Storia romana - Benedetto da Norcia Liceo Classico e delle Scienze

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Dinastia giulio-claudia
Tiberio (14-37 d.C.)
Una delle più grandi preoccupazioni di
Augusto prima di morire fu quella della
successione. Tutti i suoi eredi designati erano
morti prematuramente (Marco Claudio
Marcello, il suo pupillo nonché erede
designato morì infatti a soli diciannove anni).
Infine la scelta cadde su Tiberio, non tanto per
la sua capacità, ma poiché era l’unico erede
maschio vivente della dinastia (suo fratello
Druso era morto anch’esso in giovane età).
Fu un imperatore non particolarmente amato
né dal popolo né dal Senato, che
probabilmente soffrì il paragone con il suo
illustre predecessore. Sotto di lui l’impero
conobbe un relativo periodo di pace: le
campagne militari, guidate brillantemente dai
figliastri Druso e Germanico, servirono
soprattutto per consolidare i confini in
Germania e in Oriente (ancora erano vive
nell’opinione pubblica romana le sconfitte a
Teutoburgo e a Carre). Di carattere schivo e
bizzarro, decise di ritirarsi nella sua villa di
Capri, lasciando il compito di governare
l’impero al potente prefetto del pretorio
Seiano. Questi tuttavia ordì una congiura
contro l’imperatore stesso, che venne però
scoperta e portò all’eliminazione del prefetto
e di tutta la sua famiglia. Gli ultimi anni di
regno di Tiberio furono segnati dalle
esecuzioni sommarie contro chiunque avesse
potuto in qualche modo tentare di eliminare
l’oramai odiato imperatore. Quando morì, il
16 marzo del 37, la plebe romana festeggiò
devastando le statue dedicate al defunto
imperatore, mentre il Senato con l’appoggio
dei pretoriani proclamò imperatore il giovane
Caligola.
Caligola (37-41)
Il nuovo imperatore salì al potere con
l’entusiasmo di tutto il mondo romano. Era
infatti figlio di Germanico, il famoso generale
romano tanto amato dal popolo, ed aveva
trascorso la maggior parte della sua infanzia
presso i campi militari, guadagnandosi
l’affetto dei pretoriani devoti al padre. Salito
al potere, il giovane imperatore dissipò in un
attimo tutte le speranze: attuò subito una
politica repressiva nei confronti dei nemici
interni e umiliò ripetutamente il Senato
(arrivando addirittura a nominare senatore il
suo cavallo). Obbligò i suoi sudditi ad
adorarlo come un dio, mentre si rendeva
popolare alla plebe con enormi elargizioni di
denaro pubblico, che portarono lo stato
romano (che aveva raggiunto un faticoso
pareggio di bilancio sotto Tiberio) sull’orlo
della bancarotta. La crescente ostilità nei suoi
confronti sfociò in una congiura ordita dai
pretoriani nel gennaio del 41: Caligola venne
sterminato con tutta la sua famiglia. A lui
succedette lo zio Claudio che, stando a fonti
aneddotiche, si era nascosto dietro una tenda.
Claudio (41-54)
Unico supersite della famiglia Giulio-Claudia,
Claudio viene ricordato dalla storiografia
antica come un imperatore bizzarro, affetto da
 territori appartenenti a Roma
annessioni e conquiste dal 37 al 54 d.C.
regni clienti di Roma
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strane manie ed incline all’isolamento. Il suo
regno coincise invece con uno dei periodi più
fortunati e splendidi della Roma imperiale.
Cancellò la memoria di suo nipote Caligola e
si mostrò rispettoso del Senato, partecipando
spesso alle sue sedute, senza che questo
interferisse in nessun modo con la propria
autorità. Seppe circondarsi di validi
collaboratori (Vespasiano, Galba, Corbulone)
e si guadagnò il favore della plebe con
l’eliminazione di tasse impopolari e la
concessione di spettacolari giochi gladiatori.
Avviò un programma imponente di opere
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pubbliche, con la costruzione di strade
(famosa una che collegava l’Italia alla
Germania) e acquedotti, mentre fallì il
tentativo di costruire un porto enorme situato
nell’odierna Ostia. In politica estera
procedette all’annessione come provincie
della Mauretania, della Britannia, della Tracia
e della Giudea. Fallì invece miseramente nel
gestire la propria situazione familiare: si
sposò infatti in seconde nozze con sua nipote
Agrippina, madre di Nerone, che subito iniziò
a complottare per eliminare lo scomodo
marito ed assicurare la successione al figlio
(in contrasto con il figlio naturale di Claudio,
Britannico). Quando Claudio morì nel 54,
dopo aver ingerito un piatto di funghi, grande
fu il sospetto che fosse stato avvelenato da
Agrippina per accelerare l’ascesa al trono del
figlio.
