AGEING: VERSO UN MONDO PIÙ MATURO Il mutamento delle età

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Quaderni di ricerca
Luciano Abburrà Elisabetta Donati
AGEING:
VERSO UN MONDO PIÙ MATURO
Il mutamento delle età
come fattore di innovazione sociale
104
Luciano Abburrà Elisabetta Donati
AGEING: VERSO UN MONDO PIÙ MATURO
Il mutamento delle età come fattore di innovazione sociale
- ISBN 88-87276-50-1
VIETATA LA VENDITA
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104
ISTITUTO RICERCHE ECONOMICO SOCIALI DEL PIEMONTE
Via Nizza, 18 - 10125 Torino - Tel. +39 011 66 66 411 - www.ires.piemonte.it
ISTITUTO RICERCHE ECONOMICO SOCIALI DEL PIEMONTE
Quaderni di Ricerca 104
Quaderni di ricerca
Luciano Abburrà Elisabetta Donati
AGEING:
VERSO UN MONDO PIÙ MATURO
Il mutamento delle età
come fattore di innovazione sociale
104
ISTITUTO RICERCHE ECONOMICO SOCIALI DEL PIEMONTE
Questo studio fa parte di un programma di ricerche dedicate ai processi e alle implicazioni
dell’ageing, compreso nel Programma Triennale 2002-2004 dell’IRES Piemonte.
Luciano Abburrà ha svolto la progettazione, la direzione della ricerca, la cura e redazione del
rapporto finale.
Elisabetta Donati ha collaborato alla progettazione, ha condotto la ricerca e l’analisi dei materiali e
ha operato la stesura del rapporto.
La versione finale di questo volume riflette in modo integrato e condiviso i contributi e i punti di vista
dei due autori.
Un ringraziamento va ad Angelamaria Pettinati, per il prezioso aiuto fornito nel reperimento e nella
selezione delle fonti.
L’IRES Piemonte è un ente di ricerca della Regione Piemonte, disciplinato dalla legge regionale 43/91.
Pubblica una Relazione annuale sull’andamento socioeconomico e territoriale della regione ed effettua
analisi, sia congiunturali che di scenario, dei principali fenomeni socioeconomici e territoriali del Piemonte.
L’Area di ricerca Società e Cultura dell’IRES, nell’ambito di una generale attività di analisi sulle dimensioni
sociali dello sviluppo, studia il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione sotto diversi punti di vista.
Il documento in formato PDF è scaricabile dal sito www.ires.piemonte.it
La riproduzione parziale o totale di questo documento è consentita, purché senza fine di lucro e con
esplicita e integrale citazione della fonte.
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Mario Santoro, Presidente
Maurizio Tosi, Vicepresidente
Paolo Ferrero, Antonio Monticelli, Enrico Nerviani, Michelangelo Penna,
Raffaele Radicioni, Maurizio Ravidà, Furio Camillo Secinaro
COMITATO SCIENTIFICO
Mario Montinaro, Presidente
Valter Boero, Sergio Conti, Angelo Pichierri,
Walter Santagata, Silvano Scannerini, Gianpaolo Zanetta
COLLEGIO DEI REVISORI
Giorgio Cavalitto, Presidente
Giancarlo Cordaro e Paola Gobetti, Membri effettivi
Mario Marino e Ugo Mosca, Membri supplenti
DIRETTORE
Marcello La Rosa
STAFF
Luciano Abburrà, Stefano Aimone, Enrico Allasino, Loredana Annaloro, Maria Teresa Avato, Marco
Bagliani, Giorgio Bertolla, Antonino Bova, Dario Paolo Buran, Laura Carovigno, Renato Cogno, Luciana
Conforti, Alberto Crescimanno, Alessandro Cunsolo, Elena Donati, Carlo Alberto Dondona, Fiorenzo
Ferlaino, Vittorio Ferrero, Filomena Gallo, Tommaso Garosci, Maria Inglese, Simone Landini, Renato
Lanzetti, Antonio Larotonda, Eugenia Madonia, Maurizio Maggi, Maria Cristina Migliore, Giuseppe Mosso,
Carla Nanni, Daniela Nepote, Sylvie Occelli, Santino Piazza, Stefano Piperno, Sonia Pizzuto, Elena
Poggio, Lucrezia Scalzotto, Filomena Tallarico, Luigi Varbella, Giuseppe Virelli
©2004 IRES - Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte
via Nizza 18 - 10125 Torino - Tel. +39 011 6666411 - Fax +39 011 6696012
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ISBN 88-87276-50-1
Si autorizza la riproduzione, la diffusione e l’utilizzazione del contenuto del volume
con la citazione della fonte.
Presentazione
Le analisi demografiche e gli studi sull’occupazione segnalano da tempo, in Piemonte non meno che in numerosi paesi occidentali, l’emergere di una modificazione
strutturale nella composizione della popolazione: un calo del peso relativo dei giovani e un aumento del peso degli adulti d’età centrale e matura (dai 40 ai 60 anni). È
questo un fenomeno per molti versi differente, più rilevante in termini quantitativi, e
forse più problematico in termini qualitativi, rispetto a quello più noto dell’aumento
degli anziani. Anche quest’ultimo, peraltro, viene spesso definito in termini troppo
convenzionali: di esso si prevedono e si paventano soprattutto le conseguenze in
termini di spesa previdenziale, sanitaria e assistenziale, perdendo di vista le opportunità positive di apertura di nuovi contenuti delle età mature che le mutate caratteristiche oggettive e soggettive dei nuovi anziani rendono possibili.
Quello in atto è un cambiamento nella composizione per età (e sesso) che investe in
primo luogo la popolazione compresa nelle età attive, da cui ci si attende un contributo non solo persistente ma crescente al sostegno dell’attività economica e al funzionamento della organizzazione sociale. In entrambe le sfere il baricentro della
popolazione attiva si sposterà sempre più sulle classi adulte e mature sia in dipendenza del prolungamento delle aspettative di vita di tale gruppo di popolazione, sia
per sopperire a quanto si va inevitabilmente perdendo in termini di risorse umane in
conseguenza della drastica riduzione dei contingenti giovanili conseguita alla forte
riduzione dei tassi di natalità fra anni ottanta e novanta. Sulle persone in età matura,
dunque, si sposterà sempre più l’onere, non solo di mantenersi attive più a lungo di
prima, ma anche quello di saper diventare protagoniste dei processi di cambiamento e di innovazione: un compito tradizionalmente affidato al ricambio generazionale,
con meccanismi che non paiono più replicabili quando il numero dei figli diventa la
metà di quello dei genitori. In aggiunta, sulle stesse persone d’età matura – che
anche nella componente femminile saranno occupate assai più spesso e più a lungo
di prima – finirà per gravare anche l’onere di “prendersi cura”, direttamente o indirettamente, di un numero crescente di persone d’età anziana, fra le quali molte
saranno anche molto anziane.
Sui meccanismi attraverso cui questi fenomeni prendono forma nei diversi paesi e
sulle loro conseguenze e implicazioni sono da tempo in atto programmi di ricerca
consistenti sia a livello di organismi internazionali (es. OECD, ONU e UE) sia nell’ambito di importanti paesi (gli USA in primo luogo).
Nel lavoro di cui questo Quaderno dà conto si è realizzata un’approfondita attività di
ricognizione e di studio delle analisi condotte a livello internazionale sull’ageing: delle
conoscenze acquisite, delle valutazioni maturate e di alcune proposte di ricerca
empirica che sarebbe possibile mettere in campo nei prossimi anni.
In parallelo, l’IRES ha dato corso a una nuova fase della collaborazione in atto da
tempo con l’IRPPS del CNR, mirante a una ricognizione della dimensione regionale
dell’ageing a livello europeo, sia dal punto di vista della sua configurazione empirica
V
(quali le regioni più “invecchiate” e come), sia con riferimento alle policies che a vario
titolo siano state indirizzate alle diverse dimensioni dell’ageing (lavoro, formazione,
salute, partecipazione, discriminazione, loisir, ecc.)
Un terzo progetto in via di realizzazione si concentra invece sui sistemi e sulle metodologie formative, avendo particolare riguardo alla loro crescente destinazione a un
pubblico adulto, con finalità di riconversione professionale, oltre che di riqualificazione. Qui, come già nel primo lavoro ricordato, entrano in gioco questioni che attengono sia alla mutata definizione dei contenuti delle età, che si accompagna al mutamento del loro peso relativo nella popolazione, sia ai necessari cambiamenti o transizioni nelle identità degli individui, che connotano questa fase di trasformazione
della popolazione delle aree più avanzate del mondo.
Sempre nel campo della formazione, inoltre, è possibile collegare a una tematizzazione dell’ageing in una chiave non convenzionale (come quella proposta in questo
Quaderno di Ricerca), anche un altro filone di studio e ricerca dell’IRES, che ha trovato concreta realizzazione nell’inserimento del Piemonte nel Programma PISA dell’OCSE, orientato alla rilevazione delle competenze e abilità degli adolescenti in alcuni fondamentali campi: la lettura, la matematica, il ragionamento scientifico, il problem solving. Se l’ageing è un processo di cambiamento che si riflette su tutte le fasi della
vita, e non solo su quella anziana; e se anche le condizioni della vita in età anziana
dipenderanno sempre più da quanto si sarà saputo cambiare e acquisire nel corso di
tutte le altre età, ecco che, come ci spiega un importante studio dell’ONU, i primi
destinatari delle politiche per l’ageing diventano i giovani, ai quali devono essere fornite le capacità, l’allenamento e il passo giusto per sostenere una vita che, dopo
essersi trasformata in una corsa di fondo, tende ora a diventare più simile a una
maratona. Non una gara più lunga, ma proprio un’altra specialità.
Letta in questa chiave, dunque, anche la prosecuzione degli studi sulle competenze e
abilità di apprendimento dei giovani, che dalla disponibilità dei dati dell’indagine PISA
2003 potranno ricevere una forte spinta innovativa, potrà essere declinata in una prospettiva di lifelong learning e, per questa via, collegata in modo pertinente alla tematica dell’ageing come processo di trasformazione sociale che interessa tutte le età.
Sembra dunque poter prendere forma uno specifico programma di ricerche dell’IRES
che mira a esplorare da diversi punti di vista :
• l’emergere della problematica dell’ageing in Piemonte e i principali ambiti d’attività che ne vengono investiti;
• i principali settori di policy in cui pare più urgente o più utile operare per favorire
processi di adeguamento attivo che sappiano trasformare i cambiamenti in atto
nella popolazione in opportunità di sviluppo e qualificazione sociale del Piemonte.
Di questo programma il Quaderno che presentiamo vuole documentare una tappa
iniziale, ma importante.
Il Presidente dell’IRES
Avv. Mario Santoro
VI
Indice
Introduzione
1
Parte prima
L’invecchiamento della popolazione europea tra programmi di
ricerca e iniziative istituzionali: un percorso a tappe
Introduzione
1.1 Prima tappa. L’allarmismo: l’invecchiamento come minaccia
1.1.1 Un inquietante miglioramento annuncia il nuovo secolo
1.1.2 L’invecchiamento della popolazione mondiale
1.1.3 Lo scenario europeo
1.1.4 Invecchiamento demografico e prepensionamento
1.2 Seconda tappa. L’invecchiamento attivo: una prospettiva di
adattamento
1.2.1 Un passo avanti
1.2.2 Le prime ricerche sul fenomeno della discriminazione dei
lavoratori anziani
1.2.3 Il tema del “lavoro di cura” nel processo di invecchiamento
1.2.4 Il contributo di ricerca dell’OECD
1.2.5 L’esperienza americana: alcuni contributi esemplificativi
1.2.6 Le attività di studio e le raccomandazioni dell’ILO (International
Labour Organisation)
1.2.7 Alcune prassi europee: le proposte governative in alcuni paesi
dell’UE
1.3 Terza tappa. Una società per tutte le età: un progetto
d’innovazione sociale
1.3.1 Anno Internazionale delle Persone Anziane: il lancio di una
nuova prospettiva sull’ageing
1.3.2 La traduzione in Europa
1.3.3 Una prospettiva molto promettente
Parte seconda
Il contributo della sociologia ai temi dell’età e dell’invecchiamento
Introduzione
2.1 Il concetto di età
2.2 Due approcci fondamentali della sociologia dell’età
2.2.1 L’approccio socio-psicologico e culturale
2.2.2 L’approccio storico e di coorte della stratificazione per età
2.3 La sociologia del corso di vita
VII
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59
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67
67
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75
2.4 Il processo di istituzionalizzazione e di de-istituzionalizzazione
dei corsi di vita
2.5 Le politiche dei corsi di vita
2.5.1 Due specifici contributi
2.6 Alcuni utili suggerimenti per le analisi sul processo di
invecchiamento
80
83
83
88
Parte terza
Problemi aperti e indicazioni per un programma di ricerca empirica
3.1 Problemi aperti, o meglio: apertura dei problemi
3.2 Domande e ipotesi per possibili percorsi di ricerca
93
94
101
Riferimenti bibliografici
107
VIII
“Più a lungo rimaniamo attaccati a idee logore, più queste ci influenzano negativamente, agendo come patologia. La patologia principale della vecchiaia è l’idea che
ne abbiamo”
J. Hillman
La forza del carattere, 2000
“Noi abbiamo bisogno di un ‘pensiero senza età’ (ageless thinking) – e questo
richiede un nuovo modello mentale, una nuova finestra attraverso la quale guardare
a tutte le cose. Per secoli la gente ha visto il mondo come se fosse piatto, e tutto
era spiegato nei termini di un mondo piatto. Quando si dimostrò che il mondo era
tondo, si svilupparono nuovi tipi di pensiero, di strutture mentali, di termini e di
immagini per rappresentare le cose. Analogamente, vedere l’invecchiamento come
un processo che interessa tutto il corso della vita e che coinvolge tutta la società –
non come un fenomeno che riguarda solo le persone anziane – richiede un salto nel
modo di pensare”
“Le abilità di cui si dispone nel corso dell’età avanzata hanno la loro genesi nell’età
giovane. Molti dei giovani d’oggi posso aspettarsi di vivere più a lungo dei loro predecessori, ma in circostanze molto diverse dalle loro. Prevedendo una esistenza più
lunga, i giovani possono essere incoraggiati a pensare alla vita futura come a una
maratona, che richiede un particolare tipo di preparazione e un certo ‘passo’ nella
accumulazione del ‘capitale’ e delle risorse necessarie”
United Nations
New Age for All Ages, 2003
(trad. L. A.)
IX
INTRODUZIONE
L’invecchiamento fra paure e rimozioni
Nonostante si registri un aumento rilevante nella durata della nostra vita, la sensazione di fondo che se ne ricava non è sostanzialmente positiva.
Tutti gli studi illustrano la stretta relazione che esiste fra l’aumento delle speranze di
vita e il maggior livello di benessere delle popolazioni. Per molti decenni il progressivo allungamento delle speranze di vita, registrato nei paesi economicamente avanzati, si è trovato associato a molti trend di crescita e di espansione economica, quali
l’aumento dei livelli di istruzione e della partecipazione al mercato del lavoro, il miglioramento delle condizioni di salute, il consolidamento dello stato sociale. Eppure, il
livello delle preoccupazioni è così insistente da confondere la consapevolezza delle
trasformazioni sociali che ne sono implicate: di conseguenza, l’invecchiamento viene
affrontato con scarse dosi di immaginazione sociale.
Il fatto è che gli stessi stati sociali, nati su un presupposto di forte natalità, prevedevano alla base dei loro meccanismi di funzionamento un equilibrio intergenerazionale. Inoltre, la forte accelerazione del cambiamento demografico, dovuto ai mutamenti nei tassi di natalità, di mortalità e dell’immigrazione, con un saldo nettamente sbilanciato verso una maggiore incidenza delle persone più anziane, si è verificata in
coincidenza con processi di modificazione strutturale dell’economia e del lavoro,
incrementandone le difficoltà di gestione.
Alcune conseguenze si riflettono già nell’immediato: la popolazione che lavora sta
invecchiando e le coorti più giovani che entrano nel mercato del lavoro sono numericamente inferiori a quelle che ne escono. La disoccupazione colpisce anche i lavoratori più anziani e meno qualificati, e molti giovani sono tenuti lontani da un’occupazione stabile e sicura; di conseguenza la sostenibilità finanziaria dei sistemi di protezione sociale è messa in crisi. Altre conseguenze si registreranno in un arco di tempo
più lungo, rendendo ancora più complicato applicare strategie capaci di fronteggiare
coerentemente domande attuali e dinamiche future.
Il tempo della vita umana disponibile per il lavoro aumenta, almeno teoricamente,
mentre diminuisce il lavoro e se ne trasformano contenuti, luoghi e modi di erogazione. La scansione del corso della vita segnalava che nel 1970 si lavorava in media
45 anni con 15 anni di pensionamento, mentre oggi i valori sono rispettivamente di
40 e di 20.
Nel 2020, i demografi ci ricordano che la generazione del baby boom, nata negli anni
sessanta, raggiungerà i 60 anni e aumenterà l’incidenza delle pensionate e dei pensionati rispetto alla popolazione attiva. Nel frattempo, procederà la riduzione generalizzata dei gruppi d’età giovanili, in particolare nelle aree del Mediterraneo, Italia in testa.
Ciò che appare comune ai paesi del mondo occidentale è la difficoltà di gestire in
maniera più integrata i fenomeni implicati dall’allungamento della vita umana con le
trasformazioni in corso nell’economia e nel lavoro.
1
Le nostre società stentano a reagire. Sul piano culturale, si nota una difficile legittimazione dell’invecchiamento sociale, resa evidente dall’approccio alla vecchiaia
come
età
separata
e
dalla
quotidiana
contrapposizione
di
immagini
dell’anziano/anziana dai tratti fortemente giovanilistici con le immagini del vecchio
povero e isolato. Il profilo dell’azione istituzionale è spesso improntato al paradosso
della “creazione di una vecchiaia artificiale in società demograficamente senescenti”1, come avviene col ricorso massiccio ai prepensionamenti per fronteggiare crisi
occupazionali a livello aziendale.
Il tema dell’ageing – insieme a una definizione tendenzialmente riduttiva – sembra
dunque scontare un’attenzione sgomenta e una forma di rimozione collettiva, quando sarebbe necessario assumere un quadro teorico più complesso, un approccio
meno specialistico e più trasversale a diverse discipline, nonché una prospettiva più
integrata sulle età – tutte le età, non solo quelle anziane – per poterne affrontare gli
aspetti contraddittori e coglierne i potenziali di innovazione.
Sul tema gravano tuttora molti pregiudizi e luoghi comuni: sono proprio i contributi
interdisciplinari (storico, sociale, economico, demografico, psicologico) a rivelare l’opacità sociale o il ritardo strutturale esistente nelle relazioni fra processi di invecchiamento demografico e risposte sociali, fra autorappresentazione dell’età e delle
tappe della vita e rappresentazioni collettive.
Per contro, dai processi di riforma avviati emergono le indicazioni più innovative, che
propongono di guardare al modo in cui la condizione di “svantaggio” demografico,
legata all’invecchiamento della popolazione, possa tramutarsi in punto di forza per
ripensare i modelli di funzionamento sociale.
Sotto l’impulso di autorevoli organismi internazionali, che si avvalgono di importanti
acquisizioni teoriche, è in corso un intenso dibattito il quale va diffondendo la consapevolezza che per affrontare le necessità del presente occorra adottare una prospettiva age integrated che rifletta meglio i mutamenti avvenuti, adeguandosi all’allungamento della vita, e che sia in grado di modificare il complesso di ruoli sociali
legati all’età.
In realtà, tutte le fasi e le età in cui scomponiamo il corso della vita sono in mutamento, coinvolte da quel processo di de-istituzionalizzazione dei corsi di vita che ha
pervaso le nostre società nel corso degli ultimi 20 anni. Non è solo la vecchiaia l’età
interessata dalle conseguenze dell’allungamento delle speranze di vita, ma tutte le
fasi dell’esistenza sono ridisegnate da ritmi e calendari, sia individuali che collettivi,
meno ordinati e prevedibili di quelli scanditi dal modello della società “industriale”.
La naturale successione delle fasi di crescita, maturità e vecchiaia è stata scomposta da nuove tappe biografiche e sono emerse nuove età e conseguenti mappe
mentali di riferimento. Tra l’infanzia e l’adolescenza è apparsa la preadolescenza; la
giovinezza si è allungata fino a comprendere i giovani adulti e l’età anziana si è dif1. M. L. Mirabile, F. Carrera, Lavoro e corsi di vita. L’invecchiamento sociale, Guida Ediesse, Roma, 2000.
2
ferenziata fra terza, quarta e ora quinta età. Non sono questioni secondarie, se pensiamo che a ogni età, e alle loro continue riformulazioni, sono associati dispositivi
sociali, di natura economica, e politiche di welfare e di cittadinanza in senso lato.
Il percorso di riflessione proposto in questo studio
Il presente lavoro si propone di offrire al lettore una panoramica internazionale degli
studi e degli orientamenti di policy sul tema dell’ageing, provando a confermarne l’interesse, fornendo un confronto fra diversi approcci e segnalando le tappe del processo di comprensione di una trasformazione sociale che chiede ai soggetti individuali e collettivi di adattarsi, ma anche di reagire, di inventare nuovi modi di vivere le
diverse età.
L’intendimento è quello di dare un’idea dell’ampiezza della letteratura e dei diversi
contributi che si interrogano sul processo di invecchiamento delle nostre società, la
quale testimoni della vastità degli aspetti analizzati, dei legami impliciti o espliciti
indagati, nonché delle rilevanti modificazioni nei modi di vedere e definire il processo
che nel corso degli anni sono emerse, creando le potenzialità per nuovi ambiti di
osservazione e nuovi approcci operativi.
La stessa parola “invecchiamento” contiene traccia delle diverse prospettive da cui
si è guardato all’aumento delle speranze di vita, identificando oggi un quadro più
complesso, che mette in relazione invecchiamento biologico e invecchiamento funzionale, invecchiamento individuale e sociale, demografico e relativo.
Come vedremo, l’accento su uno o più di questi termini connota un certo filone di
riflessione o inaugura una determinata stagione di interventi e politiche di riforma: la
parola “ageing”, che richiama a un processo di invecchiamento/modificazione che
coinvolge tutte la fasi della vita, ci pare quella al momento più idonea a riflettere la
complessità del tema e a imprimere una direzione più integrata alle politiche per le
società che invecchiano. Purtroppo, la lingua italiana non dispone di un’efficace traduzione, per cui siamo costretti a correre i rischi di riduttività e di fraintendimento
implicati dall’uso della parola “invecchiamento”.
Il presente rapporto si compone di tre parti.
Una prima parte è dedicata a una ricostruzione ragionata e sintetica dei percorsi di
ricerca e delle iniziative istituzionali con cui si è affrontato il tema dell’ageing a livello
internazionale.
Una seconda parte è rivolta invece a esplorare la letteratura sociologica più o meno
recente relativa ai temi dell’età e dei corsi di vita, per ricercare in essa contributi utili
alla comprensione teorica e all’analisi empirica degli attuali processi di ageing/invecchiamento.
Nella terza parte, infine, si tenta di tirare le fila delle conoscenze accumulate durante
il percorso di studio, al fine di focalizzare alcuni dei principali problemi che si aprono
alla discussione e alla ricerca, i quali potranno di essere declinati nei termini di possibili linee di indagine empirica da perseguire nel prossimo futuro.
3
Parte prima
L’invecchiamento della popolazione
europea tra programmi di ricerca e
iniziative istituzionali: un percorso a
tappe
Introduzione
Nella prima parte si propone una rassegna della letteratura e documentazione di
ricerca e di strategia politica, a livello nazionale, europeo e internazionale, riguardante il processo di invecchiamento delle nostre società (dei paesi del mondo economicamente sviluppato): un confronto complesso e dinamico, certamente non esaustivo,
ma che crediamo possa contribuire a mettere in luce la tensione e l’oscillazione tuttora esistenti fra approcci che evidenziano in particolare i rischi per una società che
invecchia e altre prospettive che si aprono alla considerazione di nuove opportunità
che una “società multigenerazionale” offre.
Abbiamo provato a organizzare il ponderoso materiale raccolto seguendo una linea
di ragionamento che identifica alcune “tappe” che, pur non presentandosi nella realtà
in successione secondo un ordine strettamente cronologico, rappresentano differenti modi – disposti in un ordine logico che va dall’allarme all’adattamento alla progettazione innovativa – di interpretare e di reagire al processo di invecchiamento. Come
evidente, le tappe individuate rappresentano un’operazione di semplificazione e
razionalizzazione ex post ad opera dei ricercatori, ma possono essere utili come
mappe di orientamento nei riguardi di un processo di cambiamento sociale dai tratti
ancora poco noti, dinamici, controversi e niente affatto univoci.
7
Ageing: verso un mondo più maturo
1.1 Prima tappa. L’allarmismo: l’invecchiamento
come minaccia
1.1.1 Un inquietante miglioramento annuncia il nuovo secolo
Se negli anni settanta si cominciò a parlare di “bomba demografica”, espressione
riferita alla crescita demografica dei paesi del cosiddetto “terzo mondo” e al precario
equilibrio fra le risorse della terra e la popolazione mondiale, negli anni novanta lo
stesso termine viene utilizzato per indicare un altro fenomeno di trasformazione
demografica, quello relativo al rapido invecchiamento della popolazione e ai conseguenti rischi che minacciano i paesi sviluppati.
Nel giro di pochi decenni si sono verificati alcuni fenomeni di trasformazione che
hanno modificato la struttura per età della popolazione, con una netta diminuzione dei
tassi di fecondità e un aumento delle speranze di vita che ha raddoppiato la popolazione degli ultrasessantacinquenni. Ne è risultato un generale disorientamento, al
punto da collegare l’allungamento della vita umana a una probabile “catastrofe”.
Nel contributo specifico dell’UNRISD2 alla seconda assemblea mondiale sull’invecchiamento (indetta dall’ONU a Madrid nel 2002), il relatore P. Lloyd-Sherlock scrive: “Il
processo di rapido invecchiamento della popolazione è un fenomeno globale. Ha
rappresentato un’importante tappa dei paesi sviluppati, e lo sta divenendo anche
nelle aree dei paesi in via di sviluppo. Vi è (però) una tendenza generale ad affrontare l’invecchiamento della popolazione come una ‘minaccia’ per il futuro. Più raramente è considerato come una delle grandi conquiste del secolo passato, anche se
una di quelle che hanno comportato una serie di sfide sociali, economiche, politiche
e culturali. L’invecchiamento della popolazione è insieme parte e conseguenza di un
più ampio processo di sviluppo e trasformazione”.
Il fatto che documenti ufficiali delle Nazioni Unite contengano questo genere di premesse sta a indicare che il tema dell’invecchiamento è contornato da immagini ambigue e condizionato da diffuse difficoltà a misurarsi con esso.
Come vedremo in modo specifico, i rapidi cambiamenti demografici legati all’invecchiamento hanno destato le maggiori preoccupazioni nel settore previdenziale e della
sanità, a seguito della diminuzione della partecipazione al lavoro retribuito (dovuto
alla posticipazione delle età di ingresso al lavoro e all’anticipazione di quelle di uscita, a seguito dei numerosi programmi di prepensionamento) e all’incremento della
spesa destinata alle pensioni, finendo per sovrapporre termini che in realtà designano solo uno dei tanti significati del termine invecchiamento3.
In realtà, il termine “invecchiamento demografico” viene spesso riferito solo a un aspet2. United Nation Research Institute for Social Development.
3. Si trova una interessante scheda sulle definizioni di invecchiamento, da quello demografico a quello
funzionale e relativo, in M. L. Mirabile, F. Carrera, Lavoro e corsi di vita cit.
8
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
to del processo di ageing, quello che mette in relazione l’invecchiamento complessivo
di una popolazione con quello della sua componente attiva. Di conseguenza vengono
lasciati in ombra altri aspetti sociali, culturali, economici ed etici del cambiamento che
potrebbero rivelarsi, specialmente nel lungo periodo, non meno importanti.
Ma anche il rapporto invecchiamento-lavoro conosce diverse fasi in cui viene messo
a tema diversamente nei lavori di ricerca o posto come priorità nelle agende delle istituzioni pubbliche e governative.
A partire dagli anni ottanta una ricca documentazione di ricerche e di studi va a prevedere, con notevole precisione, gli sviluppi demografici nei primi anni del nuovo millennio: in particolare si segnalano cambiamenti nella struttura della popolazione in
età lavorativa, con una netta diminuzione della componente più giovane e un costante aumento delle persone fra i 50 e i 64 anni. In questa fase, viene indagato prioritariamente il tema dell’invecchiamento della manodopera, come problema di ageing
worforce, con uno stampo di tipo economicistico, o con analisi sulle condizioni fisiche e di salute dei “vecchi per il lavoro” che mettono in evidenza le minori capacità
di interagire con i processi di innovazione tecnologica.
Distinte e distanti sono le indagini sulle condizioni di vita degli anziani, che scontano
mediamente un’inquadratura un po’ stereotipata della persona anziana: giunta al traguardo, dipendente, passiva, bisognosa di cure, con scarsità di risorse. La terza età
è studiata come patologia. “Nella massima università americana, Harvard, gli unici
studi condotti sulla senilità riguardavano il morbo di Alzheimer, la questione sanitaria,
e le questioni etiche relative al consenso per staccare le macchine e dichiarare morto
il corpo privo di coscienza” (Friedan, 1984).
Eppure, già negli anni settanta nel nostro paese arrivavano i primi turisti americani
con i loro torpedoni, i vestiti e ancor più i capelli dai colori improbabili, disinvolti, “giovanili”. “Una immagine di età anziana che allora appariva, in un’Italia in cui la gerarchia dell’età era netta persino nei modi di comparire, poco dignitosa. Colpiva la
voglia di divertirsi di questi arzilli turisti” (Saraceno, 2003).
Nel campo delle policy, le risposte all’invecchiamento della popolazione lavorativa si
intrecciano con le crisi occupazionali nel corso degli anni ottanta, che hanno visto il
ricorso generalizzato, in Europa come negli Stati Uniti, a vari meccanismi di prepensionamento. Se inizialmente gli schemi di prepensionamento servono per sostenere
le uscite di coloro che hanno disabilità o invalidità, successivamente l’uscita precoce
dal lavoro, che comporterà una drastica diminuzione dei tassi di attività delle persone fra i 55 e i 64 anni, diviene “il risultato di una azione congiunta delle politiche occupazionali aziendali, delle più generali politiche del lavoro e delle politiche previdenziali” (ISFOL, 2003).
Se la tappa dell’allarmismo si distingue, alla luce delle consapevolezze odierne, come
stagione delle risposte onerose, urgenti ma parziali, i meccanismi messi in moto dalle
policy, dagli interventi di soggetti pubblici e privati (e le stesse strozzature economiche prodotte da quegli interventi) hanno favorito il sopraggiungere di una seconda
9
Ageing: verso un mondo più maturo
fase, che ha inaugurato nuovi approcci teorici per una diversa formulazione dei problemi e delle risorse da attivare per affrontarli.
Di seguito proponiamo un sintetico richiamo ai dati di fatto sulla base dei quali la
visione più problematica dell’ageing ha preso forma negli anni novanta.
1.1.2 L’invecchiamento della popolazione mondiale4
Nel recente passato la popolazione mondiale ha conosciuto una inarrestabile transizione da una situazione di alta natalità e elevata mortalità a un’altra caratterizzata da
bassi indici di natalità e mortalità. Al cuore di questa transizione – come suo segno e
risultato – vi è l’aumento del numero e della proporzione delle persone anziane. Simile crescita non si era mai verificata nella storia mondiale.
Questa recente rivoluzione demografica è destinata a continuare per tutto il secolo.
Le sue caratteristiche possono essere così riassunte:
•
Nell’ultima metà del XX secolo si sono aggiunti circa 20 anni all’aspettativa media
della vita, portando il dato mondiale all’attuale durata di 66 anni. Ovviamente le differenze fra le regioni del mondo sono considerevoli: a 60 anni, in quelle meno sviluppate un uomo ha davanti a sé ancora 14 anni di vita e una donna 16; in quelle più
sviluppate, un uomo ha aspettative di vita di ancora 18 anni e una donna di 22.
•
Attualmente una persona su dieci ha 60 e più anni; nel 2050 sarà una su cinque
e nel 2150 una su tre.
•
La stessa popolazione anziana è soggetta a invecchiamento: le persone con 80 e
più anni sono il segmento che è cresciuto più velocemente. Essi rappresentano
attualmente l’11% delle persone di 60 e più anni, e cresceranno fino al 19% nel
2050. Anche il numero dei centenari è destinato ad aumentare, dalle 145.000 presenze (circa) del 1999 ai 2,2 milioni del 2050.
•
L’impatto dell’invecchiamento della popolazione è sempre più evidente negli indici di dipendenza, ovvero nel rapporto fra persone anziane (65 anni e oltre) e popolazione attiva (15-64 anni). Tra il 2000 e il 2050 l’indice di dipendenza è destinato
a raddoppiare nelle regioni più sviluppate del pianeta e a triplicare in quelle meno
sviluppate. Le conseguenze di questa configurazione diventano pertanto un’area
di urgente interesse per le ricerche sociali e il dibattito pubblico.
•
La maggioranza delle persone anziane è rappresentata da donne (il 55%). Tra i
più anziani, le donne rappresentano il 65%.
•
Le differenze fra le diverse regioni del mondo sono assai rilevanti: le persone con
60 e più anni costituiscono un quinto della popolazione europea, ma solo 1 su 20
in Africa.
4. The Ageing of the World’s Population. Fonte: United Nations Secretariat, Population Division, Department
of Economic and Social Affairs, 2000.
10
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
•
Il ritmo di invecchiamento della popolazione nei paesi in via di sviluppo, però, è
più rapido rispetto a quello dei paesi sviluppati; pertanto i primi avranno meno
tempo rispetto ai secondi per adattarsi alle conseguenze dell’invecchiamento
della popolazione.
•
La maggioranza della popolazione anziana mondiale vive nelle aree urbane (51%).
Nel 2050 la percentuale è destinata a crescere fino al 62%, sebbene esistano
notevoli differenze fra i paesi più e meno sviluppati. Nei paesi sviluppati il 74%
delle persone anziane risiede nelle aree urbane, mentre nei paesi meno sviluppati, prevalentemente rurali, la percentuale è del 37%.
1.1.3 Lo scenario europeo5
La popolazione dell’Europa raggiungerà in questi anni il suo valore massimo (nel
2003 la popolazione dell’UE è di 379,6 milioni di abitanti, terza potenza demografica
dopo la Cina, 1,279 miliardi, e l’India, 1,038 miliardi) e poi inizierà a diminuire gradualmente. Nello stesso tempo assisteremo a significativi cambiamenti nella struttura delle età. Le nostre società conteranno fra breve una percentuale molto più alta di
anziani e una molto inferiore di persone in età lavorativa. Questi cambiamenti derivano da due fattori:
•
Un marcato aumento della longevità: fra il 1960 e il 1995 l’aumento dell’aspettativa di vita media dei cittadini dell’UE è stato di otto anni per gli uomini e di sette
per le donne. Si tratta di una delle principali conquiste dell’ultima parte del XX
secolo.
•
Gli indici di fecondità elevati nei primi decenni del dopoguerra sono stati seguiti da una considerevole diminuzione negli ultimi due-tre decenni in tutti i paesi
dell’UE.
Nella figura sottostante sono evidenziati i cambiamenti stimati per il periodo 19952015, a fronte di ciò che si è verificato nel periodo precedente (1975-1995). Il gruppo
di età 15-29, in cui si trovano i giovani che entrano per la prima volta nel mercato del
lavoro, diminuisce del 16%, con una perdita di 13 milioni di unità. Il gruppo di età 5064 anni aumenta di oltre 16 milioni di unità (26%), mentre l’aumento delle persone
che raggiungono l’età di pensionamento (65 e oltre) e dei più anziani (80 e oltre) si
avvicinerà rispettivamente al 30% e al 40%.
