Settembre 2006, Anno 3, Numero 5 Newsl ett er di S ociol ogia Scrivi alla redazione >> [email protected] Teseo 7 T e s e o Per la rubrica Teseo, in questo numero pubblichiamo un articolo che Cinzia Paradiso ha tratto dalla sua dissertazione finale. Cinzia, infatti, ha appena conseguito la laurea di primo livello presso la Facoltà di Scienze Politiche, corso di laurea in Sociologia e Ricerca Sociale. Il titolo della tesi è Un caso di religione in movimento: i “convertiti dall’interno”, e la relatrice la professoressa Raffaella Ferrero Camoletto. Un caso di religione in movimento: i “convertiti dall’interno”. Di Cinzia Paradiso Che cosa vuol dire “convertiti dall’interno”? È necessario chiarire sin da subito come stanno le cose: la religione “non è morta”(1), continua ad essere un laboratorio privilegiato per la comprensione delle società, seppur con vesti, modi, aspetti differenti. La sentenza dei primi sociologi e del pensiero illuminista, che suonava in realtà come un assioma, e prevedeva la progressiva perdita delle tenuta della religione nelle società moderne ed industrializzate, all’alba del XXI secolo non si è ancora rivelata esatta. La scienza, salutata come un messia dai positivisti, non è riuscita, e forse non riuscirà mai, a prendere il posto di un dio e delle religioni. Sarebbe però troppo ingenuo, e soprattutto falso, sostenere che nulla è cambiato nel tempo, perché, come insegna anche la sapienza Greca, “panta rei”, tutto scorre, e fanno parte dell’essenza delle cose stesse, dei fenomeni e delle istituzioni, il movimento e il cambiamento. Per questo studio sulla religione, ho preso le mosse dai concetti di movimento e nomadismo. È stata illuminante per me la lettura di due testi: Religione e memoria e Il pellegrino e il convertito (2), entrambi scritti da Danièle Hervieu-Léeger, una delle voci più autorevoli della sociologia della religione contemporanea. Le idee-guida che percorrono questi due lavori sono: 1. la religione, lungi dallo scomparire, conserva nelle nostre società un ruolo importante; 2. oggi siamo dinnanzi ad un paradosso: le Chiese sono scarsamente frequentate (dato quantitativo), l’incontro domenicale ha luogo più dinnanzi alla tv che dinnanzi all’altare (cambiamento anche nelle modalità), ma le sette e i nuovi movimenti religiosi si moltiplicano, e le discussioni su Dio e l’aldilà affascinano molti; 3. la dimensione religiosa è cambiata rispetto al passato e alla classica figura del praticante se ne sono sostituite altre due: quella del pellegrino e quella del convertito. La prima rappresenta il nomadismo religioso, la seconda incarna l’abbandono delle appartenenze trasmesse per tradizione. Lo scenario attuale è caratterizzato da due fenomeni: viviamo in un periodo di forte deregolamentazione istituzionale del credere e di crisi delle identità religiose. Anche la figura del praticante ha cambiato di significato: la partecipazione ai culti, ai riti e alle preghiere non viene più interpretata nei termini di obbligo stabilito dall’istituzione religiosa, ma assume il valore di scelta personale, imperativo interiore, bisogno, impegno ed autenticità al proprio sentire. Oggi è possibile assurgere la figura del pellegrino a simbolo della religione in movimento in due sensi: essa rimanda alla fluidità dei diversi percorsi religiosi-spirituali, e risponde ad una forma di socialità religiosa caratterizzata dall’eccezionalità temporanea con cui vi si aderisce, e dalla mobilità ad essa connessa. È chiaro come i tratti del pellegrino si confacciano alle caratteristiche tipiche della società contemporanea, tutta – o quasi – incentrata sull’individuo, sull’autorealizzazione e sulla temporaneità delle preferenze e delle scelte. La figura del convertito , quella su cui ho puntato la mia lente, rappresenta per antonomasia il “ricercatore dello spirito”: oggi, nella “società post-moderna”, l’uomo si trova ad essere “condannato alla libertà”(3), la memoria è “in briciole”(4) e il concetto stesso di identità (5) è mutato rispetto al recente passato. Oggi l’imperativo è di evitare ogni impegno e di costruire un’identità con un materiale “biodegradabile”: per questi motivi è pressante il bisogno di affiliazione, famiglia, comunità, entro cui poter trovare un focolare che possa proteggere dal caos esterno. La conversione è senza alcun dubbio una delle esperienze più forti e destrutturati che una persona possa vivere. Secondo Berger e Luckmann(6) è il simbolo