ROMA DA MONARCHIA A REPUBBLICA MONARCHIA Al di là delle leggende di Romolo e Remo e di Enea, Roma storicamente nacque da insediamenti preesistenti. Si sono trovati sul Palatino resti databili al secolo X e IX a.C., e la ceramica greca rivela commerci e sviluppo economico. La zona del Lazio era favorevole a causa del Tevere: questo permetteva infatti di trasportare agevolmente il sale delle vicine saline. Roma, la cui fondazione si fa risalire al 753 a.C., nacque PER SINECISMO dall’unione di sette colli (Quirinale, Viminale, Capitolino, Esquilino, Palatino, Celio, Aventino) per esigenze difensive contro gli Etruschi. Nei primi insediamenti confluirono Latini e Sabini, che erano retti da un rex, che svolgeva funzioni sacerdotali (leggere gli auspici), era giudice e deteneva l’imperium, cioè il potere politico in tempo di pace e il comando dell’esercito in tempo di guerra. Il rex era elettivo – solo i Tarquini adottarono la successione ereditaria – ed era coadiuvato da un consiglio di cento senatori riuniti nel senato. I senatori a loro volta erano aristocratici provenienti dalle gentes, stirpi costituite da famiglie che vantavano la discendenza da un antenato comune e portavano lo stesso nome. I membri delle gentes, che furono successivamente chiamati patrizi, formavano le trenta curie (cum+vir=co-viria= curia), le più antiche forme di organizzazione militare e politica di Roma, raggruppate in tre tribù di 10 curie ciascuna (Tities, Ramnes, Luceres, si dice istituite da Romolo). Le curie fornivano fanti e cavalieri per l’esercito, approvavano la nomina del re e le sue decisioni più rilevanti. Le loro assemblee erano i comizi curiati. A Roma la parte più consistente della popolazione di origine libera era rappresentata dai plebei (dal greco plethos, “moltitudine”), artigiani, piccoli e medi contadini, persone comunque che non potevano armarsi a proprie spese e non erano parte dell’esercito. I plebei non avevano terre proprie e erano considerati subalterni. Poterono sposare un/una patrizio/a solo con la lex Canuleia del 445 a.C. I clienti erano una terza categoria, quella di uomini liberi (stranieri oppure, in origine, contadini senza proprietà) che avevano ottenuto protezione da un patrizio, divenuto loro patrono, per il quale dovevano svolgere una serie di servizi in cambio. I rapporti tra clienti e patrizi erano basati sulla fides. L’economia della Roma più antica era agricola, come sappiamo da numerose parole latine (pecunia, laetus/laetamen, opera (è il lavoro, lo sforzo, l’”attività” di chi si impegna in qualcosa, mentre opus, al neutro, è la “realizzazione” di qualche cosa. “OP” è una radice che ha in sé l’idea dell’abbondanza e del raccolto, come vediamo nel nome della dea Ops, protettrice dei raccolti, e dal sostantivo opes, che esprime abbondanza di mezzi, ricchezza. Copia (cum + ops) è quindi il necessario per la vita agiata, l’abbondanza, mentre la povertà, al contrario, è l’in-opia. L’ultimo re sarebbe stato cacciato nel 509 a.C.. Questa è la prima data storicamente accertata della storia romana, che segna la fine della monarchia e l’inizio della repubblica. Nel periodo monarchico, tra il 753 e il 509, la tradizione ricorda sette re: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio – Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. E’ chiaro che in questo caso i dati relativi alla leggenda non sono confortati dalla verisimiglianza storica. REPUBBLICA Finito il periodo monarchico, nel 509 a.C. si instaura la repubblica. Le novità istituzionali sono numerose. In particolar modo, l’imperium del rex venne diviso tra due consoli, che duravano in carica un anno. I consoli detenevano ogni potere che esercitavano senza rendere conto dei propri atti agli elettori. Le sole funzioni non di loro competenza erano quelle religiose. Solo in caso di grave pericolo l’imperium veniva conferito ad una persona sola, il dittatore, che restava in carica non più di sei mesi. Il Senato continuò nelle sue funzioni di coadiutore dei consoli nelle decisioni più importanti, ma fu integrato dai rappresentanti di nuovi gruppi familiari in ascesa, detti conscripti (“iscritti” nelle liste dei senatori) e dai magistrati usciti di carica. Il senatore rimaneva in carica a vita, e l’organo rappresentativo di cui era parte costituì quindi sempre lo zoccolo duro dell’aristocrazia ed il vero arbitro della storia e delle vicende romane. I comizi curiati furono progressivamente sostituiti da altre due assemblee, i comizi centuriati e i comizi tributi. I comizi centuriati, che la tradizione attribuisce a Servio Tullio, avevano le stesse prerogative dei precedenti comizi curiati, ovvero fornivano fanti e cavalieri per l’esercito, eleggevano i consoli e ne approvavano le proposte di legge, ma vi si partecipava non in base all’appartenenza ad una gens, bensì in base ad un criterio censitario basato sulla ricchezza terriera. La popolazione maschile adulta fu divisa in 5 classi in base al censo, e partecipava ai comizi centuriati raggruppata in 193 gruppi detti centurie, allo stesso tempo unità di voto e contingenti militari. A Roma i diritti politici andavano quindi di pari passo con il servizio militare: solo chi poteva avere i mezzi per espletarlo aveva i diritti politici. La prima classe era costituita dai grandi proprietari, prevalentemente patrizi, e formava 98 delle 193 centurie, cioè disponeva della maggioranza dei voti e forniva la base dell’esercito. Le altre quattro classi fornivano la fanteria pesante e leggera. I nullatenenti erano i cosiddetti proletari e non combattevano, ma svolgevano attività ausiliarie di sostegno. I comizi tributi si basavano su una suddivisione della città, nel frattempo ingranditasi, in tribù, o distretti territoriali. L’iscrizione ad una tribù avveniva in base al domicilio e forniva la cittadinanza romana, la quale quindi non dipendeva più dall’appartenenza ad una gens. I comizi, propriamente le assemblee delle tribù riunite, si limitavano ad eleggere i magistrati minori. Ai consoli si affiancarono nel tempo altre magistrature. Dopo il 450 a.C. si erano ormai venute a costituire, in ordine di importanza crescente, la questura (amministrazione del denaro pubblico, incasso dei tributi e