Per l’insieme dei paesi, le cifre riferite alle speranze di vita raggiungono un livello record,
di 81.4 anni per le donne e 75,3 anni per gli uomini, contro il 72,9 e il 67,4 del 1960.
La migrazione netta è la componente più importante dell’evoluzione demografica
dell’Unione Europea dal 1989. Nel corso del 2001 ha aumentato la popolazione di
5. Commissione delle Comunità Europee, Verso un’Europa di tutte le età. Promuovere la prosperità e la
solidarietà fra le generazioni, Bruxelles, 21 maggio 1999.
11
Ageing: verso un mondo più maturo
Figura 1. Cambiamenti demografici nei principali gruppi di età: paragone fra il 19751995 e il 1995-2015 nei paesi dell’Unione europea
18 Mio
20%
20
15
7,8 Mio
14%
10
5
0
-5
11,5 Mio
25%
7 Mio
9,4%
3 Mio
4%
-17,5 Mio
-21%
0,6 Mio
0%
16,5 Mio
26%
17 Mio
30,7%
5,5 Mio
39%
-4,8 Mio
-7%
- 10
- 15
-13 Mio
-16%
- 20
0-14
15-29
1975-1995
30-49
50-64
65+
80+
1995-2015
Fonte: fino al 1995, osservazioni; per il periodo 1995-2015, scenario di massima a cura di Eurostat
circa 1,16 milioni di abitanti, che corrispondono ai tre quarti della crescita complessiva (Eurostat, 20036).
I flussi migratori extracomunitari possono però soltanto rallentare parzialmente il processo di invecchiamento della popolazione: l’immigrazione dovrebbe superare i 4
milioni di unità all’anno dopo il 2005 per compensare l’effetto di invecchiamento delle
generazioni del baby boom.
1.1.4 Invecchiamento demografico e prepensionamento
La trasformazione demografica nei paesi occidentali ha avuto inizio a metà degli anni
sessanta, producendo maggiore confusione e disorientamento nelle società in cui
più velocemente si sono verificati i fenomeni sia dell’allungamento delle speranze di
vita sia della caduta dei tassi di natalità, come nell’Europa meridionale e in particolare in Italia7.
Inoltre, l’invecchiamento demografico si è trovato associato ad altre strutturali modificazioni nel campo dell’economia e del lavoro, alla diminuzione dei tassi di occupa-
6. Eurostat, The Statistical Guide to Europe, 1991-2001, 2003.
7. Nelle classifiche preparate dall’ONU in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sul tema
dell’invecchiamento, l’Italia è in testa alla classifica mondiale quanto a percentuale di persone con più di 60
anni (un quarto del totale, contro un quinto per il totale dell’Europa).
12
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
zione soprattutto maschili (posti di lavoro nell’industria), alle nuove forme di flessibilità prodotte dai processi di terziarizzazione, a una elevata disoccupazione giovanile,
all’aumento dell’occupazione femminile, alla crisi dello stato sociale8 che hanno prodotto una serie di azioni istituzionali fortemente contraddittorie nei confronti delle
spinta demografica: il cosiddetto paradosso dell’invecchiamento funzionale della
manodopera in società demograficamente senescenti9. In molti paesi economicamente avanzati la crisi occupazionale degli anni ottanta, che ha investito in modo
particolare i giovani e i lavoratori più anziani, ha prodotto come risposta un ricorso
generalizzato allo strumento del prepensionamento, nel tentativo di bilanciare il rapporto fra domanda e offerta di lavoro. Il paradosso si riferisce al fatto che si è creata
la vecchiaia come età separata dal calendario della vita, una distinzione che ha determinato un ampliamento della vecchiaia in senso lato e nello stesso tempo ha accelerato artificialmente la vecchiaia di quelli che vengono definiti “vecchi per il lavoro”.
Nel nostro paese il tasso di occupazione dei maschi di età compresa fra i 55 e i 59
anni è pari al 50,8% e nella classe di età successiva, quella fra i 60 e i 64 anni, è inferiore al 30% (Eurostat, 2000), a fronte di un dato della disoccupazione giovanile
ancora tra i più alti d’Europa10. In Francia e in Olanda il tasso di occupazione maschile fra i 55 e i 65 anni è sceso, nel periodo 1970-1990, dal 75% al 43%, in Germania
dal 79% al 42% e nel Regno Unito dall’87% al 63%.
Ovviamente, la politica dei tagli occupazionali, in particolare dei lavoratori meno
istruiti e qualificati, ha seguito itinerari diversi in relazione alle diverse configurazioni
dei regimi di welfare di appartenenza, determinando un ventaglio di politiche e di
interventi specifici che hanno generato forti diseguaglianze fra coloro che appartenevano ai segmenti forti del mercato del lavoro (ove erano presenti piani concordati di
prepensionamento) e coloro che si sono trovati esposti singolarmente alla difficile
competizione con la manodopera giovanile e alle discriminazioni basate sull’età presenti nella cultura del lavoro e nelle strategie di impresa. Inoltre, i diversi itinerari delle
politiche governative hanno prodotto una “moltiplicazione delle posizioni intermedie,
spesso transitorie, fra stato di attività e stato di pensionamento”11.
La fuoriuscita precoce dal lavoro, attraverso politiche di prepensionamento, è stata
più ampiamente utilizzata nei paesi con un regime di welfare “corporativo”: in Italia ha
rappresentato quasi l’unica alternativa, data la caratteristica del sistema di sicurezza
sociale, in cui la tutela risulta associata al lavoro, al prevalere di famiglie con un solo
lavoratore e a misure passive di sostegno del reddito. Nel Nord Europa le misure cui
8. Gosta Esping-Andersen, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino, Bologna 2000.
9. G. Linfante, A. Scassellati, Prolungamento della vita attiva e politiche del lavoro, ISFOL, Franco Angeli,
Milano, 2002.
10. La rilevazione dell’OCSE del 2002 segnala l’Italia come il paese dove la disoccupazione giovanile è la più
alta fra le nazioni sviluppate: il 27,8% a fronte del 14% nell’Europa a 15 (Rapporto CNEL 2003).
11. G. Linfante, A. Scassellati, ISFOL, Prolungamento della vita cit.
13
Ageing: verso un mondo più maturo
si è fatto maggior ricorso, per scopi analoghi, sono state le pensioni di invalidità e di
disabilità. A ciò si aggiunga che diversi governi in Europa hanno proposto il prepensionamento, soprattutto dei lavoratori meno qualificati e nei settori più colpiti dalla
crisi, come una soluzione al problema della disoccupazione giovanile, sperando in un
travaso fra gli anziani che uscivano precocemente e le giovani generazioni che ne
prendevano il posto (in Francia ad esempio).
Gli svantaggi che i lavoratori anziani hanno incontrato in questi ultimi decenni nel
mercato del lavoro sono inoltre da mettere in relazione con diffuse ristrutturazioni
industriali e innovazioni tecnologiche, con conseguenti strategie di ridimensionamento e ridisegno organizzativo che hanno certamente concorso all’uscita precoce di
molti (soprattutto uomini) lavoratori prossimi alla pensione.
L’estensione del prepensionamento avviene in Italia sulla base di norme varate agli
inizi degli anni ottanta per venire in aiuto a settore produttivi in crisi, come la siderurgia: le norme avranno pertanto caratteristica di settore, senza una normativa nazionale di riferimento. Essendo connessa soprattutto alle ristrutturazioni aziendali, la
leva del prepensionamento sconta nel nostro paese una grande differenziazione circa
“le opportunità settoriali, temporali e individuali” di utilizzo e pertanto si presentano
tanti e diversi profili di lavoratori prepensionati12. L’uscita dal lavoro di centinaia di
migliaia di lavoratori cosiddetti “over 50” ha finito per rappresentare, in molti contesti, una opzione gradita a tutti gli attori in campo: le imprese, i lavoratori, i loro rappresentanti sindacali e i governi. Ha però allontanato sia una consapevolezza adeguata della posta in gioco connessa ai cambiamenti demografici, sia l’assunzione di
una disposizione attiva a contrastarne gli effetti negativi e a coglierne le opportunità.
12. Come mettono in evidenza alcune ricerche condotte su campioni di prepensionati all’Olivetti nell’area del
Canavese - Torino, (Di Monaco, 1993), su un campione di iscritti INPS del Veneto (Belussi, 1992) e su un
campione di prepensionati alla Breda siderurgica di Sesto San Giovanni (riportata nelle schede nel libro
curato da M. L. Mirabile, F. Carrera, L’invecchiamento sociale cit).
14
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
1.2 Seconda tappa. L’invecchiamento attivo: una
prospettiva di adattamento
1.2.1 Un passo avanti
L’assunzione di un atteggiamento diretto a fronteggiare in termini positivamente adattivi il cambiamento segna l’avvio di una seconda fase delle relazioni con l’ageing, contraddistinta anch’essa da molti segnali contraddittori (come evidenziano le ricerche di
vari organismi, quali OECD, ILO, Fondazione Europea di Dublino, Cost A 13, ISFOL).
Come scrive Gaullier: “il lavoratore anziano è una creazione recente, prodotto dalla
società industriale e da essa rifiutato”13.
Solo da pochi anni si è diffusa una chiara lettura delle conseguenze di quella prima
ondata di risposte al problema dell’invecchiamento delle nostre società, quella che
abbiamo definito la “tappa dell’allarmismo”: la crisi generale dei presupposti, dei criteri e della sostenibilità economica dei sistemi di protezione sociale europei ha messo
infatti in seria difficoltà quei meccanismi definiti “passivi”, cioè non basati sul recupero delle potenzialità di partecipazione attiva.
La popolazione lavorativa, si legge in un documento OECD14, ha continuato a crescere, nonostante il forte calo della quantità di anni che gli uomini trascorrono al lavoro,
grazie soprattutto all’aumento della partecipazione lavorativa delle donne e alla maggiore numerosità di alcune coorti che si sono avvicendate sul mercato del lavoro (le
generazioni del cosiddetto “baby boom”). Ma nei prossimi anni, quando le generazioni del baby boom raggiungeranno l’età pensionistica e in conseguenza dei fenomeni demografici quali l’allungamento delle speranze di vita e la contrazione dei tassi
di fecondità avranno effetto evidente, assisteremo a una diminuzione della popolazione attiva che produce beni e servizi a fronte di una crescita della popolazione
anziana che includerà molte persone pensionate.
Espandere la qualità e la gamma delle opportunità di lavoro disponibili alle persone più
adulte diventerà pertanto uno degli obiettivi più importanti delle nostre società: il fenomeno dell’invecchiamento demografico richiederà di operare radicali modifiche ai sistemi pensionistici per eliminare o ridurre gli incentivi al pensionamento anticipato. Lavorare più a lungo implica dover rivedere i criteri di ricerca del personale e la politica dei
salari, che attualmente hanno un picco di crescita attorno ai 50 anni per poi declinare.
La produttività dei lavoratori anziani, inclusa la loro capacità di apprendimento di nuove
abilità, sarà un importante fattore per determinare la loro impiegabilità e i loro guadagni.
Come testimoniato dalle indagini e dagli approfondimenti considerati in questa sede,
già all’inizio degli anni novanta, le attenzioni vengono spostate verso il problema del-
13. X. Gaullier, La deuxième carrière. Ages, Emplois, Retraites, Editions du Seuil, Parigi, 1998.
14. OECD, Reforms for an Ageing Society, Social Issues, 2000.
15
Ageing: verso un mondo più maturo
l’eguaglianza di opportunità e di trattamento nel lavoro per la manodopera che invecchia (Raccomandazione ILO n. 162).
Se nella prima tappa il rapporto invecchiamento-lavoro viene affrontato spostando i
lavoratori più adulti fuori o ai margini del mercato del lavoro, ora le linee guida sull’occupazione dei paesi economicamente avanzati sono orientate alla employability
of older workers: mantenere l’impiegabilità dei lavoratori più anziani.
Il mutamento di prospettiva è alquanto preciso, profondo e occorre prevedere che
avrà bisogno di tempi abbastanza lunghi perché i processi di riforma che ne derivano siano gestiti e sostenuti15.
Sebbene l’inversione di tendenza sia da riferirsi a diversi fattori – quali l’andamento
demografico, che conferma le previsioni dell’invecchiamento della forza lavoro, i problemi del disavanzo pubblico, le criticità dei sistemi sociali, la sostenibilità futura dei
sistemi previdenziali, la difficile ripresa dell’economia, la marginalizzazione della
manodopera adulta che ne è conseguita – la nuova prospettiva trascina e fa emergere una maggiore ricchezza nell’approccio al fenomeno dell’invecchiamento. Almeno sul piano teorico.
Nel campo delle politiche occupazionali ci si interroga su come favorire il passaggio
da politiche passive a politiche attive del lavoro, sulla necessità di politiche di formazione continua, su come favorire l’ingresso dei più adulti in mercati occupazionali più
discriminanti, come promuovere la conciliazione fra impegni professionali e impegni
di cura familiari.
Le ricerche portano in evidenza diverse best practices di valorizzazione del capitale
professionale e relazionale dei lavoratori più anziani. La stessa “capacità di lavoro”
viene intesa in modo più complesso come pacchetto di risorse condizionato dall’ambiente di lavoro. La formazione continua viene ad assumere un ruolo decisivo per
la valorizzazione della manodopera più adulta e si comincia a parlare di lifelong learning, di apprendimento per tutte le età, anche per preparare i più giovani alle varie
forme di alternanza fra lavoro, formazione, responsabilità di cura, tempo libero.
Lo stesso processo di pensionamento viene interrogato come fase della vita in cui
molte transizioni sono interrelate: da lavoro a tempo libero, da guadagno a pensione;
ma anche connesse con mutamenti nei ruoli e nelle strutture familiari e nelle strategie di corso di vita.
Proprio un nuovo approccio allo studio del cambiamento sociale, quello sociologico
del “corso di vita”, si è rivelato utile per adottare una prospettiva teorica più attenta
alle novità del processo di invecchiamento: il processo evolutivo non è più limitato
agli anni della giovinezza, ma è visto come continuo; certe tappe non si susseguono
più in modo lineare, ma si ripresentano nel corso del tempo, sfasando le coincidenze fra età biografica, età biologica, età sociale (è una prospettiva che approfondiremo nella seconda parte di questo studio).
15. OECD Ibidem.
16
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
Le ricerche sulle persone anziane rivelano un universo composito, popolato da
donne e uomini con storie diverse, protagonisti in differenti modi di quei processi
di cambiamento, quali l’accesso alla scolarizzazione, l’esposizione ai mezzi di
informazione, le occasioni di formazione, che ne hanno arricchito la gamma delle
risorse e dei bisogni.
Più anziani vivono più a lungo, in condizione di salute abbastanza buone da potersi
prendere cura di altri: le donne, in particolare, si rivelano la risorsa neppure tanto
nascosta di un welfare largamente imperfetto. Le prime ricerche sul tempo libero
delle persone in pensione rivelano non solo le differenze legate al genere, ma anche
che la maggior parte della gente spende da pensionato il proprio tempo come faceva prima del pensionamento nel tempo libero e nei weekend.
Le indicazioni per un invecchiamento attivo (active ageing) dei documenti dell’Unione Europea cominciano a orientare le politiche di riforma istituzionali (come vedremo
nell’analisi di alcuni paesi), per spostare l’attenzione dalle singole azioni a “strategie
di processo”, per adottare direzioni di riforma più ampie, costantemente supportate
da raccolta di dati, da analisi di approfondimento e da un continuo confronto con le
esperienze di altri paesi.
Si fa strada l’idea che il profilo di un’ageing society dovrà emergere attraverso processi di riforma capaci di imprimere un cambiamento in più direzioni, accompagnati
da generose campagne promozionali e di sensibilizzazione per contrastare gli effetti
delle discriminazioni basate sull’età in tutte le loro forme.
Certamente, i nuovi e diversi atteggiamenti dei governi e l’attenzione dei vari livelli legislativi verso i lavoratori anziani sono molto recenti e fragili (come rivela lo
studio a livello comparativo dell’OECD), e non si sono finora tradotti in orientamenti chiari e ben supportati da risorse: in molte realtà, come nel nostro paese, l’obiettivo generico di una valorizzazione delle manodopera più anziana convive con
una prassi aziendale e con un consenso sindacale verso la “rottamazione” della
manodopera più adulta; si innalzano le età pensionabili in assenza di politiche di
formazione e di mobilità, e in carenza di riforme coerenti sul cumulo dei redditi;
mancano politiche a sostegno dell’occupazione femminile e i servizi per la famiglia sono insufficienti16.
Le maggioranza delle imprese si rivela scarsamente interessata, quando non apertamente ostile, a investire per impostare una gestione strategica della forza di lavoro
che invecchia, per ridisegnare gli ambienti lavorativi e l’organizzazione del lavoro, per
assumere un codice di condotta contro le discriminazioni dell’età, per supportare le
lavoratrici e i lavoratori impegnati nel lavoro di cura, per promuovere la salute e la formazione a tutte le età (come ci indicano le ricerche realizzate in questi anni dalla Fondazione Europea di Dublino).
16. C. Saraceno, La conciliazione di responsabilità familiari e attività lavorative in Italia: paradossi ed equilibri
imperfetti, in “Polis”, n. 2, agosto 2003.
17
Ageing: verso un mondo più maturo
1.2.2 Le prime ricerche sul fenomeno della discriminazione dei
lavoratori anziani
Già a partire dalla metà degli anni ottanta diversi contributi teorici, a cura di studiosi
europei, avevano posto l’attenzione sui processi di de istituzionalizzazione dei corsi
di vita17, che influenzano in modo rilevante la costruzione dei corsi di vita individuali
e, in particolare, interrogano in modo del tutto nuovo il rapporto fra l’individuo, il lavoro e la società.
Negli stessi anni il tema all’attenzione sia degli studiosi che dei decisori politici sono
lo stato sociale e le diverse configurazioni in cui si è definita la risposta pubblica ai
vecchi e nuovi rischi del vivere (conferenza internazionale OECD: The Welfare State in
Crisis, 1981).
In questa cornice la relazione lavoro-invecchiamento si trova congiunta18 mentre l’attenzione si concentra sul ruolo giocato dal pensionamento e sulle sue anomalie, sviluppando tre filoni di approfondimento:
•
un’analisi congiunta delle politiche del lavoro, delle politiche socioprevidenziali e
delle politiche occupazionali degli anni ottanta-novanta, con particolare riferimento alle conseguenze dell’uscita precoce dei lavoratori anziani;
•
analisi del mercato del lavoro per verificare le controtendenze rispetto a questo
•
analisi e sviluppo delle possibilità di rafforzamento della manodopera più anziana.
processo;
Nel 1990, con la creazione dell’Observatory on Ageing and Older People da parte
della Commissione delle Comunità Europee, si avvia il primo studio comparativo
europeo sul tema delle discriminazioni dell’età. Nel rapporto viene indicata come una
delle aree prioritarie quella dell’attenzione alla variabile età in relazione alle possibilità
di impiego (le altre erano: reddito e tenore di vita; salute e sicurezza sociale, integrazione sociale).
Nel 1993, il Consiglio medesimo dichiara il 1993 “anno europeo degli anziani e della
solidarietà fra le generazioni” (decisione del 24 giugno 1992) e nel 1995 una Council
Resolution on the Employment of Older Workers dà al tema un rilievo particolare,
presentando i risultati del primo rapporto sulle discriminazioni verso i lavoratori dei
gruppi di età più adulti in Europa.
17. Sul tema si veda il contributo di C. Saraceno “Dalla istituzionalizzazione alla de-istituzionalizzazione dei
corsi di vita femminili e maschili?” al convegno Internazionale “I tempi, i lavori, le vite”, Torino, aprile 1991.
18. L’osservazione è di M. L. Mirabile in Lavoro e corsi di vita cit.
18
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
Scheda di approfondimento 1
Fondazione Europea di Dublino, 1993
Experience, Skill and Competitiveness: The Implications of an Ageing Population for the
Workplace
(Esperienza, competenza e competitività: le conseguenze dell’invecchiamento della
popolazione per i luoghi di lavoro)
Di grande interesse è il rapporto di ricerca della Fondazione Europea di Dublino19 predisposto in occasione dell’“anno europeo degli anziani e della solidarietà fra le generazioni”, che ha come obiettivo specifico l’analisi delle conseguenze dell’invecchiamento della
popolazione per i luoghi di lavoro.
La premessa mette da subito in chiaro la necessità di adottare un nuovo approccio al
tema dell’invecchiamento, spostando l’asse di discussione dal tema del costo e dello
svantaggio a quello del contributo e della risorsa per le società future. I rischi di esclusione delle persone che invecchiano sono elevati, acuiti in particolar modo dalla recessione
economica, dalla necessità di migliorare la competitività e la crescita economica in un
mercato globalizzato (Libro Bianco, 1993), dalla cultura industriale e dal fatto che il lavoro retribuito è considerato l’unica risorsa per l’identità sociale.
La principale preoccupazione del rapporto è ribadire che non c’è un’età specifica a partire dalla quale le persone diventano anziane, quindi occorre abbandonare la cornice cronologica per spostare l’attenzione sulla individuazione delle azioni preventive atte a favorire un contributo attivo di tutti i cittadini alla vita sociale ed economica.
L’evoluzione demografica (allungamento delle aspettative di vita, invecchiamento della
generazione del baby boom, caduta dei tassi di natalità) non sembrano aver avuto alcun
effetto sui datori di lavoro, la maggior parte dei quali sembrano essere assorbiti da preoccupazioni a breve termine di sopravvivenza economica. La carenza di manodopera
potrebbe però divenire drammatica se l’economia dovesse riprendere a crescere.
Quali conseguenze si prospettano sui luoghi di lavoro in relazione a questi processi di
esclusione e marginalizzazione della manodopera più anziana?
•
L’esclusione delle persone più adulte dalla popolazione attiva ha ridotto in maniera
semplicistica la questione dei lavoratori anziani a quella del loro ritiro dall’attività
(Gaullier, 1991)20. I datori di lavoro hanno così evitato la questione della gestione positiva dell’età all’interno della manodopera e la riconversione delle competenze.
19. M. Pearson, Experience, Skill and Competitiveness, The implications of an Ageing Population for the
Workplace, European Foundation for Living and Working Conditions, Dublin, 1993.
20. X. Gaullier, From the exclusion of older workers to a management of the ages in a company in S. Droit, F.
Guerins, “Ageing at work. Proceedings of a European Colloquium”, Paris, 12 giugno 1991.
19
Ageing: verso un mondo più maturo
•
L’anticipazione della pensione ha rafforzato l’idea stereotipata che i lavoratori anziani
siano meno produttivi (tema che vedremo anche nel rapporto ILO 2000).
•
Così, i lavoratori anziani che temono il licenziamento, e si sforzano di accrescere la
loro competitività, vanno incontro a disillusioni e demotivazioni.
•
Importanti conseguenze si hanno anche sulla spesa sociale per la salute: studi dimostrano che l’anticipo della pensione e la disoccupazione generano gravi problemi di
salute fisica e mentale.
•
Molte persone avranno pensioni più basse a causa della discontinuità e della brevità
della vita lavorativa, e aumenterà la quota di poveri fra le persone anziane.
Nonostante alcuni paesi europei (come la Francia) abbiano adottato misure legislative e
programmi per favorire il mantenimento degli anziani nel mondo del lavoro e vietare la
discriminazione fondata sull’età negli annunci per l’impiego, si registrano scarse applicazioni e generalmente i lavoratori anziani sono esclusi dai programmi di formazione21.
Quali proposte e quali raccomandazioni sono suggerite dal rapporto?
•
Sviluppo dell’adattabilità; l’adattabilità della forza lavoro anziana non si ottiene in una
notte. È essenziale che la gestione dell’età debutti precocemente, anche per superare stereotipi sull’invecchiamento.
•
Promozione della salute attraverso azioni diversificate – l’invecchiamento non segue gli
stessi ritmi per tutti – in favore dell’igiene e della sicurezza, dell’ergonomia, per prevenire
rischi di invalidità, programmi di esercizio fisico, con attenzione alle differenze di genere.
•
Una diversa organizzazione del lavoro, con nuove articolazioni orarie, partendo dal
presupposto che le capacità di apprendimento non diminuiscono con l’età, in quanto
la diminuzione della velocità di trattamento delle informazioni è compensata dall’esperienza22 (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1988 e 1993).
•
Far crescere una cultura della formazione permanente; in genere sia le istituzioni che
le parti sociali sono poco interessate al tema. I dati raccolti dimostrano che gli anziani apprendono rapidamente e dalla loro formazione le aziende traggono benefici come
dai giovani.
•
Favorire un dibattito su una nuova prospettiva del corso di vita, il ruolo del lavoro, del
tempo libero, per ridefinire le carriere professionali e gestire le discontinuità, non
come penalizzazioni, ma come risorse per la vita23.
21. Come emergeva nella ricerca di M. Kohli, presentata nel saggio “Organizzazione sociale e costruzione
soggettiva del corso di vita” in C. Saraceno (a cura di), Età e corso della vita, Il Mulino, Bologna, 2001.
22. World Health Organisation (WHO), Health Promotion for Working Populations. Report of a WHO Expert
Committee, Geneva, 1988. World Health Organisation (WHO), Ageing and Working Capacity. Report of a WHO
Study Group, Geneva, 1993.
23. Già nel 1985 in Italia fu presentata una proposta di legge dal titolo “Le donne cambiano i tempi” che ha
fra i principi ispiratori proprio questa lettura più composita dei tempi e più consapevole delle interferenze e
discontinuità fra le traiettorie di vita, intese come risorse strategiche per il vivere sociale. Cfr. L. Balbo (a cura
di), Tempi di vita. Studi e proposte per cambiarli, Feltrinelli, Milano, 1991.
20
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
In una inchiesta dell’Eurobarometro, promossa in coincidenza con l’anno europeo
degli anziani, la maggioranza dell’opinione pubblica europea rivelò di credere nell’esistenza di discriminazioni nei confronti dei lavoratori più anziani, sia nelle assunzioni che nei programmi di formazione e di promozione.
Sia il Libro Bianco adottato dalla Commissione nel 1993 che quello del 1994 riconoscono nell’esistenza di una forza lavoro che invecchia una delle questioni chiave da
affrontare per reggere le nuove sfide della concorrenza globale. Tuttavia, occorrerà
arrivare al Consiglio d’Europa del 1995 per trovare l’indicazione di misure specifiche,
riassumibili in due principi:
•
adattare la formazione professionale e le condizioni di lavoro alle caratteristiche
della manodopera che invecchia;
•
prevenire l’esclusione dei lavoratori anziani e garantire loro sufficienti risorse economiche.
Benché non vincolante, la risoluzione ebbe l’effetto di portare con maggiore convinzione l’attenzione dei governi nazionali sulle conseguenze dell’esclusione dei lavoratori anziani, promuovendo una migliore informazione e favorendo lo scambio di
“buone prassi”.
Ulteriore decisivo passo è rappresentato dall’articolo 13 del Trattato di Amsterdam
del 1997 che affida alla Commissione il potere di proporre azioni contro le discriminazioni, e dalle linee guida comunitarie in materia di occupazione (1999) in cui gli
older workers diventano uno dei gruppi sociali di cui promuovere la presenza e la
qualificazione nel mercato del lavoro.
Nel 1998 sempre la Fondazione Europea di Dublino pubblica una guida alle buone
prassi per abbattere le barriere dell’età nei luoghi di lavoro.
La guida delle buone pratiche si basa sui risultati di un progetto più ampio, il Combacting Age Barriers in Employment, coordinato dalla stessa Fondazione Europea
per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. A fianco delle azioni di ricerca e dei programmi di sperimentazione di buone prassi sulla relazione fra il processo
di invecchiamento e le condizioni di lavoro, prende forma un secondo filone di attenzione dell’Unione Europea che riguarda il tema della cura connessa all’invecchiamento della popolazione e le interdipendenze fra lavoro retribuito e lavoro familiare,
che troverà poi una formulazione più specifica nei temi della conciliazione fra tempi
di vita e tempi di lavoro (Working and Caring: Developments at the Workplace for
Family Carers and Older People, Ageing in the Community) nei documenti europei
dell’Anno Internazionale dell’Anziano (evento che riprenderemo più avanti).
21
Ageing: verso un mondo più maturo
Scheda di approfondimento 2
Fondazione Europea di Dublino, 1998
Managing an Ageing Workforce. A Guide to Good Practice
(Gestire una forza lavoro che invecchia. Una guida alle buone pratiche)
a cura di Alan Walker – University of Sheffield
La guida delle buone prassi, che raccoglie 155 azioni avviate in nove paesi, nell’European
Portfolio of Good Practice, si pone l’obiettivo di diffondere le iniziative che favoriscono il
mantenimento o la reintegrazione dei lavoratori anziani.
Le premesse del lavoro sono:
•
la struttura dell’età della forza lavoro sta cambiando rapidamente in tutti i paesi;
•
le aziende cominciano a registrare conseguenze negative dei pensionamenti anticipati;
•
vi è una crescente consapevolezza fra le aziende e le organizzazioni sindacali che,
limitando artificialmente, con le barriere dell’età, il campo dei candidati, si impedisce
la massimizzazione del potenziale di reclutamento;
•
alcune aziende ammettono che una organizzazione con un mix di classi di età risponde meglio al cambiamento.
Le cinque aree di intervento delle buone prassi sono:
•
assunzione
•
formazione, sviluppo e promozione
•
forme di flessibilizzazione del lavoro
•
disegno ergonomico dei posti di lavoro
•
cambiamento delle attitudini dentro le organizzazioni.
Sono inoltre indicate le raccomandazioni per rendere praticabili le buone prassi:
•
Ai datori di lavoro: sviluppare la consapevolezza nell’organizzazione, creando le condizioni per cui i lavoratori possano affrontare positivamente le loro carriere e l’invecchiamento.
•
Ai lavoratori: usufruire e avvantaggiarsi delle opportunità che le aziende mettono in
campo per la formazione e lo sviluppo professionale.
•
Alle organizzazioni sindacali: promuovere una maggiore consapevolezza dei temi dell’invecchiamento, introducendo nei contratti misure per rettificare gli svantaggi dei
lavoratori anziani.
•
Ai governi: promuovere politiche in quattro direzioni per combattere le discriminazioni dell’età: educazione per contrastare gli stereotipi, politiche dell’impiego per restare
o ritornare al lavoro, pensione e sicurezza sociale per disincentivare l’esclusione dei
lavoratori anziani, inclusione dei lavoratori anziani, incoraggiando i datori di lavoro a
mettere in campo azioni specifiche.
22
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
Nel 1999, sotto la presidenza finlandese del Consiglio d’Europa, si svolge a Turku la
conferenza dal titolo “Active Strategies for an Ageing Worforce” (Turku, Finlandia, 1213 agosto 1999 – atti a cura della Fondazione Europea di Dublino).
La conferenza, che ha visto la partecipazione di 140 fra istituzioni europee, organizzazioni sindacali e datoriali, ha esaminato lo sviluppo, il miglioramento e la valutazione di misure attive e strategie integrate per la popolazione lavorativa che invecchia.
Le aree politiche chiave che influenzano le prospettive dei lavoratori sono state individuate in: salute, cultura, pensioni, impiego.
Se da una parte i lavoratori sono diventati più consapevoli della necessità di migliorare la loro “impiegabilità” e le opportunità di carriera nella seconda parte della vita
lavorativa, dall’altra si rileva che l’andamento impresso dalle riforme pensionistiche e
dal mercato del lavoro è spesso contraddittorio rispetto a tali obiettivi e, inoltre, vi è
scarsità di informazione sull’efficacia delle varie misure adottate. Si indicano come
necessari sia approcci multisciplinari che coinvolgano tutte le parti sociali e gli stessi lavoratori, sia un riorientamento delle politiche, dei concetti e dei modi di pensare.
1.2.3 Il tema del “lavoro di cura” nel processo di invecchiamento
Nel dicembre del 1997 si svolge a Malta un meeting di esperti sul tema Care Giving
and Older Persons, Gender Dimension (Lavoro di cura e persone anziane, la dimensione di genere) promosso dalla Divisione per la Politica sociale e lo Sviluppo delle
Nazioni Unite in preparazione dell’Anno Internazionale degli Anziani.
Il presupposto è la consapevolezza che il lavoro di cura informale viene erogato principalmente dalle donne, ed è un impegno reso sempre più difficile, se non inconciliabile, dalla maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro. Il processo di invecchiamento, inoltre, vede una presenza maggiore delle donne fra le persone più longeve: considerato che coloro che sono più vecchi sono più bisognosi di cura, si rendono necessarie delle politiche di assistenza ai “curanti” delle famiglie, la maggioranza delle quali sono donne che invecchiano.
In tempi recenti, tuttavia, i governi, dovendo confrontarsi con i problemi di spesa
derivanti anche dall’aumento della popolazione anziana, tendono a ridurre le spese
sociali e a trasferire parte dell’assistenza pubblica verso le famiglie, il che significa
ancora principalmente alle donne.
Le aspettative verso le donne di mezza età circa le responsabilità di cura rischiano
così di risultare insostenibili, con il peso del doppio e triplo lavoro di cura verso
coniugi, figli, anziani, nipoti, e la carriera personale. Inoltre, se si analizza il processo
di invecchiamento da un prospettiva di genere, si nota un’altra contraddizione: le
donne, proprio in relazione alla loro maggiore longevità, spesso sono quelle che
restano senza cura.
Secondo lo studio dell’ONU, dunque, si pone come assolutamente necessario ripensare e ristrutturare il care giving rimuovendo la connotazione di genere e aggiungen-
23
Ageing: verso un mondo più maturo
do valore e riconoscimento al lavoro di cura. Quest’ultimo va ripensato come attività
multigenerazionale, creando la consapevolezza che in tutte le età si è insieme beneficiari e fornitori di cura.
Le raccomandazioni del gruppo di lavoro indicano le seguenti piste di azione, che
richiamiamo a scopo solamente indicativo:
•
politiche di supporto nei luoghi di lavoro per i curanti e i curati
•
sicurezza sociale
•
supporto alla carriera attraverso misure fiscali
•
servizi basati sulla comunità
•
ricerca
•
istruzione e addestramento
•
empowerment
•
prevenzione delle malattie e salute dei curanti e curati.
1.2.4. Il contributo di ricerca dell’OECD
“Espandere la qualità e la tipologia delle opportunità di lavoro disponibili alle persone anziane diventerà estremamente importante dato l’invecchiamento della popolazione nei paesi considerati”.
Nel 1998, la pubblicazione dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD) dal titolo Maintaining Prosperity in an Ageing Society (Conservare il
benessere in una società che invecchia) mette al centro della riflessione le conseguenze fiscali, economiche e sociali dei modelli di funzionamento delle nostre società, non
più ancorate a quei trend demografici e di partecipazione al mercato del lavoro che per
molte decadi hanno fornito i presupposti di base dello sviluppo di molti paesi.
I cambiamenti che caratterizzeranno l’offerta di lavoro nei prossimi anni saranno rilevanti anche sul piano qualitativo: ad esempio, sarà diverso il profilo scolastico dei
lavoratori anziani; la coorte di età fra i 45 e i 64 anni sarà nel 2015 assai più scolarizzata dei coetanei di oggi.
Secondo le ricerche del programma dell’OECD denominato IALS (International Adult Literacy Survey), le recenti tendenze nell’organizzazione del lavoro stanno aumentando l’importanza, nella prestazione professionale, delle competenze cognitive, come la capacità
di capire, manipolare e comunicare l’informazione simbolica. Queste capacità – a differenza di altre – hanno solo un modesto declino fra i 40 e i 65 anni: anche se, ovviamente, sono capacità che migliorano con l’esercizio e si deteriorano se non utilizzate.
La perdita del lavoro in seguito alle ristrutturazioni aziendali è stata relativamente alta
in tutti i paesi OECD: attorno al 10% del tasso annuale degli impieghi (1997). Se altri
lavoratori sperimenteranno la perdita del lavoro, i costi economici derivanti dalla limitata mobilità della manodopera più adulta tenderanno ad aumentare.