storico di scomposizionericomposizione individuale ed interessa gli aspetti cognitivi (relativi al pacchetto delle credenze), normativi (ovvero le norme religiose di riferimento) e sociali (riguardanti la base sociale cui rivolgersi). I risultati dell’analisi delle interviste che ho condotto, vanno nella direzione indicata dagli autori. Ho condotto una ricerca basata su materiale biografico, raccolto intervistando quattordici ragazzi, attualmente attivi presso associazioni, movimenti e gruppi di matrice religiosa (per elencarne alcuni: Scout, Comunione e Liberazione, Ordine di Malta, Azione Cattolica, Alleanza Cattolica, Papa Boys, Rinnovamento nello Spirito Santo, e altri ancora). La mia attenzione si è focalizzata su un tipo di esperienza paradigmatica del panorama religioso: ho intervistato ragazzi e ragazze che, da una semplice appartenenza alla religione, hanno scoperto e riscoperto la fede a cui un tempo avevano aderito solo per tradizione e con poca coscienza, vivendo così una vera e propria conversione, o meglio “rivoluzione”: così molti intervistati l’hanno ribattezzata. La domanda cognitiva da cui ho preso le mosse non era un’ipotesi da verificare, ma una domanda esplorativa. Chi sono i “convertiti dall’interno”? Qual è stato il loro percorso? Da chi o da che cosa è stato promosso? È stato lento o repentino? È concluso o ancora in atto? Chi erano in passato e chi sono oggi? Che cosa pensano? Ho voluto sollecitare il loro processo riflessivo facendo leva su alcune tematiche oggi particolarmente delicate e attuali, come il dialogo interreligioso, la posizione nei confronti delle istituzioni religiose, della morale, Settembre 2006, Anno 3, Numero 5 Newsl ett er di S ociol ogia Scrivi alla redazione >> [email protected] della bioetica e delle biotecnologie. I prerequisiti fondamentali per la scelta dei casi sono stati i seguenti: 1. giovani torinesi universitari; 2. età compresa tra i 18-25 anni; 3. mantenere un certo equilibrio di genere tra le storie di vita raccolte dai ragazzi e dalle ragazze, 4. aver vissuto una conversione “dall’interno”; 5. ragazzi attualmente attivi presso gruppi, associazioni e movimenti religiosi. Per contattare i ragazzi intervistati non mi sono servita di tecniche rigide e predefinite: ho fatto ricorso ad innumerevoli mezzi. Ho attivato la mia cerchia amicale alla ricerca di ragazzi con i requisiti da me indicati, ho richiesto indicazioni a testimoni qualificati (parroci, catechiste, componenti di gruppi, movimenti e associazioni religiose), ho fatto ricorso alla tecnica dello snow-ball sampling, e infine ho contattato un ragazzo senza la mediazione di nessuno, ma presentandomi direttamente al ritiro del movimento di cui fa parte. Ascoltando, vivendo insieme ai ragazzi intervistati i loro racconti di vita che prendevano forma, e rileggendo empaticamente le trascrizioni, balza all’attenzione un dato inconfutabile: le famiglie da cui provengono non sono caratterizzate da particolare fervore religioso, ma emerge un’adesione alla religione molto flebile e poco cosciente, caratterizzata da una vicinanza ad un comune patrimonio culturale, sociale e storico. In tutti i casi i ragazzi intervistati hanno avuto un’educazione religiosa canonica: non sono stati ostacolati nel primo avvicinamento alla fede, anche se alcuni di loro hanno dovuto affrontare in famiglia rigidità ed incomprensioni legate alla loro piena e forte conversione. Quando si sono trovati a raccontare del proprio “cammino di fede”, hanno ripetutamente fatto ricorso ad alcuni termini: cammino, crescita, esperienza, incontro, senso, bisogno, significato, orizzonte, mondo. Tutti i ragazzi hanno raccontato di come siano stati di fondamentale importanza gli incontri e le esperienze vissute, fatta eccezione per una sola ragazza che descrive il suo percorso come del tutto intimo e personale. Tutti parlano di un percorso graduale, ancora in atto, per nulla repentino, meditato e vissuto passo dopo passo con meraviglia, sensibilità e desiderio di andare ancora avanti. Le esperienze vissute, centrali per il cambiamento, sono tutte riconducibili in ultima analisi all’amore: tutti, esplicitamente o implicitamente, raccontano di come siano stati colpiti dalla percezione di essere amati da Dio e di come questo amore sia da vivere concretamente nella vita. È importante precisare che, tra le righe dei racconti di vita tracciati dai ragazzi, è possibile leggere svariate esperienze