pagamento stipendi), l’edilità (spettacoli, manutenzione di strade ed edifici, mantenimento dell’ordine pubblico), la pretura (giurisdizione civile, emanazione di regole nuove), la censura, ricoperta da due magistrati nominati ogni cinque anni (censimento e aggiornamento delle liste dei cittadini e dei loro patrimoni) I PLEBEI – LE PRIME GUERRE DI ROMA Già nel V secolo, i plebei cominciarono a rivendicare i propri diritti politici. Grazie al senatore Menenio Agrippa, ottennero di nominare ogni anno due magistrati che ponessero il veto a qualsiasi decisione ritenessero lesiva per la plebe: i tribuni della plebe. Nel 445 a.C., i tribuni ottennero l’abolizione della legge che vietava il matrimonio tra patrizi e plebei. Nel 396 a.C. i Romani, comandati da Furio Camillo, conquistano Veio, città etrusca cui contendevano il controllo del Tevere. Intorno al 400 a.c. i Celti avevano cominciato a scendere in Italia alla ricerca di nuovi territori coltivabili. Una volta nella pianura padana, distrussero la città etrusca di Melpo e vi fondarono la loro capitale, Milano (Midland, Mediolanum). A sud del Po, si impadronirono della città etrusca di Felsina, che diventa Bologna. Torino nasce dalla tribù dei Taurini. Un gruppo di Galli Senoni, guidati dal loro capo Brenno, invase l’Etruria spingendosi sino nel Lazio. Arrivò anche a Roma, ma dopo averla saccheggiata si ritirò in cambio di un riscatto. Nel IV secolo Roma diventa sempre più potente culturalmente e politicamente. Si fondano colonie, le lotte tra patrizi e plebei si placano: nel 367 i tribuni Licinio e Sestio (leges Liciniae-Sextiae) ottengono che i plebei possano diventare consoli. Sorgono rivalità tra Latini e Romani: progressivamente, i Latini vengono progressivamente ridotti a cittadini senza diritto di voto: la loro politica estera era condizionata da Roma. Tra la metà del IV e l’inizio del III secolo, Roma si scontra con i Sanniti, popolazione stanziata approssimativamente in corrispondenza dell’odierna Basilicata. Gli scontri durarono per qualche decennio, ed iniziano nel 343 a.C. , in seguito alla richiesta di aiuto da parte di Capua assediata ai Romani. Nel 321, Roma subisce l’onta delle Forche Caudine. Solo nel 290 a.C. Roma riesce finalmente a sconfiggere definitivamente i Sanniti, grazie al console Manlio Curio Dentato. Dopo la sottomissione di tutto il territorio italico, Roma doveva conquistare solo Taranto, colonia di Sparta. Roma trovò il pretesto per l’attacco in un presunto sconfinamento di navi. Taranto sapeva di essere militarmente inferiore, per cui chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro e sufficientemente ambizioso da considerarsi degno successore di Alessandro Magno. Pirro non era riuscito a farsi riconoscere re di Macedonia, quindi ripiegò sull’Italia per crearvi un regno, un “regno greco d’Occidente”. Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con un esercito di 30.000 soldati e qualche elefante, elemento ormai tipico degli eserciti ellenistici. Lo scontro avvenne in Campania, ad Eraclea, ma i Romani vennero sbaragliati dagli elefanti. Questa vittoria viene ricordata coma la “vittoria di Pirro” (detto proverbiale), perché era costata al re epirota molte perdite. Comunque, Pirro collezionò sui Romani una nuova vittoria, prima di accorrere in aiuto delle città siciliane contro Cartagine. Dopo i primi successi, i Siciliani cominciarono a temere l’ambizione di Pirro e lo cacciarono. Costretto a tornare in Italia, il re si scontrò di nuovo con Roma a Malevento, e venne sconfitto (275 a.C.). La città campana da questo momento si chiamò Benevento. Pirro tornò in Grecia e morì in battaglia ad Argo. La città di Taranto, da cui avevano preso inizio gli scontri, si arrese ai Romani nel 272 a.C. LE GUERRE PUNICHE Sulle coste dell’attuale Tunisia si trova Cartagine, città fenicia che controllava la parte occidentale della Sicilia, le Baleari, la Sardegna, la Corsica. Da tempo (VI secolo a.C.) i Cartaginesi, alleatisi in particolare con le città etrusche, cercavano di frenare l’avanzata greca in Sicilia, verso il Tirreno e l’isola d’Elba. Cartagine intendeva così mantenere il monopolio del commercio dei metalli pregiati, di cui Sardegna, Spagna e Toscana erano ricche. Cartagine è una città guidata da un’oligarchia di mercanti e grandi proprietari terrieri. Possiede inoltre la più potente flotta militare del Mediterraneo. I° guerra punica (264-241) Roma si è espansa propagandosi per così dire a macchia d’olio, prima verso sud (popolazioni del Lazio, Sanniti, Magna Grecia), poi verso Occidente quindi verso Oriente, per finire con L’Egitto. Aver conquistato la Magna Grecia porta Roma a diretto contatto con il Mediterraneo e con le zone di influenza di Cartagine. Roma aveva già da tempo compreso l’entità della potenza di Cartagine, e con essa aveva stipulato ben tre trattati di alleanza. Una volta conquistata la Magna Grecia, però, anche Roma aspira al controllo dello stretto di Messina togliendolo a Cartagine, quindi la Sicilia finisce per trovarsi al centro di interessi contrapposti. Lo scontro è inevitabile e il pretesto è dato dall’occupazione di Messina da parte di un gruppo di mercenari campani detti Mamertini. Sconfitti da Siracusa, chiedono aiuto a Cartagine, poi a Roma. Il Senato decide per l’intervento armato, che ha inizio nel 264 e termina nel 241 con la resa di Cartagine. Le battaglie si svolsero soprattutto sul mare con flotte di quinqueremi, navi a vela quadrata a cinque file di rematori. Per la costruzione della sua flotta, Roma aveva fatto ricorso all’esperienza dei Greci dell’Italia meridionale. A differenza dei Cartaginesi, abituati alle battaglie navali, Roma considerava le navi solo un mezzo di trasporto. Per sfruttare l’abilità dei soldati romani di combattere corpo a copro, le navi romane furono perciò dotate di ponti mobili detti corvi, atti ad arpionare le navi nemiche ed a creare una sorta di ponte per un combattimento simile a quello terrestre. Cartagine, sconfitta, dovette pagare una consistente indennità di guerra (80 tonnellate di argento circa) e dovette inoltre abbandonare la Sicilia, che diventò così la prima provincia romana. CAUSE DELLA III GUERRA PUNICA Annibale: devasta e saccheggia le