Anche il mercato del lavoro influenza l’invecchiamento individuale e di gruppo: l’età desiderata per il pensionamento si posiziona sulla base del presupposto economico per cui
24
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
ad ogni momento il salario dei lavoratori dovrebbe rispecchiare la loro produttività, ma le
retribuzioni generalmente registrano guadagni inizialmente rapidi, che poi rallentano per
divenire negativi dopo una certa età. Gli stessi investimenti nella formazione professionale sono erogati quasi esclusivamente nella prima parte della vita lavorativa.
I principali risultati della ricerca sono sintetizzati in sette linee guida per orientare le
azioni di riforma dei governi:
•
i sistemi pensionistici pubblici, i sistemi di tassazione e i programmi di trasferimento sociale dovrebbero essere riformati per rimuovere gli incentivi al pensionamento anticipato e i disincentivi finanziari al prolungamento lavorativo;
•
una varietà di riforme si rende necessaria per garantire nuove opportunità di lavoro per i lavoratori adulti e per assicurare loro le necessarie abilità e le competenze richieste;e;
•
vanno perseguite nuove politiche fiscali e ridotto il peso del debito pubblico;
•
i redditi nell’età pensionistica dovrebbero provenire da un mix di sistemi di trasferimenti e di tassazione, fondi pensionistici, quote di risparmio privato, al fine di
bilanciare le risorse fra le generazioni e fornire maggiore flessibilità alle decisioni
dei singoli individui;
•
i costi per gli interventi sanitari e di cura di lungo termine dovrebbero essere razionalizzati e andrebbero dedicate maggiori risorse alle ricerche mediche per la prevenzione, al fine di fornire risposte mirate alla popolazione che invecchia;
•
lo sviluppo di forme di sistemi pensionistici più moderni dovrebbe andare di pari
passo con un rafforzamento delle offerte del mercato finanziario;
•
strategie quadro a livello internazionale sono necessarie per accompagnare le riforme nazionali necessarie per affrontare il tema dell’invecchiamento della popolazione, e per garantire l’implementazione e il consolidamento degli interventi pubblici.
Nel 1999 gli stessi paesi membri dell’OECD e il vertice dei G7 avanzarono la richiesta
di una indagine comparativa sulle prime conseguenze dell’implementazione delle
politiche di riforma nei sette ambiti sollecitati: Reforms for an Ageing Society
24.
Il quadro che emerge (sintetizzato nella scheda di approfondimento n. 3) non è sufficientemente chiaro per permettere di definire se gli obiettivi delle politiche di riforma si
siano orientati principalmente verso la rimozione dei disincentivi o se abbiano introdotto degli incentivi per consentire alle persone di lavorare più a lungo. Non è facile stabilire gli effetti prodotti, anche in conseguenza del fatto che gli impatti dipendono non da
una sola azione di cambiamento, ma da una serie di riforme che coinvolgeranno i singoli paesi anche nei prossimi anni, con un cumulo di effetti, oltre che dalla capacità di
risposta ai mutamenti nel mercato del lavoro e alle trasformazioni demografiche.
24. Un questionario fu inviato nel 1999 a tutti i 29 paesi membri OECD per indagare le riforme in atto,
compararle con alcune tipologie e illustrane i primi risultati. Il questionario era suddiviso in sette parti, ognuna
corrispondente a una delle sette linee guida emerse dal rapporto “Maintaining Prosperity in an Ageing
Society”.
25
Ageing: verso un mondo più maturo
Scheda di approfondimento 3
OECD, 2000
Reforms for an Ageing Society
(Riforme per una società che invecchia)
I percorsi di riforma avviati per rimodellare i sistemi pensionistici possono essere così sintetizzati:
•
piani di ricerche per raccogliere e aggiornare le banche dati, per consentire una pianificazione delle azioni e per costruire consenso sociale attorno alle riforme;
•
modifiche nelle età pensionistiche;
•
riforme per legare contributi e benefici pensionistici;
•
riduzione delle opzioni per il pensionamento;
•
promozione di forme di pensionamento graduale;
•
incentivo all’aumento della partecipazione alle forze di lavoro, in particolare della
componente femminile e dei lavoratori stranieri.
In tema di impiegabilità dei lavoratori/lavoratrici più anziani, la comparazione mette in
luce che la maggior parte delle riforme è stata orientata alla rimozione dei disincentivi al
lavoro e molto meno è stato compiuto per promuovere le opportunità di impiego o reimpiego dei lavoratori più adulti.
Secondo lo studio, tuttavia, gli interventi volti a contrastare le discriminazioni basate sull’età o di modifica delle età legali per il pensionamento sono importanti, ma inefficaci se
isolati da una riconsiderazione globale di tutte le età: le leve più importanti – la formazione nel corso di tutta la vita e le nuove attenzioni al tema della salute e della prevenzione
nei luoghi lavorativi – vanno rivolte ai lavoratori e alle lavoratrici di tutte le età.
Le principali linee di azione seguite dai diversi paesi sono risultate:
•
Favorire il mantenimento delle persone anziane al lavoro, attraverso meccanismi che
penalizzano i datori di lavoro che licenziano o discriminano (USA e UK).
•
Campagne di informazione e diffusione di buone prassi come quelle promosse in
Europa (Fondazione Europea di Dublino). La maggior parte delle campagne promozionali sono senza dubbio debitrici dell’iniziativa dell’ONU di istituire l’Anno Internazionale per gli Anziani nel 1999.
•
Azioni per aiutare la manodopera anziana a trovare nuovi sbocchi lavorativi (caso
Australia, dove i lavoratori più adulti godono di punteggi maggiori nelle graduatorie
dei servizi per l’impiego).
•
Forme di promozione della forza lavoro di tutte le età: la formazione è preziosa per
tutti, così come le forme di flessibilità oraria, che possono aiutare i giovani a conciliare le esigenze professionali con quelle di cura familiare.
26
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
Nel volume Maintaining Prosperity in an Ageing Society si indicava che gli effetti fiscali di
una società che invecchia potrebbero essere meglio affrontati in presenza di processi di
riforma volti a ridurre il debito pubblico e a consolidare programmi di intervento mirati alle
caratteristiche di età della popolazione. In particolare le azioni vanno programmate prima
che gli effetti dell’invecchiamento siano molto estesi, come indicato dalle previsioni
demografiche (entro il 2010), e devono contenere obiettivi per ridurre i costi della spesa
sanitaria, oltre che aumentarne l’efficacia, e non perdere di vista la riduzione delle spese
pensionistiche. La stessa Unione Europea, attraverso i parametri di Maastricht, impegnava i paesi membri a ridurre il debito pubblico attraverso radicali processi di riforma, compresa quella fiscale. In presenza delle attuali trasformazioni demografiche e dei trend del
mercato del lavoro, si rende evidente che nei prossimi anni diminuirà la popolazione attiva a favore di una crescita della popolazione non attiva; senza programmi di riforma le
alternative per le economie dei governi saranno solo due: o aumentare le tasse o ridurre
i pubblici servizi.
Alcuni paesi hanno intrapreso percorsi di riforma destinati a ridurre le spese pensionistiche, ad esempio aumentano l’età pensionabile, riducendo i benefit per i pensionamenti
anticipati o introducendo test dei mezzi per l’ammissione a certi benefici. Altri paesi hanno
scelto di aumentare i contributi previdenziali, altri ancora hanno optato per politiche di più
ampio raggio che stanno consentendo di bilanciare meglio gli interventi sanitari per la
popolazione che invecchia attraverso politiche fiscali più trasparenti ed efficaci. In ogni
caso, sono risultate necessarie azioni volte a creare un consenso collettivo attorno a temi
di rilevanza così immediata per le condizioni di vita dei cittadini e delle cittadine.
Proprio il tema della salute e delle politiche sanitarie mirate alle necessità di cura di una
società che invecchia è un pilastro importante per le azioni dei governi, sia nella direzione di focalizzare meglio le spese e i costi, riducendo, attraverso interventi preventivi, la
condizione di dipendenza, sia per individuare risorse appropriate per gli anziani fragili.
L’invecchiamento della popolazione comporterà un aumento dei costi sanitari, ma meno
– riferisce la ricerca OECD – di quanto si pensava (nella fase dell’allarmismo), se gli interventi saranno mirati ed efficaci. In questa direzione il tema dominante è la creazione di
migliori legami fra i servizi sanitari e servizi di cura long term, attraverso un’azione di
conoscenza dei bisogni (ricerche e banche dati), strategie di pianificazione per coordinare i vari interventi, servizi più integrati per gli anziani fragili nella comunità e nella casa,
metodi di valutazione e di monitoraggio delle prestazioni (lo sviluppo tecnologico e medico permette un trattamento delle malattie legate all’età più efficiente ed efficace), misure
di prevenzione.
Il fuoco principale delle strategie quadro necessarie a comporre l’insieme degli interventi
di una società che invecchia è la costruzione di adeguati livelli di conoscenza e di consenso. Alcune direzioni di riforma possono risultare impopolari se considerate isolatamente o senza conoscere le alternative possibili: si rende pertanto necessario adottare
strategie di processo.
27
Ageing: verso un mondo più maturo
Attualmente si sconta un generale gap di conoscenza sulle direzioni del processo di
invecchiamento sociale, in particolare sulla interdipendenza fra variabili quali la salute, il
guadagno, il lavoro nelle diverse fasi della vita e su come le politiche in un campo possono influenzare anche gli altri. È di interesse centrale che le riforme siano supportate da
uno sviluppo di dati e di ricerche che adottino una prospettiva più ampia, come l’approccio al corso di vita, che appare più adatto per accrescere la consapevolezza e adottare
una visione attiva in tema di invecchiamento, per meglio comprendere le transizioni implicate dal pensionamento e per lo sviluppo di politiche a lungo termine.
Non appare consolidato, nella comparazione fra gli interventi di riforma, il legame fra pensionamento e approccio verso un active ageing, inteso come complesso di strategie per
rimuovere gli ostacoli a un processo di invecchiamento attivo, come neppure risulta
avviato un processo di maggiore eguaglianza nelle responsabilità di cura fra i generi.
Spesso le policy non riconoscono che il pensionamento è un processo complesso, che
molte transizioni implicate da questa fase della vita sono interrelate e che non è mai una
condizione assoluta: non sempre lasciare il lavoro è sinonimo di pensione e non sempre
godere di una pensione significa non lavorare più.
Inoltre, la transizione non riguarda solo il passaggio da lavoro a tempo libero, da guadagno centrato sul salario a quello centrato sulla pensione, ma anche cambiamenti
nella struttura e nelle relazioni familiari; in molti paesi chi va in pensione si ritrova spesso a vivere in una coppia dove i figli/e non vivono più (fanno eccezione sia il nostro
paese che il Giappone) e a riprogettare il proprio tempo libero. In particolare i dati di
comparazione evidenziano la propensione a un uso “passivo” del tempo libero, a scapito di forme più attive (quali lo sport, la lettura, l’impegno in attività di volontariato) e
mettono in luce che solo il 10% dei pensionati assume responsabilità esplicite nelle
varie attività di cura familiari.
Mancano dati più precisi su come le persone spendono il loro tempo negli anni lavorativi
e in quelli in cui sono pensionati/e.
La stessa definizione di “vita attiva” sconta una visione centrata sul lavoro per il mercato:
in genere, l’età anziana è associata a passività e i dati su come le persone anziane spendono il loro tempo non sono quasi mai integrati da informazioni su come lo vorrebbero
spendere. La prospettiva del corso di vita diviene importante per considerare l’intero
corso della vita degli individui, in quanto l’invecchiamento è un processo che comincia
ben prima della pensione!
Come più volte sostenuto da diverse ricerche (Fondazione di Dublino) le politiche per una
active life hanno più probabilità di successo se proposte prima del pensionamento, ed è
materia di policy incoraggiare o restringere le opzioni di scelta degli individui in preparazione della propria vecchiaia.
La maggior parte della gente spende da pensionato il proprio tempo libero come faceva
prima del pensionamento (le attività sono simili a quelle che occupavano i weekend
durante la vita lavorativa). Il rapporto individuale con il tempo risente di molteplici fattori,
28
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
quale il livello di scolarizzazione, l’età, il genere, l’esperienza professionale, le condizioni
di salute.
Il tempo dedicato alle attività personali (dormire, lavarsi, mangiare, ecc.) rimane sostanzialmente stabile e cresce leggermente con l’età; il tempo dedicato alle attività di cura
familiari resta stabile e le varie attività svolte quasi esclusivamente dalle donne; il lavoro
remunerato diminuisce con l’età, anche se ci sono grandi differenze fra i diversi tipi di
lavoro; il lavoro gratuito di cura e di volontariato è prerogativa femminile, mentre il tempo
dedicato a forme passive quali l’ascolto di radio e di tv è più diffuso fra gli uomini, soprattutto in Italia.
Il processo di progressivo invecchiamento della popolazione ha consentito di mettere
meglio in evidenza i cambiamenti intervenuti nel modello di partecipazione al lavoro, e di
guardare alle diverse conseguenze dei cambiamenti per la vita degli uomini e delle donne
coinvolti.
Mentre negli ultimi decenni è diminuito il tempo che gli uomini impegnano per il lavoro
remunerato, per le donne esso è in costante e progressivo aumento: ad esempio, in
Canada nel 1970 mediamente un uomo dedicava 44 anni al lavoro e 26 anni al non lavoro; nel 2030 si stima che occuperà 35 anni al lavoro e 44 anni in situazione di non lavoro
(fra investimento formativo, periodi di disoccupazione e anni di pensionamento). Per le
donne si profila un percorso inverso: se nel 1970 le donne canadesi dedicava 19 anni al
lavoro e 58 anni ad attività non retribuite, nel 2030 si profila un impegno lavorativo di 38
anni a fronte di 47 anni di altre attività (quindi lavoreranno più degli uomini sia nel mercato che fuori).
I mutamenti nelle scansioni della partecipazione al lavoro rispecchiano le trasformazioni
nei corsi di vita maschili e femminili e, se le politiche dei governi non possono determinare il trend demografico dell’invecchiamento, certamente possono influenzare i modelli
di partecipazione al lavoro, contrastando gli effetti di esclusione e di discriminazione.
Le conclusioni dell’ampio lavoro di comparazione dell’OECD si allineano con quanto
emerso da altre autorevoli fonti di ricerca e con le indicazioni proposte dall’ONU in
occasione dell’Anno Internazionale dell’Anziano.
L’obiettivo di promuovere una società age integrated, capace di riflettere i rapidi
cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni richiede “di rivisitare concetti quali l’età
e il lavoro, per abbandonare la rigidità delle mappe cognitive che associano un’età
precostituita a determinate funzioni”.
Si evidenzia la necessità di adottare un nuovo paradigma per prendere atto della
continuità della vita e delle varie fasi che la compongono.
Gli orientamenti dei processi di riforma non possono guardare solo alla popolazione
anziana, ma devono considerare tutte le età, sia quando si attrezzano per le politiche
di lifelong learning, sia quando riguardano quelle sanitarie e mediche. La “fragilità” in
vecchiaia è parte di un continuum, di un processo che vede alternarsi fasi di dipen-
29
Ageing: verso un mondo più maturo
denza, fasi di prestazione di cura e periodi di necessità di cura che riguardano tutte
le persone nel corso della loro vita.
I risultati dell’indagine sottolineano come il fuoco sul tema del pensionamento vada
costantemente ampliato, per includere anche il tempo speso nel lavoro, nella formazione, nella cura della famiglia, nel tempo libero; l’attenzione alle persone che invecchiano va accompagnata da iniziative per promuovere il loro contributo all’economia
e alla società.
Promuovere una società dell’active ageing significa sostenere la capacità delle persone di condurre una vita produttiva per la società e per l’economia, fornendo loro
possibilità di scelta più flessibili sui modi in cui spendere il tempo della loro vita.
Spesso le scelte degli individui sono rese costrittive a causa di:
•
malattie/invalidità
•
barriere architettoniche
•
inadeguatezza dei luoghi lavorativi
•
rigidità dei tempi
•
arretratezza delle politiche pubbliche.
In sintesi, si indica che le politiche possono rimuovere queste costrizioni e supportare le scelte dei cittadini, dando nuova attenzione al tema della prevenzione,
con interventi mirati nei momenti critici delle transizioni di vita, con riforme più
ampie per armonizzare gli interventi. I processi di riforma avviati vanno gestiti e
sostenuti attraverso:
•
raccolta di dati disaggregati
•
analisi sistematiche
•
attenzione ai processi di riforma (più che ai singoli interventi)
•
monitoraggio dei risultati che per alcuni anni non saranno pienamente “compresi”
•
confronto costante con le esperienze e i dati di altri paesi.
1.2.5 L’esperienza americana: alcuni contributi esemplificativi
Da tempo, anche negli Usa, è diventato un leitmotiv ricorrente l’analisi dell’invecchiamento della popolazione e delle misure necessarie per dare alla longevità prospettive di lavoro e di sicurezza sociale25.
Due contributi sono esemplificativi di una varietà di studi e riflessioni di cui non
sarebbe possibile dar conto adeguatamente nei limiti di questa rassegna. La scelta
25. Un’interessante ricerca sul processo di invecchiamento e le diverse esperienze che ne fanno donne e
uomini è quella realizzata agli inizi degli anni ottanta da Betty Friedan. Nella ricca letteratura che analizza e nelle
testimonianze che raccoglie emerge uno spaccato della condizione anziana americana molto simile a quella
che altri studiosi europei hanno messo in evidenza: in particolare segnala la grande differenza tra l’immagine
che la società ha degli anziani e quello che le persone anziane (il “noi” della sessantenne Friedan) sanno e
sentono di essere. B. Friedan, L’età da inventare. La seconda metà della vita, Frassinelli, Milano, 2000.
30
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
operata intende soltanto fornire un’idea del genere di riflessioni problematiche e di
orientamenti operativi che sono andati maturando sul tema dell’ageing nel contesto
culturale nordamericano.
La prima delle successive due schede di approfondimento riferisce di uno studio sulle
conseguenze dell’invecchiamento delle generazioni del cosiddetto “baby boom” realizzato dall’Urban Institute di Washington. Risulta di notevole interesse questa analisi centrata su una particolare generazione (a sua volta scomposta in due coorti di età) che, per
ampiezza numerica, passaggi biografici ed eventi storici di riferimento, pare testimoniare meglio la complessità del processo di invecchiamento e indicare le diverse implicazioni dei programmi per promuovere, con strategie attive, la forza lavoro che invecchia.
Il secondo e successivo contributo esemplificativo degli studi realizzati negli USA ha
preso invece origine nell’ambito di un ampio programma di ricerca promosso dall’NBER
(National Bureau of Economic Research) di Boston sotto il titolo NBER Aging Pro-
gram, che ha focalizzato l’attenzione sull’invecchiamento della popolazione mondiale attraverso un approccio ampio e a largo raggio, che include temi economici, del
mercato del lavoro, della salute, delle disuguaglianze nell’accesso alle risorse pubbliche. Al programma partecipano diverse équipe di ricercatori impegnati nella rilevazione dei dati e delle informazioni, nelle attività di ricerca, nel confronto, nella discussione e nella disseminazione dei risultati su scala mondiale riguardo a problematiche
complesse quali quelle che il processo di invecchiamento implica.
Scheda di approfondimento 4
The Urban Institute, Washington, DC, 2000
Ageing Baby Boomers in a New Workforce Development System
(L’invecchiamento della generazione del baby boom entro un nuovo sistema di sviluppo
della forza lavoro)
Frederica Kramer, Demetra Smith Nightingale
La generazione dei baby boomer – che negli Stati Uniti si è formata una quindicina d’anni
prima che in Europa – ha avuto un effetto profondo sulle politiche pubbliche e sulla richiesta di servizi pubblici: a causa del suo consistente numero e delle mutate esigenze legate
all’età, questa generazione continuerà a influenzare la società per i prossimi 30 anni.
Da una parte, le politiche pubbliche stanno incoraggiando gli individui a rimanere più
a lungo al lavoro, dall’altra grandi cambiamenti nella struttura del lavoro, l’uso crescente della tecnologia e la globalizzazione del mercato del lavoro, continuano a
mutare la domanda di lavoro, privilegiando la manodopera competente nell’utilizzo
delle alte tecnologie.
Nel 1960, quando questi bambini entrarono nella fanciullezza, il mercato del lavoro e
le istituzioni scolastiche si sono trovate a dover fronteggiare un numero di persone
31
Ageing: verso un mondo più maturo
ben più ampio che nei precedenti periodi storici. Nel contempo, i luoghi di lavoro sono
considerevolmente mutati poiché è cambiata la struttura del lavoro, il ruolo della tecnologia, la forma e l’ampiezza dei mercati. I baby boomer hanno fronteggiato e continuano a fronteggiare un mondo del lavoro molto diverso da quello delle generazioni
precedenti.
In termini numerici:
•
la generazione del baby boom, in America, comprende i nati dal 1946 al 1964;
•
negli USA, sommati gli immigrati, sono in totale 77milioni di persone;
•
essi rappresentano il 37% della popolazione, e continueranno a rappresentare una
porzione significativa della popolazione almeno fino al 2025;
•
fra il 2000 e il 2025 la popolazione superiore ai 55 anni aumenterà molto più delle
altre;
•
l’invecchiamento della generazione implica costi per la previdenza sociale, la salute e
il benessere economico di quanti avranno la necessità o la volontà di continuare a
lavorare.
L’età media dei lavoratori continuerà ad aumentare almeno fino al 2025:
•
•
nel 1985 l’età media dei lavoratori era 35, nel 2008 sarà di circa 41 anni;
la generazione dei baby boomer ha il più alto tasso di partecipazione al lavoro di ogni
precedente generazione;
•
questo grande numero implica che anche le persone disoccupate saranno sempre più
anziane.
Molte domande vengono poste dall’invecchiamento della generazione dei baby boomer:
•
riuscirà la popolazione in età da lavoro a supportare il carico dei pensionati, quando i
baby boomer andranno in pensione?
•
quali sono le implicazioni per la previdenza sociale e il sistema sanitario di una popolazione così consistente di anziani?
•
avranno i baby boomer risparmiato a sufficienza per andare in pensione tranquilli?
•
è socialmente desiderabile ritardare il pensionamento dei baby boomer per mantenere un’adeguata fornitura di lavoro, così come la contribuzione al sistema previdenziale e sanitario?
•
quali incentivi adottare verso i datori di lavoro per mantenere in servizio gli anziani?
Una serie di iniziative sono già state messe in campo per anticipare l’approccio alla pensione della generazione dei baby boomer:
•
modifiche ai piani pensionistici hanno innalzato l’età ufficiale del pensionamento,
incoraggiando gli individui a lavorare più a lungo;
•
modifiche ai benefici da pensione hanno rimosso molti disincentivi a continuare a
lavorare oltre i 65 anni;
32
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
•
l’impiego e la formazione dei lavoratori anziani continua a ricevere supporto politico (il
Workforce Investment Act – WIA – stabilisce tre livelli di interventi per ciascuna persona: servizi base, che includono informazioni sul mercato del lavoro, assistenza nella
ricerca del lavoro, collocamento al lavoro; servizi intensivi e valutazioni, per quelli che
richiedono un supporto più specializzato; servizi di formazione, per quanti chiedono
competenze addizionali per ricoprire nuove mansioni);
•
sono state attivate leggi che proibiscono la discriminazione anagrafica nei posti di
lavoro.
L’analisi che segue parte da due tipi di domande:
•
quali sono le caratteristiche della forza lavoro di questa generazione e come cambieranno probabilmente negli anni a venire? Ci sono sottogruppi dei baby boomer che
possono richiedere una speciale attenzione quando invecchiano?
•
quali programmi di impiego e di addestramento sono stati previsti in passato per i
lavoratori anziani? Come possono i lavoratori in generale, e in particolare i più svantaggiati, essere seguiti e incoraggiati da un servizio universale (non settoriale) come
quello promosso dal WIA.
Per lo studio in esame, occorre fare un distinzione all’interno dei baby boomer: quelli nati
fra il 1946 e il 1955; e quelli nati fra il 1956 e il 1964. Essi si sono trovati a fronteggiare
diverse situazioni economiche e differenti mercati del lavoro. Inoltre occorre assumere
una prospettiva di genere.
Sebbene ci sia stata una generale crescita della forza lavoro nella due passate decadi, il
tasso di crescita non è stato lo stesso per uomini e donne: la partecipazione alla forza
lavoro maschile è diminuita dal 1970, mentre la partecipazione delle donne è in continua
ascesa. I programmi come il WIA dovranno considerare questo trend differenziato in base
al genere della manodopera: le proiezioni indicano che per le donne il tasso di partecipazione continuerà a crescere, quindi i programmi per l’impiego e l’addestramento dovranno
servire un numero maggiore di donne e un numero maggiore di anziani (uomini e donne).
La fertilità e il matrimonio sono stati, per i baby boomer, molto diversi da quelli dei loro
genitori: sia che i baby boomer abbiano accelerato consapevolmente i cambiamenti o no,
è chiaro che la loro generazione è stata la prima a sperimentare la nuova famiglia e i nuovi
stili di matrimonio. E quando i baby boomer stessi raggiunsero l’età per procreare, il tasso
nazionale di fertilità ha preso a declinare.
In generale, il profilo della struttura della famiglia dei baby boomer, paragonato a quello
precedente, può essere tratteggiato dai seguenti comportamenti:
•
meno baby boomer si sposano: nel 1930 il 96% delle donne era sposato; esse sono
•
i baby boomer hanno meno figli: dal 1880 al 1910 solo il 14% delle donne sposate
le madri dei baby boomer; nel 1960-1970 solo l’80% delle donne erano sposate;
33
Ageing: verso un mondo più maturo
non aveva figli, nel 1930 solo il 7%. La generazione dei baby boomer tocca il 24%,
com una media di due bambini fra il 1980 e 1990;
•
i baby boomer hanno figli più tardi.
La generazione dei baby boomer ha avuto meno figli delle precedenti e consiste di un
numero maggiore di persone che non sono sposate, anche fra quelle che hanno figli.
Un secondo aspetto da considerare riguarda le due diverse fasi economiche, di sviluppo
e di recessione, che hanno interessato le due diverse coorti di età appartenenti alla generazione dei baby boomer. Il benessere economico della generazione dei baby boomer,
specialmente negli anni della pensione, dipenderà dal successo che hanno o che non
hanno avuto durante i primi anni di lavoro. Coloro che sono entrati nel mondo del lavoro
entro gli anni settanta, si sono trovati in un periodo in cui l’economia della nazione era
forte, i tassi di interesse erano bassi, i salari aumentavano ogni anno. Per la coorte successiva il quadro economico era meno forte e i salari reali non sono aumentati dal 1973.
Per quanto riguarda la cultura, la generazione dei baby boomer è la più colta della storia. Ma,
per quanto i baby boomer abbiano fatto meglio della generazione dei loro genitori in termini
di reddito e di scolarità, il secondo gruppo di loro non ha fatto così bene come il primo.
Proiettando la popolazione e la forza lavoro nel 2020, possiamo rilevare che la generazione dei baby boomer influenzerà in maniera pesante l’intera popolazione adulta di 45
anni e oltre; nel 1999 i 77 milioni di baby boomer rappresentavano il 37% della popolazione totale dai 16 anni un su. Questa generazione continuerà a rappresentare una porzione significativa della popolazione americana fino al 2025, anno in cui secondo le previsioni del Bureau of the Census sarà composta da 65 milioni di persone in età compresa fra i 61 e i 79 anni, una quota pari al 25% della popolazione complessiva.
I lavoratori anziani con alta scolarità e con alte competenze tecniche continueranno ad
essere richiesti fino a quando riusciranno a mantenere e ad aggiornare le loro competenze; quelli meno scolarizzati potrebbero trovare più difficoltà nel competere nel mercato
del lavoro e potrebbero indirizzarsi alle strutture pubbliche per l’impiego e la formazione
per essere assistiti.
Per quanto riguarda il potenziale di pensionamento, va ricordato anche un problema di
equità riguardo alle scelte: sebbene molti anziani preferiscano andare in pensione prima,
possono farlo solo coloro che hanno risorse economiche adeguate. Gli uomini con alti
livelli di scolarità e alti redditi e occupati nelle grandi imprese hanno più probabilità di
avere coperture previdenziali. Coloro che hanno avuto una traiettoria lavorativa con diverse occupazioni, con differenti piani di pensione, possono rischiare una riduzione complessiva dei loro introiti pensionistici, causata dal cash out: l’incasso dei benefici ad ogni
cambiamento lavorativo.
I lavoratori saranno sempre più chiamati ad affrontare dei cambiamenti nel lavoro, nelle
loro carriere e a fare piani di aggiornamento delle loro competenze. C’è quindi un’imme-
34
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
diata necessità di investire più fondi e priorità nell’incoraggiare addestramenti, formazione e apprendimenti per la generazione corrente di baby boomer, specialmente quelli che
hanno una scolarità inferiore.
Il ritorno degli investimenti in lifelong learning è di tipo individuale (accresce i redditi personali) e di tipo sociale (diminuisce la quantità di persone dipendenti dall’assistenza
sociale).
Nello specifico, i programmi di formazione dovranno considerare la mutata composizione anagrafica dei discenti, sempre più anziani, e dovranno pertanto adottare strategie di insegnamento e curriculum più adatti a lavoratori anziani, programmi che privilegino i piccoli gruppi e le lezioni individualizzate piuttosto che quelle in classi
numerose. Inoltre, i programmi dovranno anche modificarsi in modo da aiutare i datori di lavoro a impiegare i lavoratori anziani: una strada è mettere in risalto nei confronti dei datori di lavoro i meriti dei lavoratori anziani (affidabilità, basso assentesimo, stabilità ed esperienza); un’altra consiste nell’aiutare i datori di lavoro a disegnare offerte di pensioni e benefici, descrizione dei lavori, posti di lavoro e orari di lavoro per mantenere la loro forza lavoro e per render più facile conciliare lavoro, pensione e volontariato.
I politici devono operare bene per capitalizzare i vantaggi derivanti da un allungamento
della vita in salute, sia per incoraggiare le persone verso attività produttive che per indirizzarle, quando possibile, verso il volontariato individuale.
Le riflessioni precedenti suggeriscono alcuni punti guida per considerazioni politiche:
•
In media la generazione dei baby boomer dopo la seconda guerra mondiale ha fatto
meglio, in termini di educazione, reddito e ricchezza, di tutte le generazioni storiche
precedenti. Ma il successo non è stato uniformemente distribuito.
•
C’è sempre stato negli USA un forte supporto pubblico e politico per consentire il
massimo della scelta individuale nella decisione riferita al pensionamento e al lavoro.
Mentre molte persone anziane hanno sempre lavorato negli anni più avanzati, la netta
preferenza corrente è per il pensionamento precoce. Ciò è in parte dovuto alla politica delle imprese che incoraggiano il pensionamento.
•
Le aspettative di vita sono aumentate, e sono mediamente aspettative di vita in condizione di salute.
La struttura del lavoro è cambiata e continua a cambiare fortemente nell’era post industriale. La sostituzione dei lavori pesanti con quelli che richiedono meno forza fisica sembra ampliare le possibilità di un allungamento della vita lavorativa. Mentre fra i 30 e i 50
anni la maggior parte degli individui raggiunge il picco in termini di impiego e reddito, il
periodo da 50 a 60 o 65 è tradizionalmente considerato il periodo che precede il pensionamento: la politica centrale di questo periodo dovrebbe focalizzarsi sulla sicurezza
sociale e sulla salute, predisporre lavori flessibili per coloro che scelgono di lavorare o
devono lavorare, rispettando le preferenze personali.
35
Ageing: verso un mondo più maturo
Successivamente, nel corso di due tavole rotonde promosse dallo stesso Urban Institute di Washington nel corso dei primi mesi del 200226, si è dato risalto, attraverso dati
empirici, a come le politiche pubbliche e private abbiano finito per incoraggiare la
scelta del prepensionamento, creando impedimenti al permanere delle persone più
adulte nel mercato del lavoro (disincentivi economici e legali in uso da diversi decenni). Le conseguenze sono pesanti nell’immediato, ma potrebbero divenire assai gravi
in caso di ripresa economica, a causa della mancanza di manodopera.
Tra gli interventi segnaliamo: quello di R. Penner (Urban Institute) che propone l’adozione del tempo parziale e/o periodi di vacanza più lunghi nella transizione fra il lavoro e il pensionamento; quello di C. Kolbe (Committee for Economic Development)
che suggerisce in primo luogo di eliminare gli incentivi pubblici ai piani di prepensionamento delle imprese e, in seconda battuta, di rivedere le regole e le formule delle
pensioni private che penalizzano il lavoro dei più anziani, affinché si pongano in
maniera più neutrale nei confronti dell’età. Inoltre, in terza istanza, propone “l’affitto”
di manodopera anziana nel lavoro flessibile; infine, P. Perun (avvocatessa e consulente del lavoro) ritiene utile istituzionalizzare il pensionamento graduale come sistema di benefit a favore dei dipendenti: un programma che consenta di lavorare più a
lungo, lavorando meno.
Scheda di approfondimento 5
National Bureau of Economic Research, Cambridge, Mass., 1999
Social Security and Retirement around the World
(Sicurezza sociale e pensionamento nel mondo)
J. Gruber, D. Wise
Il secondo contributo proveniente da oltre oceano riguarda i risultati di una ricerca, condotta per cinque anni, da due ricercatori del NBER: Jonathan Gruber e David Wise27.
Attraverso uno studio comparativo di dodici paesi sulle relazioni esistenti fra sicurezza
sociale e pensionamento essi hanno constatato che fino ad oggi la risposta all’invecchiamento della popolazione è stata connotata soprattutto dal solito refrain degli incentivi al
prepensionamento.
Nella prima parte della ricerca è stata messa in rilievo la forte correlazione esistente fra i
programmi nazionali di incentivi al prepensionamento e la quota di lavoratori anziani che
hanno effettivamente lasciato il lavoro.
Nella seconda parte del lavoro la connessione è analizzata attraverso micro dati. In ogni
paese, i ricercatori hanno creato una banca dati che mette in relazione per ogni unità di
26. Letting Older Workers Work, Rethinking Retirement Policies. The Urban Institute, dicembre 2002.
27. J. Gruber, D. Wise, Social Security and Retirement around the World, Chicago UP, Chicago 1999.
36
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
ricerca la quota degli incentivi a continuare il lavoro con i programmi di sicurezza sociale
del governo e la storia lavorativa e la situazione familiare del singolo lavoratore/lavoratrice.
La ricerca ha ottenuto risultati simili in tutti i casi analizzati: in dieci dei dodici paesi28 si
verifica una minor propensione al pensionamento quando gli incentivi per restare al lavoro si traducono in un aumento di reddito effettivo, oltre che nella percezione del mantenimento di migliori livelli di benessere e di sicurezza rispetto a quanto il singolo lavoratore
o la sua famiglia riceverebbero dalla pensione. La decisione di continuare a lavorare sembra derivare dal confronto fra la pensione e il reddito prodotto lavorando: in presenza di
incentivi, molti lavoratori restano al lavoro.
Il risultato è ancora più rilevante in quanto le differenze culturali fra i diversi paesi non sono
banali o superficiali; nonostante queste differenze, affermano gli autori, si tende a lasciare
meno il lavoro quando i provvedimenti governativi sono orientati ad aumentare, attraverso
la partecipazione al lavoro delle persone anziane, il benessere e la sicurezza sociale. Cambiando punto di osservazione, allora, si può dire che la mancata adozione di strategie “attive” verso l’ageing e di lotta alle discriminazioni basate sull’età finisce per alimentare un circolo vizioso, testimoniato dalla correlazione molto forte fra gli incentivi al pensionamento e
le decisioni di pensionamento effettive da parte dei lavoratori più anziani.
Come altri studi condotti negli USA, la ricerca mette comunque in luce la complessità
della interrelazione fra variabili quali la salute, le circostanze economiche, sociali e professionali nel contribuire alle decisioni individuali di andare in pensione.
Nella terza parte dello studio sono state utilizzate stime per verificare l’influenza dei diversi programmi di imposizione fiscale previsti dai vari piani di riforma governativi, sulla propensione al pensionamento. Analizzando in particolare la situazione della Germania, la
stima ha mostrato che l’implementazione di misure giuste e trasparenti volte a introdurre
sistemi di benefit per mantenere le persone al lavoro potrebbe comportare un aumento
dell’età media al pensionamento di circa tre anni, sia per gli uomini che per le donne, oltre
che un aumento significativo delle entrate fiscali per il paese.
