiene fermo all’indeterminatezza dell’esito rivoluzionario. Rilevanti le implicazioni politiche di questo genere letterario: il tema della promessa utopica si declina nel tema della “democrazia a venire” (argomento più ampiamente dibattuto a Venezia nell’ambito di un altro seminario con Derrida, dedicato in particolare alle istituzioni filosofiche, con un titolo che rieccheggia quello dell’ultimo libro del filosofo: “Du Droit à la Philosophie”). L’orizzonte del politico si configura così non come realizzazione immanente di un progetto, quanto piuttosto come luogo dell’infinito dispiegamento delle differenze, in cui la promessa utopica resta il limite irraggiungibile. G.S. Segni del tempo Si è tenuto nell’ottobre 1990 a Montecatini l’annuale convegno dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici, dedicato quest’anno alla questione della temporalità. Relazioni, fra gli altri, di Gianfranco Bettetini, Pietro Montani, Flavia Ravazzoli, Mario Vegetti. Dopo la fortuna degli anni Sessanta e Settanta, la semiotica è oggi in una fase di ripensamento del proprio ruolo, stretta fra due alternative. La prima, prevalente nel periodo di maggior interesse e diffusione, è quella che considera la semiotica come una sorta di approccio metodologico, un’area di interessi con uno statuto talmente fluido da inglobare discipline fra loro molto differenti, se non addirittura tutto lo scibile umano considerato come segno. In una fase successiva la semiotica si è posta il problema del proprio costituirsi come disciplina, dell’individuazione del proprio oggetto d’analisi e delle condizioni stesse della semiosi che, in quanto tali, non possono a loro volta essere oggetto di indagine semiotica. Gianfranco Bettetini ha ricostruito appunto l’evolversi della semiotica in tre fasi: dopo quella in cui essa si occupava di tutto ciò che è segno, seguita dal suo definirsi “disciplinare”, come scienza dell’analisi delle strutture testuali, fino all’attuale accentuarsi dell’interesse per il concetto di simbolo, che riporta la semiotica a una dimensione interdisciplinare o, piuttosto, transdisciplinare. Bettetini ha focalizzato la sua relazione sul nesso fra pensiero discorsivo e pensiero iconico, quale emerge nella significazione temporale propria dei mezzi audiovisivi. Anche Flavia CONVEGNI E SEMINARI Ravazzoli ha insistito sulla prospettiva interdisciplinare che la semiotica tiene aperta; la sua relazione si è incentrata sulla interpretazione della parola come unità elementare del discorso temporale, più precisamente, di un tempo declinato sempre al presente. Il singolo vocabolo, in altri termini, è già un discorso “al presente”, e designa il proprio concetto, cioè il proprio oggetto teorico, prima e al di là del contesto di sviluppo del discorso, in cui il vocabolo è inserito. La scelta, del tema della temporalità è anche indicativa dell’orientamento attuale degli studiosi di occuparsi di ciò che sfugge alla semiosi, che non può ridursi a essa. Si tratta del problema della realtà in quanto tale, come ha rilevato Pietro Montani, che ha tematizzato la “comprensione narrativa del senso”. Il problema è insomma quello della comprensione, che può essere relativa solo a entità processuali, che si fanno cioè cogliere nella dimensione del divenire, ovvero nel mutamento temporale. Mario Vegetti infine ha esaminato due modelli temporali presenti nella Grecia classica, quello platonico e quello aristotelico. Il primo fa corrispondere alla sequenza temporale prima/poi la dislocazione spaziale sopra/sotto, con un giudizio implicitamente negativo rispetto al divenire, interpretato come degenerazione. Il secondo modello di temporalità rimanda invece a un parallelismo biologico, per cui nell’inizio è già contenuto il senso del divenire, il suo fine e la sua fine; nel seme, il frutto; le variazioni sono anomalie, patologie. Senza un concetto lineare della temporalità, la storia è un’implosione nel presente di passato e futuro: non progetto, non ricordo, ma eterno rimando alla propria condizione. F.C. La follia del Chiscotte: linguaggio e rappresentazione Il progetto filosofico che dà forma al Don Chiscotte è stato il tema affrontato da Emilio Hidalgo Serna nel seminario svoltosi nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dal titolo: Il don Chiscotte e la svolta letteraria, filosofica e politica di Cervantes. La strategia antimetafisica dell’opera di Cervantes trova i suoi cardini teorici, che diventano al contempo degli stili di scrittura, nell’uso della figura retorica dell’ironia e della inventio. Emilio Hidalgo Serna ha esordito sottolineando come sia impossibile interpretare il Chisciotte di Cervantes senza considerare l’elemento storico nel quale è immerso il protagonista dell’opera e l’ambiente teologico-politico che circonda la figura dell’autore. Il Chisciotte non è mai stato interpretato storicamente dall’umanesimo italiano o spagnolo, ma ha avuto interpreta- zioni nella prospettiva del razionalismo e dell’idealismo. L’aspetto importante da considerare per l’analisi del testo del Chisciotte è il linguaggio, veicolo e maschera del pensiero di Cervantes dal momento che il suo libero esercizio gli era stato impedito dall’Inquisizione. Cervantes è dunque costretto dalle condizioni storiche a ricorrere, per la composizione dell’opera, alla “figura retorica dell’ironia”. A differenza della critica letteraria che vede nel Chisciotte un romanzo umoristico, Hidalgo Serna sostiene che il Chisciotte è il dramma più importante che sia mai stato scritto in lingua Castigliana. Dramma di ricerca e acquisizione dell’identità, svolto attraverso un viaggio metaforico che mantiene tuttavia una sua figurazione storica. In questo senso l’argomentazione di Cervantes è umanistica e metaforica, profondamente antimetafisica nella sua impostazione. Grazie all’ironia Cervantes distrugge il modello univoco della verità, operando un capovolgimento dell’identità ontologica e logica. L’autentica argomentazione dei fatti storici viene infatti raggiunta per mezzo dell’ironia e della metafora, attraverso cui si compie il capovolgimento di quell’ordine prestabilito che la Storia voleva univoci e fondati nel dogma della fede. A questo proposito, ha sottolineato Serna, è importante ricordare che Cervantes era un ebreo convertito. In questa direzione interpretativa, non è possibile leggere e definire il Chisciotte romanzo dell’idealismo astratto, come lo aveva classificato Lukàcs nella sua Teoria del romanzo del 1920. Per interpretare il pensiero filosofico del Chisciotte non dobbiamo porci nella prospettiva del procedere razionalistico, ma è importante riprendere quel necessario rapporto tra il Verbo e la Res che si caratterizza in autori come Cervantes, Vives e Vico, che trovano attraverso il modello umanista della “parola storica”, la fonte comune della metafora. Così, se Vives rifiuta sia il linguaggio che il metodo dei logici del suo tempo, Cervantes condanna l’elocuzione cavalleresca di termini sradicati dalla res e dai significati logico astratti della parola “non propria”. La lingua del popolo caduta in oblio, è ripresa dall’ingegnoso Alonso Quijana, l’uomo storico Cervantino, e non dal metafisico don Chisciotte. Chiara critica di Cervantes ad una filosofia che si occupa esclusivamente della definizione astratta e meramente logica delle cose. E’ la parola “ingegnosa” ed “originaria” che deve determinare il carattere storico del linguaggio e della stessa filosofia. Cervantes fa compiere al proprio antieroe quei gesti che ritenuti ricchi di saggia follia - si esplicano attraverso l’inventio. Scompare in questo modo il modello dell’esempio e appare sulla scena del mondo l’impossibile gioco - creato da Cervantes - tra l’irrelazionabile “mondo della scrittura”, voluto dagli autori dei romanzi cavallereschi come logico deduttivo, e il “piano metafisico” della realtà. La parola metaforica, esclusa dal costettivo impianto razionale del romanzo cavalleresco, riconquista l’originario significato di modello interpretativo come incessante gioco della “parola comune”. Per comprendere l’umanesimo filosofico di Vives e Cervantes, ma anche quello di Vico, è necessario esprimere il luogo in cui si manifesta l’essenza e l’originario dell’esistente nella storia: la parola figurata e il linguaggio retorico. La parola è il solo punto di partenza del pensiero. Secondo Vives è la parola storica, che dimensionata alla realtà, permette l’esplicitarsi stesso del movimento dialettico del linguaggio. Dunque non progetto metafisico che sottende la parola comune, ma “retorica filosofica” che intesse tra parole e cose la giusta relazione di comprensibilità del darsi storico legato al divenire dell’essere. Al di fuori dell’ambito della parola storica nessun essere esistente ha un significato. L’arte oratoria, come espressione della retorica filosofica, si rivela pertanto una risposta immediata della parola alla concreta situazione del bisogno dell’uomo. L’uso del linguaggio ironico nel Chisciotte di Cervantes è di fatto l’unica possibilità per l’uomo di allora di esprimersi nella circostanza spagnola dell’Inquisizione. Sola la parola ingegnosa e l’immagine metaforica riescono a ristabilire l’unità radicale dell’uomo al suo sostegno storico. Attraverso l’uso della metafora e dell’intenzione ironico-ingegnosa, posta alla base dell’indagine retoricofilosofica, viene attuata la distruzione del modello cavalleresco che l’autore si era proposto di abbattere. Al contempo però, attraverso l’uso della metafora, si apre un diverso contesto storico-filosofico: il pensiero ingegnoso non solo non contrasta con la realtà, ma acquisisce una verità storica che, come aveva osservato Vico, appare unicamente nell’atto ingegnoso di scoprire i rapporti tra le cose. R.L Nietzsche a Sils Maria Si è tenuto recentemente a Sils Maria l’annuale convegno di studi dedicato a Nietzsche. Al centro di molti interventi il problema della concezione della morale nella filosofia nietzscheana e il suo significato per un'etica moderna. L’esito di alcuni degli interventi dell’ultimo convegno nietzscheano a Sils Maria è stato di attenuare la radicalità del pensiero di Nietzsche. Così è stato per il filosofo viennese della religione Johann Figl, che ha spiegato ai suoi ascoltatori come Nietzsche non avrebbe inteso distruggere la morale, ma solo analizzarla. Sotto questo aspetto egli avrebbe riconosciuto il lato arcaico e violento come una costante antropologica, ma avrebbe fortemente deplorato questo “fatto”, mirando alla costi- CONVEGNI E SEMINARI Responsabilità ed utopia La presenza di Paul Ricoeur a Napoli è ormai una tradizione che, anche quest’anno, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ha voluto proseguire, invitando il filosofo francese a tenere un seminario sul tema: Responsabilità e utopia, svoltosi nei giorni 8-12 aprile. Al centro della riflessione, il libro di Hans Jonas Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, uscito in Germania nel 1979 e recentemente tradotto in Italia (Einaudi, Torino, 1990). Friedrich Nietzsche nel 1887 tuzione di una sorta di etica universale. Un’etica che a ben vedere sarebbe, secondo Figl, unificabile con gli ideali del cristianesimo. Nel convegno si sono tuttavia avuti momenti più interessanti. L’intervento filosoficamente più significativo è stato quello di Annemarie Pieper (Basel), che ha sottolineato come, secondo Camus, lo stesso Nietzsche non avrebbe tenuto fede fino in fondo ai motivi più radicali del suo pensiero. Attraverso un’articolata esposizione la studiosa ha mostrato come nello sviluppo del pensiero di Camus ritorni la continua variazione di una stessa idea: Nietzsche non avrebbe tenuto fermo alla radicalità della sua ribellione contro il Dio cristiano e contro la morale idealistica. Egli avrebbe sì intuito la nulllità dell’idea di Dio e di una morale intesa come istanza che si pone al di sopra della vita, ma avrebbe anche da ultimo cercato qualcosa che garantisse senso alla vita. Nelle idee della “volontà di potenza” e dell’ ”eterno ritorno dell’uguale” Nietzsche avrebbe trovato ed affermato il carattere unitario della vita. Ma con ciò, agli occhi di Camus, la ribellione di Nietzsche sarebbe giunta alla propria fine. Contro questa soluzione, Camus avrebbe invece affermato la solidarietà tra gli uomini, che si uniscono di fronte al nulla. Wilhelm Schmid (Berlino - Lipsia) ha osservato che la filosofia di Nietzsche intende fare da guida verso un' arte del vivere. Nietzsche sarebbe il primo filosofo della modernità ad aver ripreso il concetto di ascesi e ad avere con esso portato all’espressione il concetto della “formazione di sé” (Selbstformung). La formazione di sé non va confusa con il concetto moderno di realizzazione di sé, poiché nell’arte del vivere nietzscheana si tratta dell’ “invenzione” del sé, analogamente al modo in cui l’artista inventa la sua opera. Volker Gerhardt (Colonia) ha cercato di fare della critica della morale di Nietzsche la base di un’etica moderna. Da un lato egli accetta il presupposto che la morale si fondi su false astrazioni, che cioè essa spacci come valide universalmente delle regole a loro volta ingiuste, condizionate temporalmente e regionalmente. D’altra parte Gerhardt ritiene che il punto di vista relativo al condizionamento e dunque alla relatività delle norme e dei valori non significhi che ad essi si debba rinunciare completamente. M.M. Ad un decennio dalla sua apparizione, Das Prinzip Verantwortung (Il principio responsabilità) continua a suscitare vivo interesse, principalmente in Germania, a motivo del profondo rinnovamento del concetto di responsabilità che Hans Jonas propone quale fondamento del nuovo imperativo morale, adeguato a raccogliere le sfide lanciate dalla rivoluzione tecnologica al mondo moderno. Questo il punto di partenza dello studio di Paul Ricoeur che, nel corso del seminario, si é articolato intorno a quattro “grandi idee” presenti nel libro: “la riorientazione verso il futuro” della nozione di responsabilità, tradizionalmente impiegata in senso retrospettivo; la fragilità della vita e l’integrità dell’umanità come oggetto della responsabilità; l’etica della “misura” e la critica alla moderna concezione di progresso; l’opposizione del “principio responsabilità” al “principio speranza” di Bloch. Privilegiando gli argomenti etici e lasciando sullo sfondo la filosofia della natura e l’impianto metafisico che ne costituiscono la premessa e il presupposto, Ricoeur ha condotto una riflessione sull’opera di Jonas tutta interna al testo, approfondendone le analisi o inserendovi liberamente segmenti della propria elaborazione, ma senza mai prenderne programmaticamente le distanze. Per meglio comprendere il senso della necessità di una riformulazione del concetto di responsabilità nel quadro di una riformulazione complessiva dell’etica, Ricoeur ha svolto, in forma introduttiva, una ricognizione degli usi e dei significati che tale concetto ha assunto in ambito morale e giuridico. In filosofia morale la responsabilità non è mai stata oggetto di analisi precise, essendo stata prevalentemente sostituita, e a volte confusa, con la nozione di imputabilità o di attribuzione. Questa, designando il rapporto dell’azione al suo agente, non è però immediatamente estendibile alla relazione di responsabilità, la quale presuppone un’identificazione non solo con i propri atti (l’autodesignazione del “chi”, in linguaggio ricoeuriano), ma con le conseguenze dell’azione compiuta. A questo proposito, ha precisato Ricoeur, il linguaggio ordinario offre sfumature significative. Ad esem- CONVEGNI E SEMINARI pio, l’espressione “rendere conto” comporta sia una relazione di interlocuzione, in cui viene richiesta una giustificazione del mio operato, sia una relazione di interazione che pone l’accento sulle conseguenze che la mia azione produce nella libera sfera di attività dell’altro, con la possibilità di arrecargli nocumento. Questa stessa possibilità, evidenziando l’assimmetria costitutiva del rapporto agente/paziente - condizione del rapporto colpevole/vittima - conduce, inoltre, al senso legale della responsabilità. Qui, l’uso retrospettivo di tale nozione si chiarisce attraverso l’idea di “danno” o “infrazione”: è sempre per un’azione già commessa che si pone l’obbligo della riparazione o punizione. Sebbene la responsabilità esca arricchita dal confronto tra senso morale e giuridico, non è ancora adeguata alla domanda etica che nasce nell’era tecnologica. Essa rimane racchiusa in quella “sfera di prossimità” in cui soltanto sono ammesse conseguenze calcolabili e dove, perciò, agente e vittima presunta si suppone appartengano alla medesima porzione di contemporaneità. Da questo punto di vista, anche la riformulazione di un’etica intersoggettiva, fondata sul paradigma dialogico della “promessa”, che Ricoeur propone nel suo ultimo scritto Soi-même comme un Autre (Parigi, 1990), appare insufficiente. Se, infatti, la preoccupazione di Ricoeur è quello di trovare un principio della moralità in cui il rapporto con l’”altro da sé” figuri esplicitamente, il problema di Jonas nasce piuttosto dalla necessità di ripensare l’etica in vista della progressiva trasformazione qualitativa del rapporto tra l’agire umano e la “terra abitabile”. Inglobando uno spazio e un tempo sproporzionati rispetto ai prevedibili effetti dell’azione individuale, l’agire tecnologico reclama un’etica orientata ecologicamente che tenga conto della minaccia di distruzione che investe l’intero ecosistema. E’ l’imperativo della preservazione della vita, in quanto “patria terrestre” dell’uomo, a costituire il centro della nuova morale: nell’ottica di Jonas, ha spiegato Ricoeur, l’uomo diviene responsabile dell’uomo, nella misura in cui tende ad aumentare la precarietà della vita, aggiungendo la pericolosità dell’azione tecnica alla fragilità costitutiva di ogni esistenza. Nella sua ulteriore analisi, quasi a voler colmare una propria lacuna, Ricoeur ha a lungo insistito sul tema della vita, soffermandosi innanzitutto sulla soluzione “audace” del Principio responsabilità di collegare etica ed ontologia quale unica possibilità di rendere vincolante l’obbligazione morale, proposta nella formula sintetica: “Fait que l’humanité soit!”. L’imperativo di Jonas, travalicando i confini dell’etica in quanto dottrina dell’azione e situandosi nel campo della metafisica in quanto dottrina dell’essere, di cui l’idea di uomo è solo una parte, rompe con la tradizione filosofica, principalmente anglosassone, che stabilisce uno iato tra essere e dover-essere, tro- vando nella vita il luogo della loro riconciliazione. E’ il “si” della vita a se stessa, la muta opposizione della natura al non-essere, che giustifica il dovere di proteggerla. La sua preservazione diviene così una missione affidata alla “custodia” dell’uomo che, assumendone la testimonianza, prolunga l’ontologia del vivente, trasformando una finalità naturale in un valore da far esistere volontariamente. L’idea forte di Jonas, ha rimarcato Ricoeur, respingendo come infondate le accuse di “biologismo”, sta dunque nell’aver ristabilito l’unità psico-fisica della vita di contro al dualismo metafisico materia/coscienza: la “trascendenza” dell’uomo che può “dire no” alla vita, in quanto suo potenziale distruttore, viene ricollegata alla sua “appartenenza”, la quale lo costringe ad innestare il suo “si” conscio e volontario sul “si” inconscio e spontaneo della vita a se stessa e a restare, per questo, solidale alla catena dei viventi. Il fenomeno tecnologico provoca una simultanea crescita di potere e pericolo, che impone di ripensare l’etica della responsabilità come etica della “misura” o anche della preservazione. Essa pertanto, con la sua accentuazione ecologica, non può che rifiutare il volto baconiano della modernità, legato ad un arrogante progetto di dominio che spoglia la natura di ogni finalità e, ancor più, della capacità di orientare l’azione umana con dei valori iscritti nella sua stessa struttura. Tutta l’opera di Jonas, ha specificato Ricoeur, nel momento in cui tende ad una ri-significazione della vita, al recupero di un essere teleologico e valutativo, costituisce un argomento anti-utopico: a cominciare dall’utopia tecnicoscientifica che, matematizzando la natura attraverso una scienza anch’essa priva di valori, la riduce a risorsa priva di senso. Come ha rilevato Karl Otto Apel nel suo recente saggio, Diskurs und Verantwortung. Das Problem des Übergangs zur postkonventionellen Moral (1988), assunto qui come base della discussione, la rinuncia alla moderna concezione di progresso, con il suo contenuto di emancipazione e la sua carica liberatoria, appare alquanto problematica, contribuendo ad esporre Jonas ad indebite accuse di conservatorismo. Pur condividendo l’impostazione di Apel, secondo cui il rapporto tra comunità ideale e reale di comunicazione esige un’approssimazione che riabilita l’idea di progresso, Ricoeur ha tuttavia sottolineato che essa non risponde alla domanda principale di Jonas circa il rapporto dell’agire umano con l’ecosistema. E’ a questo livello che si pone il problema della sopravvivenza dell’umanità: ciò che è in pericolo è il “fare” e non solo il “discorso”, l’atto stesso dell’ ”abitare” la terra, pensato con Heidegger come costitutivo dell’essere dell’uomo. Apel, quindi, non riconosce affatto il luogo della minaccia, che non è la cattiva comprensione e neppure la violenza dogmatica della convinzione, bensì il supporto “vitale” e cosmico del discorso stesso. In questo Jonas, a detta di Ricoeur, sembra insostituibile: un’etica della responsabilità concerne persone “viventi” oltre che persone “parlanti”, facendo del dovere alla sopravvivenza l’imperativo ontologico di “continuare ad essere”. Infine, Ricoeur ha ricondotto l’etica della moderazione sul terreno della critica all’utopia che, esaminata nel suo senso più generale, risulta dominata dall’idea di “inesauribilità”- della natura, delle risorse della tecnica, delle potenzialità della politica, della crescita dell’uomo. Il tema della “liberazione dalle catene” che costituisce la soglia dell’utopia si oppone nettamente a quella cultura del limite che vincola il progresso a “ostacoli liberamente consentiti”. A confronto, le due formule conferiscono al libro il suo senso unitario. La riflessione di Ricoeur, che su questo punto si è concesso qualche rilievo critico, si è concentrata in particolare sulla concezione, dominante in Jonas, che vede nell’utopia una forma pericolosa di patologia, e sul confronto col “principio speranza” di Bloch, assunto a paradigma della ragione utopica, fondata su quell’ontologia del “non-ancora” che nega al passato ogni diritto sul futuro. Nel primo caso egli ha messo in luce come l’autore, non riconoscendo all’utopia alcuna dimensione critica, ne sottovaluti il ruolo fondamentale che essa ricopre nell’immaginario collettivo, in quanto elemento di alterità: il limite sta nell’aver esteso la legittima funzione conservatrice insita nell’etica della responsabilità fino ad un rifiuto del cambiamento. A questo si ricollega il secondo punto, la necessità, cioè, di recuperare una forma possibile della “speranza” all’interno di un’ontologia del “già-dasempre” su cui Jonas si attesta a difesa di quanto di irrinunciabile il passato può offrire alla storia, anche futura, dell’umanità. Tale possibilità Ricoeur la ritrova in una formula paradossale del Principio responsabilità : “all’ottimismo impietoso si oppone lo scetticismo misericordioso”. E’ questa misericordia che apre uno spazio alla speranza, sempre che essa tenga fermo il carattere problematico in cui tutte le attese e i progetti devono continuare ad evolvere. Essa è certamente modesta, ha concluso Ricoeur, ma riposa sulla convinzione che non c’è speranza se non a condizione di accettare un’eredità, perpetuabile e rinnovabile nel futuro. C.R. Industria, società, cultura Dal 19 al 20 febbraio ha avuto luogo presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Francoforte il “Frankfurter Colloquium zur Ästhetik und Kulturtheorie” (Colloquio francofortese di estetica e teoria della cultura), che aveva per titolo: Kulturgesellschaft und Kulturindustrie (Società della cultura e industria culturale). CONVEGNI E SEMINARI Martin Seel (Costanza) ha tratto i criteri di una “cultura democratica”, cioè quelli di “ambiguità” e “coscienza della differenza”, dai teorici dell’industria culturale, Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, rilevando però come questi avessero fatto un falso uso di tali criteri. Facendo riferimento alle teorie di Jürgen Habermas, il sociologo Helmut Dubiel (Francoforte) ha espresso la convinzione che nell’epoca del “capitalismo postfordistico”, e in quella di una “cultura postmoderna” ad esso relativa, la tesi dell’industria culturale nella sua esclusività non ha più valore. In tal senso il critico musicale Peter Kemper (Francoforte) ha mostrato, sull’esempio della musica rock, come Adorno non poteva che attribuire questo tipo di cultura musicale al meccanismo dell’industria culturale, non essendosene mai occupato in modo specifico. Viceversa il sociologo Ulrich Oevermann (Francoforte) ha sostenuto la tesi dell’industria culturale. Facendo riferimento alla comunicazione televisiva, egli ha analizzato il meccanismo della “messa in scena di se stessa” attuato sistematicamente dal mezzo televisivo, che serve solamente ai propri scopi autoconservativi e abbassa sia la cosa che il pubblico a semplici accessori. Una variante della tesi dell’industria culturale, ottenuta mediante l’applicazione della teoria foucaultiana del potere, è stata presentata dal direttore dell’Istituto Francofortese per i Nuovi Media, Peter Weibel. Per lui gli estremi si toccano: critica anarchica del potere , cioè non fondabile in modo metodico, e “felice positivismo” (Foucault). La descrizione di un aspetto essenziale della “società della cultura”, cioè la conciliazione voluta di arte e vita, è stata offerta dalla pubblicista Katharina Rutschky (Berlino), che ha preso come esempio la moda. Il teorico della letteratura Hans-Thies Lehmann (Francoforte), sulla scia di Adorno e dei decostruttivisti, ha contrapposto in modo inconciliabile l’estetico alla cultura (razionale). Herbert Schnädelbach (Amburgo) ha cercato infine di mostrare come dovrebbe apparire la “critica della cultura dopo Adorno”. La critica della cultura non può fondarsi secondo lui né su un naturalismo, né su un relativismo culturale. J.F. Einstein e l’idealismo tedesco In una prospettiva originale di sintesi, e avvalendosi di documenti tuttora inediti facenti parte dell' epistolario di Einstein, Armando Brissoni ha tenuto, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, una serie di lezioni su Einstein e l’idealismo tedesco, dove è stata tracciata un’analogia speculativa tra la fisica teorica e l’epistemologia einsteiniana e l’idealismo tedesco. Albert Eistein Diversi sono i riscontri testuali che certificano di una lettura di Einstein dei Prolegomena kantiani. A partire da questo rilievo Armando Brissoni ha centrato l’attenzione su altre due opere di Kant, che probabilmente Einstein deve aver letto e che sono indispensabili arricchimenti della complessiva riflessione epistemologica kantiana: la Critica del Giudizio e l’Opus postumum. Le perplessità di Einstein ineriscono soprattutto al concetto kantiano di sintesi a priori e al rischio, in esso presente, che il concetto fisico-speculativo di tempo possa essere assimilato all’intuizione. Come ad esempio quando Kant affida all’intuizione l’acquisizione della nozione di maggior brevità possibile quale attributo della retta che congiunge due punti. In linea generale, sono oggi in molti a sostenere, a correzione di Kant, che le proposizioni matematiche siano soltanto analitiche a priori. A Einstein premeva salvaguardare l’autonomia metodologica dell’esperimento scientifico da una parte, e l’anticonvenzionalismo e l’anti-innatismo della fisica teorica dall’altra. In un certo senso Einstein è più kantiano di quanto egli stesso non sospetti nel ripudiare la vuotezza dei sensi e una matematica e una fisica pure intellettualmente elaborate. Intelletto e ragione, per Einstein, trovano una sintesi nella logica matematica. La prospettiva einsteiniana, che muove da un empirismo scettico che per certi versi ricorda Mach, si volge perciò in un convinto razionalismo, nell’atteggiamento cioè di «chi cerca l’unica fonte di verità nella semplicità matematica» (lettera di Einstein del 24 gennaio 1838 a C. Lanczos). Per risolvere i dilemmi della fisica da lui individuati, Einstein scoprì di dover fare riferimento non tanto all’esperienza in senso stretto (se non in sede di verifica), quanto piuttosto alla metrica matematica che le corrisponde. Questo - suggerisce Brissoni induce a ripensare a due grandi pensatori italiani: Bruno e Galilei, come ai capostipiti della scienza contemporanea. Nella misura in cui la matematica è certa, essa come esplicitamente disse Einstein in una conferenza del 1921 - non aderisce alla realtà, e viceversa. In un certo senso dunque Einstein può sembrare più vicino a Hegel che a Kant, prossimo alla hegeliana CONVEGNI E SEMINARI equiparazione di realtà e razionalità. L’opposizione tra idealismo e realismo viene trasformata, a partire da Kant ed in tutto l’idealismo tedesco, in una relazione dialettica, secondo modalità che sembrano preludere al crocevia dell’epistemologia contemporanea tra realismo einsteiniano e indeterminismo quantico. In questo quadro si comprende allora l’analogia che meticolosi studi hanno voluto verificare tra il tempo trascendentale della filosofia della natura dell’idealismo tedesco (Schelling e soprattutto Hegel) e la teoria generale della relatività. La matrice idealistica dei costrutti teorici einsteiniani si rileva del resto negli interventi specifici da lui tenuti nell’ambito del dibattito filosofico sul concetto di tempo, dove sosteneva l’identità tra tempo fisico e tempo filosofico. Da quest’unico tempo trascendentale può semmai essere pensato come diverso un tempo psicologico. Ciò che, con Bergson, è altra questione. S.M. Vico pensatore del moderno Nel titolo che Biagio de Giovanni ha voluto dare alle quattro giornate di studi sul pensiero vichiano, tenutesi a Napoli il 2-5 aprile nell’ambito delle attività seminariali dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, è esplicito il taglio critico, che mira a mettere in evidenza i modi con cui Vico si confronta con il problema della modernità, ovvero con quella che doveva apparire come la filosofia più conseguente della modernità: il cartesianesimo. Nell’ambito di questa riflessione, il filosofo ebbe concreti interlocutori nei numerosi cartesiani presenti a Napoli, ma soprattutto si confronta, in maniera originale, con la più significativa discussione filosofica presente all’epoca in Europa (come B. Spaventa e Croce hanno inteso mostrare). La filosofia di Vico fu anticartesiana, come del resto paradossalmente lo furono gran parte delle metafisiche “barocche” della fine del XVII secolo, a cominciare da Spinoza e Leibniz), e tuttavia la sua posizione, lungi dal potere essere interpretata in chiave integralmente laica e illuminista, lo qualifica come un pensatore originale del moderno, interprete acuto della crisi e della catastrofe celati nei miti del “progresso”. La ricostruzione di De Giovanni ha inteso, suggestivamente, iniziare, per così dire, dalla fine, e cioè dall’ultima edizione del 1744 della Scienza nuova, opera in cui è contenuta la più severa critica della «sfrenata libertà dei popoli liberi», del carattere scettico, solitario e apolitico della filosofia moderna, dal momento che essa rompe il fondamentale equilibrio tra vero e certo, tra ratio e auctoritas. Per Vico la filosofia deve essere fondatrice delle nazioni, deve cioè presupporre e contribuire a fondare una comunità politica e non dar luogo ad un razionalismo onnipervasivo. La diagnosi espressa da questa critica vichiana alla modernità - ha sottolineato De Giovanni prima ancora di tematizzarsi come richiamo proprio ad una filosofia che vuole essere politica e impegnata sul terreno della storia, era già contenuta nei primi scritti di Vico: il De nostri temporis studiorum ratione (1708) ed il De antiquissima Italorum sapientia (1710). Non che a Vico fosse estranea la vocazione matemizzante della tradizione platonica da una parte, e della scienza rinascimentale e postrinascimentale dall’altra. Ma l’attenzione che dimostra per la dimensione costruttivista, e al limite, convenzionale, della matematica, lo indirizzano piuttosto verso la dimensione induttiva, sperimentale della scienza baconiana e galileiana, restando diffidente nei riguardi di ciò che considerava l’eccesso cartesiano di matematizzazione della fisica. Proprio nella possibiltà che il razionalismo e il meccanicismo cartesiani possano diventare la filosofia della “nuova scienza”, Vico individua il rischio implicito nella prospettiva della modernità: che venga cioè sconvolto quel fondamentale equilibrio tra la dimensione del vero e quella del probabile, tra la scienza fisica determinista ed una gnoseologia del verosimile. Alla Critica cartesiana, Vico contrappone dunque la Topica, l’ars inveniendi, sottolineando appunto l’aspetto verosimile e probabilistico insito nel rapporto finito tra l’uomo e la verità. Un ulteriore elemento di connessione tra la prima e l’ultima fase del pensiero vichiano è secondo De Giovanni il tema del conatus, della vita naturale intesa come tensione e sforzo. Questa nozione, che caratterizza da principio la metafisica anticartesiana di Vico, la si ritrova infatti, trasferita all’interno del mondo umano, come elemento germinale della libertà, diventando fondamento di quella “metafisica del genere umano” che è la Scienza nuova. Vico dunque, attraverso lo sviluppo tematico del suo pensiero e nel dialogo intellettuale con i suoi interlocutori, dimostra l’originalità assoluta del suo discorso filosofico. La rivoluzione vichiana è consistita innanzittutto nell’evidenza in cui viene posta la struttura umana del facere, il verum ipse factum della scienza storica, la poieticità della cultura umana. Filosofia politica dunque che pone il probabile quale criterio di costituzione della vita politica. Ma, al tempo stesso, filosofia che sottolinea il legame fondamentale tra religione e storia, come si evidenzia dalla Giambattista Vico CONVEGNI E SEMINARI polemica di Vico con l’ipotesi, formulata da Bayle, di una società di atei. La Scienza nuova è altresì una “teologia civile ragionata della provvidenza divina”; una provvidenza, va sottolineato, che è piuttosto un elemento di conservazione del genere umano, che non di salvezza o di grazia. E tuttavia - conclude De Giovanni - considerando la critica di