campagne, depreda città e villaggi, fa molte vittime, i campi restano senza contadini Dopoguerra: Roma si vendica sulle popolazioni che hanno sostenuto Annibale: confisca di agro pubblico Agro pubblico: assegnato a singoli o dedicato alla fondazione di colonie MA Impegni militari ulteriori richiedono molti uomini, di nuovo allontanati dal lavoro dei campi. Le terre erano divise in lotti di piccole dimensioni, perché altrimenti si sarebbero collocati troppi cittadini nella prima delle 5 classi e si sarebbe alterato l’equilibrio politico La popolazione contadina si impoverisce anche perché il grano è importato ora dalle province (Sicilia), e i prezzi crollano per l’aumento dell’offerta. Soluzione: convertire la produzione in produzione di vite e olivo, ma questo potevano farlo solo i ricchi. I senatori, i cavalieri o i nobili italici si accaparravano comunque l’agro pubblico ignorando le leggi e abusivamente, proteggendosi a vicenda, oltre a ricevere i terreni dei contadini poveri che dovevano cederli. I contadini non hanno più lavoro perché nel frattempo era arrivato un gran numero di schiavi, quindi vanno in città a vivere di espedienti. anche qui ci sono gli schiavi, quindi i contadini restano nullatenenti I nullatenenti non possono essere arruolati, quindi le fila dell’esercito si disgregano. RISULTATO: Inquietudine e sfaldamento del sistema sociale. Le ansie si tradussero in decisioni molto gravi di politica estera, tra cui la III guerra punica e la distruzione di Corinto nel 146 (a seguito di una rivolta scoppiata prima in Macedonia poi in Grecia) RIFORMA AGRARIA CAIO MARIO Dal 133 al 122 a.C. due fratelli romani divenuti tribuni della plebe, Tiberio e Caio Gracco, avevano cercato uno dopo l’altro di risolvere il problema dell’ineguale distribuzione delle terre con alcune riforme agrarie, osteggiate dalla nobilitas. Dopo la morte per omicidio o suicidio dei due fratelli, la nobilitas comincia ad evidenziare al suo interno due tendenze opposte, la prima incarnata dagli optimates, la seconda dai populares. Gli optimates sono gli “uomini eccellenti”, quei nobili cioè che ispiravano la loro azione politica ad un preteso rispetto della tradizione degli avi. Si chiamavano anche boni, ovvero coloro che pensano bene e sono ispirati da sani principi. In concreto erano favorevoli al rafforzamento del senato e ostili alle rivendicazioni delle masse popolari e a qualsiasi cambiamento potesse ridimensionare i loro privilegi politici ed economici. I populares sono invece quei nobili che si facevano interpreti delle esigenze delle masse popolari e auspicavano il cambiamento e le riforme politiche e sociali; erano gli amici del popolo”. Favorevoli al ridimensionamento dei poteri del senato, propugnavano la necessità di attenuare lo squilibrio tra ricchi e poveri e di redistribuire la ricchezza mediante nuove leggi agrarie. In questo contesto sociale, la politica estera vede un usurpatore, Giugurta, impadronirsi del regno africano di Numidia, tradizionale alleato dei romani in funzione anticartaginese. Giugurta conduceva una politica ostile alla presenza degli affaristi e dei commercianti romani. In un’occasione, durante la lotta contro il suo rivale al trono, Giugurta fece uccidere i Romani e gli Italici che svolgevano in Africa le loro attività, in particolare nella città di Cirta. Il senato si mostrò restio a punire questa offesa al popolo e questo colpo agli interessi romani in Africa, anche a causa della pressione da nord dei Cimbri e dei Teutoni sull’Italia, che pareva più pericolosa. Diversamente la pensava l’ordine equestre, secondo cui questo atteggiamento rinunciatario comprometteva i suoi interessi e le sue attività economiche in tutto il Mediterraneo. I cavalieri mobilitarono l’opinione popolare, e il senato fu infine costretto a cedere. Di fronte alle operazioni belliche che procedevano stancamente, il popolo sollecitò l’elezione a console di Gaio Mario (107 a.C.), affidandogli il comando della guerra giugurtina. Gaio Mario era un homo novus, ovvero un plebeo asceso alla massima carica della Repubblica senza essere nobile. Di queste sue origini modeste Mario si vantava, e soleva ripetere Io non ho immagini da mostrare: le mie immagini sono quelle che porto qui sul petto. Con questo egli intendeva dimostrare che il proprio prestigio non dipendeva dalle imagines dei parenti, ma dal valore personale, dimostrato sui campi di battaglia. Le sue immagini erano piuttosto le cicatrici che i nemici di Roma gli avevano inferto sul torace. Energico, coraggioso e fiero, Gaio Mario suscitò per molti anni l’entusiasmo del popolo, che vide in lui l’unico personaggio in grado di contrastare l’arroganza degli optimates. Prima di partire per l’Africa, Mario procedette all’arruolamento delle sue legioni secondo nuovi criteri. Da tempo l’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri rendeva sempre più difficile la conservazione dell’antico principio secondo cui potevano essere reclutati soltanto i cittadini che avevano un minimo di reddito. Mario risolse il problema arruolando unicamente i volontari, senza considerazione per il reddito. Risposero al suo appello soprattutto i cittadini iscritti nelle ultime classi dell’ordinamento censitario e i nullatenenti: tutti individui che non vedevano nessun’altra via per uscire dalla miseria e che speravano di migliorare le loro condizioni con il bottino e forse con assegnazioni di terra al termine della campagna militare. Nasceva così un nuovo tipo di soldato, che da allora in poi avrebbe condizionato tutta la vita politica di Roma: un soldato che non combatteva per adempiere al proprio dovere di cittadino, ma per sottrarsi alla miseria. Questo soldato sapeva bene che il suo avvenire dipendeva dalla capacità e dal successo del suo generale: egli era dunque più legato alla causa del singolo comandante che a quella della repubblica romana. SILLA 88 a.C. – 78 a.C. Nel 105 a.C. si conclude la guerra contro Giugurta con la completa vittoria di Roma e l’uccisione in carcere a Roma stessa del re numida. Successivamente, Mario rovinò la gloria che si era acquisito con una serie di errori tattici e politici che compromisero le sorti dei populares. Nell’88 a.C. il re del Ponto Mitridate (il Ponto era un regno situato nella parte nordorientale dell’Asia Minore lungo le rive del Mar Nero) mise in atto un piano che prevedeva lo scatenamento di una grande rivolta dei territori asiatici e greci sottomessi al dominio romano. Il culmine fu l’uccisione di tutti i cittadini romani ed italici presenti nella provincia d’Asia, in gran parte pubblicani (in un solo giorno circa 80.000). questo dimostrò quanto profondo fosse il solco che separava gli italici ed i romani dai provinciali. Il Senato affidò il comando della guerra contro Mitridate a Lucio Cornelio Silla, uno dei consoli dell’88 a.C., che era stato questore nella guerra contro Giugurta e aveva catturato il re usurpatore. L’assemblea della plebe però, istigata da Mario, decise di assegnare allo stesso Mario il comando della spedizione imminente. Era un atto illegale, ma Silla reagì con un ulteriore atto illecito conducendo i suoi soldati contro Roma e scatenandoli contro i suoi avversari politici. Il console sapeva di poter contare su un esercito fedele, che conosceva bene le sue capacità militari e la sue generosità nella spartizione del bottino e che quindi era disposto alla cieca obbedienza. L’atto di Silla fu particolarmente grave, perché per un’antica consuetudine gli eserciti potevano entrare in armi in città solo il giorno del trionfo. A Roma si sparse il terrore. Molti populares furono condannati a morte ed altri fuggirono, tra cui Mario. Con questa azione Silla rivelò una verità molto semplice, che poi sarebbe divenuta una regola: la repubblica era nelle mani di un qualsiasi generale che potesse contare su truppe fedeli e pronte a tutto pur di ottenere dal loro capo ricompense e vantaggi materiali. Silla sconfisse successivamente Mitridate, mentre Roma piombava nel caos perché dilaniata dallo scontro tra le fazioni degli optimates e dei populares. Questi ultimi prevalgono, al comando di Mario nel frattempo ritornato alla carica. Morto Mario nell’86 a.C., Silla rientrò in Italia nell’83 e si apprestò ad una guerra civile che vinse, divenendo il padrone assoluto di Roma. Rafforzò, una volta al potere, il predominio dell’oligarchia. Nell’82 a.C. assunse a tempo indeterminato la carica di dittatore, per l’ultima volta concessa durante la seconda guerra punica. La carica di Silla, oltre che per la durata, si differenziava dalla dittatura ufficiale perché l’uomo politico si attribuì il potere di legiferare. Era dunque un re in tutto tranne che nel nome. L’opposizione fu messa a tacere con una politica di annientamento che faceva uso delle tavole di proscrizione (elenchi ufficiali dei nomi dei nemici politici di Silla; chi ne uccideva uno, veniva ricompensato ed aveva la garanzia dell’impunità). Caddero varie migliaia di cittadini in tutt’Italia. Le terre dei sostenitori di Mario furono requisite e concesse ai veterani di Silla. Il numero dei senatori fu portato da 300 a 600, e vennero ammessi al Senato personaggi, anche semplici soldati o ufficiali, che si erano dimostrati fedeli a Silla. Il potere dei tribuni della plebe vennero drasticamente ridimnensionati. Consolidato il potere degli optimates, Silla si ritirò in una sua tenuta in Campania, dove morì nel 78 a.C. DALLA CONGIURA DI CATILINA ALLA DICHIARAZIONE DELLA GUERRA CIVILE 79 a.C. - 49 a.C. Ritiratosi Silla nel 79 a.C., gli aristocratici pensano solo a difendere i propri interessi e non sono capaci di guardare al di là dei confini nazionali. Ci vuole quindi un capo militare carismatico ed affidabile che porti l’esercito a sostenere il senato: POMPEO, già distintosi nella composizione dei disordini nel territorio italico. Pompeo aspira al consolato, e per ottenerlo si allea con Crasso, ex luogotenente di Silla che era divenuto l’uomo più ricco di Roma grazie alle proscrizioni. Ovviamente ha anche bisogno dell’appoggio dei populares per evitare guerre civili. Promette per questo una riforma democratica della costituzione sillana. Nel 70 a.C. Pompeo e Crasso diventano consoli, forzando il Senato. Pompeo fa riforme favorevoli ai populares, semplicemente perché aveva capito che la corruzione aveva raggiunto un livello inaccettabile, come confermava lo scandalo di Verre in Sicilia (il processo a Verre è del 70 a.C.) Pompeo riesce a raggiungere poteri eccezionali, grazie anche alla risoluzione del problema dei pirati presenti nel Mediterraneo e alla sconfitta definitiva di Mitridate re del Ponto. A Roma, intanto, continua lo scontro tra populares e optimates. Dalla parte dei populares si schierano Gaio Giulio CESARE, Lucio Licinio CRASSO E Lucio Sergio CATILINA. Catilina e Cesare provenivano dalla classe nobiliare Dalla parte degli optimates sono invece Marco Tullio CICERONE e Marco Porcio CATONE. CONGIURA DI CATILINA Catilina militava nelle file dei populares, ed era di origine nobile. Aveva governato la provincia d’Africa, ma il suo comportamento gli aveva fruttato un’accusa di concussione dalla quale però era stato assolto. Catilina cercava a tutti i costi di farsi eleggere console, ma era stato sconfitto due volte, nel 64 e nel 63 a.C., nonostante la sua promessa di cancellare i debiti. Al suo posto aveva ottenuto la magistratura del 64 a.C. Cicerone. Non riuscendo a raggiungere legalmente la carica cui aspirava e perso l’appoggio di Cesare e di Crasso, Catilina pensò ad un’insurrezione armata: intendeva così togliere di mezzo Cicerone e occupare la città con un esercito proveniente dall’Etruria. Cicerone sventò la congiura di Catilina svelandone l’esistenza in senato con l’orazione prima Catilinaria. Catilina fuggì da Roma, ma i suoi alleati presero lo stesso le armi. Scoperti, furono condannati a morte senza diritto di appello, mentre nel 62 a.C. altri congiurati e Catilina stesso furono sconfitti e per lo più uccisi nella battaglia di Pistoia. IL PRIMO TRIUMVIRATO nel 60 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso si unirono in un’alleanza personale detta primo triumvirato (a Lucca): Pompeo doveva appoggiare Cesare per il consolato, Cesare doveva sostenere Pompeo, Crasso doveva promuovere la distribuzione di terre ai veterani di Pompeo. Tutto questo avvenne come pattuito, e il Senato si trovò costretto suo malgrado a subire. Cesare infatti venne eletto console