Seminario sul gioco d’azzardo Milano, 26 settembre 2014 “E lo chiamano gioco...” Position paper Chi può dire, oggi, di sapere che cosa sia il gioco d’azzardo? Che cosa ha trasformato il gioco e l’azzardo, come storicamente le nostre società li avevano conosciuti, in attività “libere”, non più regolamentate e costrette in tempi e luoghi determinati? Come è stato possibile che dilagassero nella vita quotidiana, nei rapporti sociali e in quelli economici, fino a quasi a diventare icona del sistema economico contemporaneo? Il gioco – osservava nel 1955 il fenomenologo Eugen Fink – è libero dal vincolo del tempo ma, al contrario degli altri fenomeni fondamentali della vita umana (lotta, morte, lavoro, amore), non gode di uno spazio autonomo. Anche se la pervasività a cui assistiamo oggi appare radicalmente diversa rispetto a quella descritta da Fink, le è strutturalmente affine. Qualcosa che chiamiamo “gioco” e definiamo “azzardo” ha definitivamente penetrato le strutture vitali del nostro ecosistema. Fino a qualche decennio addietro, la pratica del gioco d’azzardo in Italia era circoscritta a pochi spazi, come i casinò, e a momenti ben precisi, come le estrazioni del lotto e le lotterie. L’introduzione e liberalizzazione delle slot machine nel 2003 ha di fatto reso la pratica del gioco d’azzardo più diffusa, ampliandone l’offerta spaziotemporale: bar, tabaccherie, negozi, sale scommesse sono solo alcuni luoghi dove la presenza delle slot si è fatta quotidiana. In questo modo il gioco d’azzardo si è insinuato nella vita degli italiani, condizionando le dinamiche socioeconomiche dei territori e le politiche nazionali. È importante valutare le conseguenze a lungo termine dell’inserimento del gioco d’azzardo nella quotidianità, senza fermarsi alle sole problematiche sanitarie delle patologie da addiction, ma ritracciandone un quadro più fondamentale. Nella cultura del gioco d’azzardo è infatti possibile trovare la rappresentazione spinta all’eccesso di un modello economico di sviluppo basato esclusivamente sulla massimizzazione del benessere individuale, dove il denaro è contemporaneamente il fine, il mezzo e l’unico parametro per la misurazione della felicità. La mercificazione dell’essere umano nel gioco d’azzardo si estende anche alla sua dimensione ludica, che paradossalmente dovrebbe essere quella più libera e creativa. Nel quadro del capitalismo “tecno-finanziario”, per usare la definizione di Mauro Magatti, il gioco d’azzardo ha assunto un ruolo di metafora attraverso cui è diventato sempre più comune individuare le linee di frattura della società post-industriale. Di casino capitalism, d’altronde, parlava già negli anni Ottanta l’economista e studiosa di relazioni internazionali Susan Strange, alla quale si deve uno dei più interessanti tentativi di elaborazione critica di un sistema dove l’obiettivo non è più “produrre valore” (una casa, un oggetto, un artefatto), ma “estrarre valore” non solo dalle cose e dall’ecosistema, ma anche dal potenziale stesso delle vite umane. Nel corso del Novecento i sistemi fiscali si sono evoluti, introducendo elementi di progressività nel sistema impositivo, e lo Stato ha iniziato ad assumere un ruolo di protezione sociale nei confronti delle fasce più deboli della popolazione. Il Welfare State è entrato in crisi negli ultimi decenni, in parte a causa dei costi economici delle sue istituzioni, in parte per ragioni ideologiche. Il gioco d’azzardo, consentendo lo sfruttamento economico dei più deboli fino all’induzione della dipendenza, rappresenta una importante negazione del principio della solidarietà sociale. Possiamo pianificare un processo di revisione strutturale delle entrate erariali, volto a ridurre nel tempo la dipendenza dello Stato dalle entrate del gioco d’azzardo? Lo sviluppo delle economie moderne è avvenuto sulla base del progresso tecnologico, sul lavoro e sull’utilizzo sapiente del capitale, umano e fisico, accumulato in secoli di storia. Quando si blocca l’ascensore sociale, quando aumenta a dismisura la diseguaglianza, allora la condizione di un individuo alla nascita diventa fondamentale per determinarne il punto di arrivo. Il gioco d’azzardo può rappresentare lo strumento per veicolare nel corpo sociale l’idea che sia “normale” che l’aleatorietà prevalga rispetto all’abilità. È possibile pensare a un depotenziamento di tale messaggio, vietando ad esempio la pubblicità del gioco d’azzardo e ripulendo la comunicazione commerciale perlomeno dai riferimenti più espliciti al “tentare la Fortuna”? I bambini, che sono oggi nativi digitali, come potranno essere protetti quando domani da adulti troveranno nelle slot machine e nel gambling online il sostituto naturale dei videogame con cui sono cresciuti? Quando il legislatore stesso definisce apparecchi da intrattenimento le slot machine, è difficile ricostruire un’idea di gioco e di divertimento che sia coerente con la crescita armoniosa della persona, sia nella sua dimensione individuale che in quella sociale. Il legislatore può iniziare a usare correttamente la lingua italiana e a chiamare le cose con il loro nome? Riferimenti CUOZZO G., Gioco d’azzardo. La società dello spreco e i suoi limiti, Mimesis, Milano 2013. DOTTI M., Il calcolo dei dadi. Azzardo e vita quotidiana, ObarraO, Milano 2013. ESPOSITO M., «Gioco d’azzardo e quotidianità: quale è la posta in gioco?», in Aggiornamenti Sociali, 5 (2014) 392-404 HAN B.-C., La società della stanchezza, Nottetempo, Roma 2012. MAGATTI M., La libertà immaginata. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, Milano 2011. PETROSINO S., Soggettività e denaro. Logica di un inganno, Jaca Book, Milano 2012. SCHÜLL N. D., Addiction by design. Machine gambling in Las Vegas, Princeton University Press, Princeton (NJ). STRANGE S., Capitalismo d’azzardo, Laterza, Roma-Bari 1988. TÜRCKE C., La società eccitata. Filosofia della sensazione, Bollati Boringhieri, Torino 2012.