Cenni sull’evoluzione dell’esercito romano e degli equipaggiamenti di Luca Spaccini L’esercito di Roma si è evoluto nel corso dei secoli di pari passo con lo sviluppo politico, sociale e territoriale della città e ne fu componente fondamentale nell’ascesa a dominatrice del bacino del mediterraneo e oltre. Partendo dal 753 a.C., tradizionalmente acquisita come data della fondazione di quella che sarà l’Urbe, per i primi secoli non avremo un proprio e vero esercito, visto che gli scontri armati si limitavano a semplici scaramucce tra città confinanti: erano quindi i cittadini che abbandonavano momentaneamente le loro attività e andavano a difendere la propria comunità o i suoi interessi. Si comincia a parlare di un vero e proprio esercito, anche se ancora formato dai privati cittadini che si mettevano a disposizione dello stato per la durata di una guerra, dopo il primo periodo della Repubblica (III sec. A.C.). Questa era la “militia”, primo embrione di quella che sarà la grande macchina da guerra di Roma; sarà la militia a conquistare gran parte dell’Italia, a sconfiggere Cartagine e a fare del Mediterraneo il primo nucleo del futuro impero. Con l’aumento dei territori controllati, nella fase della tarda Repubblica (I sec. A.C.), non si poteva più chiedere ai cittadini romani di rimanere lontani dalle loro case e dai loro affari per mesi, se non per anni, e così, con quella che viene definita riforma mariana (da Caio Mario, eletto Console nel 107 a.C.) si viene a creare l’esercito professionale, che non richiedendo più ai propri soldati di provvedere all’equipaggiamento, offrì alle classi meno abbienti l’opportunità di una carriera militare, creando anche un forte legame tra le truppe, le legioni di appartenenza, che da questo periodo conservano il proprio nome e la propria aquila fino al loro scioglimento, ed il loro comandante. E’ questo l’esercito che farà grande l’Impero, portandolo al limite massimo della sua espansione, ed è questo l’esercito romano tradizionalmente presente in quello che viene definito l’immaginario collettivo. Con il passare dei secoli l’esercito cercò di adeguarsi ai cambiamenti, ai contatti con nuove popolazioni, a nuovi metodi di combattimento ma sostanzialmente la struttura base rimase quasi la stessa fino alla fine dell’impero. Dopo questi cenni sulla storia dell’esercito romano vi vorrei presentare parte dell’equipaggiamento che ha accompagnato i soldati di Roma nel corso dei secoli , nella speranza che possa risultare utile anche a livello modellistico. Il pilum è senz’altro una delle armi caratteristiche dei Romani; sorta di giavellotto pesante, non è escluso che sia stata una delle prime cose mutuate dagli Etruschi: consisteva (fig.1a) inizialmente in una specie di tubo metallico con un’estremità acuminata montato su un’asta in legno. Successivamente si “romanizzò” (fig.2a, IV sec. A.C.) e fu molto apprezzato negli scontri con le popolazioni celte; in questo periodo acquisì la sua caratteristica più apprezzata: la punta sagomata, unita al fatto di essere forgiato in metallo dolce, consentiva una buona penetrazione e una successiva deformazione, rendendo difficile l’asportazione e impossibile il riutilizzo da parte dei nemici e spesso li obbligava a liberarsi degli scudi con cui si erano riparati, resi ingestibili dalle aste conficcate. La fig.3a mostra dei pila usati nel III sec. a.C.; ogni legionario ne portava due, uno più pesante e uno più sottile, il primo lungo poco più di due metri e l’altro lungo quasi un metro e mezzo. I velites erano equipaggiati con il verutum, uno snello giavellotto corredato da una cinghia in cuoio per il lancio. Nel periodo successivo il pilum più pesante viene leggermente accorciato (fig.4a) e rimarrà sostanzialmente invariato fino ai primi decenni d.C..Dal 100 d.C. il pilum si accorcia, ma viene aggiunto un peso in bronzo per facilitare la penetrazione delle corazze (fig.5a); l’altro modello illustrato si chiama gaesum ed era utilizzato dalle