1.2.6 Le attività di studio e le raccomandazioni dell’ILO (International
Labour Organisation)
Uno dei contributi più rilevanti per la comprensione dei molti effetti prodotti dal fenomeno del progressivo invecchiamento della forza lavoro e per le indicazioni in termini di policy viene dalle attività di studio e dalle raccomandazioni dell’ILO, l’organismo
dell’ONU che si occupa specificatamente di lavoro.
Nel rapporto di ricerca dal titolo Ageing of the Labour Force in OECD Countries: Economic and Social Consequences (2000) vengono evidenziati i nuovi approcci nelle politiche pubbliche e nelle strategie di impresa per far fronte alle sfide dell’invecchiamento.
28. Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Germania, Giappone, Olanda, Spagna, Svezia, Gran Bretagna, USA.
37
Ageing: verso un mondo più maturo
È significativa la lettera che il premio Nobel Amartya Sen indirizza ai lavori della conferenza di presentazione dei risultati. Si legge: “Ci sono molte opzioni possibili per
individuare le proposte di revisione dei meccanismi di ritiro dal lavoro in relazione
all’età. […] io sono convinto che spesso su questo tema si vedano conflitti quando
potrebbero non esistere. Uno di questi riguarda la reazione istintiva che ha diffuso la
convinzione che se i lavoratori anziani continuano a lavorare i più giovani restano
senza lavoro, un impasse che sembra produrre solo risposte senza speranza. Sono
pertanto preoccupato dal sapere che il pensiero economico possa essere guidato
dalla presunzione di conflitti che non sono in realtà stati effettivamente esaminati”.
Richiamiamo nella seguente scheda di approfondimento i principali contenuti del
rapporto relativo a questo importante studio dell’ILO.
Scheda di approfondimento 6
ILO – International Labour Organisation, 2000
Ageing of the Labour Force in OECD Countries: Economic and Social Consequences
(L’invecchiamento della forza lavoro nei paesi dell’OCDE: conseguenze economiche e
sociali)
Gli sviluppi demografici, come il declino della fecondità e l’allungamento delle aspettative di vita, e le loro implicazioni, sembrano proiettare molti dubbi circa l’efficacia delle politiche, volte a ridurre l’offerta di lavoro attraverso le politiche – così diffuse negli anni ottanta e novanta – di prepensionamento.
L’agenda politica attuale contiene un ordine del giorno non per ridurre ma per incrementare l’offerta di lavoro. Molti fattori che hanno concorso a questa revisione – a partire dai
costi sostenuti per i pensionamenti anticipati, che hanno prodotto un aumento degli indici di dipendenza e favorito l’uscita di pensionati in buona salute e con competenze professionali – hanno messo in guardia molte imprese circa l’efficacia di indiscriminate politiche di prepensionamento, che comportano la perdita di risorse umane e professionali.
Tuttavia, se è tempo di compiere scelte opposte rispetto a ciò che è avvenuto fino ad ora,
i problemi da affrontare sono tutt’altro che lievi.
Intanto i ritmi della crescita economica sono tuttora insufficienti per assorbire o mantenere i lavoratori anziani nel mercato del lavoro; molte imprese sono più orientate a ridurre
che a espandere la manodopera e lo stesso si verifica nel settore pubblico; il downsizing
delle imprese private e pubbliche è ancora accompagnato da politiche di ritiro anticipato
dal lavoro per assicurare manodopera flessibile e mantenere garanzie per gli occupati;
inoltre il ritiro anticipato dal lavoro è stato sostenuto anche dai rappresentati dei lavoratori ed è molto popolare fra i lavoratori stessi. Perciò sia le imprese che la loro manodopera d’età più matura vanno convinte dei vantaggi dell’allungamento della vita lavorativa.
Già numerose azioni sono state intraprese e mentre alcuni governi stanno programmando
38
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
diverse politiche di disincentivazione, le imprese, si legge nel documento, dovrebbero già
impegnarsi in programmi di cambiamento nell’organizzazione del lavoro, nei tempi lavorativi e nei piani di formazione per mantenere la produttività dei lavoratori che invecchiano.
Dal punto di vista dei dati demografici, l’Europa si presenta come l’area del mondo più
esposta al processo dell’invecchiamento. Alcuni paesi come l’Italia, seguita da Spagna e
Giappone, hanno avuto il maggior incremento negli indici di dipendenza della popolazione.
Il declino dei tassi di partecipazione dei lavoratori anziani – conseguenza di processi di
crescita del benessere e della ricchezza, quali la maggiore scolarizzazione, vite lavorative
più corte e allungamento dei periodi di pensionamento – riguarda in modo più evidente
gli uomini adulti. Infatti, il tasso di partecipazione delle donne nel mercato del lavoro è in
continua crescita, anche nelle coorti più adulte.
Tabella 1. Tassi di occupazione (classe di età 55-64), distinti per sesso (1980-1996)
Uomini
1980
1996
Australia
59,6
54,4
-5,2
19,9
29,9
10,0
Belgio
47,7
32,2
-15,5
11,8
12,0
0,2
Canada
72,8
54,7
-18,1
32,0
34,1
2,1
Danimarca
63,1
58,4
-4,7
39,1
37,0
-2,1
Finlandia
55
36,8
-18,2
41,1
32,6
-8,5
Francia
65,3
38,6
-26,7
37,6
28,8
-8,8
Germania
64,1
47,2
-16,9
27,2
24,4
-2,8
Irlanda
72,8
58,7
-14,1
19,3
21,8
2,5
Italia
55,3
42,1
-13,2
14,6
13,8
-0,8
Giappone
82,2
80,6
-1,6
44,7
47,6
2,9
Lussemburgo
37,8
35,6
-2,2
14,1
10,2
-3,9
Var. %
1980-1996
Donne
1980
1996
Var. %
1980-1996
Paesi Bassi
60,9
32,3
-28,6
14,0
15,5
1,5
Portogallo
74,2
58,6
-15,6
31,8
35,5
3,7
Spagna
71,5
49,9
-21,6
21,0
17,8
-3,2
Svezia
77,5
66,0
-11,5
54,4
60,7
6,3
Regno Unito
62,6
57,0
-5,6
33,4
38,8
5,4
Stati Uniti
69,7
64,7
-5,0
40,0
47,9
7,9
Fonte: Kalisch D., Tetsuya A., Retirement Income Systems: the Reform Process across OEDC Countries, 1997
Mentre il lavoro caratterizza la fase centrale delle esistenze e il ritiro dal lavoro caratterizza quella finale, la transizione fra le due non è uniforme. Non tutti passano da lavoro a
pensione: vi sono molte situazioni intermedie, come disoccupazione, scoraggiamento,
malattie invalidanti o a lungo termine, responsabilità nelle cure familiari. Non si hanno dati
precisi al riguardo: si può dire che la maggioranza dei lavoratori (secondo i dati forniti dall’indagine European Union Labour Force Survey del 1995) si ritira in modo volontario, in
39
Ageing: verso un mondo più maturo
relazione alle proprie condizioni di salute o agli incentivi economici o ai piani di pensionamento, anche se la distinzione fra volontario e involontario è vaga; tuttavia, molti lavoratori anziani hanno alternative poco attraenti nel mercato del lavoro, fra paghe più basse
e nuovi lavori meno pagati, e molti abbandonano il mercato.
Oltre ad essere insostenibile sul piano economico, il pensionamento anticipato comporta
grossi costi sul piano dell’integrazione e dell’equità sociale. Come sostiene A. Walker29,
tre sono le principali conseguenze delle pratiche di prepensionamento:
•
i vari meccanismi incentivanti hanno prodotto un minor controllo da parte del lavora-
•
la titolarità dei diritti connessi al pensionamento può risultare meno automatica a
tore del processo di pensionamento;
causa delle diverse forme di flessibilizzazione dell’uscita dal mercato del lavoro adottate da molti datori di lavoro;
•
si produce uno scoraggiamento e una marginalizzazione anche dei lavoratori più
anziani che restano nel mercato del lavoro.
Inoltre, se il ritiro anticipato è stato accolto da molti lavoratori come un diritto sociale, non
tutti ne possono beneficiare, e pertanto esso solleva anche un grosso problema di equità.
L’idea di un invecchiamento attivo, secondo l’ILO, va proposta in modo serio per evitare
che negli indirizzi delle policy si trovino associate posizioni orientate alla “rottamazione”
degli anziani con misure volte all’allungamento dell’età pensionabile e alla valorizzazione
della manodopera più anziana.
Due presupposti sono utili per affrontare l’invecchiamento attivo:
•
Come mostrano diverse ricerche, le persone anziane possiedono oggi le capacità per
restare attive ben oltre i 60 anni e forse anche i 70 anni.
•
La rigida separazione fra una fase centrale della vita impegnata dal lavoro e una terza
dedita al tempo libero va superata: è meglio proporre una scansione più flessibile di
lavoro e tempo libero, di apprendimento e responsabilità di cura lungo il corso della
vita30. L’apprendimento nel corso della vita e forme flessibili di ritiro dal lavoro possono rompere la staticità delle sequenze di vita divise fra educazione da giovani, lavoro
da adulti e pensione da vecchi/e.
Le proposte dell’ILO per promuovere la employability dei lavoratori anziani sono:
•
Accrescere le risorse educative; i lavoratori più anziani che restano senza lavoro, se
hanno bassi livelli di istruzione, hanno alte probabilità di restare disoccupati per un
lungo periodo e di guadagnare poco se anche trovano un altro lavoro.
29. A. Walker è uno dei maggiori esperti europei sul tema, è il responsabile scientifico del gruppo di ricerca
della Fondazione Europea di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
30. Come spesso accade, le proposte degli uomini sono poco attente alle riflessioni delle donne, dato che da
quasi vent’anni le donne pongono all’attenzione il tema della conciliazione come equilibrio fra diversi ruoli e
responsabilità che non sono strutturabili in sequenze separate.
40
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
•
Promuovere il lifelong learning inteso come processo educativo nel corso di tutta la
vita lavorativa.
•
Modificare le carriere lavorative, promuovendo transizioni nell’età media, per far fronte alle competenze che diventano obsolete. Ma le necessità vanno anticipate e programmate per tempo, attraverso generosi programmi di formazione: i lavoratori più
scolarizzati restano in media più a lungo nel mercato del lavoro.
•
Coordinare i programmi di formazione con le altre misure di politiche del lavoro per
tenere insieme i dati di stock e i dati di flusso, e favorire sia le generazioni più adulte
sia quelle più giovani.
Ricostruendo il percorso anche guardando al passato, già le Raccomandazioni ILO
del 1980 mettevano l’accento sui due seguenti orientamenti principali per le politiche
nazionali:
•
promuovere l’eguaglianza di opportunità e di trattamento dei lavoratori di tutte le
età per prevenire le discriminazioni nell’accesso, nella formazione, nella carriera e
nella sicurezza dell’impiego;
•
migliorare le condizioni di lavoro, e gli ambienti per tutte le fasi della vita lavorativa per assicurare la continuità e la soddisfazione nel lavoro.
Nel 1995 il World Labour Report dell’ILO proponeva una miglior distribuzione del lavoro senza discriminazioni di sesso e di età, favorendo una flessibilità lavorativa vantaggiosa sia per le aziende che per i lavoratori (ad esempio possibilità di interruzioni
con supporti economici al reddito in ogni momento della vita lavorativa).
Nelle Raccomandazioni ILO del 1998-1999 la parola chiave era la formazione continua nel corso della vita lavorativa come presupposto per prevenire l’esclusione dei
lavoratori che invecchiano dal mercato del lavoro.
Il Rapporto ILO del 2000, infine, sottolinea le barriere che tuttora le proposte di riforma per l’invecchiamento attivo incontrano in tutti i paesi esaminati, nonostante le
diverse piste di azione tracciate sia dalle good practices che dai programmi governativi più innovativi.
1.2.7 Alcune prassi europee: le proposte governative in alcuni
paesi dell’UE
In una rassegna delle iniziative dei vari paesi membri sul tema dell’invecchiamento
della forza lavoro31, si legge che, nonostante la casistica sia ampia, l’azione risulta
31. M. Luisa Mirabile, Invecchiamento e lavoro: un confronto europeo, in “Lavoratori maturi, occupazione e
modelli di welfare. Nuove tendenze del mercato del lavoro e politiche di rafforzamento degli ‘over 45’”, atti della
conferenza europea SPI-CGIL e IRES-CGIL, pubblicati nel supplemento al n. 27 di “Rassegna Sindacale”, 2000.
41
Ageing: verso un mondo più maturo
generalmente ancora carente, sia negli interventi nei confronti della domanda di lavoro sia in quelli verso l’offerta.
Lo studio curato dall’ISFOL su Prolungamento della vita attiva e politiche del lavoro32
conferma che solo recentemente la maggioranza dei paesi europei, di fronte alla crisi
generale dei sistemi di protezione sociale, ha messo in discussione la logica degli
interventi cosiddetti “passivi”, non solo inefficaci di fronte ai nuovi rischi di marginalizzazione e di minaccia alla coesione sociale, ma inadatti a promuovere una risposta
attiva e più ampia al fenomeno multidimensionale dell’invecchiamento (come invece
dichiarato nei vari documenti ufficiali).
Inoltre, come hanno mostrato gli studi già ricordati di Gruber e Wise33 del NBER, la
mancata adozione di strategie “attive” di gestione dell’invecchiamento e di lotta alle
discriminazioni basate sull’età ha concorso ad alimentare un circolo vizioso, rilevabile dalla correlazione molto forte fra gli incentivi al pensionamento e le decisioni di
pensionamento effettive da parte dei lavoratori più anziani.
L’impatto di queste politiche sul fenomeno dell’uscita precoce dal lavoro va considerato alla luce delle azioni e degli atteggiamenti discriminatori che pervadono tuttora i
luoghi di lavoro. Già il sondaggio dell’Eurobarometro (prima richiamato) aveva segnalato che per la maggioranza della popolazione europea sono presenti molte discriminazioni in base all’età. L’offerta di posti di lavoro spesso contiene il limite di età a 40
anni, anche se esistono disposizioni di legge specifiche a divieto del comportamento, come nel caso francese.
Il ricorso massiccio al prepensionamento ha consolidato gli atteggiamenti basati sullo
stereotipo dell’età, mentre nella società si vanno diffondendo nuovi modelli temporali e
nuovi stili di vita non solo fra le persone anziane, ma in tutte le fasi del corso della vita.
È interessante notare che le ricerche sui giovani tendono costantemente ad ampliare il
campione delle coorti di età da inscrivere nel mondo giovanile (è significativo l’ultimo
rapporto IARD che studia i comportamenti e gli atteggiamenti dei giovani italiani, nell’età
compresa fra i 15 e i 34 anni), mentre il mondo del lavoro tende ad assimilare i quarantenni (ovvero la coorte contigua a quelli considerati giovani) alla folla dei “quasi vecchi”.
Se coloro che hanno più di 50 anni sono ritenuti troppo vecchi per il mondo del lavoro, inadatti ad apprendere e a confrontarsi con le nuove tecnologie (in totale incoscienza delle ricerche condotte sui processi di apprendimento in campo internazionale), anche chi ha 40 anni avverte spesso di non essere più considerato una risorsa
su cui investire con i programmi di formazione e di sviluppo professionale. Ed è interessante osservare che nelle coorti dei lavoratori quarantenni troviamo giovani adulti
che vivono ancora nella famiglia di origine, a causa della precarietà professionale,
giovani padri e lavoratrici madri di figli/e piccoli, a causa sia del prolungato investi-
32. G. Linfante, A. Scassellati, ISFOL, Prolungamento della vita cit.
33. J. Gruber, D. Wise, An International Perspective on Policies for an Ageing Society, Nber Working Paper
Series, Cambridge, 2001.
42
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
mento nella formazione che del relativo posticipo delle scelte procreative, e altri la cui
traiettoria professionale è messa in discussione dal fatto che già 40 anni è un limite
superato per i programmi di reclutamento delle assunzioni34.
In molti luoghi di lavoro i quarantenni sono già demotivati, senza prospettive di carriera,
nel mentre sono impegnati nell’avvio o nel consolidamento di altre tappe della loro vita.
Le recenti linee guida comunitarie sugli older workers hanno introdotto nell’agenda dei
paesi europei approcci più attivi per migliorare l’occupabilità della manodopera. In
generale, si può osservare una diffusa intensificazione delle proposte governative, che
si caratterizzano per un’azione più integrata, con programmi di carattere interministeriale, con pacchetti di riforma che includono modifiche dei sistemi previdenziali, programmi di pensionamento graduale, norme antidiscriminatorie, promozione di interventi nei luoghi di lavoro per il mantenimento della manodopera che invecchia, programmi
di formazione continua, azioni di sensibilizzazione per la rimozione degli stereotipi legati all’età e per favorire un maggiore avvicinamento fra le generazioni.
Per quanto riguarda il processo di adeguamento dei sistemi pensionistici alle mutate
condizioni demografiche, sono in corso nei diversi paesi dell’Unione Europea riforme
che presentano alcuni punti chiave abbastanza comuni:
•
le limitazioni al pensionamento anticipato (soprattutto Francia, Germania, Austria
e Olanda);
•
l’aumento dell’età pensionabile (Germania, Austria, Italia, Grecia, Francia, Portogallo e Regno Unito);
•
la flessibilizzazione dell’età di pensionamento (Germania, Austria, Francia, Lussemburgo, Svezia, Spagna, Belgio);
•
l’incentivazione della contribuzione e la possibilità di cumulo dei redditi (Italia, Svezia, Finlandia, Danimarca, Regno Unito e Germania);
•
il pensionamento graduale (Svezia e Finlandia).
Le azioni volte a promuovere l’occupabilità in tutte le età hanno mirato i loro obiettivi a
conservare la capacità lavorativa e le attitudini professionali al lavoro. La cornice di riferimento teorico sul concetto di “capacità di lavoro” è stata notevolmente ampliata dagli
studi di J. Ilmarinen, secondo cui la capacità di lavoro è frutto di una interazione fra fattori individuali e fattori ambientali. Nei contributi della Fondazione Europea di Dublino
alla conferenza interministerale di Turku sul tema Active Strategies for an Ageing
Workforce è contenuto un interessante schema sui fattori influenti sulla capacità di
lavoro individuale, elaborato dallo stesso J. Ilmarinen35.
34. In una ricerca sulle forme di lavoro non standard in Lombardia è emerso che la situazione lavorativa
temporanea di un quarantenne, soprattutto maschio (contratto di lavoro interinale), è osservata come esito di
un percorso professionale incompiuto se non addirittura fallito, C. Bassanini e E. Donati: Le condizioni di
lavoro non standard secondo lavoratori e lavoratrici, in M. Samek, R. Semenza (a cura di), L’occupazione non
standard: Italia e Lombardia nel contesto europeo, Milano, Franco Angeli, 2001.
35. Lo schema elaborato da J. Ilmarinen è pubblicato dalla Conferenza Interministeriale Finlandese su “Active
Strategies fon an Ageing Workforce”, Atti a cura della Fondazione Europea di Dublino, Turku, agosto 1999.
43
Ageing: verso un mondo più maturo
Secondo questo approccio, la capacità di lavoro non deriva solo dalle dotazioni di
risorse individuali, ma dall’azione specifica dell’ambiente di lavoro che può fornire o
sottrarre agli individui condizioni appropriate. Le risorse individuali, composte da grado
di salute, capacità funzionali, formazione e know how professionale sono condizionate
dall’ambiente umano e professionale (work community) e dalle condizioni di lavoro.
“La capacità di lavoro è un processo dinamico, variabile in relazione al gioco mutevole
delle sue componenti anche in senso longitudinale, e dunque nel corso della vita”.
Per favorire l’incremento delle capacità individuali del lavoro occorre che il tema dell’invecchiamento della popolazione diventi un’occasione per ripensare alla relazione
fra la salute, l’ambiente e l’età nei luoghi di lavoro, non solo nella fase finale della carriera, ma nel corso della vita.
La “formazione continua” è l’altra componente fondamentale di questi pacchetti di
politiche per favorire l’invecchiamento attivo della popolazione. Il concetto di lifelong
learning si inscrive nella prospettiva ampia seconda la quale l’apprendimento è un
processo che si sviluppa lungo tutto il corso della vita36. Un percorso che non è più
circoscritto ai primi anni della vita, ed è sganciato dai luoghi dell’istruzione formale:
né l’età né il titolo di studio esauriscono il processo di apprendimento, e neppure la
mansione specifica, ma il concetto si allarga fino a comprendere un processo continuo di acquisizione di conoscenze e informazioni, che si vanno a saldare ai livelli iniziali, sulla base delle esperienze maturate nel lavoro, nell’apprendimento formale e
informale, nelle responsabilità di cura come nelle attività del tempo libero37.
Mentre nei paesi nordici è una pratica di educazione degli adulti in uso da molti anni,
mirata sia al piacere di imparare che al miglioramento della qualità della vita individuale e collettiva, nei paesi come l’Italia, il principio del lifelong leaning è stato circoscritto ai luoghi di lavoro, e non a tutti (ci riferiamo all’esperienza italiana dell’educazione degli adulti, identificata nei corsi 150 ore).
Solo recentemente si sta diffondendo una maggiore convinzione che la formazione
per tutta la durata della vita è una scelta cruciale sia per la riforma dei sistemi di welfare (“la formazione è uno strumento estremamente efficace per liberare le persone
dall’intrappolamento e garantire loro buone prospettive di vita”)38, sia come politica
di promozione di tutte le età.
Tra i piani di azione nazionale dei governi, ne abbiamo selezionati alcuni, che illustrano meglio la varietà delle opzioni intraprese39.
36. Come suggerisce D. Featherman, Life Span Perspectives in Social Science Research, in P. Baltes, O.
Brim, Life Span Development and Behavior, Academic press, New York, 1983.
37. Si pensi ai primi corsi di inserimento o reinserimento lavorativo delle donne, elaborato dalla sociologa
francese Eveline Sullerot dal titolo “rétravailler” che mettevano l’accento proprio su questa visione complessa
della competenza e dell’apprendimento.
38. Gosta Esping-Andersen, I fondamenti sociali cit.
39. Per uno sguardo complessivo sulle politiche dei 15 paesi dell’Unione europea si rimanda alla rassegna
curata da ISFOL, Prolungamento della vita cit.
44
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
Regno Unito
Nel sito Internet del governo inglese40 si trova illustrato il progetto dal titolo Active
Ageing che contiene la strategia del governo per migliorare il benessere e la qualità
della vita delle persone anziane, aiutandole a rimanere attive.
Il pacchetto di proposte identifica linee d’azione per incrementare le opportunità di
lavoro per le persone che invecchiano, esaminando gli incentivi per i datori di lavoro
per impiegare e trattenere la manodopera anziana, e quelli per gli individui a mantenere un lavoro retribuito o volontario.
Premesso che senza un cambiamento nella mentalità e nei comportamenti gli sforzi
possono risultare vani, il governo ritiene di poter contribuire attraverso:
•
messaggi positivi che sostengano le risorse e il contributo che le persone oltre i
•
convincendo e, se richiesto, regolamentando ed emanando leggi per vietare le
50 anni possono dare alla società;
discriminazioni sull’età, qualora il codice di condotta approvato non produca
effetti tangibili;
•
come datore di lavoro, garantendo ai propri dipendenti più flessibilità nella transizione verso la pensione, e introducendo la variabile età fra le pratiche di pari
opportunità.
Una prima sezione è dunque dedicata agli sforzi per cambiare la cultura e le attitudini, in considerazione dei risultati di diverse ricerche che confermano l’esistenza di diffusi stereotipi circa le caratteristiche delle persone anziane, che sarebbero resistenti
al cambiamento e prive di ambizioni. A tale proposito vengono segnalati gli sforzi in
atto in altri paesi occidentali e in particolare si cita l’azione del governo finlandese,
olandese e americano.
Per la realizzazione del secondo obiettivo è stato emanato nel giugno 1999, a cura
del Department for Education and Employment, un codice di condotta governativo,
Code of Practice on Age Diversity, che dovrebbe contribuire a superare le azioni
discriminatorie basate sull’età. Il codice è stato elaborato con il contributo di diversi
attori sociali, comprese le organizzazioni sindacali e quelle datoriali.
Le aree previste dal codice sono: reclutamento, selezione, promozione, formazione e
sviluppo, programmi di ristrutturazione aziendale e pensionamento.
Il codice è corredato da una guida e da analisi di caso per assistere i datori di
lavoro nell’implementare i principi del codice. Inoltre, il governo ha sviluppato un
piano per la valutazione e il monitoraggio degli effetti prodotti dal codice di condotta (nel documento è contenuto un confronto con la legislazione americana, le
valutazioni d’impatto e di efficacia del codice e i risultati di sondaggi di opinione
tra le imprese inglesi).
40. Sito: www.number-10.gov.uk
45
Ageing: verso un mondo più maturo
La terza sezione riguarda le azioni del governo inglese nel ruolo di datore di lavoro. Il
governo deve dare un buon esempio adattando le sue pratiche organizzative ai principi del codice di condotta. In questa direzione propone:
•
misure di flessibilità nel processo di pensionamento;
•
la possibilità di andare in pensione a 65 anni;
•
la creazione di un pool di ex dipendenti pubblici da utilizzare in progetti di consulenze o lavori temporanei;
•
introduzione dell’età nel pacchetto delle politiche di pari opportunità;
•
azioni di monitoraggio delle azioni contro le discriminazioni basate sull’età.
Il coordinamento delle azioni governative è affidato al gruppo ministeriale Ministerial
Group for Older People che lavora in stretto contatto con il governo ed è tenuto ogni
sei mesi a relazionare la sua attività al primo ministro. Per realizzare il programma, al
gruppo ministeriale saranno incrementate le risorse a disposizione.
Sono previste anche azioni ad alto contenuto simbolico, tra le quali la nomina da
parte del primo ministro di un campione di anziani nel Ministerial Group per testimoniare l’importanza di questi temi nel governo e concorrere alla riuscita delle strategie
programmate.
Austria
Un programma di “politica per tutte le generazioni del governo austriaco” è pubblicato dal Ministero della Sicurezza Sociale e delle Generazioni.
Il programma contiene un’ampia e documentata analisi sia dei dati demografici sia
degli strumenti per una politica di tutte le età.
Le “buone prassi” cui si fa riferimento riguardano:
•
partecipazione sociale e politica degli anziani
•
riforma delle pensioni del 2000
•
accesso all’apprendimento per tutta la vita
•
politiche verso la famiglia
•
pari opportunità per le donne anziane
•
abitare in età avanzata
•
assistenza ospedaliera e cura
•
contributo degli anziani alla solidarietà intergenerazionale
•
contributo degli anziani alla società
•
preparazione alla pensione
•
rafforzamento del dialogo fra giovani e anziani.
Gli interventi concreti che vengono richiamati riguardano:
•
La creazione del National Senior Citizen’s Advisory Council, che ha il compito di
avanzare proposte per migliorare la politica austriaca verso gli anziani. In questo
ambito il governo andrà a rivedere il suo intero sistema legislativo per identificare
46
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
e cancellare articoli o norme che sono in contrasto con l’art. 13 del Trattato di
Amsterdam. L’Austria sarà il primo paese europeo a bandire dal suo ordinamento legale le discriminazioni basate sull’età.
•
Nella riforma delle pensioni è stata introdotta la possibilità per il lavoratore anziano di lavorare part time. È stata introdotta una penalizzazione economica per le
aziende che licenziano personale con lunga anzianità. Per consentire ulteriore
istruzione ai lavoratori oltre i 45 anni, il permesso dal lavoro è retribuito come
fosse periodo di disoccupazione.
•
Da 20 anni l’Austria ha università accessibili a tutte le età: non risente quindi dei
problemi derivanti dalla perdita di contatto fra persone di diverse generazioni. Il
Ministero delle Generazioni favorisce numerose iniziative per rafforzare la competenza sulle tecnologie di comunicazione degli anziani
•
Per le donne è stato dato specifico supporto ai programmi che consentono
alle donne anziane una vecchiaia indipendente e l’accesso all’istruzione. È istituito un gruppo di lavoro interministeriale in cui l’attenzione è posta sul lavoro
di cura affinché non comporti la perdita di titoli e benefici per il benessere
sociale.
•
È stato varato un piano per migliorare la sicurezza domestica degli anziani. Sono
stati eseguiti progetti di abitazioni per tre generazioni per aiutare a contrastare il
senso di isolamento e di solitudine che incontrano le persone anziane, soprattutto nelle aree rurali. Gli anziani che vivono soli ospitano studenti in cambio di assistenza. Sono stati concessi periodi di congedo per i parenti anziani, garantiti sia
dal punto di vista pensionistico che retributivo.
•
Particolare attenzione è stata data ai trasferimenti finanziari dai vecchi ai giovani
(es. aiuti per comperare la casa) che il programma quantifica e specifica. Questi
trasferimenti dai vecchi ai giovani sono considerati mezzi di estrema importanza
per la ricchezza individuale e collettiva.
•
Gli anziani vengono considerati un serbatoio potenziale per il volontariato intergenerazionale. Come risultato concreto dell’impegno governativo sono nati 30
Citizen Offices for Young and Old che hanno messo in cantiere un gran numero di
iniziative e attività per promuovere lo scambio intergenerazionale.
Finlandia
Il sito Internet del governo contiene il programma del Ministero degli Affari Sociali e
della Salute: Programme on Ageing Workers 1998-2002, che coinvolge anche i ministeri del Lavoro e dell’Educazione.
Il programma interministeriale prende avvio dalla rilevazione che il tasso di partecipazione alla forza lavoro delle persone over 60 è il più basso tra i paesi europei. Pertanto il programma include una riforma delle strutture e della legislazione sulla vita
lavorativa e una serie di indagini per favorire progetti sperimentali.
Il programma comprende una campagna nazionale di informazione diretta a differen-
47
Ageing: verso un mondo più maturo
ti destinatari (servizi pubblici, imprese, associazioni di volontariato, centri di formazione) con programmi di addestramento per migliorare le capacità di lavoro della
forza lavoro più adulta.
Viene istituita una banca dati nazionale con una intensa attività di ricerca per raccogliere informazioni ed esperienze di mantenimento della forza lavoro nei luoghi di
lavoro, da diffondere nelle imprese.
Una parte del programma è espressamente destinata a migliorare le condizioni di
salute nei luoghi di lavoro, in particolare nelle piccole e medie imprese, e a diffondere l’uso del part time come passaggio graduale dal lavoro alla pensione.
Per il Ministero del Lavoro l’impegno specifico riguarda lo sviluppo e la diversificazione dei servizi per l’impiego che dovranno promuovere la forza lavoro anziana e
supportare le persone anziane a trovare autonomamente possibilità di impiego o
reimpiego.
Attualmente sono in corso di realizzazione 25 programmi sperimentali di interazione fra la forza lavoro di diverse età, i cui primi risultati sono definiti come molto
incoraggianti.
Un programma chiamato Act on Cooperation avviato nel 2002 ha introdotto la possibilità di diffondere rapporti con tempi di lavoro più flessibili e ambienti umani e professionali (work community) in cui sia possibile promuovere l’impiego di lavoratori
anziani e mantenere le loro competenze professionali.
Esiste uno schema per il pensionamento graduale dei lavoratori con più di 60 anni del
settore privato, esteso da quattro anni a quello pubblico (la retribuzione part time
integrata da una pensione parziale che copre il 50% dei mancati guadagni).
L’altro attore cruciale del programma è il Ministero dell’Educazione, titolare di ben 10
delle 40 azioni previste dal programma nazionale: punto di partenza è la promozione
dell’educazione adulta dai 45 anni in su (older workers), convertendo in specifici
interventi il concetto di lifelong learning.
Sono state coinvolte più di 1.000 istituzioni educative e si è voluto che un terzo dei
docenti fossero persone con più di 50 anni di età, al fine di fornire esempi pratici dei
principi proclamati.
Italia
Il processo di invecchiamento nel nostro paese si è rivelato assai più rapido e
intenso rispetto ad altri in cui il trend è iniziato almeno una decina di anni prima;
inoltre, sia i tassi di occupazione che quelli di partecipazione al lavoro delle persone d’età più matura sono drasticamente diminuiti, soprattutto per la componente
maschile (la media italiana nella classe 55-64 è ancora scesa da 28,5% nel 1995 a
27,7% del 2000, mentre quella dei paesi UE risaliva da 35,9% a 37,7% – stima
Eurostat, 2001).
Il nostro paese è tra quelli che più hanno utilizzato gli incentivi per il pensionamento
anticipato, già a partire dagli anni ottanta, provvedimenti che sono risultati estrema-
48
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
mente costosi per il sistema-paese, ma benefici per i costi aziendali, e pertanto graditi alle imprese e alle loro politiche di gestione del personale41.
Sebbene il nostro paese presenti tassi di attività generalmente più bassi rispetto a
quelli degli altri paesi europei (per l’azione congiunta di quattro fattori: scarsa presenza delle donne, alta disoccupazione giovanile, bassi tassi specifici della forza
lavoro più anziana, grande estensione del fenomeno dell’economia sommersa), per
quanto riguarda i lavoratori over 50 il dato, seppur in diminuzione, non è così dissimile da quello di altri grandi paesi: quello che sembra specifico della nostra realtà è,
a detta di molti osservatori, che il nostro sistema pensionistico ha incentivato, insieme all’esodo di molti lavoratori, la crescita del lavoro sommerso. La seconda o terza
carriera si disegna per molti ex lavoratori nell’economia informale, grigia e sommersa
(si fa riferimento alla ricerca dell’IRES-CGIL, per conto dello SPI-CGIL sulla partecipazione dei pensionati al fondo INPS del 12% – quello delle collaborazioni in forma autonoma – che rileva che l’adesione di lavoratori non più giovani a secondi lavori o
seconde carriere non è banale né per consistenza né per tipologia di motivazione)42.
Il processo di revisione pensionistico in atto è, secondo il parere di molti commentatori, incompleto e tuttora squilibrato (in particolare per la bassa porzione contributiva), ma soprattutto numerose e diffuse sono ancora le misure pubbliche che sostengono il pensionamento anticipato, mentre quelle per un pensionamento graduale
sono poco utilizzate (nonostante già il NAP del 1999 sottolineasse la necessità di
provvedimenti per il pensionamento graduale e le possibilità di part time per i lavoratori anziani).
Ma la debolezza più grave delle politiche di sostegno alla manodopera che invecchia
è probabilmente rappresentata nel nostro paese dalla formazione. La formazione
continua, prevista dalla costituzione di un fondo di formazione nell’ambito della legge
n. 236/93 e dal FSE (Ob. 4), è tuttora un punto debole del paese; il masterplan del
1999 aveva posto l’obiettivo di quadruplicare il numero dei soggetti coinvolti nella
formazione, l’educazione e la ricerca scientifica (l’ISFOL ha in corso il monitoraggio dei
dati). Anche il versante privato, rappresentato dalle imprese, sembra scarsamente
interessato alla riqualificazione del personale adulto: le imprese di medie dimensioni
affidano alle regioni la formazione degli adulti e gli investimenti formativi nelle grandi
imprese sono principalmente rivolti alle persone con meno di 40 anni (dalle rilevazioni Eurostat si nota che le persone con più di 50 anni rappresentano una quota del
10% di coloro che usufruiscono di opportunità formative, intese principalmente come
aggiornamento professionale)43.
41. Sul processo di sostituzione definito young-in/old-out, come su altri aspetti dell’esperienza italiana, si
rinvia a, e si attinge da, diversi studi dell’ISFOL. Cfr. in particolare ISFOL, Prolungamento della vita cit.
42. “Rassegna Sindacale”, supplemento al n. 5 del 1999.
43. Nell’Eurostat Yearbook 2003 sono riportati i dati sulla formazione continua nelle imprese dei 15 paesi
europei.
