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S.AGOSTINO D’IPPONA appunti
LA CENTRALITA’ DELL’IO
L’opera più nota di Sant’Agostino è “Confessiones” (in 13 libri), scritta intorno al 400, unanimemente ritenuta tra i
massimi capolavori della letteratura cristiana. In essa, Sant'Agostino, rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e in
particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo. Si tratta di un’opera complessa, in cui la narrazione si
intreccia con la preghiera e con la riflessione filosofica e teologica. Ma soprattutto è un’autobiografia, in cui l’autore
parla sinceramente della propria esistenza, giudicandola severamente con l’atteggiamento del peccatore pentito.
Il fatto che un filosofo scriva un’autobiografia costituisce una novità nella storia del pensiero: nessun filosofo antico
aveva narrato la propria vita e aveva scandagliato la propria anima con tanta profondità. Per questa capacità di scavo
interiore le Confessioni sono considerate un’opera di grande modernità, che prelude alla narrativa introspettiva del
Novecento, alla psicologia e alla psicanalisi.
Ma da che cosa nasce questa novità? I filosofi antichi non riflettevano e non scrivevano sulle proprie vicende
biografiche (se non incidentalmente e occasionalmente) perché per loro l’esistenza individuale aveva scarso valore; essi
erano interessati a ciò che è universale e permanente, non al singolo individuo, particolare e transitorio. Invece il singolo
individuo diventa interessante e acquista un valore infinito per gli autori cristiani, perché per il Cristianesimo ogni
individuo è creato da Dio e, soprattutto, è oggetto dell’amore di Dio, quindi nella vita di ogni individuo si manifesta
l’azione del Dio eterno.
Infatti la vita di Agostino è contrassegnata da una ricerca inquieta, tormentata, della verità e della felicità, ricerca che lo
ha condotto, passando attraverso errori (intellettuali) e colpe (morali), fino alla scoperta di Gesù Cristo - Dio. Nella
conversione al Cristianesimo Agostino trova finalmente la verità e la pace. Egli capisce però che l’inquietudine, la sete
inesausta di verità e felicità, è suscitata nel cuore umano da Dio stesso, che vuole farsi cercare: l’uomo è alla ricerca di
Dio perché Dio è alla ricerca dell’uomo!
L’interesse fondamentale e il problema prioritario di Agostino è l’uomo, non però l’uomo in astratto, in generale, ma
l’io, l’individuo, la persona; Agostino è ad un tempo il soggetto e l’oggetto della sua filosofia, che acquista quindi un
carattere esistenziale e personale sconosciuto alla filosofia greca.
«Io non comprendo tutto quello che sono» , «Io ero diventato un problema a me stesso» (Confessioni)
L’io è il problema per Agostino perché è in una condizione di crisi e di dispersione, di inquietudine e di ricerca; il
problema dell’io quindi rimanda a Dio come termine e fine di questa ricerca:
«Tu, o Dio, ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non trovi riposo in te» (Confessioni).
«Io desidero conoscere Dio e l’anima. Nient’altro, assolutamente» (Soliloqui). Per Agostino quindi la ricerca della
verità dell’io e la ricerca di Dio coincidono.
FEDE E RAGIONE
Per Agostino fede e ragione sono complementari, rimandano l’una all’altra, e anche se la fede in definitiva ha il primato,
la posizione di Agostino non è affatto quella di un fideismo irrazionale (tipo “credo quia absurdum”).
Infatti secondo Agostino la fede illumina il cammino che deve essere percorso dalla ragione, la fede introduce alla
verità, che poi deve essere indagata, chiarita e spiegata con la ragione. D’altra parte la ragione spiegando e vagliando
criticamente la verità rivelata dalla fede rafforza e giustifica la fede stessa.
Questo è il significato della nota formula: «Crede ut intelligas, intellige ut credas» (credi per capire, capisci per
credere). C’è una ragionevolezza della fede, che consiste nel credere a Gesù Cristo (fidarsi di Lui) e ai suoi testimoni
con “buoni motivi”. Il problema di fondo, per Agostino, è la conoscenza della verità, che trascende l’uomo, e a cui
l’uomo tende sia con la fede sia con la ragione .
LA CONOSCENZA DELLA VERITA’
Il processo di conoscenza della verità chiarisce meglio sia il rapporto tra l’Io e Dio sia il rapporto fede-ragione.