Nerone (54-68)
Salito al potere ancora sedicenne, il giovane
imperatore fu affidato alle cure dei suoi tutori
Sesto Afranio Burro e Lucio Anneo Seneca. I
primi anni di governo furono caratterizzati
dalla moderazione di questo giovane sovrano,
rispettoso del Senato e amante dell’arte.
Tuttavia, sentendosi troppo controllato dalla
madre, organizzò nel 59 il suo omicidio, con
il tacito assenso di Burro e di Seneca, che
speravano di conquistare una più profonda
influenza sul giovane sovrano. Ma Nerone
non aveva più intenzione di farsi manipolare
da nessuno, fosse la madre o i suoi tutori: nel
62 costrinse al suicidio Burro e ordinò
l’allontanamento dalla corte di Seneca. Nel 64
scoppiò un grande incendio che distrusse gran
parte di Roma (che allora era fatta per gran
parte di legno). Pur avendo organizzato in
modo efficiente i soccorsi e contribuito ad
alleviare la sofferenza della plebe, si sparse la
notizia che lo stesso princeps avesse
appiccato fuoco a Roma. Nerone, per
discolparsi, addossò la colpa ai Cristiani,
dando inizio ad una poderosa persecuzione
che decimò i vertici della cristianità. Nel 65
venne alla luce la congiura pisoniana (così
chiamata da C. Calpurnio Pisone), i cui
partecipanti, tra cui Seneca, Lucano, Petronio
e il grande generale Corbulone, furono tutti
costretti al suicidio. Ma il malcontento oramai
covava a Roma e la sorte di Nerone era
segnata. Una ad una le provincie si
ribellarono contro colui che era visto ora
come un despota, mentre i pretoriani, corrotti
dal futuro imperatore Galba, abbandonavano
l’imperatore e il Senato lo dichiarava
decaduto. Solo e abbandonato da tutti, Nerone
si fece uccidere il 9 giugno del 68, ponendo
fine alla dinastia Giulio-Claudia.
Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia
sono probabilmente alcuni dei personaggi
storici più famosi che hanno sperimentato una
cosiddetta “biografia di parte”. I principali
storici di questo periodo (Svetonio e Tacito)
tendono a soffermarsi troppo sugli episodi di
vita quotidiana dei personaggi (ricercando
sempre il pettegolezzo e lo scandalo),
fermandosi sommariamente sui meriti di
questi quattro imperatori. Ne viene
chiaramente fuori un quadro molto distorto:
Tiberio viene presentato come un sadico,
Caligola come un pazzo, Claudio come un
erudito bizzarro e Nerone come un incallito
piromane. Questa cattiva fama è arrivata fino
ai giorni nostri, quando finalmente uno
storiografia molto più oggettiva e meno di
parte ne ha parzialmente riabilitato la
memoria e gli indiscutibili meriti.
L’anno dei quattro imperatori
In seguito alla caduta di Nerone, Roma
piombò nel caos. L’imperatore non aveva
infatti diretti discendenti, mentre i vari
governatori
delle
regioni
dell’impero
cercavano di ottenere l’appoggio del Senato
per farsi dichiarare imperatori. Ottenendo
l’appoggio dei pretoriani (con la promessa di
un enorme compenso) il governatore della
Spagna Tarragonese, Galba riuscì a farsi
eleggere imperatore nell’ottobre del 68.
Tuttavia numerose iniziative impopolari nei
confronti della plebe ma soprattutto il
mancato pagamento del compenso ai
pretoriani gli alienarono le simpatie dei suoi
sostenitori, che non esitarono ad abbandonarlo e a contrapporgli il governatore della
Lusitania, Otone. Nello scontro che seguì
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trovò la morte con gran parte delle sue truppe
presso il Lago Curzio.
Il 15 gennaio del 69 il Senato, impaurito dalle
truppe di Otone, nominò costui imperatore.
Tuttavia Otone non fece in tempo a
dimostrare le sue doti di governo, poiché le
legioni di stanza in Germania avevano già
proclamato imperatore Vitellio, che si
preparava a scendere a Roma alla testa del
suo esercito. Sconfitto nella battaglia di
Bedriaco, Otone si suicidò poco dopo.