di disagio che vivono o hanno vissuto nel passato, e di come la conversione sia servita loro per accettare o vivere con maggiore serenità le difficoltà (hanno fatto riferimento a malattie, al senso di esclusione e bisogno di essere stimati ed amati). I ragazzi, parlando a posteriori del proprio percorso, hanno dato una rilettura ed una reinterpretazione dei momenti che hanno preceduto la conversione in termini di preparazione alla fase di comprensione dei segnali che loro avevano già avuto e percepito prima del “cambiamento”. Nel corso dei racconti di vita, ho ascoltato più volte molte frasi in cui è chiaro il riferimento al “prima” buio e al “dopo” caratterizzato da luce e chiarezza. Stimolati a parlare di che cosa sia cambiato nella loro vita, hanno tutti risposto con ricchezza di particolari, facendo una comparazione rispetto al passato, hanno raccontato di come il proprio credere informi, anche inconsciamente, le scelte quotidiane in ogni ambito: in politica, nelle scelte affettive, nei rapporti interpersonali e nella propria scala di valori. Hanno capito che esiste un progetto di vita e soprat- 8 tutto che essere cristiani non è una tessera di appartenenza, ma uno stile di vita, un modus vivendi che tocca le fondamenta della persona. Se uno mette il LATTE al posto della benzina, nella macchina, la machina non va. Se uno mette…con un cucchiaio, se lo mette vicino l’orecchio, è perché non ne sa lo scopo. Quando uno incontra Gesù, capisce lo scopo delle cose. Non…non capisce tutti i motivi di tutto, no! Perché rimane MISTERIOSA la vita. Eh…però capisce…lo SCOPO delle cose. E ALLORA le tratta secondo quello scopo lì! Per cui…da innamorati! [tratto dall’intervista numero 7 a L., Comunione e Liberazione] A questo proposito, alcuni ragazzi hanno rivolto parole stizzite nei confronti di coloro che, pur dichiarandosi cattolici, cristiani, non incarnano la figura del “vero credente”: si comprende che si percepiscono diversi sia dai loro coetanei, sia dai propri genitori e dagli adulti in generale, che, a loro parere, “non hanno compreso cose importanti della vita”. Sono aperti nei confronti delle altre religioni, ma nutrono grandi dubbi nel commentare la formula “una religione vale l’altra”: otto ragazzi si affrettano a precisare con decisione che il presupposto fondamentale da cui partire per ogni discorso è che la verità è una sola, quella cristiana-cattolica, e cinque non hanno avuto remore nel confessarmi che sarebbero disposti a “combattere” per la propria fede. Interrogati riguardo la morale, la bioetica, le biotecnologie e le istituzioni religiose, i giovani convertiti si sono espressi nei seguenti termini: sono favorevoli al progresso medicoscientifico, ma esprimono parole di allarme e grande attenzione alla salvaguardia della vita umana per evitare di cadere in nefasti capricci umani di onnipotenza. Inoltre è fondamentale sottolineare come, da parte di una schiera di ragazzi più intransigenti, si sia levata una voce di protesta, di grande delusione riguardo la situazione italiana legata al cattolicesimo, tanto da guardare quasi con invidia l’Islam e la forza con cui cerca di far valere la propria causa. Da quanto appena detto e descritto, e da tutto ciò che i nostri occhi vedono quotidianamente, sono convinta che la religione sia lungi dallo scomparire e dal diventare un avo mitico appartenente a un tempo che abbiamo perduto. La religione è più viva che mai, e credo che coloro che ancora oggi sono convinti di celebrare il suo funerale in tempi brevi, pecchino di miopia, uno dei “peccati capitali” da cui un osservatore del mondo possa essere affetto. Mi sono apprestata alla realizzazione di questa ricerca con entusiasmo e curiosità, bramosa di capire dove siamo e verso quale direzione siamo diretti: quello che ho appena descritto è un umile tentativo diretto a questo fine. NOTE (1)Con questa affermazione alludo palesemente alla celebre dichiarazione di Nietzsche nella Gaia Scienza: “Dio è morto”. (2)Danièle Hervieu Léger, Il pellegrino e il convertito. La religione in movimento . Il Mulino, Bologna, 2003 e Religione e memoria. Il Mulino, Bologna, 1996. (3)La paternità di quest’espressione appartiene a U.Beck. (4)Si legga Danièle Hervieu Léger, Religione e memoria. Il Mulino, Bologna, 1996. (5)È un riferimento a Z.Baumann, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 1999. (6)P. Berger, N.Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna, 1969.