Agostino parte dalla critica del dubbio scettico:
gli scettici dicono che nessuna verità è certa e che bisogna dubitare di tutto, di qualsiasi affermazione. Agostino
risponde:
«Si fallor, sum» (Contro gli Accademici) = «se m’inganno, esisto», cioè posso ingannarmi, posso sbagliare
nell’affermare qualsiasi cosa, ma certamente per sbagliare, per ingannarmi, per dubitare devo esistere: quindi nel dubbio
è insita la certezza dell’esistere;
«Chiunque comprende di essere in dubbio vede una cosa sicura della quale è certo, pertanto chiunque dubita se la
verità esista, ha in sé qualcosa di vero di cui non può dubitare: ora il vero non è tale se non in forza della verità»
(La vera religione), quindi il dubbio presuppone, per sua stessa natura, un rapporto dell’uomo con la verità.
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Ma come e dove ricercare la verità? la risposta di Agostino è sintetizzata nella celebre frase «Non uscire fuori di te,
ritorna in te stesso, la verità abita nell’interno dell’uomo, e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te
stesso. Ma ricorda, quando trascendi te stesso, che tu trascendi la tua anima che ragiona. Tendi pertanto là dove
s’accende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti ogni buon ragionatore se non alla verità? Poiché
la verità non giunge affatto a se stessa col ragionamento, ma essa è ciò cui tendono coloro che ragionano.
Riconosci che tu non sei ciò che essa è, appunto perché non cerca se stessa; ma tu sei giunto ad essa cercandola,
non di luogo in luogo, ma con l’affetto della mente...» (La vera religione). Vediamo passaggio per passaggio il
significato di questa frase: Agostino segue l’itinerario platonico: la mutevole percezione dei sensi non basta a spiegare il
fenomeno della conoscenza, infatti noi conosciamo la realtà perché abbiamo in noi dei criteri con cui giudicarla. Questi
criteri contengono un plus rispetto agli oggetti corporei, infatti gli oggetti corporei sono mutevoli e imperfetti mentre i
criteri con cui l’anima giudica sono immutabili e perfetti. E ciò risulta nella maniera più evidente quando giudichiamo
gli oggetti sensibili per mezzo di concetti matematici o geometrici, oppure estetici, oppure morali: infatti i concetti
matematici e geometrici, quelli estetici e quelli morali hanno un carattere necessario e immutabile, gli oggetti a cui li
applichiamo sono contingenti e mutevoli (ecco perché “la verità abita nell’interno dell’uomo”).
Sorge allora il problema : da dove derivano all’anima questi criteri? li produce essa stessa? No, perché anche l’anima è
mutevole. Perciò bisogna riconoscere che all’interno dell’anima, ma al di sopra di essa , vi è un criterio immutabile che
si chiama Verità (Agostino dice infatti: “se troverai mutevole la tua natura trascendi anche te stesso. Tendi pertanto
là dove tende il lume stesso della ragione. A che cosa perviene infatti ogni buon ragionatore se non alla verità?”).
L’anima giudica con la verità che trova in se stessa, ma non coincide con la verità e non la produce, anzi dipende da
essa (e infatti la verità si pone come oggetto immutabile della ricerca della ragione).
La verità poi è costituita, in accordo con Platone, dalle Idee che sono i parametri secondo cui sono state fatte le cose.
Tuttavia Agostino si discosta da Platone su due punti: 1) Le Idee non sono autosussistenti, ma sono i pensieri di Dio (il
Logos, il Verbo di Dio) secondo cui Dio ha creato ogni cosa. 2) Secondo Platone l’anima conosce le Idee per
reminiscenza (conserva un ricordo delle Idee viste nell’iperuranio prima di incarnarsi). Per Agostino l’uomo conosce le
Idee per “illuminazione” divina.
Infatti Dio, che è l’Essere, con la creazione ci rende partecipi dell’essere, e Dio, in quanto è Verità, con l’illuminazione
ci rende partecipi della verità (e delle idee) permettendoci così di conoscere le cose.
I° NOTA BENE: la verità che riceviamo direttamente da Dio (secondo la dottrina dell’illuminazione) non è la
conoscenza della realtà ma il criterio che permette la conoscenza (l’intelligenza) della realtà, così come la luce non è la
vista delle cose ma permette la vista delle cose.