Vico alla cronologia storica in virtù della divisione che egli opera tra storia sacra e storia profana, il pensiero del filosofo napoletano non può essere ricondotto a categorie meramente laiche ed illuministe. S.M. La parola metaforica come accadere Dal 18 al 20 marzo 1991 Ernesto Grassi ha tenuto, presso l’Istituto Italiano per gli Studi filosofici di Napoli, un seminario sulla preminenza della parola metaforica distinta dall’ontologia tradizionale e dal pensiero razionale. L’importanza di un linguaggio che non renda stabili gli enti, strutturandoli in categorie logico formali, ma che tenti di approssimarsi al loro divenire, al loro trasformarsi continuo, è ciò che Ernesto Grassi trae dall’analisi dell’opera di Hölderlin. Il linguaggio di Hölderlin non è astratto, ma diveniente. Il problema platonico dell’Uno e dei Molti viene qui ricondotto al divenire, al mutarsi continuo delle realtà nel tempo, dove il tempo è sempre l’imporsi di differenti possibilità nella realtà finita, nel qui ed ora. Nell’Iperione il tempo viene identificato da Hölderlin con la bellezza, una temporalità che può essere avvicinata a quella dell’Aiôn come Uno che volge nel diverso. L’Aiôn è il tempo in linea retta, che non ritorna mai su di sé, le cui due estremità, del passato e del futuro, non cessano di allontanarsi nell’illimitato, dispiegando gli istanti in cui le cose avvengono, nella loro molteplicità, nel loro divenire, nella loro storicità. In questa temporalità del presente sempre rinnovato, il linguaggio metaforico si fa esperienza creativa, in diretto rapporto con le forze affettive che attraversano la vita. Il linguaggio poetico di Hölderlin è una sfida al pensiero razionale, che identificando il mutare degli enti in schemi logici rigidi, non permette l’esperienza del reale come vivere e patire, come continuo trapasso nel nuovo. Aristotele nei Primi e Secondi Analitici, tentando di formalizzare il sapere logico dimostrativo, l’episteme, affronta la questione dei principi originari, da cui muove il pensare razionale; ossia tenta di ricercare la struttura del fondamento (archè) del sapere. Questa si rivela ad Aristotele nella sua immediatezza, come fondamento che non ha carattere razionale. I principi originali (archai) si disvelano dunque come luogo a-discorsivo, indimostrabile. Essi sono principi indicativi che si rifanno all’e- sperienza passionale piuttosto che logica, ad un’originarietà affettiva, non definibile tramite un pensiero metafisico razionale. Negli autori tragici greci Grassi individua propriamente queste tematiche esistenziali, e ne riscopre l’importanza come fonte produttiva di un filosofare che non parte dalla razionalità, dall’universalità del sapere, ma da situazioni concrete, dalla drammaticità del reale, chiamandoci alla parola, al pensiero, con domande urgenti, indicative e non dimostrative. E’ possibile dunque ritornare ad una nuova interpretazione del dramma greco, che possa aprirci ad un senso della realtà legato alle passioni e non ai semplici concetti astratti. Questa operazione interpretativa non tende a relegare la tragedia in un ambito puramente letterario, ma dischiude ad un filosofare fondato sulla preminenza della parola metaforica, che a differenza di quella dell’ontologia tradizionale, non definisce gli enti. E’ il caso della metafora, che segue il movimento della realtà stessa, conferendo ad uno stesso ente significati sempre diversi. Questa continua traslazione delle cose nelle diverse significazioni la si può ricavare in modo esemplare da Ovidio nella metafora di Eco e Narcisio. Le due figure sono legate tra loro da un linguaggio che è strettamente intrecciato alla passione. Il linguaggio di Eco è il luogo di occultamento della verità, è l’impossibilità della comunicazione in quanto ripetizione del già detto. Narciso non riceve risposte, ma solo la ripetizione delle sue domande; tra i due il colloquio è vano, illusorio, risuona tra essi la tragicità di un rapporto impossibile. La passione mancata di Eco, perchè priva di voce significativa, e la passione vuota di Narciso, che insegue immagini illusorie, sono gli elementi di una tragedia che essi vivono nell’impossibilità di appropiarsi sia della propria immagine, che della propria voce, la tragedia dell’incomunicabilità della passione. Per Ovidio il senso della metafora è appunto quello di esprimersi autenticamente oltre la connessione di domande e risposte, perchè le parole seguendo il flusso passionale danno significazioni sempre diverse a seconda delle situazioni. Nel dolore, nella speranza, nella mancanza di identità stabili, la parola metaforica rimanda sempre alla realtà concreta, comprendendo in sé di volta in volta la molteplicità intensiva, passionale, della vita. A.C. Nuove intelligenze Promosso dal Premio europeo Cortina-Ulisse, dal Consiglio Nazionale delle Rcerche e dall’ENEA, si è tenuto a Roma il 26-27 aprile 1991, presso la sede del CNR, un convegno dal titolo: Umano, troppo umano, dedicato ai rapporti tra uomo, robot e computer, e alla definizione di quelli fra intelligenza umana e intelligenza artificiale. Interventi fra gli altri di John Searle, Roberto Cordeschi, Roger Schanz, Tomaso Poggio, Thomas Nagel. John Searle ha ribadito le sue note posizioni sull’irriducibilità della mente umana all’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale, come termine e come disciplina, è nata nel 1956 negli Stati Uniti, e ha fra i suoi padri fondatori Marvin Minsky. Abbandonando l’idea di imitare le caratteristiche strutturali degli esseri naturali, l’essenza dell’intelligenza viene individuata nell’adeguatezza con cui il sistema intellettivo, naturale o artificiale, tratta e struttura le informazioni provenienti dall’esterno. Gli obiettivi polemici dei teorici dell’intelligenza artificiale erano, dunque, le discipline che avevano guidato il nascere e lo svilupparsi della robotica: la cibernetica e la bionica. L’ ”intelligenza artificiale” mira invece a ottenere un sistema intelligente facendo “girare” un programma "implementare" su un calcolatore sufficientemente potente; tale programma deve essere in grado di rispondere a domande poste nel linguaggio ordinario. Proprio la possibilità di definire “intelligente”, in senso proprio, un programma, è ciò che Searle nega, spostando invece l’attenzione sul valore del modello computazionale nella spiegazione dell’intelligenza umana: l’idea, cioè, che un concetto possa essere rappresentato come una lista di dati espliciti, la cui relazione viene determinata da funzioni. Ma la nozione di “concetto”, come ha sottolineato Roberto Cordeschi, è legata a quella di “creatività”; perciò la questione della possibilità da parte delle macchine di esprimere un’intelligenza simile a quella naturale passa attraverso la possibilità di elaborare concetti, cioè significati. Roger Schank, Direttore del laboratorio di intelligenza artificiale della Yale University, dove è anche docente di psicologia, propone di utilizzare i “sistemi intelligenti” nelle scuole a fini didattici. Lo studioso respinge le critiche di Searle, sostenendo che esse sono il frutto di un diffuso quanto infondato fraintendimento, quello secondo cui il fine dell’intelligenza artificiale sia eguagliare quella naturale. Al contrario, l’intelligenza artificiale mira alla costituzione di potenzialità non specificamente umane, caratterizzate in modo essenzialmente strumentale. Tomaso Poggio, d’altro canto, ha rimproverato alla prospettiva aperta dall’intelligenza artificiale proprio una sottovalutazione della questione dell’apprendimento nella definizione della nozione di “intelligenza”. Thomas Nagel ha ripreso la questione del rapporto fra intelligenza naturale e artificiale e quella del rapporto fra “mente” e “cervello”, cioè tra il livello mentale e quello neuronale. Se si ritiene che l’analisi del livello fisiologico possa dar conto di tutte le manifestazioni mentali, il problema della possibilità per le macchine di pervenire a una forma di intelligenza artificiale analoga a quella naturale si riformula in quello della possibilità di ricostruire i processi fisiologici con materiali non organici; CONVEGNI E SEMINARI Immanuel Kant, incisione di J.L. Raab (1860 circa) CONVEGNI E SEMINARI questione fattuale, dunque, più che filosofica. Ben diversamente vanno le cose, se fra il livello mentale e quello fisiologico viene posto uno iato; il vero problema, quindi, è l’inadeguatezza delle nostre attuali conoscenze scientifiche per decidere sulla relazione fra mente e cervello. F.C. La teodicea in Kant Organizzato dalla Società Filosofica Italiana e dai Dipartimenti di Filosofia dell’Università degli Studi e dell’Università Cattolica di Milano, si è tenuto il 18-19 aprile 1991, presso l’Università degli Studi di Milano, un convegno su La teodicea in Kant. Relazioni di Francesco Moiso, Paolo Manganaro, Marco M. Olivetti, A. Poma, ciascuna delle quali seguita da vivace discussione, nella quale sono intervenuti, fra gli altri, Aldo Masullo, Virgilio Melchiorre e Guido MorpurgoTagliabue. Il convegno è stato concluso da una tavola rotonda cui hanno partecipato Silvestro Marcucci, Pier Angelo Sequeri, Carlo Sini e Vincenzo Vitiello. Nella sua relazione Francesco Moiso (“Teodicea e teologia”) ha evidenziato come problema centrale della teodicea kantiana quello di giustificare l’intervento nel mondo dell’elemento razionale e finalizzante. I poli della relazione sono stati dunque da una parte il dissolversi del mondo in una molteplicità di fini e di prospettive, dall’altra l’elemento unificante che salva la possibilità di abbracciare il mondo con uno sguardo unitario. Questo elemento unificante - e qui sta la problematicità dell’approccio kantiano - non è però presente a livello strutturale nel mondo stesso. Proprio per questo Kant riformula i termini tradizionali del problema, che vedeva attestati da un lato coloro che, come Hume, erano convinti dell’irriducibilità della pluralità, dall’altro i dogmatici, che si rifacevano invece all’esigenza di uno sguardo prospettico unitario. Moiso ha richiamato il cosiddetto “argomento di Hume”, ben noto ai teorici dell’”intelligenza artificiale”: il problema di fondo è dar conto di come la pluralità (i “fasci di sensazioni”, in questo caso) possa comprendere se stessa senza far ricorso all’unità. Per Kant però le cose vanno altrimenti; l’unità è un principio reale, benché non strutturale, e se lo “sguardo della pluralità” è il risultato della Critica della ragion pura, lo “sguardo dell’unità” è il risultato della Critica della ragion pratica, che diventa con ciò fondamento della prima. Con varie difficoltà, come ha rilevato Aldo Masullo: l’unità, ovvero la determinazione dell’Einigkeit, può esser meglio intesa come “coerenza”, “coesione” fra le varie parti del reale, coerenza che non sempre risulta evidente. D’altra parte, se il proble- ma di Kant è arrivare dalla molteplicità all’unità, e non viceversa, Vincenzo Vitiello ha messo in guardia dall’intendere il tentativo kantiano come una giustapposizione del principio unitario alla pluralità del molteplice. Sul piano gnoseologico, come su quello metafisico, Vitiello ha sottolineato che Kant vede quello tra le due prospettive come un rapporto di fondazione, e non certo di mera sovrapposizione. Su un altro versante si è sviluppata la relazione di Paolo Manganaro (“Ragion pratica e male radicale”). Focalizzando il rapporto fra ragion pratica e male radicale, Manganaro ha interpretato questa seconda nozione come sbocco necessario della teodicea kantiana. Con la tematica della teodicea e con gli scritti sulla religione rientrano in gioco, a parere di Manganaro, le esigenze della finitezza umana, “rimosse” nella Critica della ragion pratica a favore dell’aspetto autofondativo della ragione. Introducendo la nozione di male, Kant entra per la prima volta nel campo dell’antropologia morale. Il male non è solo derivato dall’inclinazione, ma riguarda invece la cattiva volontà: è insomma un problema della ragione, sia pure nel suo uso naturale, e non in quanto immediatamente pura, cioè pratica. Su questo nuovo terreno, tre sono i poli di riferimento che inquadrano il problema: la determinazione della libertà nel suo problematico rapporto con la legge morale, la volontà umana e il male radicale. Il rapporto fra l’autonomia della ragione - come libertà o come legge morale - e il male non è dunque diretto, ma mediato dalla volontà umana che, in quanto malvagia, è arbitrio. Il vero obiettivo della teodicea kantiana è dunque, a fronte dell’esistenza del male nel mondo, addurre prove e argomentazioni a favore non tanto dell’esistenza e della potenza di Dio, quanto dell’autonomia della ragion pratica. In questo senso per Marco Olivetti (“Kant, o della teodicea senza speranza”) la teodicea kantiana è “senza speranza”, in quanto l’opera di Kant nel suo complesso, e non gli scritti sulla teodicea, costituiscono un redde rationem, una chiusura di partita nei confronti della teodicea tradizionale; in particolare, nella configurazione che essa aveva assunto con Leibniz, come tentativo di conciliare il presupposto della bontà divina con l’esistenza del male nel mondo. Olivetti riporta dunque il problema della teodicea kantiana nel quadro della prospettiva ontologica, definita dalle celebri tre domande: “Cosa posso sapere?”, “Cosa devo fare?” e, soprattutto, “Cosa posso sperare?”. Sottolineando il carattere “anfibio” di questa domanda “pratico-teoretica”, Olivetti ha evidenziato come il “potere”, in questo contesto di riflessione, non si riferisca più alla dimensione umana e alle sue potenzialità, ma a quella religiosa. Questa dimensione, al di là del “potere” e anche del “sapere” umani, disegna per Kant una religione né positiva, né, come era per gli illuministi, “razionale” o naturale. Dagli scritti kantiani sulla teodicea e sulla religione, non a caso coevi, emerge una religione postilluminista, “di confine”: nella teodicea kantiana la questione della possibilità della speranza non mira alla soluzione del problema dell’esistenza del male nel mondo come pura e semplice a-finalità, ma come “controfinalità”. La speranza riguarda, infatti, la congruenza tra la finalità libera e la causalità naturale, che si presenta appunto come “controfinalismo”. Silvestro Marcucci ha ribadito, a questo proposito, non solo il rapporto fra teodicea e filosofia della natura in Kant, ma tra la sua stessa filosofia e la riflessione scientifica, riportando il noto e forse eccessivo giudizio, secondo il quale l’importanza di Kant come scienziato non sarebbe inferiore al suo valore di filosofo. Nell’evoluzione del pensiero kantiano, con la Critica della ragion pura l’accento cadrebbe sul primo aspetto, con la Critica della ragion pratica e con la Fondazione della Metafisica dei costumi sul secondo. Con l’esame dell’interpretazione della teodicea kantiana in Hermann Cohen, sviluppato nella relazione di A. Poma (“Teodicea autentica e teodicea storica”), lo sguardo si è spostato dal piano propriamente ontologico a quello più propriamente etico e religioso. L’interpretazione di Cohen presuppone un ripartirsi della Critica della ragion pratica in due parti: la prima, rivolta a obiettivi di fondazione prettamente ontologici, è definita solo dal concetto di autonomia come autoposizione della ragion pura. Nella seconda parte, riguardante gli aspetti applicativi dell’uso della ragione, entrano invece in gioco la considerazione dell’individualità e dei problemi a essa connessi; sorgono qui le determinazioni di dovere, imperativo categorico, finalità. Qui Kant derogherebbe al proprio intento, quello di dar luogo a un’etica non eudaimonistica, reintroducendo il concetto di felicità. Quella di Cohen, ha notato Poma, vuole essere l’interpretazione autentica, fedele a Kant oltre Kant stesso, della teodicea kantiana e di quella leibniziana, per una fondazione dell’etica al di fuori di qualsiasi forma di eudaimonismo. Il concetto di sofferenza diventa quindi centrale nella riflessione coheniana, non tanto perché sostituisce quello di felicità come fine della storia, quanto perché, in una prospettiva storica, rende l’uomo degno della pace finale. Proprio qui, ha notato Poma, passa il crinale fra la teodicea tradizionale, che tenta in modo aprioristico di dedurre Dio dall’ordine del mondo, e la “teodicea autentica” di Leibniz, Kant e Cohen, che, al contrario, è “storica” e “a priori”; anzi, storica in quanto a priori. Il problema non è qui da dove venga il male, ma che fine esso abbia. Proprio sul ruolo ontologico della nozione di sofferenza si è soffermato il teologoPier Angelo Sequeri, che ha sostenuto che il concetto di sofferenza è il terreno d’incontro fra Kant e Cohen, e che il vero problema non è quello del male in quanto tale, il malum ontologicamente necessario, bensì CONVEGNI E SEMINARI proprio quello dei malanni contingenti, i mala mundi. In contrasto con questa posizione, Guido Morpurgo-Tagliabue ha rilevato che se è vero che dietro la figura di Kant c’è quella di Leibniz, quello della sofferenza umana è il problema centrale per Cohen, ma non per Kant. Se infatti si impostasse la fondazione della ragion pratica kantiana sulla sofferenza, si arriverebbe a un circolo vizioso: se la legge morale in quanto tale rimanda infatti alla sofferenza, la sofferenza sarebbe finalizzata alla compassione, intesa come “patire assieme”, e questa alla costituzione della comunità etica. Quest’ultima sarebbe dunque nello stesso tempo fondata e presupposta dalla legge morale. Rifiutando in modo ancor più radicale le posizioni di Sequeri, anche Vincenzo Vitiello ha ribadito che il vero problema, tanto sul piano filosofico, quanto su quello teologico, non sono i mali fattuali e contingenti, bensì proprio "il" male come determinazione ontologica. L’intervento di Carlo Sini ha ricondotto il dibattito dal terreno etico a quello ontologico. La riflessione etica in quanto tale pecca di antropocentrismo, cioè di non sufficiente radicalità nel porre la questione ontologica; quella coheniana pecca anche di eurocentrismo, perché per altre culture le sofferenze dell’uomo giusto non dimostrano affatto la sua rettitudine, semmai il contrario. A partire dalla nozione di male radicale, Sini ha evidenziato alcuni motivi, derivanti in particolare dalla trattazione del primo capitolo de La religione nei limiti della semplice ragione. La legge morale, in primo luogo, non è il fondamento della personalità, bensì la personalità stessa; la tendenza al male morale è ciò che determina il libero arbitrio, che è tratto distintivo della specie umana, ovvero del concetto di “personalità”: solo in questo senso si può parlare di un carattere “naturale” della tendenza al male nell’uomo. In secondo luogo va sottolineato che qui il concetto di “naturale” non fa in alcun modo riferimento a una tendenza fisiologica; il male è un problema a priori, una determinazione ontologica trascendentalmente legata alla questione della libertà umana e, in quanto tale, non estirpabile. Si pongono allora le questioni da un lato relative al rapporto fra la libertà e il male morale, dall’altro relative alla definizione dell’uomo. In questa prospettiva la caratterizzazione dell’uomo come essere intermedio “tra” gli angeli e i bruti, diventa evidentemente insufficiente. L’uomo appare piuttosto quel luogo archetipico ove “accadono” lo stato brutale e quello angelico. Emergono peraltro, rileva Sini, alcune aporie: se in certo senso il male nell’uomo “deriva” dalla libertà, in quanto suo “limite”, appare problematico sostenere l’esistenza di momenti soggettivi che, contrastando la libertà, determinerebbero l’uomo al male. A parere di Sini, qui Kant tenterebbe di sottrarsi all’ombra del monismo spinoziano, dove il male appare come un “momento” della libertà. Nel suo intervento conclusivo durante la tavola rotonda, Vincenzo Vitiello ha accettato la centralità ontologica del problema del limite in Kant e la possibilità di un’interpretazione nichilista, ma ne ha ribaltato il rapporto con Nietzsche: Kant non è una “figura” fra quelle proposte da Nietzsche, ma viceversa. Kant è senza dubbio un soggettivista, e quindi un nichilista; ma, per come pone la questione della soggettività umana nei confronti del male, egli è oltre Nietzsche, perché porre il problema del male è per lui una questione ontologica. Attraverso la nozione di male, con la mediazione del concetto di limite, Kant puntualizza quella di libertà. Quest’ultima ha una valenza non certo psicologica o antropologica, bensì cosmologica e ontologica; essa, infatti, non si pone solo come indipendenza dalle catene causali fenomeniche, ma anche, positivamente, come inizio di una nuova catena causale, e di una forma di causalità “altra” da quella fenomenica, in quanto prescinde dalla condizione temporale. F.C. Gadamer: arte, filosofia e verità Si è tenuto a Napoli dal 26 al 30 novembre 1990 presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici un seminario di Hans-Georg Gadamer dedicato al tema: Ut pictura poesis? Arti figurative e arti poetiche. Sviluppando una riflessione sul problema dell’arte, il filosofo si è al tempo stesso interrogato sul proprio pensiero e sui problemi dell’ermeneutica, ripercorrendo in diversi punti l’itinerario di Verità e metodo, sua opera principale. Al centro delle lezioni il tema della ricerca del senso dell’arte come Kunstreligion, religione dell’arte. La domanda sul senso dell’evento dell’opera d’arte, ha inizialmente osservato HansGeorg Gadamer, spinge ad interrogarsi sulla possibilità di quella forma d’approccio alla verità che si attua nel “dialogo”, in quanto “partecipazione” ad una verità che non può essere intesa come “possesso” e rispetto alla quale nessuno può avere una posizione privilegiata. E’ questo il problema ermeneutico in quanto problema del “comprendere”, che abbraccia l’intera esperienza umana: un problema che la situazione politica, culturale e filosofica della nostra epoca, segnata dai due conflitti mondiali, rende ineludibile e che non può essere risolto nell’ambito del sapere scientifico. Per questo motivo bisogna riconoscere la possibilità di una forma di approccio alla verità che non si esaurisca nel metodo della scienza moderna: una forma di approccio alla verità, nel senso della “partecipazione”, quale si presenta nel sapere pratico della phronesis, nel dialogo filosofico e nell’arte. In questa luce, ha sottolineato Gadamer, va ritrovato il significato dell’arte come Kunstreligion, religione dell’arte, nel senso della trascendenza dell’opera d’arte, che non si risolve nell’incontro dell’uomo con se stesso (come affermazione del primato dell’autocoscienza), ma rimanda sempre a qualcosa di ulteriore che non si consuma. La ricerca del senso dell’arte come Kunstreligion è stato il motivo centrale di queste lezioni. Gadamer ha osservato che nella sua interpretazione questa denominazione non si identifica con quella hegeliana, secondo la quale in Grecia l’arte era sempre anche una forma di religione, in quanto presso i greci gli dei esistevano solo nella loro presenza corporea, che si realizzava nella scultura. L’arte va intesa come Kunstreligion perché il suo evento ci pone di fronte ad una forma di creazione dal nulla, in cui non si tratta più di scegliere il materiale e di applicare delle regole. Anche il linguaggio, al quale l’esperienza estetica è costitutivamente legata, è una creazione di questo tipo, una creazione senza materia: è questo, secondo Gadamer, il nuovo universo su cui si estende l’orientazione ermeneutica. Il bisogno di una ricognizione del proprio pensiero alla luce della domanda sul senso dell’esperienza estetica come modalità di approccio alla verità, ha spinto poi Gadamer a ritornare sul concetto di arte come mimesis. Questo concetto può essere riferito all’arte solo in quanto “immagine” (Bild), cioè non una copia del reale, ma un suo arricchimento in quanto verità. In questa luce va colta la valenza ontologica dell’opera d’arte come formazione, che si fa e si presenta da se stessa. Il senso conoscitivo della mimesis va ritrovato per Gadamer nel fatto che essa è sempre una forma di riconoscimento della realtà nel senso platonico della anamnesi, e dunque non si esaurisce nel riconoscimento di qualcosa, ma si apre all’infinità del dialogo. In questo senso anche il linguaggio, come orizzonte che abbraccia ogni esperienza del comprendere, è una forma di mimesis, una forma di interpretazione del mondo che si attua nel dialogo, in cui le cose sono viste nel loro significato: ciò che accade alle cose nel linguaggio è un arricchimento, un accrescimento della realtà. Il concetto di mimesi abbraccia in maniera costitutiva non solo l’evento dell’opera d’arte, ma anche la sua interpretazione. L’opera, anche nel caso delle arti figurative, vive sempre nella lettura, che non va intesa come una riproduzione del testo, ma come una forma di cooperazione. In questo senso, ha osservato Gadamer, Heidegger ha parlato della lettura come di una forma di “raccolta”. Qui si ritrova la struttura temporale dell’evento dell’opera d’arte, che è sempre un processo circolare, un “essere in moto” che non si esaurisce nella “presenza”. A conclusione di questo ciclo di lezioni Gadamer si è interrogato sul significato della filosofia e sul suo rapporto con l’arte, CONVEGNI E SEMINARI Georg Wilhelm Friedrich Hegel (litografia di C. Mittag, 1842) Albert Einstein Hans Georg Gadamer perché il problema dell’arte e quello della filosofia sono a suo parere inscindibili. Nella concezione gadameriana vi è un continuo rimando tra l’opera d’arte e l’opera del pensiero, in quanto entrambe sono una forma di approccio alla verità nel senso della “partecipazione”. L’opera d’arte anticipa le concettualizzazioni filosofiche e ad essa la filosofia ha bisogno di ritornare incessantemente, se non vuole ridursi ad una dimensione concettuale ispirata al modello deduttivo proprio del metodo scientifico. Occorre reinterpretare il nesso originario stabilito dal pensiero greco tra logos e linguaggio, logos e mytos. Il linguaggio filosofico deve partecipare alla molteplicità di significati che caratterizza i testi letterari, al movimento metaforico proprio del linguaggio poetico, perché solo nel dialogo si dà un uso adeguato dei concetti. Il valore del dialogo, ha concluso Gadamer riprendendo un motivo fondamentale della sua ermeneutica, è quello di situarci sempre in uno scambio di domanda e risposta, in cui alla fine nessuno di noi possiede la verità, ma che ci rende più aperti e disponibili a continuare il processo di ricerca. F.C.M. Un convegno su Gadamer Heidelberg a In un recente convegno dal titolo Verstehen und Geschehen (Comprensione ed evento), organizzato a Heidelberg dalla locale Accademia delle Scienze e dalla Martin HeideggerGesellschaft, sono stati discussi alcuni temi della filosofia di Hans Georg Gadamer. Gottfried Boehm (Basilea) ha analizzato l’arte “astratta” dal punto di vista del problema della temporalità. L’esame delle strutture temporali della percezione dell’arte può condurre a stabilire il carattere di indeterminazione del rapporto tra arte e realtà: in questo senso l’arte non sarebbe una riproduzione del reale ma, secondo la concezione di Paul Klee, renderebbe “visi- bile” la realtà. Richiamandosi a Hegel e Gadamer, Boehm ha presentato il concetto di “forza” come categoria fondamentale dell’interpretazione dell’opera d’arte. Manfred Riedel (Erlangen) ha tentato di chiarire la formulazione gadameriana della questione del “pensiero agli inizi” (anfängliches Denken), in rapporto all’ermeneutica heideggeriana della fatticità. Il pensiero heideggeriano è stato anche oggetto delle analisi di J. Grondin (Ottawa), che è intervenuto sul rapporto tra Heidegger e S. Agostino. L’esigenza di universalità dell’ermeneutica filosofica può essere compresa alla luce del pensiero di S. Agostino, che è stato un punto di riferimento critico anche per la filosofia moderna. La differenza da lui stabilita tra actus signatus e actus exercitus, significazione e senso del compimento del discorso (Aussage), ha avuto un’importanza centrale per il primo Heidegger. Da un lato l’accento posto sul discorso attribuisce un significato decisivo alla problematica del linguaggio; dall’altro l’affermazione del carattere universale del fenomeno ermeneutico rinvia alla costituzione dialogica dei discorsi e a quell’insieme di premesse, senza le quali non è possibile la comprensione. La dottrina agostiniana del verbo rappresenta per Gadamer l’unica traccia di un oblio non totale del linguaggio della storia della metafisica occidentale. Otto Pöggeler (Bochum) ha trattato il tema del rapporto tra voce e scrittura, logos e mito, dialettica ed ermeneutica nella storia della cultura occidentale, osservando che l’attuale disputa tra ermeneutica e decostruzionismo può essere considerata in generale come un’eredità della tradizione filosofica. Richiamandosi direttamente a una tale impostazione di pensiero, HansGeorg Gadamer ha affermato di aver trovato nell’intervento di Pöggeler lo stimolo per tentare un nuovo accesso ai propri problemi filosofici. Rüdiger Bubner (Tübingen) ha riconosciuto a Gadamer il merito di aver reso accettabile l’ ”ermeneutica della fatticità”, conferendole una forma “urbanizzata”. In quanto il comprendere si alimenta alla fonte dell’esserci (Dasein), la sua limitazione alla comprensione scientifica “di qualcosa” non ne coglierebbere il carattere specifico. Anche per Gadamer dunque l’esserci sarebbe comprensione. Il “fondamento” del comprendere non sarebbe in tal senso uno spirito del mondo onnicomprensivo, la natura, un processo vitale anonimo o un essere di carattere mitologico, bensì la tradizione, da lui intesa come un “inesauribile regno di possibilità”. La pre-datità del comprendere sarebbe un “cosmo di possibilità ermeneutiche di comprensione”, che, attraverso la fiducia in un “fondamento”, possono venire tradotte all’interno del comprendere stesso. E’ questo atteggiamento che fa si che le testimonianze irrigidite del passato possano essere valorizzate all’interno di un rapporto dialogico. M.M. CONVEGNI E SEMINARI Georg Wilhem Friedrich Hegel (litografia di C. Mittag, 1842) CONVEGNI E SEMINARI La ‘Naturphilosophie’ di Hegel Se analizziamo i risultati delle ricerche più ideologicamente e pregiudizialmente ostile alla Naturphilo-sophie sia anche dovuto ad una lettura che l’ha contestualizzata come oggetto storico nel dibattito scientifico del proprio tempo. Nello specifico caso di Hegel, questa linea di ricerca è stata principalmente promossa e sviluppata da K. Düsing, H. Kimmerle, M. Petry e da Dietrich von Engelhardt, noto agli studiosi fin dai primi anni ’70 per i suoi lavori sulla situazione della ricerca scientifica nella Germania del primo ‘800 in rapporto alla filosofia speculativa di Schelling ed Hegel. Von Engelhardt ha recentemente tenuto presso la sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli un seminario sul tema: La Naturphilosophie di Hegel e le scienze della natura (18-22 marzo 1991). Uno dei meriti del seminario è stato quello di introdurre il discorso ponendo al centro della considerazione, come problema, la visione fortemente integrata dei vari aspetti della realtà propria degli scienziati romantici della natura (tra gli altri, Ritter, Steffens, Oken, Oersted, Carus), sottolineando la necessità di individuare, di volta in volta, le diverse componenti dei loro approcci, la pluralità delle strade percorse per pensare l’unità di scienza, arte e filosofia. Nell’insieme, è stata dunque proposta l’immagine di una scienza romantica non unitaria in se stessa, e dal complesso, quanto incerto, destino. In primo luogo, Von Egelhardt ha mostrato come l’impianto metafisico di questa scienza, di prevalente ispirazione schellingiana, non debba essere confuso con le altre “direzioni” della scienza naturale del tempo: quella empirico-positivista, presente soprattutto in Francia ed in Inghilterra; quella influenzata da Kant (Röschlaub, e poi Helmholtz); o ancora quella sensibilecontemplativa imboccata da Goethe con la sua nozione di Urphänomen. In secondo luogo, è stato giustamente ricordato quanto la romantische Naturforschung sia stata spesso indebitamente appiattita sulle filosofie della natura di Schelling e Hegel, delle quali, a sua volta, si sarebbe disconosciuta tanto la comune valenza critica nei confronti della scienza romantica, quanto quella specifica dell’una rispetto all’altra. Per fare un esempio, basti ricordare che da una parte, a Jena, Hegel aveva accusato di formalismo aberrante, e disordinata ebrezza mentale, filosofi della natura quali J. J. Wagner, fedele ripetitore di Schelling nel System der Idealphilosophie del 1804 e da Schelling stesso, in un primo tempo, aiutato e protetto. Dall’altra, Oersted, lo scopritore dell’elettromagnetismo, nel 1807 ma- nifestava il suo apprezzamento del modello fornito da Schelling, dopo che, nel 1801, sul De orbitis planetarum di Hegel, suo primo compiuto lavoro di filosofia della natura, era caduta la condanna della scienza con una recensione stroncatoria del direttore dell’osservatorio astronomico di Seeberg, presso Gotha, F. X. von Zach. Tutte queste asprezze e discordanze dovevano poi venir levigate ed armonizzate dagli allievi di Hegel, a cominciare da Michelet che, nella prefazione del 1841 alla sua edizione della Naturphilosophie del maestro, enfatizzava la consonanza di vedute tra Hegel e Schelling a Jena, chiamati i Dioscuri della scienza moderna. Alla luce di queste premesse Von Engelhardt ha poi preso in esame il rapporto tra considerazione concettuale (della filosofia) e pensante (della fisica) nei confronti della natura, evidenziando, alla luce della “concretezza dell’Idea”, quella che è stata chiamata la “deduzione fenomenicorazionale”, per una adeguata comprensione del rapporto tra empiria e speculazione nell’Enciclopedia. Sullo sfondo, il problema di uno sviluppo del pensiero hegeliano a partire dal periodo di Jena, e quello del rapporto tra logica e natura, nonchè la questione dell’ordine delle parti del sistema alla luce dei tre sillogismi finali dell’Enciclopedia. E’ stato poi analizzato il ruolo della chimica, nel passaggio dalla fisica alla biologia nella Filosofia della natura, focalizzando l’attenzione sul galvanismo e sul processo di neutralizzazione, come anticipazione degli autoprocessi propri dell’organico, e sfiorando la più generale valutazione del rapporto tra fisica e chimica tanto nella scienza romantica della natura, quanto nella filosofia dell’identità di Schelling. Dall’esame del concetto di organico, nel suo sviluppo enciclopedico, è emerso un Hegel conoscitore della biologia e fisiologia del tempo, e di cui si è evidenziata l’attualità dell’impostazione: ancora oggi, per von Egelhardt, una teoria filosofica dell’organismo non può esimersi dal rispondere alle domande poste da Hegel sulla genesi e la formazione dell’organico dall’inorganico, sull’emergere del mondo spirituale dalla vita naturale. Per quanto riguarda il rapporto salutemalattia in riferimento alla situazione della medicina del tempo, Von Engelhardt ha insistito sul rapporto tra malattia e morte nell’individuo e sviluppo della dimensione collettiva dello spirito (l’Io che è in Noi, il Noi che è in ogni Io della Fenomenologia), di cui si è sottolineato il possibile valore psicoterapeutico. Il dibattito che ha fatto seguito si è esteso da Hegel, Schelling, Goethe, Hölderlin, al campo dell’etica medica, fino a coprire l’indagine sulla possibile recezione della romantische Naturforschung nell’Italia della seconda metà dell’800, divisa tra scienza e religione. C.F. Razionalità e complessità Scienziato e filosofo, con interessi che spaziano dalla sociologia all’epistemologia e alla storia delle idee, Edgard Morin è una figura difficilmente collocabili all’interno di una disciplina. Della sua eclettica capacità di far interagire tanti e diversi saperi è testimonianza il ciclo di seminari - tenutosi nell’ambito dell’attività dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - in cui Morin ha evidenziato le strutture epistemologiche che stanno alla base della “razionalità” occidentale. Opponendosi all’autorità del discorso fondato sull’ipse dixit, la razionalità fonda le sue argomentazioni sul modello della logica induttivo/deduttiva, formulando un sistema argomentativo unitario e coerente che ha come scopo la comprensione delle cause e delle finalità dei fenomeni. Essa inoltre presuppone il dialogo tra interlocutori consapevoli, al fine di suscitare il conflitto e la trasparenza dell’argomentazione. Il procedimento razionale così costituito è una “strategia” che non può esser definita “a priori”, ma soltanto attraverso un processo di feedback con il “mondo esterno”, che consente una verifica della coerenza del modello, sottraendolo al rischio di cadere nella “follia filosofica” di un sistema di idee senza presa alcuna con il mondo reale. Per Edgard Morin la razionalizzazione può essere una “patologia della razionalità”. Le strategie di controllo politico producono una tipica strategia razionale di dominio, il cui scopo è il controllo globale dell’universo sociale. L’aspetto paranoide della razionalizzazione consiste nel fatto che essa crede e fa credere che si possa e si debba governare ogni azione umana. In questo gioco di specchi e di rimandi tra razionalità e razionalizzazione, la ragione potrebbe sembrare semplicemente l’essenza a priori della razionalità; spesso però essa si presenta come una strategia di copertura a posteriori della razionalizzazione. Talvolta alcune pratiche vengono presentate come negazione della ragione, come irrazionali. Al contrario, sostiene Morin, la ragione ha motivo di temerle proprio perchè sono iperrazionali. L’astrologia ad esempio non è affatto arazionale; essa pretende di spiegare coerentemente e “monisticamente” l’intera vicenda di un uomo a partire dalla sua data di nascita. Morin ha dunque analizzato la particolare forma che nella modernità ha assunto la razionalità occidentale: l’idea che il mondo sia essenzialmente ordinato. La logica della scienza classica è quella della macchina artificiale ed il suo esito più conseguente è appunto la tecnica mentre i rischi connessi CONVEGNI E SEMINARI al suo dispiegamento incontrollato mostrano che la razionalizzazione tende a diventare fine a se stessa, in un automatismo sganciato da un controllo razionale. Affrontando il discorso su di un piano storico più vasto, Morin rileva come, a partire da Platone, che utilizza e riduce il discorso mitico a metafora dell’argomentazione razionale, la ragione e la razionalità vengono saldamente fondate nel loro carattere logico. Nel medioevo l’eredità del pensiero greco viene assunta dall’Occidente cristiano e si prepara quella separazione che sarà tipica del moderno: da un lato la religione legata al mito e all’autorità, dall’altro la filosofia e le scienze legate alla ragione a all’empiria. La separazione dei domini dell’arte e della scienza trova la sua fondazione nell’epoca moderna nella distinzione cartesiana di res cogitans e res extensa e a tale separazione arte/scienza si affianca nelle istituzioni e nelle mentalità la separazione, che è segregazione, di “follia” e “sanità”. Il ragionamento empirico logicamente argomentato è oramai diventato l’immagine più precisa della scienza, in totale antitesi con il mondo dei miti e dell’arte. Morin ha poi sottolineato come la scienza occidentale ha sempre privilegiato la logica unitaria dell’identità: si pensi alla fondazione aristotelica della logica, tendente in primo luogo ad escludere la contraddizione, e alla deduzione che si è trasformata in puro calcolo logico, perdendo le originarie connotazioni ontologiche. Oggi la microfisica ha mostrato peròl’esistenza di leggi diverse per livelli diversi dell’universo che ha fatto entrare in una nuova fase il sapere a base logico-matematica. La teoria dei tipi logici di Russel/Whitehead e le scoperte di Gödel che hanno portato alla formulazione dei teoremi sull’indicidibilità hanno incrinato l’idea di certezza logico-matematica, basata sul presupposto della completezza di un sistema “chiuso”. La complessità del reale, scoperta dalla scienza, impone oggi una razionalità complessa e sistemi non ricondicibili alla logica unitaria dell’identità. Sottolineando il carattere di costruzione logica dei sistemi scientifici, Morin conclude che non si deve pretendere che le contraddizioni evidenziate dalla scienza corrispondano a contraddizioni “oggettive”. L’idea di una “razionalità complessa” ha senso solo in una logica della ricerca che non abbia come unico e prioritario punto di riferimento i processi induttivi/deduttivi della logica classica. Una tale razionalità rifiuta l’idea dell’identità di razionale e reale e si pone piuttosto come un’”antropologia della razionalità”, che vuole costitutivamente conoscere i suoi limiti. Ogni tentativo di negare fenomeni che non sod- disfino il criterio logico della ratio scientifica è a sua volta irrazionale. Scienza e tecnica all’alba del XXI secolo Il rapporto della filosofia con il senso comune e con l’etica, il problema di una formazione culturale non unicamente specialistica degli scienziati e dei tecnici, la possibilità e il diritto della riflessione etica di influire sulla ricerca scientifica: questi alcuni dei temi discussi nel convegno su Scienza e tecnica alla vigilia del XXI secolo, svoltosi nel novembre 1990 presso la Politechnic University di New York. Ha destato stupore la posizione di Wolfgang Schirmacher, filosofo tedesco specialista di Schopenhauer e docente alla Politechnic University, che, nel tentativo di affermare l’esigenza di un pensiero radicale e non compromesso con il senso comune, ha sostenuto una netta separazione tra la filosofia e la dimensione dei valori: la fame nel mondo, ad esempio, non è per Schirmacher motivo di preoccupazione, in quanto compito del filosofo non è di dare giudizi di valore ma di pensare. In contrasto con le tesi di Schirmacher, il filosofo viennese Peter Kempitis ha sottolineato l’insensattezza di una posizione che scambia la radicalità del pensiero con la rinuncia ai valori; se è giusto che i filosofi prendano distanza dalle tesi del senso comune per chiarirlo criticamente, questo non può però significare la sospensione dei valori umani, e la rinuncia a dare giudizi critici non può essere intesa come una forma di progresso. L’idea di progresso è legata, nella tradizione culturale occidentale, all’idea di sviluppo delle scienze e della tecnica. Nel convegno di New York questo tema ha creato un’accesa discussione. Il filosofo americano Daniel Conway, della Penn State University (Pennsylvania), ha criticato le attuali basi della formazione culturale degli ingegneri, lamentando l’unilateralità della loro preparazione matematica e fisica. Nell’era del computer questo è per Conway un sapere morto, a cui andrebbe sostituito lo sviluppo di strategie per la soluzione dei problemi, consistenti essenzialmente nella capacità di comunicare rispetto ai problemi che devono essere affrontati. Diversa l’impostazione del problema da parte di Viaceslav Stiopien, dell’Accademia delle scienze di Mosca, che ha indicato i rischi di una formazione troppo generale degli ingegneri, degli scienziati e dei tecnici: i computer sono un mezzo che richiede conoscenze estremamente specializzate, e per questa ragione la capacità da parte degli scienziati di comunicare e di riflettere sul senso e sugli scopi della propria attività sarebbe certamente un progresso, ma cor- rerebbe anche il rischio di rovesciarsi nel suo contrario. Se a favore dello sviluppo della capacità di riflessione e comunicazione gli ingegneri apprendessero meno nozioni sui fondamenti della matematica e dell’informatica, si andrebbe incontro al rischio di un aumento della dipendenza dai computer. Da più parti è stato messo in luce un ulteriore aspetto del problema della comunicazione nella scienza e nella tecnica: che altro non sarebbero che forme di comunicazione dell’umanità con la natura; una comunicazione che però può interrompersi, come mostrano i rischi di distruzione dell’ambiente che alcuni vedono connessi allo sviluppo della razionalità tecnico-scientifica. Questo aspetto del problema del rapporto tra tecnica e natura è stato trattato dal giapponese Souzaburou Tsunetoshi (Kyoto), che ha insistito sul fatto che la tecnica da un lato costituisce il fondamento da cui dipende la vita di tutti noi, ma che dall’altro essa minaccia di distruggere proprio i fondamenti vitali del nostro mondo. Nel sostenere la sua tesi Tsunetoshi ha affrontato il problema del rapporto tra tecnica e scienza: la tecnica dipende dalla scienza della natura, ma questa deriva la propria efficacia dalla possibilità di tradurre in modelli matematici differenziati la molteplicità delle percezioni umane, quella che Husserl chiamava nella Crisi delle scienze europee la «matematizzazione dei plena». Da tutto ciò deriva però secondo Tsunetoshi un effetto collaterale negativo: il modello unitario del mondo prodotto dalla scienza esclude ogni percezione che non si lasci esprimere attraverso il linguaggio dei numeri e porta a perdere una parte cospicua della realtà umana complessiva. La posizione razionalistica, che bolla ogni accesso intuitivo alla natura come irrazionale, fonda anche teoreticamente le tendenze che possono portare alla distruzione della natura stessa. Una possibile istanza di modificazione di questa situazione è il richiamo ad una nuova consapevolezza etica, che dovrebbe condurre al rafforzamento della responsabilità del singolo nei campi della scienza, della tecnica, dell’etica e dell’economia. Anche su questo punto le posizioni sono state però contrastanti: se i partecipanti sovietici (Tatjana Romanovskaja, Alexander Krushanov, Anatolij Michailov) hanno sottolineato il valore della disponibilità a riflettere sulle conseguenze delle azioni umane, da parte europeo-occidentale e statunitense è stato invece ricordato che scienza, tecnica, diritto economia e politica si sono sviluppate nella società moderna come ambiti differenziati e autonomi. Come è allora possibile che qualcuno riservi a se stesso il diritto di formulare prescrizioni morali? Come può l’etica, che è parte delle forme della cultura e della società, intervenire sulla ricerca scientifica? E d’altra parte, come si può rinunciare all’idea che la scienza, così importante per la strutturazione della vita associata nel mondo moderno, CALENDARIO CALENDARIO Si è svolto tra l’8 aprile e il 6 maggio presso la Casa Zoiosa di Milano un ciclo di lezioni sul tema Pensiero scientifico e pensiero filosofico - conflitto, alleanza o reciproco sospetto? La filosofia si interroga sulla scienza, ne analizza le metodologie ed i risultati misurando al contempo il proprio modello di razionalità. Paolo Rossi ha parlato di “Scienze della natura e scienze dell’uomo: la dimenticanza e la memoria”; Imre Toth dell’università di Regensburg ha svolto una relazione su “Il pensiero matematico: libertà e verità, negazione e creazione”; “Possibilità di una scienza estetica” il titolo dell’intervento di Dino Formaggio mentre Jean Petitot ha parlato su “Attualità scientifica ed etica del razionalismo critico”. Ha chiuso il ciclo la lezione di Ludovico Geymonat su “Filosofia e Scienza”. ● Informazioni: Casa Zoiosa, C.so di Porta Nuova 34, 20100 Milano. L’inclinazione all’ideologia nelle scienze umane è stato il tema del XV congresso dell’Associazione Libertà della Scienza, tenutosi il 26 aprile a BonnBad Godesberg. Tra i temi trattati nei diversi interventi: la tendenza all’ideologia nelle scienze storiche e nel diritto, il concetto di “scienza marxista” e il problema della perdita di rilevanza delle scienze dell’uomo. L’Istituto Suor Orsola Benincasa, in collaborazione con il College International de Philosophie di Parigi, ha orga- nizzato, nella sua sede napoletana (16-17 maggio) un incontro dal titolo: La philosophie en partage. Hanno parlato: Alain Pons (“Rhétorique et Philosophie dans la pensée italienne de l’humanisme à Vico”), Bruno Pinchard (“Paganisme et philosophie: ‘la spatialité du Dieu’. Une relecture de Malebranche”), Patrice Loraux (“Philosopher de biais”), Alain Badiou (“La philosophie comme operation soustractive”), Paolo Fabbri (“Des origines courantes des langues”), Charles Alunni (“La langue en partage”), Barbara Cassin (“Que veut dire ‘dire quelque chose’)"? - Parmenides, Gorgias, Aristote), Paul Henry (“De Gauss: l’impossible et les mathématique modernes”). ● Informazioni: Istituto “Suor Orsola Benincasa”, Via Suor Orsola, 10, Napoli. Gli stili della comunicazione culturale è il titolo del convegno che si è tenuto il 15 maggio presso il Circolo Culturale S. Chiara di Trento, a cura del Dipartimento di Storia della Civiltà Europea della locale Università e che ha messo a confronto le esperienze di comunicazione provenienti da diversi ambiti di intervento culturale. Hanno preso la parola Emilio Tadini (“A perdita d’occhio: cultura e ripristino della sensorialità”), Riccardo Ruschi (“L’informazione filosofica: diffusione o sviluppo del sapere?”), Roberto Barbolini (“Ai confini del letterario: i generi ‘bassi’ della comunicazione”), Renato Troncon (“Leggerezza e serietà: due categorie della filosofia della cultura”). L’Istituto per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Statale di Milano ha organizzato, nella propria sede, una serie di incontri. Tra il 15 aprile ed il 20 maggio si è svolta una serie di lezioni sul tema: Il simbolo e la cosa. Intorno all’oggetto dell’arte, con relazioni di Elio Franzini (“La costituzione della cosa”), Enrico Corradi (“Dal simbolo al simulacro. Radici filosofiche di una parabola postmoderna”), Alfredo Civita (“Affettività degli oggetti”), Gabriele Scaramuzza (“L’identità dell’oggetto”), Stefano Zecchi (“Simbolo e opera totale”). Venerdì 10 maggio Sergio Moravia ha tenuto una conferenza sul tema: Tempo, Esistenza e Salvezza. Il giorno 15 maggio, in occasione della presentazione del libro di Gabriella Fiori, Simone Weil. Una donna assoluta (La Tartaruga, Milano 1991), si è tenuta una conversazione sul tema: Attualità di Simone Weil, a cui hanno partecipato: Laura Boella, Giancarlo Gaeta, Laura Lepetit e Chiara Zamboni. Alla conferenza di JeanFrançois Lyotard: Les voix d’une voix (21 maggio) sono intervenuti Maurizio Ferraris, Pieraldo Rovatti e Federica Sossi. In occasione della pubblicazione del volume di Luisa Muraro, L’ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), si è tenuta una conversazione sul tema: Filosofia lingua materna, a cui hanno partecipato Laura Boella, Rosaria Guacci, Luisa Muraro. ● Informazioni: I.S.U. C.so di Porta Romana 19, Milano. L’Associazione Musica d’Insieme, in colaborazione con Centro Studi, ha organizzato il giorno 5 giugno, in occasione della pubblicazione del libro di Giovanni Piana, Filosofia della Musica (Guerini e Associati, Milano 1991), un incontro con l’autore a cui hanno partecipato Franco Donatoni, Paolo Ferrari, Cesare Pellegrini. Si è svolto martedì 18 giugno a cura dell’Istituto di Filosofia dell’Università di Padova un seminario di studi su: Lo scritto ‘inedito’ del giovane Heidegger su Aristotele. Interventi di Vincenzo Vitiello, Mario Ruggerini e Franco Volpi. Una giornata di studi intitolata a Roland Fréart de Cambray e la perfezione della pittura si è svolta a Palermo a cura del Centro Internazionale di Studi di Estetica. La figura e l’opera del teorico del classicismo francese sono state prese in esame, anche in riferimento alle tematiche estetiche della modernità, da Luigi Russo, Franco Fanizza, Bruno Toscano, Claudio Strinati e Michele Cometa. ● Informazioni: Centro internazionale studi di estetica, presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Palermo, Viale delle Scienze, 90128 Palermo. Martedì 7 maggio, nella sede della Fondazione Collegio San Carlo di Modena è stata presentata la rivista Atque - Materiali tra filosofia e psicoterapia (Moretti e CALENDARIO Vitali Editori, Bergamo) che si propone come laboratorio teorico tanto della riflessione filosofica, che della pratica psicoterapeutica. Si segnalano gli interventi di Remo Bodei, Paolo Francesco Pieri e Sergio Vitale. l Informazioni: Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena. Il College International de Philosophie di Parigi, nel quadro delle sue attività seminariali ha organizzato i seguenti incontri: 16 maggio - Conferenza di Jean Louis Schlegel: La theologie politique de Carl Schmitt. 27 maggio - Dibattito con Régis Debray in occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, Le cours de mediologie generale (Gallimard, Parigi 1991), con la partecipazione di Françoise Gaillard, Paul Virilio, Jacques Poulain. 31 maggio - Incontro internazionale sul tema: Liberalisme et démocratie moderne: quel universel?. Relazioni di Richard Rorty, Cornelius Castoriadis, Catherine Audard, Aziz Al-Azmeh. 1 giugno - Seminario di studi su: Gli scritti jenesi di Hegel (1803-1806), recentemente pubblicati in Francia. Il dibattito tra i curatori sarà aperto dalle relazioni di Jean Marie Lardic (“Hegel et Schelling: ctitique du formalisme et prise en charge de la contingence”) e di Myriam Bienestock (“Hegel à Iéna: Philosophie, politique et religion”). 13 giugno - Conferenza di Pier Aldo Rovatti dal titolo: Eloge de la Pudeur, con la partecipazione di Paolo Fabbri, Alessandro Dal Lago e Sergio Givone. Il giorno 18 giugno, presso la sede del Circolo Carlo Rosselli è stato presentato il libro di Mario Perniola, Del sentire (Einaudi, Torino 1991), sul quale sono intervenuti Umberto Eco e Paolo Fabbri. ● Informazioni: Circolo Carlo Rosselli, Viale Monte Grappa 8, Milano. Dal 28 al 30 giugno l’Accade- mia Evangelica di Bad Boll organizza un seminario di studio su: La mistica di Meister Eckhart e Jakob Böhme, tenuto da Peter Steinacker. ● Informazioni: Evangelische Akademie Bad Boll, Akademieweg 11, D-7325 Bad Boll. L’Istituto Mitteleuropeo di Cultura organizza dal 1 al 5 luglio a Bolzano un corso, in lingua inglese, sul tema Ontologia formale, con la partecipazione di B. Smith, I. Johansson, J. Perzanowsky e M. Burge. ● Informazioni: Centro Studi per la Filosofia Mitteleuropea, P.O. Box 201, I-38100 Trento. Si svolge dal 4 al 6 luglio presso la Werner Reimers Stiftung di Bad Homburg un convegno sul tema: Potere del pubblico - pubblicità del potere, organizzato dalla sezione “Filosofia politica e storia delle teorie” della “Associazione tedesca di scienze politiche”. Il numero dei partecipanti è limitato. ● Informazioni: Gerhard Göhler, FB Politische Wissenschaft der FU Berlin, Ihnestr. 21, D-1000 Berlin 33, tel. 030/8384212. Si svolge dal 4 al 7 luglio presso la Gesamthochschule di Kassel un convegno internazionale sul tema: Modernità viennese. Nel corso del convegno verranno trattati i temi “Mitteleuropa”, “Società”, “Teoria economica”, “Architettura”, “Arte”, “Musica”, “Teoria della scienza”, “Letteratura” e “Psicoanalisi”. l Informazioni: Dr. Richard Vahren-kamp.Fachbereich Wirtschaftswis-senschaften, Gesamthochschule, NoraPlatielstr. 4, D-3500 Kassel. Si svolge ad Heilbronn dal 5 all’11 luglio un convegno sul tema: Werner Sombart sociologo. ● Informazioni: Prof. Dr. Jürgen Backhaus, Faculty of Economics, Rijksuniversiteit Limburg, P.O. Box 616, NL6200 MD Maastricht. Dall’ 8 al 12 luglio l’Istituto Mitteleuropeo di Cultura di Bolzano organizza un seminario estivo sull’intelligenza artificiale dal titolo: Simbolo e referenza, con la partecipazione di B. Becker, C. Lischka, M. Boden, H. Dreyfus, e G. Heyer. Informazioni: Centro Studi per la Filosofia Mitteleuropea, P.O.B. 201, 38100 Trento. ● Si tiene dall’8 al 12 luglio in Ungheria il secondo Congresso europeo di psicologia dedicato al tema: Integrazione della differenza culturale e psicologia. ● Informazioni: National Scientific Organization Committee of the 2nd European Congress of Psychology, H1378 Pf. 4 Budapest, Izabella u. 46, Hungary. Si tiene dal 9 al 13 luglio a Santa Cruz il Secondo convegno internazionale di linguistica. l Informazioni: Eugene Casad, S.I.L., P.O. Box 8987 CRB, Tucson, AZ 85738, USA. La Spinoza-Gesellschaft organizza dall’11 al 14 luglio un Incontro di studio sulla ricerca spinoziana, con l’intento di promuovere e favorire i contatti tra i giovani studiosi del pensiero di Spinoza. ● Informazioni: SpinozaGesell-schaft, Richard-Wagner Str. 19, D-3000 Hannover 1. Si terrà dal 17 al 20 luglio presso la Werner Reimers Stiftung di Bad Homburg il convegno: Storia delle idee della neurobiologia, organizzato da Olaf Breidbach (Bonn) e Ernst Florey (Konstanz). Sono previsti interventi di E. Scheerer, E. Holenstein, W. Köck, P. Janich, E. Florey, A. Métraux, S. Schmidt, B. Becker, O. Breidbach, H. Schott, M. Hagner, B. Lohff, O.-J. Grüsser, H.-D. Henatsch, B. Fritsch, D. Linke e O. Creutzfeld. ● Informazioni: PD Dr. Olaf Breidbach, Institut für angewandte Zoologie, An der Immenburg 1, D-5300 Bonn 1. Tema della Settimana della Hochschule di Salisburgo 1991 (22 luglio - 3 agosto) è Il Cristo del futuro - un mistico. Sono previste tra le altre le lezioni di J. Sudbrack, E. Bauer, Bernhard Grom, Paulus Gordan, Hans Waldenfels. Diversi i seminari, tra cui si segnala quello su Giovanni della Croce. ● Informazioni: Salzburger Hoch-schulwochen, Postfach 219, A-5010 Salzburg. Si svolgerà dal 4 al 9 agosto a Campinas in Brasile il secondo incontro internazionale di filosofia del linguaggio sul tema: Le inter-relazioni tra discorso mentale e discorso verbale. ● Informazioni: CLE, Unicamp, C.P. 6133, BR-13081 Campinas, S.P., Brasile. Si terrà dal 7 al 14 agosto a Uppsala il IX Convegno di Logica, Metodologia e Filosofia della scienza. ● Informazioni: Dag Prawitz, Istituto di Filosofia, Università di Stoccolma, S-10591 Stoccolma. Si svolgerà dal 18 al 25 agosto a Göttingen un convegno sul sistema del diritto e la ragione pratica. ● Informazioni: Roberta Kevelson, Center for Semiotics Research, Penn State, Reading, PA 19610, USA. Si terrà dal 12 al 16 agosto presso l’Università dell’Oregon, a Eugene, il Diciottesimo congresso humeano. Informazioni: Prof. D. Coleman, Dept. of Philosophy, Bowdoin College, Brunswick, ME 04011. ● Si svolgerà dal 18 al 25 Agosto a Kirchberg am Wechsel (Niederöster-reich) il XV Convegno internazionale wittgensteiniano, dedicato al tema L’etica applicata e i suoi fondamenti. CALENDARIO Sono previste le seguenti sezioni: “Etica dell’ambiente e bioetica”; “Etica della medicina”; “Etica della scienza e della tecnica”; “Etica economica e del lavoro”; “Etica della società, politica e diritto”; “Obiettivi e fondamenti dell’etica applicata”. E’ previsto inoltre un gruppo di lavoro sui temi: “Wittgenstein: nuove prospettive” e “La forma di vita morale: l’importanza di Wittgenstein per l’etica”. Nel corso del convegno si terrà anche un seminario, organizzato in collaborazione con la Kurt GödelGesellschaft, sul tema: “A sessanta anni dal principio di incompletezza”. Informazioni: Oesterreichische Ludwig Wittgenstein Gesell-schaft, Dr. A. Hübner, A-2880 Kirchberg am Wechsel. ● Dal 20 al 30 agosto si terrà in Grecia il terzo convegno internazionale sulla filosofia greca, dedicato al tema: La filosofia dei pitagorici. ● Informazioni: International Asso-ciation for Greek Philosophy, 5 Shimonidou, 17456 Almos, Grecia. Dall’1 al 6 settembre si svolgerà a Stoccarda il IV Convegno internazionale sul tema: L’interazione uomo-macchina. ● Informazioni: FraunhoferInstitut, Nobelstr. 12, W-7000 Stuttgart 80. Si terrà dal 3 al 5 settembre presso l’Università di Reading in Inghilterra un convegno su Le Meditazioni di Cartesio. Informazioni: Dr. J.G. Cottingham, Dept. of Philosophy, University of Reading, Reading RG6 1AH, England. ● Dal 9 al 13 settembre si terrà presso l’Università di Treviri un convegno internazionale sul tema: Neokantismo: prospettive e problemi. L’intervento di apertura di J. Vuillemin tratterà il tema “Il neokantismo e l’idea della possibilità della fisica contemporanea”. Le relazioni saranno svolte da F. Tenbruck, H. Wismann, W. Flach, R. Malter, N. Hinske, F. Bianco, H. Holzey, H.L. Ollig e F. Fellmann. ● Informazioni: Prof. Dr. E.W. Orth, Universität Trier, Abteilung Philosophie, D-5500 Trier-Tarforst. Si svolgerà dal 23 settembre al 4 ottobre a Dubrovnik un corso sul tema: Uomo e società nella prospettiva del razionalismo critico. Tra i relatori Hans Albert, Werner Becker, Dariusz Aleksandrowicz, Fred Eidlin, Volker Gadenne, Vladimir Katasonov, Harald Ketuh, Michael Schmid; Dieter Wittich, Peter V. Zima. ● Informazioni: Prof. Dr. Kurt Salamun, Institut für Philosophie der Universität Graz, Heinrichstr. 26, A-8010 Graz. Si terrà dal 25 al 29 settembre il Convegno biennale della Società Internazionale di Storia e Retorica. ● Informazioni: Prof. N. Struever, Humanities Center, The John Hopkins University, Baltimore, MD 21218. Dal 30 settembre al 4 ottobre si terrà a Goslar un convegno su: Segni della cultura nell’ambito di apprendimento della natura, organizzato dalla sezione di Antropologia della Società tedesca di semiotica. ● Informazioni: Dietrich Röller, Staatliches Studien-seminar, Peterstr. 44, W-2900 Oldenburg. Nel mese di Ottobre E. Zolla terrà a Venezia una conferenza su: Il significato della luce, promossa dall’Organizzazione Internazionale Nuova Acropoli. ● Informazioni: Organizz. Internaz. Nuova Acropoli, Piazza Colonna 355, Roma. L’Istituto di Scienza e Arte, in collaborazione con l’Istituto “Circolo di Vienna”, organizza dall’1 al 4 ottobre, in occasione del centenario della nascita di Rudolf Carnap, Hans Reichen-bach e Edgar Zinsel, un convegno internazionale sul tema: Vienna, Berlino, Praga. Lo sviluppo della filosofia scientifica. Sono previste le seguenti sezioni: “Gli anni viennesi di Carnap”; “Reichenbach a Berlino”; “Edgar Zinsel: filosofia, riforma della scuola e cultura popolare nella ‘Vienna rossa’”; “Carnap a Praga”; “Reichen-bach nell’esilio in Turchia”; “Zinsel: problema dell’applicazione, problema del genio e unità della scienza”; “Carnap negli USA”; “Reichenbach negli USA”; “Zinsel negli USA”. La sezione Lucana della Società Filosofica Italiana organizza a Matera, dal 3 al 5 ottobre, un programma di conferenze sul tema: Il dolore. Modi di interpretazione della sofferenza. ● Informazioni: Preside Rocco Zagaria, c/o Liceo Scientifico “D. Alighieri”, Viale Moro 1, Matera. Il Seminario di Filosofia e la Facoltà di Diritto dell’Università di Ginevra, in collaborazione con la rivista “European Yearbook for Philosophy”, organizzano dal 3 al 6 ottobre un convegno sul tema: Giustizia sociale: pro e contro. ● Informazioni: Christine Tappolet, Université de Genève, Faculté des Lettres, Département de philosophie, CH-1211 Genève. Si svolgerà ad Hannover dal 7 all’11 ottobre il convegno della “Associazione tedesca di scienze politiche”, dedicato al tema: Stato e democrazia in Europa. Sono previste le seguenti sezioni: “Il futuro dello stato”; “Conflitto e consenso”; “Il mondo degli stati europei”. ● Informazioni: Deutsche Vereini-gung für Politische W i s s e n s c h a f t ” , Residenzschloss, D-6100 Darmstadt, tel. 06151/163197. La Società di Filosofia Analitica organizza dal 9 al 12 ottobre a Saarbrücken un convegno sul tema: Prospettive della filosofia analitica, articolato nelle seguenti sezioni: “Logica”, “Teoria della conoscenza”, “Epistemologia”, “Storia della scienza”, “Filosofia del linguaggio”, “Filosofia pratica”. ● Lehrstuhl für Systematik und Ethik, FR 5.1., Universität des Saarlandes, D-6600 Saarbrücken. Si terrà dal 17 al 20 ottobre presso la Duke University, Durham, USA il Settimo incontro annuale della Società Internazionale di Psicofisica. ● Informazioni: Robert TeghtSoonian, Dept. of Psychology, Smith College, Northampton, Mass. 01063, USA. DIDATTICA DIDATTICA a cura di Riccardo Lazzari La filosofia e i manuali La recente pubblicazione concomitante di alcuni manuali per l’insegnamento filosofico nei licei ripropone alcune questioni di confine tra la didattica e la filosofia. Cercheremo di metterle in evidenza nel corso di un’analisi dei nuovi manuali, che ne metta in luce le motivazioni di fondo e i tratti salienti. I grandi nodi della storia della filosofia. Il primo testo che si segnala è la Storia della filosofia in tre volumi di Enrico Berti (Laterza, Roama - Bari 1991), scritta con la collaborazione di Franco Volpi per la parte contemporanea (3° vol., Ottocento e novecento). Berti è arrivato alla realizzazione di questo manuale dopo un ampio ed approfondito impegno intellettuale non solo come storico della filosofia - sono noti, e non solo in Italia, i suoi studi sul pensiero aristotelicoma anche come docente che si è ripetutamente confrontato - prima nei licei, poi, da venticinque anni, nell’università con i problemi connessi all’insegnamento della filosofia. Potrebbe stupire - è lo stesso autore a rilevarlo - che dopo aver sempre sostenuto la necessità per i giovani di un approccio diretto ai testi dei grandi filosofi, in polemica con l’eccessivo manualismo dell’insegnamento della filosofia nei licei, egli stesso sia approdato alla stesura di un nuovo manuale. Ma è stata proprio l’esperienza svolta a contatto con gli insegnanti, specialmente nell’ambito della Società Filosofica Italiana - durante la sua presidenza fu realizzata la nota inchiesta sull’Insegnamento della filosofia (a cura di L. Vigone e C. Lanzetti, Laterza, Roma - Bari 1987) - a convincerlo della insostituibilità del manuale come strumento di lavoro per i docenti e, soprattutto, per gli studenti. Proprio gli studenti sono i naturali destinatari del manuale di Berti: un manuale che pertanto non va incontro a specifiche esigenze dei docenti, se non a quelle strettamente didattiche; esso presuppone una figura di docente preparato sia sotto il profilo culturale che didattico, che disponga di conoscenze aggiornate sulla materia e soprattutto sappia orientarsi tra i testi filosofici. Dovendo servire innanzitutto agli studenti, è stato privilegiato da Berti il criterio della chiarezza: chiarezza nell’uso del lessico e nella esplicitazione dei significati, chiarezza e sobrietà espositiva, con la rinuncia intenzionale ad appesantire il testo con citazioni dirette, con letture antologiche o con riferimenti al «conflitto delle interpretazioni». A ciò si aggiungono un considerevole rigore espositivo che si sottrae alla semplificazione divulgativa, una precisione mai pedissequa nei riferimenti agli autori, alle fonti e alle opere, un attento richiamo alle cronologie: caratteristiche queste che convergono nello scopo di abituare lo studente a uno studio non superficiale od occasionale della filosofia. Come l’autore afferma espressamente, egli ha seguito un criterio di esposizione storica, che non intende scadere nella semplice dossografia, né avallare un criterio d’interpretazione storicistico: l’esposizione delle idee, in riferimento alla situazione storica in cui sono nate e alla loro genesi nell’evoluzione del pensiero dei singoli autori (dei quali si dà sempre un profilo preciso della vita), non conduce ad assumere, come criterio ultimo di valutazione teorica, la storia stessa. La scelta di Berti di affrontare da solo la redazione di questo manuale, avvalendosi solo per la parte contemporanea della collaborazione di Franco Volpi, ha consentito di raggiungere una maggiore omogeneità didattica e coerente esposizione rispetto ad altri lavori dello stesso tipo scritti “a più mani”. L’autore stesso, d’altra parte, precisa che il suo testo non pretende di insegnare tutto: «la storia della filosofia non è un processo omogeneo e continuo, in cui tutti i pensatori siano uguali, ma è come una rete, fatta di tanti fili e di alcuni grandi nodi». A questi nodi, alla loro conoscenza il più possibile approfondita, è rivolto in particolare il manuale di Berti. La scelta dell’autore sembra dunque fondarsi su un modello di insegnamento della filosofia che privilegia soprattutto la conoscenza dei «classici», cercando, attraverso l’esame puntuale del loro pensiero, di mettere in luce le strutture argomentative del discorso filosofico, la sua specificità, nonché i nuclei problematici portanti dell’indagine filosofica, i quali fanno sì che, nonostante le diverse soluzioni e l’evoluzione storica delle dottrine, si possano riconoscere alcuni aspetti permanenti della tradizione filosofica. Il più ampio risalto è dato, nel primo volume, all’esposizione del pensiero di Platone e Aristotele. Più concisa è la trattazione di altre correnti del pensiero antico, sia perché la loro conoscenza dipende essenzialmente dalle testimonianze di Platone ed Aristotele (i presocratici), sia perché di altri autori possediamo conoscenze solo frammentarie (le correnti dell’età ellenistica), sia perché infine si tratta di sviluppi che dipendono in larga misura dalle dottrine dei due maggiori filosofici greci (il pensiero medievale). Anche i successivi volumi confermano la scelta orientata verso un privilegiamento della trattazione dei maggiori filosofi, relegando ad una funzione di subordine, non però residuale, quella di filosofi che non si situano intorno ai grandi nodi della storia della filosofia. Le correnti e le tradizioni sono delineate nelle loro linee portanti, spesso rinunciando a schemi interpretativi alquanto logori o ormai dubbi; si è scelto, per esempio, di presentare il panorama filosofico del '400 e '500 in modo cronologico, rinunciando alle grandi sintesi basate sulle categorie filosofiche di «umanesino» e «rinascimento», in modo da dare risalto alla complessità degli indirizzi dell’epoca ed al persistere, accanto alle novità, delle tradizioni. Si troverà così che alle filosofie innovatrici di Bruno e Campanella sono dedicate poche pagine, pressappoco le stesse dedicate al tema dell’aristotelismo rinascimentale. Grande spazio è dato invece non solo alla trattazione dei sistemi del '600 e dell’opera di Kant, ma anche alla «rivoluzione scientifica» moderna. Una cura particolare è stata rivolta al tema della storia delle scienze, non da ultimo perché essa trova attualmente, come unica possibilità di insegnarla, una collocazione nell’insegnamento storico-filosofico. Il terzo volume risulta il più ampio, caratterizzandosi in particolare sia per la chiara e approfondita trattazione del pensiero di Hegel, sia per l’ampia disamina delle filosofie del '900. Franco Volpi ha curato i capitoli su Nietzsche, sulla fenomenologia e su Heidegger, sulle prospettive odierne della razionalità filosofica. Il fatto che la Storia della filosofia di Berti non porti in appendice una selezione di testi, come per lo più avviene nei manuali recenti, non significa che intenda sostituirsi alla lettura diretta delle opere dei filosofi: DIDATTICA piuttosto essa l’affianca, facendo da necessario strumento di mediazione fra i testi dei filosofi, il lavoro dell’insegnante e le esigenze di chiarezza, di decodificazione dei contenuti, oltreché di sintesi, proprie dello studente. La filosofia e i “rimedi” del manuale. Poiché il nuovo manuale per i licei di Emanuele Severino Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti (3 voll., Sansoni, Firenze 1991) ricalca puntualmente, sino nell’articolazione dei capitoli e dei paragrafi, con alcune brevi integrazioni, i suoi precedenti tre libri di storia del pensiero filosofico, già editi da Rizzoli: La filosofia antica (1984), La filosofia moderna (1984), La filosofia contemporanea (1986), ci sembra opportuno richiamarci brevemente a quanto l’autore già scriveva nell’introduzione al primo libro. L’opera, di cui inizialmente erano stati progettati solo i due primi libri, era rivolta «a chi non ha alcuna conoscenza della filosofia, a chi ne ha poca e, anche, a chi dovrebbe averne (...), ma ci si raccapezza poco». Oggigiorno sembra più difficile che in passato ritrovare la «chiarezza essenziale del pensiero filosofico», giacché sono andati smisuratamente moltiplicandosi le relazioni con gli altri settori culturali: se prima la filosofia era «una città dalla quale si dipartivano molte vie che la collegavano a diverse contrade, oggi invece le vie, oltre a moltiplicarsi, son divenute lunghe autostrade che portano a miriadi di metropoli». La filosofia si presenta sempre in compagnia delle diverse discipline scientifiche (della natura, dell’uomo e così via), sicché «in questo affollamento» è difficile scorgere ancora il suo volto. L’opera di Severino intendeva pertanto aiutare il lettore a orientarsi, a ritrovare la radura, da cui incominciare a «guardare in faccia alla filosofia». A questo fine, sosteneva Severino, occorre anzitutto accostarsi alle grandi filosofie apparse nella storia, e in particolare alla filosofia greca: non esistono semplificazioni tali da rendere questo avvicinamento all’ «alta montagna della filosofia» un compito facile, quasi un «gioco filosofico per bambini» o un «gioco per bambini filosofi». Pertanto con questa sua opera Severino si proponeva solo di diradare le nubi, «affinché la montagna, sia pur da lontano, mostri il suo profilo». Da queste premesse venivano poi tratti alcuni spunti in merito all’immagine della filosofia nelle scuole. Qui prevale il tentativo di mettere la filosofia in relazione alle “scienze umane”, ovvero di trasformare i problemi filosofici in problemi scientifici, dimenticandosi come le radici della razionalità filosofica «provengano da quella evocazione del senso stesso della “ragione”, in cui consiste il pensiero greco e che si ripropone continuamente nella filosofia ... fino a Hegel». Sempre più è invalsa la tendenza a presentare la storia della filosofia come una pluralità di tentativi teorici succedutisi nel tempo, smarrendo la visua- le per cui tale storia consiste in una struttura che unifica la loro molteplicità delle teorie. Da qui Severino traeva lo scopo della sua opera: «il profondo legame che unisce le grandi filosofie: ecco quanto qui si intende soprattutto indicare al lettore». Quest’opera, egli aggiungeva, «non sostituisce quindi il manuale di storia della filosofia o il dizionario filosofico. Non solo non si parla qui di filosofi anche di grande rilievo, ma non si parla nemmeno di interi grandi periodi della storia del pensiero filosofico.» Le filosofie medievale e rinascimentali, in quanto possono essere intese come due grandi propaggini della filosofia greca, rimangono al di fuori di un discorso, il quale «mira a indicare la forma originaria del legame che unisce tra loro i grandi momenti della storia della filosofia». A questa omissione, che dunque non era una lacuna, ma una scelta ragionata, Severino ha ovviato nella versione “scolastica” del suo lavoro con l’inserimento di alcuni brevi capitoli di raccordo e con altri brevi rimaneggiamenti. Ma nella sostanza la disposizione della materia non cambia. Non cambia per esempio la scelta di concludere la filosofia moderna con l’esposizione del pensiero di Hegel (di cui si ricostruiscono in 16 pagine le linee portanti del sistema, omettendo del tutto un’analisi degli scritti giovanili e della Fenomenologia dello spirito) e di far cominciare la filosofia contemporanea con Schopenhauer (dopo un riepilogo sulla Filosofia, il terrore e il rimedio ed una anticipazione dei tratti epocali della filosofia contemporanea); non cambia l’impostazione dei tre volumi che vedono frequenti paragrafi e capitoli di riepilogo e di transito a nuove problematiche, nei quali l’autore cerca di fare il punto sul «problema autentico della filosofia»; soprattutto, non cambia un’impostazione che a questo problema autentico sacrifica molti altri aspetti della ricerca filosofica. Di nuovo troviamo invece una scelta di letture antologiche e di messe a punto biografiche sui filosofi a cura di Giorgio Brianese. Convinzione di Severino è che la filosofia greca «apre lo spazio in cui cresce la civiltà occidentale e quindi la scienza moderna». Ora, la filosofia greca è quel pensiero che «porta alla luce un senso del divenire che non si era mai reso visibile lungo la storia dell’uomo». L’esistenza del divenire, inteso come passaggio dal non essere all’essere e dall’essere al non essere, diventa un’evidenza originaria dell’episteme. Questa costituisce il primo «rimedio» che la filosofia appronta contro il «terrore» provocato dalla imprevedibilità del divenire, contro l’uscire dal niente e il ritornarvi da parte delle cose del mondo: svelando il senso e l’origine del divenire, ponendo alla base di questo una realtà immutabile, l’episteme è capacità di previsione e anticipazione del divenire. Ma in quanto la filosofia evoca il «senso inaudito» del divenire, essa implica anche l’ «estrema impossibilità di anticipa- re in una Legge immutabile il divenire del mondo». La storia della filosofia appare come lo sviluppo dello scontro fra queste due istanze in contrasto - dove però il contrasto si inscrive nell’accoglimento del senso greco del divenire. Se fino a Hegel la filosofia si concepisce come episteme, come elaborazione del principio che il divenire può esistere solo se esiste l’immutabile, dopo di lui si fa strada il principio che il divenire può esistere solo se non esiste alcuna realtà immutabile: la filosofia contemporanea è questa distruzione dell’episteme, del primo grande riparo contro il terrore. In quest’ottica si giustifica il criterio di far cominciare, espositivamente, la filosofia contemporanea con Schopenhauer; del resto lo stesso passaggio dalla filosofia antica alla filosofia moderna è solo una variazione che avviene all’interno del contesto dell’episteme, riguardando solamente la diversa dislocazione del mondo del divenire, che viene dalla seconda identificato col pensiero. Severino dichiara esplicitamente nell’Avvertenza al primo volume che l’interpretazione dello sviluppo del pensiero filosofico da lui proposta nel manuale è consapevole del proprio carattere ipotetico: l’autonomia dell’insegnante rispetto al manuale non consisterà, come spesso avviene, nel selezionare alcune parti significative, ma nel discutere la proposta culturale che contenuta nel manuale, integrandola con quei temi che egli ritiene indispensabili. Risulterebbe disorientante per lo studente confrontarsi con un manuale eclettico, fatto per tesi contrastanti o non bene armonizzantesi, o costruito in base ad un’ipotesi (per es. il criterio dell’«oggettività storica») data solo in maniera implicita. «E’ dunque preferibile conclude Severino - che l’atto unificante da cui è prodotta l’interpretazione storica l’ipotesi ermeneutica - agisca alla luce del sole e non nella penombra o alle spalle». Con questo però non vien meno la domanda sulla reale validità didattica di una soluzione interpretativa che pone lo studente di fronte a una sola ipotesi, così fortemente caratterizzata rispetto alla pluralità degli indirizzi e dei significati della filosofia, con il rischio che dinanzi a questa proposta lo studente possa trovarsi in una situazione di semplice spettatore di un grande evento il cui senso è già tutto esplicitato, sin dalle prime pagine. La filosofia come ricerca proteiforme. Il manuale in tre volumi di Paolo Casini e Mario Benvenuti, Ragione e storia. L’attività filosofica nella cultura delle società occidentali (3 voll. Palumbo, Firenze 1991), risponde all’intento degli autori di offrire un filo conduttore per «orientarsi nel labirinto delle maggiori correnti e figure del pensiero occidentale». Il lavoro non muove da una definizione preliminare della filosofia, ma da un’ottica che la considera, più semplicemente, come «un’attività intellet- DIDATTICA tuale tra le altre, multiforme, soggetta nel tempo a profondi mutamenti d’immagine». Il titolo del manuale non pretende certo ristabilire un rapporto d’identità fra «ragione» e «storia», ma allude al tentativo di rappresentare in modo credibile le «varie avventure della ragione... sullo sfondo complesso del mondo storico circostante». Occorre però liberarsi secondo gli autori da alcune delle più frequenti «illusioni ottiche» legate all’impiego dei manuali. La prima di queste deformazioni consisterebbe nella concezione che la filosofia, nel suo sviluppo storico, «si sia costantemente applicata alla soluzione di un certo numero di problemi astratti, astrusi, immutabili, e sostanzialmente insolubili: i cosiddetti “Massimi Problemi”». A questa deformazione, che favorisce peraltro una visione dogmatica della filosofia, occorre opporre un’immagine per così dire più “relativista”, più “laica” della filosofia, in funzione del fatto che essa «ha subito ogni sorta di trasformazioni» nel corso dei secoli, tali da giustificare il vecchio adagio veritas filia temporis. La seconda deformazione tipica dei manuali consiste nella eccessiva semplificazione del racconto, nel disegnare solo i tracciati interni della storia della filosofia: «nasce allora l’illusione che la storia del pensiero si possa ridurre ad alberi genealogici di pure idee». Questa concezione di «una partenogenesi di pensieri puri da altri pensieri» comporta una visione “rivelativa” della filosofia, presentata come un sapere che nasconde alcuni nuclei invarianti di verità. Gli autori del manuale non nascondono a questo proposito di aver praticato una scelta per così dire «esternista», e cioè opposta ad una visione della filosofia come un sapere che si autoproduce secondo linee solo interne. Con questo essi non intendono cadere in «vaghe generalizzazioni sociologiche», né riattualizzare una concezione semplificata del rapporto, di marxiana memoria, fra struttura economica e sovrastruttura ideologica, ma mettere in luce come «la riflessione filosofica sia stata variamente influenzata dall’incidenza degli eventi storici e dalle novità che germogliano in altri campi del sapere». In realtà questa scelta «esternista» sembra qui più giustificata per ciò cui si oppone criticamente (il mito della generazione spontanea delle idee), che non per motivazioni che chiariscano il senso dell’impresa filosofica rispetto a quello di altre imprese intellettuali. La terza prospettiva deformante richiamata dagli autori è quella per cui si tende ad attualizzare il passato, nel senso di proiettare sulla cultura filosofica di altri tempi parametri valutativi odierni. Anche qui l’obiettivo polemico è costituito da qualsiasi approccio che riproponga una visione della philosophia perennis, finendo invero solo per attribuire, sulla base del primato della pura speculazione, concezioni attuali al passato. E’ il caso delle filosofie nichilistiche ed irrazionalistiche del nostro Un'incisione di Gian Pietro Birago dal "Livre scolaire de Maximilien Sforza", 1496-199 (Milano, Bibliot. Trivulziana) secolo, le quali travestono, sub specie aeternitatis, il malessere della nostra civiltà. Per gli autori l’illusione del primato della filosofia, come scientia scientiarum, è non solo anacronistica, ma inaccettabile per la comprensione della multiforme vicenda del pensiero umano. Dall’illuminismo in poi non esiste più una filosofia sistematica o gerarchica, una filosofia speculativa, capace di «dare il la alle singole discipline». Per gli autori, dinanzi a questo stato di cose, non bisogna, spinozianamente, «né piangere, né disperarsi, ma comprendere». «Ed è appunto compito della ricerca storica tentare di ricostruire la crescita di quello che si definiva fino a due secoli fa l’arbor scientiarum». Ma, potremmo osservare, se la filosofia così come si è configurata per diversi secoli costituisce ormai solo un episodio trascorso della cultura umana, la cui eredità più viva è da cercarsi nelle infinite branche che dal suo tronco si sono sviluppate, perché occuparsene ancora, almeno dal punto di vista dello studente liceale, se non per un puro interesse storico? I testi dei filosofi e la loro salvaguardia. L’antologia in tre volumi di Sergio Sabbadini e Marco Manzoni, La biblioteca dei filosofi (Marietti Scuola, Casale Monferrato 1991), nasce da una viva esperienza didattica e vuole colmare una lacuna dell’insegnamento tradizionale della filosofia, di solito centrato su un apprendimento puramente manualistico e su una lettura dei testi solo occasionale o esemplificativa del pensiero dei filosofi. La proposta degli autori non intende sostituirsi all’uso del manuale tradizionale, ma ridimensionarne la centralità finora pressocché esclusiva e, in questo modo, riqualificare le finalità dell’insegnamento filosofico. Per sua natura il manuale tende a ricorrere ad un’esposizione per lo più assertoria anziché problematica, a fornire risposte laddove allo studente non sono ancora chiari i quesiti che le precedono. In questa direzione la consuetudine all’analisi dei testi presenta il vantaggio di permettere allo studente di acquisire specifiche abilità relati- DIDATTICA ve alla conoscenza del pensiero e allo stile speculativo dei filosofi, nonché di acquisire un metodo di lettura e di comprensione che lo rende progressivamente autonomo nell’interpretazione dei testi. L’incontro con i testi non deve avere peraltro natura occasionale, ma costituire parte integrante della lezione e della programmazione didattica: la “lezione frontale” tende a trasformarsi in una lezione propedeutica al lavoro di lettura, ogni testo diventa un’opportunità di approfondimento e di riflessione. Alla lettura e allo studio del solo manuale subentra uno studio integrato del testo e del manuale; a sua volta la verifica degli obiettivi didattici può condursi secondo una gamma di possibilità più ampia della tradizionale interrogazione, e appare vincolata all’effettiva acquisizione di abilità e di conoscenze relative ai testi filosofici, piuttosto che agli aspetti “metatestuali” del manuale. Come chiarisce Salvatore Natoli nella sua “Presentazione”, La biblioteca dei filosofi ha inteso tenere «in giusto equilibrio ed in perfetta circolarità la sicurezza e la lucidità dei criteri con le istanze dei destinatari e, nella specie, degli studenti e degli insegnanti»: la selezione dei testi, mai ridotti a scarni frammenti, ma attenta a conservare il «ritmo interno» della scrittura degli autori, non si basa solo su criteri di ordinamento intrinseci alla disciplina, ma tiene conto soprattutto della utilizzabilità didattica dei testi. Precisano gli autori che, se l'antologia presenta un numero non cospicuo di brani, «tuttavia offre una panoramica rappresentativa in grado di valorizzare i testi scelti nella loro integrità. I testi presentati non hanno subito tagli interni e ricomposizioni. I più brevi sono completi, di tutti gli altri si è conservata l’integrità interna». Il merito principale di questa antologia consiste proprio nel tentativo di salvaguardare i caratteri peculiari del testo filosofico di fronte ai rischi di frammentazione che deriverebbero da una scelta troppo vasta. L’antologia si articola per unità didattiche. I testi sono preceduti da introduzioni e da schede di presentazione degli autori e delle loro opere. Ogni scelta testuale è corredata da numerose note esplicative; al termine vi è una sezione di «analisi del testo», dedicata alla messa a fuoco di alcuni passaggi fondamentali rispetto ai quali vengono elaborati dei quesiti: lo studente è così sollecitato a riflettere sullo svolgersi dei pensieri dell’autore, sulle procedure argomentative, a rilevare l’uso delle metafore e il loro significato nel testo filosofico, a comprendere il lessico, e soprattutto ad esercitare una personale coscienza critica, «riconoscendo, grazie al testo, pregiudizi e precomprensioni personali, sino ad esprimere valutazioni argomentate». A completamento delle sezioni dedicate all’analisi dei testi vi è un repertorio lessicale e un avviamento alla lettura di brevi, ma significativi testi critici. Una «Guida per l’insegnante» offre spunti per la programmazione didattica e propone, per ogni anno, percorsi specifici attraverso i testi, che vertono intorno alle forme e agli stili della razionalità filosofica, etico-politica, scientifica. A queste finalità, sebbene con una fisionomia originale, si avvicina il testo di C. Ciancio, G. Ferretti, A. Pastore, U. Perone, Filosofia: i testi, la storia (3 voll., SEI, Torino 1990), che non vuole essere solo un’antologia, ma un intero corso di filosofia, strutturato per scelte di ordine testuale. Su di esso abbiamo già riferito nel numero precedente della rivista. Filosofia e storia della filosofia Qual è il rapporto tra il pensiero dei filosofi, il dibattito storiografico e le immagini manualistiche? In che misura la storia della filosofia può dirsi «filosofica»? Da che cosa nascono e a che servono le «semplificazioni» offerte dai manuali? Questi interrogativi sono alla base del recente studio di Silvia Parigi, Tra filosofia e storia della filosofia. Il dibattito razionalismo-empirismo (La Nuova Italia, Firenze 1991), pubblicato nella collana “Laboratorio didattico”, diretta da Benedetto Vertecchi. In apertura del lavoro l’autrice sottolinea come lo studente che intraprende lo studio della filosofia si trovi davanti «un manuale diviso in capitoli occupati dalla presentazione di periodi e correnti, scuole o tradizioni di pensiero, ma più spesso dedicati ciascuno ad un filosofo». Da qui si passa, nell’insegnamento liceale, alla lettura di alcuni classici, ritenuti accessibili allo studente della scuola superiore, e se lo studente accede agli studi universitari, si abitua anche a padroneggiare la letteratura critica per analizzare e comprendere le opere dei filosofi. Solo come possibilità-limite lo studente è portato a rendersi conto che, «a partire dalla crisi della storiografia idealistica (...), esiste un acceso dibattito “metafilosofico” sulla natura della filosofia e sui suoi rapporti con la storia della filosofia». All’analisi di questo problema è rivolto il lavoro di Silvia Parigi. Si parte da una presentazione comparata degli approcci manualistici tradizionali al dibattito “razionalismo-empirismo” nella filosofia moderna (esemplificati sulla base del Sommario di storia della filosofia di M. Dal Pra, della Storia della filosofia di F. Adorno, T. Gregory e V. Verra, del Pensiero occidentale dalle origini ad oggi di G. Reale e D. Antiseri), per tentare di ridisegnarne i contorni attraverso i testi dei filosofi che ne sono protagonisti, portando alcuni esempi di approcci contemporanei (Popper, Rorty e altri) ed esponendo infine l’ipotesi interpretativa che ha sorretto il lavoro. Convegni Organizzato dal Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Università di Macerata, si è tenuto a Firenze nei giorni 8 e 9 marzo un convegno sul tema: Il testo e la parola. L’insegnamento della filosofia nell’Europa contemporanea. Il convegno si è sviluppato attraverso una serie di relazioni di carattere teorico e si è concluso con una tavola rotonda centrata su argomenti più specificamente legati alla didattica. Tutti i relatori hanno sottolineato come per insegnare filosofia sia necessario porsi alcune domande preliminari sui caratteri della disciplina. Tali domande riguardano anche la natura del testo filosofico, quali peculiarità debba possedere per essere definito «classico», quali strategie sia necessario mettere a punto per farne emergere gli aspetti più rilevanti, quali i rapporti tra i testi e le società. Ha aperto i lavori Ugo Perone (“Testo, interpretazione, verità”), che ha subito incentrato l’attenzione sul testo come luogo privilegiato per l’apprendimento della filosofia. Solo attraverso l’analisi del testo è possibile un approccio critico, storico ed ermeneutico, evitando il pericolo di schematizzazioni e banalizzazioni. Perone ha sottolineato l’intenzionalità totalizzante propria del testo filosofico, criticando la tendenza estetizzante di chi vuole analizzarlo semplicemente in base al criterio dell’originalità e lo sottrae così al controllo dialettico. La relazione di Janös Petöfi (“Teoria del testo ed analisi dei testi filosofici”), di natura strettamente tecnico-linguistica, ha individuato tre possibili approcci al testo, che presentano un notevole interesse didattico: analitico, quando l’oggetto è dato, sintetico, quando partendo dall’oggetto si permette allo studente di produrre liberamente, anticipatorio, quando si ricostruisce l’oggetto e si cercano le connessioni. Enrico Berti nella sua relazione (“La classicità di un testo”) si è interrogato sulla natura specifica del testo filosofico, individuandola nell’argomentatività filosofica, che non parte da premesse, conferendo così alla filosofia una radicalità superiore ad ogni altro ambito di sapere. L’argomentatività è legata alla pretesa di verità; la lettura di un testo filosofico non può dunque limitarsi alla comprensione del senso, ma deve tentare di ricostruire le strategie di verità di ciò che si vuol dimostrare. Si può dire che un testo è classico in filosofia quando ha una tenuta, cioè una coerenza, una validità logica che deduce e controlla le implicazioni dei passaggi. La verità filosofica non ha nulla a che fare con una verità dogmatica e definitiva. Remo Bodei (“Testo e contesto per la storia della filosofia”) ha fortemente criticato il metodo di insegnamento della filosofia nei licei, simile ad una filastrocca di DIDATTICA opinioni, dove i sistemi filosofici vengono artificialmente miniaturizzati. Secondo Bodei la classificazione cronologica degli argomenti è la più povera possibile, in quanto la filosofia intrattiene con il proprio tempo un rapporto scomodo. La filosofia deve piuttosto essere intesa come atopia. Leggere un testo significa riattivare strati di senso che giacevano muti attualizzandoli e al tempo stesso mantenendo l’alterità nei confronti del passato. Anche la relazione di Sergio Givone (“Filosofia ed esperienza di verità”) è stata fortemente critica contro la storia della filosofia, intesa come sviluppo unidirezionale. Al contrario, un insegnamento interessante si articola secondo piste nuove, autori poco conosciuti, tematiche meno vincenti, costruendo autonomamente una sorta di controstoria della filosofia. Alla fine dei lavori, la tavola rotonda ha dato interessanti informazioni sul metodo di insegnamento della filosofia nelle scuole europee. Franco Bianco ha anche sostenuto che è giunto il momento di prendere congedo dal modello storicistico di insegnamento della filosofia, pur senza tornare al modello sistematico. Bisogna insegnare a praticare filosofia partendo dalla vita quotidiana degli alunni fino a far loro raggiungere argomenti teorici di grande rilevanza, come ad esempio la natura della giustizia. A.F.R. In data 10 e 11 aprile si è tenuto a Roma, presso la sala Ripetta, il convegno organizzato dal CIDI e dalla Sansoni sul tema Sapere filosofico e cultura della scuola negli anni ‘90. Nel suo intervento (“Il futuro della filosofia”) Emanuele Severino ha ripreso la propria nota linea interpretativa, secondo la quale la filosofia è stata l’invenzione del senso profondo delle cose come oscillanti fra l’essere e il niente e, insieme, di ciò che possa trattenere nell’essere ciò che, fondamentalmente, è visto come il niente. L’eredità dell’episteme classica (sapere filosofico e teologico), ormai incapace di funzionare da farmaco per l’uomo moderno contro la malattia e l’angoscia del nichilismo, è oggi stata pienamente assunta dalla scienza, avviatasi verso il paradiso della tecnica. Quest’ultima sembra, anzi, l’ultimo «immutabile» rimasto dopo il crollo del comunismo. Ma la tecnica, ancorché capace come non mai di affrontare e risolvere grandi problemi produttivi, medici e di natura specifica, rimane tuttavia impotente di fronte all’esigenza di conferire il senso all’esistenza, alla produzione, alla malattia e così via. Rimanere a guardia delle categorie fondamentali dell’essere e della loro storia che volge verso il tramonto, essere pronta a far da testimone, dopo il crollo del paradiso della tecnica, all’emergere di un altro senso della verità e di un altro destino storico dell’uomo: questo, secondo Severino, è il compito attuale e futuro della riflessione filosofica. Per Sergio Moravia (“La filosofia nella cultura contemporanea”) il misurarsi col finito, col particolare, con l’empirico dovrebbe costituire la dimensione fondamentale della filosofia contemporanea, cioè di una teoria la quale, smettendo i panni totalizzanti e legati all’hybris, sia finalmente capace di tener conto delle non-teorie. Ciò significa riabilitazione del punto di vista soggettivo; riabilitazione dell’esistenza come limite e, quindi, del confronto e della comunicazione; riabilitazione della realtà come alterità; riabilitazione dell’aspetto pratico-ermeneutico. Sulla scia della lezione di Lévinas, il discorso filosofico, centrato sul soggetto («viaggiatore nel tempo»), dovrebbe por capo alla responsabilità ed a una concezione del sapere come comprensione. Dopo queste grandi proposte introduttive, il convegno si è occupato dei problemi legati all’insegnamento. Così Cesare Quarenghi nella sua relazione (“L’inchiesta tra gli insegnanti della Società Filosofica Italiana”), basata sull’indagine dell’86 (AA.VV., L’insegnamento della filosofi, Laterza, 1987) e sui primi dati dell’indagine in corso sull’insegnamento della filosofia nelle sperimentazioni, ha da un lato ricordato il plebiscito dei docenti a favore dell’autonomia e dell’irriducibilità dell’insegnanento filosofico, oltre che del metodo storico, dall’altro ha sottolineato i tre grandi nodi su cui dovranno sempre più misurarsi i docenti di filosofia: a) il rapporto diretto coi testi classici dell’insegnamento; b) il rapporto con gli altri saperi e la riflessione su di essi; c) l’aggiornamento delle programmazioni in modo da dare un giusto peso al pensiero del ‘900. Ethel Serravalle, componente della Commissione Brocca per la riforma dei curricoli della scuola secondaria, ha confermato nella sua relazione (“Verso nuovi programmi di filosofia?”) l’orientamento della commissione di potenziare le conoscenze culturali e, in coerenza con questo obiettivo, di inserire l’insegnamento della filosofia anche negli indirizzi tecnologici (gli attuali istituti tecnici) e nei licei artistici. Per quanto riguarda le conclusioni delle tre commissioni di lavoro che hanno operato al convegno, coordinate da Gianna di Caro, Marcello de Bartolomeo e Giorgio Brianese vanno segnalati alcuni punti. Per la commissione “Lettura dei classici” il rapporto diretto coi testi è ineludibile; esso però deve essere “impiantato” didatticamente (predisponendo le operazioni da fare prima, durante e dopo) perché possa veramente avvenire il recupero dei vari livelli del testo (lessicale, argomentativo, storicoconnotativo). Per la commissione “Problemi della valutazione” è indispensabile acquisire un’ottica di differenziazione degli strumenti valutativi da utilizzare: così all’interrogazione orale si potrebbero affiancare le prove oggettive, alla valutazione formativa quella sommativa, al mero controllo di capacità riproduttive quello di capacità produttive. Per la commissione “La filosofia nella cultura della scuola: linee e tendenze nei libri di testo”, al di là dei vari orientamenti emersi, comune è la convinzione che il manuale rappresenti uno strumento ineliminabile dell’insegnamento filosofico, al quale non si deve però attribuire un ruolo troppo centrale o, addirittura, monopolistico. Infine, tra i vari temi toccati nella tavola rotonda conclusiva, quello che in particolare merita di essere ricordato è riconducIbile all’interrogativo: qual è il tipo di manuale più utilizzabile? Per Moravia quello più completo possibile, onde lasciare ai docenti la massima libertà di scelta degli argomenti; per Berti e Severino meno ponderoso è il manuale, più possibilità ha l’insegnante di innestare percorsi personali e letture di testi originali (d’altronde ogni manuale nasce da una scelta); per Severino, inoltre, il manuale deve occuparsi del pensiero filosofico in senso proprio, e non configurarsi come un improponibile tentativo di mettere a fuoco il pensiero umano nel suo insieme; per gli altri intervenuti, seppur con varie sfumature, è invece riduttivo non dar conto del pensiero anche non filosofico almeno quando esso, a vario titolo, è in connessione col pensiero filosofico stesso. Una concordia generale, invece, si è registrata nel ricondurre il manuale al suo ruolo di strumento di una programmazione attraverso la quale il docente, avvalendosi anche di altri strumenti, possa realizzare un vero insegnamento filosofico. C.Q. La rivista “Nuova Secondaria” organizza un corso di aggiornamento nazionale sul tema: ‘Filosofia’ e ‘filosofia di’ - Ruolo e funzioni della filosofia nella nuova secondaria superiore. Il corso, organizzato con la Fondazione “Giuseppe Tavini”, si terrà a Brescia i giorni 28 e 29 ottobre, presso la Camera di Commercio (via L. Einaudi 23). L’iniziativa prende spunto dal dibattito suscitato dalle ipotesi di piani di studio predisposti dalla Commissione Brocca, che assegna uno spazio significativo all’insegnamento della filosofia, della filosofia delle scienze e delle dimensioni fondative, che caratterizzano i saperi disciplinari dei diversi indirizzi. Il corso si propone di ricercare le coordinate teoriche e i riflessi operativi di questa scelta, discutendone la validità alla luce delle più recenti linee di ricerca. I lavori inizieranno il giorno 28 ottobre con le seguenti relazioni: “ ‘Filosofia’ e ‘filosofia di oggi’: alla ricerca di uno statuto epistemologico e formativo (ore 9,00); “La filosofia della scienza” (ore 10,00); “La filosofia dell’arte (ore 11,30); “La filosofia DIDATTICA delle scienze sociali” (ore 15,00); “La filosofia della politica” (ore 16,00). Proseguiranno il giorno successivo, 29 ottobre, con le seguenti relazioni: “La filosofia e la tematica morale” (ore 9,00); “La filosofia della religione” (ore 10,00); “La filosofia e l’educazione” (11,30); “La filosofia e la cultura classica” (ore 15,00); “Filosofia, cultura e progettazione del futuro” (ore 16,00). Informazioni: Ufficio Corsi e Convegni, Editrice “La Scuola”, Via Cadorna 11, Brescia - tel. 030/2993.237-219. Importanti spunti per l’applicazione dell’informatica all’insegnamento delle discipline umanistiche, fra cui la filosofia, sono emersi da alcune iniziative recenti. A distanza di poco più di un mese si sono svolti due importanti e significativi convegni sull’informatica nella scuola: uno ad Arezzo dal 7 al 9 marzo intitolato: Il computer nell’educazione umanistica - dalla scuola primaria all’università; l’altro a Milano dal 16 al 19 aprile dal titolo: Prima Mostra-Convegno Nazionale di informatica, telecomunicazioni, telematica ed editoria per la scuola. Più specifico il primo, a carattere nazionale il secondo, entrambi hanno avuto il merito di fare il punto sulla situazione attuale dell’informatica nell’ambito della didattica, riscuotendo notevole successo di pubblico e di interesse. A sei anni di distanza dall’annuncio del Piano Nazionale per l’Informatica, che solo all’interno degli insegnamenti di matematica e fisica prevedeva l’introduzione nel biennio della scuola secondaria superiore delle tecnologie informatiche, urgeva da un lato la verifica del lavoro svolto e dall’altro la messa a fuoco delle nuove prospettive. Dalle diverse sezioni del Convegno Nazionale di Milano, che ha avuto il patrocinio dell’Associazione Nazionale Presidi, è emersa una valutazione positiva intorno all’applicazione del Piano e già sono in corso i lavori di una Commissione ministeriale per predisporre un progetto di estensione del Piano Nazionale alle discipline umanistiche, in particolare all’italiano e alle lingue straniere nel biennio. L’impressione generale di chi ha partecipato ad entrambi i Convegni è che siamo di fronte ad una svolta significativa nelle applicazioni didattiche dell’informatica: dopo un timido approccio iniziale con macchine e programmi non sempre adeguati e con incertezze negli obiettivi didattici, insegnanti e ricercatori si stanno convincendo dell’utilità dell’informatica e del suo utilizzo nei diversi ambiti disciplinari. Come ha sottolineato al convegno di Milano Maria Ferrraris nella sua relazione Il computer nella didattica dell’italiano, un elemento di cambiamento è rappresentato senz’altro dall’evoluzione tecnologica nel settore dei computer. Lo strumento informatico ha smesso i suoi vecchi abiti di calcolatore per presentarsi come elaboratore di simboli, strumento per comunicare utile e utilizzabile anche in ambiti tradizionalmente lontani dalla tecnologia, come quello umanistico. A sostegno di queste considerazioni si potrebbero elencare le molteplici ed interessanti esperienze condotte da ricercatori e docenti di discipline umanistiche sull’uso di programmi applicativi più o meno complessi, dai word-processor (ossia programmi di scrittura per auto-correzioni e costruzioni di dizionari elettronici), ai data-base (programmi di archiviazione dati per l’analisi linguistica, tematica, stilometrica dei testi), ai futuribili ipertesti. Chi scrive ha condotto un esperimento di uso applicativo di un data-base in filosofia nelle classi prime del Liceo classico Parini di Milano, ottenendo notevoli risultati sia sul piano didattico, che disciplinare. In breve, con la collaborazione degli studenti che hanno lavorato in gruppo e con l’appoggio del preside che ha messo a disposizione sin dagli inizi (la sperimentazione è nata cinque anni fa) gli strumenti necessari, sono stati archiviati per parole-chiave ed abstract (“sintesi” ragionate del testo) tutti i dialoghi di Platone e parte delle opere di Aristotele con relativi testi critici, con particolare attenzione al significato originario greco delle parole. Il risultato più interessante di questo esperimento consiste nel fatto che lo studente, spinto dalla necessità di archiviare in modo intelligente il testo, conduce una vera e propria esperienza filosofica, che va ben oltre un apprendimento storico e manualistico. I risultati di questa esperienza presentata al Congresso di Milano sono stati confrontati con esperienze simili condotte da insegnanti di altre discipline umanistiche, dalla storia della letteratura al latino. “Il testo e la lettura del testo”: è stato questo uno dei temi centrali dei due Convegni e senz’altro uno dei più dibattuti. In una realtà che va modificandosi con grande rapidità, che significati deve assumere la lettura dei testi nella scuola superiore per combattere il bombardamento di immagini e di informazioni? Il computer non è forse un ulteriore pericolo per la sopravvivenza del libro stampato? Una riflessione su questi problemi che stanno alla base del rinnovamento nell’insegnamento delle discipline dell’area umanistica ed in particolare della filosofia, è emersa dalle relazioni di Andronico (Università di Siena) L’informatica e le sue valenze nelle scuole medie superiori, di Graziella Tonfoni (Università di Bologna) Laboratorio di multimedialità attiva e tecniche di visualizzazione dei percorsi di scrittura e lettura dei testi al Convegno di Milano, e dalle esperienze di costruzione di libri elettronici condotte da Calvani (Università di Fi- renze) e presentate al Convegno di Arezzo. Accenniamo qui solo ad alcuni temi di riflessione. La scuola oggi non ha più lo scopo di trasmettere conoscenze, ma di costruire delle conoscenze; essa deve quindi fornire agli studenti capacità intellettive atte a risolvere i problemi adeguati ai mutamenti e alle novità che provengono dal campo delle conoscenze. Le valenze formative dell’informatica possono assolvere in parte questi compiti. Così pure lo studio dell’intelligenza artificiale ha portato considerevoli vantaggi alle scienze cognitive, che cercano a loro volta di applicare le nuove conoscenze sulle dinamiche del pensiero e dell’apprendimento ai più recenti programmi di costruzione e di lettura dei testi. L’idea-chiave che sta alla base di queste considerazioni è che il testo è qualcosa che si viene costruendo: la costruzione di un testo è vista quindi come un’operazione di conoscenza, di approfondimento e di presa di coscienza dei significati specifici dei vari passaggi necessari alla sua elaborazione. In quest’ottica le riflessioni sull’uso didattico degli ipertesti assumono un valore particolare: l’ipertesto non è solo un nuovo programma, ma introduce una concezione del tutto nuova del libro. Siamo abituati alla lettura e alla scrittura lineari, invece l’ipertesto interrompe la linearità e ci conduce in una sorta di «navigazione» tra diversi testi, offrendoci l’opportunità di seguire interattivamente diverse ramificazioni, favorendo associazioni tra documenti anche di natura diversa. Quindi il fruitore di un ipertesto può muoversi in un ambiente a più gradi di libertà rispetto al testo tradizionale e in alcuni casi l’autore di un ipertesto può limitarsi a fornire un prodotto-base che può essere modificato dal «navigatore». Siamo ormai nel futuro della didattica, con la prospettiva di laboratori multimediali al posto delle aule scolastiche. Ma il futuro è prossimo: infatti in entrambi i Convegni già sono stati presentati interessanti programmi di ipertesti di greco, latino, storia e di progettazione didattica. La previsione di alcuni anni fa si è avverata: l’introduzione dell’informatica nella scuola sta provocando una silenziosa rivoluzione nella didattica. S.C.V. Il prossimo congresso dell’Association Internationale des Professeurs de Philosophie si terrà a Lucerna, in Svizzera, dal 30 ottobre al 3 novembre. Tema del congresso sarà: La filosofia e il suo linguaggio. Il linguaggio della filosofia e il linguaggio dell’insegnamento della filosofia; il linguaggio dei testi filosofici; il linguaggio del docente; il linguaggio dello studente. Sono previste tre relazioni in seduta plena- NOTIZIARIO NOTIZIARIO SALOMON MAIMON (1754-1800), il cui vero nome era Salomon Ben Josua, poi cambiato per l’ammirazione nutrita nei confronti di Mosé maimonides, è stato senz’altro uno dei pensatori postkantiani più originali. Sposatosi a 11 anni, padre a 14, visse in situazione perenne di indigenza e fu occasionalmente aiutato da Mendelssohn e da Marcus Herz. Anche Kant lo aiutò, apprezzandone, come risulta da una lettera a M. Herz, le qualità filosofiche. Maimon è noto nella storia della filosofia soprattutto per la sua trasformazione del concetto kantiano di “cosa in sé”. In tal senso sono interessanti soprattutto il Versuch über die Traszendentalphilosophie (1790), il Philosophisches Wörterbuch (1791), il Versuch einer neuen Logik (1794) e le Kritischen Untersuchungen über den menschlichen Geist (1797). Da ricordare è anche la sulla Lebensgeschichte (17921793), che quando apparve rappresentò un piccolo evento letterario. Grazie a Valerio Verra disponiamo da anni di una accurata edizione di tutte le sue opere (Gesammelte Werke, 7 voll., Hildesheim, Olms, 1965-1971). Recentemente, nel saggio Fichte, Maimon un Jacobi: Transzendentaler Idealismus und Realismus (contenuto in: Transzendentalphilosophie als System. Die Auseinandersetzung zwischen 1794 und 1806, hg. von Albert Mues, Hamburg, Meiner, 1989, p.243 sgg.), Klaus Hammacher ha però denunciato una presunta “lacuna” di tale edizione. Si tratterebbe del saggio di Maimon Über die Weltseele, apparso nel 1790 nel “Berlinische Journal für Aufklärung”, che Verra avrebbe dimenticato. Il saggio recepisce la dottrina spinozistica, in particolare la determinazione del rapporto tra sostanza ed accidenti, ed esso sarebbe stato importante soprattutto per Fichte - più importante persino della nota esposizione di Spinoza fatta da Jacobi in Über die Lehre des Spinoza (1785). Klaus Hammacher dice che questo trattato di Maimon gli è stato «gentilmente segnalato da A. Mues quasi all’ultimo minuto prima del convegno [di cui il citato volume raccoglie gli atti]». La cosa si presenta come molto interessante, ma fa specie quel «quasi all’ultimo minuto». Andando a vedere nell’edizione di Verra, ci si rende in realtà presto conto che l’annunciata “scoperta” di Hammacher altro non è che un abbaglio. Il saggio a cui Hammacher fa riferimento, fu in effetti ripreso da Maimon nel suo Philosophische Wörterbuch, e si trova nel III volume dell’edizione Verra (il passo su cui Hammacher insiste sta qui alle pp. 223-224). Non solo, ma nelle note, Verra spiega molto chiaramente il tutto e le ragioni che rendevano superflua una duplice riproduzione dello stesso testo all’interno dell’edizione delle opere (vol, VII, pp. 722-723). E’stato conferito al filosofo polacco LESZEK KOLAKOWSKI il premio Ernst Bloch della città di Ludwigshafen, con cui viene riconosciuto “il ruolo significativo” di questo pensatore “nei rivolgimenti politici e culturali dell’Europa dell’Est”. Un premio volto a sostenere economicamente l’attività dei ricercatori, che si affianca al premio principale, è andato alla traduttrice Francoise Wuilmart (Bruxelles), per la sua versione francese dell’opera di Ernst Bloch Das Prinzip Hoffnung (Il principio speranza). Entrambi i premi dovrebbero essere consegnati ai vincitori nel novembre o dicembre 1991. Diverse iniziative editoriali hanno accompagnato il centenario della nascita di ANTONIO GRAMSCI. In Italia si segnala la pubblicazione presso l’editrice Queriniana di Brescia dello studio di Antonio La Rocca su Gramsci e la religione. Nel volume viene presentato uno studio esaustivo e sistematico della visione gramsciana del problema della religione, dagli scritti giovanili, ai Quaderni del carcere fino alle Lettere. In un tentativo di attualizzazione del pensiero gramsciano, lo studioso analizza la letteratura critica sulla questione religiosa in Gramsci, non tralasciando di porre il problema di una verifica dell’influsso nel secondo dopoguerra delle idee gramsciane in materia religiosa. Di particolare interesse in una prospettiva storico-critica la pubblicazione da parte degli Editori Riuniti dell’edizione completa in sei volumi dei Quaderni del carcere (Roma 1991), che, rivista e integrata sulla base dell’edizione critica del 1975 dell’Istituto Gramsci, a cura di Valentino Gerratana, sostituisce l’incompleta edizione Einaudi del 1948. Di Gramsci si è parlato anche in Germania. Mentre presso l’editore Argument è iniziata la pubblicazione della prima edizione completa in lingua tedesca dei Quaderni del carcere, l’opera di Gramsci è stata discussa in un convegno intitolato “Gramsci e la società civile”, tenutosi il 21 e 22 marzo presso la Humboldt-Universität di Berlino. Tra i partecipanti al convegno: Frank Deppe (Marburg), Valentino Gerratana (Roma), Wolfgang Fritz Haug (Berlino), Claudia Mancina (Roma), Anne Showstack Sassoon (Londra). I commenti più contrastanti ha suscitato la serie di documentari televisivi diretti da Bernard Henry-Levy intitolata LES AVANTURES DE LA LIBERTE’. Si tratta di un bigino cinematrografico di storia delle idee, una serie di profili biografici dei maggiori intellettuali francesi, da Zola a Malraux, da Sorel fino a Foucault, illustrato e romanzato con una tecnica che il regista-filosofo descrive nei termini di “quasi fiction”. In termini diversi aveva pensato ad un progetto simile anche Jean-Paul Sartre, che nel 1975 si era visto rifiutare dalla televisione francese una “storia del secolo dalla parte di chi l’ha fatta”. A chi gli contesta una certa ricostruzione romantica della storia, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, Henry-Levy risponde che sebbene il manicheismo sia un tratto decisivo del suo carattere, in questo lavoro ha cercato di mantenere viva una visione problematica e non convenzionale della vicenda dei grandi intellettuali, criticandone il ruolo di pontificato laico e di custodi del senso universale. Il talento e l’indipendenza di giudizio di questi intellettuali che sono innanzittutto degli scrittori - considera Henry-Levy - si volge in un pericoloso ed arbitrario magistero nel momento in cui essi rinunciano alla sovranità del loro punto di vista per acquisire un ruolo sociale. Il compito, «più modesto ma più essenziale» dell’intellettuale contemporaneo, secondo Henry-Levy, consiste nel pensare la complessità delle cose rinunciando a semplificarle in parole d’ordine. In negativo, il NOTIZIARIO profilo del “nouveau intellectuel” lo troviamo tra le pagine dell’ultimo libro di Bernard Henry-Levy, che si può leggere anche come un commentario della sua impresa televisiva. Il titolo, insieme chiarificatore e apologetico è: Les aventures de la liberté, une histoire subjective des intellectuels (Le avventure della libertà, una storia soggettiva degli intellettuali, Grasset, Parigi 1991). Sorte nel seno dell’Université de Lille III (lettere e giurisprudenza) nel 1971, le PRESSES UNIVERSITAIRES DE LILLE vi sono poi rimaste e si sono sviluppate ai sensi di una delle illuminate leggi francesi che consente loro di essere una casa editrice praticamente autonoma anche se il proprio consiglio di amministrazione tende a coincidere con quello dell’Università. Con il risultato che gli insegnanti collaborano alle diverse collane a titolo benevolo e che la produzione, di circa trenta titoli all’anno, non si limita né agli autori francesi né a testi relativi ai corsi universitari. Naturalmente tale risultato si è raggiunto anche grazie allo sviluppo della stessa università, decisamente e da tempo uscita dal novero delle cosiddette università minori o di provincia: da qualche anno dispone di una nuova sede, una specie di campus, ricca di attrezzature (compresa, ovviamente, una moderna biblioteca), a Villeneuve d’Ascq, una comunità a una decina di kilometri dal centro, collegata da una metropolitana ultra-moderna. Vale la pena di ricordare alcuni degli insegnanti più autorevoli, alcuni ancora attivi, che non si sono lasciati attrarre dal fascino di Parigi: il grecista Jean Bollack; il filosofo Eric Weil (1956-1968); Jean Vercoutter, egittologo e archeologo; Patrick Rafroidi, anglista; Joseph Venturini, scrittore, poeta e italianista; Jean-Paul Dumont, editore dei presocratici nella Pléiade di Gallimard; gli editori dell’eccellente e ben nota “Revue des Sciences Humaines”, di letteratura e storia della cultura; Ph. Bonnefis e J. Decottignies. Ma non dimentichiamo che sono passati da Lille anche R. Polin, Y. Belaval, Suzanne Bachelard, M. Conche, ecc.. Tra le pubblicazioni delle P.U.L. merita una segnalazione la rivista “Germanica”, diretta da G. Ueberschlag, giunta al n. 8/ 1990, dedicata al tema Culture et violence dans la philosophie allemande du XXeme siècle (in collaborazione con il “Centre Weil”, a cura di G. Kirscher e J. Quillien). Riportiamo, riassumendolo, l’indice, che presenta testi a mio avviso di prim’ordine: P. Trotignon su Nietzsche interprete di Platone; D. Losurdo su la comunità e la morte nella cultura tedesca 1914; B. SaintSernin su Simmel; P. Pralat su Cassirer; J.F. Robinet su Jaspers; J. Quillien su Heidegger, il nazismo e la filosofia francese; L. Bescond sul Platone di Heidegger; J.M. Buée su Gadamer; D. Adams su Hans Blumenberg; Pierre Belaval sulla Dialetti- ca dell’Illuminismo di Horkheimer-Adorno e A. Rousseau su alcuni aspetti della filosofia del linguaggio. Tra i fascicoli precedenti, tutti monografici (escono una o due volte all’anno) segnaliamo: Figure delle città nella letteratura tedesca del XX secolo, I valori della terra nella letteratura scandinava moderna, La Rivoluzione francese nell’immaginario tedesco. Nel quadro delle pubblicazioni che fanno capo alla rivista sono annunciati gli atti del Convegno internazionale del marzo 1991, organizzato dal “Centre Weil”, su La réception de la philosophie allemande en France aux XIXeme et XXeme siècles: un incontro assai interessante per il tema, per la qualità delle relazioni e per la discussione che ne è seguita. Indico sommariamente partecipanti ed argomenti: D. Bourel su Kant (un volume di Bourel De Königsberg à Paris è in corso di stampa presso Vrin), P. Clavier su Kant-Laplace, e chi scrive su Weil interprete di Kant; J. D’Hondt sull’ingresso di Hegel presso il pubblico dei non filosofi; P. Vermeren e J.-P. Cottin su Cousin; D. Losurdo sugli stereotipi della rivoluzione; P. Trotigno su Bergson e la propaganda di guerra; J.-F. Courtine su Ravaisson e Schelling; P. Vaydat su Albert Camus; A. Rousseau su Frege; A. Renaut, Sartre e Heidegger; D. Janicaud su J. Beaufret tra Sartre e Merleau-Ponty come interprete di Heidegger, e A. Stanguennec su Kant e Hegel nella fenomenologia di Paul Ricoeur. Notizie sulla vita e sulle opere, sulle traduzioni e bibliografia di ERIC WEIL nonchè un testo inedito (L’avvenire della filosofia, 1974) e una silloge di scritti sulla sua opera (saggi di M. Barale, A. Burgio, G. Kirscher, S. Parasiliti, P. Salvucci e F. Valentini) si leggono negli atti della giornata di studio presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, novembre 1987: Eric Weil in “Differenze”, n. 13/1989 (presso l’editore QuattroVenti, Urbino). Weil ha insegnato a Lille dal 1956 al 1968 e vi ha lasciato una fitta schiera di ottimi allievi, ma anche di amici ed estimatori che hanno raccolto il suo insegnamento filosofico e la sua lezione di vita. Il “Centre Weil” (diretto da Jean Quillien) promuove, come si è visto, incontri culturali e ricerche filosofiche, e dispone di una buona biblioteca. Cito qui i primi Cahiers Eric Weil (sempre a cura delle P.U.L.): il primo, 1987, raccoglie studi su Weil di studiosi francesi e stranieri; il secondo, 1989, è dedicato a Weil et la pensée antique, e si chiude con un contributo di P. Aubenque sui lavori aristotelici di Weil (antropologia, logica e metafisica, ora raccolti a cura di chi scrive nel volumetto Aristotelica, presso Guerini e associati, Milano 1990). In collaborazione con il “Centre Weil” il “Collège International de Philosophie” (Parigi) ha organizzato nel novembre 1989 un colloquio e una discussione su Discours, violence et langage: un socratisme d’Eric Weil. Vi hanno partecipato P. Canivet, A. Burgio, M. Perine (che ha pubblicato subito le relazioni in portoghese nella rivista brasiliana “Sintese. Nova fase”, n.46, 1989), J.-F. Robinet, P.-J. Labarrière, E. Naert, M.S. Roth (dagli Stati Uniti, autore di Knowing and History, su Hegel in Francia nel XX secolo; Hyppolite, Kojève, Weil: Cornell U.P. 1988), G. Kirscher (autore di La philosophie d’E.W. Systématicité et ouverture, P.U.F. 1989), J. Quillien e chi scrive. Ora possiamo leggere le relazioni e la discussione, raccolte sotto lo stesso titolo del convegno, nei quaderni del Collège: n. 9-10, 1990, presso éd. Osiris, Parigi. Sarà bene ricordare, per chiudere, che il “Collège International de Philosophie” è una delle tante benemerite istituzioni francesi, pubbliche, ma del tutto esterne all’Università, che svolgono intensa attività di ricerca scientifica e di diffusione e formazione culturale. E lo dimostra il catalogo di Édition Osiris che si occupano delle pubblicazioni e della loro diffusione (118, Boulevard de Courcelle, 75017 Paris). Il 12 giugno a Roma, nella sede dell’Associazione della Stampa Estera (Via della Mercede 55) è stato presentato alla stampa il progetto dell’EDIZIONE NAZIONALE DELLE OPERE DI BENEDETTO CROCE. Hanno illustrato il piano dell’edizione - promossa con Decreto dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini su proposta del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali - il presidente del comitato scientifico, Mario Scotti, il segretario Piero Craveri, il direttore dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, Gennaro Sasso, e Francesco del Franco, titolare della Casa Editrice Bibliopolis. In conformità ai criteri cui si vanno attenendo queste Edizioni nazionali, e dovendo tener conto dei loro problemi specifici, si è ritenuto indispensabile non alterare il disegno attuato dallo stesso Croce e raccogliere perciò in un corpus sistematicamente strutturato le sue Opere, così come furono pubblicate dal filosofo. Il testo crociano di ciascuna opera è quello dell’ultima edizione pubblicata dall’Autore. Ogni volume è corredato: da una breve nota in cui il curatore delinea la genesi storica dell’opera, avvalendosi soprattutto delle informazioni contenute nei Taccuini di lavoro; da un elenco delle più significative varianti del testo rispetto alle precedenti edizioni; dall’indice delle opere citate e dall’indice dei nomi. Imminente l’apparsa in libreria dei primi due volumi: Il carattere della filosofia moderna, curato da Massimo Mastrogregori, e Il carteggio CroceVossler, curato da Emanuele Cutinelli; per la fine di giugno si prevede anche l’uscita dei Nuovi saggi di estetica, affidati a Mario Scotti, e della Poesia popolare e poesia d’arte, a cura di Pietro Cudini. RASSEGNA DELLE RIVISTE RASSEGNA DELLE RIVISTE a cura di Silvia Cecchi REVUE DE METAPHYSIQUE ET DE MORALE 95/3, luglio-settembre 1990 A. Colin, Paris Questo numero della rivista affronta il tema: ermeneutica ed ontologia del diritto. L’institution juridique: imposition et interprétation, di R. Sève: l’ontologia giuridica moderna nasce nel XVII sec. nel più ampio contesto filosofico della critica al pensiero aristotelico. A partire dall’opera di Kelsen, il più celebre teorico positivista del XX sec., l’autore propone un’ontologia del diritto alternativa, fondata sulla nozione di autointerpretazione. Jugement juridique et jugement pratique: de Kant à la philosophie du langage, di J. Lenoble e A. Berten: Dworkin, negli Stati Uniti, e Habermas, in Germania, hanno criticato il positivismo giuridico analitico. Queste critiche si basano sulle reinterpretazioni contemporanee della ragione pratica di stampo kantiano, ma, secondo l’autore, presentano numerose insufficienze. John Rawls: de l’autonomie morale à la fiction du contrat social, di P. Ricoeur: un esame di Théorie de la justice di J. Rawls. Le locutoire et l’illocutoire dans les énonciations relatives aux normes juridiques, di P. Amselek: analisi del significato di termini giuridici quali normativ e performativ alla luce di teorie etiche e giuridiche. REVUE INTERNATIONALE DE PHILOSOPHIE Vol. 44, n. 174, 3/1990 Universa, Wetteren Il tema affrontato in questo numero é Le Questionnement. Kant et l’histoire de la philosophie: la vision problématologique, di B. Timmermans: a partire dalle ricerche “problematologiche” di Michel Meyer vie- ne affrontata la questione della filosofia come eterno tentativo di rispondere ad una domanda. L’importanza del paradosso nella storia della filosofia tematizzata da Meyer in Science et métaphysique chez Kant (1988). Problématicité, rationalité et interrogativité, di M.M. Carrilho: l’importanza della nozione di problema nella riflessione contemporanea; le principali obiezioni di cui é oggetto il rapporto tra problematicità e razionalità; il ruolo del domandare nella vita e nel pensiero degli uomini: Rorty, Gadamer, Popper, Laudan, Mach, Apel, Habermas ed altri. Meyer’s theory of problematology, di J. L. Golden e D. L. Jamison; Le problématologique devant la faculté de juger, di H. Parret; Epistémologie et questionnement: le modèle en tant que forme de l’interrogation scientifique, di S. Borutti: tutti e tre questi articoli prendono le mosse dalle ricerche problematologiche di Michel Meyer. Con tale termine di problematologia ci si richiama qui all’analisi delle questioni teoriche concernenti i procedimenti del pensiero filosofico e scientifico come sono state sviluppate da M. Meyer nel suo Décuverte et justification en science. Kantisme, néopositivisme et problématologie, (Klincksiek, Paris 1979). Estetica e interrogazione, di E. Garroni: una storia critica dell’estetica; il problema della comprensione dell’estetica, l’interrogazione che essa contiene, il tentativo di comprensione del problema dell’arte, la confluenza di problema estetico e problema critico in Kant. tendenza interrogativa (Heidegger, Valéry) e i filosofi dell’interrogarsi (Deleuze, Meyer); i problemi dell’interrogarsi in rapporto alle questioni di filosofia giuridica, politica ed economica. L’interrogarsi come carattere fondamentale dell’essere dell’uomo. LES ETUDES PHILOSOPHIQUES luglio-settembre 1990 PUF, Paris Questo numero della rivista, a carattere monografico, é dedicato alla figura e al pensiero di Martin Heidegger. La physique de Heidegger, di C. Chevalley. Heidegger et Lévinas: la question du Dasien, di J. Colléony. Prolégomènes à l’intelligence du tournant chez Heidegger, di J. Grondin: i problemi filosofici della Kehre analizzati in funzione dell’evoluzione del pensiero di Heidegger nella sua la consequenzialità a partire dalla Lettera sull’Umanismo. Heidegger lecteur d’Aristote: dynamis et énergeia dans le regard phénomenologique, di P. Rodrigo. Constitution du sens et justification de la validité. Heidegger a-t-il dépassé la philosophie trascendentale par sa conception de “l’histoire de l’être “?, di K. O. Apel. La philosophie comme science rigoreuse et la philosophie politique, di L. Strauss. Alternatives et questions dans la littérature romanesque, di S. P. Cometti. REVUE PHILOSOPHIQUE DE LOUVAIN Questioning “the romantic ideology”: Wordsworth, di S. J. Wolfson. Die Figuren des Menschlichen, di M. Meyer. Le questionnement, comme synthèse de l’humain, di A. Lempereur: i filosofi a Tomo 88, novembre 1990 Institut supérieur de philosophie Louvain-La-Neuve Aristote admet-il un infini en acte et en puissance en Physique III, 4-8?, di A. Côté: la dottrina aristotelica dell’infinito dà origine a due possibili interpretazioni appa- RASSEGNA DELLE RIVISTE rentemente inconciliabili nella domanda: Aristotele ammetterebbe un infinito solo in potenza, o anche in atto?. Attraverso una ricerca che si snoda su due piani distinti, uno di ordine metafisico e uno di ordine fisico, l’articolo mostra come per Aristotele anche l’infinito, come tutti i fenomeni naturali, esista sia in atto, sia in potenza. La réception de Spinoza dans la littérature néderlandaise, di R. Henrard. Nature et liberté dans l’ontologie fondamentale de Heidegger, di R. Brisart: in polemica con la tesi di Merleau Ponty, secondo cui Essere e Tempo non sarebbe che un’ esplicitazione della Lebenswelt di Husserl, e a partire dai testi heideggeriani di Marburgo coevi a Essere e Tempo, l’autore mostra come l’analitica esistenziale del Dasein derivi da un’estrema radicalizzazione della tipica antinomia della filosofia moderna tra natura e libertà. Proprio partendo da questa riflessione Heidegger intraprende l’elaborazione della questione dell’essere e della sua ontologia esistenziale. Mythe et raison, di L. Fontaine De Visscher: il rapporto tra mito e ragione come schema del dibattito tra scienze umane e filosofia. A partire dalle riflessioni di Heidegger, Otto e Vernant ci mostra come i fenomeni della natura umana siano oggetti, senza alcuna chiave di lettura privilegiata, sia di una spiegazione scientifica, sia di una riflessione sulle loro condizioni di possibilità. Le soi agissant et l’être comme acte, di B.Stevens: recensione dell’opera di P. Ricoeur: Soi-même comme un autre (Editions du Seuil, Parigi 1990). Métaphysique de la subjectivité et tradition judaïque, di J. L. Lannoy: recensione dell’opera di F. Ciaramelli: Trascendance et éthique. Essai sur Lévinas (Ousia, Bruxelles 1989). ARCHIVES DE PHILOSOPHIE Tomo 54, n. 1, gennaio-marzo 1991 Beauchesne, Paris L’ontogenèse de l’individu: ses aspects scientifiques et philosophiques, di R. Bernier: analisi dell’ontogenesi dell’individuo a partire da tre punti di vista: morfogenetico o formativo, immunologico, psicologico. In questa prospettiva la radice ultima dell’individualità, in quanto proprietà di ogni creatura, dall’essere unicellulare all’uomo, deve essere cercata nella dimensione ontologica dell’essere vivente, che é all’origine delle proprietà del sistema biologico: unità, sussistenza dinamica, autonomia, indipendenza, capacità di autoorganizzazione. Les présupposés métaphysiques de la “lisibilité” de l’être, di R. Kühn: la lettura “de-creativa” proposta da Simone Weil, una non-lettura senza nomi e senza forme, come chiave per giungere ad una manifestazione ontologica pura. E’ in quest’ottica che la Weil precisa il rapporto tra pensiero e religione e arriva a un’idea più lucida di un’autentica filosofia della religione. L’affirmation de l’existence de Dieu selon Austin Farrer , di E. H. Henderson: l’esistenza di Dio nelle principali opere di Ferrer; prendendo le mosse dall’epistemologia volontaristica e dai suoi principi essenziali, l’autore si propone di mostrare come questi si applichino all’esistenza dell’individuo finito e si aprano all’esistenza di Dio. La sezione finale della rivista é dedicata al “XIX Bollettino cartesiano”. L’uomo come oggetto di indagine scientifica, di A. Ayer, a cura di E. G. Rudneva. La trattazione della logica formale negli idealisti dialettici tedeschi J. G. Fichte, G. W. J. Hegel, F. W. J. Schelling e dei loro allievi, di N. I. Stjazkin, a cura di K. N. Ljubutin e I. S. Naraskiy. Completano il fascicolo: comunicazioni, note, lettere, recensioni e schede. VESTNIK MOSKOVSKOGO UNIVERSITETA Serija 7, Filosofija, n. 1, 1991 Ed. dell’Università di Mosca Il problema della correlazione dell’essere sociale ed individuale nell’etica di H. Bergson, di N. A. Tel’nova. n. 1, 1991 Ed. Vyssaja skola, Mosca Dalla “nuova sinistra” alla “nuova destra” (L’etica della gioventù USA dalla fine degli anni ’50 agli ’80 del XX sec.), di S.I. Levikova. La coscienza tecnocratica: appartiene alla società sovietica?, di L.G. Titarenko. Ancora sull’”enigma” dell’induzione, di S. E. Krjuckova. Per il problema dello studio complesso dell’uomo, di N.M. Bereznoj. La sinergetica: lenuove frontiere, di N.K. Kusiev. Il rapporto gnoseologico: status e struttura, di A.A. Tichonov. Nazionalità ed arte professionale, di T. V. Kuznecova: le relazioni dei rappresentanti sovietici, A. M. Karinskij e N. S. Julina, e dell’americano John Reider alla conferenza internazionale di Buffalo (New York, 14 Marzo 1990), sulla tradizione filosofica americana. FILOSOFSKIE NAUKI Le concezioni della elementarità nella scienza contemporanea (cosa, evento, processo), di F.M. Efendiev. Kant e l’attualità: sulla logica dell’applicazione dell’imperativo categorico nalla pratica morale, di A. N. Troepol’skij. Il poststrutturalismo femministico: teoria e pratica, di S. N. Nekrasov. Per il centenario della nascita di Antonio Gramsci: bilancio di una discussione, di M.N. Greckij: riprendendo la discussione sul rapporto Lenin-Gramsci, discussione viziata fino a qualche anno fa dalle interpretazioni marxiste prevalenti dei due pensatori, l’autore sostiene che il vero Lenin é politicamente l’ultimo, quello di Bucharin; pertanto la vera filosofia di Lenin non é da ricercarsi in Materialismo e empiriocriticismo, ma nei Quaderni filosofici: «in questo senso proprio Gramsci, in maggior grado che chiunque altro, é il continuatore di Lenin». Nel gran tempo della cultura: M. M. Bachtin, di E. V. Volkova e E. A. Bogatyreva: un “ritratto filosofico” del pensatore con la presentazione di due testi, uno dei primi anni ’20 (ma pubblicato nel 1986), Per una filosofia dell’azione, e uno del 1959-61, Il problema del testo nella linguistica, nella filologia e nelle altre scienze umane. Si tratta di testi che offrono la possibilità di farsi un’idea delle particolarità della lingua e dello stile di Bachtin, esprimendo bene la logica dello sviluppo delle sue idee. ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE FORSCHUNG Vol 44, n. 2, 1990 Klostermann Verlag, Frankfurt a/M. Gramsci e il problema dello storicismo, di O. V. Illarion. Hegel über die Rede vom Absoluten. Teil I: Urteil, Satz und spekulativer Gehalt, di A. Graeser. Le radici generalmente umane dell’idealismo, di P. Florenskij: seconda ed ultima parte di una lezione del 1908 apparsa nel fascicolo 12 (1990). Zur Frage der Vereinbarkeit von Freiheit und Determinismus, di R. Rheinwald: ai termini di necessità e libertà sono connessi RASSEGNA DELLE RIVISTE concetti spesso contrastanti tra loro, che aprono diverse possibili concezioni del mondo. Come è possibile allora conciliare una visione deterministica del mondo, in cui tutto appare concatenato in un nesso di necessità causale, con la consapevolezza dell’agire libero e responsabile dell’uomo? Dalla discussione sulla tesi della conciliabilità dei due concetti proposta da Hume e rielaborata da Moore agli attacchi mossi a questa tesi da Ginet e Von Inwagen. Handlungstypen und Kriterien, di A. Dorschel: una analisi di Theorie des Kommunikativen Handelns (1985) di Jürgen Habermas. Zur sozialphilosophischen Bedeutung des Sprachbegriffs Wilhelm Von Humboldts, di H. E. Schiller: la riflessione sul linguaggio di Humbolt e le discussioni di Marcuse, Adorno e Habermas. On Justice and Legitimation, di O. Balaban: la controversia Socrate-Trasimaco nella Repubblica di Platone come base per una critica all’interpretazione di Habermas. Innere Autonomie oder Zurechnungsfähigkeit?, di G. Schönrich. Die Möglichkeit der Kooperation unter Egoisten, di R. Schüssler. Zu Hans Reiners Wertethik, di G. Thamm. “Nachmetaphysisches Denken” oder “kritische Mataphysik”?, di A. Wüstehube: resoconto del convegno: “Metaphysik und Politik. Kolloquium über Bedingungen und Gründe politischen Handelns” (Münster 5-8 marzo 1989). Aufklärung als Mission. La mission des Lumierères, di S. Zurbuchen: resoconto di un convegno tenutosi in Lussemburgo (5-8 marzo 1989). ARCHIV FÜR GESCHICHTE DER PHILOSOPHIE Vol. 72, n. 2, 1990 Walter de Gruyter, Berlin, New York Misunderstanding the “What is F-ness?” question, di H. H. Benson: le ricerche di Alexander Nehamas sul problema universale/particolare in Socrate e le questioni rimaste aperte alla luce delle ricerche logiche di Belnap e Steel. Plato’s “Third Man” arguments in the Parmenides, di M. Mignucci. Limits of teleology in Theophrastus’ Metaphysics?, di L. Repici: la riflessione di Teofrasto e il rapporto con il pensiero aristotelico sulla natura. Ein unbeachtet gebliebener Brief von David Hume, di W. Stark e H. Klemme. Schellings Begegnung mit den Naturwissenschaften in Leipzig, di M. Durner: il soggiorno schellinghiano a Lipsia é fondamentale per acquisire importanti conoscenze nel campo delle scienze della natura, conoscenze particolarmente rilevanti per fondare i presupposti della sua prima filosofia della natura. Ricostruzione degli importanti incontri del filosofo con docenti di fisica e medicina. MAN AND WORLD Vol. 24, n. 1, gennaio 1991 Kluwer Academic Publishers Dordrecht, Boston, London Language, physics, and geology (and a few words on theology), di J. V. Brogan: la complementarietà tra fisica, geologia e teorie del linguaggio. Un esame di recenti opere in campo geologico e fisico di impronta popolare. The antinomy of perception: Merleau Ponty and causal representation theory, di L. Hass: la percezione è un fenomeno interno o dipende da una causa esterna? Il contributo di Merleau-Ponty all’alternativa tra una visione cartesiana ed una aristotelica della percezione e la sua critica alla teoria della rappresentazione causale (CRth). Washington University, St. Louis Aristotelian Mimesis reevaluated, di S. Halliwell: il concetto aristotelico di mimesis ha giocato un ruolo fondamentale nella storia dell’estetica. La presente proposta vuole delineare, indipendentemente da interpolazioni o sovrapposizioni successive, alcuni aspetti del concetto di mimesis artistica, al fine di chiarificare una sorta di storia delle categorie della rappresentazione artistica. In quest’ottica appare rilevante non solo una rilettura della Poetica, ma anche di alcuni passaggi della Politica. Locke on mathematical knowledge, di P. Cicovacky: la concezione lockeana della matematica a partire da alcuni particolari e “sorprendenti” riferimenti kantiani a determinati passaggi del Saggio sull’intelletto umano. Leibniz’s analisys of multitude and phenomena into unities and reality, di D. P. Rutherford. Two-steps-in-one-Proof: the structure of the trascendental deduction of the categories, di J. C. Evans: analisi del saggio di Dieter Henrich, Die Beweisstruktur von Kants transzendentaler Deduktion (in id., Kant. Zur Deutung seiner Theorie von Erkennen und Handeln, 1973) e le critiche di Allison e Robinson. William James’s theory of mind, di W. E. Cooper. On the paradoxical inception and motivation of trascendental philosophy in Plato and Husserl, di B. C. Hopkins. Moore’s moral rules, di R. Perkins Gadamer’s concrete universal, di A. P. Kerby: analisi dei temi centrali di Verità e Metodo con particolare attenzione alla teoria della concreta universalità: il rapporto con il trattato De visione Dei (1453) di Cusano e la lezione di Hegel. INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL QUARTERLY Sartre’s Being-for-Heidegger; Heidegger’s Being-for-Sartre, di S. Martinot. The anomaly of world: from Scheler to Heidegger, di F. Schalow: Scheler, Heidegger e la critica a Husserl; l’esame della natura umana da un punto di vista fenomenologico, la relazione uomo-mondo nel binomio microcosmo/macrocosmo e finito/infinito. Seeing our seeing and knowing our knowing, di A. Ben-Ze’ev. Vol. XXX, n. 4, dicembre 1990 Fordham University, New York Mystical experience, hermeneutics and rationality, di J. Shear: l’approccio non mistico alle esperienze mistiche e l’interpretazione ermeneutica di Steven Katz. The structure of Self-Commentary in Hegel’s dialectical logic, di R. H. Gaskins. Divine irony and the natural law: speculation and edification in Aquinas, di T. S. Hibbs: a partire da un’analisi dialettica e retorica vengono presi in esame i praeambula fidei di Tommaso e la loro funzione all’interno della filosofia pratica; il carattere ironico della pedagogia divina di Tommaso. A note on jural relation, di K. Butler. Rejoining Aletheia and Truth: or truth is a five-letter word, di L. J. Hatab: Heidegger e la meditazione sul concetto di Aletheia. JOURNAL OF THE HISTORY OF PHILOSOPHY Vol. XXVIII, n. 4. ottobre 1990 Eric Voegelin’s view of history as a drama of transfiguration, di G. Hughes. RASSEGNA DELLE RIVISTE Schelling’s Treatise on the essence of human freedom and Heidegger’s thougth, di W. J. Froman: perchè Heidegger legge il Trattato di Schelling come un aspetto della fondamentale questione dell’Essere? Hindu doubts about God: towards a Mimamsa deconstruction, di P. Bilimoria. J.B.S.P. Vol. 21, n. 1. gennaio 1991 University of Manchester, Manchester Tema monografico di questo numero della rivista: “Japan, Ethics, and the a priori”. Heidegger and the japanese connection , di P. Bilimoria: i rapporti di Heidegger con i pensatori cinesi e indiani e il suo interesse per il taoismo. Foundationalism, Holism, or Hegel?, di D. S. Stern: sulla riflessione epistemologica hegeliana. The question of ethics in Foucault’s thought, di C. E. Scott. Merleau- Ponty on taking the attitude of the other, di M. J. Matustik: l’analisi intenzionale di Merleau-Ponty e la trasformazione delle nozioni di corpo e coscienza; l’accordo con Habermas in relazione al problema del linguaggio; il necessario riavvicinamento tra analisi intenzionale e teoria della comunicazione. Problems whit fregean interpretation of Husserl, di C. S. Brown. The search for an elusive a priori, di M. Capek: H. Driesch e H. Dingler e la teoria kantiana della conoscenza. Nietzsche; Heidegger and the critique of humanism, di J. Hodge. Never say “never”. A response to Reeder’s Wittgenstein never was a phenomenologist, di N. F. Gier. STUDI FILOSOFICI Voll. VIII-IX Bibliopolis, Napoli Il fascicolo riporta le relazioni tenute nel corso delle “Giornate plutarchee” di Napoli (13-14 Maggio 1988), in occasione delle quali sono stati presentati i primi due volumi del Corpus Plutarchi Moralium, un’iniziativa editoriale del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Dipartimento di Filosofia e Politica dell’Istituto Universitario Orientale dell’Università di Salerno. Amicizia e adulazione in Plutarco. di E. Valgiglio. Considerazioni sulla dottrina del pathos nel medioplatonismo, di C. Moreschini. Filosofia e retorica nel De Cohibenda Ira di Plutarco, di L. Montoneri. La semantica grammaticale di Prisciano nello sviluppo della grammatica speculativa, di D. Curtotti: l’evoluzione della grammatica medievale e la sua progressiva “logicizzazione” nelle Institutiones di Prisciano. A partire da una breve analisi degli aspetti di fondo della sistemazione grammaticale di Prisciano e da un rapido confronto con i commenti che essa suscitò nei secoli X e XI, viene proposta l’ipotesi di una coerenza e continuità tra il modello delle Institutiones e la grammatica speculativa medievale; viene inoltre analizzato l’intreccio dell’influenza di Prisciano e di Boezio nei secoli IX-XI, in relazione alle origini della grammatica filosofica. Contributo alla bibliografia di La Mothe Le Vayer, di D. Taranto. Scienza, erudizione e storia nell’Accademia di Medina Coeli. Spunti provvisori, di M. Conforti. Vico and human science, di A. M. Montuori: recenti interpretazioni della filosofia di Vico. Celestino Galiani e i matematici italiani del primo Settecento, di F. Palladino. L’a priori e il giovane Peirce, di M. A. Bonfantini: in relazione al programma di ricerca di un modello di a priori come possibile strumento di analisi dei testi, Bonfantini ha proposto un modello di a priori basato sul modulo del tre per tre. L’ipotesi fondamentale che sta alla base di questa proposta è la non comunicabilità del senso dall’essere al segno, ipotesi che dà adito a un possibile confronto con la posizione espressa da Peirce sin dai suoi primi saggi. Gramsci interprete del moderno, di F. Izzo: il termine “moderno” non soltanto ricorre frequentemente nei Quaderni di Gramsci, ma il tema del moderno nei suoi caratteri, nelle sue periodizzazioni, é stato anche oggetto di costante attenzione da parte del filosofo. L’immagine gramsciana della modernità non può tuttavia emergere da una semplice raccolta di queste osservazioni, bensì dalla connessione dei concetti di soggettivismo e Stato nazione, che conferiscono alla visione gramsciana del moderno la sua forza e originalità. Prospettiva e aspettativa. Sull’inversione simbolica del tempo, di G. Marramao: le dimensioni linguistiche, concettuali e simboliche dei termini “prospettiva”, implicante un riferimento di ordine spaziale, e “aspettativa”, implicante un riferimento di ordine temporale, vengono affrontate alla luce di un’analisi che va dalla riflessione antica a quella contemporanea. If (not, la nonna ha gli occhi grandi) then...Favole, computers e mondi possibili, di G. Gigliozzi. Chi dice che “dire è fare”? Note di filosofia del linguaggio nella teoria degli “atti linguistici”, di A. Martone. STUDI DI ESTETICA XVIII, Fasc. 1, 1990 Mucchi, Modena Per un’estetica della poesia. Alcune ipotesi, e procedure, di L. Anceschi. Baumgarten: l’invenzione dell’estetica (con una nota di E. Mattioli), di J. Y. Pranchère. Ragion critica ed estetica (schema di una ricerca), di L. Rossi: i problemi di ordine teorico-metodologico sollevati dalla prospettiva fenomenologica-critica in ambito estetico. Norma, stile e senso, di S. Briosi. Ricordo di Antonio Banfi, di G. M. Bertin. Riflessione e poesia, di C. Gentili: la nuova fenomenologia critica e il problema della poesia. Il dialogare con la poesia come salvaguardia delle sue peculiarità essenziali. L’artificio barocco in El Héroe ed in El Discreto di Baltasar Gracian, di R. Riccio. Romanticismo tedesco: ermerneutica e storiografia, di S. Benassi. Una poetica della malattia: Jacopo da Pontormo, di S. Spadoni. Testimonianza per uno studioso, di L. Rampello: un’originale recensione de Gli specchi della poesia di L. Anceschi. Nel fascicolo 2 compare una rassegna degli indici della rivista dal 1973 al 1989. TEORIA Scaravelli, Croce e la crisi bloccata, di M. Agrimi: alla luce di un rinato interesse per la filosofia italiana post-bellica, viene proposto l’approfondimento di alcune questioni particolari di Critica del capire. Vol. X, n. 1, 1990 ETS, Pisa Questo numero della rivista si occupa di filosofia politica nelle sue prospettive teo- RASSEGNA DELLE RIVISTE riche e nei suoi interventi storiografici. Rileggendo Marx: “diritti” e “bisogni”, di N. Badaloni: a partire dalla critica a Max Stirner, Marx si pone la questione dei diritti che, in ultima analisi, possono essere determinati a partire dai bisogni che mutano in relazione a nuovi rapporti materiali e interpersonali. In quest’ottica le potenzialità umane si riappropriano delle proprie capacità pratico-creative e teorico-appropriative del mondo. zu G. W. F. Hegels Interpretation von Aristoteles De Anima III 4-5 und Metaphysica XII 7 u. 9 (“Perspektiven der Philosophie” 12, 1986, pp. 209-236); M. Sanchez Sorondo, Aristoteles y Hegel, Dialéctica convergente divergente en la nocion de sujeto come potencia activa (Herder, Buenos Aires-Roma 1987); L. Samonà, Dialettica e metafisica: prospettive su Hegel e Aristotele (L’epos, Palermo 1988). Tra Kant ed Hegel: per una riaffermazione dell’antico concetto di società civile, di G. Marini: un confronto tra la concezione kantiana e quella hegeliana di società civile attraverso un colloquio ideale che, al di là della reale successione cronologica, parta dalla concezione hegeliana ed articoli una possibile replica kantiana. Note sulle recenti traduzioni di Essere e Tempo in Francia, di P. Marrati. Questioni di filosofia politica, di S. Veca: la giustificazione come carattere essenziale della filosofia politica, impegnata a legittimare scelte e preferenze che determinano valori; il pluralismo come valore e la questione della legittimazione delle istituzioni politiche . Epistemologia e teoria politica, di D. Zolo: l’attuale pluralismo dei paradigmi politici e delle teorie politiche è stato determinato soprattutto dalla riflessione epistemologica generale che si è sforzata di precisare il “senso” della conoscenza e della ricerca scientifica, mettendo in crisi le epistemologie di tipo positivistico e liberando nel contempo la ricerca sociale e politica dalla dipendenza ai modelli cognitivi delle “scienze esatte”. Attraverso un breve esame del dibattito epistemologico attuale e della riflessione politologica, con particolare riferimento al panorama italiano, vengono individuati due opposti modelli fondamentali: quello “empiristico” della scienza politica e quello “postempiristico” della riflessione politica. Lo statuto della filosofia politica nel dibattito italiano, di L. Baccelli: ricostruzione del dibattito sullo status teorico ed epistemologico della filosofia politica nella cultura italiana contemporanea ed in particolare negli ultimi vent’anni, prendendo le mosse dalla concezione di Croce della filosofia politica. La logica di Hegel come testo filosofico, di F. Costa: la concezione hegeliana del negativo nella sua duplice accezione, la concezione della finitezza della cose, la proposizione speculativa. Metafisica e dialettica: quattro saggi sull’interpretazione hegeliana di Aristotele, di A. Ferrarin: recensione dell’opera di P. Guillaumaud, La méditation chez Aristote (“Revue Philosophique de Louvain”, 85, 1987, pp. 457-474); H. Seidl, Bemerkungen Per un’analisi del discorso dichiarativo, di B. Celano: descrizione di un modello di analisi del discorso apofantico, a partire da alcune riflessioni di filosofia analitica. What is wrong in inverting spectra, di R. Casati. RIVISTA DI FILOSOFIA NEOSCOLASTICA Anno LXXXII, n. 1, gennaio-marzo 1990 Vita e Pensiero, Milano Filosofia e ascesi nel Seicento. Il caso francese, di D. Bosco. Charles Renouvier e le scuole di morale in Francia nel XIX secolo, di F. Rossi: nel corso del nostro secolo si è verificato un progressivo e diffuso abbandono degli studi sul pensiero di Renouvier dovuto, secondo una recente indagine di Arturo Deregibus, sia alla prolissità delle sue opere, sia alla polemica anticattolica presente nella sua riflessione politico-religiosa. Questo saggio si propone pertanto di recuperare quella sezione dell’opera di Renouvier dedicata alla “filosofia morale” contenuta in alcuni articoli de “La Critique philosophique” del 1872-1873, che analizzano da un punto di vista storico-critico le scuole di morale in Francia nel XIX sec. L’emozione creatrice. Il significato della morale nella prospettiva di Bergson, di A. Pessina: l’ipotesi di una morale assoluta, sopraintellettuale, al di là della condizione sociale dell’uomo e in grado di dare nuove prospettive a tutta l’umanità. Connettendo questione etica e questione metafisica e religiosa, questa riflessione di Bergson circa una morale dell’aspirazione appare legata a un assiduo contatto del filosofo con la letteratura mistica. Aspetti di attualità teoretica del pensiero procliano negli studi di Werner Beierwaltes, di N. Scotti. Ontologia e creazione in Filone Alessandrino. Dialogo con Giovanni Reale e Roberto Radice, di J. P. Martin: l’importanza di Filone per la storia della filoso- fia occidentale; il problema della ricerca come nucleo centrale della filosofia di Filone; le riflessioni sul problema dell’ontologia. PARADIGMI Anno IX, n. 25, gennaio-aprile 1991 Schena Editore, Brindisi Ricerca come ricontestualizzazione: un’analisi antidualistica dell’interpretazione, di R. Rorty: testo di una conferenza tenuta l’11 Dicembre 1990 presso il Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze Umane dell’Università di Roma “La Sapienza”. Uguaglianza e Potere, di E. Rambaldi: il problema di un potere “buono” capace di instaurare una possibile eguaglianza tra gli uomini. Questo tema, oggetto di riflessione fin dall’antichità, trova oggi un importante punto di riferimento nel marxismo che, al di là delle aberrazioni relative all’idea del partito guida distruttore delle libertà formali fondamentali e del recente e conseguente crollo dei regimi di socialismo reale, presenta come tratto imprescindibile una particolare concezione dell’uomo. A partire dalla riflessione di Veca, Bobbio, Rawls, von Hayek viene proposta la teoria marxiana dell’individuo empirico-universale legata inscindibilmente a una teoria della libertà individuale che, indipendentemente dalla presenza di una forte componente escatologica, fonda un’eguaglianza basata sulle peculiarità di ciascun individuo e ne salvaguarda i diritti formali. Tutto ciò parallelamente alla concezione utopistica dell’”uomo nuovo” che si apre ad una concezione autoritaria e “pedagogica” del potere. La presenza del soggetto nella semiosi: considerazioni peirceane, di P. Facchi. La prova ed il potere. Saggio su Michel Foucault, di L. Daddabbo: dalla crisi delle tradizionali chiavi interpretative di Foucault, strutturalismo ed “effetto politico”, alla nuova scoperta del versante filosofico della sua opera, centrato su una ricerca sul soggetto, più precisamente sull’analisi del nesso soggettività/ assoggettamento, scomponibile nelle relazioni soggetto e linguaggio, soggetto e potere, soggetto e forza. Una riflessione che prende le mosse da Hegel e Nietzsche, più in particolare dalla distruzione nietzscheiana della possibilità di integrazione del soggetto in una totalità e la scoperta della sua finitudine radicale. E’ in questa prospettiva che viene riproposto un excursus sulle principali opere del filosofo francese. Note sul convegno “Conoscenza e matematica” (Pavia, 11-12 Maggio 1989), di RASSEGNA DELLE RIVISTE V. M. Abrusci. Wittgenstein: mente e linguaggio, di B. Steri: nota su un convegno dedicato al pensiero maturo di Wittgenstein, tenutosi a Roma nel Novembre 1989. Recenti studi su Franz Brentano, di M. Sinatra: una rilettura del pensiero di Brentano, la cui attualità è connessa non solo all’importanza delle sue ricerche psicologiche e filosofiche, ma anche alla rilevanza della sua riflessione nella genesi della filosofia di Husserl e Heidegger. In questa prospettiva vengono qui presi in esame alcuni contributi storiografici italiani ed esteri comparsi nel corso dell’ultimo decennio. Sull’essenza del nichilismo. Leggendo Ernst Jünger-Martin Heidegger, Oltre la linea, di C. Esposito. Nella sezione Università e Scuola compaiono i seguenti contributi: Autonomia universitaria e meccanismo concorsuale, di A. Ponzio. La didattica della filosofia, di S. Belvedere e G. Magistrale. A proposito di Croce storico dell’estetica, di P. D’Angelo. pensiero filosofico e tempo, le scienze del tempo, il tempo della storia, l’eternità. Il cristallo, il pianto e la conciliazione. Nota su Schubert nella filosofia della musica di Adorno, di A. Arbo. FILOSOFIA Claude Lévi-Strauss sull’arte. Rilettura di un’esistenza, di R. Salizzoni. AUT-AUT n. 241, gennaio-febbraio 1991 La Nuova Italia, Firenze Questo numero della rivista si occupa prevalentemente della figura di Edmond Jabès e raccoglie le relazioni di un convegno tenutosi a Napoli il 26 Aprile 1989 presso l’Istituto Suor Orsola Benincasa e dedicato all’ultima opera di Jabès dal titolo: Un étranger, avec, sous le bras, un livre de petit format (Gallimard, Paris 1989; trad. it. di A. Folin, Uno straniero con, sotto il braccio, un libro di piccolo formato, con uno scritto di P. A. Rovatti, SE, Milano 1990). Jabès, lo straniero, di A. Folin. Lo straniero. Seconda conversazione con Marcel Cohen (1989), di E. Jabès. RIVISTA DI ESTETICA Anno XXIX, n. 33, 1990 Rosemberg & Sellier, Torino. A Edmond Jabès: un commento, di M. Cacciari. Tema della rivista: “Arte e tecnologia”. Edmond Jabés: poeta dell’estraneità, di R. Stamelman. Lettera aperta di Max Pellegrini: documento di una poetica. La scrittura del frammento. La teologia apofatica di Edmond Jabès, di V. Vitiello. Gli affetti come disturbi della percezione e del pensiero, di R. Wiehl: prendendo le mosse dall’etica di Spinoza e dalla filosofia trascendentale di Kant, vengono sviluppati alcuni aspetti di una teoria della razionalità relativa alle classi degli affetti, delle percezioni, dei pensieri. Il nome del libro e la sua assiomatica, di F. Laruelle. Gli specchi platonici e le metafore della poesia, di R. Papini: la metafora platonica dello specchio nel X Libro della Repubblica come metafora di una prassi poietica e indagine critica sulle modalità e le possibilità della poesia. Percorsi dell’assenza, di R. De Benedetti. Tempo e melanconia: l’istante della visione nel pensiero poetico di William Blake, di A. Fiori. Ricognizione della Lebensphilosophie, di M. Vozza: la filosofia della vita nella pluralità delle sue accezioni filosofiche; la visione biologico-energetica nietzscheana, ripresa anche da Bergson e Simmel, l’accentuazione del vissuto interiore in Dilthey: una panoramica critica. Anno XLII, Fasc. 1, gennaio-aprile 1991 Mursia, Milano Il linguaggio ideologico della rivoluzione, di V. Mathieu: è il linguaggio una componente di un mutamento rivoluzionario? Analisi dell’operatività del linguaggio rivoluzionario dalle prime e più antiche forme linguistiche al caso emblematico della Rivoluzione francese. Dire e ascoltare nella tipologia del “sofista”, del”filosofo re” e del pensatore socratico, di G. Marchetti: gli studi di filosofia del linguaggio hanno sempre ignorato i problemi relativi all’ascolto per dedicarsi esclusivamente ad evidenziarne la valenza espressiva; fin dalla riflessione greca il linguaggio è sempre apparso come suono significante, espressione appunto, ed ancor oggi appare questa la direzione fondamentale delle ricerche. Esiste tuttavia, accanto alla considerazione del linguaggio come discorrere, anche una dimensione dell’ascolto: l’articolo si propone appunto di analizzare il problema dell’ascolto in rapporto a quello dell’espressione, facendo riferimento a tre diverse accezioni del ruolo del filosofo nella tradizione filosofica: sofista, filosofo re, pensatore socratico. Sulla matrice della teoria della sostanza nel Discorso di metafisica di Leibniz, di A. Delcò: Il Discorso di metafisica rappresenta non tanto un’esposizione organica e integrale della filosofia leibniziana, quanto una prima sistemazione della teoria della sostanza, una sorta di matrice del sistema completamente articolato e strutturato; un’analisi dei contenuti dell’opera. L’esilio, la parola, di A. Prete. L’io straniero e il silenzio della parola, di P. A. Rovatti. Edmond Jabès: da un passaggio all’altro, di S. Mosès. Segue una nota bio-bibliografica curata da E. Manfredotti. Temporalità ed eterno presente nei Cahiers di Valéry, di G. Polizzi: un itinerario tra le varietà di tempo proposte da Valéry. Il carattere proteiforme e frammentario dei Quaderni e la stessa non linearità della riflessione del filosofo-poeta permettono di illuminare la sua concezione del tempo attraverso nove chiavi di lettura: il tempo del corpo, i sistemi viventi e la morte, la temporalità psicologica, topologie comparate del sogno e della veglia, l’invenzione, Dall’attualismo al tensionalismo, di A. Simone: riproposta dell’attualismo gentiliano in chiave tensionalista. Cristianesimo tragico, cristanesimo ludico: i due volti della fedeltà al Dio dialettico, di M. Gargano: il cristianesimo tragico di Pareyson, il cristianesimo non religioso di Bonhoeffer, il cristianesimo ludico di Cox e Moltmann: quale rapporto? Per una nuova edizione della Epistola lockiana sulla tolleranza, di M. Montuori. NOVITA' IN LIBRERIA NOVITA' IN LIBRERIA AA. VV. Die Französische Revolution und klassische deutsche Philosophie Akademie Verlag, Berlin aprile 1991 pp. 320, DM 38 AA.VV. Guerra virtuale e guerra reale: riflessioni sul conflitto del Golfo Mimesis Edizioni, Milano febbraio 1991. pp. 94, L. 17.000 Testi di: M. Perniola, C. Formenti, P. Dalla Vigna, T. Villani, F. Guattari, AA.VV. Il destino della famiglia nell’utopia a cura di Arrigo Colombo e Cosimo Quarta Edizioni Dedalo, Bari marzo 1991 pp.452, £. 40.000 IL problema della famiglia, della sua evoluzione, del suo futuro viene affrontato attraverso i grandi maestri dell’utopia e a fronte degli esiti della sperimentazione utopica, l’esperienza comunitaria. In questo quadro si apre l’interrogativo se essa debba conservarsi nella sua individualità oppure aprirsi alla comunione universale di una società fraterna. AA.VV. Le grandi correnti dell’estetica novecentesca a cura di Maria Grazia Marchianò Guerini e Ass., Milano giugno 1991 pp.466, £. 65.000 Il volume raccoglie gli atti di un convegno internazionale tenuto nel maggio 1990 dall’Università di Siena che ha visto la partecipazione di studiosi di quattordici paesi. Integrato da ulteriori contributi che fanno il punto sulla riflessione estetica in corso in Oriente, il libro costituisce una ricognizione critica a compasso aperto su scuole e protagonisti di questa branca moderna della filosofia. Albert, Hans Traktat über kritische Vernunft. J.C.B. Mohr, Tübingen aprile 1991 pp. 250, DM 80 (ed. ec. DM 19,80) Il “manifesto” del razionalismo critico. Pubblicato per la prima volta nel 1968, più volte ristampato con migliorie e aggiornamenti, viene ora riproposto in un’edizione tascabile. Albrecht, Erhard Sprachphilosophie Dt. Vlg. der Wissenschaften Berlin marzo 1991 pp. 576, DM 55 Il tentativo di fornire un prospetto il più completo possibbile della storia della filosofia del linguaggio, dei moderni concetti di semiotica, delle questioni di strutture linguistiche e dell’interdi-pendenza di lingua e politica. Alliez, Eric Les Temps capitaux 1. Récits de la conquête du temps prefaz. di Gilles Deleuze Cerf, Paris aprile 1991 pp. 342, F 220 Interrogandosi sulla città greca, la scienza, l’arte bizantina, la civiltà bizantina e feudale, l’autore ci fa partecipi dei tentativi di padroneggiare il tempo fisico, psicologico, sociale, storico che va di pari passo con i sistemi di pensiero e l’economia. Ambesi, Alberto Cesare Scienze, Arti e Alchimia Xenia Edizioni, Milano 1991 pp. 187, L.20.000 Lo scarto tra l’alchimia e la fisica moderna si misura sul carattere sapienziale della prima, irriducibile al metodo sperimentale della seconda. Anders, Günter Uomo senza mondo. Scritti sull’arte e la letteratura Spazio Libri Editori, Ferrara 1991 pp. 235, L. 30.000 Raccolta di testi di critica artistica e letteraria su Döblin, Brecht, Heartfield, Broch e Grosz, di un filosofo “non professionista”. Le sue analisi, frutto dell’intr eccio fra il r adicalismo marxiano e l’analitica heideggeriana, conoscono oggi in Italia un momento di fortuna, grazie anche all’impegno di Anders per il pacifismo e contro la catastrofe ecologica. Aron, Raymond Les articles du Figaro. Tome I. La guerre froide, 1947-1955 Editions de Fallois, Parigi 1991 pp.1418, FF 350 La vastissima raccolta di editoriali apparsi sul “Figaro” e firmati da Aron nel periodo della guerra fredda. Aubenque, Pierre Le Problème de l’être chez Aristote PUF, Paris aprile 1991 pp. 560, F 70 Una riedizione in collana tascabile. Bachmaier, H. - Fischer, E. P. (a cura di) Glanz und Elend der zwei Kulturen. Über die Verträglichkeit der Natur- und Geisteswissenschaften Univ.-Vlg., Konstanz aprile 1991 pp. 264, DM 48 Badiou, Alain Manifesto per la filosofia Feltrinelli, Milano maggio 1991 pp.93, L. 18.000 Un manifesto arguto e vivace per sostenere la possibilità della filosofia nelle condizioni concrete della nostra epoca. A partire dalla proposizione di una categoria assolutamente nuova di verità sottratta al sospetto nietzscheano e che precede la formalizzazione linguistica, Badiou polemizza con le posizioni che riducono la filosofia ad un tecnicismo logico-linguistico o ne decretano la morte per una presunta consunzione del criterio di verità. Barbaras, Renaud La Dimension comme être du phénomène: sur l’ontologie de Merleau-Ponty J. Millon, Brignoud aprile 1991 pp. 392, F 155 Un tentativo di lettura e una valutazione dell’«intra- ontologia» di MerleauPonty, scomparso nel 1961 lasciando incompiuta un’opera essenziale che doveva fissare il significato ultimo delle sue precedenti ricerche, che sono alla base di numerose correnti della filosofia contemporanea. Barbera, Sandro Goethe e il disordine. Una filosofia dell’immaginazione Marsilio, Venezia marzo 1991. pp.160, £. 24.000. Una analisi della struttura filosofica sottesa al mondo politico di Goethe. In particolare del concetto di immaginazione e del modo con cui, attraverso di esso, si fonda la dialettica tra salvezza e catastrofe, tra ordine e disordine, ragione e passione, le polarità fondamentali dell’universo poetico del grande tedesco. Barrett, T. H. Li Ao: Buddhist, Taoist or Neo-confucian? Oxford UP, Oxford marzo 1991 pp. 192, £ 20 Il pensiero di Li Ao, generalmente riconosciuto come precursore del Neoconfucianesimo, si continua a ritenere sia stato influenzato dal Buddhismo. Le ragioni storiche della reputazione di cui gode Li Ao vengono esaminate a precedere una serrata analisi di Fu-hsing shu, il lavoro che ha esercitato la maggiore influenza sul Neoconfucianesimo primitivo. Barth, Bernhard Schellings Philosophie der Kunst. Göttliche Imagination und ästhetische Einbildungskraft Alber, Freiburg aprile 1991 pp. 250, DM 68 Bauman, Zygmunt Modernity and Ambivalence Blackwell, Oxford aprile 1991 pp. 304, £ 35 Il declino delle fedi tradizionali non è stato coronato da un credo universalmente accettato nella razionalità. Bauman esamina le ragioni di questo fallimento. Benjamin, Andrew (a cura di) The Problems of Modernity Routledge, London marzo 1991 pp. 232, £ 9,99 Questa raccolta riunisce i lavori di diversi filosofi contemporanei dell’area della filosofia europea radicale nel tentativo di analizzare i problemi della modernità e della postmodernità. Gli argomenti trattati spaziano dall’arte, la letteratura e la musica, al femminismo e al giudaismo. Bertolini, Meletti Mara Il Pensiero e la Memoria. Filosofia e psicologia nella “Revue Philosophique” di Théodule Ribot Franco Angeli, Milano aprile 1991 pp.464, L. 40.000. Bigelow, J. - Pargetter, R. Science and Necessity Cambridge UP, Cambridge marzo 1991 pp. 448, £ 35 Il libro espone una teoria innovativa del realismo scientifico in cui si dà il giusto peso alla logica e alla matematica. Biser, Eugen Glaubenprognose. Orientierung in postsäkularistischer Zeit Verlag Styria, Graz/Wien/Köln aprile 1991 pp. 400, DM 59 - ÖS 420 La determinazione critica della posizione di un grosso pensatore del nostro tempo e la nostra situazione nell’ambito della fede. Bobbio, Norberto Una guerra giusta? Sul conflitto del Golfo Marsilio, Venezia marzo 1991. pp.96, £. 10.000 Gli articoli, le interviste ed i discorsi pronunciati dal filosofo torinese con l’intento di chiarire due domande fondamentali sul conflitto del golfo: questa guerra si poteva fare? E, posto che si potesse fare, si doveva fare? NOVITA' IN LIBRERIA Bohlmann, Otto Conrad’s Existentialism Macmillan Press, Londra marzo 1991 pp. 256, £ 35 Questo studio degli aspetti filosofici dei racconti di Conrad prova una forte inclinazione esistenzialista degli stessi, che prefigura numerosi concetti centrali del modernismo del XX secolo. L’autore rivela come l’opera narrativa di Conrad sia ricca di idee derivate da Sartre, Camus e Nietzsche. Bohnen, A. - Musgrave, A. (a cura di) Wege der Vernunft. Festschrift zum 70. Geburtstag von Hans Albert J.C.B. Mohr, Tübingen aprile 1991 pp.319, DM 98 Il volume propone con i suoi molteplici contributi un’ampia panoramica sulle idee di fondo e l’uso della filosofia del razionalismo critico. Bonetti, Paolo L’etica di Croce Laterza, Bari marzo 1991 pp.167, L. 32.000 Dell’etica crociana, rivisitata nella convinzione di una sua attualità, viene evidenziato il legame in essa sottolineato fra l’uomo e il mondo; la moralità non consiste nell’isolamento, ma nella pulsione verso l’azione e la storia. Borghi, Giuliano La politica e la tentazione tragica. La “modernità” in Macchiavelli, Montaigne e Gracian Franco Angeli, Milano aprile 1991 pp.200, L. 25.000 Una fenomenologia del “tragico” in un’analisi che ne discute i temi fondamentali, le motivazioni etiche e politiche e le ragioni della sua attualità. Bornet, Gérard Naive Semantik und Realismus. Eine sprachphilosophische Untersuchung der Frühphilosophie von Bertrand Russell (1903-1904) Haupt, Bern/Stuttgart aprile 1991 pp. 315, DM 58 - Frs 48 Bottani, Andrea - Penco, Carlo (a cura di) Significato e Teorie del linguaggio Franco Angeli, Milano 1991 pp.285, L. 38.000 Panoramica, attraverso una raccolta di saggi a livello specialistico sullo stato attuale della filosofia del linguaggio. Oltre agli ultimi sviluppi del filone modellistico, vengono presi in esame gli approcci alternativi a esso, quali le semantiche procedurali e la semantica situazionale. Ciascun saggio è introdotto da una breve presentazione sulla posizione dell’autore e sulla sua collocazione nel dibattito contemporaneo. Bouillon, Hardy Ordnung, Evolution und Erkenntnis. Hayeks Sozialphilosophie und ihre erkenntnistheoretische Grundlage J.C.B. Mohr, Tübingen aprile 1991 pp. 160, DM 98 L’ordine spontaneo e l’evoluzione culturale sono elementi centrali della filosofia sociale di Hayek. Se ne scopre il pieno significato solo nel contesto della teoria della conoscenza di Hayek, che porta con sé anche alcune implicazioni di teoria della scienza. Brandt, Reinhard Die Urteilstafel. Kritik der reinen Vernunft A 67-76; B 92-201 Meiner, Hamburg aprile 1991 pp. 129, DM 48 Questo saggio poco compreso su un problema centrale della sistematica della Critica della ragion pura offre una deduzione basata direttamente sul testo della completezza delle tavole del giudizio kantiane. Braudel Fernand Scritti sulla storia, II Il Saggiatore, Milano aprile 1991 pp. 285, L. 50.000 “La mia formazione di storico”, del 1972,chetocca alcuni temi della metodologia storiografica della scuola degli Annales, funge da presentazione a tre saggi sui “Prezzi in Europa dal 1450 al 1750”, su Carlo V e su Filippo II. Bubner, R. - Cramer, K. - Wiehl, R. - Hartmann, Kl. - Recki, B. Metaphysik und Erfahrung Vandenhoeck & Ruprecht Göttingen marzo 1991 pp. 171, DM 48 Bubner, Rüdiger - Cramer, Konrad Wiehl, Reiner - Hartmann, Klaus Recki, Birgit (contributi di) “Neue Hefte für Philosophie” 30/31: Metaphysik und Erfahrung Vandenhoeck & Ruprecht Göttingen/Zürich aprile 1991 pp. 171, DM 48 Buckle, Stephen Natural Law and the Theory of Property Clarendon Press, London marzo 1991 pp. 344, £ 35 Offre una prospettiva storica delle filosofie politiche di Locke e Hume, individuando elementi di continuità nello sviluppo della teoria politica del XVII e XVIII secolo. Sostiene che la teoria del senso morale di Hume fu un tentativo di puntellare la legge naturale con un’adeguata psicologia morale. Budd, Malcolm Wittgenstein’s Philosophy of Psychology Routledge, London marzo 1991 pp. 208, £ 9,99 Un resoconto sul concetto di filosofia della psicologia in Wittgenstein, che illustra la strada intrapresa da Wittgenstein per spiegare come gli eccessi di dualismo e comportamentismo potessero evitati senza fare ricorso al materialismo. Buhr, M. - Losurdo, D. Fichte: die Französische Revolution und das Ideal vom ewigen Frieden Akad. Verlag, Berlin aprile 1991 pp. 139, DM 38 Burkert, Walter Mito e rituale in Grecia trad. it. di Maria Rosaria Falivene Laterza, Bari maggio 1991 pp.290. Cassirer, Ernst - Couturat, Louis Kant e la matematica a cura di C. Savi Guerini e Associati, Milano marzo 1991 pp. 144 L. 22.000. I testi raccolti nel volume sono un articolo di Louis Couturat del 1904, La filosofia della matematica di Kant, e uno di Ernst Cassirer del 1907, Kant e la moderna matematica. Il confronto fra Couturat e Cassirer su Kant presuppone quello su Leibniz. Nel 1903 Couturat, d’accordo in ciò con Bertrand Russell, aveva accusato Cassirer di aver letto Leibniz attraverso la prospettiva kantiana, e di non avere con ciò compreso né la specificità della logica leibniziana, né la sua importanza per la logica matematica contemporanea; Cassirer non aveva compreso, soprattutto, l’inconciliabilità dell’una e dell’altra con i presupposti della dottrina kantiana della matematica. La discussione non fu infeconda, almeno per Cassirer: in seguito all’accusa, neppur troppo velata, di essere arrivato per ignoranza della logica matematica all’identificazione fra gnoseologia e logica, Cassirer riformulò il problema del rapporto tra la logica formale e la logica intesa, kantianamente, come teoria della conoscenza. Cavada, Eduardo - Connor, Peter Nancy, Jean-Luc (a cura di) Who Comes after the Subject? Routledge, London marzo 1991 pp. 256, £ 9,99 Offre un’ampia indagine sul pensiero contemporaneo francese riguardo alla questione del «soggetto» così come viene studiato in campo filosofico, politico, storico e psicanalitico. Filosofi francesi del calibro di Deleuze, Derrida, Lyotard, Nancy, Descombes, Kofman e Balibar presentano le loro considerazioni circa il soggetto. Clark, Maudemarie Nietzsche on Truth and Philosophy Cambridge UP, Cambridge aprile 1991 pp. 220, £ 25 (ed. ec. £ 10) Un resoconto analitico di tutti gli argomenti centrali dell’epistemologia e della metafisica di Nietzsche, tra cui le sue idee sulla verità e sul linguaggio, il suo prospettivismo e le sue dottrine sulla volontà di potenza e sull’eterno ritorno. Condrau, Gion Der Mensch und sein Tod. Certa moriendi condicio Kreuz-Verlag, Stuttgart aprile 1991 pp. 480, DM 98 Un classico riccamente illustrato sugli aspetti religiosi, psicologici, storico contemporanei e artistici della morte. Cothey, A.L. The Nature of Art Routledge, London aprile 1991 pp. 224, £ 35 Un resoconto sistematico delle principali idee filosofiche sull’arte e sull’estetica, dall’antichità ai giorni nostri, che propone una nuova teoria della soddisfazione estetica e dell’abilità artistica che spiega anche come mai le esperienze estetiche non possono essere descritte completamente dalla parola. Crowther, Paul The Kantian Sublime Clarendon Press, London marzo 1991 pp.192, £ 9,95 Una monografia dedicata esclusivamente alla teoria del sublime del filosofo tedesco, argomento che sta suscitando un rinnovato interesse tra i filosofi europei in relazione al dibattito sulla natura del postmodernismo. D’Alfonso Ernesto - Franzini, Elio Metafora Mimesi Morfogenesi Progetto. Un dialogo tra filosofi e architetti Guerini e Associati, Milano maggio 1991 pp.144, L. 22.000 Nel dialogo tra architettura e filosofia è comune la tensione verso il disvelamento di una “legge delle cose” che permetta di comprendere il senso oggettivo e intersoggettivo, di “piacere” e di “fruizione” di tutte gli oggetti distribuiti nelle dimensioni dello spazio. In questo contesto il dialogo non è quindi semplicemente esercizio di una generica “tolleranza” ma reciproco insegnamento finalizzato a un comune progetto. Devereux, Daniel - Pellegrin, Pierre Biologie, logique et métaphysique chez Aristote Ed. du CNRS, Paris aprile 1991 pp. 536, F 370 Contributo alla rilettura contemporanea dell’opera di Aristotele. Dietzsch, Steffen Dimensionen der Transzendentalphilosophie. Studien zur Entwicklung der klassischen deutschen bürgerlichen Philosophie Akademie Verlag, Berlin aprile 1991 pp. 290, DM 48 Dobmeier, G. (a cura di) Angst vor der Technik Vertrauen die Schöpfung? Techniker und Theologer im Dialog Pfeiffer, München aprile 1991 pp. 128, DM 19,80 Düffel, Johann von Intentionalität als Absichtlichkeit. Erkenntnistheoretische Untersuchungen im Rahmen eines einheitlichen Grundverständnisses von Subjektivität Kohlhammer, Stuttgart marzo 1991 pp. 134, DM 49,80 Dufrenne, Mikel L’Oeil et l’Oreille J.M. Place, aprile 1991 pp. 208, F 140 Sostenere l’importanza dell’orecchio di fronte all’importanza data all’occhio e proporre l’idea di un «transen-sibile», che sarebbe la radice comune del visibile e dell’udibile. Dümpelmann, L. - Hüntelmann, R. Sein und Struktur. Eine Auseinandersetzung der Phänomenologien Heideggers und Rombachs Centaurus Vlg., Pfaffenweiler marzo 1991 pp. 184, DM 38 Ebeling, Hans Martin Heidegger. Philosophie und Ideologie Rowohlt, Reinbek aprile 1991 DM 17,80 L’allievo di Heidegger Ebeling si addentra nel rapporto fra filosofia e ideologia in Heidegger, dentro e fuori dall’impasse difficilmente sopportabile che affligge la filosofia contemporanea. Eibl-Eibesfeldt, Irenäus Fallgruben der Evolution. Der Mensch zwischen Natur und Kultur Picus Verlag, Wien marzo 1991 NOVITA' IN LIBRERIA pp. 66, DM 14,80 - ÖS 98,00 Conferenza tenuta nel municipio di Vienna; edizione condotta sui manoscritti integrati e aggiornati dall’autore. Engelhardt, Hugo Tristram jr. Manuale di bioetica introduzione di Umberto Veronesi Il Saggiatore, Milano maggio 1991 pp. 452, L. 70.000 Autonomia, beneficenza, proprietà, autorità sono i principi-guida che servono a Engelhardt per definire il concetto di “pesona”, sulla cui base egli poi affronta alcuni problemi cruciali dell’etica della medicina. Engin-Deniz, Egon Vergleich des Utilitarismus mit der Theorie der Gerechtigkeit von John Rawls Tyrolia Vlg., Innsbruck marzo 1991 pp. 208, DM 29 - ÖS 264,00 Ernst, Germana Religione, ragione e Natura Ricerche su Tommaso Campanella e il tardo Rinascimento Franco Angeli, Milano aprile 1991 pp. 296, L. 36.000 Alcuni aspetti centrali della filosofia di Campanella, sono tematizzati nel saggio che mette in rilievo i rapporti tra l’opera di Campanella ed il pensiero di altri autori contemporanei, quali Della Porta, Cardano, Vanini e lo stesso Galileo. Eurich, Claus Die Megamaschine. Vom Sturm der Technik auf das Leben und Möglichkeiten des Widerstands Luchterhand, Neuwied marzo 1991 pp. 240, DM 16,80 Le nuove tecnologie minacciano sempre più la nostra vita. Claus Eurich elabora un’etica della responsabilità per una resistenza di successo. Fallot, Jean L’Angoisse devant la mort: journal Presses Universitaires de Lille Lille aprile 1991 pp. 335, F 120 L’autore, cresciuto con i filosofi occidentali, grande conoscitore della cultura italiana e dei maestri dell’Estremo Oriente, medita sul proprio caso. Festugière, Jean-André Ermetismo e mistica pagana Il Melangolo, Genova marzo 1991 pp. 336 Il volume si articola in tre parti, la prima dedicata alla tradizione ermetica vera e propria, la secondo all’astrologia ed una terza all’alchimia. Ha il pregio di rendere accessibile al lettore un mondo del passato tra i più affascinanti e misteriosi. L’autore coniuga in quest’opera la sua strordinaria dottrina a una singolare capacità di esporre temi e argomenti complessi e difficili. Figal, G. - Sieferle, R.-P. (a cura di) Selbstverständnisse der Moderne. Formationen der Philosophie, Politik, Theologie und Ökonomie Metzler, Stuttgart marzo 1991 pp. 160, DM 32 Figal, Günther Das Untier und die Lebe. Sieben platonische Essays Metzler, Stuttgart marzo 1991 pp. 120, DM 32 Filipuik, Marion - Laine, Michael Robson, John M. (a cura di) Collected Works of John Stuart Mill: vol. 32. Additional Letters Routledge, London marzo 1991 pp.496, £ 80 Contiene la trascrizione completa delle 375 lettere scritte da John Stuart Mill. Tra i momenti più importanti della collezione vanno citati la serie di lettere a Henry Cole, la corrispondenza con Theodor Gomperz, traduttore di Mill in Germania, e una corrispondenza interna dalla Compagnia delle Indie Orientali, che getta luce sulla carriera di Mill. Fischer, E. P. (a cura di) Auf der Suche nach der verlorenen Sicherheit Piper, München aprile 1991 pp. 177, DM 16,80 Intervengono a questo primo volume sul tema della “sicurezza perduta”: un filosofo (H. Lübbe), un teorico della scienza (G. Vollmer), un biologo molecolare (W. Schaffner), un esperto di ricerche tecnologiche (G. Ropohl) e un teologo (F. Böckle). Fleischer, Margot Die Zeitanalyse in Heideggers Sein und Zeit. Aporien, Probleme und ein Ausblick Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1991 pp. 74, DM 28 Fontenelle, Bernard Le Bovier de Entretiens sur la pluralité des mondes prefaz. di François Botte Ed. de l’Aube, Paris marzo 1991 pp. 138, F 89 La grande novità del libro di Fontenelle (1657-1757) sta nella relazione molto originale che mette in scena tra il sapere e l’urbanità. Fornari, Fabrizio Essere ed evento in Heidegger Franco Angeli, Milano aprile 1991 pp. 200, L. 25.000 La “svolta” del pensiero heideggeriano oltre l’interruzione-fallimento di Essere e tempo. Forum für Philosophie Bad-Homburg (a cura di) Übergang. Untersuchungen zum Spätwerk Immanuel Kants Klostermann, Frankfurt aprile 1991 pp.250, DM 68 Negli ultimi anni di vita, Kant abbozzò la stesura dell’opera Passaggio degli elementi metafisici fondamentali della scienza naturale alla fisica, con la quale si proponeva di turare quella che lui riteneva una falla fra la filosofia trascendetale e la fisica empirica. Il volume raccoglie i saggi per chi in questo momento è impegnato nella ricerca sull’opera postuma di Kant. Fox, Warwick Toward a Transpersonal Ecology: Developing New Foundations for Environmentalism Century Stationery (Random) London marzo 1991 pp.328, £ 7,99 Filosofia dell’ambiente, o ecofilosofia, un nuovo indirizzo in campo filosofico che costituisce un radicale cambiamento rispetto all’antropocentrismo che ha informato le principali correnti filoso- fiche occidentali sin dai tempi della Grecia classica. ne etico-politica di Aristotele nella storia del pensiero occidentale. Franz, Herbert Auf dem Weg zu einem ganzheitlichen Weltbild Böhlau, Wien/Köln aprile 1991 pp. 149, DM 34 - ÖS 240 L’autore analizza l’avvicinamento di scienze naturali e scienze dello spirito ancora da verificare, un superamento che si va delineando della rottura cartesiana. Gli elementi teologici rappresentano un aspetto particolare della ricerca nella concezione scientifico naturale moderna. Gondicas, Myrto (a cura di) Epictète. Ce qui dépend de nous: manuel et entretiens trad. dal greco di Myrto Gondicas Arléa, Paris marzo 1991 pp. 203, F 95 L’essenziale dell’insegnamento di Epitteto così come venne raccolto da uno dei suoi discepoli. Annesso vi è l’Entretien de Pascal avec M. de Sacy, dove l’autore dei Pensieri mette a confronto l’insegnamento di Epitteto con quello di Montaigne. Fulda, H. Fr. - Holz, H. H. Pätzold, D. Perspektiven auf Hegel Dinter, Köln marzo 1991 pp. 96, DM 24,80 Gräfrath, Bernd “Moral Sense” und praktische Vernunft. David Humes Ethik und Rechtsphilosophie Metzler, Stuttgart aprile 1991 pp. 196, DM 58 Garelli, Jacques Rythmes et mondes: au revers de l’identité et de l’altérité J. Millon, Brignoud aprile 1991 pp.384, F 165 Discussione circa la situazione dell’individuo, cosa o persona, nei suoi processi di formazione in seno a una totalità, secondo una quadruplice dimensione: storica, epistemologica, tecnica e artistica. Gava, Giacomo Scienza e Filosofia della coscienza Franco Angeli, Milano maggio 1991 pp. 240, L. 30.000 Il volume presenta le principali concezioni di neuroscienziati, studiosi del comportamento animale e dell’intelligenza artificiale, di psicologi e di filosofi che si sono particolarmente dedicati al problema della coscienza. Viene messo particolarmente in rilievo il ruolo guida svolto nell’ambito delle neuroscienze dalla teoria dell’identità, evidenziando i pericoli insiti nell’ambiguità di usi e significati attribuiti spesso al termine coscienza. Geach, P. (a cura di) Logic and Ethics Kluwer Academic Publ. Dordrecht marzo 1991 pp. 320, Dfl 180 Gethmann, C.Fr. (a cura di) Lebenswelt und Wissenschaft. Studien zur Verhältnis von Phänomenologie und Wissenschaftstheorie Bouvier, Bonn marzo 1991 pp. 350, DM 86 Goetz, Georg Philosophie und Judentum. Vorträge und Aufsätze aus den Jahren 19241968. (Im Auftrag des Internationalen Constantin-Brunner-Instituts herausgegeben.) Hansa-Vlg, Husum aprile 1991 pp. 218, DM 17,80 Gomez Muller, Alfred Chemins d’Aristote Editions du Félin, Paris 1991 pp. 163, Fr. 110 Un’introduzione al pensiero di Aristotele in cui l’autore presenta alcune delle principali linee tematiche dell’opera del pensatore greco (logica, ontologia, metafisica, etica e politica). La parte conclusiva (“Libertà e schiavitù”), segue alcune tracce della riflessio- Grondin, Jean Einführung in die philosophische Hermeneutik Wiss. Buchges., Darmstadt aprile 1991 pp. 229, DM 36 Hablicher, Alfred Reich Gottes als Thema des Denkens bei Kant. Entwicklungsgeschichtliche und systematische Studie zur kantischen Reich-Gottes-Idee Grünewald, Mainz marzo 1991 pp. 304, DM 48 Hammer, Thomas Einheit und Vielheit bei Heraklit von Ephesus Königshausen & Neumann Würzburg aprile 1991 pp. 224, DM 48 Hastedt, Heiner Aufklärung und Technik. Grundprobleme einer Ethik der Technik Suhrkamp, Frankfurt/M. aprile 1991 pp. 340, DM 44 Il lavoro si propone, davanti alla marea di scritti pubblicati negli ultimi anni che danno alla valutazione della tecnica un carattere da tema di moda, una solitaria fermezza di visuale e una sistematizzazione che rendano plausibile un programma illuministico. Hecht, H. (a cura di) Gottfried Wilhelm Leibniz im philosophischen Diskurs über Geometrie und Erfahrung Akademie Vlg., Berlin marzo 1991 pp. 220, DM 58 Il volume di saggi è dedicato ai temi cruciali dello sviluppo della filosofia e della scienza nei secoli XVII e XVIII, che strutturavano attraverso l’interpretazione filosofica della geometria la discussione sul metodo da Cartesio a Kant. Hemecker, Wilhelm W. Vor Freud. Philosophiegeschichtliche Voraussetzungen der Psychoanalyse Philosophia, Wien aprile 1991 pp. 208, DM 68 Henning, Kl. - Bitzer, A. Ethische Aspekte von Wirtschaft und Arbeit BI Wissenschaftsvlg. Mannheim/Wien/Zürich aprile 1991 pp. 184, DM 19,80 NOVITA' IN LIBRERIA Hennis, Wilhelm Il problema Max Weber Laterza, Bari 1991 pp. 267, L. 44.000 Sulla base di importanti manoscritti inediti, Hennis propone un’interpretazione radicalmente nuova di Weber che va oltre alla tradizionale collocazione di classico della sociologia, e lo riconduce alla sua problematica di fondo che è più ampia, etico-pedagogica ed antropologica. Henry, Michel Marx 1. Une Philosophie de la réalité (II vol) Gallimard, Paris aprile 1991 F 75 Svela l’intuizione fondante dell’opera di Marx: la soggettività corporale dell’individuo, che definisce al tempo stesso la sua esistenza e la sua condizione di lavoratore. 2. Une Philosophie de l’économie F 75 Una fenomenologia della vita concreta costituisce in Marx la messa a nudo di tutto il sistema e il principio unitario della sua spiegazione. Il valore è prodotto esclusivamente dal lavoro vivo. Il destino del capitale è dunque quello della prassi soggettiva dell’individuo. Herbrand, S. - Khaled, S. Geschlechterdifferenz. Zur Feminisierung des philosophischen Diskurses Centaurus Vlg., Pfaffenweiler aprile 1991 pp. 140, DM 28 Hoffmann, Daniel Die Erkenntnis auf dem Weg zur Vollkommenheit. Wunderwissen und Gotteserkenntnis in Maimonides More Nebuchim W. Fink, München marzo 1991 pp. 120, DM 48 Hoffmann, Ernst Il linguaggio e la logica arcaica Spazio Libri Editori, Ferrara 1991 pp. 182, L. 24.000 Dopo che, con Pitagora ed Eraclito, l’oggetto della filosofia non è più solo il mondo, ma il discorso dell’uomo sul mondo, la dicibilità e l’intelligibilità razionali di quest’ultimo sono diventate un problema; anzi, il problema della filosofia. E’ la prima traduzione italiana di un testo ormai classico del 1925, che tocca le questioni epocali della metafisica riguardanti logos, mondo, verità. Holderegger, A. (a cura di) Ethik der Medienkommunikation. Grundlagen Herder, Freiburg aprile 1991 pp. 160, DM 29,80 Hölz, Bernhard Tractatus poetico-philosophicus. Über Simulation Vlg. Die Blau Eule, Essen marzo 1991 pp. 72, DM 19 Holz, Norbert Eine kurze Geschichte des Scheins W. Fink, München marzo 1991 pp. 138, DM 28 Le odierne tecnologie di simulazione mettono in discussione la differenza tradizionale fra reale e immaginario. Il libro di Bolz parte da qui per una ridefinizione filosofica del rapporto fra essere e apparire. Hösle, Vittorio Philosophie der ökologischen Krise. Moskauer Vorträge C.H. Beck, München aprile 1991 pp. 136, DM 16,80 Hösle ricava le conseguenze etiche, economiche e politiche dalla crisi ecologica ed espone alcuni provvedimenti concreti per fondare un’economia di mercato ecologico-sociale. Hotman, François La Gaule française: 1574 Fayard, Paris aprile 1991 pp. 185, F 130 Celebre giureconsulto, F. Hotman professava la religione riformata e venne salvato dai suoi studenti all’epoca degli avvenimenti di San Bartolomeo. Insegnò diritto a Berruyer, poi si ritirò a Ginevra e a Basilea. La sua opera mette in discussione l’assolutismo monarchico sostenendo che in Francia la monarchia dev’essere elettiva e non ereditaria. Humboldt, Wilhelm von La diversità delle lingue a cura di Donatella di Cesare Laterza, Bari aprile 1991 pp. 380. Iser, Wolgang Das Fiktive und das Imaginäre. Perspektiven literarischer Anthropologie Suhrkamp, Frankfurt/M. aprile 1991 pp. 360, DM 44 Se l’uomo è in grado di rivelarsi a se stesso solo attraverso le possibilità del proprio io, senza consumarle nella pragmatica di volta in volta dominante del compimento della vita, allora la finzione letteraria si dimostra una necessità antropolgica. Quindi solo mettendo in scena realtà che non sono disponibili per l’uomo si può attraversare questo confine. Ishiguro, Hide Leibniz’s Philosophy of Logic and Language Cambridge UP, Cambridge aprile 1991 pp.240, £ 28 Per questa nuova edizione, l’autore ha aggiunto capitoli nuovi su infinitesimali e condizionali, tenendo conto delle critiche alla prima edizione. Jacquette, Dale Meinongian Logic. The Semantics of Existence and Nonexistence Philosophia Vlg, München marzo 1991 pp. 332, DM 148 Jankélévitch, Vladimir Berlowitz, Béatrice Quelque part dans l’inachevé Gallimard, Paris marzo 1991 Jaspers, Karl Nachlaß zur Philosophischen Logik A cura di H. Saner e M. Hänngi Piper, München marzo 1991 pp. 560, DM 128 Karl Jaspers riuscì a completare solo il primo volume della sua opera principale, la Logica filosofica. Hans Saner, il curatore del lascito jaspersiano, e Marc Hänngi hanno ricostruito gli altri volumi progettati sulla base degli appunti di Jaspers: una teoria della categorie, una teoria del metodo e una teoria della scienza. Johnson, Lawrence E. A Morally Deep World. An Essay on Moral Significance and Environmental Ethics Cambridge UP, Cambridge marzo 1991 pp. 304, £ 25 L’autore sostiene che gli animali non umani e gli ecosistemi stessi siano essere significativi da un punto di vista morale, con interessi e diritti. Johnston, Paul Wittgenstein and Moral Philosophy Routledge, London marzo 1991 pp. 254, £ 9,99 Applicazione del metodo di esame dei problemi filosofici di Wittgenstein ad alcune delle questioni centrali della filosofia morale. L’autore esamina problemi come la possibile presenza di verità nell’etica, e di cosa realmente significhi l’obiettività in questo contesto. Jolivet, Jean - Kaluza, Zénon Libera, Alain (a cura di) Hommage à Paul Vignaux (1904-1987): lectionum varietates prefaz. Charles Pietri Vrin, Paris aprile 1991 pp. 342, F 375 Vecchi studenti, amici e collaboratori stretti ringraziano il loro maestro in materia di storia della filosofia e teologia medievale, con studi dedicati agli autori o ai problemi alla cui lettura erano stati avviati. Jonas, Hans Il diritto di morire Il Melangolo, Genova marzo 1991. pp. 64. IL diritto di morire al quale Jonas si riferisce in questo saggio non ha a che fare con la scelta di un soggetto attivo il suicidio - bensì con la situazione del paziente moribondo, artificialmente tenuto in vita dalle tecniche della medicina. Il riconoscimento del diritto di vivere come fonte di tutti i diritti, correttamente inteso contempla anche il diritto di morire. Jung, Carl G. Psicoanalisi e psicologia analitica Bollati Boringhieri, Torino aprile 1991. pp. 340, L. 90.000. Il terzultimo volume delle opere di Jung raccoglie le lezioni universitarie tenute dallo psichiatra zurighese: I fondamenti della psicologia analitica e La vita simbolica, un saggio di divulgazione teorica: Simboli e interpretazione dei sogni e due brevi scritti sulla persona e sulle teorie di Freud. Kain, Philip J. Marx and Ethics Clarendon Press, London marzo 1991 pp.232, £ 10,95 Questo studio traccia lo sviluppo dell’etica in Karl Marx con i mutamenti e i cambiamenti che essa subì durante i diversi periodi della sua vita. Kant, Immanuel Bemerkungen in den Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen a cura di Marie Rischmüller Meiner, Hamburg aprile 1991 pp. 294, DM 86 Kenny, Neil The Palace of Secrets. Beroalde de Verville and the Transformation of Renaissance Encyclopaedism Oxford UP, Oxford marzo 1991 pp. 306, £ 30 Kinter, Achim Rezeption und Existenz. Untersuchungen zu Sören Kierkegaards Entweder-Oder Lang, Frankfurt/Bern aprile 1991 pp. 142, DM 48 Kirwan, Christopher Augustine Routledge, London marzo 1991 pp.224, £ 10,99 Un’indagine critica del pensiero filosofico di Sant’Agostino, che prende in esame i suoi scritti su temi di grande rilievo come lo scetticismo, la natura dell’uomo, l’universo e la creazione, il problema del rapporto tra il corpo e la mente, la natura del tempo, e il problema del libero arbitrio. Klein, Richard Solidarität mit Metaphysik. Ein Versuch über die musikphilosophische Problematik der Wagner-Kritik Theodor W. Adornos Königshausen & Neumann Würzburg aprile 1991 pp. 401, DM 86 Köchler, Hans Politik und Theologie bei Heidegger. Politischer Aktionismus und theologische Mystik nach Sein und Zeit Arbeitsgem. f. Wiss. u. Politik, Innsbruck aprile 1991 pp. 50, DM 15 - ÖS 100 Kondylis, P. (a cura di) Der Philosoph und die Lust Suhrkamp, Frankfurt aprile 1991 pp. 170, DM 28 Koselleck, Reinhardt Maier, Christian Progresso Marsilio Editori, Venezia maggio 1991 pp. 130, L. 20.000 La voce “Progresso”, quasi interamente redatta dallo stesso Koselleck, è forse l’esempio più controverso della problematicità dei concetti della teoria politica nel mondo attuale. Lo scritto traccia una storia dell’idea di progresso dall’antichità greca ai nostri giorni, dove si presenta come un’idea precaria, addirittura difficilmente sostenibile, punto critico di ogni concezione lineare e finalistica del processo storico. Kozlowski, Richard Die Aporien der Intersubjektivität. Eine Auseinandersetzung mit Edmund Husserls Intersubjektivitätstheorie Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1991 pp. 314, DM 58 Kühlewind, Georg Vom Umgang mit der Anthroposophie Vlg. Freies Geistesleben Stuttgart marzo 1991 pp. 67, DM 19 Kühn, Rolf Sinn-Sein-Sollen. Beiträge zu einer phänomenologischen Existenzanalyse in Auseinandersetzung mit dem Denken Viktor E. Frankls Junghens, Cuxhafen marzo 1991 pp. 197, DM 35 Kunna, Ulrich NOVITA' IN LIBRERIA Das “Krebgeschwür der Philosophie”. Komenskys Auseinandersetzung mit dem Cartesianismus Academia Vlg. Richarz Sankt-Augustin marzo 1991 pp. 304, DM 48 L’espace et le temps Atti del XXII congresso dell’Association des sociétés de philosophie de langue française, Digione, 29-31 agosto 1988 Vrin, Sociétés bourguignonne de philosophie, Paris aprile 1991, pp. 495, F 327 Specialisti nel campo delle scienze della vita, delle scienze matematiche, delle scienze fisiche confrontano le loro idee su questa problematica. L’Homme et l’Autre: de Suso à Peter Handke. Actes/colloque organisé par le Centre de recherches germaniques et scandinaves de l’Université de Nancy II, mars 1988 Presses Universitaires de Nancy Nancy aprile 1991 pp. 171, F 220 Analizza le manifestazioni dell’Altro nei testi letterari e filosofici. L’Altro viene studiato nelle sue differenti forme: l’altro sesso, l’inconscio, il doppio, l’alter ego, l’eretico e il nemico mortale... Laruelle, François En tant qu’un: la non-philosophie expliquée aux philosophes Aubier, Paris aprile 1991 pp. 264, F 130 Una raccolta di brevi scritti sulla nonfilosofia. Non si tratta né di una negazione, né di una distruzione della filosofia, ma dell’istituzione di un pensiero più rigoroso e reale che dovrebbe superare le insufficienze teoriche della filosofia e la sua superiore sufficienza. Le Gaufey, Guy L’incomplétude du symbolique: de René Descartes à Jacques Lacan EPEL, Paris aprile 1991 pp. 230, F 135 La prospettiva di fondare una lingua dalla quale fosse esclusa qualunque arbitrarietà fu la pretesa della logica, rappresentata da Frege nel 1870, ma definitivamente rimessa in discussione da Gödel, in una dimostrazione dell’incompiutezza del sistema. La concezione lacaniana del simbolico esprime la medesima frattura del discorso. Le Poldevin, Robin Change, Cause and Contradiction. A Defense of the Tenseless Theory of Time Mac Millan Press, London aprile 1991 pp. 186, £ 35 Studio delle teorie filosofiche sul tempo e la causalità e le loro implicazioni sul nostro concetto di cambiamento. Lehrer, Keith Thomas Reid Routledge, London marzo 1991 pp.316, £ 12,99 Descrive a grandi linee e analizza le riflessioni del filosofo Thomas Reid su temi che spaziano dalla filosofia della mente e l’estetica alla teoria dell’azione e della filosofia morale, in uno sforzo di illustrare le teorie di Reid sulle operazioni della mente umana. Lemaire, Jacques (a cura di) “La pensée et les hommes”, 16: Le Cours de la morale: aspects pédagogiques Ed. de l’Université de Bruxelles Bruxelles aprile 1991 pp. 136, FB 400 Risposte alle questioni pedagogiche relative all’insegnamento della morale non confessionale. Lepore, Ernest - Van Gulick, Robert John Searle and his Critics Basil Blackwell, Oxford aprile 1991 pp. 450, £. 35 L’importanza e l’influenza delle due opere embrionali del pensatore John Searle, Speech Acts e Intentionality. Una valutazione globale del suo apporto alla filosofia del linguaggio, della mente, della giustificazione sociale e di referenza e intenzionalità. Leroux, Pierre Le ragioni dell’uguaglianza a cura di Angelo Prontera Milella Editore, Lecce marzo 1991 pp. 218 Apologia dell’egualitarismo condotta da un pensatore che raggiunse una certa popolarità intorno al 1848. Una prima parte è dedicata all’analisi della situazione sua contemporanea; una seconda alla ricerca delle origini e della legittimità storiche del concetto di uguaglianza. Sulla base di queste premesse Leroux delinea una filosofia della storia orientata sul progresso dell’uomo verso il “dogma dell’avvenire”, l’uguaglianza. Lessing, Gotthold Ephraim La religione dell’umanità a cura di Nicolao Merker Laterza, Bari 1991 pp. 185, L. 29.000 Vasta scelta di testi (quattordici) di filosofia della religione di Lessing, con un’ampia introduzione, una bibliografia ragionata, un glossario di termini e un indie biografco dei personaggi citati. Liebmann, Otto Kant und die Epigonen. Eine kritische Abhandlung Fischer, Erlangen aprile 1991. (rist. dell’edizione di Stuttgart, 1865) pp. 220, DM 48 Lipton, Peter Inference to the Best Explanation Routledge, London aprile 1991 pp. 240, £. 35 La prima trattazione di ampio respiro di una controversa idea di grande interesse nella filosofia della scienza. Lloyd, Geoffrey E. R. Smascherare le mentalità Laterza, Bari 1991 pp. 209, L. 26.000 IL problema generale affrontato in questo libro riguarda la validità e l’utilità del concetto di mentalità. L’opinione dell’autore è che, per alcune delle questioni discusse sotto la rubrica delle mentalità, sia più produttivo vedere i problemi in termini sociologici piuttosto che psicologici. Ne è un esempio il problema del rapporto tra magia e scienza: invece di far appello a postulate differenze di mentalità, l’autore pone l’accento sugli stili di discorso e sui vari contesti in cui essi erano usati, dove un fattore cruciale per la valutazione sia degli stili che dei contesti è la questione dell’esistenza e dell’impiego di esplici- te categorie concettuali d’ordine linguistico e altro. Loche, Anna Maria Jeremy Bentham e la ricerca del buongoverno Franco Angeli, Milano marzo 1991 pp. 264, L. 30.000 La ricerca del buongoverno costituisce un motivo costante nella filosofia politica di Jeremy Bentham, il primo conseguente teorico della democrazia parlamentare. Caposcuola della filosofia utilitaristica e radicale, severo critico del sistema giuridico i istituzionale britannico dei suoi tempi, fu sempre un convinto assertore della necessità di riformare sia la scienza e il linguaggio politici e giuridici, sia i meccanismi istituzionali allora dominanti. Longino Del sublime trad. it. di Francesco Donadi Rizzoli, Milano marzo 1991 pp. 300, L. 12.000 Concepito nell’inquieta temperie della prima età imperiale, il trattato fa suoi i grandi temi letterari del tempo, segnati dall’amara riflessione sul declino morale che insidia le fonti stesse dell’arte. L’anonimo autore vuol contribuire al recupero della potenza espressiva svilita: attraverso un fitto ordito di confronti e di citazioni, il discorso delinea i modi di una critica originale sentita come educazione alla grandezza. Lyotard, Jean-François Leçons sur l’analytique du sublime: Kant, Critique de la faculté de juger, paragraphes 23-29 Galilée, Paris aprile 1991 pp. 294, F 185 L’analitica del sublime occupa un posto modesto nella Critica del giudizio di Kant. Tuttavia offre la via a una critica estetica del tutto differente da quella del gusto. Queste lezioni sono destinate ad aiutare studenti e ricercatori di filosofia. Magnard, Pierre Pascal: la clé du chiffre Ed. universitaires, aprile 1991 pp. 380, F 245 Definisce con precisione l’asse del pensiero pascaliano: cercare non tanto di fare apparire un senso al posto del nonsenso, ma manifestare il senso del nonsenso, la chiave della cifra. Maimon, Salomon A Kant Edizioni Guerini, Milano maggio 1991 pp. 96, L. 14.000 Queste brevi lettere di Maimon a kant costituiscono forse una delle più acute interpretazioni della Critica della ragion pura. Viene messo in rilievo particolarmente il concetto di “noumeno”, sul quale l’autore si misurò con i contributi più originali e profondi, frutto di una appassionata speculazione filosofica. Maiocchi, Roberto Non solo Fermi Le Lettere, Firenze 1991 pp. 261, L. 45.000 L’opera vuole mettere in discussione due convinzioni radicate: il disinteresse della cultura filosofica italiana fra le due guerre verso i problemi scientifici, e il carattere solitario della ricerca di Enrico Fermi. Al contrario, la scuola di Fermi è solo una delle componenti del- l’ambiente scientifico italiano del periodo; la più importante dal punto di vista scientifico, ma non da quello filosofico, in un dibattito su grandi problemi filosofici e metodologici sollevati dalla meccanica quantistica che coinvolge anche i filosofi idealisti Malighetti, Roberto Il filosofo e il confessore. Antropologia ed ermeneutica in Clifford Geertz Unicopli, Milano 1991 pp. 112, L. 16.000 Prendendo spunto dall’elaborazione di Geertz della tradizione ermeneutica ma anche dalla sua sintesi di argomentazioni e concetti elaborati da diverse fonti, dalla fenomenologia alla filosofia analitica, dalla filosofia della scienza alla critica letteraria, l’autore discute criticamente i fondamenti epistemologici dell’antropologia e delle scienze sociali in generale. Marion, Jean-Luc L’idole et la distance LGF, 1991 F 45 Una riflessione che sconvolge profondamente un buon numero di schemi della teologia cristiana classica e s’inscrive nella ricerca di una soluzione alla crisi intellettuale che attraversa il pensiero contemporaneo. Marquard, Odo Apologia del caso Il Mulino, Bologna, marzo 1991, pp. 162, L.18.000 L’area tematica che l’autore esplora si situa all’incrocio tra filosofia, antropologia e scienze della religione. Centrale nella riflessione di Marquard, il concetto di «compensazione», secondo cui le scienze umane compensano il vuoto, la perdita che la tecnica - sentita come diabolica - provoca nel mondo. In una prospettiva che riporta le grandi questioni della metafisica alla misura della finitudine umana, l’autore privilegia un’osservazione critica relativistica e disincantata. Una vocazione asistematica che emerge con forza nella trattazione dei temi affrontati, in un confronto aperto con l’attualità, dove, all’idea di «demitologizzazione» viene opposta quella di «polimiticità illuminata». Marsilio da Padova Il difensore della pace. Primo discorso Marsilio, Venezia maggio 1991. pp. 416, £. 35.000. Il Defensor Pacis di Marsilio dei Menardini è un’opera tra le più celebri del pensiero politico medievale. L’argomento “topico” che afferma la superiorità del “tutto” sulla “parte” assume in Marsilio un esplicito significato politico e si traduce nel pricipio che vede nella legge pubblica, emanata dal popolo, la norma alla quale sono soggetti tanto i cittadini che i legislatori ed i governanti. Il concetto di sovranità popolare nella sua universalità e autonomia costituisce così il baluardo a difesa della pace civica, contro le ingerenze del potere religioso. Marten, Rainer Heidegger lesen W. Fink, München marzo 1991 pp. 240, DM 48 Per tutta la sua vita filosofica, Rainer Marten si è occupato (prima come interlocutore, poi sempre più come suo critico) di Martin Heidegger. L’intento NOVITA' IN LIBRERIA di questo libro è quello di portare a compimento questa lunga riflessione. Mascioni, Grytzko La pelle di Socrate Leonardo. Milano aprile 1991 pp. 288, L. 29.000 Una biografia di Socrate schizzata con tecnica romanzesca che ripropone la figura del grande filosofo greco nei suoi tratti più umani. Mathews, Freya The Ecological Self Routledge, London aprile 1991 pp. 208, £ 30 la prima trattazione di ampio respiro dei fondamenti metafisici dell’etica ecologica. Matuschek, Stefan Über das Staunen. Eine Ideengeschichtliche Analyse Niemeyer, Tübingen aprile 1991 pp. 275, DM 78 Il saggio indaga su una doppia traccia (la teoria della conoscenza e la poetologia, che non vengono viste separate, ma in reciproca dipendenza) la storia spirituale dello stupore. E’ fondamentale la differenza fra tradizione platonica e aristotelica. Maurach, Gregor Seneca - Leben und Werk Wiss. Buchges, Darmstadt marzo 1991 pp. 218, DM 49 Mayaud, Pierre-Noël (a cura di) Le Problème de l’individuation Vrin, Paris aprile 1991 pp.185, F 162 Il problema dell’individuo, e dunque dell’individuazione, si trova al centro di ogni ontologia. Il pensiero di diversi autori (Aristotele, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Leibniz...) viene esaminato da questo punto di vista. Meinwald, Constance C. Plato’s «Parmenides» Oxford UP, Oxford marzo 1991 pp.224, £ 24 Questo saggio offre una nuova soluzione del celebre problema della cosiddetta «ginnastica» a cui è dedicata una metà del Parmenide di Platone. L’autore dimostra che il lavoro serve a introdurre una metafisica ormai liberata dei problemi comunemente associati ai dialoghi della maturità, creando un ponte con il suo ultimo lavoro. Meo, Oscar Il Contesto. Osservazioni dal punto di vista filosofico Franco Angeli, Milano marzo 1991 pp. 200, L. 24.000 Avvalendosi soprattutto dell’emergere dell’interesse per la dimensione “pragmatica” del linguaggio e tenendo conto delle principali teorie linguistiche e critiche contemporanee, il volume si propone di investigare il problema del contesto alla luce dell’evoluzione subita dai concetti di “testo”, “significato” e “comunicazione”. Merker, Nicolao Introduzione a Lessing Laterza, Bari maggio 1991 pp. 210. Mersch, D. (a cura di) Gespräche über Wittgenstein Passagen-Verlag, Wien aprile 1991 pp. 176, DM 39,80 - ÖS 280 Metz, Wilhelm Kategoriendeduktion und produktive Einbildungskraft in der theoretischen Philosophie Kants und Fichtes Fronmann-Holzboog Stuttgart-Bad Canstatt marzo 1991 DM 194 Meyer, Michel Le Philosophe et les passions LGF, Paris aprile 1991 F 45 L’autore fa una preziosa messa a punto del termine stesso di passione, poi presenta l’evoluzione di questa nozione in funzione delle differenti concezioni filosofiche in Platone, Aristotele, Sant’Agostino, Cartesio, Spinoza, Machiavelli, Kant, Freud... Miller, Fred - Keyt, David (a cura di) A Companion to Aristotle’s Politics Basil Blackwell, Oxford marzo 1991 pp.380, £ 50 Gli scritti di questo volume sono statiraccolticon l’intenzione di fornire un comprensibile supporto alla lettura della Politica di Aristotele. Uno è del XIX secolo, quattro sono stati scritti appositamente per questo volume,irimanentisono statiriveduti e pubblicati adattandoli alle caratteristiche dell’opera. Mohr, Georg Das sinnliche Ich. Innerer Sinn und Bewußtsein bei Kant Königshausen & Neumann Würzburg aprile 1991 pp. 222, DM 48 Moretto, Giovanni (a cura di) Preghiera e filosofia Morcelliana, Brescia aprile 1991 pp. 438, L. 40.000 I saggi raccolti nel volume dedicato ad Umberto Caracciolo, si pongono nella prospettiva di una interrogazione filosofica della preghiera. Nell’epoca del nichilismo la crisi culturale della preghiera, del suo invocare, non tocca la stessa filosofia in quanto sguardo stupefatto sull’esistente? Che il pregare ammutolisca davanti al male non ha lo stesso significato dell’autori-flessione della filosofia al cospetto delle situazioni limite? A questi problemi cruciali gli autori del volume hanno provato a rispondere interrogando il pensiero filosofico e l’arte contemporanei. Morresi, Ruggero Historica. Dal pensiero del Novecento ai “Topici” di Aristotele con e oltre Eric Weil Il Lavoro Editoriale, Ancona aprile 1991 pp. 121, L. 35.000 “Historica” è un percorso a ritroso che l’autore compie da quello che egli considera l’ultimo dei grandi sistemi di filosofia, quello di Eric Weil, alle origini della ricerca filosofica, la logica dei Topici aristotelici. Müller, H.-P. (a cura di) Wissen als Verantwortung. Ethische Konsequenzen des Erkennens Kohlhammer, Stuttgart aprile 1991 pp.159, DM 38 Nancy, Jean-Luc Une Pensée finie Galilée, Paris aprile 1991 pp.365, F 195 Un pensiero compiuto pone la questione: come pensare il senso a partire dal momento in cui la chiave di volta metafisica di tutti i sensi disponibili è scomparsa (niente più Dio, niente più uomo, niente più storia...). Nasemann, Beate Theurgie und Philosophie in Jamblichs De Mysteriis Teubner, Stuttgart aprile 1991 pp. 320, DM 68 di) Zur philosophischen Aktualität Heideggers. Bd.I: Philosophie und Politik. Symposium der Alexander von Humboldt-Stiftung, April 1990 in BonnBad Godesberg Klostermann, Frankfurt aprile 1991 pp.460, DM 112 Definizione dei compiti del pensiero; il problema etico; filosofia e filosofia sociale; il nodo politico. Oesterreich, Peter L. Fundamentalrhetorik. Untersuchung zu Person und Rede in der Öffentlichkeit Felix Meiner, Hamburg aprile 1991 pp. 146, DM 54 Un contributo concettualmente preciso e ridotto per la ricerca retorico filosofico, che affronta il poco chiaro impiego del concetto. Papenfuss, D. - Pöggeler, O. (a cura di) Zur philosophischen Aktualität Heideggers. Bd.III: Im Spiegel der Welt. Sprache, Übersetzung, Auseinandersetzung Klostermann, Frankfurt 1991 pp.320, DM 78 Olding, Alan Modern Biology and Natural Theology Routledge, London marzo 1991 pp. 224, £ 30 Il saggio indaga il modo in cui le visioni teologiche della natura umana riescono a far fronte alle scoperte della scienza moderna, sottolineando le implicazioni metafisiche della biologia ed esaminando criticamente l’argomento in oggetto e il rapporto ch Dio ha con il mondo da lui creato. Pascher, Manfred Kants Begriff “Vernunftinteresse” Institut. f. Sprachwiss. Innsbruck aprile 1991 pp. 107, ÖS 280 Olson, Richard Science Deified and Science Defied. The Historical Significance of Science in Western Culture. Vol. II: From the Early Modern Age through the Early Romantic Era ca. 1640 to ca 1820 California UP, Berkeley marzo 1991 pp. 448, $ 40 Qual è la connessione tra “filosofia meccanica” e lo sviluppo del romanticismo? Tra la fisica newtoniana e la lettera biblica? Tra la psicologia associazionista e il socialismo? Pancaldi, Maurizio - Trombino, Mario (a cura di) L’Apologia di Socrate di Platone e il problema della giustizia da Omero a Platone Paravia, Torino 1991 pp. 246, L. 17.600 Il volume presenta una nuova traduzione dell’Apologia di Socrate di Platone corredata da un commento critico che ha lo scopo di chiarire la complessità filosofica e storica del testo e di presentare le diverse interpretazioni della figura di Socrate. Segue una raccolta di testi poetici, letterari e filosofici da Omero a Platone che evidenzia lo sviluppo dell’idea di giustizia all’interno del mondo greco, nell’età arcaica e classica. Paneth, Josef Vita Nuova. Ein Gelehrtenleben zwischen Nietzsche und Freud. Autobiographie - Briefe - Essais a cura di W. W. Hemecker Rodopi, Amsterdam aprile 1991 pp. 250, Dfl 75 Josef Paneth (1857-1890), anatomo e fisiologo a Vienna, fu uno dei più stretti amici di Siegmund Freud dei più intimi interlocutori di Friedrich Nietzsche, e quindi anche il più importante e finora inosservato “missing link” tra i due. Papenfuss, D. - Pöggeler, O. (a cura Pawlas, Andreas Freiheit - Erfolgsprogramm oder Illusion der Neuzeit? Ein Sozialethischer Überblick über die neuzeitliche Freiheits-geschichte Luther-Vlg., Bielefeld aprile 1991 pp. 272, DM 36 Peperzak, Adriaan Filosofia e Politica. Commentario alla Prefazione della Filosofia del Diritto di Hegel Guerini e Ass., Milano maggio 1991 pp. 160, L. 26.000 La “Prefazione ai “lineamenti di filosofia del diritto” è uno dei testi di Hegel più impegnati sul piano politico: in essa, infatti, accanto al discorso di metodo introduttivo alla comprensione dell’opera, è chiaramente espressa la posizione di Hegel sulla situazione politica della Prussia nel 1820. L’accurato commentario di Paperzak mette in luce appunto come la “Prefazione” costituisca una sorta di manifesto del pensiero politico di Hegel nel quale è possibile trovare la risposta ai problemi legati al rapporto tra individuo e stato. Pera, Marcello Scienza e Retorica Laterza, Bari maggio 1991 pp. 320. Périco, Yvette Genèse du sens Ed, universitaires, aprile 1991 pp.380, F 195 L’azione umana è essa stessa portatrice di senso. Uno spirito audace e sincero può fare scaturire dalla coscienza, all’interno, esigenze che sulle prime gli apparivano imposte dall’esterno. Piana, Giovanni Filosofia della musica Guerini e Associati, Milano marzo 1991. pp. 295, L. 38.000 Il percorso teorico tracciato da Piana riprende sul piano della riflessione filosofica quel ritorno alle origini che fa parte del senso profondo della storia musicale novecentesca. Un itinerario che rigetta le troppo immediate e costrittive riduzioni filosofiche della semiologia musicale per indagare le strutture portanti dell’Universo dei suo- NOVITA' IN LIBRERIA ni, la sua materia, il suo tempo e il suo spazio, arrivando a concludere che solo attraverso l’operare dell’immaginario simbolico la musica, esprimendo se stessa, entra in risonanza col mondo. Pigeaud, Jackie (a cura di) Longin, Du sublime trad. dal greco di Jackie Pigeaud Rivages, marzo 1991 pp. 149, F 55 Si può educare al sublime? Questa è la domanda alla quale tenta di rispondere lo scrittore greco. La traduzione è stata fatta sul testo dell’edizione di D. A. Russel, 1968. Platz, Hermann Pascal in Deutschland a cura e con una nota di H.R. Schlette Otto Müller Vlg., Salzburg marzo 1991 pp. 320, DM 42,80 Ristampa dei libri distrutti a causa della guerra del romanista e filosofo della cultura di Bonn Hermann Platz su Pascal e i suoi influssi su Conrad Ferdinand Meyer, Friedrich Nietzsche e Max Scheler. Prechtl, Peter Husserl zur Einführung Junius, Hamburg aprile 1991 pp. 184, DM 17,80 Proust, Françoise Kant le ton de l’histoire Payot, Paris aprile 1991 pp.372, F 150 Grazie all’arco formato dalla Critica della ragion pura e dalla Critica della facoltà di giudicare, Kant offre la possibilità di elaborare non tanto una filosofia della storia, ma un pensiero della storia, perché l’essenziale non è mai il cosa né il come, ma il tono dell’avvenimento. Putallaz, François-Xavier La Connaissance de sol au XIIIe siècle: de Matthieu d’Aquaspartaà Thierry de Freiberg Vrin, Paris aprile 1991 pp.444, F 264 Il potente movimento di oggettivazione del sé appare come uno dei tratti dominanti della storia intellettuale della fine del XIII secolo, fino a Guglielmo d’Ockham. Putallaz, François-Xavier Le Sens de la réflexion chez Thomas d’Aquin prefaz. Ruedi Imbach Vrin, Paris aprile 1991 pp.343, F 210 Esauriente analisi dei testi che Tomaso d’Aquino ha consacrato alla conoscenza che l’anima ha di se medesima. Pybus, Elisabeth Human Goodness. Generosity and Courage Harvester Wheatsheaf, Brighton marzo 1991 pp. 176, £. 35 Analisi del significato della bontà nell’essere umano e riconciliazione dei differenti approcci della scuola di pensiero kantiana e aristotelica. Quarta, Cosimo Tommaso Moro. Una reinterpretazione dell’«Utopia» Edizioni Dedalo, Bari marzo 1991, pp.434, £. 40.000 Sulla base di una rigorosa analisi stori- ca e filologica, gli aspetti più significativi del progetto utopico di Moro sono esposti in una ricostruzione critica che intende liberarli dai frantendimenti di cui sono stati oggetto. All’antropologia pessimistica dell’«homo homini lupus», Moro contrappone il concetto cristiano dell’«homo homini salus», affermando l’unicità dei principi etici, cui devono conformarsi tanto gli individui quanto gli stati. La sostanza teorica del progetto moriano è l’occasione per un utile confronto con i temi critici dell’attualità. Rabinow, Paul (a cura di) Michel Foucault, The Foucault Reader Penguin Books, London marzo 1991 pp.400, £ 8,99 Introduzione al pensiero di Foucault che include materiale inedito. Ragland-Sullivan, Ellie (a cura di) Lacan and the Subject of Language Routledge, London marzo 1991 pp.224, £ 35 (ed. econ. £ 9,99) Selezione di saggi presi da una conferenza sul tema «Lacan, linguaggio e letteratura», che illustrano l’applicazione delle teorie lacaniane alla cultura, al linguaggio e alla differenza sessuale. Reck, Hans Ulrich Grenzziehungen. Ästhetiken in aktuellen Kulturtheorien Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1991 pp. 286, DM 68 Reinwald, Heinz Mythos und Methode. Zum Verhältnis von Wissenschaft, Kultur un Erkenntnis W. Fink, München marzo 1991 pp. 520, DM 98 Reinwald mette in discussione il presupposto antropologico della logica nel campo minato dell’universalità e regionalità del pensiero. Oltre alla logica degli atti, si spinge a investigare tra l’altro il cosiddetto “pensiero puro” nella sua pretesa di universalità. Renouvier, Charles Les Dilemmes de la métaphysique pure PUF, Paris aprile 1991 pp.288, F 240 Riedizione nella collana Dito di un classico della PUF, scritto dall’autore di Derniers entretiens e Uchroine. Reznek, Lawrie The Philosophical Defence of Psychiatry Routledge, London marzo 1991 pp.240, £ 35 Copre un’ampia fascia di problemi filosofici, dal concetto di malattia mentale e abuso politico della psichiatria al libero arbitrio e alla responsabilità. Il libro dovrebbe avere grande interesse per i clinici e gli studenti di psichiatria e psicologia. Richir, Marc Le Sublime en politique Payot, Paris aprile 1991 F 150 Affronta la questione del baratro della fondazione politica, quando vacillano tutti i punti di riferimento, quando la società sembra ritornare alle sue origini utopiche, prendendo come esempio la Rivoluzione francese e appoggiandosi agli scritti di Fichte, Schelling o Heidegger. Richter, Frank Philosophie in der Krise Oletz Berlin, Berlin aprile 1991 pp. 200, DM 22 Il titolo è volutamente ambiguo: far filosofia in un mondo in crisi e la crisi della filosofia, non solo di quella marxista. Così viene presentato la domanda su cosa possa fare la filosofia, non dal proprio tavolo, per migliorare il mondo e l’intervista ai filosofi più diversi per un contributo costruttivo. Richter, Götz Die lineare Zeit. Eine Untersuchung zum Zusammenhang von Zeitform und Entfremdung Argument-Vlg., Hamburg marzo 1991 pp. 106, DM 24 Richter, Jean-Paul L’arte di prender sonno Il Melangolo, Genova marzo 1991. pp. 112. «Quattordici manovre per cullare la propria mente» illustrate con arguzia da Jean-Paul. Autoterapie in forma di nenia per abilitarsi alla riposante arte di prender sonno. Riess, Klaus Gott zwischen Begriff und Geheimnis. Zu einem Ende natürlicher Theologie als Aufgang neuzeitlicher Religionsphilosophie EOS-Verlag, St.Ottilien aprile 1991 pp. 420, DM 98 Röd, Wolfgang Erfahrung und Reflexion. Theorien der Erfahrung in transzendentalphilosophischer Sicht C. H. Beck. München aprile 1991 pp. 240, DM 48 Wolfgang Röd espone qui una critica di diverse teorie dell’esperienza. Confrontandosi con queste sviluppa una propria filosofia trascendentale antodogmatica e antifondamentalistica come metateoria dell’esperienza. Roochnik, David The Tragedy of reason. Toward a Platonic Conception of Logos Routledge, London aprile 1991 pp. 256, £ 35 Invece di abbandonare la ragione e adottare le posizioni decostruttive tanto popolari al giorno d’oggi, questo libro propone una forma di platonismo come praticabile e coerente “via di mezzo”. Rorty, Richard Philosophical Papers: vol. 2. Essay on Heidegger and Others Cambridge UP, Cambridge marzo 1991 pp.250, £ 27,50 Questo secondo volume di saggi raccolti da Richard Rorty prosegue i temi del primo volume nel contesto delle discussioni della filosofia europea più recente, focalizzando l’attenzione sul lavoro di Heidegger e Derrida. Rossi, Pietro Storia e storicismo nella filosofia contemporanea Il Saggiatore Milano 1991 pp. 413, L. 55.000 Riedizione di un classico della storiografia filosofica italiana, la cui prima edizione risale al 1960. Dilthey, Spengler, Weber e Meineke sono i punti di rierimento di una forma di storicismo che, a cavallo fra Ottocento e Novecento, si affermò nella cultura tedesca, e con la quale entrò in corto circuito l’analisi sociologica di Mannheim e quella ontologica di Heidegger. Lo “storicismo assoluto” di Croce e le posizioni neopositiviste da una parte e pragmatiste dall’altra, che si sono affermate nel mondo anglosassone, completano il panorama di origini e riflessi teorici dello stoicismo del Novecento. Rousseau, G.S. (a cura di) The Languages of Psyche. Mind and Body in Enlightenment Thought California UP, Berkeley marzo 1991 pp. 504, $ 55 Dieci eminenti studiosi indagano il complesso rapporto mente-corpo in una serie di contesti illuministi: scienza, medicina, filosofia, letteratura e vita quotidiana. Ruh, Hans Argument Ethik. Orientierung für die Praxis in Ökologie,Medizin, Wirtschaft, Politik Theologischer Vlg., Zürich aprile 1991 pp.368, DM 43 - Frs 36 Rüsing, Karl-Heinz Das Glücksmotiv bei Walter Benjamin. Für eine Theorie des Erwachens Vlg. Die Blaue Eule, Essen aprile 1991 pp. 136, DM 34 Sandrini, Maria Grazia Probabilità e induzione Franco Angeli, Milano marzo 1991 pp. 128, L. 12.000 Il volume si propone innanzitutto di esporre e di chiarire i concetti basilari della fondamentale opera di Carnap Logical Foundations of Probability, situandoli nel più ampio orizzonte semantico nel quale Carnap stesso li ha concepiti. Sartre, Jean-Paul Verità e esistenza Il Saggiatore, Milano 1991 pp. 126, L. 38.000 Un importante inedito filosofico di Sartre composto nel 1948. Il tema è il ruolo dell’idea di verità meditato da Sartre attraverso il confronto critico con lo scritto di Heidegger Dell’essenza della verità. Alla solidità ontologica della nozione heideggeriana di verità, Sartre oppone un’idea di verità come libera costruzione di un sistema di rappresentazioni la cui verifica è intersoggettiva e storicamente situata Sass, H. M. - Viefhues, H. (a cura di) Güterabwägung in der Medizin. Ethische und ärtzliche Probleme Springer, Berlin aprile 1991 pp. 240, DM 78 Il significato della responsabilità etica nella nostra civiltà supertecnologizzata viene mostrato in questo lavoro di ricerca interdisciplinare, il cui punto cruciale è la diagnosi differenziale e l’etica differenziale in medicina. Scaramuzza, Gabriele (a cura di) La Fenomenologia e le arti Guerini e Associati, Milano maggio 1991 pp. 120, L. 18.000 Un panorama di estremo interesse offerto è da questa raccolta di scritti di filosofi che si richiamano all’estetica fenomenologica. Per la prima volta tradotti in italiano alcuni saggi inediti di NOVITA' IN LIBRERIA Husserl, Ingarden, Biemel, Scheler, Fellmann, Habasque. Bernward, Hildesheim marzo 1991 pp. 200, DM 28 Scheffczyk, L. (a cura di) Evolution. Probleme und neue Aspekte ihrer Theorie Alber, Freiburg aprile 1991 pp. 250, DM 68 Il sorgere di un nuovo tipo di filosofia e insieme di una teologia della speranza, di cui è chiaro che si sono arrestate alla rappresentazione del processo evolutivo, dipende dagli orientamenti futuri del pensiero moderno e dalla gioia di vivere. Sei specialisti si misurano qui con temi centrali delle scienze naturali, filosofici e teologici di questa serie di interrogativi. Schramm, Michael Prozeßtheologie und Bioethik. Reproduktionsmedizin und Gentechnik im Lichte der Philosophie Herder, Freiburg aprile 1991 pp.320, DM 54 Schischkoff, G. (a cura di) Philosophische Wörterbuch. (begründet von H. Schmidt) Alfred Kröner, Stuttgart aprile 1991 pp. 817, DM 34 Il ben noto e affermato dizionario con 2900 lemmi risponde a innumerevoli domande di tutto il campo della filosofia e quelli a esso limitrofi. Schmid Noerr, G. Lutz-Bachmann, M. (a cura di) Kritischer Materialismus. Zur Diskussion eines Materialismus der Praxis Hanser, München aprile 1991 pp. 320, DM 48 Schmid, Wilhelm Auf der Suche nach einer neuen Lebenskunst. Die Frage nach dem Grund und die Neubegründung der Ethik bei Foucault Suhrkamp, Frankfurt/M. aprile 1991 pp.420, DM 48 Schmid-Kowarzik, Wolfdietrich Rosenzweig. Existentielles Denken und gelebte Bewährung Alber, Freiburg i.Br. marzo 1991 pp. 240, DM 48 Schmidt, Norbert Die Evolution von Geist und Gesellschaft. Hoffnung, Chance und Aufgabe prefazione di Eugen Drewermann Walter-Verlag, Olten/Freiburg marzo 1991 pp. 400, DM 46 La validità di questo libro sta nel fatto che il nuovo pensiero delle scienze naturali ha delle conseguenze sulle scienze dello spirito, ma richiede anche un ripensamento radicale del campo culturale. Schnädelbach, Herbert Philosophie in Deutschland 1831-1933. Suhrkamp, Frankfurt/M. aprile 1991 pp.337, DM 20 Scholz, Oliver R. Bild, Darstellung, Zeichen. Philosophischer Theorien bildhafter Darstellung Alber, Freiburg aprile 1991 pp.200, DM 34 Uno sguardo critico sulla teoria filosofica dell’immagine partendo dall’attuale urgenza di una teoria generale della rappresentazione e del segno. Schönberger, Rolf Was ist Scholastik? con una presentazione di P. Koslowski Schrift, Alan Nietzsche and the Question of Interpretation Routledge, London marzo 1991 pp.256, £ 35 (ed. econ. £ 9,99) Questo studio allinea Nietzsche con la tradizione ermeneutica, sostenendo che una tensione nelle differenti osservazioni sull’interpretazione anticipa l’alternativa ermeneutica pluralista a cui si giunge con Heidegger e la decostruzione. Schrödter, H. (a cura di) Die neomythische Kehre. Aktuelle Zugänge zum Mythischen in Wissenschaft und Kunst Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1991 pp. 310, DM 58 Schulte, Christoph Radikal Böse. Die Kariere des Bösen von Kant bis Nietzsche. Fink, München marzo 1991 pp. 360, DM 39,80 «Restituisce al Maligno la sua dignità, rintracciandolo nel pensiero di Kant, di Franz von Baader, di Schelling, di Kierkegaard e di Nietzsche, in modo da rimettere in gioco la sua inafferrabilità come altro dalla ragione.» Seebohm, Th.M. (a cura di) Prinzip und Applikation in der praktischen Philosophie. (Vorträge der wissenschaftlichen Tagung des Engeren Kreises der Allgemeinen Gesellschaft für Philosophie in Deutschland in der Akad. d. Wiss. u. d. Literatur, Mainz, 28-30.9.1989) Steiner, Stuttgart marzo 1991 pp. 326, DM 128 Seel, Martin Eine Ästhetik der Natur Suhrkamp, Frankfurt aprile 1991 pp.384, DM 48 La disastrata estetica della natura si rivela una parte di un’etica generale del buon vivere. In questa implicita interdipendenza si trova la tesi proposta da questo libro. Il bello naturale è comprensibile solo quando in esso si rivela una esemplare possibilità di vita dell’uomo. Senofonte Economico a cura di Fabio Roscalla Rusconi, Milano aprile 1991 pp. 256, L. 12..000 In un tempo che pone l’economia fra le discipline fondamentali della cultura, l’Economico di Senofonte appare interessante non solo come testimonianza di aspetti e condizioni sociali altrimenti poco conosciute dell’Atene del V-IV secolo a.C, ma anche come una delle più antiche “lezioni” di gestione patrimoniale che il mondo greco ci abbia lasciato. Serres, Michel Il contratto naturale trad. di Alessandro Serra Feltrinelli, Milano maggio 1991 pp. 144, L. 25.000 Questo Contratto naturale vuole stipulare un armistizio, indicare la possibilità che tra l’uomo e il mondo, nella sua globalità, si stabilisca un rapporto non di parassitismo, ma di pacifica simbiosi, rispettoso dei diritti dell’uno e dell’altro. Un discorso quindi non puramente “ecologico”, ma che sposta il discorso sul campo del diritto, considerando la natura come un nuovo soggetto giuridico. Serres, Michel Jouvences sur Jules Verne Minuit, Paris aprile 1991 pp.288, F 125 Accolte favorevolmente dalla critica, queste analisi studiano l’opera del sognatore scientifico per trovarvi tesori di esplorazione epistemologica. Sherman, Nancy The Fabric of Character Clarendon Press, London marzo 1991 pp.232, £ 10,95 Facendo luce sull’attuale rinascita di interesse verso la teoria etica di Aristotele, questo testo contribuisce al dibattito affermando che, nella visione del filosofo greco, l’eccellenza del carattere è costituita sia dai sentimenti che dalla ragione pratica. Skorupski, John John Stuart Mill Routledge, London marzo 1991 pp.448, £ 14,99 Un’esauriente rivalutazione di Mill che lo ristabilisce come uno dei maggiori filosofi le cui idee sono di grande rilevanza per le discussioni e gli interrogativi filosofici dei giorni nostri. Smith, Joseph Wayne AIDS, Philosophy and Beyond. Philosophical Dilemmas of a Modern Pendemic Avebury, London aprile 1991 pp.250, £ 32 I principali problemi filosofici legati all’epidemia di AIDS e in particolare la sfida che le malattie globali portano alla società moderna e ai sistemi politici. Spaventa, Silvio Filosofia, diritto, politica Atti del Convegno dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli 1991 pp. 435 Gli atti del convegno sulla figura e l’opera di Silvio Spaventa tenutosi a Bergamo il 26-28 aprile 1990, organizzato dall’Istituto italiano per gli studi filosofici, dal Comune di Bergamo e dalla Biblioteca civica “Angelo Mai”. Speck, J. (a cura di) Grundprobleme der großsen Philosophen Philosophie der Neuzeit V. Comte, Mach, James, Dewey, Mill, Peirce Vanderhoeck & Ruprecht Göttingen marzo 1991 pp. 250, DM 25,80 Speth, Rudolf Wahrheit und Ästhetik. Untersuchungen zum Frühwerk Walter Benjamins Königshausen & Neumann Würzburg marzo 1991 pp. 322, DM 68 Steila, Daniela Genesis and Development of Plekhanov’sTheory of Knowledge. A Marxist between Anthropological Materialism and Physiology Klostermann, Dordrecht aprile 1991 pp.252, Dfl 140 Stein, Edith Einführing in die Philosophie a cura di L. Gelber e M. Linssen Herder, Freiburg aprile 1991 pp.400, DM 88 Sternberger, Dolf Immagini enigmatiche dell’uomo Il Mulino, Bologna marzo 1991. pp. 203, L. 25.000 Muovendo da un approccio di volta in volta filosofico, storico-politico e politico teorico, gli scritti presentati, costituiscono una breve summa della riflessione sulla filosofia morale di Sternberger, animata da una forte tensione anti-idealistica. Temi come il rilievo politico dell’utopia religiosa, l’apprendimento della morte, il diritto dell’uomo ad aspirare alla felicità scandiscono un percorso critico aperto ad ogni sollecitazione: se infatti l’impegno preminente dello studioso tedesco è stato incentrato alla rifondazione del pensiero politico in Germania, dopo gli anni del Reich, Sternberger attinge a tutti gli ambiti della cultura umanistica, alla filosofia così come alla letteratura e alla storia. Taureck, Bernhard Nietzsches Alternativen zum Nihilismus Junius-Vlg., Hamburg aprile 1991 pp.544, DM 78 Teichert, Dieter Erfahrung, Erinnerung, Erkenntnis. Untersuchung zum Wahrheitsbegriff der Hermeneutik Hans-Georg Gadamers Metzler, Stuttgart marzo 1991 pp. 232, DM 58 Theile, Leslie P. Friedrich Nietzsche and the Politics of the Soul. A Study of Heroic Individualism Princeton, Lawrenceville aprile 1991 pp.224, $ 35 (ed. ec. $ 10) Leggendo le opere di Nietzsche come una “biografia politica della sua anima”, Thiele presenta un saggio originale e accessibile sui tentativi del grande pensatore di condurre una vita eroica come filosofo, artista, santo, educatore e solitario. Thiele, Michael Negierte Katarsis. Platon-Aristoteles-Brecht Lang, Frankfurt/Bern marzo 1991 pp. 166, DM 48 Thöle, Bernhard Kant und das Problem der Gesetzmäßigkeit der Natur de Gruyter, Berlin marzo 1991 pp. 324, DM 148 Tiffreau, Philippe Cioran ou la Dissection du gouffre Ill. Santiago Arranz, Jacques Barry, Sergio Birga et al. Veyrier, aprile 1991 pp.181, F 195 Filosofo prepotente, scettico per eccel- NOVITA' IN LIBRERIA lenza, ma altrettanto iconoclasta e insolente, amaro e ironico, Cioran è uno dei pensatori più lucidi e corrosivi del nostro secolo. gione, mano a mano che il pensiero logico si organizzava, scopriva le proprie categorie già preformate nelle rappresentazioni mitiche. Toulmin, Stephen Cosmopolis trad.it. di Pietro Adamo Rizzoli, Milano marzo 1991 pp. 368, L. 34.000 Per aiutarci a comprendere la nostra epoca e il suo profondo disagio, Toulmin ritorna alle origini della modernità, quando si delineò il sogno di una nuova “Cosmopolis”, il progetto di una società ordinata secondo i principi della nuova scienza della natura. Questa concezione ci lascia oggi in eredità il crollo delle ideologie in campo politico, la crisi delle certezze in campo scientifico, un vuoto preoccupante in campo etico. Questo saggio vuole proprio essere un convincente manifesto di un riscoperto umanesimo, un nuovo progetto che ci permetta di affrontare le grandi sfide del nostro tempo. Van Cleve, J. - Frederick, R. E. (a cura di) The Philosophy of Right and Left. Incongruent Counterparts and the Nature of Space Kluwer Academic Publ. Dordrecht marzo 1991 pp. 376, Dfl 190 Il libro raccoglie alcune delle migliori risposte critiche ai principali scritti di Kant sul significato di destra e sinistra. Trettin, Käthe Die Logik und das Schweigen. Zur antiken und modernen Epistemotechnik VCH, Weinheim aprile 1991 pp.160, DM 64 Trione, Aldo L’ostinata armonia. Filosofia ed Estetica tra Otto e Novecento Laterza, Bari aprile 1991 pp. 130. Una riflessione critica sulla poiesis come essenza della poesia. Essa è frutto della ragione calcolante, dove il pensiero viene condotto ai propri limiti. Logica poetica e logica discorsiva, pur nella differenza dei rispettivi statuti ontologici, mirano entrambe alla fondazione di una scienza della natura che, come tale, è scienza dei rapporti. Emerge così, nell’orizzonte di una “cosmologia del simbolico”, il carattere razionale della poiesis, per indagarela quale è necessaria una vera e propria “estetica della mente”. Troncon, Renato Studi di antropologia filosofica. 1 - La filosofia dell’inquietudine Guerinie Ass., Milano febbraio 1991. pp. 248, L. 35.000. In cinque documentati capitoli dedicati al motivo dell’inquietudine, alla letteratura di viaggio, alla danza, alla biologia dell’uomo e all’antica scienza della fisiognomica (la divinazione del carattere attraverso i segni del corpo e del volto) , l’autore propone una riorganizzazione del pensiero filosofico intorno a una più concreta idea dell’uomo come unità di corpo, anima e spirito. Altri due volumi, rispettivamente dedicati all’uomo corporeo e alla significatività della filosofia faranno seguito a questo, costituendo il primo sistematico lavoro dedicato all’antropologia filosofica che si offre al lettore italiano. Untersteiner, Mario La fisiologia del mito Bollati Boringhieri, Milano maggio 1991 pp. 564, L. 42.000 Che cos’è il Mito? Nel definire il concetto, la maggiore difficoltà sta nel punto di contatto tra mito e religione: se vi è all’origine un’identità tra mito e reli- Veca, Salvatore Questioni di vita e conversazioni filosofiche Rizzoli, marzo 1991 pp. 256, L. 30.000 Un esercizio di riflessione su alcuni aspetti ricorrenti e ordinati che possono fare problema per chiunque di noi abbia una vita finita da vivere. Frammenti di teorie che riguardano tentativi di fornire un resoconto filosofico di come noi e il mondo siamo e di come noi e il mondo dovremmo essere se fossimo degni di essere. Vincent, Jean-Marie Poesis and Praxis: a Critique of Abstract Labour Macmillan Press, London marzo 1991 pp.144, £ 35 Questi cinque saggi filosofici intendono costituire un insieme unitario, dal punto di vistacritico nonché strutturale. Vincent indaga la crisi del senso, la ripetitività dei processi e dei meccanismi teconologici e il declino del senso di realtà nella vita politica. Waithe, M.E. (a cura di) A History of Women Philosophers. Modern Women Philosophers, 1600-1900 Kluwer AP, Dordrecht aprile 1991 pp. 344, Dfl 170 Walter, Christian Eschatologie als Theorie der Freiheit. Einführung in neuzeitliche Gestalten eschatologischen Denkens de Gruyter, Berlin aprile 1991 pp.307, DM 128 Indagine storico-sistematica sul rapporto fra il moderno concetto di libertà e determinati modelli interpretativi dell’attesa cristiana della fine del mondo. Critica della conseguenza da ciò ricavate, specialmente etiche, in riferimento al pensiero della superiorità dell’uomo sulla natura e sul mondo. Warnke, Georgia Gadamer, herméneutique: tradition et raison De Boeck-Wesmael, Paris aprile 1991 pp.222, F 265 H.G. Gadamer è uno dei filosofi contemporanei di maggior rilievo. La sua riflessione sull’ermeneutica ha fortemente influenzato numerose discipline: le scienze umane come la critica letteraria, la teologia come la giurisprudenza. Warnock, G. J. J. L. Austin Routledge, London marzo 1991 pp. 240, £ 9,99 Un esame critico del lavoro di J. L. Austin, una delle figure maggiormente innovative della filosofia inglese, specie nel campo della filosofia del linguaggio, ma anche nell’epistemologia e nella filosofia della mente, dal 1945 alla precoce scomparsa nel 1960. Waterlow Broadie, Sarah Ethics with Aristotle Oxford UP, Oxford marzo 1991 pp. 496, £ 45 Un’esauriente esposizione e interpretazione della teoria etica di Aristotele così com’è sviluppata nell’Etica eudemea e nell’Etica nicomachea. Weber, Max L’etica protestante e lo spirito del capitalismo trad. it. di Anna Maria Marietti Rizzoli, Milano aprile 1991 pp. 416, L. 12.000 La fortuna di questo saggio, ripresentato in un’edizione critica corredata da un importante saggio di E. Fischoff, è senz’altro dovuta a tre fattori principali: 1) l’aver messo in luce una relazione tra un fenomeno culturale (la Riforma) e un fenomeno economico (il capitalismo moderno); 2) l’essere una concezione globale della genesi dell’economia del nostr o secolo, in contrapposizione con quella di Marx; 3) l’accostarsi ad un problema ben più vasto, quello delle caratteristiche distintive del capitalismo moderno considerato in un quadro comparativo. Weger, Karl-Heinz Religionskritik Verlag Styria, Graz/Wien/Köln aprile 1991 pp.300, DM 29,80 - ÖS 198 Weier, Winfried Religion als Selbstfindung. Grundlegung einer existenzanalytischen Religionsphilosophie Schöning, Padernborn/Wien/Zürich marzo 1991 pp. 310, DM 58 Weinmayr, Elmar Entstellung. Die Metaphysik im Denken Martin Heideggers. Mit einem Blick nach Japan W. Fink, München marzo 1991 pp. 304, DM 78 Il tema del presente lavoro è l’interpretazione heideggeriana della metafisica, cioè l’analisi critica di Heidegger della storia del pensiero europeo occidentale, il suo ritirarsi dalla realtà e la sua esperienza del mondo. Welsch, W. - Pries, Chr. (a cura di) Ästhetik im Widerstreit. Interventionen zum Werk von Jean-François Lyotard VCH, Weinheim aprile 1991 pp. 230, DM 62 Contributi di H. Danuser, J. Früchtl, M. Geier, H.-J. Lenger, J.-F. Lyotard, Chr. Pries, H.U. Reck, B. Taureck, J. Vogl, W. Welsch e J. Zimmermann. White, Alan Within Nietzsche’s Labyrinth Routledge, London marzo 1991 pp.192, £ 30 Questa monografia cerca di andare oltre le fiammeggianti ma ambigue parole di Nietzsche di elogio alla violenza e all’oppressione, alla ricerca del fine maestro. Passando poi a valutare le implicazioni etiche e politiche della sua dottrina di rivitalizzazione monda- na, e della sua potenza affermativa. Whitford, Margaret Luce Irigaray: Philosophy in the Feminine Routledge, London marzo 1991 pp.304, £ 35 Un’introduzione al pensiero e al lavoro di Luce Irigaray. Considerandola come filosofo della differenza sessuale, Margaret Whitford indica il suo lavoro come elaborazione di una filosofia del femminile. Williams, C. J. F. (a cura di) Paul of Venice, Logica Magna: part 1, fascicule 8 Oxford UP, Oxford marzo 1991 pp.348, £ 20 La Logica magna di Paolo Veneto (pseud. di Paolo Nicoletti) è un prezioso repertorio delle teorie logiche del XIV secolo. Questa è una traduzione del suo trattato sulla necessità e la contingenza, che riunisce una vasta gamma di argomentazioni sulla questione della predeterminazione del futuro. Witzany, Günther Transzendentalpragmatik un Ek-istenz. Normenbegründung- Normendurchsetzung Vlg. Die Blaue Eule, Essen marzo 1991 pp. 179, DM 48 Yolton, J.S. (a cura di) A Locke Miscellany. Locke Biography and Criticism for All Thoemmes, Bristol marzo 1991 pp. 392, £ 37,50 Jean Yolton, noto studioso di Locke, ha raccolto numerosi scritti sconosciuti e interessanti, articoli e schizzi descrittivi che offrono una nuova visione di Locke. Zaghi, Silvio (a cura di) Il Trattato sulla natura umana di Hume e il problema della causalità nel XVII e XVIII secolo Paravia, Torino 1991 pp. 269, L. 18.500 Il testo humeano che costituisce un classico nelle riflessioni filosofiche sul tema della conoscenza e della causalità viene analizzato e dibattuto in riferimento non soltanto alle tematiche empiriste, ma al più ampio dibattito epistemologico sul ragionamento probabile e induttivo. Zitko, Hans Nietzsches Philosophie als Logik der Ambivalenz (Nietzsche in der Diskussion) Konigshausen & Neumann Würzburg marzo 1991 pp. 256, DM 48 NOVITA' IN LIBRERIA