49
Ageing: verso un mondo più maturo
La stessa ricerca dell’ILO sottolineava come le imprese risultino tuttora poco attente
a questi temi, troppo centrate sul profitto immediato, e quindi scarsamente orientate
a quella cultura della “responsabilità sociale” auspicata recentemente dalla Commissione Europea nel “libro verde” Promoting a European Framework for Corporate
Social Responsibility (2001).
Nel rapporto di monitoraggio sulle politiche occupazionali e del lavoro, a cura del
Ministero del Lavoro (2000), si legge che gli interventi che si rivolgono ai lavoratori
over 45 sono solo il 6% del totale, nonostante gli over 45 rappresentino oltre il 13%
delle persone in cerca di lavoro.
Nel monitoraggio condotto dall’ISFOL sui servizi per l’impiego nel 2001, risultava che
solo in tre centri sui 99 analizzati erano stati attivati servizi specifici per la manodopera over 45.
Sempre nello studio dell’ISFOL del 2002 sono state individuate alcune “pratiche territoriali” che possono rappresentare dei casi di buone prassi. I casi individuati presentano diversi modi di intendere e di realizzare interventi per il lavoro:
•
azioni da parte di alcuni imprenditori per mantenere i lavoratori anziani all’interno
della propria impresa;
•
progetti sistemici e integrati per l’occupabilità di ampie fasce della popolazione
rimaste finora ai margini del mercato del lavoro (es. donne adulte);
•
esperienze di governance pubblica-privata del mercato del lavoro;
•
politiche di impresa cooperativa per la gestione strategica delle risorse umane
(con attenzione alla conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro).
Il tema dell’invecchiamento attivo si rivela molto “giovane” per le politiche istituzionali
del nostro paese, nonostante vi siano misure legislative molto innovative e diversi
attori (si pensi ai sindacati dei pensionati, le università per la terza età, alcune associazioni datoriali, ecc.) risultino coinvolti in interessanti percorsi di innovazione culturale, di sperimentazioni e di azioni di ricerca.
Sul piano normativo, due sono le misure più interessanti da segnalare:
•
la nuova legge sull’assistenza (legge n. 328/2000), che prevede il superamento
del concetto di assistenza come elemento caritativo, volgendolo in diritto del cittadino e l’affidamento ai comuni, in collaborazione con le strutture di volontariato, delle funzioni di programmazione dei servizi assistenziali territoriali;
•
la legge n. 53/2000 sui congedi parentali che sancisce tre importanti obiettivi,
ossia la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, la formazione continua e
il coordinamento dei tempi delle città.
A partire dallo sfondo appena tratteggiato, le opzioni di policy che l’ISFOL individua
per il nostro paese sono le seguenti:
•
il mantenimento e la promozione della salute della forza di lavoro che invecchia;
•
il supporto sul posto di lavoro per i lavoratori/lavoratrici impegnati nel lavoro di cura;
50
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
•
l’adattamento del design e dell’organizzazione del lavoro;
•
il lavoro part time;
•
il rafforzamento della gestione della risorsa umana della forza di lavoro che
invecchia;
•
lo scambio generazionale nei luoghi di lavoro;
•
la mobilità professionale;
•
l’outsourcing e l’accompagnamento al lavoro autonomo;
•
l’outplacement o accompagnamento alla ricollocazione professionale;
•
il passaggio al non profit.
51
Ageing: verso un mondo più maturo
1.3 Terza tappa. Una società per tutte le età: un
progetto d’innovazione sociale
Entro il quadro del percorso delineato dai capitoli precedenti, che presenta elementi
di novità sul piano della consapevolezza dei processi coinvolti dall’invecchiamento
della società accanto a timidi e controversi sviluppi a livello politico e istituzionale, si
viene a inserire un contributo di notevole portata innovativa. “Una società per tutte le
età” è la parola d’ordine lanciata dall’ONU già nel 1999, e A Society for all Ages è una
prospettiva più ampia e inclusiva di tante appartenenze, non solo quella di età, che
prefigura un approccio teorico e un orientamento operativo che possono innovare
radicalmente i modi sia di vedere sia di affrontare il processo di ageing-invecchiamento. Vediamo come.
1.3.1 Anno Internazionale delle Persone Anziane: il lancio di una
nuova prospettiva sull’ageing
“It is fitting for the last year of the millenium to be the International Year of Older
Persons, with the theme ‘towards a society for all ages’ – a society that does not
caricature older persons as pensioners, but sees them as both agents and
beneficiaries of development”
Kofi Annan, Segretario Generale dell’ONU 1° ottobre 1998
Il 1999 è stato dichiarato “Anno Internazionale delle Persone Anziane”: è stato l’impegno delle Nazioni Unite per richiamare l’attenzione sul rapido fenomeno dell’invecchiamento mondiale e le differenti implicazioni di una società che invecchia.
Le indicazioni dell’ONU propongono un approccio complessivo al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, posizionando l’evoluzione demografica entro una
cornice ben più ampia di problematiche e di contraddizioni, affrontabili solo rimettendo in discussione alcuni pilastri del funzionamento delle società contemporanee.
L’emergenza economico-finanziaria sollevata dal costo crescente della spesa pensionistica e dall’erosione della base imponibile viene riformulata come questione che
interroga le basi del patto di solidarietà intergenerazionale sul quale si reggono i programmi di trasferimento delle risorse pubbliche. Vengono sollevati temi di giustizia
distributiva, di funzionamento dei mercati del lavoro per rispondere all’invecchiamento attivo, di superamento delle discriminazioni di genere, dei diritti delle persone ad
accedere a pacchetti di risorse per mantenere e sviluppare competenze e capacità
da inglobare nella ricchezza mondiale.
Il termine “ageing” viene sottratto al riduzionismo che lo associa solo con il periodo
della vecchiaia e proposto come processo di ridefinizione di tutte le età del corso
52
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
della vita, connettendo le diverse tappe dello sviluppo individuale e facendo irruzione in quelle idee, che come sostiene J. Hillman44, producono il nostro immaginario
della vecchiaia come fase della separatezza e dell’afflizione.
Sotto la parola d’ordine a society for all ages, è stato lo stesso segretario generale
Kofi Annan a mettere al centro i cambiamenti della struttura per età indotti dalla rivoluzione demografica come occasione per ripensare a tutte le età, in una prospettiva
di inclusione in cui ciascuno sia considerato agente e beneficiario del processo di
sviluppo mondiale.
Nel suo discorso di apertura della Conferenza indica che: “una società per tutte le età
è multigenerazionale; non è frammentata con giovani, adulti e vecchi ognuno che
procede in modo separato; piuttosto è una società inclusiva che riconosce nelle differenze generazionali la propria comunità di interessi”.
In realtà, il concetto di “una società per tutte le età” era già presente in radice nel Programma di azione adottato al Vertice mondiale per lo Sviluppo sociale tenuto a
Copenhagen nel 1995: parlando di una società per tutti (a society for all), si definiva
come contenuto-obiettivo fondamentale dell’integrazione sociale la possibilità per
ogni individuo, ciascuno coi propri diritti e le proprie responsabilità, di avere un ruolo
attivo da giocare. Attraverso l’aggiunta del riferimento all’età (ages) allo slogan a
society for all, l’approccio mira ad acquisire una dimensione multigenerazionale,
secondo cui le diverse “generazioni investono una nell’altra e condividono i frutti di
tale investimento, guidate dai principi gemelli della reciprocità e dell’equità”45.
La decisione di dedicare l’anno 1999 come Anno Internazionale delle Persone Anziane e di promuovere il tema della “società per tutte le età” mirava appunto a diffondere questo nuovo modello concettuale e a sollecitarne l’integrazione in nuovi corsi d’azione politica.
Le implicazioni di una ageing society vengono successivamente precisate nel documento preparatorio della assemblea mondiale sull’invecchiamento46, che presenta
contenuti di straordinaria novità, capaci di segnare l’avvio di un nuovo stadio nella
comprensione e nella gestione del mutamento in atto.
Le origini e le implicazioni di una nuova strategia sull’ageing vengono ricondotte a
quattro ambiti fondamentali di cambiamento, dei quali di seguito richiamiamo le
componenti fondamentali indicate dall’ONU.
Dissolving the boundaries of age
La rivoluzione demografica impone di ripensare le rigide distinzioni che definiscono
le età e i loro confini. L’età non è una questione separata rispetto a temi quali l’inte44. James Hillman, La forza del carattere, Adelphi, Milano 2000.
45. UN, Division for Social Policy and Development, Towards a Society for all Ages, www.un.org/esa/
socdev/ageing, 2003
46. Il documento UN, International Strategy for Action on Ageing, è del 2000 e verrà presentato nel corso
della Seconda Assemblea Mondiale dell’invecchiamento di Madrid, aprile 2002.
53
Ageing: verso un mondo più maturo
grazione sociale, il progresso di genere, la stabilità economica o i rischi di povertà.
Sia il complesso delle infrastrutture sociali, così come i nuovi corsi della vita individuali, tendono ad essere profondamente alterati da un progressivo invecchiamento
della popolazione globale e occorre attrezzare le persone a fronteggiare la sfida del
cambiamento.
Il punto è che il mondo cambia mentre invecchia, e così come le persone mature
sono state gli agenti di questo cambiamento, così esse dovrebbero poterne essere
anche i beneficiari.
L’imperativo attuale, dunque, è che le società sappiano rispondere allo straordinario
potenziale e all’ampia variabilità individuale che assume il fenomeno dell’invecchiamento, trovando le modalità per ripensare alle nozioni convenzionali di “limite” e per
riconoscere i benefici che possono derivare dal perdurante contributo attivo dei loro
cittadini più maturi.
A call for revolutionary thinking
Il ritratto del cambiamento demografico nella popolazione mondiale è paragonabile a
un altro straordinario cambiamento, quello della rivoluzione industriale, tradizionalmente considerata il più importante fattore di cambiamento economico e sociale
nella storia recente dell’umanità. La rivoluzione demografica, secondo le previsioni
dell’ONU, sarà almeno altrettanto potente. Straordinarie sfide si prospettano perché le
strutture economiche e sociali sappiano adattarsi ai simultanei fenomeni della diminuzione delle coorti più giovani e dell’aumento di quelle più mature, mentre nuove
opportunità si presentano nella forma di un gran numero di persone anziane e nel
contributo potenziale che da esse le società potrebbero guadagnare.
Quel che è certo è che l’invecchiamento della popolazione permea tutte le sfere della
vita economica, sociale e culturale. Un cambiamento “rivoluzionario” richiede l’assunzione di un pensiero altrettanto “rivoluzionario”, per formulare politiche di risposta
adeguate.
In particolare, il nuovo pensiero richiede due principi di base: che l’ageing sia visto
come un processo che investe tutta la vita degli individui (ageing is lifelong) e come
un mutamento che investe tutte le sfere della società (ageing is society-wide), non
come un fenomeno che riguarda soltanto le persone anziane.
Con il principio ageing is lifelong si sostiene infatti che gli individui iniziano il loro processo di invecchiamento fin dal momento della nascita e, attraverso il corso della
vita, accumulano una serie di esperienze che portano i loro effetti positivi o negativi
sulle capacità e il benessere negli anni più avanzati. Politiche e programmi adeguati
al nuovo contesto devono per esempio incoraggiare la flessibilità dei posti di lavoro,
l’apprendimento lungo tutto il corso della vita e stili di vita sani, specialmente nei
periodi di transizione tra giovinezza ed età adulta, e tra mezza età ed età anziana. In
questa chiave, paradossalmente, i destinatari prioritari delle politiche per l’età anziana sono le giovani generazioni, che devono avere la capacità di reinventare più volte
54
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
se stesse in società soggette a rapido cambiamento. Hanno perciò bisogno di coltivare stili di vita sani, di acquisire flessibilità e capacità di previsione, di avere l’opportunità di aggiornare continuamente le loro competenze professionali, di sviluppare e
mantenere ampie reti sociali.
Come dice bene un altro documento di fonte ONU: “Le abilità di cui si dispone nel
corso dell’età avanzata hanno la loro genesi nell’età giovane. Molti dei giovani d’oggi posso aspettarsi di vivere più a lungo dei loro predecessori, ma in circostanze
molto diverse dalle loro. Prevedendo una esistenza più lunga, i giovani possono
essere incoraggiati a pensare alla vita futura come a una maratona, che richiede un
particolare tipo di preparazione e un certo ‘passo’ nella accumulazione del ‘capitale’
e delle risorse necessarie”47.
Ma anche la mezza età diventa una fase fondamentale in una vita più lunga, divenendo un momento di transizione fra la giovane età adulta, solitamente dedicata alla
formazione della famiglia e al consolidamento dell’occupazione, e l’età adulta matura, quando le forme della famiglia di frequente cambiano e ci si dispone alla ricerca
di “seconde carriere”, incluse quelle che possano essere sostenute anche nelle età
più avanzate.
Insomma, le capacità e le risorse individuali devono potersi espandere lungo tutto il
corso della vita, in tal modo espandendo anche le capacità delle società e il loro prodotto sociale.
Con l’espressione ageing is society-wide si vuole invece sottolineare il fatto che a
invecchiare non sono solo gli individui ma anche le società, e che anche il processo
di invecchiamento fa parte di quel processo di cambiamento globale delle società
che ha luogo sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche e delle trasformazioni culturali della nostra epoca. La tendenza all’invecchiamento delle società è ormai un
fenomeno mondiale e il mutamento nella struttura per età delle popolazioni influenza
direttamente i sistemi di supporto economico e sociale. Che siano formali o informali, basati sull’appartenenza a comunità locali e sulla solidarietà, oppure su programmi aziendali o di welfare statali, la sostenibilità di tutti i sistemi di gestione o protezione dai rischi viene posta sotto pressione e richiesta di cambiamenti rilevanti, con
conseguenze su numerose sfere dell’organizzazione sociale.
Ma se l’invecchiamento della popolazione sta rivoluzionando la infrastruttura economica e sociale, la globalizzazione e l’innovazione tecnologica stanno rivoluzionando
il nostro sistema “degli attrezzi”: uno dei quali è la tecnologia dell’informazione. In
particolare, la tecnologia ha cambiato i tempi e i modi con cui si accede all’informazione e le persone anziane sono inserite in questo contesto e si confrontano con questa cultura (anche se la maggior parte di esse, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, non ha ancora accesso a queste risorse). Quando l’invecchiamento trova convergenza con la tecnologia e la globalizzazione, sempre secondo l’ONU, ne può sca47. UN, New Age for All Ages, www.un.org/esa/socdev/ageing, 2003.
55
Ageing: verso un mondo più maturo
turire una nuova cultura, con suoi propri modelli di produzione e consumo, e le proprie strutture e i propri servizi. E la nuova cultura che emerge dai processi di innovazione tecnologica a livello globale può anche contribuire a promuovere un dialogo
politico più aperto, attivare ricerche, produrre conoscenze utili anche per affrontare
gli elementi cruciali della società che invecchia.
Meaning and images in an ageing society
Le immagini dell’invecchiamento sono molto radicate nelle culture sociali. La ricchezza e lo scambio di idee rese praticabili dalle moderne tecnologie è una straordinaria conquista e un dato di fatto. Tuttavia, va sottolineato che la conoscenza, e
soprattutto le immagini proposte dai media dei paesi occidentali propendono pesantemente per la glorificazione di ciò che è giovane, mentre omettono le persone anziane e le dipingono secondo stereotipi negativi. Questo ha particolare impatto negativo sulla vita delle donne anziane, poiché tendono a soffrire tuttora di processi di
esclusione politica, sociale ed economica.
Mentre la società invecchia, tuttavia, essa cambia anche nei modi in cui le età sono
rappresentate. La percezione delle transizioni che segnano i confini tra le diverse età
sono in via di cambiamento sotto l’effetto dei mutamenti nelle strutture familiari, nelle
relazioni di vicinato, di comunità. Per l’assunzione di molti ruoli i rigidi confini delle età
sono stati offuscati e il ciclo della vita tende a svilupparsi entro dinamiche che sono
molto diverse e non sono più strettamente vincolate da cornici cronologiche o stadi
come quelli che vigevano un tempo.
Lo stesso si può dire per le immagini che informano l’idea del cambiamento. Se da
una parte il cambiamento genera ansia, le sfide che produce possono essere affrontate con nuove domande e non con il biasimo. Situazioni o scelte che una volta sembravano incompatibili, lavoro o pensione, forza o vulnerabilità, possono essere affrontate e rese compatibili in una cornice creativa.
Per affrontare il cambiamento, dunque, “Noi abbiamo bisogno di un pensiero senza
età [ageless thinking] – e questo richiede un nuovo modello mentale, una nuova
finestra attraverso la quale guardare a tutte le cose. Per secoli la gente ha visto il
mondo come se fosse piatto, e tutto era spiegato nei termini di un mondo piatto.
Quando si dimostrò che il mondo era tondo, si svilupparono nuovi tipi di pensiero,
di strutture mentali, di termini e di immagini per rappresentare le cose. Analogamente, vedere l’invecchiamento come un processo che interessa tutto il corso
della vita e che coinvolge tutta la società – non come un fenomeno che riguarda
solo le persone anziane – richiede un salto nel modo di pensare”48. Questo muta-
48.“We need ‘ageless thinking’ – and this calls for a new mental framework or window through which we see
things. For centuries people saw the world as flat, when everything was explained in terms of a flat world.
When the world was proven to be round, new kinds of thinking, structures, terms, and images developed.
Similarly, seeing ageing as a lifelong and society-wide phenomenon – not only a phenomenon pertaining to
older persons – calls for a shift in thinking”. UN, New Age for All Ages cit.
56
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
mento necessario è il messaggio sottostante il tema dell’Anno Internazionale: “una
società per tutte le età”.
Dunque, la nuova architettura sociale generata dall’invecchiamento richiede politiche
orientate a rimuovere gli ostacoli e a facilitare il contributo di tutti, sorrette da pensieri
e immagini originali che riflettano la realtà e il potenziale delle persone delle diverse
età, anziché stereotipi e miti. Sono così relative e varie le esperienze dell’invecchiamento, e così complessi e multipli i ruoli giocati dai soggetti in esse coinvolti, che non
è più accettabile alcuna immagine basata su una grigia omogeneità.
Policy considerations
La maggior parte delle politiche per le età anziane sono state progettate fino ad oggi
con una immagine di società giovane nella mente, ricorda l’ONU con efficacia. Da
questo punto in avanti le politiche per le persone anziane, quelle per i giovani e quelle per le età di mezzo dovranno essere progettate con una ageing society nella mente.
In una società dove una persona ogni tre avrà più di sessant’anni, le comunità locali, nazionali e internazionali devono ripensare a come adattare le infrastrutture, le politiche, i servizi, i programmi di intervento. Gli interventi, che devono includere investimenti in campo sociale e umano oltre che economico, devono mirare a prevenire le
forme di dipendenza evitabili sia nelle età avanzate per gli individui, sia lungo il cammino per le società invecchiate. Come suggeriscono gli studi internazionali, quando
investimenti “giudiziosi” sono effettuati in anticipo e programmati per tempo, l’invecchiamento può divenire, anziché una perdita, una risorsa per aumentare il capitale
umano, sociale ed economico. Questo richiede investimenti nel corso della vita,
rafforzando le capacità degli individui e mettendoli in grado di agire (fostering enabling societies/environments), favorendo processi di collaborazione flessibili fra i vari
attori, attraverso i quali il futuro di una società per tutte le età possa avverarsi dal presente. Il “pacchetto” di conoscenza, esperienza e saggezza che si forma con l’età è
parte di una consapevolezza interiore che non può essere scambiata, venduta o
rubata. Essa va però attivata, ampliata e utilizzata in tutti i campi della società, come
finestra aperta sulla nostra creativa immaginazione.
1.3.2 La traduzione in Europa
L’impegno dell’Europa rispetto alle indicazioni delle Nazioni Unite viene presentato a
Vienna, nel corso della conferenza dal titolo Towards a Europe for All Ages nell’ottobre 1999.
Come si legge nel documento preparatorio:
“L’invecchiamento della popolazione esercita effetti diretti sui rapporti istituzionali e
sociali che danno forma alla vita di tutti i giorni dei cittadini. Questo fenomeno influenza profondamente le condizioni di vita e di lavoro, nonché i rapporti intergenerazionali e fra i sessi. Pertanto esso crea sfide importanti per le istituzioni e le politiche che
57
Ageing: verso un mondo più maturo
sono state poste in atto in un’era in cui le prospettive demografiche erano assai
diverse. Che si prendano in conto le problematiche sia della protezione sociale sia
dell’occupazione e della sanità pubblica, la conoscenza dell’invecchiamento demografico risulta essenziale ai fini dell’analisi dei cambiamenti futuri e della definizione
di politiche adeguate per farvi fronte. L’invecchiamento “attivo” è la chiave per risolvere questo problema, attraverso un contributo dei cittadini alla società in termini di
capacità, piuttosto che di cronologia”.
Due sono i fronti principali di azione dell’Unione europea:
Promuovere un invecchiamento attivo. Allo scopo di promuovere anche l’occupazione degli anziani sarà necessario mantenere e rafforzarne l’occupabilità e garantire
che il mercato del lavoro e il posto di lavoro siano adeguati. A tali fini si dovrà fare
quanto segue:
•
migliorare le competenze, la motivazione e la mobilità dei lavoratori più anziani;
•
porre in atto le prassi migliori per garantire un sostegno all’apprendimento lungo
tutto l’arco della vita e alla diffusione delle conoscenze;
•
adattare il posto di lavoro a una forza lavoro in via di invecchiamento, attraverso
cambiamenti delle regole e delle prassi occupazionali;
•
migliorare l’ambiente di lavoro in modo da ridurre al minimo l’erosione dell’occupabilità e da consentire una più lunga vita lavorativa;
•
porre in atto politiche occupazionali mirate a facilitare l’accesso dei lavoratori in
corso di invecchiamento a forme più adatte e più flessibili di attività professionale;
•
adottare atteggiamenti e prassi che impediscano di porre al di fuori del mercato
del lavoro i più anziani.
Ciò consentirà alle società di trarre vantaggio dal potenziale degli anziani in misura di
gran lunga superiore rispetto a quanto avviene oggi.
Promuovere la parità di opportunità. L’invecchiamento solleva diverse problematiche
nel campo delle pari opportunità fra donne e uomini. La maggiore partecipazione delle
donne sarà la fonte principale di crescita della futura forza lavoro in numerosi Stati
membri. La partecipazione femminile è tuttora ancora troppo bassa in molti paesi. Oltre
il 50% delle donne di età superiore ai 50 anni non dispone di una attività professionale
retribuita. Ciò dipende in parte dalle difficoltà di conciliare l’attività economica con gli
obblighi familiari. Inoltre, le donne continuano ad essere sovrarappresentate nei settori
più vulnerabili e a più bassa retribuzione, in cui è massimo il rischio di licenziamento.
Queste tendenze generali richiedono l’attuazione di una politica intesa a:
•
facilitare l’accesso delle donne a carriere più sicure e meglio retribuite, oltre a
garantire pari opportunità di partecipazione a corsi di formazione professionale e
di aggiornamento delle competenze professionali lungo tutto l’arco della vita;
•
porre ulteriore accento nelle varie politiche sull’obiettivo di conciliare vita familiare e vita professionale. Meritano di essere ulteriormente promosse una migliore
condivisione delle responsabilità familiari fra gli uomini e le donne e l’adozione di
58
Parte prima – L’invecchiamento della popolazione europea
politiche occupazionali che facilitino le possibilità di carriera per chi svolge un
lavoro di assistenza (assistenza anziani e non autosufficienti);
•
favorire l’impiego di strumenti fiscali e di politica familiare per promuovere la partecipazione della forza lavoro femminile.
“Aggiungere vita agli anni” è lo slogan coniato per promuovere una partecipazione
attiva delle persone che invecchiano alle comunità locali. Prepararsi a una vita più
lunga, più attiva e migliore, lavorare più a lungo, andare in pensione in modo graduale e cogliere le opportunità di fornire un contributo attivo alla società dopo il pensionamento è il miglior modo di garantire il massimo grado possibile di autosufficienza
e di autoconsapevolezza delle proprie capacità nel corso dell’età avanzata.
1.3.3 Una prospettiva molto promettente
La maggior parte delle campagne promozionali volte a contrastare le discriminazioni
sull’età sono debitrici, come sostiene il rapporto OECD, dell’iniziativa dell’ONU di dedicare il 1999 all’Anno Internazionale per gli Anziani.
Le stesse indicazioni dell’Unione Europea traggono maggiore convinzione da tale
evento e si consolidano nella direzione intrapresa verso la promozione di un invecchiamento attivo e la creazione di pari opportunità fra donne e uomini.
In effetti, la prospettiva inaugurata dall’ONU è radicalmente innovativa, raccoglie i
contributi più originali della letteratura sul tema e indica un ulteriore sviluppo del
modello sociale dell’invecchiamento attivo, “al centro della rivoluzione demografica
ci sono i cambiamenti delle età come occasione per ripensare a tutte le età in una
prospettiva di inclusione, in cui ciascuno sia considerato agente e beneficiario di
questo processo di sviluppo mondiale”.
Al centro dell’active ageing vi sono le capacità delle persone che invecchiano di condurre vite produttive per la società e per l’economia, avendo a disposizione più possibilità di scelta nel modo in cui spendere il tempo della loro vita fra apprendimento,
lavoro, cura, partecipazione. Il compito delle varie istituzioni pubbliche e private è
quello di rimuovere le “costrizioni” che impediscono o ostacolano queste scelte.
Ma al cuore della strategia dell’ONU vi sono due assunti più profondi:
•
i destinatari prioritari per le politiche rivolte alle età anziane sono i giovani;
•
occorre rendere compatibili situazioni o scelte che una volta erano considerate
inconciliabili, quale lavoro e pensione, ma anche lavoro e responsabilità di cura,
autonomia e dipendenza, forza e vulnerabilità.
Il riferimento teorico più immediato a una simile impostazione è l’approccio sociologico del corso di vita che, avvalendosi di diversi contributi disciplinari, ha asserito
che il mutamento evolutivo avviene lungo l’intero arco della vita e che il processo di
invecchiamento riflette eventi biologici, sociali, psicologici e storici. In questa chiave,
59
Ageing: verso un mondo più maturo
l’attenzione non è più concentrata sulle definizioni della vita, e sui tentativi di individuare specializzazioni di fase o terminologie dell’età più attuali e moderne (i giovani
adulti, i quasi adulti, i giovani anziani, ecc.), ma sulla dialettica relazionale che contrassegna le biografie, mettendo in evidenza i legami e le interdipendenze esistenti
fra biografie individuali e comportamenti collettivi.
I confini delle età si fanno meno precisi: nuovi tipi di generazioni emergono, frutto di
rinegoziazioni permanenti, con chi viene prima, i più anziani, e con quelli che seguono, i più giovani. E la società che invecchia ridefinisce continuamente le potenzialità
reali nelle diverse fasi della vita. Il ritmo a tre tempi – educazione, lavoro, pensionamento – rigidamente scandito, è diventato davvero un modello obsoleto.
Questa evoluzione, sostiene una studiosa del fenomeno (Attias Donfut, 1991), è presentata spesso come un fatto preoccupante proprio per l’impossibilità di prevedere
le strutture dell’organizzazione sociale in grado di fronteggiarla. Si tratta di un processo storico che, tuttavia, non è possibile eludere: va di pari passo, come segnala
lo stesso documento ONU, con il processo di cambiamento globale, sotto la spinta
delle innovazioni tecnologiche e delle trasformazioni culturali.
Il grande apporto dato in quest’occasione dall’ONU sta proprio nella capacità di tracciare una prospettiva entro cui ridefinire gli attuali sforzi di riforma e di ridisegno delle
società che invecchiano, di offrire un obiettivo teorico di società multigenerazionale,
a partire da una conoscenza migliore delle modalità di modellamento reciproco delle
generazioni compresenti, nelle sfere sociali, economiche e simboliche. Può offrire un
punto di approdo ai complicati processi di innovazione che a diversi stadi e con differenti strategie sono in corso, utilizzando tutti i campi della società come ambiti di
sperimentazione aperti per inventare nuove età.
60
Parte seconda
Il contributo della sociologia ai temi
dell’età e dell’invecchiamento
Introduzione
La seconda parte di questo studio è dedicata a una riconsiderazione sintetica del
percorso degli studi sociologici in tema di età e di invecchiamento, nella convinzione
che ne possano derivare contributi utili alla comprensione dei cambiamenti in atto e
stimoli innovativi per l’orientamento delle politiche. Attraverso la prospettiva del
“corso di vita”, si propone una lettura a più dimensioni dei processi di trasformazione delle biografie individuali e di ridefinizione del tempo della vita nelle diverse età,
processi intesi come segnali e prodotto del mutamento sociale.
È sembrato utile proporre questa panoramica per testimoniare come non solo le politiche per l’invecchiamento delle nostre società procedano per “fasi”, ma anche le
acquisizioni teoriche sul tema dell’età abbiano tracciato un percorso conoscitivo
riconoscibile (noi osserveremo quello di carattere sociologico), che diviene più illuminante quando si avvale di contributi interdisciplinari.
Il carattere complesso, dinamico, multiforme dei processi di invecchiamento delle
società pone domande nuove sul significato delle età e sulle modalità di emancipazione dai vincoli dell’età, ma anche su come si modellano i rapporti fra le generazioni, su nuove ipotesi di coesione intergenerazionale, per rispondere alle quali ci può
essere di aiuto l’esplorazione del percorso di ragionamento della sociologia dell’età e
del corso di vita.
In particolare l’approccio sociologico del corso di vita, che abbiamo più volte citato,
ci pare offrire alcune categorie interpretative particolarmente utili a meglio comprendere le età e il processo di invecchiamento sociale come elementi della complessità
sociale e per rendere più ricca e dinamica la lettura dei cambiamenti nelle biografie
individuali.
Inoltre, crediamo sia una prospettiva che possa fornire utili informazioni anche per
coloro che sono chiamati a formulare e suggerire politiche di intervento, in quanto è
in grado di rilevare esigenze e bisogni di una determinata popolazione non in modo
statico e separato, ma comprendendoli nell’intergioco fra intenzionalità soggettive e
vincoli socialmente strutturati, dando conto dei processi di sviluppo dei corsi di vita,
e riflettendo la relazione dinamica fra modelli culturali e modi di autorappresentazione dei soggetti.
Verranno di seguito richiamati alcuni dei temi classici della sociologia dell’età: la normazione sociale del tempo, gli studi sulla stratificazione per età, il concetto di corso
della vita, aspetti di una società multigenerazionale.
63
Ageing: verso un mondo più maturo
2.1 Il concetto di età
L’età ha rappresentato per molto tempo uno dei segnali più scontati nella vita individuale e sociale, mentre oggi sembra non coincidere più con l’esperienza che se ne fa
e con le rappresentazioni collettive che se ne danno.
In particolare, questo slittamento di significati sembra valere per l’età adulta, per
diverso tempo considerata una stagione tranquilla e prevedibile della vita: “il culmine
del processo evolutivo e un plateau caratterizzato dall’assenza di sviluppo e sostanziale mutamento”49.
Scriveva L. Pearlin “per molto tempo l’età adulta è stata descritta come un lungo
periodo di quiete, intervallato da qualche cambiamento. Mentre è più realistico
descriverla come un lungo periodo di cambiamento intervallato da qualche periodo
di quiete”50.
Appare sempre più evidente che per attraversare la vita adulta non è più sufficiente
fare affidamento sulle esperienze accumulate in precedenza, in quanto le incessanti
modificazioni degli scenari sociali (dovute al ritmo di accelerazione del cambiamento) impongono rimescolamenti delle aspettative di ruolo, riattribuzione dei significati
dell’età e ridefinizione della propria appartenenza all’età e alla generazione.
Le trasformazioni nelle regole e nelle richieste del mercato del lavoro, i mutamenti nelle
condizioni sanitarie, riproduttive, di sopravvivenza, le innovazioni politiche e legislative
modificano di continuo il contesto in cui gli individui si trovano a vivere e cambiano
anche la direzione e il ritmo delle loro vite, rispetto a coloro che li hanno preceduti.
Studiosi come K. Mannheim avevano già descritto il fenomeno delle generazioni “come
uno dei fattori fondamentali nella genesi della dinamica storica” 51, evidenziando come
anche in periodi storici apparentemente più immobili dell’attuale, il ricambio demografico fosse stato motore di mutamento sociale. Tuttavia, quando gli elementi di dinamica “basilari”, dovuti da un lato al processo di apprendimento delle regole da parte dei
più giovani e dall’altro alla disomogeneità della composizione delle generazioni che si
succedono (ad esempio, in termini numerici e/o di composizione di sesso), si accompagnano a mutamenti sostanziali nel contesto sociale e istituzionale, le trasformazioni
interne alle generazioni divengono più visibili e le discontinuità più marcate.
In simili momenti storici non sono solo le continuità fra le generazioni ad essere interrotte, ma anche la continuità del corso di vita di una stessa coorte52, che reagendo
49. C. Saraceno, Corso della vita e approccio biografico, “Quaderno n. 9”, Università di Trento – Dipartimento
di Politica Sociale, 1986.
50. L. Pearlin, Tensioni vitali e sofferenza psicologica degli adulti, in N. Smelser, E. Erikson, Amore e lavoro,
Rizzoli, Milano 1983.
51. K. Mannheim, Il problema delle generazioni, in Sociologia della conoscenza, 1928.
52. Il concetto di coorte si riferisce alle persone nate in un certo periodo storico che attraversano insieme
ciascuno strato di età, con una comunanza di esperienze. Se la generazione ha un’estensione temporale della
64
Parte seconda – Il contributo della sociologia
in modo particolare a determinate circostanze, finisce per modificare lo scenario
entro cui quelle successive si troveranno a operare le loro scelte.
Si pensi alle coorti divenute adulte negli anni settanta, cresciute con attese di stabilità e prevedibilità, sia nel mercato del lavoro che nel matrimonio, che si trovano a fare
i conti con situazioni di instabilità in età matura, a fianco di coorti più giovani che
vivono la “instabilità” lavorativa (e matrimoniale) come dato di normalità del loro percorso di vita adulta53. Le due coorti sono accomunate da una stessa situazione
(aumento dell’instabilità), ma provengono da percorsi caratterizzati da attese, modelli, mappe cognitive di programmazione della propria vita molto diversi.
Questi esempi ci suggeriscono quanto sia difficile e rischioso leggere l’avvicendamento delle generazioni in termini di sola continuità o di discontinuità (come scriveva
A. Melucci54, in una società veloce i meccanismi di riproduzione non possono che
essere in crisi permanente), mentre è più utile un modello di lettura che tenga conto
delle “interdipendenze” in quanto “coorti diverse eppure compresenti nella scena
sociale e tra loro in rapporto, sperimentano il mutamento sociale (nel nostro esempio
la de-standardizzazione delle forme lavorative) in momenti diversi della propria vita,
perciò anche con risorse e vincoli differenziati”55.
Sebbene l’età abbia scontato in passato una certa ovvietà come meccanismo regolativo della vita individuale e collettiva (un po’ come è accaduto per l’appartenenza di
sesso), ciò non significa che fosse una dimensione naturale.
In varie ricerche sociali e con il contributo di R. Linton e T. Parsons56, negli anni quaranta si era messo in evidenza che l’età gioca un ruolo importante nell’allocazione dei
ruoli e delle risorse e successivi contributi in ambito antropologico ed etnografico
avevano dimostrato che l’età presenta rilevanze differenti a seconda delle fasi della
vita e delle caratteristiche delle società.
durata di 15 anni, la coorte di soli 5 (va da un minimo di un anno a un massimo di 5) e tale brevità consente
di leggere in modo più circostanziato le conseguenze dei processi di mutamento sui gruppi di età. Nel
concetto di generazione è implicita la caratteristica del rapporto di discendenza, mentre la coorte permette di
studiare anche le interdipendenze fra coorti contigue, che si influenzano reciprocamente. Nella dinamica
temporale accade che ciascuna coorte, nel dare corso ai propri progetti di vita, non solo incide in modo
specifico il segno delle proprie scelte e strategie nella società, ma influenza anche il comportamento delle
coorti contigue e successive. Tale influenza può portare il segno di un processo di arricchimento delle risorse
messe a disposizione come di un aumento del set di vincoli. Inoltre come suggerisce C. Saraceno la
generazione è studiata come omogenea dal punto di vista della collocazione storica, mentre può accadere
che entro una stessa generazione siano presenti due o più coorti di età. La stessa coorte non può essere
studiata come omogenea sul piano dei comportamenti né annullare l’incidenza di fattore quali il genere, la
razza, il gruppo sociale.