II° NOTA BENE: la teoria della conoscenza di Agostino, pur differenziandosi da quella di Platone nel modo che
abbiamo evidenziato, presenta comunque il problema di far consistere la conoscenza in un’esperienza interiore e di
attribuire alla realtà materiale, corporea, un ruolo marginale; in questo caso l’influenza di Platone ha impedito a
S.Agostino di riconoscere pienamente il valore positivo della realtà materiale e dell’esperienza empirica, nonostante la
dottrina biblica della creazione.
LA TRINITA’
Il “De Trinitate” costituisce l’opera teologica più importante di Agostino; in essa Agostino riflette sul mistero dell’unità
e trinità di Dio (mistero rivelato e dogma fondamentale del cristianesimo), ma anche sulla costituzione della mente
umana, offrendo un esempio di quel rapporto di complementarietà tra fede e ragione precedentemente esposto.
Secondo la fede cristiana Dio è un’unica sostanza divina (è quindi confermato il monoteismo ebraico) in tre persone:
Padre, Figlio e Spirito Santo, definite filosoficamente, ma a partire da nomi biblici, Essere, Verità, Amore). La ragione
non può comprendere pienamente questo mistero, però può avvicinarsi ad esso attraverso un’analogia con la realtà
creata e in particolare con l’anima umana. Infatti tutta la creazione porta in sè l’impronta, le tracce del suo creatore, e
ciò vale in particolare per l’uomo che è stato creato “ad immagine e somiglianza di Dio”. Infatti in tutta la realtà
Agostino evidenzia strutture triadiche che rimandano appunto alla Trinità creatrice. Ma soprattutto la mente umana è
immagine della Trinità, perché anch’essa è una e triplice, in quanto nella sua unità sono congiunte tre facoltà: la
memoria (su cui si fonda l’identità dell’anima, cioè il suo essere, nel fluire del tempo), l’intelligenza, con cui l’anima
conosce, la volontà con cui l’anima ama.
Esiste pertanto una corrispondenza fra le facoltà del’anima e le persone della Trinità divina, la quale, conosciuta per
fede, orienta l’analisi della mente, e l’analisi della mente permette di penetrare nel mistero dell’unità e trinità divina.
LA CREAZIONE
Agostino volendo chiarire il senso della dottrina biblica secondo cui Dio ha creato tutte le cose dal nulla, distingue la
creazione dal nulla da:
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A) la generazione, in cui si produce qualcosa dalla propria sostanza, e il generato è uguale (della stessa sostanza) del
generante; B) la fabbricazione, in cui si produce qualcosa utilizzando sostanze preesistenti.
L’uomo può generare e può fabbricare, non può invece creare dal nulla. Dio invece ha creato le cose facendole sorgere
dal nulla, donando loro tutto l’essere. Questa spiegazione dell’origine della realtà era del tutto estranea al pensiero
greco, e anche Platone, che nel Timeo aveva spiegato l’esistenza del mondo facendo riferimento a una divinità creatrice
(il Demiurgo), aveva detto che il Demiurgo plasma una materia preesistente secondo il modello delle Idee preesistenti
(quindi si tratta di fabbricazione, non di creazione ex nihilo).
Anche secondo Agostino la creazione avviene secondo dei modelli ideali, che però non sussistono al di fuori di Dio, ma
sono i pensieri stessi di Dio.
La creazione è un dono gratuito e libero di Dio, dovuto alla sua bontà e alla sua potenza, e poiché tutto deriva da Dio
(anche la materia) tutto è buono.
La teoria creazionista incontra due problemi: quello del tempo (quando è avvenuta la creazione?) e quello del male (se
tutto deriva da Dio, supremo bene, come si spiega il male?)
IL TEMPO
Quando è avvenuta la creazione? Cosa faceva Dio prima di creare il mondo? questi interrogativi presuppongono una
concezione del tempo come dimensione assoluta, che contiene anche Dio, e che quindi sfugge alla creazione. Agostino
risponde che il tempo è creato insieme all’universo, è una dimensione della realtà creata e quindi deriva anch’esso da
Dio. Dio poi esiste al di fuori del tempo, l’eternità di Dio non va intesa come un’estensione infinita del tempo ma
piuttosto come un “eterno presente” (quindi l’interrogativo “cosa faceva Dio prima della creazione?” non ha senso).