nel 59 a.C. e promosse iniziative non ben viste dall’ala conservatrice del Senato: la distribuzione alla plebe di terreni fatti acquistare usando i fondi del bottino di guerra, senza espropriare terreni privati, l’aumento delle responsabilità fiscali dei governatori delle province, la pubblicazione dei verbali delle sedute delle assemblee e del Senato e l’abolizione della pratica di prendere gli auspicii prima delle assemblee. Con l’ultimo provvedimento si toglieva all’aristocrazia un’arma di cui si era sempre servita, il rinvio delle assemblee in cui si temevano provvedimenti sgraditi con la scusa che gli auspicii erano sfavorevoli Periodo 59 a.C. – 53 a.C. Durante il consolato Cesare si era assicurato il proconsolato della Gallia Cisalpina (Italia settentrionale) allo scopo di ottenere quello che ancora gli mancava: il prestigio di una guerra di conquista e la potenza di un esercito devoto, da riversare al momento opportuno nella lotta politica. Quando assunse la carica, quindi, egli non aveva alcuna intenzione di limitarsi ai compiti di un buon amministratore: guardava invece oltre i confini della provincia romana aspettando l’occasione per intervenire militarmente nella Gallia libera. Le popolazioni della Gallia non soggetta al dominio romano erano divise in tribù indipendenti (circa una cinquantina), talvolta unite in federazioni ma spesso separate da acerrime rivalità, che combattevano in modo piuttosto prevedibile, ripetendo sempre gli stessi schemi tattici (scontro frontale). Per questo la Gallia era uno scenario promettente di conquiste. Cesare intraprende nel 58 la guerra contro i Galli, terminata nel 52 con la sconfitta del capo gallo Vercingetorige ad Alesia. Il pretesto della guerra gli si offre quando gli Edui, alleati di Roma e stanziati ad occidente dell’Elvezia, chiedono aiuto ai Romani per liberarsi proprio dagli Elvezi che minacciano il loro territorio. La conquista della Gallia costerà un milione di morti e un milione di persone private della libertà di autodeterminazione. Prima di lasciare Roma e intraprendere la guerra gallica, Cesare si era assicurato di eliminare i suoi nemici Catone (spedito a Cipro, isola appena donata a Roma dall’Egitto) e Cicerone (esiliato nel 58). Per l’eliminazione di Cicerone, Cesare si era accordato con il tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro per far approvare un provvedimento che condannasse all’esilio chi avesse fatto giustiziare un cittadino romano senza concedere l’appello (ma proprio Cicerone aveva fatto giustiziare senza appello i congiurati di Catilina) Dopo la conquista della Gallia Cesare è così potente da non sopportare più gli ordini del Senato. Nel frattempo, per di più, Crasso è morto. Pompeo si mette contro Cesare perché preoccupato del suo potere. L’intenzione di Cesare, una volta terminata la guerra, è quella di candidarsi al consolato. Deve però rientrare in patria, perché il Senato aveva stabilito che i candidati alle magistrature dovessero essere presenti in città, disarmati (la decisione del Senato è proprio presa in funzione anticesariana, per paura che l’uomo politico intendesse impadronirsi del potere con la forza). Se, come voleva la legge, Cesare fosse rientrato a Roma da privato cittadino, sarebbe stato però facile preda di Pompeo. Come quasi tutti gli uomini politici, si era macchiato di illegalità più o meno gravi, dal momento che era diventato impossibile, in quegli anni, esercitare il potere rispettando le antiche regole della repubblica romana. Sarebbe stato un gioco, perciò, trascinarlo in giudizio e farlo condannare. Cesare però non è così ingenuo da lasciarsi fermare da una trappola così banale: chiede in primo luogo che anche Pompeo sciolga il proprio esercito, istanza che viene respinta dal Senato, quindi proclama di voler difendere la sua dignità offesa e la libertà del popolo romano oppresso da un’oligarchia, quella rappresentata dal Senato che dichiarava invece di voler difendere la propria autorità. Nel 49, forte dei propri soldati, Cesare varca il Rubicone, fiume presso Rimini: chiunque varcasse con l’esercito questo fiume che delimitava il confine tra Gallia Cisalpina e Italia Centro-Meridionale era considerato nemico della patria. In questo modo dichiara automaticamente la guerra civile. LA GUERRA CIVILE Il passaggio del Rubicone colse impreparati i pompeiani, e l’esercito di Cesare era temibile perché molto legato al suo capo. Pompeo allora abbandonò l’Italia e si trasferì nell’Epiro, dove si organizzò sfruttando le alleanze che si era procurato nello scontro con Mitridate e con i pirati. Il senato si divise tra favorevoli a Cesare e a Pompeo. Cicerone era favorevole a Pompeo. Cesare attaccò i seguaci di Pompeo in Spagna (Pompeo era ancora proconsole in Spagna) e li sconfisse. Quindi si spostò in Grecia, in Tessaglia, e a Farsàlo nel 48 a.C.___________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ Pompeo allora si recò in ______________, dove _______________________________ Cesare ________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ e insediò sul trono la regina Cleopatra. Tra Cleopatra e Cesare nacque presto una relazione dalla quale nacque un figlio chiamato Cesare, che però dagli Alessandrini venne soprannominato con sarcasmo Cesarione. Di certo l’unione aveva anche risvolti politici:________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ Cesare rientrò alla fine a Roma, dove si trattenne il tempo utile per preparare l’offensiva finale contro i pompeiani che si erano riorganizzati nelle provincie d’Africa. Cesare li sconfisse a ________________ nel _________. A Munda, in Spagna, fece l’assalto definitivo contro un figlio di Pompeo. La dittatura di Cesare: Cesare ora era padrone di Roma, e come tale accelerò il processo di riunione di tutti i poteri nelle mani di una persona sola (ovviamente lui...) Pensava infatti che la repubblica fosse ormai una sorta di fantasma senza corpo, e che fosse necessario un regime di tipo monarchico. Per Cesare, il Senato ormai non era che un organo privo di autorità, composto da un’oligarchia miope che pensava solo ai propri consolidati privilegi. Fece quindi in modo di farsi concedere tutte le magistrature, e fece alcune importanti