LIBERTÀ, VERITÀ, AMORE: LA GRAMMATICA DEL VIVERE

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Filosofia e religione
LIBERTÀ, VERITÀ, AMORE: LA GRAMMATICA DEL VIVERE
VIVERE
Perché è così complicato il mestiere di vivere?
Come posso essere libero in un’epoca di cinismo e di passioni tristi?1
Il cinismo deriva dal deficit di senso e quindi dalla mancanza di vero desiderio. D’altronde non
si può desiderare il non-senso. Desiderare in grande è desiderare di essere più che desiderare di
avere. Un rapporto disturbato con le cose (una specie di bulimia) spinge all’identificazione con
esse. Il disturbo opposto (una specie di anoressia) è quello che si manifesta con la noia, come
mancanza di interesse e di desiderio. In realtà si conosce e si desidera veramente solo ciò che si
ama. Invece il nostro mondo è una macchina di desideri che produce disperazione. Non c’è
abbastanza amore per la vita.
Il segreto di una vita riuscita è agire per ciò che ami ed amare ciò per cui agisci
(Fëdor DOSTOEVSKIJ, 1821-1881)
Il cinismo va a braccetto con l’utilitarismo: mi serve o non mi serve, in rapporto a quale
obiettivo? Comunque l’obiettivo si riferisce immancabilmente al soggetto: in tutto ciò che
faccio cerco me stesso. Lo faccio nei modi più vari: ricerca di piacere, di successo, di applauso
(approvazione), di dominio sull’altro, di potere, di denaro. Nel momento in cui la presenza
dell’altro mi è d’intralcio, semplicemente la cancello.
Il rapporto con l’altro nel sistema capitalistico è un bene di consumo
(Dorothee SÖLLE, 1897-1980)
L’io contemporaneo è prigioniero di strategie minimaliste e autoreferenziali. Non c’è spazio per
grandi ideali. Perché?
Gli adolescenti sono ancora capaci di entusiasmarsi per degli ideali e di sacrificarsi per essi?
Gli ideali valgono non per quello che rendono ma per quello che costano
LIBERTÀ
(Lorenzo Milani, 1923-1967)
Stai vivendo in prima persona o stai riproducendo modelli di comportamento che la cultura
dominante e la pubblicità ti fanno respirare dalla mattina alla sera (e di notte)? Un formidabile
competitore e consumatore: è questo che vuoi diventare? Attento ai ladri di sogni, che ti
convincono a trasformare i sogni in denaro. “Questo devi sognare – ti dicono –: potere e
ricchezza. Bisogna andare al sodo. Non puoi permetterti di sognare qualcosa d’altro o qualcosa
d’oltre”. Questo è il tempo dei furbi, dell’”usa e getta”, non solo per gli oggetti, che è già
consumismo, ma anche per i sentimenti, le persone, le comunità. “L’ideologia del godimento
[…] inghiotte in modo apparentemente indolore le parti più intime e preziose della libertà”.2 La
felicità è ben altra cosa.
L’idolo più subdolo è questo: vivere senza mistero
(Ermes RONCHI, 1947-)
Tutta la mia vita è un dovermi ogni giorno decidere. Ma non tutto ciò che decido è liberante.
Non ci può essere libertà assoluta per l’individuo: coinciderebbe con la divinizzazione di ogni
desiderio individuale ossia con l’adorazione dell’ego e renderebbe impossibile ogni convivenza
umana. Il destino di Narciso è diventare apatico, depresso e disperatamente fragile.
Semi di canapa indiana vengono dati da mangiare ai canarini in gabbia perché cantino meglio.
Chi si sente in gabbia ha bisogno di assumere sostanze per sopportare la sua prigionia?
 vedi anche
LIBERTINISMO Se il singolo si vede consegnato solamente a se stesso, è condannato ad un solipsismo che
spesso si vorrebbe legittimare come liberatorio sul piano etico, salvo pretendere poi di curarlo
sul piano psicologico ed emotivo, quando ci si rende conto che l’onnipotenza infantile distrugge
1
Cfr. BENASAYAG, Miguel, SCHMIT, Gérard, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano 2004. Gli autori sono due
psichiatri francesi che rilanciano l’espressione “passioni tristi”, usata per la prima volta da Baruch Spinoza (Etica, IV, 8) per
qualificare passioni come la superbia, l’odio, l’invidia e la commiserazione, che paralizzano la vita.
2
Cfr. SEQUERI, Pierangelo, L’ideologia del godimento. L’etica della felicità, in Avvenire, 8/3/2005.
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ogni parvenza di comunità, insieme all’equilibrio della persona.3
La vera libertà è libertà condivisa (non mi realizzo solo come identità, ma anche come
relazione, cioè con tutto me stesso).