Agostino dimostra la natura creata del tempo attraverso due argomentazioni:
A) il tempo è connesso al movimento, non possiamo percepire il tempo in sè, ma solo attraverso il movimento, quindi il
tempo esiste solo insieme alle cose che si muovono.
B) il tempo è costituito da passato, presente e futuro, e tuttavia il passato non c’è più, il futuro non c’è ancora e il
presente è soltanto l’istante inafferrabile in cui il futuro scorre nel passato: dunque il tempo non ha alcuna consistenza
propria. Eppure il tempo esiste, ma esiste nella mente dell’uomo: esiste nella memoria (= presenza del passato), esiste
nell’attesa (= presenza del futuro), esiste nell’intuizione (= presenza del presente). Anche in questo caso il tempo si
rivela dimensione della realtà creata.
IL MALE
“Si Deus, unde malum?”. Se esiste un unico Dio (che è il bene supremo) da dove deriva il male?. Questo problema
aveva travagliato Agostino sin dalla giovinezza e lo aveva spinto ad aderire al manicheismo, il quale affermava
l’esistenza di due principi divini , il Bene e il Male, in lotta fra di loro nel mondo e anche nell’anima dell’uomo.
Successivamente Agostino aveva abbandonato il manicheismo e aveva criticato questa teoria dei principi divini
contrapposti: se il Dio-Bene può essere danneggiato o distrutto dal Male, allora non è Dio, perché non è assoluto e
incorruttibile, e prima o poi il Male prenderà il sopravvento e rimarrà l’unico Dio; se invece il Dio-Bene non può essere
danneggiato e distrutto dal Male, allora non c’è nessuna vera lotta.
La risposta convincente al problema del male Agostino la trovò nella filosofia neoplatonica: il male non è una sostanza,
non è essere, ma è mancanza di essere.
A partire da questo principio Agostino esamina le manifestazioni del male distinguendo tre aspetti:
A) ontologico: sul piano ontologico non esiste il male ma solo diversi gradi di essere. Secondo una prospettiva parziale
(pertanto falsa) potrebbe essere considerato un male il limite, potrebbe per esempio essere considerata “male”
l’inferiorità di una creatura rispetto ad un’altra oppure la finitudine di tutta la creazione di fronte a Dio; ma considerato
nel suo insieme, tutto ha un senso e una funzione positiva, tutto (anche ciò che è limitato e inferiore) concorre a formare
un’armonia e quindi è bene.
B) morale: il male morale, cioè la colpa, il peccato non consiste nel desiderare o amare il male, ma nel desiderare e
amare un bene inferiore più del bene supremo (per esempio l’avidità è un peccato non perché la ricchezza sia un male in
sè ma perché l’avido antepone il valore della ricchezza ad altri valori superiori).
Il male morale non è commesso da una forza cattiva che agisce nell’uomo (questa era la teoria dei Manichei), ma
dipende dalla libertà dell’uomo che può scegliere fra diversi beni.
C) fisico: il male fisico (cioè la sofferenza e la morte) è la conseguenza del peccato originale, ma nella storia della
salvezza anche questo ha un significato positivo, perché aiuta l’uomo a riconoscere il male morale e ad emendarlo.
LA LIBERTA’ E LA GRAZIA
Gli antichi greci avevano fatto coincidere la moralità con la sapienza affermando che chi conosce il bene fa il bene e che
il comportamento malvagio deriva da ignoranza del bene (intellettualismo morale); Agostino invece, sulla scia della
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cultura latina (che aveva messo in risalto il ruolo della volontà) e dell’insegnamento di San Paolo (“video meliora
deteriora sequor”), nota che la ragione può conoscere il bene e la volontà può respingerlo, perché ragione e volontà
sono facoltà distinte. La volontà dispone del libero arbitrio, cioè della capacità di scegliere fra possibilità diverse, ma la
vera libertà è adesione a Dio, alla sua volontà, perché solo questa adesione è il “bene” per l’uomo, cioé la piena
realizzazione umana, la felicità. Questa adesione a Dio deve essere volontaria, non obbligata, e quindi il libero arbitrio
è la condizione della vera libertà.
Il peccato originale però ha corrotto la volontà umana, per cui la volontà non è più capace di aderire pienamente e
continuativamente al bene (Agostino ha dedicato profonde analisi alla scissione e alla debolezza della volontà che “vuole
e non vuole”, che “vorrebbe volere”).