riforme: _________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ I poteri eccezionali di Cesare però allarmarono un po’ tutti, tradizionalisti ma anche seguaci preoccupati di un personalismo eccessivo. Ci fu quindi una congiura ordita da Marco Giunio BRUTO e da Gaio CASSIO, in seguito alla quale Cesare fu assassinato. La situazione era però esplosiva, in quanto ormai modificata nel profondo: __________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ I congiurati fallirono la loro impresa soprattutto per due motivi: ___________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ IL SECONDO TRIUMVIRATO E L’AFFERMAZIONE DI OTTAVIANO Dopo la morte di Cesare, Antonio si presentò come colui che garantiva ordine e riconciliazione. Cercò anche di procedere con una certa cautela, per non scontrarsi subito con gli optimates. Non aveva fatto i conti, però, con il figlio adottivo di Cesare e suo principale erede, Gaio Ottavio, che credeva troppo giovane (19 anni). Gaio Ottavio discendeva da una famiglia di cavalieri, imparentata con la gens Iulia da quando il nonno aveva sposato una sorella di Cesare. Questi lo adottò, e Ottavio prese il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Quando Cesare fu ucciso Ottaviano era in Macedonia. Alla notizia della morte si recò a Roma per reclamare la sua parte di eredità, ma Antonio lo trattò come minimo con disprezzo. Ottaviano quindi affrontò la situazione con grande abilità, tanto da sorprendere. Lasciò da parte ogni risentimento e agì con cautela, compiendo le seguenti azioni che accrebbero il suo prestigio: - Sfruttò abilmente il ricordo di Cesare per legare alla propria persona i veterani del condottiero scomparso, timorosi di non poter più ottenere ricompense in terreni; - Screditò presso i soldati ed il popolo di Roma la figura di Antonio, rimproverandogli un atteggiamento conciliante verso i cesaricidi; - Mantenne contatti con Cicerone, che non gli faceva mancare il proprio appoggio ritenendolo meno pericoloso di Antonio Nel 43 ci fu la battaglia di Modena: Antonio reclamava il comando della Cisalpina affidato ad uno dei congiurati, Decimo Bruto. Questo non voleva cederlo, giustamente, quindi Antonio prese le armi e assediò Modena. Il Senato inviò gli eserciti al comando di Ottaviano, il quale era accompagnato anche da truppe reclutate da lui, e ci fu lo scontro. Antonio perse, ma con poche perdite, il che gli permise di raggiungere la Gallia Transalpina e di allearsi con un altro ufficiale, Lepido. Ottaviano non inseguì Antonio, ma andò a Roma e si fece eleggere console per il 43 a.C. con la minaccia delle armi (si trattava di una sorta di colpo di stato). Comunque, finì che Ottaviano si alleò con Antonio e Lepido in un accordo che prese il nome di secondo triumvirato. L’accordo si era reso necessario anche perché i tre uomini politici avevano reclutato gran parte dei loro eserciti tra soldati che avevano già militato con Cesare, e che di conseguenza avrebbero preso malvolentieri le armi gli uni contro gli altri. Tra il primo ed il secondo triumvirato c’è però una differenza sostanziale: l’accordo tra Cesare, Pompeo e Crasso era stato di natura privata, l’accordo tra Antonio, Ottaviano e Lepido divenne una vera e propria magistratura di durata quinquennale, approvata da una legge I disordini ormai abituali in città furono repressi mandando a morte centinaia di senatori e migliaia di cavalieri, tra cui Cicerone perché aveva pronunciato alcune orazioni contro Antonio, additato come il più pericoloso nemico della Repubblica e avventuriero privo di scrupoli. Restava da togliere di mezzo i cesaricidi, Bruto e Cassio, che ancora cercavano di giungere al potere e avevano reclutato degli eserciti. Gli scontri finali tra i triumviri e Bruto e Cassio avvennero a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. I triumviri vincono e sia Cassio che, subito dopo, Bruto si suicidano. Cosa succede ai triumviri, ora padroni del campo? Lepido viene emarginato subito perché ben poco autorevole, Antonio si attribuisce il comando dell’Oriente, Ottaviano dell’Occidente. Si prepara uno scontro diretto tra i due per il controllo totale, culminato con la battaglia di Azio (31 a.C.) e la vittoria di Ottaviano, da adesso padrone assoluto di Roma. L’Impero sta per avere inizio. Le vicende dell’impero romano Augusto attuò delle riforma di tipo amministrativo e istituì delle cariche che furono divise tra l’ordine senatorio e l’ordine equestre, per armonizzare i rapporti tra le due classi. Cariche equestri: prefettura d’Egitto (carica di governatore della regione) prefettura del pretorio (carica relativa al comando dei pretoriani, ovvero le guardie del corpo dell’imperatore) prefettura dell’annona (carica che amministra l’approvvigionamento della città di Roma) prefettura dei vigili (comanda le squadre antincendio) prefettura della flotta (comanda le due flotte permanenti stanziate a Ravenna e a Miseno) I senatori, invece, erano destinatari della prefettura urbana che si occupava dell’ordine pubblico. Le provincie furono divise in senatorie (governate da senatori) e imperiali (governate da senatori, ma in rappresentanza dell’imperatore) Questa divisione fa capire che Augusto prediligeva la classe equestre, perché la riteneva più fidata. In effetti, la prefettura del pretorio, da cui dipendeva direttamente la vita dell’imperatore, era appannaggio di un cavaliere. In politica estera Augusto perseguì una politica di pacificazione, di cui c’era estremo bisogno dopo un periodo di aspre guerre civili. Pace per l’impero romano significava controllo stabile dei confini. Ci sono poi situazioni da stabilizzare: In Spagna c’erano ancora sacche di resistenza dopo due secoli dalla conquista, che vengono contrastate sinché la Spagna nel 19 a.C. viene definitivamente sottomessa. Il confine alpino era segnato ancora dalla presenza di tribù non sottomesse. Augusto procede al campagne militari contro la Valle D’Aosta che sconfiggono del tutto la tribù dei Salassi e assicurano il possesso dei valichi e dei territori metalliferi. Nell’Europa centrale ci sono i Germani che rendono insicuro il confine del Reno. Augusto intraprende la conquista della Germania e affida le operazioni militari al