truppe ausiliarie romane di origini celtiche. Dal III sec. d.C. i principali nemici di Roma disponevano prevalentemente di truppe montate, così che il pilum fu gradatamente sostituito dalla semplice lancia, più adatta ad affrontare le cavallerie. Ci è giunta anche notizia della plumbata (fig.6a), una freccia appesantita con una gittata superiore alle altre armi da lancio. Il legionario non trascorreva tutto il suo tempo a combattere, ovviamente, e una buona parte degli anni spesi sotto le aquile dell’esercito era impiegata negli spostamenti. Un legionario della tarda repubblica, ad esempio, si doveva portare appresso , anzi addosso, buona parte del suo equipaggiamento visto che era previsto un mulo ogni otto legionari e che questo doveva già trasportare il necessario per montare la tenda che li avrebbe ospitati. Oltre alla dotazione per il combattimento (pila, elmo, cotta o lorica, spada, scudo, ecc…) il nostro povero Caio Stracco si doveva portare a spasso per l’impero una coperta e una mantella, scorte di grano e cibo secco per almeno 3 giorni, stoviglie e attrezzature per scavare e fortificare il campo, il tutto per poco meno di 45 Kg. Nelle figure si possono vedere in particolare le ultime voci di questo elenco: una gavetta in bronzo, un secchietto per l’acqua da usare anche come bollitore,una falce per il grano e il foraggio e un cesto in vimini per asportare la terra ; poi c’era un’ascia – piccone (dolabra) addirittura con una guaina per proteggere il taglio della lama, una vanga ed un paletto (pilupe murale), anzi spesso due per soldato, per fortificare il campo. Altra fedele compagna del legionario era la caliga, il famoso sandalo con la suola formata da strati di cuoio (2 cm ) e chiodata e la parte superiore tagliata in un unico pezzo cucito poi sulla suola. Anche lo scutum è sempre stato un elemento caratteristico del legionario. Nella figura 1b si vede il tipico scudo ovale in uso in Italia dal VII sec. a.C. in poi; in questo caso sono presenti rinforzi metallici (bronzo o ferro) lungo tutto il bordo e una placca anch’essa metallica al centro (umbo) che, oltre a parare i fendenti, poteva essere usata per colpire. Il disegno riportato sullo scudo lo colloca probabilmente in uso presso la Legio II Augusta. In seguito, per alleggerire il tutto, furono tolte le estremità superiore e inferiore; questo modello restò in uso fino a dopo il 175 d.C. , e la figura 2 mostra una decorazione ricostruita da un bassorilievo del 75 d.C. rinvenuto a Magonza. In seguito si giunge allo scudo più noto (fig.3b), la forma rimane la stessa, ma l’umbone diviene tondo e appaiono le celeberrime decorazioni con fulmini e ali. Un’ulteriore evoluzione (fig.4b) ci presenta uno scudo più rettangolare con dei rinforzi metallici a “L” agli angoli, in uso tra il 40 e il 200 d.C.; l’illustrazione è presa dalla Colonna Traiana. La fig.5b mostra un ritorno alle forme ovali, che dal 150 d.C. circa sarà in uso fino alla fine dell’Impero: questo raffigurato ( colorato in giallo e marrone) era uno scudo in uso presso la Thebaea Legio Palatina. Quando non era in uso, lo scudo era protetto da una fodera in cuoio.Per quanto concerne la cavalleria romana, l’uso dello scudo fu adottato largamente intorno al 250 a.C., anche se le prime notizie di soldati a cavallo dotati di scudo, le abbiamo da alcune monete rinvenute in Puglia risalenti a circa il 400 a.C.. Nel riquadro “C” vediamo alcuni dei tipi di scudo utilizzati dalle truppe montate romane; il primo (fig 1c) lo troviamo anche raffigurato nel rilievo rinvenuto al Lucus Curtius, nel Foro Romano e si tratta di uno scudo tondo di circa un metro di diametro, piatto e spinato risalente a circa il 200 a.C.: il cavallo alato era un simbolo piuttosto in voga, e, unitamente all’aquila, lupo, cinghiale e Minotauro all’epoca erano emblemi di Roma. E’ di foggia tipicamente nordica, lo scudo rappresentato dalla fig. 2c, ovale e piatto, con le estremità tagliate, utilizzato dai Celti e dai Germani che