Per questo la volontà è bisognosa della grazia divina: l’uomo, senza l’aiuto della grazia divina, non è capace di vivere
rettamente. La grazia non abolisce la libertà dell’uomo, al contrario essa rende veramente libera la volontà, poichè le
restituisce la capacità di aderire al bene che ha scelto.
In questa prospettiva l’amore, cioè la tensione della volontà al bene, diventa più importante della sapienza: “Ama, et fac
quod vis”.
(la necessità della grazia è affermata da Agostino in opposizione all’eresia del monaco Pelagio, il quale sosteneva che
tutti gli uomini sono naturalmente liberi e capaci di scegliere il proprio destino e conseguire la virtù cui aspirano; nelle
opere dedicate alla polemica con Pelagio Sant’Agostino afferma la necessità della grazia a tal punto da svalutare il
ruolo della libertà e dell’impegno umano: ciò ha permesso a Martin Lutero di trovare in questi testi di Agostino una
giustificazione e un’anticipazione della sua dottrina sulla salvezza “per la fede e non per le opere”)
LA CITTA’ DI DIO E LA RIFLESSIONE SULLA STORIA
Il “De Civitate Dei” (in 22 libri) fu scritto da Agostino in occasione del sacco di Roma del 410 e in risposta alle accuse
dei pagani contro i cristiani, imputati di aver attirato su di Roma l’ira degli Dei. Ma l’opera supera il motivo
occasionale e sviluppa una grande riflessione sulla storia. Agostino afferma che, come la volontà del singolo è scissa
fra opposte aspirazioni, così pure l’umanità nel suo insieme è scissa fra “l’amore di Dio e l’amore di sè” e nella storia
edifica due “città” contrapposte, la città di Dio e la città terrena. Una è la società dei giusti, dei santi, l’altra la società
degli empi. Tuttavia sulla terra queste due città sono sempre intrecciate e mescolate e non si identificano mai con un
particolare momento della storia o con qualche istituzione storica (per esempio Chiesa e Stato), perché esse dipendono
soltanto da ciò che ogni singolo uomo decide di essere: «I cittadini della città terrena sono dominati da una stolta
cupidigia di predominio che li induce a soggiogare gli altri; i cittadini della città celeste si offrono l’uno all’altro in
servizio con spirito di carità...». La vera storia è quella realizzata dalla città celeste, anche se sulla terra essa appare
nascosta o sconfitta. Solo alla fine dei tempi si renderà manifesta la città di Dio e in essa troverà compimento tutta la
storia umana, perché la città di Dio costituirà la realizzazione dell’ aspirazione alla giustizia e alla pace presente anche,
sia pure in modo distorto, nella città terrena.
Il “De civitate Dei” è importante anche perché getta le basi della successiva filosofia della storia. Presso i Greci non
esisteva ancora una filosofia della storia in senso stretto, perché la loro conoscenza filosofica era rivolta alla forma
permanente, a ciò che permane sempre identico, quindi svalutavano il divenire e concepivano la storia come uno
svolgimento circolare in cui ritornano sempre le stesse forme.
Il cristianesimo invece rifiuta la “teoria atea degli inutili cicli”, affermando che ognuno di noi vive e muore una sola
volta: alla visione ciclica si sostituisce quella lineare imperniata sulla creazione e sul peccato originale come inizio della
storia, sull’incarnazione di Cristo come evento centrale e redentivo, sul Giudizio finale come fine e compimento della
storia.
In secondo luogo, il cristianesimo, insistendo sull’origine comune che unisce tutti gli uomini, perviene all’idea di
un’unica storia universale comprendente tutte le genti.
In terzo luogo, il cristianesimo si rapporta alla storia non come a una serie di eventi senza senso ma come a una totalità
dotata di significato e di scopo. Per Agostino il principio unificatore degli eventi è dato dalla nozione di Provvidenza
(l’agire di Dio nella storia) che conferisce alla storia il significato di storia della salvezza che si conclude e si compie
nell’ESCATON (=il Giudizio finale e l’avvento del Regno di Dio).
Si noti che buona parte della successiva filosofia della storia (soprattutto ottocentesca) ha secolarizzato lo schema
escatologico ebraico-cristiano, concependo la “salvezza” o il compimento finale della storia in termini immanentistici
anziché trascendenti: cosicché le filosofie e le ideologie moderne hanno interpretato la storia come un processo in cui si
realizza progressivamente un certo valore “laico”, come la scienza, la giustizia, la libertà, la razionalità ecc.