figliastro Druso, che hanno successo e portano i confini dell’Impero sino all’Elba, pur non consolidandoli: nel 9 a.C. il germano Arminio organizza una ribellione, inoltre nella foresta di Teutoburgo 3 legioni romane sono distrutte. I confini arretrano prudentemente al Reno e al Danubio. Con i Parti, Augusto preferisce la soluzione diplomatica, in quanto erano troppo organizzati. Ci furono trattative che favorirono un clima disteso tra i due imperi. Tiberio figliastro di Augusto, regna dal 14 d.C. Dinastia giulio-claudia. Il principato non era legittimo: formalmente, Roma era ancora una repubblica. Problemi sotto Tiberio (14-37 d.C.): il ricordo delle guerre civili e dei loro orrori si allontanava, e l’aristocrazia, che mal sopportava di essere sotto ad un sovrano, tendeva a manifestare le proprie velleità repubblicane. Tiberio abbandona l’atteggiamento legalitario e reagisce all’opposizione con durezza. Meriti di Tiberio: fu un amministratore attento e parsimonioso: limitò le spese per le distribuzioni gratuite di viveri, per le feste e per le opere pubbliche non necessarie. Investì nelle campagne (prestiti statali ai piccoli proprietari in crisi. collegamento con la crisi agricola oggi nel III mondo) e difese le province dagli sfruttatori con leggi anticoncussione. Politica estera: nel 14 e nel 16 d.C. conduce campagne contro i Germani che premevano ai confini dell’impero, condotte dal nipote Germanico. In Oriente consolida la dominazione romana. Caligola (37-41). Eletto con l’appoggio dei pretoriani. Nessuna politica particolare e significativa. Importante per notare che il regime instaurato da Augusto lasciava ampio spazio ad involuzioni dispotiche. Introdusse il cerimoniale della proskynesis. Fu assassinato. Claudio (41-54): fu eletto dai pretoriani (istituiti da Augusto nel 27 a.C. come milizia scelta e guardia del corpo dell’imperatore). Si chiamava così perché claudicante. Aveva fama di inetto, ma la sua politica fu positiva. A partire da Augusto, l’apparato statale era affidato a senatori, cavalieri e liberti: Claudio aumentò il numero di questi, suscitando lo sdegno della nobiltà, ma procurandosi funzionari scrupolosi e slegati dai pregiudizi delle vecchie classi dirigenti. Politica estera: Conquistò la Britannia, e compì il disegno di Cesare: Roma da ora dispone di risorse minerarie (piombo). Estese la cittadinanza romana a nuove popolazioni: i cittadini crebbero da 5 a 6 milioni. Nel 48 concesse all’aristocrazia della Gallia transalpina di accedere al senato. La politica era corretta (stimolare la discussione) perché l’impero era grande, e non poteva mantenersi forte se non assimilando i popoli assoggettati e associandoli alla gestione del potere. Questo però crea malcontento nella vecchia classe dirigente. Vicende familiari: la terza moglie Messalina gli generò Ottavia e Britannico, quindi lo abbandonò e rimase coinvolta in una congiura contro di lui, finendo giustiziata. La quarta moglie Agrippina fece estromettere Britannico dai diritti di successione e fece adottare il figlio di primo letto, Nerone. Nerone si sposò con Ottavia, dopodiché Agrippina avvelenò Claudio nel 54 e Nerone venne fatto imperatore. Il Senato lo appoggiò perché sperava di tenerlo sotto controllo in quanto aveva come maestro Seneca. Le vicende dell’impero romano Tiberio: figliastro di Augusto, regna dal 14 d.C. Dinastia giulio-claudia. Il principato non era legittimo: formalmente, Roma era ancora una repubblica. Tiberio ripete la scena del padre adottivo (a pag. 365). Domande: qualche autore che legittima l’impero romano in epoca augustea? Problemi sotto Tiberio (14-37 d.C.): il ricordo delle guerre civili e dei loro orrori si allontanava, e l’aristocrazia, che mal sopportava di essere sotto ad un sovrano, tendeva a manifestare le proprie velleità repubblicane. Tiberio abbandona l’atteggiamento legalitario e reagì all’opposizione con durezza. Meriti di Tiberio: amministratore attento e parsimonioso: limitò le spese per le distribuzioni gratuite di viveri, per le feste e per le opere pubbliche non necessarie. Investì nelle campagne (prestiti statali ai piccoli proprietari in crisi. collegamento con la crisi agricola oggi nel III mondo) e difese le province dagli sfruttatori con leggi anticoncussione (qualche famoso corrotto? Verre, “Sallustio”: era normale che ci si approfittasse delle cariche di governatore delle province, ma non eccedere…) Politica estera: 14 e 16 d.C. campagne contro i Germani che premevano ai confini dell’impero condotte dal nipote Germanico. In Oriente consolidò la dominazione romana. Caligola: (37-41) eletto con l’appoggio dei pretoriani. Nessuna politica particolare e significativa. Importante per notare che il regime instaurato da Augusto lasciava ampio spazio ad involuzioni dispotiche. Significato del nome (pag. 366, anche in Asterix). Introdusse il cerimoniale della proskynesis. Fu assassinato. Claudio: (41-54): fu eletto dai pretoriani (istituiti da Augusto nel 27 a.C. come milizia scelta e guardia del corpo dell’imperatore, pag. 359). Si chiama così perché claudicante. aveva fama di inetto, ma la sua politica fu positiva. A partire da Augusto, l’apparato statale era affidato a senatori, cavalieri e liberti: Claudio aumentò il numero di questi, suscitando lo sdegno della nobiltà, ma procurandosi funzionari scrupolosi e slegati dai pregiudizi delle vecchie classi dirigenti. Politica estera: Conquistò la Britannia, e compì il disegno di Cesare: Roma ora dispone di risorse minerarie (piombo). Estese la cittadinanza romana a nuove popolazioni: i cittadini crebbero da 5 a 6 milioni. Nel 48 concesse all’aristocrazia della Gallia transalpina di accedere al senato. La politica era corretta (stimolare la discussione) perché l’impero era grande, e non poteva mantenersi forte se non assimilando i popoli assoggettati e associandoli alla gestione del potere. Questo però crea malcontento nella vecchia classe dirigente (Seneca, vedi p. 367) Vicende familiari: la terza moglie Messalina gli generò Ottavia e Britannico, quindi lo abbandonò e rimase coinvolta in una congiura contro di lui, finendo giustiziata. La quarta moglie Agrippina fece estromettere Britannico dai diritti di successione e fece adottare