53. “È soprattutto il caso dei più giovani che si trovano a compiere le scelte in ambito occupazionale quando
è ormai diventata consuetudine, quasi stereotipo, definire il lavoro come qualcosa che non c’è, anche se non
verificato”; ciò emerge dalle interviste a diversi lavoratori e lavoratrici “atipici” in Lombardia. E. Donati, C.
Bassanini, Le condizioni di lavoro non standard secondo lavoratori e lavoratrici, in M. Samek, R. Semenza (a
cura di), Le forme del lavoro. L’occupazione non standard in Italia e Lombardia nel contesto europeo, F. Angeli,
Milano, 2001.
54. A. Melucci, Altri codici, Il Mulino, Bologna, 1984.
55. C. Saraceno (a cura di), Età e corso della vita, Il Mulino, Bologna, 2001.
56. T. Parsons, Age and Sex the Social Structure of the United States, in “American Sociological Review”,
1941. R. Linton, Age and Sex Categories, in “American Sociological Review”, 1942.
65
Ageing: verso un mondo più maturo
In realtà, come suggeriscono gli studiosi, con l’età ci si riferisce a tre dimensioni temporali: l’età cronologica, ovvero il tempo della vita dalla nascita alla morte; l’età storica, che intende il periodo in cui un individuo si trova a vivere, e l’età sociale, che si
riferisce alle definizioni sociali dell’età e ai relativi calendari e obblighi. Questi fattori
concorrono a definire le cosiddette “mappe mentali” dell’età, intendendo con ciò
quelle rappresentazioni che orientano gli individui nel definire il periodo giusto per
compiere certe scelte, dare avvio a certi eventi, sentirsi “in tempo” o “fuori tempo”
per certi desideri e decisioni.
Negli anni settanta l’età verrà assumendo un vero interesse da parte delle scienze
sociali, in relazione all’emergere di gruppi di età nuovi, i giovani e gli anziani, portatori di richieste di integrazione.
Come scrive N. Smelser: “quando qualunque fase della vita sociale diventa problematica, comincia una lotta collettiva per venire a patti con essa”57.
Se dunque negli anni settanta sono i gruppi legati ai giovani e agli anziani a emergere con una visibilità di massa, in seguito questi stessi gruppi sono stati segmentati
per fasi e tappe in modo più analitico. Tra l’infanzia e l’adolescenza è apparsa la
preadolescenza; la giovinezza si è allungata fino a comprendere i giovani adulti e l’età
anziana si è differenziata fra terza, quarta e ora quinta età. Non sono questioni secondarie, se pensiamo che a certe età e alle loro continue riformulazioni sono associati
dispositivi sociali, siano essi di natura economica, di politiche di welfare o di cittadinanza in senso lato.
Ciò a cui assistiamo in questo momento storico è che tutte le età in cui scomponiamo il corso della vita sono in mutamento e perciò l’età e il processo di invecchiamento comprendono e riflettono aspetti della complessità sociale.
57. N. Smelser, Aspetti problematici nello studio del lavoro e dell’amore nell’età adulta, in N. Smelser, E.
Erikson, Amore e lavoro, Rizzoli, Milano, 1983.
66
Parte seconda – Il contributo della sociologia
2.2 Due approcci fondamentali della sociologia
dell’età
Già in passato l’attenzione per i risvolti problematici che il cambiamento sociale comportava, sia per gli individui sia per la società intera, tratteggiò il campo di inchiesta
di due distinte stagioni di ricerche. Una è quella europea avviata verso la fine degli
anni venti dal lavoro di K. Mannheim sull’importanza del succedersi delle generazioni. La seconda è una tradizione di ricerca americana, che accompagnò la crescita
repentina delle città a seguito delle emigrazioni e dello sviluppo socio-economico. I
ricercatori, ispirati dall’opera di W. Thomas e F. Znaniecki,58 iniziarono a utilizzare dati
e resoconti biografici per studiare le traiettorie individuali e i cambiamenti sociali.
Secondo gli autori, gli individui organizzano la propria vita avendo dei piani per il futuro; questa organizzazione rappresenta un “progetto” che non viene definito una sola
volta nella vita, ma è continuamente ricostruito sulla base delle nuove esperienze che
non possono essere assimilate nel progetto stesso.
È un approccio che fornì gli elementi per adottare una lettura dei mutamenti biografici non solo in chiave evolutiva ma anche in termini di discontinuità, di trasformazione, e con una forte centratura sulla capacità dei soggetti di progettare la propria vita.
Nonostante la battuta di arresto che questo approccio ebbe dopo la seconda guerra
mondiale, intorno agli anni sessanta riprendono con fervore in America le raccolte di
dati biografici e le loro prime archiviazioni, sostenute da nuovi modelli teorici e da
acquisizioni statistiche.
Da queste prime epoche, in cui vedono la luce l’età e la coorte come concetti chiave
per la lettura del cambiamento sociale, si sono poi differenziati negli USA due approcci teorici più recenti:
• l’approccio sociopsicologico e culturale;
• l’approccio storico e di coorte della stratificazione per età.
2.2.1 L’approccio socio-psicologico e culturale
Nel primo approccio, sviluppato dagli scritti di B. Neugarten e dei suoi colleghi di
Chicago, l’attenzione è rivolta alla normazione sociale del tempo biografico in una
determinata società.
Scrive l’Autrice: “In tutte le società, l’età è uno dei fattori importanti nel determinare i
modi in cui le persone si comportano le une verso le altre”59.
58. W. Thomas, F. Znaniecki, Il contadino polacco in Europa e in America, Edizioni di Comunità, Torino, 1968.
La ricerca fu realizzata a cavallo fra il 1918 e il 1920.
59. B.L. Neugarten, J.W. Moore, Trasformazioni del sistema di status di età, in C. Saraceno (a cura di), Età e
corso della vita cit.
67
Ageing: verso un mondo più maturo
Ogni società ha stabilito dei sistemi di status di età, con relativi calendari sociali che
gli individui interiorizzano attraverso il processo di socializzazione. L’età sociale fa
riferimento a delle specie di tabelle di marcia sociali in cui il corso di vita viene suddiviso e che agiscono influenzando il tempo individuale della biografia, sia attraverso
regole formali di periodizzazione, sia attraverso norme informali. Queste norme rappresentano un punto di orientamento importante per la definizione di sé da parte dei
soggetti e per la scelta delle loro strategie di corso di vita.
Tutte le istituzioni di una determinata società, da quelle economiche a quelle familiari, sono strutturate a partire da definizioni degli status di età che indicano i tempi
appropriati in cui devono essere realizzate certe tappe della vita. Le definizioni
sono formali e istituzionalizzate, come nel caso degli adempimenti nel sistema scolastico o delle norme di entrata e di uscita dal mercato del lavoro; ma anche informali, come nel caso delle scansioni che non hanno leggi che le codificano, ma agiscono come mappe di orientamento per misurare l’adeguatezza della propria
vicenda e quella degli altri. Frasi ricorrenti del linguaggio quotidiano “si è sposata
presto”, “è andato in pensione tardi” ci indicano se un certo comportamento ha
rispettato i tempi normali o se è accaduto prima o dopo rispetto a un “orario di
marcia” socialmente previsto.
Gli individui hanno quindi “una mappa mentale del ciclo di vita” secondo la quale c’è
un tempo giusto per andare a scuola, per sposarsi, per andare in pensione: “il sistema di età in una società crea transizioni di ruolo che possono essere predette, punti
di svolta che danno una mappa per gli individui e che danno dei sentieri per la vita”60.
Ovviamente, queste mappe mentali sono sottoposte a continue riformulazioni sia in
seguito ai mutamenti demografici, in particolare con l’aumento della longevità e con
le modificazioni nei gruppi di età, sia in rapporto ai mutamenti nel sistema economico e familiare. La comprensione delle diverse mappe mentali richiede un riferimento
analitico al momento storico e alle caratteristiche del contesto ambientale. Pensiamo
alle scelte procreative di molte coppie in periodi di guerra61 segnate dall’urgenza,
soprattutto da parte maschile, di assicurare attraverso un figlio una speranza di prolungamento della loro esistenza, così in pericolo. Oggi, in periodo di relativa prosperità economica, nelle coppie la scelta procreativa viene rimandata a dopo la realizzazione di altre tappe del corso di vita, come il completamento degli studi e il conseguimento di una relativa stabilità economica, e l’unica vera urgenza è rappresentata
dall’età biologica della donna.
Inoltre, le attese sociali si differenziano sia in relazione alle appartenenze di sesso
sia tra i diversi gruppi socioeconomici. Ad esempio, sposarsi un tempo era sinonimo di maturità economica, educazione formale e formazione professionale, specie
per i maschi. Accade ora negli U SA che l’età sociale della maturità economica
60. B.L. Neugarten, J.W. Moore, Trasformazioni del sistema cit.
61. N. Revelli, L’anello forte, Einaudi, Torino, 1985.
68
Parte seconda – Il contributo della sociologia
venga sempre più frequentemente ritardata per i maschi, ma non altrettanto per le
femmine: queste, non solo in numero sempre maggiore condividono le responsabilità economiche della famiglia, ma lo fanno spesso a età più giovani rispetto ai loro
mariti/partner (non di rado mantenendoli negli studi universitari e di specializzazione). L’esempio americano62 è significativo di un processo di emancipazione femminile “ambivalente”, dove le scelte di autonomia di molte donne, come l’investimento formativo e la partecipazione al mercato del lavoro, vengono poi rimpiazzate da orientamenti di ruolo più tradizionali (del tipo mantengono i mariti che poi le
manterranno), anche a causa della mancanza di una rete di servizi sociali a supporto del lavoro extradomestico.
Nell’ambito del mondo del lavoro si rende evidente l’esistenza di notevoli differenze da un’occupazione all’altra, per ciò che riguarda il calendario degli stadi di carriera, le ricompense attese e i rapporti fra i gruppi di età. Lo sviluppo dei processi
di innovazione modifica non solo le età in cui avvengono certe transizioni, ma
anche i sistemi di gerarchie tra i gruppi di età. Ne sono esempio la progressiva contrazione, rilevata in tutti i paesi europei, dei tassi di attività delle persone – soprattutto uomini – con età superiore ai 55 anni: da diversi anni è in corso una tendenza
volta all’esclusione dei lavoratori più adulti per sostituirli con manodopera giovanile, strategia motivata dalle imprese dalla presunta minore capacità di adattamento
e di interazione con i processi di innovazione tecnologica, percorso che ha sostituito quella “gerarchia di specializzazione” (o di esperienza) che funzionava come
ricompensa dell’età.
Osservando il fenomeno alla luce delle differenze nelle condizioni sociali emerge che
le carriere professionali più prestigiose terminano più tardi rispetto a quelle dei lavoratori manuali, i quali finiscono per sperimentare scelte che determinano nei fatti un
corso della vita adulta più breve e un ingresso più precoce nella vecchiaia. Lo stesso
fenomeno presenta configurazioni diverse se consideriamo la variabile di genere: in
Italia l’età pensionistica delle donne è più bassa rispetto a quella degli uomini e, in
conseguenza della divisione tradizionale del lavoro, il passaggio al pensionamento
viene vissuto dalle donne come meno radicale rispetto a quanto accade per i corsi di
vita maschili63.
Sono segni di un fenomeno nuovo, l’emergere della cosiddetta terza età che P.
Laslett64 descrive come una fase della vita specificatamente contemporanea, che
favorisce nelle persone che ne sono coinvolte il desiderio di una vita e spazio propri,
modificandone mappe cognitive, comportamenti e abitudini, sentendosi in tempo per
molti desideri e attività un tempo attribuiti solo ai giovani e agli adulti.
62. Nello stesso film Love Story la protagonista lavora e mantiene il partner negli studi, consentendogli di
rendersi indipendente dalla famiglia di origine, seppur facoltosa, e poi si licenzia.
63. E. Donati, C. Bassanini, P. Madami, Più utili che anziane. Per una nuova idea di età, “Annuario Pari e
Dispari n. 7”, Franco Angeli, Milano, 2001.
64. P. Laslett, Una nuova mappa della vita. L’emergere della terza età, Il Mulino, Bologna, 1992.
69
Ageing: verso un mondo più maturo
Ciò che gli studi di B. Neugarten ci suggeriscono è che i mutamenti nelle norme di
età e nei calendari di vita comportano conseguenze diverse per l’intergioco di diverse variabili, ma anche che, come sottolinea C. Saraceno, i corsi della vita paiono
esposti a un duplice movimento: da un lato sono più minuziosamente normati, scanditi da precise norme di accesso e uscita da certe tappe biografiche; dall’altro sono
più aperti alla variabilità e flessibilità delle scansioni temporali. In presenza di regole
formali e informali precise sulle tappe dei corsi di vita, assistiamo quotidianamente
all’emergere di deviazioni da queste regole, a risposte più flessibili rispetto ai calendari sociali, a una sovrapposizione fra i confini delle diverse età, come testimonia il
diffondersi di una cultura giovanilistica nel nostro paese65 che si impone come orizzonte di riferimento simbolico anche per le scelte delle persone che invecchiano.
Tutto questo può confondere il terreno su cui si gioca sia l’identificazione con la propria età sia quella con i propri coetanei, aprendo la strada sia verso nuovi modi di
vivere l’età sia a “nuovi cambiamenti nei sistemi di status di età nella società”66.
2.2.2 L’approccio storico e di coorte della stratificazione per età
Nel secondo approccio le norme di età funzionano come modelli di organizzazione
sociale. Ogni società, ci suggerisce il lavoro di Riley, Johnson e Foner67, utilizza l’età
per collocare gli individui nel sistema di ruoli e di risorse, producendo uno specifico
sistema di stratificazione per età.
Due processi sono implicati in questo principio di organizzazione sociale: il processo
(naturale) di invecchiamento e di avvicendamento delle coorti (precisando che l’ampiezza delle coorti varia in relazione al contesto storico-sociale di riferimento, come testimoniato ad esempio dalla numerosità delle coorti del baby boom degli anni sessanta), e il
processo (storico) di cambiamento delle norme di età e dei ruoli e risorse disponibili.
In ogni società la popolazione risulta costituita da un insieme di coorti – ognuna definita dalle persone nate in un certo periodo – che attraversano ciascuno strato di età
in periodi diversi. In questo modo, in ogni preciso momento storico vi sono coorti
diverse, in età diverse, che effettuano passaggi diversi, tuttavia influenzandosi reciprocamente con le proprie strategie.
Inoltre, questa dinamica risente di accadimenti storici che possono modificare i
comportamenti di una determinata coorte, la quale, reagendo alle circostanze, finisce comunque per modificare il contesto anche delle altre. Si pensi all’utilità del
concetto di “coorte” per comprendere il comportamento delle donne in Italia rispetto sia alle scelte procreative sia alle decisioni di ingresso o reingresso nel mercato
65. C. Buzzi, A. Cavalli, A. de Lillo (a cura di), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto IARD sulla condizione
giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 2002.
66. E. Donati, P. Madami, Il futuro accanto, “Quaderno n. 1 Fondazione ASM”, Brescia, 2003.
67. M.W. Riley, M. Jonhson, A. Foner, Ageing and Society III: A Sociology of Age Stratification, New York,
Sage, 1972.
70
Parte seconda – Il contributo della sociologia
del lavoro. Dietro il generale aumento della partecipazione delle donne al mercato
del lavoro, rilevato a partire dagli anni settanta, stanno comportamenti molto diversi in relazione alla coorte di appartenenza, come suggerì l’interessante lavoro di L.
Zanuso68. Contemporaneamente, negli anni ottanta, risultavano presenti tre modelli di partecipazione al mercato del lavoro: le casalinghe a tempo pieno, le lavoratrici di ritorno e le donne della doppia presenza, che in certe biografie si sono alternati, in altre si sono trovati sovrapposti, come nel caso delle lavoratici a domicilio
o nell’economia sommersa69.
Lo stesso fenomeno della riduzione della fecondità, analizzato per coorti nate dal
1930 al 1950 da A. Santini70, ci suggerisce che mentre la quota dei primi figli è rimasta costante, è diminuito il numero dei figli a partire dal secondo e in particolare dal
terzo. Quindi, dietro la riduzione della fecondità stanno altri fenomeni di trasformazione che riguardano l’ampiezza della famiglia, la scansione del ciclo familiare e di
quello riproduttivo femminile.
La stratificazione per età fornisce informazioni su due dinamismi: le conformazioni
mutevoli delle vite umane nel succedersi delle coorti e i mutamenti nella società e nei
ruoli legati all’età.
Scrive Riley che “gli strati di età acquisiscono pieno significato solo se considerati nel
loro rapporto con i ruoli sociali circostanti e con i loro criteri di età intrinseci”71.
Vi sono criteri che disciplinano l’interpretazione dei ruoli. La prima distinzione è riferita a quando l’età cronologica è usata direttamente come criterio per l’assunzione di
certi ruoli (è il caso dell’età minima al matrimonio, o per prendere la patente), o quando l’età opera come criterio indiretto, come il caso dell’età biologica che limita per le
donne le possibilità procreative. In altri casi i criteri di età, come già suggeriva l’approccio di B. Neugarten, sono normativi, indicando ciò che una persona dovrebbe
fare, mentre altri sono fattuali, suggerendo “quello che tutti fanno o pensano”.
Ovviamente, e questa è una precisazione importante, questi criteri non implicano un
conformismo passivo dei soggetti, ma “ciascun titolare di ruolo è partecipante attivo,
che può essere preparato e motivato a sfidare i criteri esistenti basati sull’età”72.
La dinamicità è legata a diversi processi che si verificano quando un individuo assume un ruolo legato all’età: in primo luogo le strutture dei ruoli risentono dei cambiamenti che si verificano in un certo momento (si pensi al cambiamento nelle norme
pensionistiche di un paese) e secondariamente risentono dei processi di apprendimento dei ruoli da parte dei soggetti che, mentre si adattano a un certo ruolo, insieme sono parte attiva nel definirlo.
68. L. Zanuso, Donne, lavoro e generazioni, in “Politica del lavoro”, n. 1, 1985.
69. M. Paci (a cura di), Famiglia e mercato del lavoro in una economia periferica, Franco Angeli, Milano, 1980.
70. A. Santini, Recenti trasformazioni nella formazione della famiglia e della discendenza in Italia e in Europa,
relazione al convegno Istat su “La famiglia in Italia”, Roma, 1985.
71. M.W. Riley: Stratificazione per età, in C. Saraceno (a cura di), Età e corso della vita cit.
72. Ibidem.
71
Ageing: verso un mondo più maturo
L’età tiene legati diversi ruoli, che possono implicare aspettative di tipo conflittuale: è
il caso di molte giovani professioniste che intorno ai 30-35 anni percepiscono la propria vita in conflitto fra scelte di affermazione e consolidamento professionale e la
decisione di divenire madre, in un contesto sociale ancora ostile verso il lavoro delle
donne. Oppure possono generare diseguaglianze legate all’età: è la situazione di
molte persone in pensione, generalmente “avvantaggiate” in termini di reddito, di
potere e di numero di ruoli a disposizione (anche se l’analisi di genere rivela profonde disuguaglianze nell’accesso a queste risorse da parte delle donne) oggi rispetto
alle coorti che le hanno precedute, ma probabilmente anche rispetto a quelle che
diventeranno pensionate fra qualche anno. Nel contempo, però, le stesse coorti possono essere “svantaggiate” da un certo “ritardo strutturale” nel set di risposte messo
a disposizione dalla collettività, che ne limita le opportunità di sfruttare appieno le
loro risorse. È un ritardo rilevabile, secondo P. Laslett, ad esempio nell’ambito della
formazione, che rappresenterebbe la vocazione delle persone della terza età, resa
però poco accessibile dalla mancanza di strutture e di investimenti della collettività,
oltre che dal permanere di molti stereotipi culturali.
Naturalmente, la differenza fra le coorti non può nascondere quella all’interno delle
coorti stesse, fra uomini e donne, fra gruppi sociali diversi. È chiaro che l’appartenenza di coorte non può implicare una omogeneizzazione nei comportamenti, né
annullare l’incidenza di fattori quali l’appartenenza socioculturale o la razza, ma la
sua specifica assunzione può amplificare la capacità di analisi nel considerare le molteplici differenze e consentire di evidenziare meglio le trasformazioni che avvengono
nel tempo, a livello sia di stratificazione che di differenziazione sociale.
In sintesi, si generano tre processi dinamici:
•
alla base degli strati di età sono i processi biologici, psicologici e sociali dell’invecchiamento e della successione di coorte e la strutturazione dei ruoli per età
riflette mutamenti generali;
•
gli strati di età sono soggetti a conflitti potenziali e tensioni nei ruoli legati all’età;
•
i processi di allocazione e di socializzazione modulano in continuazione le relazioni tra persone e ruoli nelle diverse età (ritardi o squilibri fra gli individui e le
opportunità sociali).
Un contributo utile per capire che direzione prenderanno i cambiamenti futuri, quale
l’aumento del numero delle persone anziane nella società, può venire dal confronto
fra due tipi estremi di stratificazione per età: la differenziazione per età e l’integrazione per età.
Le società, come quelle di oggi del mondo occidentale, si caratterizzano per una differenziazione per età molto rigida, che scandisce tappe distinte del corso di vita: a
scuola da giovani, al lavoro da adulti e in pensione da anziani.
In un tipo ideale di società integrata, le barriere di età sono affievolite: in tutte le strutture, educative, lavorative, del tempo libero, i ruoli sono accessibili a persone di ogni età.
72
Parte seconda – Il contributo della sociologia
Questo “ideal tipo” di società permette di tratteggiare lo scenario entro cui valutare
gli esiti dei tentativi volti a superare i limiti di quel “ritardo strutturale” che si origina
quando le persone invecchiano in strutture sociali antiquate e che impedisce di guardare alle potenzialità delle persone anziane.
Sebbene la distinzione dei sistemi non sia così rigidamente definita nella realtà, le
domande che questo approccio ci consegna possono fare maggiore chiarezza su
alcuni fenomeni che già sono in atto nella nostra società: le sequenze e i calendari
della vita sono diventati meno standardizzati, meno gerarchizzati e più aperti alla flessibilità e reversibilità; periodi un tempo chiaramente scanditi si presentano nelle biografie sovrapposti e coincidenti (età adulta e instabilità professionale, maturità biologica e dipendenza familiare).
L’esito parrebbe un aumento insieme dei gradi di libertà come dei rischi di fallimento
dei propri obiettivi di vita, un complesso di ambivalenze che ciascuno prova a comporre con una forte accentuazione individualistica della responsabilità sull’esito della
propria vita73, in un contesto in cui permangono vistose disuguaglianze sociali, in cui
molte risorse per la copertura dei nuovi rischi vengono contese anche fra i gruppi di
età o fra le generazioni (riguardino le opportunità di lavoro, le coperture dei sistemi di
previdenza o la distribuzione del lavoro di cura familiare)74.
La differenziazione per età, se non è più rigidamente rispettata nelle singole vicende biografiche75, permane come sistema di organizzazione sociale, come norma
universalistica che però può funzionare come garanzia di sicurezza solo per certi
segmenti della società (quelli che G. Esping-Andersen chiama gli insiders76), consegnando alle coorti successive soprattutto i rischi connessi alla maggiore flessibilità dei corsi di vita.
Questo modello estremamente differenziato per età diviene responsabile di quel
fenomeno di ritardo strutturale, segnalato da M. Riley o, come lo definisce P. Laslett,
di “opacità sociale” di fronte a forme di emancipazione dai vincoli, compresi quelli
dell’età, e di affermazione di nuovi diritti e responsabilità, che potrebbero aprire la
strada a nuove forme di coesione intergenerazionale, dove lo scambio fra le generazioni “avvenga alla pari, in cui le diverse competenze vengono riconosciute per il loro
valore e non più per doveri di età”77.
73. Come viene suggerito in una ricerca sulla diffusione del lavoro non standard: “quando non si riescono a
mettere in campo azioni e strumenti collettivi per riequilibrare le potenzialità e i rischi che ogni cambiamento
sociale produce, si finisce per lasciare agire le variabili legate allo status sociale di appartenenza. In più
l’enfasi sulla autovalorizzazione agisce come una variabile assoluta, in cui si gioca un concetto di
‘responsabilità assoluta’”, in E. Donati, C. Bassanini, Le condizioni di lavoro cit.
74. Come il termine coniato da G.B. Sgritta “cittadinanze d’annata” ben sintetizza.
75. In quanto periodi di studio, lavoro, responsabilità familiari e tempo libero sono più mescolati e sovrapposti,
anche se in Italia il sistema della formazione risulta ancora poco ispirato al principio del lifelong learning,
come suggerisce l’ultimo Rapporto CNEL sul mercato del lavoro, 2003.
76. G. Esping-Andersen, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino, Bologna, 2002.
77. E. Donati, P. Madami, Il futuro accanto cit.
73
Ageing: verso un mondo più maturo
“L’integrazione per età si potrebbe tradurre per le persone in un aumento dei gradi di
libertà, una emancipazione dai vincoli, potenziando l’io a scapito del noi? In termini
sociali, tale integrazione incoraggerebbe il confronto, la rivalità, o addirittura il conflitto fra giovani e vecchi? Viceversa potrebbe promuovere un nuovo ordine sociale, un
nuovo senso di comunità?”78.
Sono alcune delle questioni che le tendenze in atto ci consegnano e che il presente
lavoro vuole contribuire a tematizzare.
78. M.W. Riley, Stratificazione per età cit.
74
Parte seconda – Il contributo della sociologia
2.3 La sociologia del corso di vita
A due studiosi, G. Elder e D. Featherman79, va il merito di aver operato un’efficace
sistematizzazione dell’approccio del corso di vita: una prospettiva utile per leggere le
connessioni tra il mutamento che si produce a livello micro, nelle singole biografie, e le
trasformazioni che si generano a livello macro, nelle dimensioni sociali e istituzionali.
Mutuando alcuni concetti chiave dalle prospettive teoriche della sociologia dell’età,
come il concetto di coorte (dalla teoria della stratificazione sociale), e cogliendo dallo
studio pionieristico di W. Thomas e F. Znaniecki il concetto di “carriere lavorative”, di
“definizione della situazione” e di “piani” della vita, questo approccio è venuto arricchendosi del contributo di altre discipline (psicologia, demografia, storia sociale,
antropologia) che condividono la centralità di variabili quali “tempo”, “ processo” e
“contesto” per lo studio delle vite umane.
I temi principali sono così riassumibili:
•
il mutamento evolutivo avviene lungo l’intero arco della vita e pertanto il processo di invecchiamento inizia al momento della nascita e dura fino alla morte;
•
i mutamenti evolutivi nel corso dell’invecchiamento riflettono eventi biologici,
sociali, psicologici e storici;
•
costanza e cambiamento nel comportamento e nella personalità derivano da
cause molteplici, che esercitano la propria influenza in modo non lineare, ma interattivo e cumulativo, definendo sia gli eventi cruciali che le traiettorie di vita;
•
gli individui sono agenti del proprio sviluppo, ossia i corsi di vita sono un prodotto relazionale della dialettica fra le molteplici determinanti dello sviluppo e le
risposte selettive e intenzionali della persona;
•
ogni nuova coorte di nascita potenzialmente invecchia procedendo lungo una
diversa traiettoria di eventi di vita, che sono la conseguenza del mutamento storico-sociale e delle reazioni ad esso degli individui;
•
sia il comportamento che la personalità rimangono più malleabili nel corso della
vita di quanto non si ritenga normalmente.
Secondo questo approccio il tema del tempo e del cambiamento nel tempo si presentano sia nella cornice storica (tramite il concetto di coorte che colloca la vita degli
individui in un determinato periodo storico, lungo però un continuum dato dal succedersi di coorti diverse nel tempo), sia nella cornice della biografia individuale, letta
non solo in chiave evolutiva ma anche in chiave trasformativa: in questo senso produttrice essa stessa di processi di cambiamento e non solo di evoluzione.
79. G. Elder, Perspectives on the Life Course, in G. Elder (a cura di), Life Course Dynamics. Trajectories and
Transitions 1968-1980, Cornell University Press, New York, 1984. D. Featherman, Life-Span Perspectives
in Social Science Research, in P. Baltes, O. Brim, Life-Span Development and Behavior. Vol. 5, New York
Press, 1983.
75
Ageing: verso un mondo più maturo
La vita di un individuo si snoda lungo diverse e molteplici traiettorie di vita che sono
da mettere in relazione con i processi intenzionali con cui il soggetto costruisce la
propria biografia, secondo i ritmi e la direzione scadenzati dalle interdipendenze delle
varie traiettorie.
Il concetto di “traiettoria” offre una visione ampia del corso di vita: esso indica un
sentiero cadenzato dai processi dell’età; ovviamente nell’arco della vita trovano posto
molti di questi sentieri, ognuno corrispondente alle varie attività e relazioni dell’individuo. Si hanno così le traiettorie di attività legate al lavoro, al matrimonio, alla formazione, diversamente intrecciate o allineate e “i loro orari e l’adattarsi, l’essere capaci
di gestirli è un aspetto dello sviluppo del corso di vita”80.
Come sostiene G. Elder, la traiettoria si riferisce a una sequenza strutturata di passaggi che non avvengono per ritmi interni, ma nella interdipendenza con le altre
traiettorie e nella interazione con le circostanze storico-sociali. Ogni traiettoria è marcata da una sequenza di eventi, di transizioni, di cambiamenti di stato che sono più
o meno veloci nel succedere.
Il concetto di “transizione” suggerisce la prospettiva più ravvicinata, più corta di lettura del corso di vita: esso indica un cambiamento di stato o un evento più o meno
cruciale, che va letto necessariamente nell’ambito di una traiettoria, in quanto, anche
se simboleggiato da un giorno o una cerimonia specifica81, può essere compreso
solo all’interno di una sequenza prolungata. Inoltre, ciascuna transizione non è in
relazione solo con la traiettoria in cui avviene (ad esempio la nascita di un figlio/a
avviene entro una traiettoria familiare) e ha effetto sulla sua direzione futura, ma interagisce con le risorse e i vincoli che le derivano dalle altre traiettorie con cui si incrocia (ad esempio quella del lavoro, del guadagno) e dai ritmi, tempi, transizioni che le
caratterizzano.
Alcuni eventi sono talmente importanti che possono modificare le traiettorie: sono i
cosiddetti eventi svolta (turning points) e i loro effetti possono essere compresi tenendo conto di diverse variabili: la natura dell’evento, le risorse dell’individuo, le definizioni della situazione e le linee di adattamento che ne conseguono. Come precisa G.
Elder “i primi tre fattori influenzano le linee di adattamento, ma l’ultimo unisce gli
eventi e il corso della vita che seguirà”82.
Quello che risulta particolarmente innovativo nell’approccio è che esso sposta l’attenzione dalle definizioni della vita ai percorsi e ai loro intrecci, alle interdipendenze
fra le diverse traiettorie individuali e con quelle degli altri, superando quegli stereotipi culturali che impediscono di cogliere le metamorfosi delle biografie.
Quindi, ogni biografia non solo si snoda su differenti sentieri, cioè le diverse traietto-
80. G. Elder, Perspectives cit.
81. È luogo comune specificare a quale punto nella traiettoria una certa transizione o evento sono accaduti,
ad esempio si dice: “si è sposato a 20 anni, ha cambiato lavoro a 40”.
82. G. Elder, Perspectives cit.
76
Parte seconda – Il contributo della sociologia
rie, ma interagisce con le storie di altre persone, anch’esse composte da quei molti
fili che intessono una vita83.
Questa prospettiva tratteggia il comportamento dei soggetti sia come attori storici,
cioè collocati in un determinato periodo, che come soggetti in “transizione”, quella
visione itinerante dell’individuo, “in pendolare interformazione”84 da cui siamo partiti,
di cui occorre comprendere i percorsi non solo in termini di comportamento, ma
anche di autopercezione.
La percezione soggettiva, la definizione temporale della situazione (sentirsi più o
meno in ritardo nella transizione, o percepirsi con una sola o più alternative di scelta,
con un futuro aperto o chiuso) dà senso ai comportamenti che seguono e tratteggiano anche corsi di vita formalmente simili come molto differenziati nelle interpretazioni e nelle intenzionalità che vi attribuiscono i soggetti.
Analizzando le biografie di 40 soggetti maschili, D. Levinson introduce il concetto di
struttura di vita: “il grafico della vita di un soggetto che ha come componenti principali
le relazioni del soggetto con il sé, con le altre persone e con il mondo esterno” 85.
La struttura di vita è un costrutto sempre provvisorio in quanto le componenti scontano una loro diversa presenza e priorità, dovuta sia al tempo che all’economia simbolica dell’individuo, ma non per questo risulta meno forte e necessaria per il processo di formazione e mantenimento dell’identità individuale.
Le componenti che occupano una posizione centrale nella struttura di vita in un
certo momento sono quelle cui l’individuo dedica più tempo ed energia, mantenendo le altre più sullo sfondo; questi investimenti non essendo costanti e continui,
ma mutando in relazione a eventi previsti e imprevisti, cambiano la struttura della
vita, per cui nessuna struttura è mai definitiva, neppure quella dell’individuo adulto,
apparentemente statico.
Il corso della vita individuale è pertanto caratterizzato da queste costruzioni e ricostruzioni della struttura di vita, ed esprime contemporaneamente la stabilità e la continuità della biografia.
Affermare il carattere cangiante del corso della vita significa prendere le distanze
sia da una visione monoliticamente unitaria della biografia (quella che D. Bertaux
chiama l’“ideologia della biografia” 86), sia da una visione della biografia come
frammento, come dispersione. Significa invece ridare una preziosità al trascorrere
del tempo, riconoscendo in esso il processo di continua autocostruzione della
83. È quanto è emerso da un lavoro di ricerca condotto su 40 biografie di donne di età compresa fra 28 e 33
anni, per confrontare i risultati di uno studio americano su 40 biografie maschili, oggetto della tesi di laurea di
E. Donati e S. Gallizioli: Profili della doppia presenza. Percorsi di vita al femminile. Università degli Studi di
Trento.
84. J. Habermas, Per la ricostruzione del materialismo storico, Etas Libri, Milano, 1976.
85. D. Levinson, The Seasons of a Man’s Life, Ballatine Book, New York, 1978.
86. D. Bertaux, L’approche biographique. Sa validité métodologique, ses potentialités, in “Cahiers
Internationaux de Sociologie”, LXIX, 1980.
77
Ageing: verso un mondo più maturo
propria biografia, la cui continuità è garantita dai processi di accumulazione di
esperienza e di risposte adattive e strategiche alle situazioni nuove, nell’interazione fra opportunità e vincoli socialmente strutturati e tentativi di dare senso e
rispondere a queste strutture87.
L’approccio del corso di vita è risultato particolarmente raffinato per lo studio
delle trasformazioni nelle esperienze femminili in questi ultimi 30 anni e ha consentito di assumere il dato della molteplicità delle appartenenze, della loro interdipendenza e la discontinuità delle esperienze non come segno della “anomalia”
femminile, ma come prospettiva più ampia nello studio della formazione dell’identità, utile anche per comprendere le esperienze di vita maschili.
Già C. Saraceno agli inizi degli anni ottanta sottolineava, a partire da un lavoro di
ricerca su donne di tre coorti di età88, che il concetto di corso di vita permetteva
di cogliere la complessità del cambiamento, evitando semplificazioni o generalizzazioni, precisando il ruolo delle diverse variabili che concorrono a determinare la
peculiarità e unicità di presenze e trasformazioni che caratterizzano le diverse
generazioni di donne, e dando conto dell’incessante lavoro di autocostruzione
della propria vita come attribuzione di senso, di selezione, di mediazione.
La biografia delle donne è direttamente emblematica della discontinuità, intesa come
esperienza di ricomposizione di frammenti e di ridefinizione dei suoi contenuti e
significati; non a caso la partecipazione al lavoro delle donne adulte è stata spesso
interpretata alla luce di questa categoria, dove la discontinuità lavorativa diveniva
sinonimo di scarso attaccamento e inaffidabilità della manodopera femminile.
Oggi che assistiamo a profonde trasformazioni nei modi lavorare e nei conseguenti processi di strutturazione delle identità lavorative (R. Sennet)89, alcuni studiosi attenti, anche se immemori delle riflessioni delle donne (si veda un recente
lavoro di Marco Revelli), descrivono le nuove “figure” che popolano il mondo del
lavoro come soggetti della discontinuità, figure frammentate e oblique che “nel
produrre utilizzano gli strumenti impalpabili del linguaggio e delle relazioni”90.
Modi di differenziazione e frammentazione degli universi simbolici di riferimento dell’identità91 e una diversa continuità del sé che le donne oggi riconoscono attraverso
quella pratica di “doppia presenza” che L. Zanuso ha così ben descritto come
“disposizione di una quota crescente della popolazione femminile adulta ad agire e
pensarsi in modo trasversale rispetto a mondi materiali e simbolici concepiti e pra87. Come ben evidenziato dall’interessante ricerca di K. Gerson dal titolo Hard Choices, University of
California Press, Berkeley, 1985.
88. C. Saraceno, Trasformazioni del corso di vita femminile, in C. Saraceno, Pluralità e mutamento, Franco
Angeli, Milano, 1987.
89. R. Sennet, L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 1999.
90. M. Revelli: Oltre il Novecento, Einaudi, Torino, 2001.
91. La stessa riflessione sul tempo e sui tempi è partita dall’analisi dell’esperienza esistenziale delle donne a
causa del loro muoversi fra più sfere, condizione che le espone a rischi molto tangibili di stress e di
sovraffaticamento, ma soprattutto di frammentazione e non integrazione delle parti di sé. Come emerge in
78
Parte seconda – Il contributo della sociologia
ticati come separati, in opposizione fra loro e non a caso pertinenti distintamente
all’uno o all’altro sesso: il pubblico e il privato, la famiglia e il mercato del lavoro, il
personale e il politico, i luoghi della produzione e quelli della riproduzione”92.
molte riflessioni di Marina Piazza, la ricomposizione di queste parti non è affatto naturale, ma richiede un atto
di volontà, “un’abilità dell’io” per elaborare la gamma emozionale delle diverse esperienze della quotidianità.
Il concetto di “tempo per sé” diviene il riferimento di un aspetto attivo, di “lavoro dell’intelligenza”, necessario
a collegare territori e spazi del proprio operare, a creare cornici dotate di senso, a mettere a punto non solo
autorappresentazioni, ma rappresentazioni sociali. L’attenzione per l’agire strategico delle donne diviene
attenzione per lo spazio quotidiano che Laura Balbo definisce non come ambito del familiare, nel senso della
routine, di ciò che si dà per scontato, ma “la dimensione spazio-temporale di ciascun attore che concepisce,
articola e realizza strategie, sommando momenti inventivi a momenti adattivi”.
92. L. Zanuso, Gli studi sulla doppia presenza: dal conflitto alla norma, in M.C. Marcuzo, A. Rossi-Doria (a
cura di), La ricerca delle donne, Studi femministi in Italia, Rosenberg & Sellier, Torino, 1988.
79
Ageing: verso un mondo più maturo
2.4 Il processo di istituzionalizzazione
e di de-istituzionalizzazione dei corsi di vita
Riferendosi alle caratteristiche storico-sociali delle società contemporanee, l’analisi
di diversi autori si sofferma su due distinti processi di trasformazione nei corsi di vita.
Presupposto di queste trasformazioni sono, come sostiene M. Kohli93, l’aumento delle
speranze di vita e il maggiore controllo degli individui su queste vite più lunghe da vivere.
Il primo di questi processi, definito di “istituzionalizzazione dei corsi di vita”94, sarebbe originato proprio dal fatto che gli individui possono vivere più a lungo e pertanto
si devono attrezzare di piani di vita, considerando i modelli e i valori che sono socialmente disponibili. Nei paesi industrializzati, pur nelle loro specifiche configurazioni, si
sono verificati a cavallo fra gli anni cinquanta e gli anni sessanta alcuni processi legati alla diffusione del lavoro dipendente “garantito”, l’aumento della scolarità, l’accesso diffuso alle forme di sicurezza sociale che avrebbero comportato un maggior controllo sul corso di vita, sia da parte degli individui sia da parte delle istituzioni (in particolare il mercato e lo Stato), e una conseguente maggiore omogeneità e standardizzazione dei calendari e delle sequenze dei corsi di vita.
Le conseguenze di questi processi parrebbero complesse e ambivalenti: aspetti della
modernità, rintracciabili nelle migliori condizioni e speranze di vita, nella individualizzazione delle scelte che sottraggono peso ai legami e ai contesti di appartenenza,
grazie anche alla migliore offerta di risorse e servizi strutturati, comporterebbero nello
stesso tempo una maggiore omogeneità nei calendari di vita, essendo divenuto il
corso di vita una “istituzione chiave della socializzazione”.
Per la maggior parte degli uomini, anche di classi sociali modeste, diviene raggiungibile l’accesso a un posto fisso, a un corso di vita “normale”, altamente prevedibile,
requisito di rispettabilità, frutto anche di molte lotte dei lavoratori95. Di questo processo di normalizzazione dei corsi di vita le donne beneficiano in modo indiretto e
non autonomo. Come sostiene G. Esping-Andersen lo stato sociale del dopoguerra
è prevalentemente incentrato sui programmi di protezione del reddito, assumendo
esplicitamente che le donne restassero a casa96.
93. M. Kohli, Organizzazione sociale e costruzione soggettiva del corso della vita, in C. Saraceno (a cura di),
Età e corso della vita cit.
94. C. Saraceno, Dalla istituzionalizzazione alla de-istituzionalizzazione dei corsi di vita femminili e maschili?,
contributo presentato al convegno internazionale su “I tempi, i lavori, le vite”, Torino, aprile 1991.
95. Aspetto che verrà messo in discussione da parte di alcuni gruppi giovanili del movimento di protesta del
’68 come segno del diffondersi di aspirazioni borghesi e di valori tradizionali, sanzionati dal successo
personale nello studio e nel lavoro, nella competizione e nell’ascesa sociale. Il tema è ripreso nel recente film
di M.T. Giordana La meglio gioventù, quando gli studenti di origine borghese occupano l’università con lo
slogan “la scuola si abbatte, non si cambia”, azione fortemente criticata dal giovane operaio che lega il
proprio futuro di riscatto personale e sociale proprio a quella scuola che spera sarà accessibile ai suoi figli.
96. In effetti, nel periodo a cavallo fra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni settanta si verifica in Italia
la diminuzione di quasi due milioni di occupate e l’affermarsi di un modello di identità femminile centrato sulla
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Parte seconda – Il contributo della sociologia
A partire dalla metà degli anni settanta e fino ad oggi vi sarebbe in atto un secondo
processo, definito di “de-istituzionalizzazione dei corsi di vita”, dovuto principalmente alle instabilità legate alla deregolamentazione del mercato del lavoro e all’emergere di nuovi modelli di vita familiare.
Le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro modificano i tempi e le forme dell’organizzazione del lavoro: richieste di flessibilità e imprevedibilità dei tempi di lavoro,
produzioni just-in-time, trasformazioni nello spazio di lavoro e richiesta ai soggetti di
assunzioni di rischio comportano onerose conseguenze per la progettualità dei soggetti, ne accentuano i rischi di fallimento, anche di esclusione, impliciti nella minor
linearità e nella reversibilità delle scelte di vita.
E accanto ai cambiamenti nelle forme di partecipazione al mercato del lavoro vi sono
le tendenze al mutamento che hanno diversificato le modalità di fare famiglia e ridotto la stabilità dei nuclei, con la conseguente erosione del ruolo protettivo della famiglia nucleare97.
Ma la domanda di flessibilizzazione è anche una esigenza degli individui stessi. L’allungamento delle speranze di vita, le migliori condizioni economiche e di salute, stanno trasformando l’esperienza soggettiva delle diverse fasi della vita: nelle fasce giovanili della popolazione si è fatto strada, in questi anni, un bisogno di “sperimentare”
prima di entrare nella regolarità sia lavorativa che familiare, ponendo domande di percorsi che possano iniziare e finire, cambiare e ricominciare98.
Nelle donne la diminuzione della fecondità ha reso progettabile un percorso di vita
meno cadenzato dai compiti riproduttivi e tra le donne adulte della doppia presenza
(in particolare fra quelle più scolarizzate) si sono esplicitate nuove esigenze: il bisogno e il desiderio di orari e tempi di lavoro meno rigidi, richieste di forme di prestazione lavorativa professionalmente forti, ma anche compatibili con altre sfere di vita.
Tra le persone più adulte, il processo di invecchiamento (che nelle attuali coorti si
trova sovrapposto con il periodo del pensionamento) assume in modo sempre più
generalizzato il connotato di un percorso di ricerca di nuove esperienze di vita, percepito come aperto a nuove progettualità, così inedito da non trovare ancora disponibili, nei dispositivi sociali, neppure un termine in cui identificarsi: si va da definizioni che protraggono la fase di vita precedente (i post adulti) a quelle che sottraggono
anni a quella successiva (i non ancora anziani) 99.
I rischi presenti in questa ampia varianza e flessibilità dei corsi di vita appaiono al
presente legati alla difficoltà di gestire simultaneamente diverse traiettorie di vita, sia
come conseguenza delle mutate condizioni esterne (come la richiesta di ampia fles-
figura della casalinga – anche se molte donne hanno continuato a lavorare per il mercato, in modo ufficiale e
non – che, dal punto di vista dello stato sociale, fa dipendere il loro accesso ai diritti dal fatto di essere “a
carico” dei loro mariti.
97. E. Ruspini, Le identità di genere, Carocci, Roma, 2003.
98. Come emerge dall’ultima indagine IARD sui giovani italiani.
99. E. Donati, P. Madami, Il futuro accanto cit.
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Ageing: verso un mondo più maturo
sibilità nella prestazione lavorativa da parte delle imprese o i cambiamenti nelle norme
pensionistiche), sia come segnale di carenza di funzionamento delle istituzioni (la
riduzione degli investimenti nella spesa sociale). Inoltre, i rischi riflettono le strategie,
le progettualità e le intenzionalità dei soggetti che, come abbiamo visto, coinvolgono
le persone in tutte le età in cui scomponiamo il corso della vita, ma in particolare l’età
adulta, che a dispetto della visione statica che la caratterizzava (seppur riferita a un
periodo storico molto breve, data la grande imprevedibilità delle esistenze umane, sia
da giovani che da adulti, fino a tutto il XIX secolo), sembra la più esposta alle richieste di adattare i propri progetti alle mutevoli condizioni e a gestire le interferenze proprie e quelle delle generazioni più giovani e più anziane, come il tema della “conciliazione”100 segnala con grande attualità.
100. Con il termine conciliazione ci riferiamo alla relazione e interdipendenza che vi è tra due sfere di vita, la
famiglia e il lavoro; connota un processo attraverso il quale gli attori coinvolti tentano di raggiungere un
equilibrio fra vita privata e professionale, cercando di ridurre le interferenze e le incongruenze fra tempi di vita
e di lavoro. Il tema della conciliazione trova specifici riferimenti sia nella legislazione europea che in quella
nazionale (per una rassegna si segnala Guida all’utilizzo della legge n.53/2000 a cura della Consulta Regionale
Femminile della Valle d’Aosta e di Pari e Dispari, 2003).
82
Parte seconda – Il contributo della sociologia
2.5 Le politiche dei corsi di vita
Uno dei temi più attuali per i paesi a economia avanzata è quello della crisi dello stato
sociale. Lo stato sociale del dopoguerra si è strutturato per affrontare la configurazione dei rischi caratteristica di quel tempo; in particolare, i rischi del ciclo di vita
erano focalizzati su quelle fasi caratterizzate dal bisogno, soprattutto infanzia e vecchiaia, come rileva G. Esping-Andersen (2000).
In senso ampio, veniva ipotizzato un corso della vita standard (in realtà costruito
su una figura di lavoratore maschio) con tappe regolari scandite da un percorso di
formazione obbligatoria, un periodo di lavoro e uno di pensionamento. Era decisivo che si stabilisse un corso della vita “normale”, in quanto ciò consentiva di tenere in sufficiente equilibrio le finanze dello stato sociale: la maggioranza dei lavoratori avrebbe versato per circa 35-40 anni i contributi, di cui avrebbero usufruito
per la pensione per forse sette e, con la reversibilità per la moglie, per altri quattro o cinque.
Di fatto, il funzionamento dello stato sociale (nei suoi diversi modelli) ha comportato
un processo di “istituzionalizzazione” dei corsi di vita, definendo in modo molto dettagliato le necessità in base a gruppi di età e stabilendo tappe e scansioni normali
per accedere ai benefici.
Oggi, la descrizione dei rischi del corso della vita riferita agli anni del dopoguerra è
molto superata: le vite appaiono più imprevedibili, le scansioni temporali delle varie
traiettorie sono più flessibili e variabili e pertanto le politiche di protezione dai rischi,
tuttora ispirate a quel modello standard di corso di vita, rischiano di produrre nuove
vulnerabilità, creare nuove esclusioni e disuguaglianze, o di guardare a fenomeni
come l’invecchiamento della popolazione solo come una catastrofe anziché come
frutto di lunghe conquiste sociali.
Sono alcuni dei temi che diversi studiosi europei vanno segnalando nelle loro ricerche, mettendo in evidenza la discrepanza fra la forte azione dello stato nel conformare la struttura sociale del corso della vita e la scarsa comprensione che ne hanno
le discipline che studiano le vite umane.
Richiamiamo di seguito due specifici contributi che paiono particolarmente illuminanti al riguardo.
2.5.1 Due specifici contributi
Il primo di questi contributi si deve alle analisi di K. Mayer e W. Muller sul ruolo specifico dello stato nel concorrere alle strutturazioni delle vite individuali.
Secondo i due studiosi, le vite individuali sono state rappresentate come se si collocassero in una struttura sociale estranea allo stato, per riferirle quasi esclusivamente
o all’ambito della storia familiare o a quello delle carriere occupazionali. In realtà, la
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Ageing: verso un mondo più maturo
loro analisi sostiene che: “Lo stato si è nei fatti addossato una quota crescente di
responsabilità riguardo all’esistenza degli individui nella società101”.
Lo sviluppo dello stato moderno ha prodotto alcuni presupposti strutturali per l’affermarsi delle storie di vita individuali, sia integrando sfere istituzionali come l’economia
e la famiglia, e di conseguenza integrandone i ruoli sociali (ad esempio supportando
attraverso l’introduzione dell’obbligo scolastico la minore capacità della famiglia di
socializzare e formare i figli), sia selezionando l’individuo come attore autonomo,
detentore di diritti e di doveri, oggetto dell’intervento statale.
Ma come si manifesta questa azione diretta dello stato verso le vite degli individui?
In tre specifiche direzioni.
In primo luogo, a differenza di quanto sostiene la teoria della stratificazione per età
prima ricordata, le norme di età previste dalle leggi non sono sufficienti a strutturare
i corsi di vita: occorre che siano integrate da altre azioni di intervento dello stato,
quali i trasferimenti fiscali e la fornitura di servizi.
Gli esempi più significativi riguardano le due età estreme: i giovani e gli anziani.
Come dicevamo, l’età giovanile è stata minuziosamente differenziata in fasi della vita,
in cui però la sola età anagrafica non avrebbe giocato un ruolo così rilevante se non
fosse stata accompagnata da un sistema di servizi educativi, che con la loro fornitura di percorsi e gradini, hanno prodotto la trasformazione dei primi anni della vita in
una serie di stadi ben definiti (infanzia, preadolescenza, adolescenza, adolescenza
prolungata, giovinezza, età quasi adulta).
Come sappiamo, le scuole non solo trattengono gli individui per diverso periodo di
tempo, ma li vagliano in rapporto a precisi sbocchi occupazionali (come sottolineano
da diversi anni gli studi sulla stratificazione sociale in Italia102).
Anche per quanto riguarda le età più adulte va rilevato che si è cominciato a parlare
delle persone in pensione come categoria di età con specifiche configurazioni di
ruolo e di aspettative quando si è allungato il periodo di pensionamento, grazie all’aumento delle speranze di vita, e numerosi servizi sono stati rivolti a questo specifico
gruppo di popolazione (era difficile che ciò accadesse quando solo il 30% di ciascuna coorte di età viveva oltre l’età legale della pensione).
Secondariamente, l’azione dello stato sociale si struttura in modo universalistico,
attraverso un processo che tende a fissare regole generali per la definizione degli
obblighi e dei bisogni riconosciuti come legittimi (processi di routinizzazione, specializzazione e legalizzazione103).
101. K.U. Mayer, W. Muller, Lo stato e la struttura del corso della vita, in C. Saraceno (a cura di), Età e corso
della vita cit.
102. I. Bison, M. Pisati, A. Schizzerotto, Disuguaglianze di genere e storie lavorative, in S. Piccone Stella, C.
Saraceno, Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino, Bologna, 1996.
103. L’assicurazione sociale, sostengono K. Mayer e W. Muller, si distingue per l’assunzione di misure di
routine, anziché azioni di prevenzione, di attribuzione dell’assistito a specifiche istituzioni e di legalizzazione
delle indennità, volte a garantire una compensazione dei guadagni.
84
Parte seconda – Il contributo della sociologia
La conseguenza è che l’esistenza degli individui si trasforma in una serie di situazioni, in eventi circoscritti, in punti di ingresso e punti di uscita ben definiti, interrompendo il flusso continuo dell’esistenza.
Gli eventi della vita vengono standardizzati: già al momento della nascita un insieme
di regole stabilisce, seppur in modo astratto (e non per tutti), il periodo di astensione
dal lavoro per la madre e il padre, i loro diritti monetari e i diritti legati al mantenimento del posto di lavoro.
Inoltre, alcuni programmi statali possono contrastare con le stratificazioni per età
della popolazione, come nel caso dei diritti previdenziali che fissano alcune età soglia
per la pensione o i programmi straordinari di prepensionamento che possono riguardare persone appartenenti a strati di età differenti.
La stessa organizzazione burocratica dei servizi pubblici finisce, in nome della divisione specialistica del lavoro, per trasformare gli eventi della vita in stadi separati dell’esistenza, gli accidenti sono semplificati e standardizzati, gli utenti assegnati a
diversi uffici di competenza, tutti percorsi su cui l’individuo ha scarso potere di controllo e di risposta attiva.
In terzo luogo, data questa organizzazione dell’azione istituzionale, “sembra improbabile che gli individui possano concepire progetti di vita complessivi e a lungo termine”. Sembrerebbe venire premiata sia una logica di azione centrata sul presente
che una logica di spersonalizzazione, in cui “la persona e i significati semantici biografici perdono la loro rilevanza”104.
Dunque, si chiedono gli autori, gli individui modificano il proprio orientamento sulla
base dell’intervento dello stato sociale?
Utilizzando la distinzione di K. Mannheim fra razionalità sostantiva e razionalità funzionale105, essi sostengono che, poiché lo stato fissa in modo così rigido gli accessi
ai servizi e adotta una razionalità funzionale per garantire la sua vocazione universalistica (trattare tutti i cittadini in modo eguale), finisce per convincere i cittadini che
sfruttare le opportunità offerte dallo stato conviene, anche quando non rappresentano un loro bisogno specifico.
È un’ipotesi di approfondimento che potrebbe essere considerata per dare conto del
momento attuale di grande confusione che si registra, non solo nel nostro paese, per
ciò che riguarda le nuove norme per il pensionamento. Con questo non si intende
sostenere che gli individui non facciano piani precisi della loro vita, anche nel momento della transizione dal lavoro, ma quando l’azione dello stato rende meno sicura e
probabile la scansione prevista per quella certa fase del corso della vita (ad esempio
mettendo in discussione le età legali per poter andare in pensione), la logica della
razionalità funzionale sembra governare anche le decisioni di “andare in pensione”: ci
104. T. Luckmann, On the Rationality of Institutions in Modern Life, in “European Journal of Sociology”, n. 1, 1975.
105. “Le due forme di azione razionale sono accomunate. Mentre la razionalità sostantiva implica che gli
obiettivi e i fini siano definiti o pienamente accolti dall’individuo, la razionalità funzionale è un adattamento
calcolato a fini e obiettivi dati dall’esterno”. K. Mayer, W. Muller, Età e corso della vita cit.
85
Ageing: verso un mondo più maturo
si va non sulla base di obiettivi pienamente definiti dal soggetto, ma come opportunità da cogliere (ci si sentirebbe stolti a non farlo!), o per evitare certi rischi futuri (non
essere più certi di poter andare in pensione quando lo si decide).
Come sostengono alcuni studi, i programmi governativi per il pensionamento anticipato dei lavoratori (soprattutto di uomini) più adulti e meno qualificati, hanno concorso a produrre un minor controllo da parte del lavoratore sul processo di pensionamento, oltre al fatto che hanno favorito uno scoraggiamento e una marginalizzazione
dei lavoratori più anziani che restano nel mercato del lavoro106.
Un secondo interessante contributo teorico sul tema delle politiche del corso di vita
è rappresentato dal lavoro di M. Kohli107.
Il suo assunto di base è che il corso della vita è una delle istituzioni chiave della
socializzazione, con un duplice impatto: regola le posizioni sociali e definisce gli orizzonti simbolici. Struttura le sequenze della vita in termini di carriere e le prospettive
simboliche che ad esse sono riferite.
A partire da un’analisi storica l’autore propone due tesi:
•
nelle nostre società si assiste a una dinamica per la quale non solo cambiano le
età cronologiche delle transizioni socialmente strutturate, ma vi è una crescente
“cronologizzazione”, ovvero aumenta l’importanza dell’età cronologica come criterio per le carriere (e il conseguente accesso a determinati beni e servizi) e per la
differenziazione sociale (ad esempio la vecchiaia distinta dalle altre fasi della vita);
•
nelle società moderne il corso della vita è organizzato attorno alla vita lavorativa.
Le ragioni di questi processi sarebbero da rintracciare in:
•
l’aumento delle speranze di vita e della vita prevedibile;
•
le trasformazione degli eventi del ciclo familiare e lavorativo da casuali a normativi;
•
la stratificazione per età degli attuali sistemi sociali dei diritti e doveri pubblici;
•
l’aumento delle prospettive biografiche, ossia la maggiore longevità permette agli
individui una maggiore consapevolezza circa la propria storia di vita (si vive più a
lungo e gli individui devono fare piani per l’intera vita).
Perché tanta importanza all’età cronologica quando nella società moderna ci sono
orientamenti verso la preferenza per criteri acquisitivi anziché ascrittivi? Forse è funzionale al controllo sociale, all’integrazione fra famiglia e lavoro, alla razionalizzazione; ma sarà destinato a durare? O l’età tenderà a divenire irrilevante?
Ora la differenziazione per età cronologica sta diventando sempre più problematica e
costosa.
106. A. Walker, Combacting Age Barriers in Employment, European Foundation for the Improvement of Living
and Working Conditions, Dublin, 1997.
107. M. Kohli, Organizzazione sociale e costruzione soggettiva del corso della vita, in C. Saraceno, Età e corso
della vita cit.
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Parte seconda – Il contributo della sociologia
Il riferimento empirico del lavoro di Kohli è collocato nell’ambito dell’impresa industriale.
Attraverso una metodologia qualitativa, basata su interviste narrative, sono state messe
a fuoco due questioni: gli aspetti correlati all’età della gestione del personale e il modo
in cui i problemi nella seconda metà della vita sono gestiti dai lavoratori coinvolti.
Come risposta al primo quesito la ricerca conclude che vi sono nelle imprese le categorie di età, ma contribuiscono marginalmente al funzionamento del mercato del
lavoro interno. La valutazione dei lavoratori avviene sulla base della loro prestazione,
mentre l’età acquista rilevanza nelle considerazioni di tipo strutturale, come i programmi di formazione e di riqualificazione.
Per quanto riguarda la risposta alla domanda su come i lavoratori gestiscano i processi organizzativi nella costruzione del loro corso di vita, occorre tenere presenti due
aspetti, strettamente interrelati fra loro:
•
le cornici di riferimento temporale con le quali i soggetti costruiscono il loro presente, separandolo dal passato e dal futuro (ogni nuova esperienza acquista
significato all’interno di queste cornici e nello stesso tempo può condurre a una
rivisitazione delle cornici medesime);
•
la costruzione attiva del corso della vita da parte dei soggetti, in relazione alle
condizioni sociali in quel momento disponibili108.
Analizzando un ricco materiale biografico, l’autore mette in risalto la tensione fra una
tendenza alla “cronologizzazione” del corso della vita (che definisce in modo molto
accurato le soglie temporali dei vari eventi, per cui la maggior parte degli individui ha,
ad esempio, un’idea precisa del momento in cui prevede di andare in pensione) e la
necessità dei soggetti di avere una visione più fluida dell’intero corso di vita, per collegare e dare un senso alle varie e specifiche soglie temporali.
“Il tempo della vita è caratterizzato dall’unicità e dalla irreversibilità” sostiene Kohli, in
contrapposizione con le società organizzate per “gruppi di età”109.
In sintesi, possiamo affermare che, se fino ad ora si è insistito sul lavoro come ambito chiave in termini sia di organizzazione macrosociale del corso della vita, sia di
costruzione biografica, esso è in realtà solo una parte del mondo della vita degli individui. Per comprendere le conseguenze dei cambiamenti in corso, ad esempio del
superamento del modello fordista di produzione, occorre che l’ambito del lavoro sia
studiato insieme ad altri ambiti di vita centrali, come quello familiare, interrogando
l’organizzazione del corso della vita nel suo complesso di carriere, di tempi ma anche
di prospettive biografiche.
108. Se la realtà oggettiva è posta ai soggetti come strutturalmente data, a sua volta essa è modificata dai
soggetti e questi, a loro volta, cambiano anch’essi. La dinamica di azione e retroazione rende difficile
rintracciare una cornice causale al modello di azione per interpretare i corsi della vita.
109. A comporre le economie soggettive del tempo concorrono le seguenti definizioni: “il tempo della vita
come risorsa, inteso come arco temporale per il conseguimento dei propri obiettivi”; il tempo della vita come
compito, ambito di attività personali in cui sarebbe meglio fare buon uso del proprio tempo”; “il tempo della
vita come durata, la concezione dell’arco temporale da vivere”.
87
Ageing: verso un mondo più maturo
2.6 Alcuni utili suggerimenti per le analisi sul
processo di invecchiamento
Le ricerche richiamate sono ricche di spunti per ripensare ad alcuni paradigmi teorici e metodologici delle scienze sociali, nonché per suggerire altre piste di azione per
l’agire collettivo, sia pubblico che privato.
Il primo utile suggerimento propone di considerare i rischi connessi a una lettura dell’agire dei soggetti troppo centrata su categorie ascrittive, quale l’età cronologica,
che sottrae al soggetto la sua capacità di agency, proprio nel momento in cui, aumentando le speranze di vita, gli individui sono chiamati a fare nuovi piani per le loro esistenze, ridisegnando le loro appartenenze all’età e alla generazione.
In una recente ricerca sulle persone di età compresa fra i 60 e i 70 anni110, attraverso la prospettiva del corso di vita, si è rilevato che l’indicazione prioritaria per le politiche pubbliche era riferita ad azioni volte a comprendere il processo di invecchiamento entro le fasi del corso della vita (ageing is lifelong, come indica l’ONU, e la promozione del benessere richiede di rompere certi automatismi fra età e ruoli). Un’idea
delle età che si sviluppa, come avviene nelle altre tappe biografiche, in un continuum
di passaggi da una fase all’altra, nella dinamica complessiva e non come stadio
separato del corso di vita. Nello stesso tempo si è trovata conferma che l’età anagrafica è un indicatore approssimativo, meno rilevante rispetto a una ricerca soggettiva del senso da dare alla propria età, in un tempo da prefigurare con una costante
elaborazione in itinere della propria esperienza: sono emersi esempi di stili di vita dai
tratti di forte modernità.
In una situazione di risorse scarse come quella attuale e in un contesto di crescita
degli elementi di rischio per le esistenze111, viene tematizzata l’idea di innovazione
sociale come processo che attivi risorse aggiuntive, tra le quali gli attori sociali nel
loro agire quotidiano, con la loro intelligenza e le loro domande di benessere.
L’azione dello stato sociale ha, in molti ambiti, determinato la creazione di categorie
di bisogno che, come gli stessi professionisti dei servizi hanno fortemente segnalato
da diverso tempo, hanno sacrificato la visione unitaria dell’individuo e “passivizzato”
la sua logica di azione. Sottraendo al soggetto la definizione della sua situazione,
trattandolo solo come portatore di problemi e non anche di risorse, si è finito per
riconoscere come esperto non colui o colei che ha esperienza, ma chi detiene il know
how relativo a una certa tecnica.
Solo per citare alcuni fra i molti contributi teorici che suggeriscono la necessità di una
inversione di tendenza, vi è il premio Nobel A. Sen che afferma: “Il rapporto fra risor-
110. E. Donati, P. Madami, Il futuro accanto cit.
111. Si pensi ai vari saggi di Z. Bauman; in particolare, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle
persone, Laterza, Bari, 2001; Voglia di comunità, Laterza, Bari, 2001; La società individualizzata. Come
cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna, 2002.
88
Parte seconda – Il contributo della sociologia
se e capacità è complesso e mediato: passa attraverso l’esperienza riflessiva della
scelta e dell’esperienza. Lo spostamento dagli oggetti ai soggetti e alle loro facoltà
permette di raggiungere ciò che è costitutivo del loro benessere”112.
L’economista americano L. Thurow, anch’egli premio Nobel, sostiene che “le strategie di vantaggio competitivo delle imprese risiedono nella capacità di disporre e
organizzare la conoscenza, non solo quella incorporata nella tecnologia e organizzata nei processi produttivi, ma quella posseduta dalle persone”113.
U. Beck ha scritto che “L’identità personale viene scelta ed è modificabile, […] l’individuo deve imparare a pensarsi come agenzia di pianificazione della propria biografia. Si richiede un modello forte di azione nella vita quotidiana che metta il soggetto
al centro”114.
Un secondo suggerimento mette in guardia dal rischio connesso al mantenimento di
rigide configurazioni dei corsi di vita che, in una situazione di forte flessibilizzazione
e imprevedibilità, può aumentare le disuguaglianze nell’accesso alle risorse per i diritti di cittadinanza.
Oggi tanti cittadini si scoprono esposti a diversi fattori di instabilità e di rischio: il
mercato del lavoro richiede maggiore flessibilità e spesso in cambio offre soprattutto insicurezza; i giovani e le donne, in particolare in Italia, fanno molta fatica a
iniziare una carriera lavorativa; i lavoratori più anziani si scoprono spesso in possesso di competenze obsolete e per molti l’unica alternativa alla disoccupazione
può sembrare (e nemmeno per tutti) il prepensionamento; un numero crescente di
individui corre il rischio di guadagnare per molti anni paghe modeste o di non guadagnare affatto.
Forse più che pensare alla difesa tout court dei corsi di vita standardizzati, che probabilmente non esistono più, o a protezioni specifiche per gruppi di età, ignorando il
processo di sviluppo dei corsi di vita e cogliendo ogni esigenza in modo statico e
separato (ciò che costringe i soggetti a uniformarsi), sarebbe auspicabile proporre
“politiche mirate a specifici eventi e transizioni nelle vite delle persone”115. Politiche
che siano in grado di produrre processi di “rafforzamento” (empowerment) dei soggetti116, che partano dalla loro definizione della realtà, per saper gestire il proprio
potenziale di rischio come risposta adattiva e strategica.
Lo sottolinea E. Reyneri quando sostiene che è essenziale esaminare le conseguenze del lavoro atipico sui soggetti tenendo conto della prospettiva del corso di vita.
112. A. Sen, Scelta, benessere, equità, Il Mulino, Bologna, 1986; Risorse, valori, sviluppo, Bollati Boringhieri,
Torino, 1992.
113. La citazione è riportata in F. Butera nel saggio (scritto con E. Donati e R. Cesaria) I lavoratori della
conoscenza, Franco Angeli, Milano, 1997.
114. U. Beck, I rischi della libertà, Il Mulino, Bologna, 2000.
115. C. Saraceno, Introduzione. Dalla sociologia dell’età alla sociologia del corso di vita, cit.
116. O. de Leonardis, D. Mauri, F. Rotelli (a cura di), L’impresa sociale, Anabasi, Milano, 1994.
89
Ageing: verso un mondo più maturo
“Tale prospettiva è essenziale sia per dare una ragionata valutazione delle nuove
forme di lavoro, sia per suggerire politiche di intervento. Infatti, non dovrebbe preoccupare più di tanto la precarietà del ventenne, che ha ancora una vita personale e
lavorativa davanti a sé, e può farvi fronte bene sul piano emotivo. Molto diversa, invece, è la situazione di un quarantenne con figli e famiglia a carico o di chi si trova a
dover prendere decisioni cruciali, come sposarsi o far figli, e ha bisogno di avere
delle prospettive di reddito relativamente sicure”117.
Le “politiche di conciliazione” sono un esempio interessante di interventi volti a contemperare e rendere meno ostili i diversi tempi di vita, liberando del tempo per poter
aumentare la capacità e l’efficacia di risposta dei soggetti a bisogni di cura e di
benessere verso se stessi e verso gli altri.
Le recenti trasformazioni demografiche, come il calo della fecondità e l’invecchiamento della popolazione, concorrono a disegnare nuovi corsi di vita individuali e
familiari, che rendono necessarie misure volte a permettere a ciascuno di assumersi
responsabilità di cura, a garantire reti di sostegno in quella logica di “interdipendenza”118 che può assicurare il dispiegarsi di progetti di autonomia.
Una concezione più flessibile, articolata, dell’identità lavorativa in relazione al ciclo di
vita e agli equilibri che si possono creare fra impegni di lavoro, responsabilità di cura
e interessi personali è divenuta una immagine più coerente con le scelte di vita di
molti uomini e donne, soprattutto giovani, una impronta su cui si vanno delineando
nuove figure di lavoratori e di lavoratrici dell’economia post industriale.
Alla base di una diffusa richiesta di una migliore conciliazione fra tempi di lavoro e
tempi di vita per le donne e per gli uomini vi è una visione più dinamica e meno segmentata sia dei bisogni degli individui sia degli equilibri che si possono determinare:
bisogni ed equilibri non letti come un faticoso vincolo, ma come opportunità per
sostenere le intenzioni e le competenze di chi si assume responsabilità verso altri,
oltre che come condizione per promuovere autonomia e dignità umana.
La conciliazione rappresenta, inoltre, una strategia redistributiva di tempo e di risorse, lungo l’asse del genere e delle generazioni119.
L’attenzione al rapporto fra le generazioni può rappresentare un terzo contributo interessante per leggere come si modellano i percorsi di vita e rompere una tendenza alla
segregazione per età dei soggetti e una visione statica dei processi di trasmissione
sociale.
Come sostiene C. Attias-Donfut “la società che invecchia, oltre ad essere una
società multigenerazionale, per il coesistere di un gran numero di generazioni, è
caratterizzata dalla trasformazione delle generazioni stesse e da influenze recipro-
117. E. Reyneri, Presentazione del volume, a cura di M. Samek e R. Semenza, Le forme del lavoro cit.
118. M. Titmuss, The Gift Relationship, Pantheon Books, New York, 1971.
119. Il mutamento dei modelli culturali di divisione del lavoro di cura, attraverso un maggiore coinvolgimento
sia degli uomini sia delle giovani generazioni, rappresenta uno degli obiettivi delle politiche di conciliazione.
90
Parte seconda – Il contributo della sociologia
che delle une sulle altre, da una rinegoziazione permanente dei loro rapporti, per
tutto l’arco della vita”120.