SANT’AGOSTINO, La “TERZA NAVIGAZIONE”
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Da un’intervista a Giovanni Reale: “Platone è il filosofo laico più venduto al mondo, al pari di Agostino.
Una piccola casa editrice, qualche anno fa, fece una statistica, secondo la quale su Agostino si pubblica
in Occidente un libro al giorno. Anni dopo il presidente della casa editrice Città Nuova mi disse che il libro
religioso più venduto dopo la Bibbia erano le Confessioni. Io sono sempre stato un grande amante
dell’opera, ma nonostante l’abbia letta e studiata per sessant’anni, la capisco solo adesso, perché è un
libro talmente ricco e straordinario che richiede una serie di conoscenze che in passato non tutti aveva no.
Nel secondo trattato, commentario a Giovanni, egli introduce un concetto che io definisco Terza
navigazione. Bisogna tenere presente che Agostino ha fatto due conversioni: la prima al platonismo, che
gli ha insegnato l’esistenza di un essere che non è quello fisico, mentre prima concepiva Dio come un
corpo infinito; la seconda invece è quella religiosa. Agostino ha inoltre spiegato molto bene la differenza
tra i platonici e i credenti. I primi sono riusciti a vedere al di là del mare, la patria, e a descriverla in
maniera esatta; però, non sono stati in grado di darci lo strumento per attraversare il mare della vita.
Platone, in un bellissimo passo del Fedone, afferma che la filosofia è come una zattera, se la si governa
bene tiene a galla, altrimenti fa affondare. Se però venisse una rivelazione, dice, avremmo una nave
bella, comoda e sicura. Ebbene, Platone si sbagliava: la nave è venuta, ma è tutt’altro che comoda, è
quella che Agostino individua nella croce. La croce aiuta ad attraversare il mare della vita anche se non si
è riusciti a vedere, come i filosofi, al di là del mare. Essa salva chiunque, ma richiede umiltà, ed è perciò
invisa ai filosofi, che per propria natura spesso peccano di superbia, quella che i Greci definivano ΰβρις.
Agostino scrive che bisogna attraversare questo mare sul lignum crucis, con la guida di Cristo. È una
rivelazione di grandissima importanza perché prima della venuta di Cristo bisognava andare a Dio, ma il
percorso era difficile e pochissimi arrivavano. Così, Dio, vedendo queste difficoltà, ha mandato suo figlio,
che con la croce insegna a risanare tutti i propri mali e con questo ad attraversare il mare della vita.
Agostino fa parte delle filosofia tardo antica-cristiana, non medievale, come spesso si crede. Un’altra cosa
che mi piace di Agostino è la sua fede forte, quasi rocciosa, che quando si legge pare di bere
acqua purissima e dissetante. La confessione è il rivelare a Dio tutti i propri peccati, ma ha senso soltanto
perché è Dio stesso che ci ha guarito da quelli. In quella guarigione Agostino gode ed elogia il Signore.
Egli dice di scrivere quel libro affinché tutti i suoi fratelli conoscano il male che ha compiuto in vita e come
è guarito, in modo che anch’essi possano guarire o ritenersi fortunati per non aver mai commesso il male.
Dal libro decimo in poi Agostino non parla più di peccati ma di tentazioni, perché, come dice la Bibbia,
tutta la vita dell’uomo è una continua tentazione. In questo colloquio uomo-Dio troviamo la rivoluzione più
grande: nasce il concetto di persona, che non esisteva nell’antichità. La persona è quella che instaura un
rapporto dell’Io con il Tu. Questo rapporto con il tu può avere due valenze. Il rapporto con il tu minuscolo,
ovvero con l’altro, e con il Tu maiuscolo. Il vero rapporto con l’altro lo si può instaurare e rendere saldo
soltanto se si arriva triangolarmente al vertice, all’altro Tu.
Dal “Commento al Vangelo secondo Giovanni”, di sant’Agostino.