ingrossavano le fila della cavalleria romana nel I sec. a.C.. La figura 3c un’altra forma di scudo piuttosto nota, quella esagonale; anche questo scudo era utilizzato ai confini nord dell’impero qualche decina d’anni dopo la nascita di Cristo; il simbolo dello scorpione potrebbe aver distinto un’unità scelta di cavalleria germanica, gli equites singulares. Nel II sec. d.C. si torna agli scudi ovali – la fig. 4c ne mostra uno alto 122cm e largo 68 circa – ma sempre piatti; anche questo modello è tratto dalla colonna di Traiano. La fig. 5c mostra una tipica decorazione del 300 d.C., la forma comincia ad allargarsi e la struttura ad essere meno piatta. Dopo gli scudi passiamo a parlare degli elmi; la prima illustrazione ci mostra tre esemplari in uso fino al III sec. a.C.: nella fig. 1d vediamo un elmo del cosiddetto stile “Etrusco-Corinzio”, variazione del classico elmo ellenico destinato ad essere indossato alla sommità del capo, con o senza paragnatidi. Anche il secondo (fig. 2d) è di derivazione attica, e rimase in uso presso gli ufficiali fino al I sec. d.C., mentre nella fig.3d troviamo rappresentato il classico modello “Montefortino”, mutuato dai Celti dopo le invasioni del III sec a.C., con l’aggiunta di paragnatidi e cresta. Una certa somiglianza col tipo Montefortino è riscontrabile nell’elmo 1e. Questo modello, realizzato in bronzo in Gallia per equipaggiare le truppe lì stanziate, si distingue dal precedente per la presenza di una protezione della nuca larga e piatta e per il differente stile delle paragnatidi. Questo tipo di elmo fu utilizzato tra il 50 a.C. e il 100d.C. circa; era possibile assicurarseli addosso grazie ad una cinghia che partiva da dietro, passava sotto le orecchie, lungo le paragnatidi e veniva annodata sotto il mento. La cresta in crine di cavallo e le piume venivano utilizzate solo per le cerimonie o in battaglia. La fig.2e ci mostra un primo modello dell’elmo in ferro denominato “ ImperialeGallico”, apparso circa nel 15 a.C. . La sua struttura robusta e le modanature frontali che richiamano una sorta di sopracciglia rendevano questo elmo particolarmente resistente ai fendenti. La fig.3 ce ne mostra un’evoluzione, sempre in ferro, databile alla seconda metà del I sec. d.C.; la protezione della nuca è stata ampliata, sono state poste delle protezioni per le orecchie creando una fascia in bronzo che passa anche sopra la fronte e le paragnatidi sono piegate all’infuori nella parte posteriore per deviare i colpi. I fanti ausiliari non erano pagati né considerati alla stregua dei legionari, ed il loro equipaggiamento rispecchiava questa situazione. La figura 1f ci mostra un modello di elmo usato dalle truppe ausiliarie dalla seconda metà del I sec. d.C.; in effetti è una copia in bronzo, ma semplificata, di quello usato dai legionari, così come il 2f, posteriore di qualche decina d’anni. Il 3f, sempre risalente a circa il I sec. d.C. era in uso presso le unità di arcieri orientali; fatto di segmenti di bronzo, ferro o piastre in osso in una struttura metallica, l’influsso romano si nota dalla fascia a protezione della fronte e delle orecchie e dai paraguance. Relativamente semplice da fabbricare, questo modello ebbe una buona diffusione. Con il 4f passiamo al IV sec. D.C., in Egitto: il numero dei segmenti si è ridotto ed è stato aggiunto il paranaso; cominciamo a vedere un elmo che somiglia a quelli medievali. La cavalleria romana della repubblica, essendo scelta tra le classi più agiate prediligeva elmi di stile attico piuttosto che il modello “Montefortino” largamente diffuso tra il resto dell’esercito, mentre le truppe montate ausiliarie di Cesare solitamente utilizzavano gli elmi della propria tradizione militare. Sotto l’impero, la cavalleria comincia ad adottare elmi piuttosto elaborati; 1g ce ne mostra uno del 40 d.C. in ferro laminato in bronzo lavorato a rilievo ad imitazione della capigliatura. A differenza di quelli destinati alla fanteria, gli elmi della cavalleria