La “prospettiva intergenerazionale” sembra adatta a cogliere alcune delle conseguenze che l’invecchiamento della popolazione produce sull’evolversi dei rapporti
sociali e sulle trasformazioni dei modelli stessi d’invecchiamento.
In due recenti indagini su diversi campioni di popolazione anziana, si è trovato conferma di una tendenza nazionale rilevata dall’ISTAT, di un progressivo aumento delle
persone anziane fra i soggetti che prestano cure (caregivers), nei confronti sia delle
generazioni che li precedono sia di quelle che li seguono.
Le trasmissioni di aiuti da parte di pensionati e pensionate verso i più giovani (sotto
forma di donazioni o di contributo dati ai figli/e per l’acquisto della casa, o nelle
forme più quotidiane di aiuto: attività di cura, regali finalizzati, sostegno per far fronte a certi eventi o altro), possono essere viste in direzione opposta rispetto alla percezione diffusa che sia solo la popolazione attiva a mantenere la solidarietà nazionale. Si vengono instaurando, spesso in modo informale, circoli di accumulo e trasmissione che in certi momenti vanno dai pensionati/e alla popolazione attiva e in altri
viceversa, dalla popolazione attiva ai pensionati/e, che certamente si realizzano in
modo privato, nei rapporti tra le famiglie, e di certo mantengono il contesto di disuguaglianze in cui si originano, ma nello stesso tempo sono parte del processo di
arricchimento globale della società.
“Genere” e “generazione” sono due chiavi che possono favorire, in aggiunta ad altre
variabili, una lettura più raffinata dei corsi di vita, quella che W. Heinz chiama “particolarizzazione delle biografie”121, e nello stesso tempo, per la dialettica relazionale
che li contrassegna, possono contribuire a rendere meglio evidenti i legami e le interdipendenze fra biografie individuali e comportamenti collettivi.
120. C. Attias-Donfut, Génération et age de la vie, PUF, Paris, 1991.
121. W. Heinz, Lavoro e corso della vita: prospettive di ricerca comparativa, in C. Saraceno (a cura di) Età e
corso della vita cit.
91
Parte terza
Problemi aperti e indicazioni per un
programma di ricerca
Ageing: verso un mondo più maturo
3.1 Problemi aperti, o meglio: apertura ai problemi
Scriveva una decina di anni fa P. Laslett: “Una società industriale del XX secolo non
risolve i suoi problemi di distribuzione sociale, i suoi problemi di classe e di disuguaglianze di redditi, e di disuguaglianze nel campo dell’istruzione e dell’arricchimento
culturale, semplicemente diventando vecchia. Ma questi problemi possono cominciare ad essere considerati in una luce completamente nuova nel momento in cui la
struttura sociale sta evolvendosi in una direzione sempre più anziana”122.
Questa sembra anche la direzione del percorso che il fenomeno dell’ageing sta compiendo, spostando l’attenzione collettiva da quell’“allarmismo” con cui è stato inaugurato intorno agli anni settanta, per collocarsi nella cornice adattiva dell’“invecchiamento attivo” e più timidamente nella direzione innovativa indicata dall’ONU con l’obiettivo di “una società per tutte le età”.
Il tema dell’ageing può favorire la comprensione di nuovi modi di vivere e organizzare
le nostre società, se ci lasciamo guidare dalla stessa potenzialità ermeneutica dell’approccio di genere alla comprensione delle dinamiche sociali: “tener conto del genere
non significa addizionare ai nostri dati un dato prima trascurato, ma aprire una prospettiva diversa sul panorama dei dati nel suo complesso. Non si tratta di colmare una
assenza, ma di riesaminare criticamente l’insieme”123. Dove non solo la stessa categoria di genere, o meglio la realtà a cui si riferisce, non è da considerarsi immobile, ma
è anche una categoria soggetta all’influenza dell’azione e della riflessione.
Una delle più interessanti acquisizioni teoriche degli studi sull’ageing riguarda il fatto
che il mutamento evolutivo avviene lungo l’intero arco di vita (dal momento della
nascita fino alla morte) e che tutte le età in cui scomponiamo il corso della vita sono
in mutamento. Non a caso la ricerca dell’ILO, come le conclusioni dell’indagine comparativa dell’OECD, hanno indicato la necessità di superare l’attuale calendarizzazione fra una fase iniziale della vita dedicata alla formazione, una centrale impegnata dal
lavoro e una terza dedita al tempo libero, per proporre azioni volte a disegnare una
scansione più flessibile di lavoro e tempo libero, di apprendimento e responsabilità di
cura lungo tutto il corso della vita.
La stessa nozione di lifelong learning presuppone un processo di apprendimento che
si articola in modo ampio per comprendere varie acquisizioni e competenze, quali
learning to know, learning to do, learning to live together124.
Riconoscere che il pensionamento è un’altra cosa rispetto all’invecchiamento richiederà tempo, prima che tale acquisizione esca dal tradizionale orizzonte di senso di
molte persone.
122. P. Laslett, Una nuova mappa della vita cit.
123. S. Piccone Stella, C. Saraceno (a cura di), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile,
Il Mulino, Bologna, 1996.
124. J. Delors, Learning: the Treasure within, a Guided Tour, Commission on Education for the 21st century, 2000.
94
Parte terza – Problemi aperti
È la prima volta nella storia che un numero così grande di persone, uomini e donne,
fa i conti con un passaggio esistenziale inedito, non confrontabile con altre generazioni. Pensare all’età della pensione come a un luogo di progettazione di nuove identità, individuali e sociali, richiede un investimento soggettivo e collettivo. Ma non solo
nel tempo del pensionamento.
Sono acquisizioni recenti. Così come sono recenti quelle domande di benessere che
sorgono in molti luoghi di lavoro, che mettono al centro il tema del mantenimento e
della promozione attiva della salute, come presupposto di maggiore produttività e
soddisfazione lavorativa, per contrastare rischi di disabilità e fenomeni di stress, ma
anche come veicolo di informazione e di diffusione di nuove abitudini orientate alla
prevenzione125.
È utile ricordare che molte delle proposte elaborate da movimenti femminili e femministi nonché da coordinamenti donne delle organizzazioni sindacali italiani nel corso
degli anni ottanta, avevano messo l’accento sul tema della salute delle lavoratrici,
nell’ottica sia della prevenzione che del riconoscimento delle differenze di genere
come occasione per ripensare il benessere nei luoghi di lavoro126.
Le discriminazioni a danno delle lavoratrici in relazione all’evento della maternità127 e
alle responsabilità di cura familiari avevano rivelato che le occupazioni prive di prospettive di carriera o con prospettive limitate accorciano la vita adulta, in quanto le
tolgono prospettiva e futuro. A partire dalla “specificità” della presenza lavorativa
delle donne, e in conseguenza della diffusione delle forme di discontinuità lavorativa,
si è guardato alla traiettoria lavorativa come a un percorso che ha la possibilità di
cambiare nel tempo, come un processo scandito non solo dalle tappe interne, ma
anche dalle interdipendenze con le tappe e gli eventi delle altre traiettorie di vita. Un
percorso in cui occorre adattare il lavoro ai mutamenti che intercorrono negli equilibri
degli interessi e delle capacità, non necessariamente letti come sintomo di inaffidabilità, ma come segnali di forme di flessibilizzazione dell’esperienza adulta, e di nuove
abilità nel fronteggiare un continuo cambiamento.
La valorizzazione del capitale umano lungo il corso della vita può essere ben esemplificata proprio dalle esperienze delle lavoratrici: G. Esping-Andersen sostiene che la
produttività delle madri occupate in certi periodi può essere inferiore o negativa, ma
i costi di minore produttività possono essere recuperati attraverso i redditi che produrranno nel corso della loro più lunga vita lavorativa, la valorizzazione del capitale
umano che posseggono e il loro contributo all’aumento dei tassi di fecondità. Inoltre,
125. Sul tema si veda in particolare, M. Monaci, M. Magatti, L’impresa responsabile, Bollati Boringhieri, Torino,
1999; “Dossier Ambiente”, Trimestrale di Ambiente e Lavoro, Milano; Pari e Dispari: Ricerca sul fabbisogno di
servizi per il benessere fra le dipendenti e i dipendenti dell’amministrazione provinciale di Catanzaro, rapporto
di ricerca, ottobre 2003.
126. M. Bergamaschi, E. Omodei Zorini, C. Schweizer, Un benessere insopportabile. Identità femminile tra
lavoro produttivo e lavoro di cura, Collana “Pari e Dispari”, Franco Angeli, Milano, 1998.
127. E. Donati, P. Madami, La maternità all’Italgas di Torino, Pari e Dispari, Rapporto di ricerca 1991.
95
Ageing: verso un mondo più maturo
come indicato dalle good practices, le politiche del personale orientate a mantenere
un legame positivo fra la lavoratrice madre, ma anche fra il lavoratore padre, e il lavoro tendono a contrastare quei fenomeni di marginalizzazione che spesso finiscono
per saldarsi in un circolo vizioso con fenomeni di autoesclusione, andando a depotenziare risorse professionali e investimenti formativi spesso molto elevati e difficilmente sostituibili.
Se attualmente si è venuta determinando, per una convergenza di fattori128, una
sovrapposizione fra condizione anziana e pensionamento, non sarà così per le
prossime generazioni. Il modello non risulta neppure così calzante con l’esperienza di molte donne pensionate, o in sintonia con le percezione di molti uomini e
donne “quasi anziani”. L’esperienza di avere una “certa età” varia molto nel tempo
storico e in conseguenza delle esperienze che le persone hanno fatto fino a quel
tratto di strada.
L’istruzione, il tipo di lavoro che si è fatto e persino la possibilità di farlo ancora
fanno una grande differenza, innanzitutto sulla salute, ma più in generale sul modo
di definire i propri orizzonti temporali, sulla capacità di cogliere opportunità, di continuare a essere e sentirsi attivi. In certe professioni l’età matura diventa una risorsa aggiuntiva129, una dimensione in più del proprio capitale umano, e la capacità di
maturare più a lungo allunga il tempo della pienezza adulta. Ma questo modo di
affrontare la vita sembra anche valere per il prototipo della “non professione”, quella di addette alla cura familiare: la grande presenza delle donne nelle associazioni,
nel volontariato, nelle università della terza età (dove rappresentano il 75% degli
iscritti) e non solo, ci dicono della loro diffusa capacità di incuriosirsi, di iniziare
cose nuove, di essere coinvolte in nuove attività, come una energia liberata dopo
gli anni degli obblighi.
“Gli uomini con il pensionamento sembrano finire prima, rallentare il passo, sostare
incapaci di affrontare il ricambio. L’idea di una trasformazione intesa come lasciare
aperta l’ipotesi di un altro pezzo di mondo da scoprire, sembrerebbe trovare gli uomini più impreparati e spaventati”130.
Tra i grandi dispositivi culturali che formano i nostri orientamenti operativi, manca
quello della preparazione al pensionamento, inteso come educazione a un nuovo
progetto esistenziale131.
128. C. Facchini: I mutamenti della condizione anziana, in “Rivista scientifica del Pio Albergo Trivulzio”.
129. In un recente articolo (4 dicembre 2003) a firma di Bernardo Valli sul quotidiano “La Repubblica”, si
leggeva a proposito della grande diga cinese in costruzione sul fiume Azzurro, di un colloquio con l’ingegnere
capo di circa 10.000 addetti, un signore garbato e sereno di oltre 70 anni di età.
130. E. Donati, P. Madami, Il futuro accanto cit.
131 Si fa riferimento al Progetto Nestore, un percorso formativo di preparazione al pensionamento, con il
contributo della Società Umanitaria e della cattedra di Educazione degli Adulti dell’Università degli Studi di
Milano. Per un approfondimento si veda Silvia Tognetti, La preparazione al pensionamento in Italia e il progetto
Nestore, in R. Moragas, Andare in pensione, “Quaderni n. 4-5” dell’Associazione Italiana di Studi del Lavoro,
Milano, 1998.
96
Parte terza – Problemi aperti
Come sottolineano diverse esperienze, nazionali ed europee, non possiamo delegare
questa elaborazione solo ai diretti interessati/e e solo nella terza parte della vita, ma è
importante che ci sia un’attenzione e un investimento di risorse di tutta la società.
La promozione di un orientamento più attivo verso il tempo libero, di una maggiore
presenza delle pensionate e dei pensionati nelle associazioni di volontariato, non può
essere affrontata come una questione privata: avviare o riprendere nuove carriere,
quando sono venuti meno i vincoli professionali, non si traduce automaticamente in
un aumento delle opportunità individuali. Come emerso da diversi studi internazionali, le persone in pensione sono libere di scegliere come passare il loro tempo, ma
spesso finiscono per riprodurre le stesse modalità di consumo del tempo libero che
praticavano prima del pensionamento. La maggioranza degli uomini in Italia predilige
attività di fruizione passiva, come guardare la televisione e ascoltare la radio, mentre
la fruizione culturale e la partecipazione sociale delle donne anziane è in aumento132.
In Francia esiste un fondo nazionale, dotato di risorse provenienti dalle casse dello
stato e da finanziamenti delle imprese, per la preparazione al pensionamento dei
lavoratori e delle lavoratrici, che mette a disposizione di chi è interessato percorsi di
“bilancio delle competenze” per orientare le progettualità future. Le politiche per una
active life, per una vita attiva, hanno più probabilità di successo se proposte prima
del pensionamento, o in mancanza di questo, almeno potrebbero accompagnare la
fase di transizione all’uscita dal lavoro remunerato.
Dalle tante iniziative avviate nel nostro paese sono emerse indicazioni per non guardare all’allungamento della vita lavorativa come unica risposta in termini di inclusione della popolazione che invecchia.
Se dobbiamo allungare il tempo del lavoro, lo dobbiamo rendere meno schematico:
l’atteggiamento più aperto e progettuale verso il tempo che avanza è anche frutto di
un’attività che richiede tempo per il rapporto con se stessi, spazi per l’elaborazione
del vissuto, l’arresto della quotidianità per consentirsi quelle “illuminazioni profane”,
suggerite da W. Benjamin133, per trasformare in esperienza ciò che è vita.
Una società che invecchia porta conseguenze anche per le altre fasi della vita, comprese quelle giovanili. Diverse indagini condotte sui comportamenti giovanili (IARD,
2001 e Rapporto Almalaurea, 2004) concordano nel ritenere che gli sviluppi demografici, in cui la risorsa giovani diverrà sempre più scarsa (tra il 1990 e il 2010 i giovani fra i 20 e i 25 anni diminuiscono del 40%), richiedono di rivedere le scansioni
temporali anche dei percorsi di formazione dei giovani. Pare inutile protrarre la formazione dei giovani fino a 26-30 anni perché non ci sono risposte alle loro aspettative di carriera e di vita: il mercato non sembra così interessato ad assorbire laureati
mediamente anziani e ancora bisognosi di formazione134. Occorre trovare modi per
132. ISTAT, Come cambia la vita delle donne, novità editoriale “Famiglia e Società”, 8 marzo 2004.
133. W. Benjamin, Angelus novus, Einaudi, Torino, 1966.
134. M. Livi Bacci, Così perde forza l’idea cultura uguale sviluppo, in “La Repubblica”, 29 febbraio 2004.
97
Ageing: verso un mondo più maturo
dare risposte alle loro attese di identità adulta, cercando di conciliare la necessità di
elevare le credenziali educative e la necessità di far lavorare i giovani prima.
È interessante rilevare il consenso in questa direzione espresso da parte di alcune
associazioni di datori di lavoro, come Fenacom135, che sottolineano il permanere di
una bipolarità – frutto di una concezione tradizionale del tempo di lavoro schiacciata
su due poli: il polo del tempo cronometrico, in cui sta il lavoro riconosciuto e remunerato, e il polo del tempo senza limiti dei pensionati. È una visione non più adatta a
fare da riferimento per ciò che accade nel mondo oggi.
“Si rende necessario abbattere le barriere per consentire un rapporto fra vita attiva e
inattiva più coerente con il diritto di ogni persona a perseguire il proprio progetto di
autorealizzazione”136.
Un’indagine del Censis, realizzata per “Italia Lavoro”, conferma che l’obiettivo politico
del prolungamento della vita lavorativa, se inteso come continuazione della precedente occupazione, rischia di scontrarsi contro la volontà di chi non ha nessuna intenzione
di re-impiegarsi, soprattutto come dipendente. Mentre assai diverso è il profilo del lavoro autonomo, che attira i tre quarti degli occupati ultrasessantacinquenni137.
La Carta Europea sulla Conciliazione138 indica che attraversare quotidianamente
mondi diversi con minore ostilità, suggerisce forme di conciliazione fra tempi di vita
e di lavoro, favorevoli sia alle aziende che ai lavoratori e alle lavoratrici, produce legami positivi con il lavoro e rafforza le capacità di sentirsi responsabili verso gli altri: da
qui può iniziare un progetto complessivo di inclusione nel mercato del lavoro e nella
società.
Essere attivi è essere produttori di servizi139, fornitori di “capitale umano” (S.
Rosen)140 quale istruzione, salute, rispetto e salvaguardia di beni ambientali, oltre
che di ricchezza privata; essere attori di un benessere inteso nell’accezione ampia di
well being nei confronti delle generazioni successive, non necessariamente essere
occupato/a.
135. 50 & più Fenacom è una associazione costituita da un gruppo di pensionati della Confcommercio, creata
nel 1974 per offrire ai soci tutela, assistenza e vita associativa. Ogni anno organizza un Forum Internazionale
della terza età. Il forum del 2003 aveva per titolo “Goldage”, Riva del Garda, 2003. Sono in corso di
pubblicazione gli atti del forum 2003, mentre sono disponibili nella collana omonima gli atti dal 1998.
136. N. Delai (cura di), Istituzioni locali e popolazione anziana. Le politiche sociali fra promozione e assistenza,
Ermenia - 50 & più Fenacom, Roma, 2002.
137. Censis, over 65, sempre meno attratti dal lavoro, in www.labitalia.com., approfondimenti, 30 settembre
2003.
138. La Carta per le città e i territori in rete per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è stata predisposta
nel corso di un progetto transnazionale “European Cities for Conciliation Network” a cui hanno aderito diverse
amministrazioni provinciali e comunali della Regione Lombardia che sono partner del Progetto Equal
Territoriale “Con-Tempo. La conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro”, coordinato da Pari e Dispari, in
corso di realizzazione.
139. Sul ruolo centrale delle persone anziane come caregivers si veda Istat: Stili di vita e condizioni di salute.
Anno 1998, ISTAT, Roma, 1999.
140. R. Livraghi, Forme familiari e tenore di vita della persona anziana, in Federazione Nazionale Pensionati
CISL, Anziani 1999-2000, Terzo rapporto sulla condizione della persona anziana, Edizioni Lavoro, Roma, 2000.
98
Parte terza – Problemi aperti
Recenti indagini nazionali e locali affermano che è a 70 anni e non più a 60141 che
normalmente ci si comincia a percepire come anziane e anziani. Questa dilatazione
di dieci anni nella definizione nei passaggi di età ci indica che le persone hanno una
mappa mentale del ciclo di vita che consente loro di prevedere la possibilità che certi
eventi potranno accadere, sentendosi in tempo per certe scelte ed esigenze.
Anche la scelta di indirizzare fuori dal mondo dell’impresa produttiva il proprio impegno e le proprie competenze (come quando ci si volge al volontariato, al mondo del
non profit) richiede un orientamento attivo, sforzi per mobilitare capacità e desideri,
ma anche risposte organizzative meglio definite e strutture più efficienti e funzionali.
Per promuovere l’incontro fra la domanda sociale di impegno e la domanda individuale di sviluppo di potenzialità (molte persone non sono interessate a fornire un
aiuto generico, ma un impegno che attinga alla propria esperienza professionale)
occorre che vi siano alcune condizioni:
•
che la preparazione al pensionamento si sposti dall’azienda al territorio;
•
con un forte ruolo di governo da parte dell’ente locale;
•
con un circuito di offerte di preparazione alla transizione che tenga conto delle
•
con una offerta didattica costruita a partire da ricognizioni autobiografiche che
caratteristiche degli individui prossimi al pensionamento e delle loro professionalità;
valorizzino i diversi “saperi”142.
Un tempo libero senza retroterra è un consumo passivo. Per rendere effettivo il diritto all’educazione come valore in sé, intendendo l’acquisizione di conoscenze e di
competenze come fonte di soddisfazione, indipendentemente dalla loro utilità, una
occupazione per eccellenza della terza età, come sostiene P. Laslett143, le persone
avranno bisogno sia di possedere delle conoscenze sia di avere la possibilità materiale di accedere a musei, biblioteche, monumenti, università, e altro.
J. Hillman ha scritto che: “più a lungo rimaniamo attaccati a idee logore, più queste
ci influenzano negativamente, agendo come patologia. La patologia principale della
vecchiaia è l’idea che ne abbiamo”144.
Non è forse questo il limite che rintracciamo anche nel modo in cui collettivamente
stiamo affrontando il tema dell’invecchiamento sociale, nella scelta delle parole e dei
modi con cui comunichiamo, nei luoghi di lavoro come nei messaggi dei media? L’idea morbosa di età pensionabile come età cronologica sganciata dal processo vitale, o la riforma delle pensioni vista come azione ostile a danno di qualcuno e non
141. Indagine Censis 2002. Repubblica Salute e Somedia. Stralci riportati nel quotidiano “La Repubblica” del
21 ottobre 2002.; E. Donati, C.Bassanini, P. Madami, Più utili che anziane. cit; ISTAT, Rapporto annuale. La
situazione del paese, 2001, ISTAT, Roma, 2002. AA.VV., Anziani: stato di salute e reti sociali. Una indagine
diretta sulla popolazione anziana in Lombardia, IRER - Guerini e Associati, Milano, 2000.
142. S. Tramma, Preparazione alla quiescenza tra ipotesi e realtà cit.
143. P. Laslett, Una nuova mappa della vita cit.
144. J. Hillman, La forza del carattere cit.
99
Ageing: verso un mondo più maturo
come tappa di un progetto complessivo di ridisegno della coesione intergenerazionale, non riflettono questo limite?
Uno sforzo progettuale, inteso anche come terapia delle idee, supportato dalle molte
e variegate esperienze innovative locali, nazionali e straniere, sarebbe utile per liberarci da certe convenzioni che impediscono di compiere importanti trasgressioni,
come quella di portare con sé, nei diversi passaggi e tappe della vita come nelle molteplici presenze di cui si compone, quegli elementi di autoriflessione e di elaborazione delle nostre identità resi possibili perché si è aggiunto un tempo della vita.
100
Parte terza – Problemi aperti
3.2 Domande e ipotesi per possibili percorsi di
ricerca
Ogni società presenta forme di stratificazione sociale legate all’età: anzi, sostiene M.
Riley145, essendo i processi fondamentali di invecchiamento e di successione delle
coorti tra i pochi processi sociali universali, la stratificazione per età permane finché
dura la società.
Sono processi pertanto inevitabili, ma possono essere modificati ad esempio da
interventi sul processo di invecchiamento.
Nelle società primitive e prealfabetizzate potere e deferenza erano accordati alle persone anziane, in virtù della loro esperienza e saggezza; nelle società moderne sarebbe in corso, secondo quanto ipotizza R. Merton un processo di “juvenocrazia”146, in
quanto numerose coorti di persone più giovani si vanno affermando nelle posizioni di
dominio del potere economico e politico.
Le società come la nostra, caratterizzate da alcuni decenni da un rapido processo di
invecchiamento della popolazione e dalla presenza di strutture sociali non ancora
adeguate a questa evoluzione, presenterebbero come tratto distintivo un “ritardo
strutturale” o una “opacità sociale”147.
Tali categorie mettono in evidenza l’incapacità delle imprese, delle famiglie e di altre
strutture sociali nel procurare ruoli più soddisfacenti a un gran numero di persone che
vivono più a lungo e che invecchiano in modo nuovo.
Nel mentre i paesi si attrezzano, seppur in modo ancora incerto, a far fronte al rapido aumento delle persone anziane, che supereranno presto il numero dei giovani, gli
approcci al tema dell’invecchiamento sono divenuti più complessi e raffinati: la prospettiva age integrated e lo slogan dell’ONU per “una società per tutte le età” hanno
denunciato come obsoleta la differenziazione per età (con il relativo ritmo a tre tempi)
e indicato la direzione per un trattamento sociale dell’età ispirato a una maggiore
integrazione.
Società che invecchia diventa sinonimo di società multigenerazionale, per il coesistere di numerose generazioni e perchè le maggiori speranze di vita favoriscono le
influenze “reciproche” a lungo termine delle generazioni le une sulle altre.
Ma in che modo le generazioni compresenti si plasmano? E quando le barriere per
età sono affievolite o rimosse, quando i ruoli sono accessibili a persone di ogni età,
la società ci guadagna con un nuovo senso di comunità o potrebbe vedere aumentare la rivalità e il conflitto? E per le vite individuali, quali implicazioni sono possibili in
termini di diritti, di emancipazione e di responsabilità?
Il tema del rapporto fra le generazioni è di grande attualità: già oggi l’“intergenerazio145. M.W. Riley, Stratificazione per età cit.
146. L’autore è citato nel saggio di M.W. Riley, Stratificazione per età cit.
147. Termine coniato da P. Laslett nel libro Una nuova mappa della vita cit.
101
Ageing: verso un mondo più maturo
nalità” rappresenta in alcuni segmenti della vita sociale una risorsa attivata a pieno
regime, si pensi alle reti di offerta di cura informale verso le persone anziane in particolare, onere che grava sul piano economico e assistenziale sulla generazione di
mezzo, e soprattutto sulle donne adulte.
Ma il tema non riguarda solo la dimensione assistenziale dei nuovi assetti generazionali: le stesse politiche di riforma della previdenza e del mercato del lavoro –
mentre suggeriscono strategie di graduazione del pensionamento, interventi di formazione permanente, diversi regimi contributivi – poggiano su una idea di revisione dei rapporti generazionali, prospettando, almeno sul piano teorico, formule di
incontro, di compresenza, anche di cooperazione fra le generazioni nei luoghi di
lavoro mai immaginate prima, oltre che difficili da praticare (come suggeriscono
alcune delle buone prassi raccolte dalla ricerca della Fondazione Europea di Dublino, citata nella prima parte).
Nella vita quotidiana già molte persone sono immesse in una rete dove i rapporti fra
le generazioni, e simultaneamente fra i generi, sono in trasformazione: si pensi alla
maggiore permanenza dei figli nella casa dei genitori, che comporta forme di convivenza fra individui adulti; agli adulti che “fanno da genitori” ai loro padri e madri
anziani; all’aumento del lavoro femminile che ridisegna il ruolo del padre nella socializzazione dei bambini.
Le stesse direzioni delle trasmissioni familiari contemplano oggi movimenti fra le
generazioni che vanno nelle due direzioni, discendenti, dai genitori ai figli/e, e in direzione inversa, dai figli/e ai genitori (come rivelano diverse ricerche francesi e italiane).
Trasmissioni ascendenti e discendenti procedono nella complessa rete degli scambi
familiari attraverso le generazioni.
Da alcuni anni l’intergenerazionalità come risorsa è stata identificata assegnando
alla popolazione anziana ruoli connessi con la conservazione e la trasmissione del
patrimonio culturale della società, ma questa visione delle cose va decisamente
“dinamizzata” per inserirsi di diritto nei sostanziali processi evolutivi che attendono
i sistemi sociali ed economici nei prossimi anni. È una risorsa troppo preziosa per
le dinamiche di cambiamento sociale perché finisca nelle secche di un “buon
tempo andato” a cui i giovani dovrebbero avvicinarsi per un sentimentale incontro
generazionale148.
Le stesse ricerche su segmenti della popolazione anziana (donne e uomini fra i 60 e
i 70 anni di età, pensionati e pensionate, ma anche con una quota di persone attive))
hanno rivelato che le maggiori risorse a disposizione, di natura economica, sociale,
culturale, di salute e benessere, hanno concorso a rendere meno esclusiva l’identificazione con la propria età e i propri coetanei, liberando da stereotipi e pregiudizi e
favorendo una propensione a creare legami con le altre età.
148. M. Pedrazzi, R. Vercauteren (in collaborazione con M. Loriaux e M. Fernando), Luoghi e forme di vita per
gli anziani di domani, Pratiques du champ social, Erès, 2000.
102
Parte terza – Problemi aperti
Una minor chiusura nei confini di età non solo risponde meglio alle immagini e ai
desideri delle persone anziane, ma può mettere in gioco nuove soluzioni e strategie di avvicinamento fra le generazioni: un’istanza di benessere che sembra provare a sostituire il modello di autorità che regolava le relazioni di obbligatorietà fra le
generazioni.
Questi aspetti innovativi, connessi all’apparire di nuove età e ai processi di invecchiamento, dai tratti inediti e difficilmente confrontabili con il passato, interrogano i
luoghi di lavoro, che saranno sempre più abitati da persone che invecchiano, in condizioni di cambiamento tecnologico e organizzativo continuo. Dal momento che i
cambiamenti nelle carriere e la flessibilità diventeranno la norma, le persone avranno
bisogno di nuovi set di competenze per competere in modo equo, per non essere
discriminate; ci sarà bisogno di approcci qualitativamente diversi, orientati alle esigenze personali, per raggiungere una migliore vicinanza fra competenze dei singoli e
varietà e esigenze del processo lavorativo (come sottolinea l’indagine ISFOL del 2002).
Alcuni studi hanno rivelato che le categorie dell’età contribuiscono solo marginalmente al funzionamento dei contesti organizzativo-produttivi, mentre acquistano particolare rilevanza nelle considerazioni di tipo strutturale, come nelle strategie di
ristrutturazione, nelle politiche di formazione e nei programmi di riqualificazione.
Potrebbe essere di notevole interesse per una indagine empirica rilevare le percezioni, i quadri di lettura, i comportamenti presenti nei luoghi di lavoro, ad esempio in
relazione a questa forma di “strabismo culturale” nella gestione dell’età; comprendere come si strutturano i rapporti fra i lavoratori/lavoratrici più giovani e quelli più
anziani; quanto le imprese e il loro management sono consapevoli della crucialità del
bisogno di tenere insieme manodopera giovane e adulta e hanno cominciato a ripensare ai modelli organizzativi, ai percorsi di carriera, alle culture professionali, agli investimenti per la sicurezza e la salute, al design fisico dei luoghi e dei processi di lavoro, come invitano a fare varie risoluzioni europee (Risoluzione sull’occupazione dei
lavoratori in età matura, giugno 1995, e Consiglio d’Europa di Cardiff, 1998).
Quanto le lavoratrici e i lavoratori si trovano sintonizzati con un altro dei principi chiave indicati dall’Unione Europea e che riguarda lo “scambio generazionale”? Se nel
passato il ricambio professionale coincideva con quello generazionale, in quanto i
tempi medi di diffusione delle grandi innovazioni tecnologiche corrispondevano alla
durata media della vita attiva degli individui (circa quaranta anni), oggi forza lavoro
adulta e giovanile sono chiamate a cooperare, scambiandosi non solo competenze
formali, ma anche valori ed esperienze, in una progressiva tendenza delle organizzazioni all’appiattimento gerarchico.
Un maggior scambio generazionale improntato a una logica di cooperazione che
consenta alle persone anziane di continuare a lavorare, assorbendo elementi di innovazione, potrebbe favorirne una nuova progettualità e motivazione verso il lavoro.
Non è automatico, però, per le persone guardarsi e relazionarsi in una logica di scambio, quando in molti luoghi lavorativi i modelli delle carriere e le politiche di investi-
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Ageing: verso un mondo più maturo
mento aziendale hanno demotivato molti dipendenti fra i 40 e i 50 anni di età e incoraggiato gli stereotipi legati all’età. Nello stesso tempo, sarebbe utile indagare con
quali motivazioni ed energie i lavoratori e le lavoratrici più giovani si attrezzino a rapporti professionali più orientati a relazioni alla pari, a modelli di carriera in cui il requisito dell’innovazione non è necessariamente associato alla giovane età.
Inoltre, potrebbe essere utile comprendere come i problemi della seconda metà della
vita sono gestiti dalle lavoratrici e dai lavoratori coinvolti. Cosa significa fare i conti
con una vita lavorativa più lunga? Come il giudizio sul proprio lavoro attuale viene
influenzato da una prospettiva della carriera professionale che si protrae negli anni?
Cosa accade quando una situazione rimasta invariata nel tempo, o che si credeva
definita una volta per tutte, si rimette in moto (privilegio fino ad oggi solo di alcune
professioni)?
Le oltre 150 buone prassi raccolte a livello europeo, alcune avviate anche nel nostro
paese, offrono alcune risposte a queste domande; attraverso quali strumenti e attori
potrebbero essere diffuse e portate a conoscenza nelle nostre imprese, è un altro dei
temi di ricerca che sarebbe possibile approfondire.
Un secondo, e potenzialmente complementare ambito di ricerca, cui gli elementi raccolti nel corso di questo studio potrebbe indurre a guardare con interesse, attiene
all’analisi delle condizioni di vita di donne e uomini nell’età compresa fra i 50 e i 60
anni, focalizzando l’attenzione sulle trasformazioni nei modelli di rapporto fra i generi e fra le generazioni.
Come leggere queste trasformazioni?
Una prospettiva potrebbe essere quella di guardare ai cambiamenti sociali, tramite:
•
l’esperienza di persone che attraversano fasi della vita sempre meno ovvie e
naturali;
•
•
assumendo l’età come indicatore “relativo” rispetto alla continuità della biografia;
cogliendo le diverse rappresentazioni di una realtà sociale che, nel mentre connette e integra maggiormente le età, ne altera i processi di stratificazione e di
obbligatorietà.
Uno studio sulle donne e gli uomini di due coorti di età (quella fra i 50 e i 54 anni e
quella fra i 55 e i 60 anni), attraverso la prospettiva del “corso di vita”, potrebbe risultare particolarmente interessante per diversi motivi.
Sono in una fase della vita in cui generalmente si porta a termine la storia lavorativa
e si affronta la transizione al pensionamento. Diventa perciò interessante indagare:
•
Chi ancora è occupato/a: con quali mappe cognitive e progettuali sta vivendo la
situazione professionale, quali strategie ha intrapreso per un ulteriore consolidamento delle competenze, per la preparazione al pensionamento (anche alla luce
delle nuove disposizioni in materia previdenziale); come legge la propria organizzazione lavorativa, come definisce le opportunità e i vincoli presenti.
104
Parte terza – Problemi aperti
•
Chi è già in pensione: come ha vissuto le diverse transizioni connesse alla fine del
rapporto di lavoro, quale bilancio ne trae verso il futuro, quali eventuali altre attività occupazionali e combinazioni fra pensione e lavoro abbia sperimentato; quali
risorse e reti siano state attivate nella transizione; quali cambiamenti nelle strategie di vita.
•
In generale, i cinquantenni come ridefiniscono la propria collocazione nella rete
familiare e parentale: i legami di intimità e di amore, le forme di rinegoziazione
nella divisione del lavoro di cura, le carriere “morali”, le forme delle trasmissioni
fra le generazioni.
•
Che orientamento presentano verso il tempo libero: come spendono il loro tempo
negli anni lavorativi e negli anni in cui sono pensionati/e; gli orientamenti verso
una “vita attiva” o forme più passive di uso del tempo libero; la propensione verso
il volontariato, il lavoro gratuito, le relazioni sociali e le esigenze di socialità.
•
le autopercezioni del processo di invecchiamento; la definizione dei loro anni e
della loro fase di vita, le domande sul significato dell’invecchiare, la ricerca di
modi di vivere per continuare ad amare, apprendere, accettare le opportunità e i
rischi della nuova età, le domande formative, di partecipazione, di crescita e di
relazione fra le generazioni.
Non si tratta certo di un’elencazione esaustiva, né di un vero e proprio progetto di
ricerca, neppure in abbozzo. Si tratta però di una serie di punti interrogativi che sembrano piuttosto promettenti e di una possibile guida a una discussione che sia orientata allo stesso tempo a metter meglio a fuoco le questioni aperte e il loro ordine di
priorità, e a individuare possibili linee operative per muovere un passo avanti nella
loro gestione innovativa.
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