In principio era il Verbo. E' sempre lo stesso, sempre allo stesso modo; è così come è da sempre, e non può
mutare: semplicemente è. Questo suo nome lo rivelò al suo servo Mosè: Io sono colui che sono. Colui che è,
mi ha mandato (Es 3, 14). Chi dunque potrà capire ciò, vedendo come tutte le cose mortali siano mutevoli;
vedendo che tutto muta, non solo le proprietà dei corpi: che nascono, crescono, declinano e muoiono; ma
anche le anime stesse, turbate e divise da sentimenti contrastanti; vedendo che gli uomini possono ricevere la
sapienza, se si accostano alla sua luce e al suo calore, e che possono perderla, se per cattiva volontà si
allontanano da essa? Osservando, dunque, che tutte queste cose sono mutevoli, che cos'è l'essere, se non ciò
che trascende tutte le cose contingenti? Ma chi potrebbe concepirlo? O chi, quand'anche impegnasse a fondo
le risorse della sua mente e riuscisse a concepire, come può, l'Essere stesso, potrà pervenire a ciò che in
qualche modo con la sua mente avrà raggiunto? E' come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di
mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a
quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com'è. E anche se già scorgiamo la meta da
raggiungere, tuttavia c'è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti
neppure riescono a vedere dove debbono andare. Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto
di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare.
Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Anche se
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uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del
suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.
Vi sono stati, per la verità, filosofi di questo mondo che si impegnarono a cercare il Creatore attraverso le
creature. Che il Creatore si possa trovare attraverso le sue creature, ce lo dice esplicitamente l'Apostolo: Fin
dalla creazione del mondo le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle
opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità, onde sono inescusabili. E continua: Perché
avendo conosciuto Dio... Non dice: perché non hanno conosciuto Dio, ma al contrario: Perché avendo
conosciuto Dio, non lo glorificarono né lo ringraziarono come Dio, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti
e il loro cuore insipiente si ottenebrò. In che modo si ottenebrò il loro cuore? Lo dice
chiaramente: Affermando di essere sapienti, diventarono stolti (Rm 1, 20-22). Avevano visto dove bisognava
andare, ma, ingrati verso colui che aveva loro concesso questa visione, attribuirono a se stessi ciò che
avevano visto; diventati superbi, si smarrirono, e si rivolsero agli idoli, ai simulacri, ai culti demoniaci,
giungendo ad adorare la creatura e a disprezzare il Creatore. Giunsero a questo dopo che già erano caduti in
basso. Fu l'orgoglio a farli cadere, quell'orgoglio che li aveva portati a ritenersi sapienti. Coloro di cui
l'Apostolo dice che conobbero Dio, videro ciò che dice Giovanni, che cioè per mezzo del Verbo di Dio tutto
è stato fatto. Infatti, anche nei libri dei filosofi si trovano cose analoghe, perfino che Dio ha un unico Figlio
per mezzo del quale furono fatte tutte le cose. Essi riuscirono a vedere ciò che è, ma videro da lontano. Non
vollero aggrapparsi all'umiltà di Cristo, cioè a quella nave che poteva condurli sicuri al porto intravisto. La
croce apparve ai loro occhi spregevole. Devi attraversare il mare e disprezzi la nave? Superba sapienza! Irridi
al Cristo crocifisso, ed è lui che hai visto da lontano: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio. Ma
perché è stato crocifisso? Perché ti era necessario il legno della sua umiltà. Infatti ti eri gonfiato di superbia,
ed eri stato cacciato lontano dalla patria; la via era stata interrotta dai flutti di questo secolo, e non c'è altro
modo di compiere la traversata e raggiungere la patria che nel lasciarti portare dal legno. Ingrato! Irridi a
colui che è venuto per riportarti di là. Egli stesso si è fatto via, una via attraverso il mare. E' per questo che ha
voluto camminare sul mare (cf. Mt 14, 25), per mostrarti che la via è attraverso il mare. Ma tu, che non puoi
camminare sul mare come lui, lasciati trasportare da questo vascello, lasciati portare dal legno: credi nel
Crocifisso e potrai arrivare. E' per te che si è fatto crocifiggere, per insegnarti l'umiltà; e anche perché, se
fosse venuto come Dio, non sarebbe stato riconosciuto. Se fosse venuto come Dio, infatti, non sarebbe
venuto per quelli che erano incapaci di vedere Dio. Come Dio, non si può dire che è venuto né che se n'è
andato, perché, come Dio, egli è presente ovunque, e non può essere contenuto in alcun luogo. Come è
venuto, invece? Nella sua visibile umanità.