il figlio di primo letto, Nerone. Nerone si sposò con Ottavia, dopodiché Agrippina avvelenò Claudio nel 54 e Nerone venne fatto imperatore. Il Senato lo appoggiò perché speravano di tenerlo sotto controllo in quanto aveva come maestro Seneca. Nerone: (54-68). dopo il quinquennio felice (sottoposto alla tutela di Seneca) prese il sopravvento la sua vera indole: di seguito, tra il 55 e il 62, fece uccidere Britannico, la madre Agrippina, la moglie Ottavia, la seconda moglie Poppea. Ritiratosi Seneca a vita privata inteorno al 62, Nerone aumentò i processi per lesa maestà contro gli aristocratici. spesso le condanne servivano solo a pretesto per aumentare le finanze di Nerone. Questi, poi, istituì i Ludi Neroniani, a cui partecipava facendo di tutto, dal cantante al musicista, al poeta ecc. Le velleità del principe comportavano spese, che veniveno coperte: 1) con le confische di cui sopra 2) con aumenti di tasse 3) con l’inflazione del denario (vedi pag.368) Nel 64, viene accusato dell’incendio di Roma (leggere Tacito, 15) Nel 65, si scopre la congiura dei Pisoni, fatta da cavalieri e da senatori. Ne seguirono nuove stragi, che costarono la vita a Seneca e a Petronio. Nel 66/67 Nerone visitò la Grecia, oggetto del suo fanatico amore da presunto artista, e partecipò ai giochi olimpici dove vinse grazie alla piaggeria dei concorrenti. Problemi di politica estera: dal 66 la Giudea era agitata da un’insurrezione, che coinvolgeva il popolo avverso alla dominazione romana ed anche agli Ebrei ricchi e ai sacerdoti accusati di essere scesi a patti con l’impero. La rivolta fu domata parzialmente dal generale Vespasiano nel 67. Nel 68 infine la situazione precipitò per il malcontento delle truppe (occidentali: sembrava a tutti che Nerone volesse favorire le regioni orientali) e per l’appoggio dato loro da senato e pretoriani: Nerone si uccise nel 68 in una sua villa nei pressi di Roma, per non cadere prigioniero delle truppe. Con Nerone si estingue la dinastia giulio.claudia. Segue un anno di lotte per la successione (Galba, Vitellio, Otone), poi viene eletto Vespasiano (ancora impegnato nella repressione giudaica) ed inizia la dinastia Flavia. Vespasiano regna dal 69 al 79. Vespasiano si trovò ad affrontare una situazione a dir poco catastrofica, seguita ad un anno di caos: Britannia e province africane in rivolta, moti di ribellione alle due sponde del Reno, Gerusalemme ancora in armi che difendeva l’indipendenza, le truppe sbandate e abituate a spadroneggiare che costituivano un pericolo permanente, le finanze, malconce sotto Nerone, che erano in preda ad un pauroso deficit. Come risolse la situazione Vespasiano? 1) Allargò le basi sociali dello stato per avere un più ampio consenso: riprese l’opera di assimilazione fatta da Claudio, e l’impero divenne l’espressione politica della classe colta e ricca di tutto il mondo romano, non solo dell’Italia. 2) Sciolse le legioni e ne reclutò altre tra i provinciali della Gallia e della Spagna, cui si poteva concedere con fiducia la cittadinanza romana. La concessione della cittadinanza incontrò l’opposizione della vecchia classe senatoria, che però stava estinguendosi (p. 375): per questo, Vespasiano introdusse in Senato esponenti della borghesia provinciale e introdusse borghesi anche nell’ordine senatorio ed equestre: trasformazione della classe dirigente. Tito: nel 70 seda l’insurrezione degli ebrei: smantella le fortificazioni di Gerusalemme, distrugge il tempio e combatte sinché i superstiti furono resi schiavi o uccisi. Da allora inizia la diaspora ebraica. Associato al potere da Vespasiano, gli successe senza problemi: morì nell’81, e si trovò ad affrontare l’eruzione del Vesuvio. Nell’80 inaugurò il Colosseo. Domiziano: fratello di Tito, poco stimato per il suo carattere dispotico: nuova modalità di successione degli imperatori: il principato ereditario, accolto ormai anche dai pretoriani e dal senato. Si comportava un po’ come Caligola, pretendeva di essere chimato “dominus et deus noster” e si ispirava all’ellenismo autocratico: sapeva essere demagogico e guadagnarsi il consenso del popolo, ma non quello dell’aristocrazia e della borghesia dotta. In lotta con le classi abbienti, cercò l’appoggio degli eserciti: aumentò la paga dei legionari, dei pretoriani e delle coorti urbane, e fece una politica estera aggressiva (perché? per rendere più accetto il suo dispotismo attraverso la gloria in guerra). Pose il “limes germanicus”: una linea fortificata che doveva respingere gli attacchi dei germani. Le spese per l’esercito e per il tenore lussuoso di vita alla Nerone fecero sì che Domiziano inasprisse le imposte e riprendesse i processi per lesa maestà, confiscando i beni ai nobili: per questo, fu ucciso nel 96 dai suoi oppositori. Dopo Domiziano, si afferma il principio dell’adozione del migliore: la successione al potere non doveva essere determinata dalla parentela, ma doveva spettare a chi dimostrava alte capacità politiche ed eccellenti doti morali (pag. 382, usanza ispirata dalla filosofia stoica). si stabilì così una concordia tra imperatore e classe dirigente destinata a durare almeno un secolo (anche grazie al fatto che la classe senatoria era cambiata, si era arricchita della nuova aristocrazia italica e provinciale più duttile e desiderosa di integrarsi). Gli imperatori d’adozione sono Nerva e Traiano. Entrambi adottarono una politica assistenzialistica, in più Traiano riprese l’imperialismo e condusse due campagne contro i Daci e l’Arabia nord-occidentale (si assicurò così le comunicazioni tra Mediterraneo e mar Rosso). Questa politica estera era dovuta all’idea che si potesse esportare il conflitto: la crisi dell’economia imperiale si poteva superare attraverso le ricchezze in materie prime e schiavi da procurarsi all’estero. Altro imperatore d’adozione è Adriano (117-138), che fa una politica estera solo difensiva e non più offensiva: le risorse dell’impero non erano sufficienti per continuare le conquiste, mentre era impoetante difendere i confini a nord dell’impero occidentale: costruì quindi il Vallum Hadriani, bastione in Britannia. (per cultura e politica a Gerusalemme, vedi pag. 387). Seguono Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo.