ROMA DA MONARCHIA A REPUBBLICA MONARCHIA Al di

ROMA DA MONARCHIA A REPUBBLICA
MONARCHIA
Al di là delle leggende di Romolo e Remo e di Enea, Roma storicamente nacque da
insediamenti preesistenti. Si sono trovati sul Palatino resti databili al secolo X e IX a.C.,
e la ceramica greca rivela commerci e sviluppo economico. La zona del Lazio era
favorevole a causa del Tevere: questo permetteva infatti di trasportare agevolmente il
sale delle vicine saline.
Roma, la cui fondazione si fa risalire al 753 a.C., nacque PER SINECISMO dall’unione
di sette colli (Quirinale, Viminale, Capitolino, Esquilino, Palatino, Celio, Aventino) per
esigenze difensive contro gli Etruschi. Nei primi insediamenti confluirono Latini e
Sabini, che erano retti da un rex, che svolgeva funzioni sacerdotali (leggere gli auspici),
era giudice e deteneva l’imperium, cioè il potere politico in tempo di pace e il comando
dell’esercito in tempo di guerra.
Il rex era elettivo – solo i Tarquini adottarono la successione ereditaria – ed era
coadiuvato da un consiglio di cento senatori riuniti nel senato.
I senatori a loro volta erano aristocratici provenienti dalle gentes, stirpi costituite da
famiglie che vantavano la discendenza da un antenato comune e portavano lo stesso
nome. I membri delle gentes, che furono successivamente chiamati patrizi, formavano
le trenta curie (cum+vir=co-viria= curia), le più antiche forme di organizzazione
militare e politica di Roma, raggruppate in tre tribù di 10 curie ciascuna (Tities,
Ramnes, Luceres, si dice istituite da Romolo). Le curie fornivano fanti e cavalieri per
l’esercito, approvavano la nomina del re e le sue decisioni più rilevanti. Le loro
assemblee erano i comizi curiati.
A Roma la parte più consistente della popolazione di origine libera era rappresentata dai
plebei (dal greco plethos, “moltitudine”), artigiani, piccoli e medi contadini, persone
comunque che non potevano armarsi a proprie spese e non erano parte dell’esercito.
I plebei non avevano terre proprie e erano considerati subalterni. Poterono sposare
un/una patrizio/a solo con la lex Canuleia del 445 a.C.
I clienti erano una terza categoria, quella di uomini liberi (stranieri oppure, in origine,
contadini senza proprietà) che avevano ottenuto protezione da un patrizio, divenuto loro
patrono, per il quale dovevano svolgere una serie di servizi in cambio. I rapporti tra
clienti e patrizi erano basati sulla fides.
L’economia della Roma più antica era agricola, come sappiamo da numerose parole
latine (pecunia, laetus/laetamen, opera (è il lavoro, lo sforzo, l’”attività” di chi si
impegna in qualcosa, mentre opus, al neutro, è la “realizzazione” di qualche cosa. “OP”
è una radice che ha in sé l’idea dell’abbondanza e del raccolto, come vediamo nel nome
della dea Ops, protettrice dei raccolti, e dal sostantivo opes, che esprime abbondanza di
mezzi, ricchezza. Copia (cum + ops) è quindi il necessario per la vita agiata,
l’abbondanza, mentre la povertà, al contrario, è l’in-opia.
L’ultimo re sarebbe stato cacciato nel 509 a.C.. Questa è la prima data storicamente
accertata della storia romana, che segna la fine della monarchia e l’inizio della
repubblica.
Nel periodo monarchico, tra il 753 e il 509, la tradizione ricorda sette re: Romolo, Numa
Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio – Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il
Superbo. E’ chiaro che in questo caso i dati relativi alla leggenda non sono confortati
dalla verisimiglianza storica.
REPUBBLICA
Finito il periodo monarchico, nel 509 a.C. si instaura la repubblica.
Le novità istituzionali sono numerose. In particolar modo, l’imperium del rex venne
diviso tra due consoli, che duravano in carica un anno. I consoli detenevano ogni potere
che esercitavano senza rendere conto dei propri atti agli elettori. Le sole funzioni non di
loro competenza erano quelle religiose. Solo in caso di grave pericolo l’imperium
veniva conferito ad una persona sola, il dittatore, che restava in carica non più di sei
mesi.
Il Senato continuò nelle sue funzioni di coadiutore dei consoli nelle decisioni più
importanti, ma fu integrato dai rappresentanti di nuovi gruppi familiari in ascesa, detti
conscripti (“iscritti” nelle liste dei senatori) e dai magistrati usciti di carica. Il senatore
rimaneva in carica a vita, e l’organo rappresentativo di cui era parte costituì quindi
sempre lo zoccolo duro dell’aristocrazia ed il vero arbitro della storia e delle vicende
romane.
I comizi curiati furono progressivamente sostituiti da altre due assemblee, i comizi
centuriati e i comizi tributi.
I comizi centuriati, che la tradizione attribuisce a Servio Tullio, avevano le stesse
prerogative dei precedenti comizi curiati, ovvero fornivano fanti e cavalieri per
l’esercito, eleggevano i consoli e ne approvavano le proposte di legge, ma vi si
partecipava non in base all’appartenenza ad una gens, bensì in base ad un criterio
censitario basato sulla ricchezza terriera. La popolazione maschile adulta fu divisa in 5
classi in base al censo, e partecipava ai comizi centuriati raggruppata in 193 gruppi detti
centurie, allo stesso tempo unità di voto e contingenti militari. A Roma i diritti politici
andavano quindi di pari passo con il servizio militare: solo chi poteva avere i mezzi per
espletarlo aveva i diritti politici.
La prima classe era costituita dai grandi proprietari, prevalentemente patrizi, e formava
98 delle 193 centurie, cioè disponeva della maggioranza dei voti e forniva la base
dell’esercito. Le altre quattro classi fornivano la fanteria pesante e leggera. I nullatenenti
erano i cosiddetti proletari e non combattevano, ma svolgevano attività ausiliarie di
sostegno.
I comizi tributi si basavano su una suddivisione della città, nel frattempo ingranditasi, in
tribù, o distretti territoriali. L’iscrizione ad una tribù avveniva in base al domicilio e
forniva la cittadinanza romana, la quale quindi non dipendeva più dall’appartenenza ad
una gens. I comizi, propriamente le assemblee delle tribù riunite, si limitavano ad
eleggere i magistrati minori.
Ai consoli si affiancarono nel tempo altre magistrature. Dopo il 450 a.C. si erano ormai
venute a costituire, in ordine di importanza crescente, la questura (amministrazione del
denaro pubblico, incasso dei tributi e pagamento stipendi), l’edilità (spettacoli,
manutenzione di strade ed edifici, mantenimento dell’ordine pubblico), la pretura
(giurisdizione civile, emanazione di regole nuove), la censura, ricoperta da due
magistrati nominati ogni cinque anni (censimento e aggiornamento delle liste dei
cittadini e dei loro patrimoni)
I PLEBEI – LE PRIME GUERRE DI ROMA
Già nel V secolo, i plebei cominciarono a rivendicare i propri diritti politici. Grazie al
senatore Menenio Agrippa, ottennero di nominare ogni anno due magistrati che
ponessero il veto a qualsiasi decisione ritenessero lesiva per la plebe: i tribuni della
plebe. Nel 445 a.C., i tribuni ottennero l’abolizione della legge che vietava il
matrimonio tra patrizi e plebei.
 Nel 396 a.C. i Romani, comandati da Furio Camillo, conquistano Veio, città etrusca
cui contendevano il controllo del Tevere.
 Intorno al 400 a.c. i Celti avevano cominciato a scendere in Italia alla ricerca di
nuovi territori coltivabili. Una volta nella pianura padana, distrussero la città etrusca
di Melpo e vi fondarono la loro capitale, Milano (Midland, Mediolanum). A sud del
Po, si impadronirono della città etrusca di Felsina, che diventa Bologna. Torino
nasce dalla tribù dei Taurini. Un gruppo di Galli Senoni, guidati dal loro capo
Brenno, invase l’Etruria spingendosi sino nel Lazio. Arrivò anche a Roma, ma dopo
averla saccheggiata si ritirò in cambio di un riscatto.
 Nel IV secolo Roma diventa sempre più potente culturalmente e politicamente. Si
fondano colonie, le lotte tra patrizi e plebei si placano: nel 367 i tribuni Licinio e
Sestio (leges Liciniae-Sextiae) ottengono che i plebei possano diventare consoli.
 Sorgono rivalità tra Latini e Romani: progressivamente, i Latini vengono
progressivamente ridotti a cittadini senza diritto di voto: la loro politica estera era
condizionata da Roma.
 Tra la metà del IV e l’inizio del III secolo, Roma si scontra con i Sanniti,
popolazione stanziata approssimativamente in corrispondenza dell’odierna
Basilicata. Gli scontri durarono per qualche decennio, ed iniziano nel 343 a.C. , in
seguito alla richiesta di aiuto da parte di Capua assediata ai Romani. Nel 321, Roma
subisce l’onta delle Forche Caudine. Solo nel 290 a.C. Roma riesce finalmente a
sconfiggere definitivamente i Sanniti, grazie al console Manlio Curio Dentato.
 Dopo la sottomissione di tutto il territorio italico, Roma doveva conquistare solo
Taranto, colonia di Sparta. Roma trovò il pretesto per l’attacco in un presunto
sconfinamento di navi. Taranto sapeva di essere militarmente inferiore, per cui
chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro e sufficientemente ambizioso da considerarsi
degno successore di Alessandro Magno. Pirro non era riuscito a farsi riconoscere re
di Macedonia, quindi ripiegò sull’Italia per crearvi un regno, un “regno greco
d’Occidente”. Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con un esercito di 30.000 soldati e
qualche elefante, elemento ormai tipico degli eserciti ellenistici. Lo scontro avvenne
in Campania, ad Eraclea, ma i Romani vennero sbaragliati dagli elefanti. Questa
vittoria viene ricordata coma la “vittoria di Pirro” (detto proverbiale), perché era
costata al re epirota molte perdite. Comunque, Pirro collezionò sui Romani una
nuova vittoria, prima di accorrere in aiuto delle città siciliane contro Cartagine.
Dopo i primi successi, i Siciliani cominciarono a temere l’ambizione di Pirro e lo
cacciarono. Costretto a tornare in Italia, il re si scontrò di nuovo con Roma a
Malevento, e venne sconfitto (275 a.C.). La città campana da questo momento si
chiamò Benevento. Pirro tornò in Grecia e morì in battaglia ad Argo. La città di
Taranto, da cui avevano preso inizio gli scontri, si arrese ai Romani nel 272 a.C.
LE GUERRE PUNICHE
Sulle coste dell’attuale Tunisia si trova Cartagine, città fenicia che
controllava la parte occidentale della Sicilia, le Baleari, la Sardegna, la
Corsica. Da tempo (VI secolo a.C.) i Cartaginesi, alleatisi in particolare
con le città etrusche, cercavano di frenare l’avanzata greca in Sicilia,
verso il Tirreno e l’isola d’Elba. Cartagine intendeva così mantenere il
monopolio del commercio dei metalli pregiati, di cui Sardegna,
Spagna e Toscana erano ricche.
Cartagine è una città guidata da un’oligarchia di mercanti e grandi
proprietari terrieri. Possiede inoltre la più potente flotta militare del
Mediterraneo.
I° guerra punica (264-241)
Roma si è espansa propagandosi per così dire a macchia d’olio, prima
verso sud (popolazioni del Lazio, Sanniti, Magna Grecia), poi verso
Occidente quindi verso Oriente, per finire con L’Egitto.
Aver conquistato la Magna Grecia porta Roma a diretto contatto con il
Mediterraneo e con le zone di influenza di Cartagine.
Roma aveva già da tempo compreso l’entità della potenza di
Cartagine, e con essa aveva stipulato ben tre trattati di alleanza. Una
volta conquistata la Magna Grecia, però, anche Roma aspira al
controllo dello stretto di Messina togliendolo a Cartagine, quindi la
Sicilia finisce per trovarsi al centro di interessi contrapposti.
Lo scontro è inevitabile e il pretesto è dato dall’occupazione di
Messina da parte di un gruppo di mercenari campani detti Mamertini.
Sconfitti da Siracusa, chiedono aiuto a Cartagine, poi a Roma. Il
Senato decide per l’intervento armato, che ha inizio nel 264 e termina
nel 241 con la resa di Cartagine.
Le battaglie si svolsero soprattutto sul mare con flotte di quinqueremi,
navi a vela quadrata a cinque file di rematori. Per la costruzione della
sua flotta, Roma aveva fatto ricorso all’esperienza dei Greci dell’Italia
meridionale. A differenza dei Cartaginesi, abituati alle battaglie navali,
Roma considerava le navi solo un mezzo di trasporto. Per sfruttare
l’abilità dei soldati romani di combattere corpo a copro, le navi
romane furono perciò dotate di ponti mobili detti corvi, atti ad
arpionare le navi nemiche ed a creare una sorta di ponte per un
combattimento simile a quello terrestre.
Cartagine, sconfitta, dovette pagare una consistente indennità di
guerra (80 tonnellate di argento circa) e dovette inoltre abbandonare
la Sicilia, che diventò così la prima provincia romana.
CAUSE DELLA III GUERRA PUNICA
Annibale: devasta e saccheggia le campagne, depreda città e villaggi, fa molte vittime, i
campi restano senza contadini
Dopoguerra: Roma si vendica sulle popolazioni che hanno sostenuto Annibale: confisca
di agro pubblico
Agro pubblico:
assegnato a singoli o dedicato alla fondazione di colonie
MA
Impegni militari ulteriori richiedono molti uomini, di nuovo
allontanati dal lavoro dei campi.
Le terre erano divise in lotti di piccole dimensioni, perché
altrimenti si sarebbero collocati troppi cittadini nella prima
delle 5 classi e si sarebbe alterato l’equilibrio politico
La popolazione contadina si impoverisce anche perché il grano è importato ora dalle
province (Sicilia), e i prezzi crollano per l’aumento dell’offerta.
Soluzione: convertire la produzione in produzione di vite e olivo, ma questo potevano
farlo solo i ricchi.
I senatori, i cavalieri o i nobili italici si accaparravano comunque l’agro pubblico
ignorando le leggi e abusivamente, proteggendosi a vicenda, oltre a ricevere i terreni dei
contadini poveri che dovevano cederli.
I contadini non hanno più lavoro perché nel frattempo era arrivato un gran numero di
schiavi, quindi vanno in città a vivere di espedienti. anche qui ci sono gli schiavi, quindi
i contadini restano nullatenenti
I nullatenenti non possono essere arruolati, quindi le fila dell’esercito si disgregano.
RISULTATO:
Inquietudine e sfaldamento del sistema sociale. Le ansie si tradussero in decisioni molto
gravi di politica estera, tra cui la III guerra punica e la distruzione di Corinto nel 146 (a
seguito di una rivolta scoppiata prima in Macedonia poi in Grecia)
RIFORMA AGRARIA
CAIO MARIO
Dal 133 al 122 a.C. due fratelli romani divenuti tribuni della plebe, Tiberio e Caio
Gracco, avevano cercato uno dopo l’altro di risolvere il problema dell’ineguale
distribuzione delle terre con alcune riforme agrarie, osteggiate dalla nobilitas.
Dopo la morte per omicidio o suicidio dei due fratelli, la nobilitas comincia ad
evidenziare al suo interno due tendenze opposte, la prima incarnata dagli optimates, la
seconda dai populares.
Gli optimates sono gli “uomini eccellenti”, quei nobili cioè che ispiravano la loro azione
politica ad un preteso rispetto della tradizione degli avi. Si chiamavano anche boni,
ovvero coloro che pensano bene e sono ispirati da sani principi. In concreto erano
favorevoli al rafforzamento del senato e ostili alle rivendicazioni delle masse popolari e
a qualsiasi cambiamento potesse ridimensionare i loro privilegi politici ed economici.
I populares sono invece quei nobili che si facevano interpreti delle esigenze delle masse
popolari e auspicavano il cambiamento e le riforme politiche e sociali; erano gli amici
del popolo”. Favorevoli al ridimensionamento dei poteri del senato, propugnavano la
necessità di attenuare lo squilibrio tra ricchi e poveri e di redistribuire la ricchezza
mediante nuove leggi agrarie.
In questo contesto sociale, la politica estera vede un usurpatore, Giugurta, impadronirsi
del regno africano di Numidia, tradizionale alleato dei romani in funzione
anticartaginese.
Giugurta conduceva una politica ostile alla presenza degli affaristi e dei commercianti
romani. In un’occasione, durante la lotta contro il suo rivale al trono, Giugurta fece
uccidere i Romani e gli Italici che svolgevano in Africa le loro attività, in particolare
nella città di Cirta.
Il senato si mostrò restio a punire questa offesa al popolo e questo colpo agli interessi
romani in Africa, anche a causa della pressione da nord dei Cimbri e dei Teutoni
sull’Italia, che pareva più pericolosa. Diversamente la pensava l’ordine equestre,
secondo cui questo atteggiamento rinunciatario comprometteva i suoi interessi e le sue
attività economiche in tutto il Mediterraneo.
I cavalieri mobilitarono l’opinione popolare, e il senato fu infine costretto a cedere. Di
fronte alle operazioni belliche che procedevano stancamente, il popolo sollecitò
l’elezione a console di Gaio Mario (107 a.C.), affidandogli il comando della guerra
giugurtina.
Gaio Mario era un homo novus, ovvero un plebeo asceso alla massima carica della
Repubblica senza essere nobile.
Di queste sue origini modeste Mario si vantava, e soleva ripetere Io non ho immagini da
mostrare: le mie immagini sono quelle che porto qui sul petto. Con questo egli
intendeva dimostrare che il proprio prestigio non dipendeva dalle imagines dei parenti,
ma dal valore personale, dimostrato sui campi di battaglia. Le sue immagini erano
piuttosto le cicatrici che i nemici di Roma gli avevano inferto sul torace. Energico,
coraggioso e fiero, Gaio Mario suscitò per molti anni l’entusiasmo del popolo, che vide
in lui l’unico personaggio in grado di contrastare l’arroganza degli optimates.
Prima di partire per l’Africa, Mario procedette all’arruolamento delle sue legioni
secondo nuovi criteri. Da tempo l’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri rendeva
sempre più difficile la conservazione dell’antico principio secondo cui potevano essere
reclutati soltanto i cittadini che avevano un minimo di reddito. Mario risolse il problema
arruolando unicamente i volontari, senza considerazione per il reddito. Risposero al suo
appello soprattutto i cittadini iscritti nelle ultime classi dell’ordinamento censitario e i
nullatenenti: tutti individui che non vedevano nessun’altra via per uscire dalla miseria e
che speravano di migliorare le loro condizioni con il bottino e forse con assegnazioni di
terra al termine della campagna militare.
Nasceva così un nuovo tipo di soldato, che da allora in poi avrebbe condizionato tutta la
vita politica di Roma: un soldato che non combatteva per adempiere al proprio dovere di
cittadino, ma per sottrarsi alla miseria. Questo soldato sapeva bene che il suo avvenire
dipendeva dalla capacità e dal successo del suo generale: egli era dunque più legato alla
causa del singolo comandante che a quella della repubblica romana.
SILLA
88 a.C. – 78 a.C.
Nel 105 a.C. si conclude la guerra contro Giugurta con la completa vittoria di Roma e
l’uccisione in carcere a Roma stessa del re numida. Successivamente, Mario rovinò la
gloria che si era acquisito con una serie di errori tattici e politici che compromisero le
sorti dei populares.
Nell’88 a.C. il re del Ponto Mitridate (il Ponto era un regno situato nella parte nordorientale dell’Asia Minore lungo le rive del Mar Nero) mise in atto un piano che
prevedeva lo scatenamento di una grande rivolta dei territori asiatici e greci sottomessi
al dominio romano. Il culmine fu l’uccisione di tutti i cittadini romani ed italici presenti
nella provincia d’Asia, in gran parte pubblicani (in un solo giorno circa 80.000). questo
dimostrò quanto profondo fosse il solco che separava gli italici ed i romani dai
provinciali.
Il Senato affidò il comando della guerra contro Mitridate a Lucio Cornelio Silla, uno dei
consoli dell’88 a.C., che era stato questore nella guerra contro Giugurta e aveva
catturato il re usurpatore. L’assemblea della plebe però, istigata da Mario, decise di
assegnare allo stesso Mario il comando della spedizione imminente. Era un atto illegale,
ma Silla reagì con un ulteriore atto illecito conducendo i suoi soldati contro Roma e
scatenandoli contro i suoi avversari politici. Il console sapeva di poter contare su un
esercito fedele, che conosceva bene le sue capacità militari e la sue generosità nella
spartizione del bottino e che quindi era disposto alla cieca obbedienza.
L’atto di Silla fu particolarmente grave, perché per un’antica consuetudine gli eserciti
potevano entrare in armi in città solo il giorno del trionfo.
A Roma si sparse il terrore. Molti populares furono condannati a morte ed altri
fuggirono, tra cui Mario.
Con questa azione Silla rivelò una verità molto semplice, che poi sarebbe divenuta una
regola: la repubblica era nelle mani di un qualsiasi generale che potesse contare su
truppe fedeli e pronte a tutto pur di ottenere dal loro capo ricompense e vantaggi
materiali.
Silla sconfisse successivamente Mitridate, mentre Roma piombava nel caos perché
dilaniata dallo scontro tra le fazioni degli optimates e dei populares. Questi ultimi
prevalgono, al comando di Mario nel frattempo ritornato alla carica.
Morto Mario nell’86 a.C., Silla rientrò in Italia nell’83 e si apprestò ad una guerra civile
che vinse, divenendo il padrone assoluto di Roma.
Rafforzò, una volta al potere, il predominio dell’oligarchia. Nell’82 a.C. assunse a
tempo indeterminato la carica di dittatore, per l’ultima volta concessa durante la
seconda guerra punica. La carica di Silla, oltre che per la durata, si differenziava dalla
dittatura ufficiale perché l’uomo politico si attribuì il potere di legiferare. Era dunque un
re in tutto tranne che nel nome.
L’opposizione fu messa a tacere con una politica di annientamento che faceva uso delle
tavole di proscrizione (elenchi ufficiali dei nomi dei nemici politici di Silla; chi ne
uccideva uno, veniva ricompensato ed aveva la garanzia dell’impunità). Caddero varie
migliaia di cittadini in tutt’Italia.
Le terre dei sostenitori di Mario furono requisite e concesse ai veterani di Silla.
Il numero dei senatori fu portato da 300 a 600, e vennero ammessi al Senato personaggi,
anche semplici soldati o ufficiali, che si erano dimostrati fedeli a Silla. Il potere dei
tribuni della plebe vennero drasticamente ridimnensionati.
Consolidato il potere degli optimates, Silla si ritirò in una sua tenuta in Campania, dove
morì nel 78 a.C.
DALLA CONGIURA DI CATILINA ALLA DICHIARAZIONE DELLA
GUERRA CIVILE
79 a.C. - 49 a.C.
Ritiratosi Silla nel 79 a.C., gli aristocratici pensano solo a difendere i
propri interessi e non sono capaci di guardare al di là dei confini
nazionali. Ci vuole quindi un capo militare carismatico ed affidabile
che porti l’esercito a sostenere il senato: POMPEO, già distintosi nella
composizione dei disordini nel territorio italico.
Pompeo aspira al consolato, e per ottenerlo si allea con Crasso, ex
luogotenente di Silla che era divenuto l’uomo più ricco di Roma grazie
alle proscrizioni. Ovviamente ha anche bisogno dell’appoggio dei
populares per evitare guerre civili. Promette per questo una riforma
democratica della costituzione sillana. Nel 70 a.C. Pompeo e Crasso
diventano consoli, forzando il Senato.
Pompeo fa riforme favorevoli ai populares, semplicemente perché
aveva capito che la corruzione aveva raggiunto un livello
inaccettabile, come confermava lo scandalo di Verre in Sicilia (il
processo a Verre è del 70 a.C.)
Pompeo riesce a raggiungere poteri eccezionali, grazie anche alla
risoluzione del problema dei pirati presenti nel Mediterraneo e alla
sconfitta definitiva di Mitridate re del Ponto.
A Roma, intanto, continua lo scontro tra populares e optimates. Dalla
parte dei populares si schierano Gaio Giulio CESARE, Lucio Licinio
CRASSO E Lucio Sergio CATILINA.
Catilina e Cesare provenivano dalla classe nobiliare
Dalla parte degli optimates sono invece Marco Tullio CICERONE e
Marco Porcio CATONE.
CONGIURA DI CATILINA
Catilina militava nelle file dei populares, ed era di origine nobile.
Aveva governato la provincia d’Africa, ma il suo comportamento gli
aveva fruttato un’accusa di concussione dalla quale però era stato
assolto. Catilina cercava a tutti i costi di farsi eleggere console, ma
era stato sconfitto due volte, nel 64 e nel 63 a.C., nonostante la sua
promessa di cancellare i debiti. Al suo posto aveva ottenuto la
magistratura del 64 a.C. Cicerone. Non riuscendo a raggiungere
legalmente la carica cui aspirava e perso l’appoggio di Cesare e di
Crasso, Catilina pensò ad un’insurrezione armata: intendeva così
togliere di mezzo Cicerone e occupare la città con un esercito
proveniente dall’Etruria. Cicerone sventò la congiura di Catilina
svelandone l’esistenza in senato con l’orazione prima Catilinaria.
Catilina fuggì da Roma, ma i suoi alleati presero lo stesso le armi.
Scoperti, furono condannati a morte senza diritto di appello, mentre
nel 62 a.C. altri congiurati e Catilina stesso furono sconfitti e per lo più
uccisi nella battaglia di Pistoia.
IL PRIMO TRIUMVIRATO
nel 60 a.C. Cesare, Pompeo e Crasso si unirono in un’alleanza
personale detta primo triumvirato (a Lucca): Pompeo doveva
appoggiare Cesare per il consolato, Cesare doveva sostenere Pompeo,
Crasso doveva promuovere la distribuzione di terre ai veterani di
Pompeo.
Tutto questo avvenne come pattuito, e il Senato si trovò costretto suo
malgrado a subire. Cesare infatti venne eletto console nel 59 a.C. e
promosse iniziative non ben viste dall’ala conservatrice del Senato: la
distribuzione alla plebe di terreni fatti acquistare usando i fondi del
bottino di guerra, senza espropriare terreni privati, l’aumento delle
responsabilità fiscali dei governatori delle province, la pubblicazione
dei verbali delle sedute delle assemblee e del Senato e l’abolizione
della pratica di prendere gli auspicii prima delle assemblee. Con
l’ultimo provvedimento si toglieva all’aristocrazia un’arma di cui si era
sempre servita, il rinvio delle assemblee in cui si temevano
provvedimenti sgraditi con la scusa che gli auspicii erano sfavorevoli
Periodo 59 a.C. – 53 a.C.
Durante il consolato Cesare si era assicurato il proconsolato della
Gallia Cisalpina (Italia settentrionale) allo scopo di ottenere quello che
ancora gli mancava: il prestigio di una guerra di conquista e la
potenza di un esercito devoto, da riversare al momento opportuno
nella lotta politica. Quando assunse la carica, quindi, egli non aveva
alcuna intenzione di limitarsi ai compiti di un buon amministratore:
guardava invece oltre i confini della provincia romana aspettando
l’occasione per intervenire militarmente nella Gallia libera.
Le popolazioni della Gallia non soggetta al dominio romano erano
divise in tribù indipendenti (circa una cinquantina), talvolta unite in
federazioni ma spesso separate da acerrime rivalità, che
combattevano in modo piuttosto prevedibile, ripetendo sempre gli
stessi schemi tattici (scontro frontale). Per questo la Gallia era uno
scenario promettente di conquiste.
Cesare intraprende nel 58 la guerra contro i Galli, terminata nel 52
con la sconfitta del capo gallo Vercingetorige ad Alesia. Il pretesto
della guerra gli si offre quando gli Edui, alleati di Roma e stanziati ad
occidente dell’Elvezia, chiedono aiuto ai Romani per liberarsi proprio
dagli Elvezi che minacciano il loro territorio.
La conquista della Gallia costerà un milione di morti e un milione di
persone private della libertà di autodeterminazione.
Prima di lasciare Roma e intraprendere la guerra gallica, Cesare si era
assicurato di eliminare i suoi nemici Catone (spedito a Cipro, isola
appena donata a Roma dall’Egitto) e Cicerone (esiliato nel 58). Per
l’eliminazione di Cicerone, Cesare si era accordato con il tribuno della
plebe Publio Clodio Pulcro per far approvare un provvedimento che
condannasse all’esilio chi avesse fatto giustiziare un cittadino romano
senza concedere l’appello (ma proprio Cicerone aveva fatto giustiziare
senza appello i congiurati di Catilina)
Dopo la conquista della Gallia Cesare è così potente da non
sopportare più gli ordini del Senato. Nel frattempo, per di più, Crasso
è morto. Pompeo si mette contro Cesare perché preoccupato del suo
potere.
L’intenzione di Cesare, una volta terminata la guerra, è quella di
candidarsi al consolato.
Deve però rientrare in patria, perché il Senato aveva stabilito che i
candidati alle magistrature dovessero essere presenti in città,
disarmati (la decisione del Senato è proprio presa in funzione
anticesariana, per paura che l’uomo politico intendesse impadronirsi
del potere con la forza).
Se, come voleva la legge, Cesare fosse rientrato a Roma da privato
cittadino, sarebbe stato però facile preda di Pompeo. Come quasi tutti
gli uomini politici, si era macchiato di illegalità più o meno gravi, dal
momento che era diventato impossibile, in quegli anni, esercitare il
potere rispettando le antiche regole della repubblica romana. Sarebbe
stato un gioco, perciò, trascinarlo in giudizio e farlo condannare.
Cesare però non è così ingenuo da lasciarsi fermare da una trappola
così banale: chiede in primo luogo che anche Pompeo sciolga il
proprio esercito, istanza che viene respinta dal Senato, quindi
proclama di voler difendere la sua dignità offesa e la libertà del
popolo romano oppresso da un’oligarchia, quella rappresentata dal
Senato che dichiarava invece di voler difendere la propria autorità.
Nel 49, forte dei propri soldati, Cesare varca il Rubicone, fiume presso
Rimini: chiunque varcasse con l’esercito questo fiume che delimitava
il confine tra Gallia Cisalpina e Italia Centro-Meridionale era
considerato nemico della patria.
In questo modo dichiara automaticamente la guerra civile.
LA GUERRA CIVILE
Il passaggio del Rubicone colse impreparati i pompeiani, e l’esercito di Cesare era
temibile perché molto legato al suo capo. Pompeo allora abbandonò l’Italia e si trasferì
nell’Epiro, dove si organizzò sfruttando le alleanze che si era procurato nello scontro
con Mitridate e con i pirati. Il senato si divise tra favorevoli a Cesare e a Pompeo.
Cicerone era favorevole a Pompeo.
Cesare attaccò i seguaci di Pompeo in Spagna (Pompeo era ancora proconsole in
Spagna) e li sconfisse. Quindi si spostò in Grecia, in Tessaglia, e a Farsàlo nel 48
a.C.___________________________________________________________________
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Pompeo allora si recò in ______________, dove _______________________________
Cesare ________________________________________________________________
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e insediò sul trono la regina Cleopatra. Tra Cleopatra e Cesare nacque presto una
relazione dalla quale nacque un figlio chiamato Cesare, che però dagli Alessandrini
venne soprannominato con sarcasmo Cesarione. Di certo l’unione aveva anche risvolti
politici:________________________________________________________________
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Cesare rientrò alla fine a Roma, dove si trattenne il tempo utile per preparare l’offensiva
finale contro i pompeiani che si erano riorganizzati nelle provincie d’Africa. Cesare li
sconfisse a ________________ nel _________. A Munda, in Spagna, fece l’assalto
definitivo contro un figlio di Pompeo.
La dittatura di Cesare: Cesare ora era padrone di Roma, e come tale accelerò il
processo di riunione di tutti i poteri nelle mani di una persona sola (ovviamente lui...)
Pensava infatti che la repubblica fosse ormai una sorta di fantasma senza corpo, e che
fosse necessario un regime di tipo monarchico. Per Cesare, il Senato ormai non era che
un organo privo di autorità, composto da un’oligarchia miope che pensava solo ai propri
consolidati privilegi. Fece quindi in modo di farsi concedere tutte le magistrature, e fece
alcune importanti riforme: _________________________________________________
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I poteri eccezionali di Cesare però allarmarono un po’ tutti, tradizionalisti ma anche
seguaci preoccupati di un personalismo eccessivo. Ci fu quindi una congiura ordita da
Marco Giunio BRUTO e da Gaio CASSIO, in seguito alla quale Cesare fu assassinato.
La situazione era però esplosiva, in quanto ormai modificata nel profondo: __________
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______________________________________________________________________
I congiurati fallirono la loro impresa soprattutto per due motivi: ___________________
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IL SECONDO TRIUMVIRATO E L’AFFERMAZIONE DI OTTAVIANO
Dopo la morte di Cesare, Antonio si presentò come colui che garantiva
ordine e riconciliazione. Cercò anche di procedere con una certa cautela, per
non scontrarsi subito con gli optimates. Non aveva fatto i conti, però, con il
figlio adottivo di Cesare e suo principale erede, Gaio Ottavio, che credeva
troppo giovane (19 anni).
Gaio Ottavio discendeva da una famiglia di cavalieri, imparentata con la
gens Iulia da quando il nonno aveva sposato una sorella di Cesare. Questi lo
adottò, e Ottavio prese il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano. Quando
Cesare fu ucciso Ottaviano era in Macedonia. Alla notizia della morte si recò
a Roma per reclamare la sua parte di eredità, ma Antonio lo trattò come
minimo con disprezzo. Ottaviano quindi affrontò la situazione con grande
abilità, tanto da sorprendere. Lasciò da parte ogni risentimento e agì con
cautela, compiendo le seguenti azioni che accrebbero il suo prestigio:
- Sfruttò abilmente il ricordo di Cesare per legare alla propria persona i
veterani del condottiero scomparso, timorosi di non poter più ottenere
ricompense in terreni;
- Screditò presso i soldati ed il popolo di Roma la figura di Antonio,
rimproverandogli un atteggiamento conciliante verso i cesaricidi;
- Mantenne contatti con Cicerone, che non gli faceva mancare il proprio
appoggio ritenendolo meno pericoloso di Antonio
Nel 43 ci fu la battaglia di Modena: Antonio reclamava il comando della
Cisalpina affidato ad uno dei congiurati, Decimo Bruto. Questo non voleva
cederlo, giustamente, quindi Antonio prese le armi e assediò Modena. Il
Senato inviò gli eserciti al comando di Ottaviano, il quale era accompagnato
anche da truppe reclutate da lui, e ci fu lo scontro. Antonio perse, ma con
poche perdite, il che gli permise di raggiungere la Gallia Transalpina e di
allearsi con un altro ufficiale, Lepido.
Ottaviano non inseguì Antonio, ma andò a Roma e si fece eleggere console
per il 43 a.C. con la minaccia delle armi (si trattava di una sorta di colpo di
stato).
Comunque, finì che Ottaviano si alleò con Antonio e Lepido in un accordo
che prese il nome di secondo triumvirato. L’accordo si era reso necessario
anche perché i tre uomini politici avevano reclutato gran parte dei loro
eserciti tra soldati che avevano già militato con Cesare, e che di
conseguenza avrebbero preso malvolentieri le armi gli uni contro gli altri.
Tra il primo ed il secondo triumvirato c’è però una differenza sostanziale:
l’accordo tra Cesare, Pompeo e Crasso era stato di natura privata, l’accordo
tra Antonio, Ottaviano e Lepido divenne una vera e propria magistratura di
durata quinquennale, approvata da una legge
I disordini ormai abituali in città furono repressi mandando a morte centinaia
di senatori e migliaia di cavalieri, tra cui Cicerone perché aveva pronunciato
alcune orazioni contro Antonio, additato come il più pericoloso nemico della
Repubblica e avventuriero privo di scrupoli.
Restava da togliere di mezzo i cesaricidi, Bruto e Cassio, che ancora
cercavano di giungere al potere e avevano reclutato degli eserciti. Gli
scontri finali tra i triumviri e Bruto e Cassio avvennero a Filippi, in
Macedonia, nel 42 a.C. I triumviri vincono e sia Cassio che, subito dopo,
Bruto si suicidano.
Cosa succede ai triumviri, ora padroni del campo? Lepido viene emarginato
subito perché ben poco autorevole, Antonio si attribuisce il comando
dell’Oriente, Ottaviano dell’Occidente.
Si prepara uno scontro diretto tra i due per il controllo totale, culminato con
la battaglia di Azio (31 a.C.) e la vittoria di Ottaviano, da adesso padrone
assoluto di Roma.
L’Impero sta per avere inizio.
Le vicende dell’impero romano
Augusto attuò delle riforma di tipo amministrativo e istituì delle
cariche che furono divise tra l’ordine senatorio e l’ordine equestre, per
armonizzare i rapporti tra le due classi.
Cariche equestri:
 prefettura d’Egitto (carica di governatore della regione)
 prefettura del pretorio (carica relativa al comando dei pretoriani, ovvero le guardie
del corpo dell’imperatore)
 prefettura dell’annona (carica che amministra l’approvvigionamento della città di
Roma)
 prefettura dei vigili (comanda le squadre antincendio)
 prefettura della flotta (comanda le due flotte permanenti stanziate a Ravenna e a
Miseno)
I senatori, invece, erano destinatari della prefettura urbana che si occupava dell’ordine
pubblico.
Le provincie furono divise in senatorie (governate da senatori) e imperiali (governate
da senatori, ma in rappresentanza dell’imperatore)
Questa divisione fa capire che Augusto prediligeva la classe equestre, perché la riteneva
più fidata. In effetti, la prefettura del pretorio, da cui dipendeva direttamente la vita
dell’imperatore, era appannaggio di un cavaliere.
In politica estera Augusto perseguì una politica di pacificazione, di cui c’era estremo
bisogno dopo un periodo di aspre guerre civili. Pace per l’impero romano significava
controllo stabile dei confini. Ci sono poi situazioni da stabilizzare:
 In Spagna c’erano ancora sacche di resistenza dopo due secoli dalla conquista, che
vengono contrastate sinché la Spagna nel 19 a.C. viene definitivamente sottomessa.
 Il confine alpino era segnato ancora dalla presenza di tribù non sottomesse. Augusto
procede al campagne militari contro la Valle D’Aosta che sconfiggono del tutto la
tribù dei Salassi e assicurano il possesso dei valichi e dei territori metalliferi.
 Nell’Europa centrale ci sono i Germani che rendono insicuro il confine del Reno.
Augusto intraprende la conquista della Germania e affida le operazioni militari al
figliastro Druso, che hanno successo e portano i confini dell’Impero sino all’Elba,
pur non consolidandoli: nel 9 a.C. il germano Arminio organizza una ribellione,
inoltre nella foresta di Teutoburgo 3 legioni romane sono distrutte. I confini
arretrano prudentemente al Reno e al Danubio.
 Con i Parti, Augusto preferisce la soluzione diplomatica, in quanto erano troppo
organizzati. Ci furono trattative che favorirono un clima disteso tra i due imperi.
Tiberio
figliastro di Augusto, regna dal 14 d.C. Dinastia giulio-claudia.
Il principato non era legittimo: formalmente, Roma era ancora una
repubblica.
Problemi sotto Tiberio (14-37 d.C.): il ricordo delle guerre civili e dei
loro orrori si allontanava, e l’aristocrazia, che mal sopportava di
essere sotto ad un sovrano, tendeva a manifestare le proprie velleità
repubblicane. Tiberio abbandona l’atteggiamento legalitario e
reagisce all’opposizione con durezza.
Meriti di Tiberio: fu un amministratore attento e parsimonioso: limitò
le spese per le distribuzioni gratuite di viveri, per le feste e per le
opere pubbliche non necessarie. Investì nelle campagne (prestiti
statali ai piccoli proprietari in crisi. collegamento con la crisi agricola
oggi nel III mondo) e difese le province dagli sfruttatori con leggi anticoncussione.
Politica estera: nel 14 e nel 16 d.C. conduce campagne contro i
Germani che premevano ai confini dell’impero, condotte dal nipote
Germanico. In Oriente consolida la dominazione romana.
Caligola
(37-41). Eletto con l’appoggio dei pretoriani. Nessuna politica
particolare e significativa. Importante per notare che il regime
instaurato da Augusto lasciava ampio spazio ad involuzioni dispotiche.
Introdusse il cerimoniale della proskynesis. Fu assassinato.
Claudio
(41-54): fu eletto dai pretoriani (istituiti da Augusto nel 27 a.C. come
milizia scelta e guardia del corpo dell’imperatore). Si chiamava così
perché claudicante. Aveva fama di inetto, ma la sua politica fu
positiva. A partire da Augusto, l’apparato statale era affidato a
senatori, cavalieri e liberti: Claudio aumentò il numero di questi,
suscitando lo sdegno della nobiltà, ma procurandosi funzionari
scrupolosi e slegati dai pregiudizi delle vecchie classi dirigenti.
Politica estera: Conquistò la Britannia, e compì il disegno di Cesare:
Roma da ora dispone di risorse minerarie (piombo). Estese la
cittadinanza romana a nuove popolazioni: i cittadini crebbero da 5 a 6
milioni. Nel 48 concesse all’aristocrazia della Gallia transalpina di
accedere al senato. La politica era corretta (stimolare la discussione)
perché l’impero era grande, e non poteva mantenersi forte se non
assimilando i popoli assoggettati e associandoli alla gestione del
potere. Questo però crea malcontento nella vecchia classe dirigente.
Vicende familiari: la terza moglie Messalina gli generò Ottavia e
Britannico, quindi lo abbandonò e rimase coinvolta in una congiura
contro di lui, finendo giustiziata. La quarta moglie Agrippina fece
estromettere Britannico dai diritti di successione e fece adottare il
figlio di primo letto, Nerone. Nerone si sposò con Ottavia, dopodiché
Agrippina avvelenò Claudio nel 54 e Nerone venne fatto imperatore. Il
Senato lo appoggiò perché sperava di tenerlo sotto controllo in
quanto aveva come maestro Seneca.
Le vicende dell’impero romano
Tiberio: figliastro di Augusto, regna dal 14 d.C. Dinastia giulio-claudia.
Il principato non era legittimo: formalmente, Roma era ancora una repubblica. Tiberio
ripete la scena del padre adottivo (a pag. 365).
Domande: qualche autore che legittima l’impero romano in epoca augustea?
Problemi sotto Tiberio (14-37 d.C.): il ricordo delle guerre civili e dei loro orrori si
allontanava, e l’aristocrazia, che mal sopportava di essere sotto ad un sovrano, tendeva a
manifestare le proprie velleità repubblicane. Tiberio abbandona l’atteggiamento
legalitario e reagì all’opposizione con durezza.
Meriti di Tiberio: amministratore attento e parsimonioso: limitò le spese per le
distribuzioni gratuite di viveri, per le feste e per le opere pubbliche non necessarie.
Investì nelle campagne (prestiti statali ai piccoli proprietari in crisi. collegamento con la
crisi agricola oggi nel III mondo) e difese le province dagli sfruttatori con leggi anticoncussione (qualche famoso corrotto? Verre, “Sallustio”: era normale che ci si
approfittasse delle cariche di governatore delle province, ma non eccedere…)
Politica estera: 14 e 16 d.C. campagne contro i Germani che premevano ai confini
dell’impero condotte dal nipote Germanico. In Oriente consolidò la dominazione
romana.
Caligola: (37-41) eletto con l’appoggio dei pretoriani. Nessuna politica particolare e
significativa. Importante per notare che il regime instaurato da Augusto lasciava ampio
spazio ad involuzioni dispotiche. Significato del nome (pag. 366, anche in Asterix).
Introdusse il cerimoniale della proskynesis. Fu assassinato.
Claudio: (41-54): fu eletto dai pretoriani (istituiti da Augusto nel 27 a.C. come milizia
scelta e guardia del corpo dell’imperatore, pag. 359). Si chiama così perché claudicante.
aveva fama di inetto, ma la sua politica fu positiva. A partire da Augusto, l’apparato
statale era affidato a senatori, cavalieri e liberti: Claudio aumentò il numero di questi,
suscitando lo sdegno della nobiltà, ma procurandosi funzionari scrupolosi e slegati dai
pregiudizi delle vecchie classi dirigenti.
Politica estera: Conquistò la Britannia, e compì il disegno di Cesare: Roma ora dispone
di risorse minerarie (piombo). Estese la cittadinanza romana a nuove popolazioni: i
cittadini crebbero da 5 a 6 milioni. Nel 48 concesse all’aristocrazia della Gallia
transalpina di accedere al senato. La politica era corretta (stimolare la discussione)
perché l’impero era grande, e non poteva mantenersi forte se non assimilando i popoli
assoggettati e associandoli alla gestione del potere. Questo però crea malcontento nella
vecchia classe dirigente (Seneca, vedi p. 367)
Vicende familiari: la terza moglie Messalina gli generò Ottavia e Britannico, quindi lo
abbandonò e rimase coinvolta in una congiura contro di lui, finendo giustiziata. La
quarta moglie Agrippina fece estromettere Britannico dai diritti di successione e fece
adottare il figlio di primo letto, Nerone. Nerone si sposò con Ottavia, dopodiché
Agrippina avvelenò Claudio nel 54 e Nerone venne fatto imperatore. Il Senato lo
appoggiò perché speravano di tenerlo sotto controllo in quanto aveva come maestro
Seneca.
Nerone: (54-68). dopo il quinquennio felice (sottoposto alla tutela di Seneca) prese il
sopravvento la sua vera indole: di seguito, tra il 55 e il 62, fece uccidere Britannico, la
madre Agrippina, la moglie Ottavia, la seconda moglie Poppea.
Ritiratosi Seneca a vita privata inteorno al 62, Nerone aumentò i processi per lesa
maestà contro gli aristocratici. spesso le condanne servivano solo a pretesto per
aumentare le finanze di Nerone. Questi, poi, istituì i Ludi Neroniani, a cui partecipava
facendo di tutto, dal cantante al musicista, al poeta ecc. Le velleità del principe
comportavano spese, che veniveno coperte:
1) con le confische di cui sopra
2) con aumenti di tasse
3) con l’inflazione del denario (vedi pag.368)
Nel 64, viene accusato dell’incendio di Roma (leggere Tacito, 15)
Nel 65, si scopre la congiura dei Pisoni, fatta da cavalieri e da senatori. Ne seguirono
nuove stragi, che costarono la vita a Seneca e a Petronio.
Nel 66/67 Nerone visitò la Grecia, oggetto del suo fanatico amore da presunto artista, e
partecipò ai giochi olimpici dove vinse grazie alla piaggeria dei concorrenti.
Problemi di politica estera: dal 66 la Giudea era agitata da un’insurrezione, che
coinvolgeva il popolo avverso alla dominazione romana ed anche agli Ebrei ricchi e ai
sacerdoti accusati di essere scesi a patti con l’impero. La rivolta fu domata parzialmente
dal generale Vespasiano nel 67.
Nel 68 infine la situazione precipitò per il malcontento delle truppe (occidentali:
sembrava a tutti che Nerone volesse favorire le regioni orientali) e per l’appoggio dato
loro da senato e pretoriani: Nerone si uccise nel 68 in una sua villa nei pressi di Roma,
per non cadere prigioniero delle truppe.
Con Nerone si estingue la dinastia giulio.claudia.
Segue un anno di lotte per la successione (Galba, Vitellio, Otone), poi viene eletto
Vespasiano (ancora impegnato nella repressione giudaica) ed inizia la dinastia Flavia.
Vespasiano regna dal 69 al 79.
Vespasiano si trovò ad affrontare una situazione a dir poco catastrofica, seguita ad un
anno di caos: Britannia e province africane in rivolta, moti di ribellione alle due sponde
del Reno, Gerusalemme ancora in armi che difendeva l’indipendenza, le truppe
sbandate e abituate a spadroneggiare che costituivano un pericolo permanente, le
finanze, malconce sotto Nerone, che erano in preda ad un pauroso deficit.
Come risolse la situazione Vespasiano?
1) Allargò le basi sociali dello stato per avere un più ampio consenso: riprese l’opera di
assimilazione fatta da Claudio, e l’impero divenne l’espressione politica della classe
colta e ricca di tutto il mondo romano, non solo dell’Italia.
2) Sciolse le legioni e ne reclutò altre tra i provinciali della Gallia e della Spagna, cui si
poteva concedere con fiducia la cittadinanza romana. La concessione della
cittadinanza incontrò l’opposizione della vecchia classe senatoria, che però stava
estinguendosi (p. 375): per questo, Vespasiano introdusse in Senato esponenti della
borghesia provinciale e introdusse borghesi anche nell’ordine senatorio ed equestre:
trasformazione della classe dirigente.
Tito: nel 70 seda l’insurrezione degli ebrei: smantella le fortificazioni di Gerusalemme,
distrugge il tempio e combatte sinché i superstiti furono resi schiavi o uccisi. Da allora
inizia la diaspora ebraica. Associato al potere da Vespasiano, gli successe senza
problemi: morì nell’81, e si trovò ad affrontare l’eruzione del Vesuvio. Nell’80 inaugurò
il Colosseo.
Domiziano: fratello di Tito, poco stimato per il suo carattere dispotico: nuova modalità
di successione degli imperatori: il principato ereditario, accolto ormai anche dai
pretoriani e dal senato. Si comportava un po’ come Caligola, pretendeva di essere
chimato “dominus et deus noster” e si ispirava all’ellenismo autocratico: sapeva essere
demagogico e guadagnarsi il consenso del popolo, ma non quello dell’aristocrazia e
della borghesia dotta. In lotta con le classi abbienti, cercò l’appoggio degli eserciti:
aumentò la paga dei legionari, dei pretoriani e delle coorti urbane, e fece una politica
estera aggressiva (perché? per rendere più accetto il suo dispotismo attraverso la gloria
in guerra). Pose il “limes germanicus”: una linea fortificata che doveva respingere gli
attacchi dei germani.
Le spese per l’esercito e per il tenore lussuoso di vita alla Nerone fecero sì che
Domiziano inasprisse le imposte e riprendesse i processi per lesa maestà, confiscando i
beni ai nobili: per questo, fu ucciso nel 96 dai suoi oppositori.
Dopo Domiziano, si afferma il principio dell’adozione del migliore: la successione al
potere non doveva essere determinata dalla parentela, ma doveva spettare a chi
dimostrava alte capacità politiche ed eccellenti doti morali (pag. 382, usanza ispirata
dalla filosofia stoica). si stabilì così una concordia tra imperatore e classe dirigente
destinata a durare almeno un secolo (anche grazie al fatto che la classe senatoria era
cambiata, si era arricchita della nuova aristocrazia italica e provinciale più duttile e
desiderosa di integrarsi).
Gli imperatori d’adozione sono Nerva e Traiano. Entrambi adottarono una politica
assistenzialistica, in più Traiano riprese l’imperialismo e condusse due campagne contro
i Daci e l’Arabia nord-occidentale (si assicurò così le comunicazioni tra Mediterraneo e
mar Rosso). Questa politica estera era dovuta all’idea che si potesse esportare il
conflitto: la crisi dell’economia imperiale si poteva superare attraverso le ricchezze in
materie prime e schiavi da procurarsi all’estero.
Altro imperatore d’adozione è Adriano (117-138), che fa una politica estera solo
difensiva e non più offensiva: le risorse dell’impero non erano sufficienti per continuare
le conquiste, mentre era impoetante difendere i confini a nord dell’impero occidentale:
costruì quindi il Vallum Hadriani, bastione in Britannia. (per cultura e politica a
Gerusalemme, vedi pag. 387). Seguono Antonino Pio, Marco Aurelio e Commodo.