Cfr. Henri BERGSON (1859-1941): Siamo liberi quando i nostri atti emanano dalla nostra personalità tutt’intera,
quando l’esprimono, quando hanno con essa quell’indefinibile somiglianza che si trova talvolta fra l’opera e l’artista.
 vedi anche
RISPETTO
La libertà non può essere intesa solo come autenticità, se questa implica un tenersi a se stessi,
un io che si afferma, disconoscendo il suo limite, la sua parte di nulla.4 Questo nulla è ciò che
io non sono e che mi rimanda all’altro. L’essere presuppone il non-essere-altro, cioè la
diversità. Chi dice io dice: non sono altro; quindi presuppone l’altro.5 Incontrare l’altro nella
sua irriducibile diversità implica l’imparare il suo linguaggio, stabilire con lui una relazione
simbolica elementare, rispettarlo e raggiungerlo, varcare la frontiera.6
Cfr. Martin BUBER (1878-1965): l’essere umano può costruire la propria identità solo attraverso il contatto con ciò
che ha la forma di un “tu”, cioè di un altro non trasformabile in cosa od oggetto.7
Vedi l’opera “Io e tu” (1923).
Cfr. Emmanuel LÉVINAS (1905-1995): Il volto dell'Altro ha significato di per sé; è ciò che non può diventare un
contenuto afferrabile dal pensiero; è l'incontenibile, ti conduce al di là. L'altro non è un dato che viene afferrato quasi
mettessimo le mani su di lui. L'altro mi guarda e mi riguarda e smonta l'idea che di lui ho in mente. 8
La libertà dell’essere umano è definita dalla verità e dall’amore. Non semplicemente
dall’estetica, se questa è gonfiata fino a coprire tutto il regno della libertà, come fanno talvolta i
romantici. Non tutto ciò che è bello è liberante, mentre ciò che è liberante è sempre bello e
gratuito. L’amore senza verità è cieco.
AMORE
(CARITAS)
vedi anche
DOGMATISMO
e RISPETTO
AMORE e
TEMPO
LIBERTI
NISMO
La verità senza amore è vuota, inconsistente (cfr. 1 Cor 13,1-2: Se anche parlassi le lingue degli
uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo
che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e
possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non
sono nulla).
Agostino chiama caritas, amore, l’agire non volontariamente, ma volentieri. In definitiva, per il
credente, la capacità di amare è un dono di Dio. Essere un “cuore pensante” significa conservare
un piccolo pezzo di Dio in noi stessi e disseppellirlo dai cuori devastati di altri uomini.9 E’
questo che ci salva dalla violenza, che nasce dal vuoto dell’anima. È l’altro che mi libera dal
cerchio chiuso del narcisismo e mi desta alla sua differenza. Mi aiuta a percepire il tempo come
spazio ospitale comune. Il tempo nasce dall’amore. Amare qualcuno significa dargli tempo,
attenderlo. Educare è offrire la possibilità di un tempo sensato a chi sta crescendo. Perdonare
significa rigenerare il tempo di una relazione che era (sembrava) morta. Ciò che veramente vale
(un atto d’amore, la fedeltà di una vita, un dono sincero, la dignità di ogni creatura…) è un
canale attraverso cui l’eterno irrompe nel tempo, nel senso che non accade mai invano. È una
traccia d’infinito che neppure la morte può cancellare. Non è sorella morte il vero pericolo, ma il
gelo dell’angoscia, della chiusura egoista, della paura di amare, tutto ciò che ci paralizza
l’anima, impedendoci di comunicare.10
Libertinismo è libertà taroccata, senza verità e senza amore, un lusso da aristocratici e borghesi
(molto progressisti) del sec. XVII-XVIII. Roba chic. Non tutti se la possono permettere.
3
Cfr. BAGNASCO, Angelo, Prolusione al Consiglio permanente della CEI, in Avvenire, 23/9/2008.
Cfr. DE MONTICELLI, Roberta, Cos’è la libertà da Tucidide a Simone Weil, in Avvenire, 8/5/2005.
5
Cfr. DALMASSO, Gianfranco, Chi dice io, Jaka Book, Milano 2005.
6
Cfr. AUGÉ, Marc, Architetti, troppi «nonluoghi», in Avvenire, 23/9/2008.
7
Cfr. BUBER, Martin, Il problema dell’uomo, Marietti 1820, Torino 2005.
8
Cfr. LÉVINAS, Emmanuel, Totalità e infinito, Jaca Book, Milano 1977.
9
Cfr. Etty Hillesum: “L'unica cosa che possiamo salvare in questi tempi e anche l'unica che veramente conti è un piccolo pezzo di
te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini”.
10
Cfr. MANCINI, Roberto, Sentire la speranza. Quando il tempo non è più nostro nemico, in Avvenire, 23/9/2008.
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Ci si illude che basti non credere in Dio per essere uno spirito libero e invece si obbedisce senza accorgersene a tutti
gli idoli delle convenzioni, delle opinioni correnti, dei pregiudizi sociali e culturali.
(Claudio MAGRIS, 1939-)
ANTI
CONFOR
MISMO
L’anticonformismo come critica e rifiuto nei confronti della cultura dominante è una scelta
nobile e interessante se attuata da una minoranza consapevole. Ma che succede se la maggioranza
vi si conforma? E poi non può essere libera un’identità costruita solo sul rifiuto di qualcos’altro.
Più che altro si tratta di parassitismo. La libertà è un’altra cosa e si nutre della propria energia
creativa.
Voglio essere originale o essere snob?
Forse, come diceva Gaudi, essere originale vuol dire semplicemente tornare all’origine.
Nell’originalità distinguersi non è la premessa, ma la conseguenza.
La stessa disobbedienza contro una legge o un’autorità ritenuta ingiusta, è un’arma da usare con
grande cautela e rigore perché non scada a banale opportunismo.
Don Lorenzo MILANI, che nel 1965 aveva scritto “L’obbedienza non è più una virtù”,
difendendo il diritto all’obiezione di coscienza, in una lettera dello stesso anno affermava:
Conosco dei giovani che si dichiarano miei ammiratori e poi rispondono male alla mamma. E’
più difficile essere rivoluzionario che conformista. Per essere rivoluzionario bisogna essere
specchio di ogni virtù.
Per essere liberi, per pensare e vivere in grande, bisogna proprio essere dotati di un io
ipertrofico?
E se LIBERTÀ fosse non tanto un io che si afferma, ma un io che si abbandona
creativamente?…
Non essere che il tramite fra la terra incolta e il campo coltivato, fra i dati del problema e la soluzione, fra la pagina
bianca e la poesia, fra lo sventurato che ha fame e lo sventurato che ha trovato nutrimento. (Simone WEIL, 1909-1943)
LA
RELAZIONE:
LEGATI O
CONNESSI?
Oggi c’è un enorme bisogno di relazione, ma si ha paura di restare imbrigliati.
Il culto delle emozioni immediate rende i legami tra le persone sempre più fragili.
Non siamo “legati” gli uni agli altri, ma “connessi”. In qualsiasi momento vogliamo poterci
disconnettere.
Una persona anziana, che ha vissuto la seconda guerra mondiale, mi ha detto: «Per noi, povera
gente, era importante legarsi per sempre». Forse ora siamo più ricchi e più soli.
Le connessioni virtuali promettono più libertà delle relazioni vere, che esigono fatica,
pazienza, durata.
Oggi facciamo un mese e io ti amo da una vita
(Graffito sul Ponte Milvio, Roma 2007)
Nella stagione dei legami brevi il “compimese” è diventata una gran tappa…
VERITÀ
Esiste una verità sulla vita e sull’essere umano? Esiste qualcosa di solido, che ci dia un senso,
oppure tutto è liquido e fluttuante?
Un adolescente dove può trovare le risorse simboliche11, le coordinate, per essere vero, cioè per
scoprire e/o decidere la propria identità adulta? E’ possibile diventare un adulto solido in una
società liquida? Quali sono i saperi elementari? Non quelli scolastici. Mi riferisco alle
esperienze umane fondamentali: nascere e morire, maschio e femmina, sessualità, amicizia,
matrimonio, famiglia, lavoro, società… Un tempo erano certezze elementari. Oggi sono questioni
terribilmente confuse su cui si discute fino all’estenuazione. Che cos’è successo? E’ in atto una
mutazione tale che non ci sentiamo più sicuri di nulla. Manca una voce che indichi la rotta, il
senso della vita, che ci interpelli sul bene e sul male, sul giusto e sull’ingiusto, sul vero e sul
falso. Abbiamo la sensazione di vagare senza meta.
La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è la rotta ma ciò che
mangeremo domani.
(Søren KIERKEGAARD, 1813-1855)
11
Il simbolo è coincidenza tra essenza e apparenza.
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Diciamo che la nave è piantata in una distesa di sabbia da cui le acque si sono ritirate ormai da tempo.
→ Attività: proviamo a ricostruire una tavola di principi condivisibili, degni di ispirare la vita di una comunità globale.
IO SONO LA
VERITÀ
Esiste la verità? Il cristianesimo ha l’ardire di crederci, di affermarla e di viverla. E non
è un pacchetto di contenuti teorici, ma una persona: Gesù di Nazaret. E’ lui che ha
detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) e: “Conoscerete la verità e la verità
vi farà liberi” (Gv 8,32). “Dice di essere la verità. E’ la parola più umile che esista
[verità mite]. L’orgoglio sarebbe dire: la verità, ce l’ho. La possiedo, l’ho messa nello
scrigno di una formula. La verità non è un’idea ma una presenza. Nulla è presente
fuorchè l’amore”.12 La fede è l’evidenza di un incontro, non la certezza di un’idea. Nel
tempo della ragione debole e del disincanto, nella società dell’indifferenza,
nevroticamente ripiegata su se stessa, per i cristiani Cristo è la ragione della speranza
che abita nei loro cuori. Se tutto appare fluido e flessibile, Cristo è saldo e stabile. Se
tutto appare passeggero ed effimero, Cristo è per sempre e promette l’eternità.13
Scandaloso? Non c’è dubbio. Cristo “è quel folle che pensa che si possa assaporare una
vita così abbondante da inghiottire perfino la morte. […] Forse non abbiamo avuto altra
scelta che tra una parola folle e una parola vana”.14
Non è la conoscenza che illumina il mistero, è il mistero che illumina la conoscenza. Noi possiamo conoscere solo grazie
alle cose che non conosceremo mai.
(Pavel EVDOKIMOV, 1901-1970)
LA VERITÀ
DIMEZ
ZATA
□
RELATIVISMO: libertà senza verità. Un’opinione vale l’altra. Tutto è relativo. Nulla è
assoluto.
□
NICHILISMO: non c’è nessuna verità. Solo il nulla ha valore di assoluto. L’unica misura
dell’essere è l’ego (l’individuo) e i suoi desideri. La realtà deve adeguarsi ad essi.
□
DOGMATISMO: verità senza amore (che io abbia ragione è fuori discussione). Fanatismo
è l’affermazione intransigente dell’unilaterale.15 Altra cosa è il dogma in teologia: lo scrigno
dell’assoluto, dell’indicibile, non la sua prigione. Pretendere di cristallizzare la ricchezza
della vita (o l’assoluto di Dio) in un’affermazione indiscutibile non tiene conto del fatto che,
come dice Lévinas, è nell’incontro con l’altro, con il suo volto, che si fa strada l’idea
dell’infinito. La verità dunque non è un nostro possesso, ma la nostra via.16
12
BOBIN, Christian, L’uomo che cammina, Qiqajon, Magnano 1998, p.20.
Cfr. TESTIMONI di Gesù risorto speranza del mondo, EDB, Bologna 2005, p. 24.
14
BOBIN, Christian, L’uomo che cammina, Qiqajon, Magnano 1998, p.29-30.
13
15
16
GIUSSANI, Luigi, Il rischio educativo, Milano, Rizzoli 2005.
Cfr. Karl JASPERS, 1883-1969, filosofo esistenzialista.
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Filosofia e religione
TOLLE
RANZA
O
RISPET
TO?
□
Cfr. Rudolf CARNAP (1891-1970) Esponente del neopositivismo. Principio di tolleranza:
niente proibizioni, ma solo convenzioni. La filosofia ha senso solo come analisi logica del
linguaggio scientifico. In logica non c’è morale. Ognuno può costruire la propria logica
(linguaggio) come vuole. Esistono solo regole sintattiche.
□
 vedi anche
LIBERTÀ e
AMORE
TOLLERANZA: Tutte le opinioni vanno rispettate. Quindi non bisogna essere troppo
convinti delle proprie? Il credente convinto è tendenzialmente intollerante?
RISPETTO. Quello della tolleranza è un concetto ambiguo (c’è un’implicita affermazione
di superiorità). Forse è preferibile parlare di rispetto (dal latino respicio = guardo
attentamente), che richiama l’avere di fronte, in una relazione di reciprocità, senza la
pretesa di addomesticare l’altro e di ridurre la sua diversità (posso non essere d’accordo con
te, ma è bello che tu esista). Il vero amore è rispettoso, poiché rinforza l’altro nella sua
alterità e non la mia leadership o il mio controllo su di lui.
Cfr. ancora Emmanuel LÉVINAS che si sofferma sul volto dell’altro, che “mi parla e mi
invita ad una relazione che non ha misura comune con un potere che si esercita”. Il volto
dell'Altro, dunque, mi coinvolge, mi pone in questione, mi rende immediatamente responsabile.
La mia responsabilità nei confronti dell'altro si configura come struttura originaria del soggetto e
arriva fino al punto che io mi debba sentire responsabile anche della responsabilità degli altri.
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