coprivano anche le orecchie, anche se conservavano i profili di protezione. Probabilmente apparteneva ad un ufficiale, il 2g (75 d.C.), un elmo crestato, in ferro con rinforzi e decorazioni in bronzo. Segue poi (3g) un elmo in bronzo databile a circa il 120d.C., con visiera e rinforzo apicale cruciforme, indubbiamente dall’aspetto molto solido. Molto elaborato l’elmo 4g (200 d.C.), sempre in bronzo e ferro, con il pomo bucato, così da ospitare delle piume cadenti. Particolare il 5g, probabilmente in ferro o bronzo (ca. 250 d.C.); invece delle solite paragnatidi incernierate, le protezioni laterali e del mento sono un unico pezzo legato al resto dell’elmo con una cinghia, quasi un precursore dei nostri caschi integrali. Concludiamo con il 6g, un elmo in ferro del 350 d.C. fabbricato in due metà unite con una cresta centrale, che denota una forte influenza mediorientale. A conclusione di questo lungo, ma certo non esaustivo, excursus tra gli equipaggiamenti del soldato romano nel corso dei secoli parliamo ovviamente della spada, l’arma per eccellenza nel mondo antico. Le informazioni sulle spade del periodo repubblicano sono piuttosto limitate; sicuramente, come per moltissime altre cose, Roma nei suoi primi secoli ha mutuato dalle popolazioni con le quali veniva in contatto anche le armi. Nella figura H vediamo un assortimento di spade usate di taglio di derivazione etrusca (da 1 a 4), con lama più o meno curva (falcata), mentre la 5h ci mostra una spada italica da usare principalmente per affondi e la 6h una spada valida in entrambi i casi, che si avvicina al gladius hispaniensis. Per quanto riguarda le armi da fianco dell’esercito imperiale, le notizie in nostro possesso sono maggiori; All’inizio del I sec. d.C., il tipo più diffuso di spada era il cosiddetto modello “Mainz”, dotato di una lama leggermente affusolata e di una punta allungata (1L). La lunghezza della lama, negli esemplari pervenutici è di circa 50 cm con larghezze di circa 65mm nella parte superiore e di 55mm ca immediatamente prima della punta (misure medie). L’impugnatura era in osso, con un pomo, solitamente in legno che contribuiva anche a bilanciare l’arma, particolarmente adatta a trafiggere. Nel tardo I sec. d.C. acquistò popolarità un’altra spada, detta “Pompei”, con lama dritta e punta più corta (2L), lunga mediamente 45 cm e larga 42 mm. Ancora meglio bilanciata della “Mainz”, questa spada era adatta ad infliggere sia ferita da taglio che ferite da affondo. Dopo circa un secolo apparve un altro modello di spada, comunque simile alla precedente, più rifinita e con la parte che entrava nel manico si estendeva a formare un anello di metallo che sostituiva il pomo. Il gladius, di qualunque modello, era sempre portato sul fianco destro, tranne i centurioni e gli ufficiali, che lo portavano a sinistra. Sebbene possa risultare strano, diverse prove e ricostruzioni hanno provato che queste spade potevano essere estratte più facilmente se portate a destra, inoltre ciò impediva che si impigliassero nello scudo. Le analisi di alcune lame ritrovate hanno messo in luce l’elevata qualità dei materiali, ossia ferro con una bassa percentuale di carbone e acciaio carburato. Le lame migliori venivano raffreddate per indurire il metallo e poi temprate. Il pugnale militare (pugio), la cui lama variava da 25 a 35 cm di lunghezza, era un’importante arma di riserva per i legionari, il cui fodero, spesso riccamente decorato, aggiungeva splendore alla cintura del soldato. Veniva portato sempre sul fianco opposto a quello della spada. Spero che questo mio lavoro vi possa essere di una qualche utilità nella vostra attività di figurinisti, o che almeno abbia soddisfatto qualche curiosità. Concludo elencando i testi da me consultati: - A. Goldsworthy : Storia completa dell’esercito romano Ed.Logos - G.Brizzi: Il guerriero, l’oplita, il legionario Ed. Il Mulino - J.Warry: Warfare in the classical world Ed. Greenwich da quest’ultimo ho tratto anche le illustrazioni