Appena nominato imperatore Vitellio dovette
affrontare la rivolta della legione di stanza in
Giudea, comandata da Vespasiano. Dopo
esser stato sconfitto nella battaglia di
Cremona, riparò a Roma per organizzare
nuovamente le sue forze ma, solo e
abbandonato da tutti, fu ucciso dai partigiani
di Vespasiano. Entrato a Roma, Vespasiano
fu incoronato imperatore dal Senato il 22
dicembre del 69, ponendo fine alla breve ma
cruenta guerra civile.
La dinastia Flavia
(69-96 d.C.)
Vespasiano (69-79 d.C.)
Salito al potere, Vespasiano si preoccupò per
prima cosa di risanare il bilancio dello stato,
che era stato portato sull’orlo della bancarotta
dalla politica di sperperi neroniana. Restano
proverbiali le tasse applicate praticamente su
ogni aspetto della vita romana (addirittura sui
bagni pubblici) che servirono anche per la
costruzione di immense opere pubbliche
(come il Colosseo). In politica estera si
avvalse di abili generali, come Gneo Giulio
Agricola, per consolidare i confini della
Britannia (78), mentre il figlio Tito soffocò
nel 70 una durissima rivolta esplosa in Giudea
(che si concluse con la presa di Gerusalemme
e la distruzione del Tempio). Vecchio e
ammalato, si spense nel giugno del 79 presso
la sua villa nei pressi di Rieti.
Tito (79-81 d.C.)
Il breve regno di Tito venne considerato da
tutti i contemporanei come uno dei periodi più
felici di tutta la storia di Roma. Abile generale
(a lui si dovette la repressione della rivolta
giudaica), del suo regno si ricorda soprattutto
l’inaugurazione del Colosseo e la generosità
mostrata nei confronti delle popolazioni di
Ercolano e Pompei colpite dall’eruzione del
Vesuvio. Morì giovanissimo, ad appena 32
anni, per una forte febbre. Gli succedette il
fratello Domiziano.
Domiziano (81-96 d.C.)
La relativa pace sociale che aveva accompagnato il regno precedente fu sconvolta dalla
nomina a imperatore di Domiziano. Costui
esautorò il Senato, si nominò censore a vita e
arrivò addirittura a farsi venerare come un
sovrano orientale; si conquistò l’appoggio
della guardia pretoriana con enormi elargizioni di denaro pubblico, che ottenne con
l’aumento della già alta tassazione. Gli ultimi
anni del suo regno furono dominati dal
terrore: circondatosi di delatori, l’imperatore
represse nel sangue tutti i tipi di congiura
orditi contro di lui, fino a che, nel settembre
del 96, fu ucciso da un sicario assoldato dai
senatori a lui avversi. Terminava così la
dinastia Flavia.
Nerva (96-98)
Alla morte di Domiziano i congiurati
acclamarono imperatore l’anziano senatore
Nerva, che rappresentava la figura giusta (per
esperienza e moderatezza) per aprire un
periodo di pacificazione dopo i massacri
dell’ultimo dei Flavi. Nel suo breve regno si
segnalò soprattutto per l’adozione del futuro
imperatore Traiano, generale delle legione di
stanza presso il Reno, dando il via a quella
che viene chiamata da dinastia degli Antonini
(o degli imperatore adottivi).
Traiano (98-117)
Primo imperatore non italiano (era infatti
spagnolo) Traiano nel suo lungo regno si
dimostrò un imperatore saggio e oculato,
spesso messo a paragone con il grande
Augusto, grazie soprattutto al suo rispetto del
potere
(seppur formale) del Senato. In
politica estera si rivelò un brillante stratega:
nel 101 iniziò la campagna per l’annessione
della Dacia (attuale Romania) ricca di miniere
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di argento, fondamentali per dare un po’ di
respiro alle asmatiche casse imperiali. La
sottomissione della Dacia si concluse nel 106
con la sconfitta del re dace Decebalo e
l’annessione
della
nuova
provincia
all’impero: per celebrare la sua vittoria
Traiano incaricò l’architetto Apollodoro di
Damasco di innalzare la celeberrima colonna
che porta il suo nome. Dopo aver annesso
all’impero lo strategico regno dei Nabatei,
l’imperatore decise di intraprendere una
campagna contro i Parti. Pur se vittoriose sul
campo di battaglia, le legioni romane non
riuscirono ad avere definitivamente la meglio
sugli storici nemici: dopo aver conquistato la
Mesopotamia, l’oramai anziano imperatore
(siamo nel 116) decise di ritirarsi oltre
l’Eufrate per organizzare meglio la successiva
spedizione. Sfortunatamente ed improvvisamente la morte lo colse nel 117 a Selinus, in
Cilicia.
Adriano (117-138)
Imparentato con Traiano (i due erano cugini)
il nuovo imperatore si dimostrò più moderato
e meno incline ad allargare i confini
dell’impero rispetto al suo predecessore.
Subito decise di abbandonare la Mesopotamia, ritenuta (non a torto) indifendibile. Per
difendere la Britannia dalle incursioni dei Pitti
fece erigere il vallo che porta il suo nome,
mentre rinforzò la fragile frontiera danubiana
con la costruzione di nuovi forti e accampamenti. Il suo regno fu turbato solamente dalla
rivolta giudaica del 132-135 (da non
confondersi con quella repressa da Tito nel
70): i ribelli, dopo aver inflitto perdite
notevolissime a Roma, furono sterminati nel
135 (si calcola che 580mila ebrei rimasero
uccisi). Per sradicare l’integralismo ebraico
Adriano proibì la lettura della Torah,
ribattezzò Gerusalemme Aelia Capitolina ed
espulse dalla nuova città gli ebrei, sostituendoli con coloni romani. Morì all’età di 62
anni a Baia.
Antonino Pio (138-161)
Figlio adottivo di Adriano, Antonio Pio viene
ricordato soprattutto poiché sotto il suo regno
l’impero raggiunse probabilmente l’apice
della potenza militare ed economica. Proseguì
l’opera di stabilizzazione dei confini del suo
predecessore, facendo costruire il vallo
omonimo nel 142 (corrispondente al confine
tra le odierne Scozia e Inghilterra). Si mostrò
profondamente rispettose del Senato (tanto da
meritarsi l’appellativo di “Pio”). Morì nel
161, lasciando un impero florido e economicamente stabile al suo successore Marco
Aurelio.
Marco Aurelio (161-180)
Appena salito al potere, ottenne che gli fosse
associato al trono il fratello adottivo Lucio
Vero, che rivestirà incarichi di enorme
importanza durante il suo regno. Considerato
dalla storiografia come un sovrano giusto
nonché un grande filosofo, durante il suo
regno dovette tuttavia affrontare numerosissime spedizioni, soprattutto contro i Parti
(161-166) e la popolazione barbara dei
Marcomanni (166-180), guerre che costrinsero l’imperatore filosofo a dispiegare un
enorme numero di truppe ai confini con
l’odierna Ungheria. Per arrestare completamente il problema, Marco Aurelio progettò
una campagna militare oltre il Danubio, per
poter così annientare una volta per tutte il
pericolo barbaro, tuttavia la morte (forse per
peste) lo colse nell’odierna Vienna nel 180.
Commodo (180-192)
Figlio naturale (al contrario dei suoi
predecessori che erano tutti adottati) di Marco
Aurelio il giovane Commodo si rivelò un
sovrano inesperto e crudele, dedito ai vizi e
alla corruzione (amava esibirsi nell’arena,
riscuotendo il favore del popolo romano). Il
Senato, stanco della continue umiliazioni del
giovane imperatore, lo fece uccidere nel 192,
ponendo fine alla dinastia degli Antonini.
I secoli successivi vedranno un lento ma
inesorabile declino di un impero ridotto
oramai alla stregua di un gigante con i piedi di
argilla. Pochi imperatori riusciranno ad
invertire la tendenza, mentre si farà strada
all’interno dell’impero la nuova religione del
cristianesimo che, inizialmente discriminata,
arriverà addirittura ad essere proclamata religione di stato dall’imperatore Teodosio.
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Proprio questo imperatore, consapevole della
debolezza di un impero tanto grande, decise
alla sua morte di dividere l’impero in due
distinti regni: l’impero romano d’occidente
(affidato al figlio Onorio) e quello d’oriente
(assegnato ad Arcadio).
Il primo, militarmente più fragile e soggetto
maggiormente alle incursioni dei barbari,
verrà abbattuto dal-l’orda del goto Odacre,
che nel 476 deporrà l’ultimo imperatore
Romolo Augustolo. Sorte più fortunata avrà la
parte orientale, che sopravviverà tra non
poche difficoltà fino al 1453, quando sarà
abbattuto dagli Ottomani guidati da Maometto
II.
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